Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici

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Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici
Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici
Nei versi del Bronzino e nelle pagine delle fonti letterarie coeve si trova esaltato l’interesse di lui
nei riguardi della rappresentazione del dato naturale. Pertanto, invece di relegare la sua opera
nell’astratta categoria del “Manierismo” (come oggi per lo più accade), nella mostra si suggerisce di
assecondare i pensieri esplicitamente espressi da chi quella stagione visse. Si rifletta su alcune frasi
di Giorgio Vasari, biografo attendibile specialmente per gli artisti fiorentini suoi contemporanei, che
nel 1568 pubblicò la “vita” del Bronzino: «era suo proprio ritrarre dal naturale quanto con più
diligenza si può immaginare», i suoi ritratti sono «tanto naturali che paiono vivi veramente e che
non manchi loro se non lo spirito», «ritrasse da un vero corpo morto confitto in croce» il Crocifisso
per i Panciatichi.
Dell’opera del Bronzino, che fu massima espressione dello splendore della corte di Cosimo I
de’ Medici, si propone un percorso che inizia con i dipinti eseguiti al tempo del suo discepolato col
Pontormo e si chiude con quelli di Alessandro Allori, l’allievo prediletto che prolungherà fin nel
Seicento le sue indicazioni. Nella mostra si enucleano alcuni temi: il rapporto privilegiato con i
Medici, la relazione intensa con i coniugi Panciatichi (processati per simpatie luterane), il doppio
registro di lui pittore e poeta (sia aulico che burlesco), il suo essere ritrattista fra i maggiori di tutto
il Cinquecento italiano, la sua tormentata risposta alle richieste della committenza religiosa nel
transito dalle istanze libertarie degli anni quaranta all’età della Controriforma.
SALA I - Sezione I
LA FORMAZIONE COL PONTORMO, GLI ESORDI, E POI PESARO
La mostra comincia con gli Evangelisti della cappella Capponi di Santa Felicita, la cui decorazione
pittorica fu commissionata nel 1525 al Pontormo, che appunto in quella cappella chiese al Bronzino,
suo allievo prediletto, di essere parte attiva nell’impresa e di dipingere, oltre ad alcune figure sulla
volta (poi distrutta), uno o forse due Evangelisti. Già due anni prima però il Pontormo, per fuggire
la peste, si era portato il giovane con sé alla Certosa del Galluzzo (pochi chilometri a sud di
Firenze), dove il maestro affrescò cinque storie della Passione e il discepolo due piccole lunette.
Sono gli inizi di un rapporto di lavoro, che fu per molti anni stretto; ma soprattutto di un’amicizia,
che sarebbe durata tutta la vita. L’influenza del Pontormo sul Bronzino fece sentire i suoi effetti
specialmente negli anni venti, che sono quelli considerati in questa prima sezione, dove, insieme
agli esiti dell’ascendente pontormesco, si potranno osservare anche i progressivi passi di
emancipazione del Bronzino, fino alla partenza per Pesaro, nel 1530.
SALA II - Sezione I
PESARO
Il Bronzino, dopo la fine dell’assedio di Firenze, durato dall’ottobre del 1529 all’agosto del 1530, si
trasferisce a Pesaro, per un soggiorno che si sarebbe protratto almeno due anni e che rappresenta
uno snodo fondamentale nella sua vicenda di pittore. A Pesaro, Agnolo è introdotto alla corte dei
Della Rovere; corte popolata d’artefici venuti da differenti luoghi, ognuno portando del suo; e tutti
forbiti. Pittori arrivati dal nord e dal centro dell’Italia per decorare le sale della Villa Imperiale.
Girolamo Genga, Raffaellino del Colle, Battista Dossi e l’immaginifico fratello Dosso, lavorano a
contatto di gomito col Bronzino, che con questi nuovi innesti matura il suo linguaggio; mentre la
sua cultura s’arricchisce nella frequentazione degli intellettuali chiamati dai Duchi (collezionisti
peraltro di opere d’illustri mani contemporanee).
