vedi - Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna

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vedi - Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
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r’accolte }
Il Barocco emiliano
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Arte delle Fondazioni on-line
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Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
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Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
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Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
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Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
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Fondazione e Cassa di Risparmio di Cesena
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Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
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Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
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Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
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Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
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Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e Monte di Credito su pegno di Busseto
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Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
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Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori
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Arte delle Fondazioni on-line
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catalogo
a cura di Angelo Mazza
organizzazione generale Adelfo Zaccanti
coordinamento tecnico scientifico Elisabetta Boccia (Acri), Patrizia Rossi (Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena)
progetto grafico muschi&licheni
stampa Grafiche dell’Artiere
mostra
a cura di Angelo Mazza
progetto espositivo e organizzazione generale Adelfo Zaccanti
allestimento Neon Stile con la collaborazione di Colorando di Alessandro Fanti
comunicazione Linda di Bartolomeo (Acri)
ufficio stampa Daniela Rispoli (Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna)
grafica e video muschi&licheni
registrar Lucia Biolchini
audiovisivi Videorent
assicurazione Generali
trasporti Gnudi Trasporti Opere d’Arte
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Il Barocco emiliano
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Arte delle Fondazioni on-line
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Bologna, 6 dicembre 2012 / 3 febbraio 2013
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sponsor
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partner tecnici
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Il Barocco emiliano
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Arte delle Fondazioni on-line
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indice
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La banca/dati realizzata dall’Acri,
che censisce il patrimonio artistico
di cinquantanove collezioni
appartenenti a cinquantadue
Fondazioni di origine bancaria, mette
a disposizione una quantità rilevante
di informazioni che finora, per lo più,
sfuggivano alla conoscenza comune,
tanto del largo pubblico quanto
degli studiosi del fenomeno davvero
speciale del collezionismo bancario
italiano dal dopoguerra a oggi.
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Perché oggi,
} 8 perché qui
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Marco Cammelli
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Lavorare insieme
} 10 per il bene della comunità
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Giuseppe Guzzetti
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R’accolte.
Il progetto
} 14 di catalogazione
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Elisabetta Boccia
Patrizia Rossi
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Le collezioni
delle Fondazioni
di origine bancaria
} 20 Il catalogo on line
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Angelo Mazza
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} 32 Opere
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Angelo Mazza
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Bibliografia essenziale
} 98 di riferimento
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Perché oggi,
perché qui
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Marco Cammelli
Presidente Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
Presidente Commissione per le Attività e i Beni Culturali Acri
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L’apertura della mostra dedicata al
Barocco emiliano nella sede espositiva della
Fondazione del Monte è ragione di particolare
soddisfazione per più ragioni.
Intanto, questo evento segna la conclusione di un lungo lavoro avviato in sede Acri
negli anni scorsi che ha portato alla progettazione, realizzazione e messa in rete delle
opere della maggior parte delle Fondazioni
italiane, la cui catalogazione, descrizione e
immagine fotografica sono da oggi rese disponibili alla consultazione degli studiosi e di
chiunque vi abbia interesse.
Per i dati tecnici e quantitativi nonché
per i motivi di rilevanza scientifica e culturale
si rinvia agli scritti in catalogo. Approfitto anzi
del riferimento per esprimere agli autori e a
Adelfo Zaccanti, cui si deve l’allestimento della
mostra e il coordinamento generale dell’evento, la mia e nostra riconoscenza per la disponibilità personale e la qualità professionale che
hanno rappresentato elementi chiave per l’intero progetto r’accolte e per questa iniziativa.
Mi preme inoltre sottolineare un
tratto diverso, ma preliminare per la
riuscita dell’impresa: la fiducia accordata
al progetto dall’Acri e dal suo presidente
Giuseppe Guzzetti, che ha assicurato il
costante sostegno e larga parte delle risorse
necessarie per realizzarlo, e la disponibilità
degli amministratori e delle strutture di tutte
le Fondazioni associate che ne hanno colto
l’importanza e le implicazioni in termini di
conservazione e valorizzazione dei propri beni.
Infine la mostra che oggi si inaugura e la
sede. È doveroso precisare che in questo caso la
Fondazione del Monte e i suoi spazi espositivi
sono solo il luogo dove materialmente si raccolgono le opere del barocco emiliano del Sei
e Settecento, unite da quella comune appartenenza ad una felice stagione artistica della
scuola emiliana che Angelo Mazza ha saputo
cogliere e presentare con sperimentata capacità. Il significato simbolico e il valore aggiunto
dell’evento, di cui la mostra è frutto e rappresentazione, sono invece interamente da riferire
alle Fondazioni della regione Emilia Romagna
che negli anni scorsi hanno partecipato con
noi alla fase sperimentale di r’accolte, ponendo
in tal modo le premesse per la sua estensione
al piano nazionale, e che oggi hanno condiviso
questa presentazione e questa mostra mettendo a disposizione le proprie opere.
Tutti dicono che la cooperazione, in generale e tra Fondazioni, è la strada maestra da
seguire. Con r’accolte, in Emilia Romagna e in
sede nazionale, la si è praticata.
Per questo oggi siamo qui.
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Lavorare insieme
per il bene
della comunità
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Giuseppe Guzzetti
Presidente Acri
Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio SpA
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} 10
Promuovere e accompagnare progetti di
cooperazione fra le Fondazioni è tra le priorità
dell’Acri e della sua Commissione per le attività e i beni culturali. Alla base dell’attività e
degli obiettivi della Commissione vi è innanzitutto l’individuazione ed il sostegno ai
processi culturali che generano innovazione e
sviluppo per la comunità di riferimento.
Intervenire in queste pagine è un’occasione particolare che mi si offre come
Presidente dell’Acri per ribadire un sentito apprezzamento per il lavoro e i risultati raggiunti dalla Commissione nel sostegno all’azione
svolta dalle Associate. Dalla sua istituzione, nel
marzo del 2006, la Commissione ha orientato
la programmazione promuovendo non solo
forum di discussioni e analisi sui temi più
rilevanti, ma anche realizzando iniziative di interesse comune, fornendo un valido supporto
all’attività delle Fondazioni nell’arte e nella cultura. È infatti di recente realizzazione il bando
Funder35 per l’impresa culturale giovanile,
frutto di un’iniziativa a carattere sperimentale sostenuta da 10 Fondazioni, che intende
selezionare e accompagnare dal punto di vista
gestionale e organizzativo le migliori imprese
giovanili che operano in campo culturale.
Oggi con questa esposizione celebriamo l’apertura al pubblico del sito r’accolte. Un
altro importante traguardo raggiunto anche
grazie alla cooperazione fra le Fondazioni che
ha portato alla realizzazione del catalogo on
line delle opere presenti nelle varie raccolte
d’arte di proprietà delle Fondazioni. È stata
costituita una banca dati in rete, ora accessibile a tutti dal sito web dell’Acri (raccolte.acri.it),
che rende fruibili le informazioni sull’entità,
la natura e la composizione delle collezioni
d’arte delle Fondazioni e che permette la diffusione della conoscenza del patrimonio dei
beni culturali delle nostre Associate.
Le Fondazioni sono consapevoli che
operare in territori in cui molto importante
è la presenza di un ampio patrimonio storico
e artistico significa avere tra gli obiettivi
primari la tutela e la valorizzazione del bene,
al fine di renderlo fruibile a un pubblico vasto,
puntando soprattutto alle nuove generazioni.
Grazie alle radici nella storia del territorio
e forti delle loro tradizioni e degli intensi
rapporti con le comunità locali, le Fondazioni
sviluppano nella programmazione degli
interventi una progettualità più mirata ed
efficiente, coinvolgendo anche altri operatori
e proponendosi come fattori di coesione di
soggetti pubblici e privati. In un momento
di profonda crisi come quello attuale, la
scelta di intervenire attraverso modalità
} 11
} 12 operative più evolute e innovative, permette
alle Fondazioni di non limitarsi alla semplice
riduzione di progettualità e risorse, e di
avviare invece programmi culturali basati
sulla cooperazione con altre Fondazioni.
Proprio negli ultimi anni hanno assunto
infatti particolare rilievo gli interventi che
vedono cooperare tra loro diverse Fondazioni
di origine bancaria, con azioni coordinate
e proiettate su un orizzonte pluriennale.
Scegliere di perseguire assieme obiettivi di
maggiore efficienza e razionalizzazione degli
interventi e avere progettualità condivise,
significa tra l’altro non esporsi al rischio di
frammentazione e dispersione delle risorse
disponibili. Cooperare vuol dire inoltre
dare spazio allo sviluppo di competenze
integrate negli ambiti disciplinari dei progetti
realizzati, con lo scambio e l’integrazione
delle professionalità maturate da ciascuna
Fondazione nel proprio ambito territoriale.
Il progetto r’accolte promosso e sostenuto
da Acri è articolato in un’operazione complessa
di indagine e documentazione, anche grazie al
lavoro corale degli operatori e collaboratori delle
singole Fondazioni, che ha portato alla registrazione e alla consultazione informatica dei dati e
delle immagini di oltre 9000 opere, appartenenti a 59 collezioni d’arte delle Fondazioni.
Alla “tutela oggettiva” del bene, propria
delle singole Fondazioni, l’Acri intende aggiungere un’ampia conoscenza con l’apertura
all’esterno e al pubblico del sito r’accolte.
Tutto questo è stato possibile con il
contributo di molti, ma in particolare con
l’impegno del gruppo tecnico che ha svolti
compiti di regia del progetto, composto da
Elisabetta Boccia dell’Acri e da Patrizia Rossi
della Fondazione Cassa di Risparmio di
Cesena che ne ha assicurato la disponibilità.
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R’accolte.
Il progetto
di catalogazione
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Elisabetta Boccia
Acri, Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio Spa
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Patrizia Rossi
Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena
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R’accolte. Il Barocco emiliano. Arte delle
Fondazioni on-line presenta una preziosa selezione di dipinti antichi dell’età barocca in Emilia
e si propone come una delle possibili esplorazioni nel vasto panorama del patrimonio di proprietà delle Fondazioni di origine bancaria.
Non solo. Oltre ad essere una proposta
di ricerca per scoprire aspetti della cultura
e della storia di un territorio, l’esposizione è
soprattutto l’occasione per presentare per la
prima volta r’accolte, il progetto ideato e promosso dall’Acri per conoscere l’entità, il valore
e le particolarità di un collezionismo d’arte di
eccezionale rilievo.
R’accolte offre alla pubblica fruizione la
consultazione di oltre 9000 opere, di cui 5509
dipinti, 1583 disegni, 1054 opere di ceramica e
oltre 600 sculture. La molteplicità tipologica e
la diversità stilistica di questo patrimonio, che
le Fondazioni hanno ereditato dalle antiche
attività sociali e filantropiche dei Monti di
Pietà e delle Casse di Risparmio, documenta
anche l’orientamento del gusto, i rapporti
con il mercato e la varietà dei diversi retaggi
storici del territorio. L’acquisizione successiva
di opere d’arte a incremento delle collezioni
ereditate dagli istituti bancari è riconducibile
alla volontà di restituire alla comunità opere
e testimonianze di personalità storiche e
artistiche che erano andate disperse.
Una scelta dalla quale emerge una
attenzione silenziosa e continuativa per la
raccolta di opere artistiche, da intendere non
solo come amore per l’arte ma anche come
specifica espressione della più complessiva
funzione culturale delle Fondazioni di origine
bancaria verso la comunità di appartenenza:
dunque recupero, restauro e quindi
salvaguardia e conservazione di opere, che
altrimenti andrebbero perdute, cui si unisce
spesso anche l’apporto scientifico con la
pubblicazione di documentazione specialistica.
Dalla consapevolezza di questo patrimonio ricco e differenziato è nata l’idea di una
prima indagine conoscitiva delle collezioni
d’arte delle Fondazioni e la realizzazione di un
rigoroso lavoro di inventariazione per l’esame
critico e la conoscenza di queste raccolte d’arte.
Il progetto r’accolte, con cui l’Acri ha inteso contribuire concretamente alla valorizzazione del patrimonio artistico offrendo al pubblico
un servizio culturale di alto livello qualitativo,
dà conto della varietà e della ricchezza di questo
patrimonio, favorendo l’analisi e la ricostruzione delle relazioni tra le opere, i diversi contesti
culturali e le varie vicende collezionistiche.
Il nome r’accolte intende esprimere
l’obiettivo primario del progetto che è quello
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} 16 di accogliere, cioè di mettere insieme per la
prima volta le opere che costituiscono il patrimonio artistico delle Fondazioni; raccogliere,
mantenendo l’identità “collezionistica”, senza
lederne il percorso storico di ciascuna ed anzi
esaltarne e valorizzarne, attraverso la loro
“r’accolta”, la diversità e la specificità territoriale. Dopo l’apostrofo, la parola “Accolte” contiene il segmento “colte” che intende suggerire
la cifra distintiva di un patrimonio “colto” in
quanto raccolto, messo assieme; ma anche
colto in quanto erudito, qualificato, valente. Di
valore appunto. L’uso dell’apostrofo evidenzia
la duplice funzione del progetto di catalogazione: accogliere le collezioni per raccoglierle,
ponendosi come elemento identificatore delle
varie collezioni e nello stesso tempo l’azione
di raccolta, cura e quindi anche di tutela svolta
dall’Acri e dalle Fondazioni.
