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www.studiodipsicoterapia.net Verso la rivalutazione della figura paterna Essere padre al giorno d'oggi Che cos'è la paternità oggi? Soprattutto: quali sono il ruolo e le responsabilità di un padre? Innanzitutto essere padre è una situazione connessa a condizioni e situazioni specifiche: essere padre di un neonato o di un adolescente non è la stessa cosa. La paternità non può avere definizione univoca perchè è una complessità sociale difficile da categorizzare. Questo è un primo principio da tenere in considerazione. Si può constatare che vi sono in atto delle trasformazioni del modo di essere padri: sempre più esse implicano un coinvolgimento diretto del padre fin dalle prime fasi dell'esistenza del neonato e ciò fa sì che le interazioni precoci fra padri e figli comincino ad essere prese in considerazione con maggiore interesse. Si ritiene oggi, diversamente dal passato, che la capacità di dare le attenzioni necessarie ai figli sia presente in entrambi i sessi, con caratteristiche specifiche che dipendono dallo sviluppo storico, sociale e culturale. Anzichè parlare di maternità o paternità, si dovrebbe parlare di un'ampia gamma di funzioni genitoriali esercitate dalla madre, dal padre e dalle altre figure significative per il neonato. È ancora diffusa la concezione per la quale il padre, nel primo anno di vita, è un prolungamento della figura materna; altri autori invece riconoscono che il padre è presente fin da subito e riconoscibile per il suo modo di interagire con il bambino diverso da quello della madre. Partendo da queste assunzioni si può arrivare a delineare ciò che sono oggi i padri. Due sono le “parole chiave” che possono essere usate per definire i nuovi padri: i padri giocosi e i padri accudenti ( Maggioni G.,2000). I padri sono molto più presenti nella vita quotidiana dei figli: si incaricano della gestione del tempo libero, si pongono nei loro confronti come compagni di giochi. Compare così una paternità sempre più personalizzata e amorevole: non c'è più la funzione normativa tipica del padre, bensì affettiva. Ecco che allora che il modo giocoso di interagire coi bambini è quello prediletto dai papà che sono lontani da casa tutto il giorno e che, quando tornano a casa, utilizzano il tempo col figlio in modo gratificante e senza troppo impegno né difficoltà. Questo tipo di interazione ludica però, non è sempre la strategia migliore: infatti può andar bene per i bambini più piccoli, ma risulta poco funzionale con figli adolescenti che non hanno bisogno di un padre “giocherellone”, ma di un padre guida, che riesca a trasmettere valori e porre dei limiti, un padre in grado di insegnare al figlio ad affrontare la vita adulta. La differenza rispetto agli stereotipi del passato è molto ampia: il padre “di ieri” non si impegnava molto con il proprio figlio quando era piccolo, ma lo valorizzava, lo portava con sé e lo abituava al mondo dei grandi. Secondo un’ottica psicologica, se il padre si sente tale solo nella veste di compagno di giochi, viene inevitabilmente a mancare la figura che si fa carico delle funzioni tradizionali, ad esempio di costruire un limite e un contenimento (riferimento alla funzione dell'autorità paterna). Al giorno d'oggi esiste una presenza paterna marcata e molto attiva nelle prime fasi dello sviluppo del bambino, mentre in quelle successive subentrano difficoltà di tipo relazionale: spesso si avverte la temuta assenza del padre nel rapporto familiare. È come se il padre restasse ancorato a una dimensione pre-edipica, senza trovare il modo più adeguato per stare accanto ai figli, considerando i loro bisogni e le loro necessità che cambiano in relazione alla loro età. In questo modo il padre resta fermo a una disposizione ludica e amicale, rafforzando i legami simbiotici esistenti tra madre e figlio. © 2012, Dott.ssa Alessandra Serraglio – Psicologa Psicoterapeuta Pagina 1 www.studiodipsicoterapia.net Viene dunque a mancare la sua fondamentale funzione di rottura della diade, necessaria per permettere al bambino uno sviluppo sano, normale e indipendente. Maggioni afferma che testimoni di questo disagio sono tra gli altri i media e porta ad esempio un noto cartone animato della Disney, “Il re Leone” (1994). Obiettivo di questo film è riabilitare la paternità. Questo non è un compito facile: il padre deve essere una figura dominante, ma al tempo stesso democratica e docile. Il risultato, nel film di animazione, è un personaggio contrastato e forse poco coerente. Tra i nuovi padri si fanno strada anche i padri accudenti, che partecipano direttamente alle attività di accudimento primario dei figli: questo è la vera novità rispetto al passato. Secondo molti studiosi si tratta di un enorme cambiamento sociale e culturale