SALA III - Sezione II
IL BRONZINO E FIRENZE. I MEDICI
La sezione testimonia l’intenso legame del Bronzino con Cosimo I e la corte medicea. Agnolo si
allontanò da Firenze solo per brevi viaggi. Vasari ricorda che il duca, constatata la sua eccellenza «e
particolarmente che era suo proprio ritrarre dal naturale quanto con più diligenzia si può
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imaginare», gli affidò il compito di tramandare le proprie fattezze e quelle dei suoi familiari. Il
ruolo del Bronzino quale pittore ufficiale della dinastia fu incontrastato fino al 1564, quando
proprio il Vasari gli subentrò nel ruolo di favorito. La carriera del Bronzino accompagna gli anni
dell’affermazione politica di Cosimo I, che, col desiderio di eguagliare nello splendore le corti
europee, ordinò si facessero «panni d’arazzo di seta e d’oro per la Sala del Consiglio de’ Dugento»
in Palazzo Vecchio con le storie di Giuseppe Ebreo. Per questo suo progetto fece venire di Fiandra
due maestri arazzieri, Nicolas Karcher e Jan Rost, fondando l’arazzeria medicea (1545).
SALA IV - Sezione II
IL BRONZINO E FIRENZE. I MEDICI
Cosimo I, che aveva apprezzato le capacità del Bronzino nella realizzazione degli apparati per le
proprie nozze con Eleonora di Toledo (1539), ordinò al pittore di decorare la cappella
nell’appartamento privato della moglie in Palazzo Vecchio. Fra il 1541 e il 1545 Agnolo affresca la
cappella, dipingendo per l’altare una tavola col Compianto su Cristo morto e due pannelli laterali
con San Giovanni Battista e San Cosma. Nel 1545, pochi mesi dopo la conclusione dei lavori, il
duca regala a Nicolas Perrenot de Granvelle, segretario dell’imperatore Carlo V, il Compianto (oggi
a Besançon e in sala evocato da un’immagine fotografica); mentre i due laterali vengono trasferiti
nella Guardaroba medicea. Il San Cosma, che si reputava perduto, viene qui esposto, sia pur
frammentario, per la prima volta dopo il suo ritrovamento. Cosimo chiede subito al Bronzino una
seconda versione della pala d’altare, che sarà consegnata solo nel 1553 (pressoché identica alla
prima). Dieci anni dopo, Agnolo esegue due nuovi laterali raffiguranti l’Annunciazione: le tre tavole
sono ancor oggi a Palazzo Vecchio.
SALA V - Sezione III
IL BRONZINO E FIRENZE. I PANCIATICHI
Bartolomeo Panciatichi nacque a Lione nel 1507, dove la famiglia aveva interessi commerciali; si
formò a Parigi e a Padova. Sulla metà degli anni trenta sposa Lucrezia Pucci e con lei si trasferisce
di nuovo in Francia, dove entra in contatto con intellettuali vicini alla riforma protestante. I coniugi
tornano a Firenze alla fine di quello stesso decennio e Bartolomeo nel 1541 entra come poeta,
insieme al Bronzino, nell’Accademia degli Umidi, di lì a poco trasformata in Accademia Fiorentina,
della quale sarà Console nel 1545. Sarà poi ambasciatore del duca Cosimo I alla corte di Francia.
Nel 1551 viene denunciato perché «luterano et ha libri luterani». Invero la sua religiosità era
consentanea a quella di molti uomini della corte medicea, dove circolavano il Beneficio di Cristo e
gli scritti di Juan de Valdés, che sostenevano la salvezza per sola fede e non come premio per le
opere. Il processo si svolse fra il 1551 e il 1552, ma Cosimo intervenne più volte affinché
Bartolomeo e la moglie fossero scagionati. Esito sublime di questa religiosità è il Cristo crocifisso
dipinto dal Bronzino: ritenuto perduto e qui per la prima volta presentato come suo autografo.