L’intervento di catalogazione, che è
sempre il presupposto di ogni azione di tutela
e di conoscenza, comporta la necessità di
superare i naturali ostacoli dovuti alla complessità del sistema, alla eterogeneità delle
identità e delle caratteristiche. La realizzazione
di un catalogo unico delle collezioni artistiche
delle Fondazioni, ora finalmente consultabile
dall’home page del sito web dell’Acri (raccolte.
acri.it), rappresenta il raggiungimento dell’am-
bizioso traguardo del censimento di un patrimonio d’arte vasto, diversificato per epoche,
per quantità e qualità di presenze. La scelta
di presentare un segmento dell’arte dell’Emilia Romagna a Bologna vuole riconoscere il
ruolo e l’impegno svolti dalle Fondazioni della
regione nella sperimentazione del progetto. È
da quella fase sperimentale infatti che si è misurata la validità e la capacità di sviluppo del
progetto nazionale.
Limitando la rilevazione ai soli dati
identificativi dell’opera, sono stati adottati i
parametri previsti nella scheda di inventariazione dell’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione), che si riferiscono
principalmente alle informazioni essenziali
e stabili dell’opera: il numero di inventario,
l’oggetto, l’autore, l’ambito culturale, il titolo,
il soggetto, la materia e la tecnica, le misure, la
localizzazione, la datazione oltre alla proprietà e, infine, alla collezione di appartenenza.
Per affrontare un lavoro così ampio, con la
determinazione di portarlo a conclusione e di
creare uno strumento di consultazione affidabile, si è scelto di non inserire le informazioni
suscettibili a frequenti aggiornamenti, come
appunto lo stato di conservazione o la bibliografia, ma di prendere in esame solo le informazioni durevoli nel tempo, e quindi stabili.
La stabilità dei dati, infatti, contribuisce in
modo sensibile a porre al riparo da errori che
i mancati aggiornamenti di solito comportano. Si è scelto così di puntare con decisione a
completare il censimento del posseduto artistico delle Fondazioni per giungere alla sua
quantificazione nei numeri e nella qualità.
Dopo la fase sperimentale, la messa in
opera del progetto nazionale ha retroagito
sulle fasi di progettazione, consentendo di perfezionare le procedure delle singole sezioni del
processo e di meglio definire le caratteristiche
delle figure professionali necessarie. Nel contempo, si sono sperimentati con successo sistemi di collaborazione con le singole Fondazioni
attivando professionalità differenziate per
la impostazione del catalogo informatizzato,
l’organizzazione capillare del lavoro, il perfezionamento operativo degli addetti alla catalogazione. L’esperienza acquisita ha consentito
inoltre di individuare le esigenze formative e
organizzative avanzate dagli operatori.
Tra gli esiti più importanti di questa
catalogazione sistematica, corredata di
documentazione fotografica, costantemente
monitorata con competenza da Letizia Bencini,
vi è anche quello di contribuire in modo
decisivo alla tutela del patrimonio culturale,
dato che oggi i cataloghi degli enti preposti
alla tutela riguardano prevalentemente il
patrimonio statale ed ecclesiastico, mentre
i beni custoditi dai privati, e dunque anche
quelli delle Fondazioni, spesso non risultano
in alcun archivio.
R’accolte, oltre ad identificare il bene
culturale e le sue qualità intrinseche, si candida a divenire un “laboratorio di ricerca”
storico-artistico, in grado di creare le premesse
per un’azione finalizzata alla valorizzazione
dei beni culturali delle Fondazioni. La base
di partenza del lavoro svolto si può definire
“anagrafica” per l’ essenzialità dei dati rilevati,
ma grazie alla conoscenza specifica del singolo bene, alle sue finalità e alla relazione con il
contesto culturale e territoriale, rappresenta il
solido presupposto per ogni altra azione di approfondimento come la catalogazione, lo studio, la tutela e la valorizzazione del patrimonio.
Il progressivo aggiornamento e
l’incremento della banca dati saranno inoltre
favoriti dalla diffusione di uno strumento,
pensato da Acri ad uso esclusivo delle singole
Fondazioni, che consentirà la memorizzazione
dei dati sensibili e riservati delle opere d’arte
concernenti sia la loro identità storicoartistica, sia quelli necessari alla loro gestione
amministrativa e patrimoniale. Grazie
all’attivazione di uno specifico collegamento
} 17
} 18 con il sito r’accolte le nuove informazioni
non riservate e compatibili con la scheda
inventariale, andranno ad incrementare o ad
aggiornare automaticamente la banca dati.
Un patrimonio privato, ma di pubblico interesse, diviene così di libera e ampia
fruizione tramite modalità di interrogazione
informatizzata semplici e che sono comuni a
tutte le banche dati: una pagina con diverse
chiavi di accesso, combinabili anche fra loro.
Per la maggior parte delle chiavi è possibile
accedere ad un dizionario dei termini contenuti che, oltre a guidare in modo mirato la ricerca, mostra anche il numero delle
schede presenti. Ogni scheda è collegata con
l’immagine del bene di cui viene presentata
l’anteprima con la possibilità di passare alla
visualizzazione dettagliata.
La realizzazione di una grande sede
virtuale di diffusa frequentazione potrà
sollecitare confronti, riflessioni, stimoli e scelte
culturalmente sempre più rigorose, e perciò
sottratte alla casualità che in più di un caso
ha segnato il primo collezionismo bancario.
Una sede virtuale con queste caratteristiche
consentirà inoltre il libero accesso di studiosi e
di quanti desiderano prenderne conoscenza.
I “numeri” emersi dal lavoro di inventariazione del patrimonio delle collezioni d’arte
delle Fondazioni vanno ben oltre i confini della
lista o del mero elenco. La loro lettura testimonia una comunità che fonda i propri valori nella
cultura, esercitando quel ruolo prezioso e antico
di salvaguardia attraverso la conservazione e
la tutela del patrimonio storico e artistico del
Paese. Ciò che rappresenta una delle principali
finalità delle Fondazioni di origine bancaria.
} 19
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Le collezioni
delle Fondazioni
di origine bancaria
Il catalogo on line
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Angelo Mazza
[1]
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Arturo Martini, Dedalo e Icaro,
1937, Collezioni d’arte e di
storia della Fondazione Cassa
di Risparmio in Bologna
[2]
Pietro Vannucci detto il Perugino,
Cristo in pietà, Collezioni d’arte
dell’Ente Cassa di Risparmio di
Firenze
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} 20
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Fondazione
Cassa di Risparmio
in Bologna
} 36
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Fondazione
Cassa dei Risparmi di Forlì
} 72
La banca/dati realizzata dall’Acri, che censisce
il patrimonio artistico di cinquantanove
collezioni appartenenti a cinquantadue
Fondazioni di origine bancaria, mette
a disposizione una quantità rilevante
di informazioni che finora, per lo più,
sfuggivano alla conoscenza comune, tanto
del largo pubblico quanto degli studiosi del
fenomeno davvero speciale del collezionismo
bancario italiano dal dopoguerra a oggi.
Circoscritta ai dipinti, alle sculture, ai
disegni e alle ceramiche, la catalogazione
ha fatto emergere materiali altrimenti non
accessibili che rendono conto - oltre che
della consistenza del patrimonio artistico
e dell’impegno economico-finanziario che
la formazione delle raccolte ha comportato
- dei progetti di cui le Fondazioni di origine
bancaria si sono fatte promotrici nel campo
della cultura, della collaborazione e del
supporto che hanno offerto alle istituzioni
pubbliche e infine delle forme innovative
introdotte nella comunicazione museale.
Come è noto, le Fondazioni, sorte in
attuazione della legge Amato del 1991, hanno
ereditato dai rispettivi istituti bancari le
finalità nel campo della cultura da queste per
lungo tempo perseguite. Da un lato, pertanto,
il collezionismo d’arte delle Fondazioni è
fenomeno inevitabilmente giovane, dall’altro
si richiama a una tradizione che risale in
alcuni casi all’istituzione degli antichi Monti
di Pietà, proseguita nei secoli grazie a lasciti e
donazioni. È, questo, un aspetto significativo
che caratterizza in modo speciale le collezioni
di quelle Fondazioni che hanno saputo
salvaguardare le proprie origini procedendo
all’acquisizione, presso la Società per azioni
di riferimento, del patrimonio d’arte di antica
formazione. Non si trattava solo di assicurare
la continuità con il passato, ma di mantenere
viva un’identità civica nella trasmissione
di beni di valore storico salvaguardando il
rapporto intrinseco e in alcuni casi speculare
con la storia culturale e sociale del territorio
nel quale l’attività bancaria ha esercitato la
propria specifica funzione.
Non c’è dubbio che, acquisendo, se non
totalmente, almeno in larga parte le collezioni
della Società per azioni, la Fondazione Cassa
di Risparmio in Bologna che, grazie a questi
materiali, incrementati da nuovi acquisti
sul fronte del contemporaneo [1], ha potuto
dare vita al nuovo Museo della storia di
Bologna, l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze
che detiene le proprie opere nel palazzo
di via Bufalini [2], la Fondazione Cassa dei
Risparmi di Forlì che le conserva nel Palazzo
} 21
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ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
[3]
[6]
Antonio Canova, Briseide consegnata da Achille agli araldi di Agamennone, particolare, Collezione
d’Arte della Fondazione Cariplo
[4]
Vincenzo Vela, Ritratto
della marchesa Virginia
Busti Porro adolescente,
1871, Collezione d’Arte
della Fondazione Cariplo
[5]
Gaetano Previati, La danza delle
Ore, 1899, Collezione d’Arte della
Fondazione Cariplo
Giulio Aristide Sartorio, Risveglio,
allegoria della prima guerra
mondiale, particolare, Collezione
d’Arte della Fondazione Cariplo
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} 22 del Monte di Pietà, la stessa Fondazione
Cassa di Risparmio delle Province Lombarde
che con Intesa San Paolo ha inaugurato a
Milano “Le Gallerie d’Italia-Piazza Scala”,
nuovo Museo dell’Ottocento [3-7], così come
la Fondazione Cassa di Risparmio di Udine
e Pordenone che è entrata in possesso di
oltre cinquecento opere della Banca, erede
peraltro dell’antico Monte di Pietà, e altre
Fondazioni ancora hanno saputo rinsaldare
con simili comportamenti virtuosi i rapporti
con il passato consolidando i radicamenti
profondi di lontana origine, omogeneamente
distribuiti sul territorio, e assicurando
alla città di riferimento testimonianze
significative della propria storia pertinenti
tanto la vita economica e produttiva quanto
quella civile e religiosa.
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Giulio Aristide Sartorio, Sagra,
allegoria della prima guerra
mondiale, particolare, Collezione
d’Arte della Fondazione Cariplo
[8]
Giovan Francesco Guerrieri detto
il Fossombrone, Santa Maria Maddalena penitente, particolare, 1611,
Raccolta di opere d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Peculiarità delle raccolte
e della loro composizione
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La conoscenza che si ricava dalla
consultazione della banca/dati lascia
intravedere la pluralità degli orientamenti che
hanno ispirato la formazione e l’incremento
delle raccolte delle Fondazioni. Alcune
hanno privilegiato la produzione ceramica,
come, ad esempio, la Fondazione Cassa di
Risparmio di Imola il cui patrimonio artistico
è costituito, per oltre tre quarti, dai circa
novanta pezzi ceramici dell’area imolese e
faentina distribuiti tra Sette e Ottocento,
oppure la Fondazione Cassa di Risparmio di
Perugia che possiede oltre centocinquanta
pezzi ceramici non solo dell’area di Deruta,
ma anche di Faenza, della Toscana e delle
Marche, e così, naturalmente, la Fondazione
Cassa di Risparmio di Pesaro con prodotti
delle locali manifatture, oppure la Fondazione
Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo
attenta alla raccolta delle ceramiche di
Castelli e inoltre la Fondazione Banco di
Sicilia che affianca alle maioliche trapanesi e
palermitane un gruppo di ceramiche attiche
a figure nere o a figure rosse del VI e del V
secolo avanti Cristo.