che ha comportato uno spostamento di valori: non esiste più una netta opposizione tra ruoli femminili e maschili, ma i ruoli possono essere assunti tanto dagli uni che dagli altri. È stato proposto il termine di “paternità androgina” o di “padre materno” negli anni Sessanta: tale modello implica la nozione che i padri siano psicologicamente in grado di partecipare attivamente a tutte le forme di cura per l'infanzia. Questo atteggiamento ha suscitato una reazione sociale non sempre positiva, in quanto i compiti dell'uomo all'interno della famiglia non comprendevano la cura della prole. Ancora oggi sono rarissime le immagini di intimità tra padri e figli, poiché questo coinvolgimento è spesso visto in modo negativo ma soprattutto ambiguo: viene a mancare la tipica visione del padre “maschio”, autorevole e/o autoritario, che non ha tempo per smancerie o tenerezze con i figli. Secondo molti studiosi, dimostrare l'incapacità degli uomini per i compiti di cura e protezione dei figli ha un duplice scopo: il primo è gratificare le madri, mentre il secondo serve per rivalutare altre funzioni maschili ritenute più importanti. Il diventare troppo bravi nell'arte di accudire il bambino può far sorgere dubbi riguardo alla virilità (Maggioni, 2000). È utile ricordare che il passato ha avuto dei padri affettuosi, giocosi e amorevoli, quindi non tradizionali, e allo stesso tempo il presente vede ancora l'esistenza di padri tradizionali, autoritari, in cui le caratteristiche appena descritte non sono presenti: simbolo di padre “materno” è infatti il “prototipo” dei padri della tradizione cristiana, ossia San Giuseppe, che molte volte viene rappresentato e descritto come un padre amorevole, che si prendeva cura di Gesù in modo tenero. Dall'altra parte bisogna riconoscere che molte volte al giorno d'oggi il padre moderno convive con quello tradizionale proprio per quanto concerne la non condivisione nel lavoro di cura dei figli, semmai se ne differenzia per il diverso peso, maggiore oggi, dato all'espressione dell'affettività in modo aperto. La limitazione della paternità Oltre a questi concetti inerenti alla nuova paternità ve ne è un terzo molto importante, da tenere in considerazione, che riguarda propriamente l'assenza del padre, elemento che crea grande preoccupazione a livello sociale. Questo fenomeno non è nuovo, ma è in aumento negli ultimi anni: ha trovato eco nei media che sottolineano la presenza di padri separati, divorziati o non coniugati. Questo fenomeno suscita allarme sociale in quanto comporta un forte problema economico: molti paesi europei hanno creato opportune leggi e politiche sociali per porvi rimedio (un esempio è l'affidamento congiunto). La virilità dell'uomo è sempre stata molto importante, e per questo motivo i padri stati assenti dalla famiglia: sembrare fragili e affettuosi, autorevoli piuttosto che autoritari, cozzava contro l'immagine socialmente ambita dell'uomo virile. Ora che i padri stanno di più a casa e sono più partecipi alle cure della famiglia e del bambino, viene maggiormente avvertita la loro mancanza psicologica: non sono in grado di costruire una propria identità, in quanto non riescono a viaggiare in parallelo con i cambiamenti sociali e culturali © 2012, Dott.ssa Alessandra Serraglio – Psicologa Psicoterapeuta Pagina 2 www.studiodipsicoterapia.net che stanno avvenendo. Non riescono ancora a formarsi delle rappresentazioni interne adeguate del loro ruolo di papà. A questo riguardo, la studiosa norvegese An-Magritt Jensen fa una panoramica delle diverse rappresentazioni della paternità contemporanea: una è proiettata totalmente sul versante della partecipazione affettiva dei nuovi padri, l'altra è connotata dall'assenza psicologica degli stessi. L'autrice attribuisce tale contrapposizione a molteplici fattori che devono essere considerati attentamente. Afferma che, nonostante sia diffusa la sensazione di una figura paterna sempre più coinvolta in ambito familiare, in termini demografici la paternità è limitata da due fattori: si hanno sempre meno figli e vi è una riduzione della convivenza dei padri con gli stessi. Da ricerche effettuate si può affermare che sia la maternità che la paternità sono state limitate nel loro essere nei paesi europei a causa della diminuzione della fecondità, e a causa di una netta diminuzione della genitorialità. Diversa è la limitazione subita dalla paternità a causa di diversi fattori: gli uomini sono solitamente meno giovani delle donne quando diventano padri; una grande percentuale di loro non vive coi figli; aumentano le rotture familiari con la fine dei matrimoni che allontanano dai figli i padri e non le madri; vi è infine un aumento di donne sole con figli. Tutti questi fenomeni sono resi più acuti dalla diffusione delle unioni di