SALA VI - Sezione IV
IL BRONZINO E LE ARTI
La sezione intende illustrare il rapporto fra pittura, scultura e poesia nell’opera del Bronzino e dei
suoi amici. «Sì grande Apelle, e non minore Apollo»: così Benedetto Varchi, umanista, storico e
poeta, definisce il Bronzino; che non fu soltanto uno dei principali pittori dell’epoca, ma anche un
poeta capace di alternare sonetti petrarcheschi a rime burlesche (pubblicati lui vivente). Il doppio
registro della sua espressione si riflette in questa sala sulle Allegorie di Venere. Due di queste
furono eseguite dal Bronzino e una dal Pontormo, che la dipinse su disegno di Michelangelo per
una stanza dedicata alla poesia d’amore in lingua volgare, dove del Bronzino figuravano i ritratti di
Petrarca e Boccaccio (perduti) e quello di Dante. Benedetto Varchi, Console dell’Accademia
Fiorentina, interpellò il Bronzino come teorico delle arti, annoverandolo tra gli «eccellentissimi
pittori e scultori» ai quali nel 1547 chiese di esprimersi nella disputa detta della Maggioranza delle
arti, ovvero se fosse più importante la scultura o la pittura. Nel 1549 Varchi pubblicò il volume che
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riuniva lettere di vari artisti, fra cui Michelangelo, il Pontormo e Cellini, e anche quella del
Bronzino, che nella sua risposta espresse le ragioni di chi considerava superiore la scultura, senza
però concludere esponendo gli argomenti in favore della pittura. Quello che non formulò per scritto,
probabilmente lo enunciò nel doppio ritratto del nano Morgante a caccia: dipinto che, al pari di una
scultura, presuppone il movimento dell’osservatore nella visione da differenti punti di vista;
offrendo – in più, rispetto alla scultura – la percezione del tempo trascorso fra l’inizio e la fine della
caccia. Il ritratto di Morgante è qui messo a confronto con sculture di Cellini, del Tribolo, di Pierino
da Vinci; artisti che col Bronzino ebbero anche uno scambio di poesie.
SALA VII - Sezione VI
TEMI SACRI
La vicenda espressiva del Bronzino attraversa quasi tutto il Cinquecento: dagli anni venti, quando
collabora col Pontormo, fino al 1572, anno della sua morte. In quest’arco di tempo dipinge opere
sacre che sono specchio dei mutamenti del sentire religioso di un secolo inquieto. Nelle opere fino
agli anni quaranta Agnolo riflette la fede di uomini vicini al duca, toccati da idee eterodosse e filo
riformate. A partire dalla fine degli anni cinquanta, invece, il Bronzino, come l’intera corte
medicea, risente di una religiosità che si allinea con gli indirizzi dibattuti nel Concilio di Trento
(1545-1563). Espressione di questo cambiamento sono pale come la Deposizione della Galleria
dell’Accademia di Firenze o la Pietà di Santa Croce.
SALA VIII - Sezione V
I ritratti
Giorgio Vasari celebra il Bronzino come uno dei più importanti ritrattisti del Cinquecento,
campione di eleganza ma anche di naturalezza e di intensa caratterizzazione psicologica. Dipinse
ritratti che sono allo stesso tempo immagine del potere e rappresentazione di un’epoca. La sezione
rende appunto omaggio alla poesia alta di Agnolo ritrattista, riunendo capolavori che vanno dagli
anni trenta fino alla maturità. Sono effigi emblematiche dell’elevato ambiente sociale e intellettuale
che l’artista frequentava: musici, ammiragli, umanisti, uomini d’arme, mercanti. Le virtù d’ognuno
sono esaltate attraverso simboli che ne qualificano la specifica appartenenza: il liuto, l’albero
maestro, il libro, l’armatura, la ricchezza dei panni. Ma il Bronzino fu anche cantore del mondo
femminile, di cui seppe ben descrivere i dettagli preziosi di vesti e gioielli, senza tralasciare i
simboli della fede, come libri d’ore o rosari. Con tocchi anche di domestica grazia: il cagnolino
pezzato, che è pure attributo di fedeltà coniugale.
SALA IX - Sezione VII
Alessandro Allori: «il secondo Bronzin»
Il 23 novembre 1572 il Bronzino muore in casa della famiglia Allori e Alessandro ne recita
l’orazione funebre all’Accademia del Disegno. Proprio Alessandro, suo allievo prediletto, ne
raccoglie l’eredità, svolgendone l’eleganza austera. Tuttavia, mutati i tempi, egli aggiunge allo stile
del maestro una forte disposizione sentimentale, sorretta da un naturalismo sempre più presente col
passare degli anni. Allori dipingerà fino al 1607, in parallelo con la stagione caravaggesca, e questa
sezione – attraverso pochi icastici esempi – ne testimonia il percorso espressivo.
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