Altre Fondazioni, impegnate principalmente
[7]
mmmmmmmmmmm
Fondazione
Cassa di Risparmio di Cento
} 54
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Fondazione
Cassa di Risparmio di Fano
} 64
mmmmmmmmmmm
Fondazione
Cassa di Risparmio
di Pesaro
} 86
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Fondazione del Monte
di Bologna e Ravenna
} 50
sul fronte più tradizionale della raccolta
di pitture, hanno ugualmente privilegiato
aspetti specifici, concentrando le attenzioni
su determinate epoche o su alcune
personalità che hanno caratterizzato, dal
punto di vista artistico, la storia del rispettivo
territorio, o ne hanno registrato le evoluzioni
storico-sociali, oppure documentato l’aspetto
naturalistico e paesaggistico. La Fondazione
Banco di Sicilia, ad esempio, conserva un
numero molto elevato di pitture di Francesco
Lojacono, il più importante paesaggista
siciliano dell’Ottocento, attivo fino al 1915; la
Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra
possiede una raccolta nettamente orientata
sulla grafica del Novecento per effetto della
donazione Mino e Giovanni Rosi che include
disegni e incisioni di De Nittis, Matisse,
Morandi, Viani, De Pisis e altri e documenta in
particolare la produzione grafica di Mino Rosi
e le sue relazioni artistiche. Allo stesso modo
largo spazio occupa nella collezione d’arte
della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli
Piceno il fondo grafico dell’ascolano Tullio
Pericoli, così come le ottanta fantasie grafiche
sulla natura morta e il paesaggio di Pirro
Cuniberti qualificano le propensioni per il
contemporaneo della Fondazione del Monte di
Bologna e Ravenna, mentre le opere grafiche
e pittoriche di Amedeo Bocchi connotano la
raccolta della Fondazione Monte di Parma.
È inevitabile inoltre che la raccolta della
Fondazione Cassa di Risparmio di Cento sia
orientata verso la documentazione della
produzione del Guercino e della sua bottega,
essendo Cento la patria del grande artista. Allo
stesso modo la collezione della Fondazione
Cassa di Risparmio di Fano e quella della
Fondazione di Pesaro si caratterizzano per
la presenza di opere di Simone Cantarini,
di Giovan Francesco Guerrieri detto il
Fossombrone [8], di Carlo Magini e di altri
artisti marchigiani; così come le collezioni
delle Fondazioni bancarie emiliane
testimoniano la gloriosa tradizione pittorica
delle diverse scuole, da quella riminese del
Trecento a quella bolognese nei diversi secoli,
dalla cultura figurativa affermatasi nel ducato
estense a quella dei territori farnesiani.
Benché il profilo di queste raccolte risulti
eterogeneo per la varia tipologia delle opere,
per la diversità delle epoche cui queste
appartengono, per le molteplici tecniche di
esecuzione dei manufatti e per altri aspetti,
comuni a ciascuna sono tuttavia il legame
con l’ambiente circostante, sia sociale che
religioso e più in generale antropologico, e
il sedimentato radicamento nel territorio
} 23
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
[9]
Medardo Rosso, Ecce Puer,
1906, Collezione d’arte
della Fondazione Cassa di
Risparmio della provincia
di Macerata
[10]
Giacomo Balla, Ritratto della
signora Clelia Vigliani Ranieri,
1926, Collezione d’arte della
Fondazione Cassa di Risparmio
della provincia di Macerata
[11]
Giorgio Morandi, Vaso di rose, 1947,
Collezione d’arte della Fondazione
Cassa di Risparmio della provincia
di Macerata
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
} 24 di origine, delle cui tradizioni queste sono
il riflesso figurativo connotato da valenze
artistiche. Si tratta, con tutta probabilità, della
costante più evidente che unisce le raccolte
delle Fondazioni di origine bancaria, al di là
delle molteplici variazioni.
Anche quelle di composizione apparentemente meno organica nascondono in realtà motivazioni analoghe, se si considera, ad esempio,
che l’annessione di nuclei di dipinti, in apparenza scarsamente omogenei, da parte della
Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara alla
propria raccolta ha in realtà salvaguardato la
fisionomia di collezioni storiche di quella città, altrimenti destinate alla dispersione, e che
la Compagnia di san Paolo effettua acquisti
con lo specifico scopo di integrare il patrimonio museale di città quali Torino, Genova e Napoli in rapporto alle esigenze delle istituzioni
pubbliche. Acquisizioni in sé decontestualizzate trovano infine piena motivazione nella
prospettiva dell’inserimento entro raccolte
pubbliche storicamente costituite e progettualmente strutturate, suscettibili di integrazioni e di incrementi qualitativi.
dddddddddddddddddddd
Predilezioni
per la contemporaneità
dddddddddddddddddddd
Osservando la composizione delle raccolte,
si resta colpiti da alcuni dipinti di notevole
importanza storico-artistica risalenti ai secoli
passati; e tuttavia andrà in primo luogo
notata, nella visione generale del patrimonio,
la prevalente componente moderna e
contemporanea che fa riferimento alla
seconda metà dell’Ottocento e al Novecento,
con forte concentrazione in quest’ultimo
secolo (oltre 4.500 opere del Novecento
contro le 1.200 opere circa dell’Ottocento e
poco meno di 1.000 del Settecento). Della
sezione del Novecento fanno parte gruppi
omogenei che assumono speciale rilievo
di documentazione anche in forza della
rilevante entità numerica: l’Ente Cassa di
Risparmio di Firenze, ad esempio, è entrato
in possesso di un fondo di opere di Pietro
Annigoni (oltre settanta) con le quali ha
dato vita nel 2007 al Museo Annigoni a Villa
Bardini; la Fondazione Cassa di Risparmio
della Provincia di Chieti ha ricevuto una
donazione di 58 tavole acquerellate di Aligi
Sassu, illustrazioni dei Promessi sposi; la
Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano
e Cupramontana ha acquisito, dagli eredi
mmmmmmmmmmm
Fondazione
Cassa di Risparmio
di Ferrara
} 68
degli artisti, 61 opere di Edgardo Mannucci e
18 di Quirino Ruggeri, nativi di Fabriano e di
Albacina; la Fondazione Cassa di Risparmio
di Gorizia possiede dal 1999 un nucleo di
oltre ottanta dipinti di Luigi Spazzapan che
documentano la sua attività dal 1930 al 1957,
affidati alla galleria intitolata all’artista,
a Gradisca d’Isonzo, gestita dalla stessa
Fondazione in collaborazione con il Comune
di Gradisca e con la provincia di Gorizia; la
Fondazione Cassa di Risparmio di Livorno
ha ricevuto dalla famiglia Benvenuti la
donazione di una quarantina di dipinti e di
un centinaio di disegni di Vittore Grubicy
de Dragon e di Benvenuto Benvenuti,
protagonisti del Divisionismo italiano. Benché
tali opere siano entrate in quelle raccolte in
quanto espressione di artisti del luogo, la loro
importanza supera il mero interesse locale.
Ben significativo della dichiarata vocazione
delle Fondazioni alla documentazione della
cultura figurativa del Novecento è il caso
del Museo di Palazzo Ricci a Macerata [9-11],
dove la Fondazione Cassa di Risparmio di
Macerata ha collocato le circa trecento opere
di pittura e scultura della propria collezione
che documentano i protagonisti della storia
artistica italiana di quel secolo.
Dalla visione generale del patrimonio si
ricavano in conclusione tratti di varietà e
di differenziazione nei quali da un lato si
esprimono le intenzioni collezionistiche
delle singole Fondazioni, dall’altro le
peculiarità delle aree geografiche e
culturali di riferimento; tratti di varietà e
di differenziazione che si ricompongono
nella comune affermazione delle specifiche
identità storiche e dell’evoluzione dei
linguaggi figurativi.
dddddddddddddddddddd
} 25
dddddddddddddd
ddddddddd
[12]
[13]
dddddddddddddd
ddddddddd
Maestro dei Baldraccani,
Madonna in adorazione del Bambino,
particolare, Galleria dei dipinti antichi
della Fondazione e della Cassa di
Risparmio di Cesena
Giuliano da Rimini,
Polittico dell’Incoronazione di Maria Vergine
con santi e storie della passione,
Collezione d’arte della Fondazione Cassa
di Risparmio di Rimini
} 26 Il caso
della pittura emiliana
dddddddddddddddddddd
Il sostrato unitario di simili ricomposizioni
risulta più agevolmente percepibile nel caso
del collezionismo della pittura antica in forza
della storica omogeneità della produzione
delle scuole artistiche. Un caso particolare
è rappresentato dalla pittura emiliana
dell’età barocca, tra Sei e Settecento, meglio
documentata rispetto ad altre scuole grazie
al risalto conferitole dalla critica d’arte del
Novecento, al supporto delle manifestazioni
espositive internazionali organizzate negli
ultimi decenni e alla speciale vivacità
collezionistica delle Fondazioni emiliane
nel contesto nazionale, in particolare della
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna,
della Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio
Emilia Pietro Manodori, della Fondazione
Cassa dei Risparmi di Forlì e quindi di quelle
di Cesena e di Rimini; cui si collegano, per
estensione, le Fondazioni di Pesaro e Fano sulla
traccia di antichi legami di cui testimoniano, in
questa esposizione, le tele di Simone Cantarini
detto il Pesarese, l’allievo irregolare di Guido
Reni, e di Francesco Mancini che dalla bottega
romagnola di Carlo Cignani spiccò il volo verso
Roma.
I dipinti di Ludovico Carracci, Guido Reni,
Giovanni Lanfranco, Lionello Spada e
Alessandro Tiarini, e quindi di Guido Cagnacci,
Lorenzo Pasinelli, Domenico Maria Canuti,
Giovan Gioseffo dal Sole, Donato Creti,
Giuseppe Maria Crespi, Ubaldo e Gaetano
Gandolfi e di altri artisti danno vita a un
ricco e articolato complesso di alto profilo
qualitativo che, bene illustrando la vitalità e
lo sviluppo della rinomata scuola bolognese
e di altre circoscritte enclaves, corrispondenti
agli antichi ducati e ad aree geografiche
culturalmente caratterizzate, copre in realtà
l’intero territorio emiliano e romagnolo. In
quelle collezioni non mancano opere di artisti
più antichi, dal Trecento al Cinquecento;
ad esempio, nella raccolta della Fondazione
Cassa di Risparmio di Rimini, le due tavolette
di Pietro da Rimini con Cristo risorto
con le Marie e con il Noli me tangere e in
particolare il polittico di Giuliano da Rimini
con l’Incoronazione della Vergine e santi con
scene della passione di Cristo [12], acquisiti
presso Christie’s a Londra, rispettivamente
nel 1994 e nel 1996. Altre tavolette ricordano
la vitalità del centro artistico riminese
e i suoi rapporti con centri limitrofi, tra
Quattrocento e primo Cinquecento, quali
Cotignola, Ravenna, San Marino, Gradara,
mmmmmmmmmmm
mmmmmmmmmmm
Fondazione
Cassa di Risparmio
di Reggio Emilia
Pietro Manodori
} 92
Fondazione e Cassa
di Risparmio di Cesena
} 58
Pesaro e Fano; tra queste i due terminali di
croce di Giovanni Francesco da Rimini con
la Madonna piangente e con San Giovanni
evangelista piangente, il pannello di Marco
Palmezzano con il Battesimo di Cristo, quelli
dei fratelli Francesco e Bernardino Zaganelli,
rispettivamente con la Veronica e con la
Madonna con il Bambino e san Giovannino,
oppure quello del loro allievo Girolamo
Marchesi da Cotignola con un Santo Vescovo,
forse sant’Agostino. Una cultura, quella
sviluppatasi in Romagna sul crinale tra i due
secoli, aperta a improvvise metamorfosi e
suscettibile di rapidi adeguamenti, che trova
ampia documentazione nella collezione
della Fondazione e Cassa di Risparmio di
Cesena grazie a un ventaglio di opere che da
Marco Palmezzano, ben rappresentato dalla
pala già della famiglia Ferniani di Faenza,
da Baldassarre Carrari, da Pietro Brocchi
da Imola e dal Maestro dei Baldraccani
[13] si estende alla bottega riminese dei
Coda, in una vasta area di influenze tra
Romagna, Marche e Toscana, e al ravennate
Luca Longhi (documentato peraltro nella
contenuta raccolta della Fondazione Cassa
di Risparmio di Ravenna) e registra infine il
salto di qualità con artisti toccati dalla pittura
moderna, come Bartolomeo Ramenghi detto
il Bagnacavallo e il figlio Giovan Battista, il
girovago Filippo da Verona e Girolamo da
Treviso al tempo del soggiorno bolognese;
mentre attesta le relazioni con la Toscana un
nucleo di tavolette del Maestro di Marradi,
del Maestro di San Miniato e di Arcangelo
di Jacopo del Sellaio. Tale documentazione
si infittisce, se si aggiungono i dipinti della
vicina Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
che allineano i nomi di Marco Palmezzano,
di Innocenzo da Imola e infine di Francesco
Menzocchi, per passare poi, con una tela
impressionante di Ferraù Fenzoni quale
la Deposizione di Cristo nel sepolcro, a un
protagonista dell’estremo manierismo il cui
pervicace anacronismo è ben documentato
dal dipinto della Fondazione cesenate con la
fragorosa, rovinosa Conversione di san Paolo.