fatto, che tendono a rendere ancora più deboli i legami tra padre e figli; infine, da non dimenticare, esiste la scelta individuale, sempre più comune ai nostri giorni, di non sposarsi. Tutti questi fenomeni evolutivi sono da tenere in considerazione da chiunque voglia studiare e analizzare la figura paterna oggi, senza dimenticare la causa prima della limitata paternità, ossia la generale riduzione della fecondità. Basti pensare che intorno al 1950 la fecondità europea oscillava tra 2,0 e 3,0 nella maggior parte dei Paesi, e vi era differenza tra quelli del nord (2,2 a 3,0 ) e quelli del sud (2,4 e 3,0). Poi è scesa ad un livello molto inferiore negli anni Novanta ed ora nella maggior parte di questi paesi non viene assicurato il ricambio delle generazioni (Coleman, 1996). Un discorso importante può essere fatto considerando l'altro fenomeno di larga portata che sta avvenendo e che ha apportato notevoli cambiamenti a livello di dinamiche familiari e di legami fra genitori e figli: le unioni di fatto. Non essendoci legami vincolati dal matrimonio, si nota una deistituzionalizzazione della famiglia. Roussel (1994) afferma che con le unioni di fatto il diritto ha rinunciato alla possibilità di regolamentare i rapporti familiari, e il rapporto gerarchico fra coniugi è stato sostituito da una micro democrazia tra i partner. Ci sono tre principali ragioni per cui le unioni di fatto indeboliscono il rapporto tra padri e figli: la prima è che esse si sciolgono e finiscono molto prima rispetto ai matrimoni; la seconda, conseguenza diretta della prima, è che avendo una durata inferiore a questi, i figli nati all'interno di tali unioni risultano essere più piccoli, al momento della fine del rapporto tra i genitori, di quelli nati da genitori sposati; infine, la terza ragione è che in molti casi nelle unioni di fatto soltanto le madri hanno diritti legali sui figli dopo la separazione (Jensen - Clausen 1997). Appare evidente che l'aspetto più critico dell'impatto delle unioni di fatto sul rapporto padre-figlio sia l'alto rischio di separazione familiare, col conseguente allontanamento del padre da suo figlio: la probabilità che un figlio continui a vivere con la madre dopo la separazione è molto alta, soprattutto perchè i bimbi sono spesso molto piccoli; inoltre, se solo la madre ha diritti legali sui figli, dopo la separazione gli incontri col padre possono essere impediti. La studiosa norvegese An- Magritt Jensen ha tentato di fare un confronto fra paesi del nord Europa (molta attenzione ai paesi scandinavi) e quelli del sud (in cui rientra anche l'Italia) ed è giunta a diverse conclusioni: nei paesi in cui non vi è forte senso religioso, dove non appartiene agli uomini il controllo della fecondità e dove le politiche sociali sono promotrici del sostegno dell'occupazione della donne, la fecondità risulta essere più alta (soprattutto quella extraconiugale) e sono maggiori le differenze tra uomini e donne che vivono con figli. Ne sono un esempio i paesi scandinavi, che hanno proposto delle politiche sociali a favore delle donne, affinchè possano, senza grosse difficoltà, conciliare i loro ruoli di madre e donna lavoratrice. © 2012, Dott.ssa Alessandra Serraglio – Psicologa Psicoterapeuta Pagina 3 www.studiodipsicoterapia.net Nei paesi in cui prevale un forte senso religioso, in cui la genitorialità è maggiormente controllata dagli uomini e le politiche sociali non favoriscono l'occupazione femminile, la fecondità risulta essere più bassa ed esercitata quasi esclusivamente all'interno della coppia coniugale, senza che ci siano grosse differenze fra uomini e donne che vivono coi figli. Un cambiamento radicale da considerare è la mutata organizzazione spazio-tempo delle donnemadri: prima ruotava quasi esclusivamente attorno al contesto domestico, mentre ora è condizionata fortemente dal lavoro extradomestico. La donna deve riuscire a mediare e conciliare tempi che sono tra loro molto diversi: tale condizione è stata favorita dalla sempre maggiore possibilità di istruzione ed entrata nel mondo del lavoro con gli stessi diritti degli uomini e ciò ha inevitabilmente comportato una modifica radicale nell'esperienza quotidiana delle madri. Per questi motivi, nel considerare la figura del padre, è opportuno affrontare il tema dei cambiamenti relativi alla donna, che hanno un peso rilevante. È curioso notare come, pur lamentando lo scarso aiuto che ricevono da partner e mariti nella cura della casa e del bambino, le donne accettino da essi solo interventi modesti; possono esprimere la voglia di una distribuzione equa ed egualitaria del lavoro entro le mura domestiche, ma di fatto continuano a cercare nel partner sostegno e amore più che la condivisione dei compiti. Le donne, oltre a mantenere il loro primato all'interno