La selezione delle opere esposte in occasione
della segnalazione pubblica della banca/
dati sul patrimonio d’arte delle Fondazioni
di origine bancaria prende il via proprio da
questo artista la cui impermeabilità alle
novità dei Carracci denuncia la posizione
di retroguardia, tanto più evidente se
confrontata con la modernità dei dipinti di
Annibale Carracci (le due teste di ciechi della
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna)
e dell’affresco con l’Ecce Homo di Ludovico
} 27
dddddddddddddddddd
[14]
Giovanni Lanfranco, Alessandro Magno beve la
medicina del medico Filippo mostrandogli la lettera
calunniosa di Parmenione, 1614-1615,
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di
Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori
dddddddddddddddddd
} 28 Carracci nell’Oratorio di San Filippo Neri
a Bologna di pertinenza della Fondazione
del Monte di Bologna e Ravenna, oppure
l’Onfale dello stesso Ludovico, qui esposta, di
proprietà della Fondazione Pietro Manodori
di Reggio Emilia. Significativi sono inoltre i
dipinti che illustrano l’attività degli allievi dei
Carracci, quali Lionello Spada (la sovrapporta
di palazzo Bonfiglioli ora della Cassa di
Risparmio di Cesena), Giovanni Battista
Bertusio (la pala con Cristo crocifisso, santa
Tecla e committente della famiglia Pellegrini
recentemente donata alla Fondazione Cassa
di Risparmio in Bologna), Giovanni Andrea
Donducci detto il Mastelletta (Samuele unge
David fanciullo della Fondazione Cassa di
Risparmio in Bologna e il dipinto da poco
emerso con Cristo in pietà tra la Madonna
e la Maddalena della Fondazione Cassa di
Risparmio di Cesena, che, con la scritta “1608”,
ci fa conoscere la prima opera di sicura
datazione) e soprattutto Alessandro Tiarini
(Tamar e i messi di Giuda e il grande Vulcano
che fabbrica le frecce per Amore, un tempo
sul camino di palazzo Zambeccari a Bologna,
entrambi della Fondazione Pietro Manodori;
Ammon afferra Tamar e una Madonna con il
Bambino della Cassa di Risparmio di Cesena).
Bisogna però riconoscere che l’artista
carraccesco meglio documentato nelle
collezioni delle Fondazioni bancarie dirotta la
nostra attenzione verso i centri di Parma e di
Roma dove questi dispiegò prevalentemente
la propria attività, estendendola anche a
Napoli. Si tratta di Giovanni Lanfranco, allievo
dapprima di Agostino Carracci a Parma e
quindi del fratello Annibale a Roma, la cui
produzione è ben rappresentata dalla Pietà
firmata e datata 1614 e dalla vasta tela con
la Raccolta delle coturnici, l’unica rimasta in
Italia delle numerose che originariamente
decoravano la cappella del Santissimo
Sacramento nella basilica di San Paolo fuori
le Mura (entrambe esposte nella Galleria
dei dipinti antichi della Fondazione e della
Cassa di Risparmio di Cesena), inoltre dai due
ovali di importanza capitale con storie di
Alessandro Magno [14] conservati presso la
Fondazione Pietro Manodori di Reggio Emilia,
che facevano parte di una celebre serie
commissionata dal cardinale Montalto (uno di
questi è presente in mostra) e infine dalla tela
altrettanto interessante con la Conversione di
Matteo della Fondazione Cassa di Risparmio
di Parma, testo iconograficamente stimolante
per le intenzioni ritrattistiche del pittore. E
tuttavia i dipinti più celebri restano quelli
di Guido Reni (la Lucrezia qui esposta
mmmmmmmmmmm
mmmmmmmmmmm
Fondazione
Cassa di Risparmio
di Parma
e Monte di Credito
su pegno di Busseto
} 82
Fondazione
Cassa di Risparmio
di Modena
} 76
della Fondazione Cassa di Risparmio in
Bologna) e del Guercino, il pittore centese al
quale sembrano andare le preferenze delle
Fondazioni emiliane, non solo di quella di
Cento, se si osservano le due tele qui esposte e
il San Pietro penitente, tutte della Fondazione
Cassa di Risparmio in Bologna (ma non si
può trascurare l’ammaliante Sposalizio della
Vergine della Fondazione di Fano); mentre
spetta di nuovo alle Fondazioni di Cento,
con una Maria Maddalena penitente, e di
Cesena, con la tela della Venditrice di pollami
(qui esposta), entrambe opere di Benedetto
Gennari, il compito di rappresentare gli esiti
della cultura figurativa del maestro centese.
Come si apprende nella consultazione della
banca/dati elaborata dall’Acri, le opere degli
allievi di Guido Reni, quali Francesco Gessi,
Giovan Giacomo Sementi, Giovanni Maria
Tamburini, Giovanni Andrea Sirani e, per
suo tramite, la figlia Elisabetta, tracciano una
linea di continuità che prosegue anche nella
seconda metà del secolo con Domenico Maria
Canuti, Lorenzo Pasinelli, Giovan Gioseffo
Dal Sole e altri, e prelude ai campioni della
prima metà del Settecento bolognese, cioè
a Donato Creti (di cui la Fondazione Cassa
di Risparmio in Bologna possiede esempi
significativi, come l’Autoritratto giovanile
e una delle celebri Tombe allegoriche dei
personaggi illustri inglesi per il duca di
Richmond) e all’antagonista Giuseppe Maria
Crespi (la scena tassesca qui esposta, sempre
della Fondazione bolognese; la Sacra Famiglia
e santi della Galleria della Fondazione e della
Cassa di Risparmio di Cesena; inoltre le tele
del figlio Luigi presso la Fondazione ferrarese).
Così come Guido Cagnacci, Cristoforo Serra
e Cristoforo Savolini connotano la pittura in
Romagna dagli anni Venti del Seicento fino
alla diffusione del convenzionale classicismo
di Carlo Cignani, dopo il suo trasferimento
a Forlì (di qui l’ingresso dei dipinti di questi
artisti nelle Fondazioni di Forlì, Cesena e
Rimini), allo stesso modo Francesco Stringa
a Modena e Luca Ferrari a Reggio sembrano
costituire i termini di riferimento per quel
secolo, a giudicare dalle ponderate scelte della
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena (i
quattro ovali dello Stringa, due dei quali qui
esposti) e di quella di Reggio Emilia. Tali scelte
risentono anche dell’organico rapporto di
quelle Fondazioni con gli istituti pubblici di
cultura di quelle città, per cui la Fondazione
modenese ha recuperato sul mercato
antiquario il bel Crocifisso frammentario
in terracotta di Antonio Begarelli e la tela
dell’ignorato pittore secentesco Matteo
} 29
ddddddddddd
ddddddddddddd
[15]
[16]
Giovanni Luteri detto Dosso
Dossi, Sapiente con libro,
Collezioni d’arte della
Fondazione Cassa di
Risparmio di Ferrara
Domenico Maria Viani,
Giove innamorato di Cerere, particolare, Galleria dei dipinti antichi
della Fondazione e della Cassa di
Risparmio di Cesena
ddddddddddd
ddddddddddddd
} 30 Coloretti, che un tempo ornava un altare
nella chiesa di Sant’Agostino di Modena,
denominato Pantheon degli Estensi, ora
concessa in deposito ai Musei Civici, e
inoltre il clavicembalo in marmo di Michele
Antonio Grandi del 1681 depositato presso
la Galleria Estense, mentre la Fondazione
Pietro Manodori ha incrementato le raccolte
secondo criteri di attenzione alla storia
artistica della città del tutto analoghi a quelli
che in passato indussero gli amministratori
della Cassa di Risparmio a depositare ritratti
di benefattori e quadri di diversa epoca nella
Galleria civica Fontanesi, accanto ai dipinti
di Luca Ferrari e dell’altro protagonista della
scena artistica cittadina, Paolo Emilio Besenzi
pittore e stuccatore, ai cui pochi dipinti noti
va aggiunta la bella tela con Cesare e Cleopatra
passata all’asta Cambi di Genova (23 ottobre
2012) come opera di Scuola italiana del XVIII
secolo, verosimilmente pendant del dipinto
con Semiramide chiamata alle armi della
Galleria civica Fontanesi.
Un simile comportamento virtuoso di
affiancamento e di supporto, o meglio di
alleanza con musei pubblici ha caratterizzato
da lungo tempo le scelte degli amministratori
della Fondazione Cassa di Risparmio di
Ferrara, sia nell’individuazione delle opere
da assicurare alla pubblica esposizione,
sia nel loro affidamento alla Pinacoteca
Nazionale di Palazzo dei Diamanti [15].
Quanto mai illuminante appare l’acquisto
dei dipinti della collezione Sacrati Strozzi,
poi concessi alla Pinacoteca Nazionale
dove si sono uniti ad altri dipinti della
medesima prestigiosa collezione di origine
ferrarese emigrata a Firenze, pervenuti allo
Stato italiano in pagamento delle tasse di
successione. Se la Fondazione ferrarese ha
contribuito all’arricchimento delle opere
esposte nel Palazzo dei Diamanti, così come
la Cassa di Risparmio di Rimini ha affidato
i propri dipinti più significativi al Museo
della città, la Fondazione di Pesaro ha invece
organizzato nel 2005 l’esposizione delle
raccolte d’arte nella sede di palazzo Montani
Antaldi, che ospita le pitture e le ceramiche
dal Quattrocento all’Ottocento, e in uno
spazio adiacente dove sono conservate le
opere del Novecento, mentre la Fondazione
di Fano ha istituito nell’acquisita chiesa di
San Domenico, al termine del restauro, una
pinacoteca d’arte sacra con le opere della
propria collezione. Limitandoci all’area
emiliano-romagnola, corre l’obbligo di
ricordare l’esempio della Galleria dei dipinti
antichi della Fondazione e della Cassa di
Risparmio di Cesena che dal 1991 ha dato
vita nella propria sede a una raccolta
museograficamente ordinata e accessibile,
peraltro in continuo accrescimento [16],
mentre spicca il lungimirante progetto di
“Genus Bononiae. Musei nella città” realizzato
dalla Fondazione Cassa di Risparmio in
Bologna, che ha riqualificato luoghi cittadini
trascurati e scivolati in un progressivo,
silenzioso deperimento restituendoli all’uso
pubblico, come palazzo Fava con i celebri
affreschi dei Carracci riscattati dal cronico
degrado, ora sede di esposizioni temporanee
d’arte antica e contemporanea, l’oratorio di
San Colombano affrescato dagli allievi dei
Carracci, che ospita la collezione di strumenti
musicali antichi del maestro Luigi Ferdinando
Tagliavini, la biblioteca d’arte nell’ex chiesa
di San Giorgio in Poggiale, Casa Saraceni sede
della Presidenza, dove si svolgono convegni
e si organizzano piccole mostre, e infine
alcuni luoghi sacri ai quali la Fondazione
garantisce decoro, conservazione e quotidiana
accessibilità, come la chiesa di Santa Maria
della Vita e quella di Santa Cristina, cui è stata
recentemente unita la chiesa di San Michele
in Bosco che, con l’adiacente complesso
monastico, domina la città dall’alto della
collina. Cuore pulsante di quel suggestivo
itinerario è il nuovo Museo multimediale
della storia di Bologna inaugurato dalla
Fondazione nel 2012 in palazzo Pepoli
Vecchio, che accompagna il visitatore in un
percorso temporale nell’attraversamento
delle diverse epoche della storia cittadina,
fino alla contemporaneità, in un coinvolgente
contesto interattivo.
} 31
Opere
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
Angelo Mazza
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
} 36
Guido Reni
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
} 38, 40
Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino
} 42, 44
Elisabetta Sirani
} 46
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
} 72
Ferraù Fenzoni
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Giuseppe Maria Crespi detto lo Spagnolo
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
} 76
Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
} 50
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
Francesco Stringa
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Fondazione Cassa di Risparmio di Parma
e Monte di Credito su pegno di Busseto
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
Giuseppe Marchesi detto il Sansone
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
} 82
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
Michele Rocca detto il Parmigianino
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
} 54
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
Giovan Francesco Nagli detto il Centino
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Fondazione e Cassa di Risparmio di Cesena
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
} 86
Nicola Bertuzzi detto l’Anconitano
} 88
Francesco Mancini
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
} 58
Giovanni Andrea Sirani
} 60
Benedetto Gennari
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia
Pietro Manodori
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
} 92
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
} 64
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
Simone Cantarini
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
Ludovico Carracci
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
} 94
Giovanni Lanfranco
} 96
Marcantonio Franceschini
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm
} 68
Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
} 34
Accogliere per la
prima volta in un
unico catalogo le opere
che costituiscono il
patrimonio artistico
delle Fondazioni.
[raccolte]
Tito Livio racconta la tragica fine di Lucrezia, la quale,
dopo aver denunciato al marito Collatino, al padre e all’amico
Lucio Giunio Bruto la violenza subita da Sesto Tarquinio,
figlio di Tarquinio il Superbo ultimo re di Roma, si dà la morte
puntando nel cuore il pugnale che aveva nascosto tra le vesti.
Paradigma delle virtù femminili e coniugali, Lucrezia è
presentata, nel dipinto di Reni, nel momento in cui preordina il
suicidio e contemporaneamente medita la vendetta. Seduta sul
letto, con la destra raggiunge il pugnale poggiato sul lenzuolo
e con la sinistra sembra scoprire il corpo in una nudità stoica
scostando il drappo dalla spalla. Lo sguardo supplice verso
l’alto è avvolto da mestizia.
Il semplice contrapposto tra le gambe ricoperte
dal lenzuolo, orientate a sinistra, e le braccia inclinate, al
pari della testa, lungo l’altra diagonale conferisce varietà
all’impostazione altrimenti frontale del busto che risalta
luminoso sul fondo scuro della tenda dai riflessi violacei. Se
si esclude il colore mielato del doppio cuscino, tutto tende al
monocromo in un contesto di elevata luminosità, nell’accordo
} 36
tra l’incarnato eburneo, le leggere velature violette del
lenzuolo e i riflessi madreperlacei della tessitura delle ombre.
Sono tratti che caratterizzano la fase conclusiva della parabola
di Guido Reni, quando questi propone immagini larvali
di figure allegoriche femminili e di eroine dell’antichità
(la Fanciulla con corona, il Suicidio di Lucrezia e il Suicidio
di Cleopatra dei Musei Capitolini), ma anche abbozzi con
molteplici pentimenti, visibili in trasparenza, come il San
Sebastiano e la Flagellazione della Pinacoteca Nazionale di
Bologna e l’Anima bella della Pinacoteca Capitolina.
Il dipinto della Fondazione bolognese, noto da tempo
alla critica quando si trovava nella collezione Viti a a Roma e in
precedenza in quella del conte di San Giorgio Panciatichi - la cui
composizione si ritrova del tutto simile in una più aggraziata
Lucrezia ora nel Museo Nazionale di Tokio - conserva ancora una
certa solidità di struttura per effetto del chiaroscuro ben modulato
e delle ombre dagli effetti plastici, segno di una probabile
datazione alla metà degli anni Trenta o di poco successiva.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Lucrezia
Olio su tela, cm 98 x 73
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Guido Reni
(Bologna 1575 – 1642)
ddddddddddddddddddddddddddd
Allievo di Denys Calvaert e quindi
di Ludovico Carracci, diede presto
prova di autonomia, unita alla piena
consapevolezza del proprio talento.
La contrapposizione con i maestri
fu presto dichiarata anche sul piano
professionale in occasione degli
apparati per l’ingresso di Clemente
VIII in Bologna nel 1598, quando
sottrasse incarichi a Ludovico
Carracci. Seguono la pala con la
Vergine, san Domenico e i misteri
del rosario del santuario di San
Luca e l’Assunzione della Vergine di
Pieve di Cento. Le sue fortune dal
1601 si spostarono a Roma dove
godette della protezione di cardinali
e papi, quanto meno fino al 1614,
e osservò a distanza le opere di
Annibale Carracci e di Caravaggio
interessandosi ai testi della scultura,
sia antichi sia moderni. Risalgono
a quegli anni le decorazioni ad
affresco nella chiesa di San Gregorio
al Celio, nel palazzo del Quirinale,
nella cappella Paolina in Santa Maria
Maggiore e nel palazzo del cardinale
Scipione Borghese ora Pallavicini
Rospigliosi, incluso l’affresco nella
volta del Casino con il Carro del sole,
le Ore e l’Aurora. Tra i suoi capolavori
è la Strage degli Innocenti, del 1611,
per la chiesa di San Domenico a
Bologna. Non mancarono infatti
rientri nella sua città, ad esempio
nel 1603 per la partecipazione alla
decorazione del chiostro ottagonale
di San Michele in Bosco. Dopo
il 1614 privilegia i committenti
settentrionali, come dimostrano la
monumentale pala della Pietà per
la chiesa dei Mendicanti a Bologna,
l’Assunta per Genova, i dipinti con
Storie di Ercole per Ferdinando
Gonzaga duca di Mantova e inoltre
le tele per le chiese di Carpi,
Modena e Reggio Emilia. Le fortune
proseguirono senza sosta con opere
come la Pala della peste del 1630,
ora nella Pinacoteca Nazionale di
Bologna, il Trionfo di Giobbe ora a
Parigi, di infinita gestazione nella
progressiva smaterializzazione
delle forme cui concorsero la
semplificazione compositiva, lo
schiarimento dello spettro cromatico
e l’idealizzazione estrema, espressa
in un singolare “non finito”.
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Le raccolte d’arte e di storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
sono tra le più ricche nel panorama delle Fondazioni italiane di origine
bancaria, in ragione soprattutto dell’importante fondo delle 11.000 incisioni e
dei 2.500 disegni, oltre che per le 60.000 fotografie, tra lastre e stampe.
Non meno interessante la raccolta di dipinti e sculture, sia antichi che
moderni, costituiti in gran parte dalle opere acquisite nel 2005 presso la Cassa
di Risparmio in Bologna e da quelle individuate dalla Fondazione, negli ultimi
vent’anni, sul mercato antiquario; opere del Novecento (Morandi, Martini,
Fontana), ma anche dei secoli precedenti, in particolare dipinti di scuola
bolognese dal Trecento al Settecento che riprendono nomi di grande spicco
(Vitale da Bologna, Guido Reni, Guercino, Donato Creti, Gaetano Gandolfi).
} 38
Acquisito nel 2006, l’affresco si trovava sullo scalone
principale del palazzo Malvezzi Campeggi di Roma dove era
stato collocato attorno al 1932 dal marchese Carlo Malvezzi
Campeggi che verosimilmente lo aveva recuperato da un
palazzo di famiglia nel Bolognese. Qui fu identificato per
primo dal marchese Giovanni Incisa, studioso e collezionista
che abitava nel palazzo, ma fu Giuliano Briganti a segnalarlo a
Denis Mahon, noto specialista del pittore.
Costituisce una delle opere più commoventi del
giovane Guercino, databile negli anni 1615-1616, e fu eseguito
al tempo della pala della parrocchiale di Renazzo di Cento
con la Madonna e il Bambino con san Pancrazio e una santa
monaca, del piccolo dipinto altrettanto emozionante con la
Madonna del passero e delle pitture murali di Casa Pannini a
Cento. Le figure si dispongono secondo una felice soluzione
compositiva entro il formato ottagonale. L’ampio modellato
della Vergine occupa liberamente lo spazio in una sciolta
frontalità, ma il Bambino si protende di profilo, verso il centro,
tendendo il braccio sinistro nel tentativo di cogliere il bocciolo
di rosa che gli è offerto dalla madre, la quale, nel frattempo,
lo trattiene con una sciarpa avvolta attorno alla vita
evitandogli lo scivolamento e impedendogli di raggiungere il
fiore. Il controllato dinamismo dell’episodio giocoso trova il
corrispettivo formale nel sensuoso vitalismo cromatico che
compete con i modelli di soffice pittura lievitante di Pietro
Faccini e del giovane Annibale Carracci; mirabile esempio di
umanizzazione del sacro, trasposto affettuosamente nella vita
quotidiana con una delicatezza di accenti e di sentimenti i
cui precedenti si rintracciano nella tenerezza struggente delle
immagini intime di Ludovico Carracci.
Si conosce un disegno preparatorio del Gabinetto disegni
del Louvre, con la significativa variante di una piccola pera
sollevata dalla mano della Vergine in luogo del bocciolo di rosa.
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La Madonna della rosa con il Bambino
Affresco di forma ottagonale, cm 90 x 90
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Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino
(Cento 1591 – Bologna 1666)
dddddddddddddddddddddddddddd
Le opere giovanili del celebre pittore
di Cento manifestano l’attenzione ai
principali artisti ferraresi del tempo,
Scarsellino e Bonone, dai quali egli
derivò le potenzialità espressive
della tavolozza veneta e gli effetti
chiaroscurali della moderna pittura
naturale, cui era stato introdotto dagli
esempi di Ludovico Carracci. Dalla
committenza ecclesiastica e civile del
luogo (pale per la chiesa dei Servi di
Cento, per le parrocchiali di Renazzo
e di Corporeno di Cento; affreschi
nelle case Provenzali e Pannini)
le sue relazioni si estesero alla
clientela di Ferrara e Bologna dove
gli giunsero incarichi da cardinali
(Jacopo Serra, Alessandro Ludovisi)
e da compagnie religiose (San Rocco
a Bologna). Capolavori della fase
giovanile si rivelano la Vestizione
di san Gregorio della Pinacoteca
Nazionale di Bologna e l’Erminia
con il pastore del City Museum
and Art Gallery di Birmingham
richiestagli da Ferdinando Gonzaga
duca di Mantova. Il successo investì
rapidamente il pittore tra il 1621 e il
1623 con il soggiorno a Roma. Qui fu
chiamato da papa Gregorio XV che gli
commissionò la decorazione murale
del Casino Ludovisi e la grandiosa
pala per la basilica di San Pietro con il
Seppellimento di santa Petronilla.
Al rientro in patria gli incarichi si
susseguirono numerosi. Il libro dei
conti documenta analiticamente
la sua produzione, a partire dal
1629, e il lento trascorrere dal
naturalismo delle ombre contrastate
degli inizi alla visione composta
della piena maturità; processo
di nobilitazione che preparò il
trasferimento dell’artista a Bologna,
poco dopo la scomparsa di Reni, nel
1642. Appoggiandosi all’efficiente
struttura della bottega, nella quale
si formarono i nipoti Benedetto e
Cesare Gennari, l’artista proseguì
la produzione di pale d’altare e di
quadri di destinazione privata fin
quasi agli ultimi giorni.
}
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Altre opere particolarmente significative del Guercino si trovano
presso la stessa Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna: Sibilla Samia, olio
su tela, cm 115 x 97 (vedi la scheda successiva); San Pietro piangente, olio su
tela, cm 110 x 85; inoltre presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Cento,
Sibilla, olio su tela, cm 69 x 78; e la Fondazione Cassa di Risparmio di Fano,
Sposalizio della Vergine, olio su tela, cm 310 x 177.
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
} 40
Inclusa tra le profetesse perché “predisse molte cose
di Christo e della Vergine sua madre” come scrisse il fervente
predicatore francescano fra Roberto da Lecce, la Sibilla
Samia è qui rappresentata con lo sguardo ispirato, rivolto
verso l’alto, e le mani posate sul libro delle profezie, mentre
alle spalle è un altro volume chiuso con calamaio e penna.
Protagonista è l’ampio panneggio dagli effetti serici: il manto
azzurro e la veste aranciata con la manica risvoltata in lilla per
mostrare l’inizio dello sbuffo della camiciola bianca stretta
al polso. Il virtuosismo del pittore si manifesta nel gioco
delicato e lieve delle ombre, che fa supporre studi analitici
sulla lenta modulazione delle pieghe. Trasparenze vellutate e
madreperlacee modellano la figura e quanto mai vera è l’ombra
lieve che il volume aperto getta sulla pagina con la profezia.
Siamo di fronte a uno dei quadri più curati dell’artista, allora
al culmine della maturità, come mostrano la salda impostazione
della figura nella torsione del contrapposto, la resa psicologica
dello sguardo ispirato, la leggerezza delle mani posate sul libro e
la disinvolta inclinazione diagonale della rappresentazione.
Come è stato concordemente affermato, la plausibile
datazione attorno al 1650, suggerita dall’evoluzione dello
stile, induce a identificare l’opera con la Sibilla Samia che
Guercino dipinse nel 1651 per il bolognese Ippolito Cattani,
insieme a una Sibilla Libia, quest’ultima riconosciuta dalla
critica nella tela dalle medesime dimensioni di questa in
esame e dall’analoga composizione, sempre su fondale scuro,
che appartiene alle collezioni reali inglesi; entrambe “mezze
figure”, infatti, come specifica il libro dei conti che registra il
pagamento di 600 lire in unica soluzione il 4 dicembre 1651.
Il confronto con la Sibilla Cumana e un putto, già della
collezione di sir Denis Mahon, da includere tra i capolavori
della maturità dell’artista, e con Lot e le figlie del Musée du
Louvre, entrambi del 1651, mostra una piena sintonia stilistica.
Una versione del tutto corrispondente, ma di qualità
meno sostenuta e pertanto riferibile alla bottega dell’artista, si
conserva nelle Gallerie statali fiorentine.