della famiglia, svolgono ora anche la funzione che da sempre è stata del padre: educare i figli attraverso le pratiche educative, con forte valenza culturale, favorendo il loro inserimento nel mondo sociale degli adulti. Dunque la madre continua a rappresentare il referente principale all'interno della famiglia, anche rispetto all'ambiente esterno, facendosi carico della funzione di tramite dal mondo scolastico fino a quello lavorativo, svolgendo quindi la funzione prettamente paterna. I cambiamenti che hanno investito le esperienze connesse alla maternità e alla paternità non sono tra loro equiparabili: ci si accorge infatti di come le esperienze che coinvolgono la figura paterna siano state molto meno radicali di quanto avvenuto per la maternità. Alla ricerca di nuove identità È importante chiedersi quale sarà l'evoluzione della genitorialità, dando la precedenza alle considerazioni che riguardano il ruolo ora più in difficoltà, ossia quello del padre. I ricercatori hanno al riguardo opinioni diverse, a volte contrastanti, che esprimono attraverso chiavi di lettura personali. Alcuni affermano che si sta andando sempre più verso un ruolo unico e dedifferenziato di genitore (neutro o convergente verso una figura materna dominante), altri prevedono il mantenimento della differenza di ruoli, pur lasciando il primato alla madre (che sia questo l'inizio del matriarcato?). Una delle chiavi di lettura più accreditate riguarda il fatto che sia entrata in crisi la distinzione tradizionale tra paternità e maternità e non a caso la sociologia utilizza il temine più generico di genitorialità. Secondo i sostenitori di questa visione, l'approccio di oggi è più androgino, in quanto la società richiede agli uomini di essere sensibili e amorevoli, ma allo stesso tempo competenti nel lavoro fuori casa; alle donne chiede di avere il primato di sempre sulla famiglia per l'accudimento dei figli e allo stesso tempo di conciliare il lavoro extradomestico. Le richieste sociali non fanno più differenza di ruolo e genere, e per questo si parla di una prospettiva di ruolo genitoriale unico: entrambi i partner devono essere competenti su entrambi i fronti, quello normativo e quello affettivo, dato che i legami affettivi si formano e si dissolvono molto facilmente. Un'altra direzione, un altro punto di vista in cui può essere sviluppata la dedifferenziazione è quella della convergenza verso la figura materna e in questo caso la figura del padre diviene una “comadre” o il “mammo”. © 2012, Dott.ssa Alessandra Serraglio – Psicologa Psicoterapeuta Pagina 4 www.studiodipsicoterapia.net I padri, non avendo più un'identità, vedono come unica possibilità mostrare la loro parte femminile, conformandosi ad essere come una madre, dimostrando apertamente amore e affettività: diventa quindi un modo di adeguarsi, perchè sembra che la paternità sia diventata superflua e l'unico ruolo genitoriale importante resterebbe quello materno. I padri, per salvare la loro genitorialità, tendono a rifugiarsi nel travestimento materno (Maggioni, 2000). Questo comporta da parte loro un distacco netto dalla figura del proprio padre, dal loro modello. Ciò implica una maggiore perdita di identità e l'unico ruolo da imitare nelle cure dei propri figli rimane appunto quello materno. Una seconda chiave di lettura mette in luce una prospettiva molto diversa rispetto a quelle enunciate fino ad ora. Per introdurla, è bene ricordare che negli ultimi decenni si è riusciti a restituire valore alla paternità biologica: ai figli nati fuori dal matrimonio sono stati concessi pieni diritti di successione, sono stati introdotti permessi per la cura dei figli anche ai padri, si è diffuso l'affidamento congiunto. Forse la maggior mobilitazione è quella che vede come protagonisti i movimenti che rivendicano il diritto dei padri (non più conviventi) a mantenere il loro posto nel rapporto coi figli. Viene in quest'ottica ribadito che la paternità non deve essere confusa con la maternità e che i padri devono sempre essere dei modelli “maschili” per i loro figli. Viene dunque riaffermata la differenziazione fra i ruoli genitoriali e soprattutto il riconoscimento dell'importanza della figura paterna per i figli. La linea di tendenza attualmente più divulgata è proprio quest'ultima, ossia la prospettiva della conservazione della differenziazione tra i ruoli, sia pure con un innegabile potenziamento della maternità e un parallelo depotenziamento della paternità. Quest'ultimo fenomeno è sottolineato sia da un indebolimento delle posizioni sociali, sia dalla poca attenzione della legislatura nei confronti dei padri: non sono tutelati, mentre la madre sì, e questo dovrebbe essere modificato in un futuro prossimo. © 2012, Dott.ssa Alessandra Serraglio – Psicologa Psicoterapeuta Pagina 5