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La Sibilla Samia
Olio su tela, cm 115,5 x 97
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Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino
(Cento 1591 – Bologna 1666)
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}
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Altre opere particolarmente significative del Guercino si trovano presso la
stessa Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna: Madonna della rosa con il
Bambino, affresco ottagonale, cm 90 x 90 (vedi la scheda precedente);
San Pietro piangente, olio su tela, cm 110 x 85; inoltre presso la Fondazione
Cassa di Risparmio di Cento, Sibilla, olio su tela, cm 69 x 78; e la Fondazione
Cassa di Risparmio di Fano, Sposalizio della Vergine, olio su tela, cm 310 x 177.
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Porzia, moglie di Marco Bruto, si è allontanata dalla
stanza delle ancelle intente ai lavori femminili di cucito che si
intravedono sul fondo, oltre l’uscio lasciato aperto, e si colpisce
ripetutamente la coscia per mettere alla prova la propria forza
d’animo e il coraggio stoico che la rendono fidata depositaria di
segreti, degna di partecipare ai disegni politici della congiura
ordita dal marito, come racconta Plutarco nella Vita di Bruto.
La figura dell’eroina, inquadrata leggermente dal basso,
si affaccia imminente sul primo piano e domina lo spazio
orizzontale; sulla gamba scoperta il pugnale si è abbassato più
volte. Il volto è assorto in una distaccata serietà, insensibile al
dolore. La pittrice si sofferma in particolare sull’abbigliamento
lussuoso, su monili e fermagli, come pure sull’arredo della casa
patrizia, e riporta la propria firma, con la data di esecuzione,
sul bordo provvisto di frange del velluto rosso che riveste
la seggiola sulla quale poggia saldamente il piede: “Elisab.a
Sirani F. 1664”. Inevitabile e certa pertanto l’identificazione
} 42
con il dipinto registrato dalla stessa pittrice sotto l’anno 1664
nell’elenco delle opere pubblicato da Carlo Cesare Malvasia
nella Felsina Pittrice del 1678: “Una Porzia in atto di ferirsi una
coscia, quando desiderava saper la congiura che tramava il
marito; quadro soprauscio, e di lontano in un’altra camera
donzelle, che lavorano, per il sig. Simone Tassi”.
Si tratta pertanto di un’opera della fase finale, se si
considera che la giovane pittrice morì l’anno successivo, all’età
di 27 anni, destinata al commerciante di seta Simone Tassi,
committente affezionato che in precedenza le aveva chiesto
un dipinto d’altare con Sant’Antonio da Padova per la chiesa
delle Monache di San Leonardo e una Testa della Madonna con
libro di preghiere e lo sguardo verso l’alto, e altri dipinti ancora,
stando all’inventario della collezione compilato nel 1771 nella
quale si trovavano anche opere di Giovanni Andrea Sirani,
padre della pittrice.
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Porzia si ferisce alla coscia
Olio su tela, cm 101 x 138
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Elisabetta Sirani
(Bologna 1638 – 1665)
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Elisabetta Sirani si formò nella
bottega del padre, Giovanni
Andrea, fedele allievo di Guido
Reni. Scomparsa all’età di 27
anni, è autrice di un numero
elevatissimo di opere, delle quali
resta testimonianza nell’elenco del
tutto attendibile - essendo fondato
su documenti e testimonianze
familiari - riportato da Carlo Cesare
Malvasia nella sua Felsina Pittrice
edita nel 1678. Non si tratta solo di
dipinti di piccolo formato destinati
alla devozione e all’apprezzamento
privato negli ambienti collezionistici,
ma anche di pale d’altare e di tele
di vaste dimensioni, prima tra tutte
quella del Battesimo di Cristo nella
chiesa di San Girolamo della Certosa
a Bologna (1658), posta accanto
ad analoghe opere di Francesco
Albani, Francesco Gessi, Giovanni
Maria Galli detto il Bibiena e dello
stesso Giovanni Andrea, ed eseguita
quasi in competizione con altre
commissionate nel medesimo
tempo a Domenico Maria Canuti
e a Lorenzo Pasinelli. La pittrice
non mancò di aggiornare l’eredità
reniana, giuntale indirettamente,
con intensificazioni chiaroscurali
sulla traccia dell’ultima evoluzione
del padre, sensibile agli esiti della
pittura di Simone Cantarini per il
tramite di Flaminio Torri; così come
registrò attenzioni nei confronti
del classicismo nascente di Carlo
Cignani. Lo dimostrano opere
come il San Girolamo penitente e la
Maddalena penitente (1660) della
Pinacoteca Nazionale di Bologna e
La Giustizia, la Carità e la Prudenza
(1664) ora del Comune di Vignola.
Ammirata da principi e prelati,
fornì dipinti a un pubblico vasto
e composito, dagli aristocratici
ai mercanti, dal ceto intellettuale
dello Studio agli ecclesiastici, agli
artigiani. L’elenco delle sue opere
include quasi duecento dipinti, ai
quali si aggiunge un numero molto
elevato di disegni dalla peculiare
tecnica ad acquerello, steso con
sintetici tratti di pennello.
}
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Altro importante dipinto di Elisabetta, oltre al Ritratto di Anna Maria Ranuzzi
come “Carità”, della medesima Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
(si veda la scheda successiva), si trova nella Galleria dei dipinti antichi della
Fondazione e della Cassa di Risparmio di Cesena, Madonna con Bambino e
san Giovannino, olio su tela, cm 98 x 73.
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
} 44
Come in altre occasioni, la pittrice appone la firma
e la data su un dettaglio del costume, come se l’iscrizione
fosse ricamata sul tessuto: “Elisa.ta Sirani F. 1665” si legge
infatti sulla fettuccina che stringe la manica della camicia
al polso della signora, che qui tiene in braccio un bambino.
Un altro bambino e un ragazzo ai suoi fianchi completano
la rappresentazione, che riprende l’allegoria della Carità
benché siano evidenti le intenzioni ritrattistiche. Tutto
concorre pertanto all’identificazione del dipinto con quello
ricordato dalla stessa Elisabetta Sirani nell’elenco delle opere
pubblicato da Carlo Cesare Malvasia: “Una Carità, per la quale
ho voluto ritrarre la stessa sig. Anna Maria Ranuzzi Marsigli,
come bellissima Dama, e similmente i suoi bambini Silvio
e Francesco Maria, il terzo facendolo di capriccio, e questa
per l’Illustriss. sig. Co. Annibale Ranuzzi, fratello della detta
signora”. Ogni dubbio residuo si dissolve quando si nota che
nel bambino in braccio, eseguito appunto “di capriccio”,
vengono meno le connotazioni naturalistiche, proprie del
ritratto, in favore dell’omaggio al classicismo incipiente di
Carlo Cignani qui combinato con l’affondo chiaroscurale di
Flaminio Torri nel rafforzamento di ombre e di contrasti.
La giovanissima pittrice mette in atto coraggiose ricerche
formali che sperimentano, nelle diverse direzioni, modi di
superamento della tradizione reniana, forse incoraggiata dallo
stesso committente, il conte Annibale Ranuzzi, colto e aperto
collezionista, protettore di giovani artisti promettenti, in
rapporto peraltro con lo stesso Giovanni Andrea Sirani.
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Ritratto di Anna Maria Ranuzzi
come “Carità”
Olio su tela, cm 96 x 78
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Elisabetta Sirani
(Bologna 1638 – 1665)
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mmmmmmmmmmmmmmmm
Altro importante dipinto di Elisabetta, oltre alla Porzia che si colpisce alla coscia
della medesima Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna (si veda la scheda
precedente), si trova nella Galleria dei dipinti antichi della Fondazione e della
Cassa di Risparmio di Cesena, Madonna con Bambino e san Giovannino, olio su
tela, cm 98 x 73.
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Racconta Torquato Tasso nella Gerusalemme liberata
che, nell’infuriare della battaglia, Tancredi taglia con un colpo
di spada i lacci dell’elmo di Clorinda, la guerriera saracena di
cui è follemente innamorato, e la riconosce per i capelli dorati
che ricadono sciolti. Il dipinto raffigura il momento successivo
dell’episodio, quando Tancredi la salva intercettando con la spada
il fendente che un cavaliere di Goffredo le sta vibrando alle spalle.
L’individuazione di un episodio tassesco in un’opera
la cui immagine per lungo tempo era stata intesa come
un’indifferenziata scena di genere, mero esempio di una
battaglia rispettosa delle convenzioni rappresentative, viene
a confermare il temperamento estroso e anticonvenzionale
dell’artista e insieme il suo rifiuto delle retoriche celebrative
e magniloquenti. Il suo modo del tutto personale, spesso
ironico se non trasgressivo e irriverente, di presentare i soggetti
} 46
mitologici, allegorici o letterari cari agli ambienti dell’Arcadia
procurò a uno dei suoi capolavori, quali gli affreschi nel soffitto
di due stanze di palazzo Pepoli, il rischio della cancellazione,
poi sventato dall’intervento autorevole del gran principe
Ferdinando de Medici. Una forte personalità si cela in effetti
dietro la trama delle dense pennellate che brillano di colore
veneziano nell’oscurità di questa battaglia furiosa, costruita
sulla diagonale dei due cavalli potenti, mentre in basso a destra
i corpi riversi alludono alle invenzioni di Lorenzo Pasinelli
nella Strage di sant’Orsola e delle compagne vergini ora della
Pinacoteca Nazionale di Bologna volgendone la schiarita
presentazione lirica in una sospesa, fantomatica visione lunare.
L’opera è stata riferita alla metà degli anni venti del
Settecento, al tempo della piena maturità dell’artista.
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Tancredi salva Clorinda
nel combattimento
Olio su tela, cm 111,5 x 143,5
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Giuseppe Maria Crespi detto lo Spagnolo
(Bologna 1665 – 1747)
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È, con Donato Creti, il più importante
pittore bolognese della prima metà
del Settecento. La sua attività ha
inizio negli anni ottanta del Seicento,
al termine di una formazione
composita e lungamente riflessiva,
fondata sullo studio della tradizione
veneta e della pittura di Federico
Barocci, oltre che sul recupero
dei modelli di Ludovico Carracci
e del Guercino. Risale al 1688 la
prima pala della parrocchiale di
Bergantino, allora nella diocesi di
Ferrara, e al 1690 il Sant’Antonio
abate tentato dai demoni che fu
commissionato da Carlo Cesare
Malvasia per la chiesa di San Nicolò
degli Albari a Bologna, cui seguì la
seconda pala di Bergantino con le
novità neoveneziane. L’affermazione
dell’artista in città trovò eco esterno
nei dipinti per il palazzo viennese
del principe Eugenio di Savoia e
nell’Estasi di santa Margherita da
Cortona richiesta dal gran principe
Ferdinando che divenne uno dei
protettori dell’artista.
Pittore di pale d’altare e di quadri
di devozione, Crespi è soprattutto
celebre per i dipinti con scene di
genere (Fiera di Poggio a Caiano, La
pulce, il Casolare), per i ritratti e le
teste di carattere, oltre che per le
nature morte. Tra le opere più note,
insieme alle pitture murali nella
volta di due ambienti di palazzo
Pepoli Campogrande, è la serie
dei Sette Sacramenti ora a Dresda
che raggiunsero la collezione del
cardinale Pietro Ottoboni. Ne
riconobbero la grandezza personalità
di grande spicco, dai gusti raffinati,
quali il cardinale Tommaso Ruffo,
al tempo degli incarichi ricoperti
a Bologna e Ferrara, e lo stesso
cardinale Prospero Lambertini, eletto
papa con il nome di Benedetto XIV, al
quale Crespi eseguì un noto ritratto.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Altra opera significativa del celebre pittore bolognese è esposta nella Galleria
dei dipinti antichi della Fondazione e della Cassa di Risparmio di Cesena:
Sacra Famiglia con i santi Giovannino, Elisabetta e Zaccaria, Anna e Gioacchino,
olio su tela, cm 93 x 74.
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
} 48
Conservazione
dell’identità
collezionistica
e storica valorizzando
la diversità e la
specificità territoriale.
[identità]
} 50
Impropriamente riferita in tempi recenti a Giovan
Francesco Spini, la bella tela va restituita a Giuseppe Marchesi
detto il Sansone in accordo con la precedente tradizione
critica, storicamente fondata. Lo conferma l’iscrizione nel
libro accanto al teschio identificata nella presente occasione:
“Giuseppe Marchesi / detto Sansone / Jac.mo Fece / 1753”. È infatti
da identificare con il dipinto ricordato dall’erudito bolognese
Marcello Oretti, poco dopo la metà del Settecento, tra le
opere dell’artista nell’abitazione di Francesco Berti in strada
Brocchindosso a Bologna come “un San Francesco d’Assisi
giacente in terra con due Angioli figure quanto il naturale”.
Lo conferma il rapporto con il pendant, descritto come “una
S.a Maria Maddalena, con due Angioli anch’essa al naturale”,
che andrà riconosciuto nella tela ora presso la Smart Gallery
dell’Università di Chicago, con la figura femminile in uno
scorcio analogo a quello del san Francesco e in attitudine
simmetrica, dai quali si desume che entrambe le tele erano
collocate in alto, nello stesso ambiente, probabilmente in
funzione di sovrapporte. Le dimensioni coincidono, se si
considera che la tela di Chicago è stata sconsideratamente
alterata nell’operazione di riduzione al formato rettangolare,
con l’eliminazione della breve centina ribassata che si trovava al
centro del lato superiore.
Si tratta di opere molto significative appartenenti alla
maturità del pittore bolognese, “fatte nel suo buon gusto” come
osservava Marcello Oretti, che bene esemplificano la riflessione,
propria dei maestri dell’Accademia Clementina, sui modelli della
tradizione secentesca riproposta con sensibilità lirica, sull’onda
della musicalità del melodramma cui peraltro alludono il
trasporto mistico della Maddalena nella tela pendant e, in questo
dipinto, l’estasi di san Francesco al suono del violino.
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San Francesco in estasi con due angeli
olio su tela, cm 158 x 175
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Giuseppe Marchesi detto il Sansone
(Bologna 1699 – 1771)
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Allievo dapprima di Aureliano Milani
fino alla partenza di questi per
Roma, il giovane Giuseppe Marchesi
passò nella bottega di Marcantonio
Franceschini il cui insegnamento
si riflette nelle Quattro stagioni
della Pinacoteca Nazionale di
Bologna. La sua produzione traduce
progressivamente il classicismo del
maestro in un linguaggio rocaille,
per la frantumazione delle forme, la
luminosità dei colori, la leggerezza
e la grazia accattivante delle figure
che ne fanno un sensibile interprete
del gusto arcadico. Di qui la fortuna
presso i collezionisti a Bologna
e in altre città, non solo in Italia.
Molto apprezzata fu anche la sua
produzione sacra, sia nel campo
della decorazione, come mostrano
le vaste pitture murali nella chiesa
di Santa Maria di Galliera, di cui
si conoscono i modelletti, sia in
quello delle pale d’altare, delle
quali si ricordano l’Apparizione
della Madonna a san Filippo Neri nel
santuario delle Vergini a Macerata
e l’Incontro di sant’Ambrogio con
Teodosio della cattedrale di San
Pietro a Bologna, commissionato dal
cardinale Prospero Lambertini allora
arcivescovo di Bologna e scoperto
alla fine del 1738.
Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
Composta da oltre cento opere, la raccolta della Fondazione del Monte di
Bologna e Ravenna deriva il nucleo dei dipinti antichi dalla storica collezione
della Banca del Monte di Bologna e Ravenna. Tra questi è l’importante tela
con l’Allegoria del Monte di Pietà del bolognese Giovan Francesco Spini. Le
aggiunte recenti hanno privilegiato l’arte del Novecento (dalla scultura alla
pittura e soprattutto alla grafica), con particolare attenzione agli artisti
dell’area emiliana, coerentemente con le manifestazioni espositive realizzate
dalla Fondazione nelle sale al piano terra della propria sede.
} 52
Salvaguardia
della sedimentazione
culturale e trasmissione
della conoscenza
come impegno verso
la comunità di riferimento.
[storia]
} 54
Si tratta dell’unico dipinto del Centino provvisto di firma:
“Gio.Fra.nco Naglia / da Cento fec” si legge infatti nella lettera
sul tavolo, a destra, tra libri, carte e oggetti da scrittoio. Doveva
colpire ancor maggiormente, all’epoca, questa immagine/
ritratto di un giovane posto di profilo, nell’atto di accarezzare
l’aquila che lo individua come l’apostolo-evangelista, colto da
una luce naturale che induce a posare lo sguardo sul costume
contemporaneo e a seguire la descrizione accurata del laccio
che chiude al collo la camiciola bianca arricciata. Anche gli
oggetti sul tavolo enunciano una poetica del vero, nell’adesione
a una cultura di origine caravaggesca intenerita dalla lezione
del giovane Guercino, senza tradire la sincera adesione al
naturale di Giovan Francesco Guerrieri detto il Fossombrone,
marchigiano informato dei moderni fatti romani.
Modello di riferimento per la composizione fu
certamente la stampa incisa da Giovanni Battista Pasqualini
negli anni 1618-1619 su invenzione del Guercino, facente parte
di una serie dedicata ai quattro evangelisti, sulla quale il
pittore romagnolo intervenne con variazioni.
Non solo lo stile, che fa riferimento alla temperie
culturale del terzo decennio del Seicento, ma anche
la difformità rispetto agli schiarimenti cromatici e
all’ammorbidimento delle luci che sarebbero intervenuti nelle
pale d’altare della maturità inducono a riferire la tela in esame
alla fase iniziale del Centino, probabilmente ai primi anni
trenta, e a cogliervi sintonie con il Sant’Agostino del Museo
della città di Rimini, in anticipo sulla perduta Annunciazione
del 1638 nota attraverso la riproduzione fotografica.
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San Giovanni evangelista
Olio su tela, cm 127 x 205
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Giovan Francesco Nagli detto il Centino
(documentato a Rimini dal 1629 al 1675)
dddddddddddddddddddddddddddd
Giovan Francesco Nagli detto il
Centino, “uno dei pittori più ignoti
del Seicento italiano” come scriveva
Francesco Arcangeli nel 1954, è
ora artista molto apprezzato per
le componenti di iconico, arcaico
naturalismo delle sue pale d’altare
silenziose e commoventi, come il
San Martino che dona il mantello al
povero nella collegiata di Verucchio,
l’Annunciazione di Montiano e il
Crocifisso tra la Madonna e san
Giovanni Battista della collegiata
di Longiano che danno vita a una
sorta di contraltare religioso, in
Romagna, rispetto alla pittura laica
e profana di Guido Cagnacci, suo
contemporaneo. L’ascendente della
pittura di Guercino viene rimodulato
dall’artista in chiave di devoto
sentimento religioso, sensibile alle
esigenze della devozione popolare.
Tra le opere più significative, oltre al
giovanile Sant’Agostino del Museo
della città a Rimini che risente della
temperie latamente caravaggesca e
alla distrutta Annunciazione del 1638
già nella chiesa di San Fortunato a
Rimini, figurano le due grandi tele
con Davide che taglia la testa a Golia
e con Mosè e il serpente di bronzo
del Museo della città, a Rimini, che
facevano parte dell’importante ciclo
decorativo dell’oratorio di Santa
Maria in Acumine, volgarmente detto
della Gomma, realizzato attorno alla
metà del Seicento da vari artisti tra i
quali il danese Monsù Bernardo.
}
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Altro significativo dipinto dell’artista si trova nella Galleria dei dipinti antichi
della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena: Benedizione di san Vicinio, olio
su tela, cm 188 x 128.
Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
La collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento si compone
di alcuni dipinti di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, del nipote
Benedetto Gennari e di Ubaldo Gandolfi, oltre che di due nature morte
settecentesche di Giuseppe Artioli. Vi hanno fatto ingresso anche opere
di artisti contemporanei. Concorrono inoltre a definirne la fisionomia le
numerose incisioni dello stesso Guercino e di altri autori di varia epoca che
riproducono le invenzioni del grande pittore centese. Le linee guida che hanno
ispirato la formazione e lo sviluppo della raccolta della Fondazione riflettono
peraltro i criteri di selezione della raccolta della Cassa di Risparmio.
} 56
Sostegno all’importanza
dell’intervento culturale
e consolidamento
patrimoniale.
[valore]
} 58
Il giovane Ruggero, sopraggiunto in volo con l’ippogrifo,
ha salvato Angelica dopo aver abbagliato il mostro marino
con lo scudo e avere occultato, grazie all’anello magico, il
corpo della giovane incatenata nuda allo scoglio. Il dipinto
mostra l’arrivo dei giovani nel bosco “di querce ombrose”,
con l’ippogrifo alle spalle legato al tronco. Convinto di aver
conquistato Angelica, l’innamorato già si spoglia dell’armatura,
ma questa avvicina l’anello alle labbra e scompare
inaspettatamente ai suoi occhi, “come fa il sol quando la nube
il vela” scrive Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso.
Il dipinto è stato acquisito dalla Cassa di Risparmio
di Cesena nel 1987 in seguito al riconoscimento della mano
del noto pittore bolognese allievo di Reni; attribuzione che
ha sostituito quella, allora corrente, in favore del pittore
perugino Giovanni Domenico Cerrini. Parte della critica
tuttavia vi ha ravvisato la mano della celebre figlia dell’artista,
Elisabetta Sirani; e non è mancato chi, comprensibilmente, si
è espresso in favore della collaborazione tra Giovanni Andrea
ed Elisabetta. In realtà la coerenza e l’unitarietà dello stile, il
ritmo arrotondato del disegno e la cultura reniana di prima
mano sembrano deporre in favore dell’esclusiva esecuzione
da parte del padre. La conferma proviene dall’inventario della
collezione del banchiere bolognese Andrea Cattalani, compilato
nel 1668 quando il pittore era ancora in vita, nel quale compare
la registrazione di “un sopra uscio cioè Angelica e Rugiero con
Cornice di legno intagliata … di mano del S.r Gio:And.a Sirani”.
Se la rarità del soggetto, il taglio orizzontale della
tela con la composizione un poco scorciata dal basso, come
conviene a una sovrapporta, e le stesse dimensioni rendono
del tutto verosimile l’identificazione del dipinto in esame
con quello in collezione Cattalani, la frequentazione di casa
Sirani da parte del banchiere è indizio non trascurabile
dell’attendibilità del riferimento attributivo del quadro a
Giovanni Andrea, espresso peraltro in un momento così
vicino alla sua esecuzione. Ulteriore, indiretta conferma
proviene dalla mancata citazione della tela nel circostanziato
elenco delle opere della pittrice riportato da Carlo Cesare
Malvasia, amico di casa Sirani, nella sua Felsina Pittrice.
Appare probabile una datazione alla metà del Seicento,
o di poco successiva.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Angelica si sottrae a Ruggero
Olio su tela, cm 114,5 x 158
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Giovanni Andrea Sirani
(Bologna 1610 – 1670)
dddddddddddddddddddddddddddd
Allievo dapprima di Giacomo
Cavedone, deve in realtà la
formazione all’insegnamento di
Guido Reni la cui bottega Giovanni
Andrea Sirani frequentò con
devozione fino al termine dei giorni
del maestro. La sua pittura aderisce
in effetti agli ideali di sublime
idealizzazione di Reni, sensibile alla
luminosità diafana e alle vibrazioni
luministiche delle pennellate
atmosferiche della fase finale del
maestro, a tal punto che certi dipinti
come la Sibilla del Kunsthistorisches
Museum di Vienna e Rebecca ed
Eleazaro di Palazzo Pitti a Firenze
furono ritenuti per lunghissimo
tempo opere dello stesso Reni.
Pittore amato dai collezionisti, lasciò
nella sua città e in altri centri limitrofi
dipinti d’altare caratterizzati da una
luminosa dolcezza sentimentale,
come rivelano, ad esempio, la pala
con la Madonna, il Bambino e tre santi
del duomo di Faenza e quella con la
Madonna, il Bambino e sei santi nella
chiesa dei Santi Giovanni e Petronio
dei Bolognesi a Roma. Contraddicono
la conformistica definizione di
inerte imitatore di Reni, per lungo
tempo stancamente riportata dalla
critica, il piglio inventivo e la forza
chiaroscurale di alcuni dipinti della
maturità, come la grande Cena in
casa di Simone (1652) della Certosa di
San Girolamo a Bologna e il Ratto di
Dejanira della Pinacoteca Nazionale
di Bologna, un tempo della collezione
Ranuzzi; dipinti che attestano l’intenso
coinvolgimento del pittore nel dibattito
figurativo del tempo, tra la revisione
dell’eredità reniana ad opera del
naturalismo chiaroscurato di Flaminio
Torri e le proposte di rinnovato
classicismo avanzate dal giovane
Carlo Cignani. Di qui le premesse
figurative e formali della pittura della
celebre figlia, Elisabetta Sirani.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Altro dipinto dell’artista si trova presso la Fondazione Cassa di Risparmio in
Bologna: Venere abbraccia Amore, olio su tela, cm 112 x 93.
Fondazione e Cassa di Risparmio di Cesena
La Galleria dei dipinti antichi della Fondazione e della Cassa di Risparmio
di Cesena trova lontane origini in alcune acquisizioni del 1959. La sua
formazione è tuttavia frutto di un coerente e ordinato progetto che si è
sviluppato a partire dalla fine degli anni Ottanta per iniziativa della Cassa di
Risparmio, poi proseguito dalla Fondazione.
Composta da circa 80 dipinti rappresentativi della cultura figurativa in
Emilia e Romagna dal Quattrocento al Settecento (Maestro dei Baldraccani,
Palmezzano, Zaganelli, Bastianino, Prospero e Lavinia Fontana, Spada, Tiarini,
Lanfranco, Serra, Savolini, Cagnacci etc.), con inserimenti di altri pittori in
rapporto con la scuola di quell’area geografica (Maestro di Marradi, Régnier,
Nunzio Rossi, Giuseppe Romani etc.), la collezione è esposta, dal 1991, nel
percorso di visita corredato da apparati didascalici al primo piano della sede
centrale della Cassa di Risparmio di Cesena.
Questo seducente dipinto ha fatto apparizione in
un’asta Christie’s di New York, nel 2004, con la generica
attribuzione a scuola fiamminga del Settecento ed è entrato
nella Galleria dei dipinti antichi della Fondazione cesenate
subito dopo, in seguito al riconoscimento dell’autore in
Benedetto Gennari nipote del Guercino. A mascherare le
componenti guercinesche dello stile intervengono, infatti, sia
i tentativi di adeguamento, da parte dell’artista, dei modelli
nord-europei cari agli aristocratici inglesi nella precisione
descrittiva delle figure e nella nitida visione della natura
morta, sia la compiacente concessione al soggetto dalle
implicazioni allusivamente licenziose, come mostrano il gesto
malizioso dell’avvenente giovane travestita da contadina e la
complicità un poco beffarda della vecchia che versa monete.
Il dipinto è infatti identificabile con quello esattamente
descritto dall’artista nell’elenco delle opere eseguite al tempo
del soggiorno in Inghilterra, come “un quadro mezza figura
d’una Contadina, o Pollaiuola che vende pernici, lepri e
pollami con una Vecchia che va per comprare un Pollastro
e sopra la tavola li conta la moneta”; dove l’artista aggiunge:
“questo quadro lo feci a Windsor per passarmi melio il tempo
mentre stavo là, e questo poi lo comprò Mylord Scarsdel”.
Entro la sequenza ordinata cronologicamente nel
manoscritto ora presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di
Bologna, l’inserimento del dipinto rende plausibile una
data attorno al 1678, di pochi anni successiva all’approdo
dell’artista in Inghilterra.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
} 60
Giovane venditrice di polli e selvaggina
con una vecchia che versa monete
Olio su tela, cm 127 x 103,8
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Benedetto Gennari
(Bologna 1633 – 1715)
dddddddddddddddddddddddddddd
I fratelli Benedetto e Cesare Gennari,
nipoti e allievi del Guercino, alla sua
morte avvenuta a Bologna nel 1666
ereditarono lo studio con l’intero
patrimonio di disegni, dipinti e
strumenti di lavoro. Il loro successo
nell’area centese, ma anche sulla
piazza bolognese e nel ducato
estense, oltre che presso i Gonzaga
di Novellara, fu certamente favorito
dall’ascendente esercitato dal celebre
zio sulla committenza ecclesiastica
e nobiliare. La collaborazione tra i
fratelli si sciolse nel 1672, quando
Benedetto raggiunse Parigi in cerca
di fortuna presso la corte del re
Sole, che tuttavia lasciò un poco
precipitosamente nel 1674 per
passare in Inghilterra, forse attratto
dalla presenza di Maria Beatrice
d’Este, figlia del duca di Modena, che
era andata in sposa a Giacomo Stuart
duca di York, fratello del re Carlo II.
Ha qui inizio la folta produzione
destinata alla famiglia reale e
all’aristocrazia inglese, oltre che
ai funzionari della corte, nel clima
di un’aspra contrapposizione tra
cattolici e protestanti, con soggetti
tanto religiosi quanto mitologici
e soprattutto con eleganti ritratti
molto apprezzati. Nel 1688 la
Glorious Revolution costrinse alla
fuga il re cattolico Giacomo II con
la moglie Maria Beatrice. Un simile
rovesciamento, che portò sul trono il
protestante Guglielmo III d’Orange,
convinse il pittore, poco dopo, a
lasciare l’Inghilterra e a raggiungere
in Francia gli spodestati reali inglesi,
ospiti di Luigi XIV a Saint-Germainen-Laye per il resto dei loro giorni
insieme ai fedelissimi del partito
cattolico. Nuovamente dedicandosi al
ritratto e a quadri da stanza, il pittore
servì la corte fino al 1692, quando
decise di fare ritorno a Bologna dove
fu attivo fino a tutto il primo decennio
del Settecento eseguendo pale
d’altare per chiese di Cesena, Rovigo
e Faenza e nuovamente ritratti, oltre
alla celebre tela con Teseo e le figlie di
Minosse per il Palazzo d’Inverno del
principe Eugenio di Savoia, ora nel
Kunsthistorisches Museum di Vienna.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Altro significativo dipinto dell’artista si trova presso la
Fondazione Cassa di Risparmio di Cento: Maddalena penitente con il crocifisso,
olio su tela, cm 65,5 x 54.
Fondazione e Cassa di Risparmio di Cesena
} 62
Censimento
documentario
delle collezioni e
individuazione della
collocazione del bene
culturale sul territorio.
[anagrafe]
} 64
La contrastata complessità dei rapporti di Cantarini con
i committenti e gli incontrollabili mutamenti intervenuti nel
corso del tempo impediscono di fare chiarezza sulle versioni
ora note di questo fortunato soggetto biblico che tocca il tema
di Agar ripudiata da Abramo e destinata a morire di stenti nel
deserto con il piccolo Ismaele, su istigazione della moglie Sara, e
salvata infine, con il bambino, grazie all’intervento dell’angelo
che le addita il pozzo nelle vicinanze.
Ricorda il biografo Carlo Cesare Malvasia nella Felsina
Pittrice (1678) che un dipinto con quel soggetto, poi eseguito
su rame, fu richiesto al pittore pesarese dal suo protettore
Matteo Machiavelli per conto del mercante veneziano Gaspare
di Luca, poi ceduto a un nobile veneziano. Altra versione con
significative varianti fu consegnata a Bartolomeo Musotti e
finì nella celebre collezione Sampieri.
Suggestiva è l’invenzione di una diversa versione
segnalata in collezione privata bergamasca, corrispondente alla
trascrizione incisoria di Pietro Monaco; e di grande finezza si
rivela anche l’esemplare recentemente identificato nel Musée
des Beaux-Arts a Pau che si distingue dal dipinto qui esposto
soprattutto per la figura dell’angelo, bilanciato in una grazia
lieve d’ispirazione reniana.
Nella tela della Fondazione marchigiana, databile al
tempo del San Pietro penitente e della Maddalena penitente
commissionati nel 1644, la componente naturalistica prende
forza nella spontaneità e nell’adesione più diretta al modello,
esente dagli addolcimenti della tela di Pau che dialogano con
la declinazione sentimentale delle immagini di altri allievi di
Reni, quali Giovan Giacomo Sementi e Michele Desubleo, il
pittore franco-fiammingo fratellastro di Régnier.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Agar e Ismaele nel deserto
con l’arcangelo Michele
Olio su tela, cm 59 x 77
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Simone Cantarini
(Pesaro 1612 – Verona 1648)
dddddddddddddddddddddddddddd
Allievo di Claudio Ridolfi e intelligente
interprete del naturalismo del
Guerrieri, come mostra la tela con la
Madonna e i santi Barbara e Terenzio
della Pinacoteca di Brera in deposito
ad Aicurzio, già in San Cassiano
a Pesaro, il giovane Cantarini si
trasferì a Bologna attorno al 1635
completando la propria formazione
nella bottega di Guido Reni.
Costituiscono esempi del personale
accostamento allo stile etereo e
immateriale dell’ultima fase del
maestro la bella tela con la Madonna
di Monserrato e santi della chiesa di
Stuffione di Ravarino, nel Modenese,
commissionata nel 1637, la pala con
Santo Stefano martire della chiesa
di Santo Stefano di Bazzano, del
medesimo anno, e Lot e le figlie già in
collezione Neri a Bologna.
Il prevedibile dissidio con il maestro si
verificò in occasione dell’esecuzione
della tela con la Trasfigurazione
per la chiesa di Forte Urbano, poi
Castelfranco Emilia, conservata
nella Pinacoteca Vaticana, avvio di
un’autonoma ripresa naturalistica.
Si registra quindi una recrudescenza
di quella tendenza nel nuovo tempo
marchigiano, ben esemplificata dal
San Pietro che risana lo storpio per la
chiesa di San Pietro in Valle a Fano e
confermata infine dalle due vaste tele
con San Giuseppe penitente e con la
Maddalena penitente commissionate
nel 1644 per la chiesa dei padri
filippini di Pesaro e soprattutto dalla
Resurrezione di Boston consegnata
nel 1647 alla compagnia della Grotta
del duomo di Urbino.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Altre opere molto significative del pittore marchigiano si conservano presso
la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Ritratto di uomo con signora,
cm 127 x 112; e nella Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, La Trinità
terrena e la Trinità celeste, cm 121,5 x 103.
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
Al momento della sua costituzione la Fondazione ha incorporato nel proprio
patrimonio le opere di notevole interesse artistico della Cassa di Risparmio di
Fano, tra le quali la pala del Guercino con lo Sposalizio della Vergine, eseguita
nel 1649 per la chiesa di San Paterniano, e le tele di Giovan Francesco
Guerrieri detto il Fossombrone e di Carlo Magini; una raccolta che si è andata
poi incrementando.
Impegnata nel recupero del patrimonio monumentale nella città di Fano e
nel comprensorio, la Fondazione ha dato vita, nell’acquisita chiesa di San
Domenico, alla pinacoteca d’arte sacra con l’esposizione delle opere antiche
della raccolta, mentre negli ambienti della propria sede ha organizzato
l’esposizione delle opere degli artisti fanesi dell’Ottocento e del Novecento.
} 66
Adozione dei parametri
e norme di catalogazione
elaborati dall’Istituto
Centrale per il Catalogo
e la Documentazione
per la costituzione
del catalogo unico.
[criteri]
La tela fa parte di una serie numerosa, attualmente
incompleta, in origine forse composta da otto elementi, di cui
sei sono noti: una seconda tela con il Commiato dell’eremita
appartiene alla medesima Fondazione ferrarese (che ha
acquisito entrambe nel 1998), una è conservata nella collezione
Cavallini-Sgarbi di Ferrara, le altre tre appartengono al
Museo di Capodimonte cui sono pervenute con la donazione
del marchese Alfonso Davalos. Come è stato recentemente
chiarito, esse celebrano fantasiosamente, attraverso una
bizzarra iconografia fondata sulla narrazione di un’antica
pergamena, le origini della famiglia Nigrisoli di Ferrara, il cui
stemma compare nel dipinto con Il nuovo regno di Nigersol del
Museo di Capodimonte. Committente fu, attorno al 1614, Luigi
Nigrisoli, incluso da Clemente VIII tra i 27 rappresentanti delle
principali famiglie nobili ferraresi, il quale dovette conservare
la serie completa in un ambiente del palazzo di famiglia a
Ferrara in via di San Francesco.
La notorietà dell’artista, prediletto dalla committenza
} 68
ecclesiastica e amato da Casa d’Este, e la qualità dei dipinti
che rievocano nella costante rappresentazione del paesaggio
il clima favoloso delle opere di Dosso Dossi certamente
agevolarono il progetto di nobilitazione delle origini della
famiglia sulla traccia di mitografie di compiacenti genealogisti.
Vi si narrano le vicende avventurose del principe Tumbuctù
Nigersol, mitico capostipite dei Nigrisoli, scampato al massacro
della famiglia e giunto a Ferrara con la madre, la vecchia balia,
lo zio cavaliere e un leone; vicende che prendono il via dalla
fuga dalla città di Tombut e dall’abbandono dell’Africa da parte
del gruppo familiare. Nel dipinto qui esposto l’uccisione dei due
draghi a opera dello zio e del leone e la presenza dell’eremita
in preghiera danno vita all’allegoria della conversione cristiana
del principino, nato in un paese pagano, mentre le successive
scene illustrano l’episodio del battesimo da parte dell’eremita e
il suo commiato. Conclude il ciclo la rappresentazione del nuovo
regno di Nigersol, cui si accede oltre il ponte levatoio superando
il grande arco sormontato dallo stemma di famiglia.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Allegoria della conversione cristiana
del principe Tumbuctù Nigersol
Olio su tela, cm 77 x 104
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino
(Ferrara 1550 – 1620)
dddddddddddddddddddddddddddd
Allievo del padre Sigismondo
Scarsella, architetto e pittore, lo
Scarsellino affrontò lo studio della
tradizione ferrarese (da Girolamo
da Carpi a Bastianino e Bastarolo),
ma la sua attenzione fu attratta
soprattutto dalle seduzioni del
cromatismo veneziano, in particolare
dai testi di Tiziano e di Jacopo
Bassano. Specie nella fase giovanile,
si rivelò sensibile alle sofisticate
eleganze di Parmigianino e ai
ricercati risvolti decorativi delle
opere dello Schiavone; ma guardò
anche alle opere del Bastianino,
come documentano i quadri della
Galleria Borghese con Diana e
Endimione, con Venere al bagno
e con Venere e Adone. Nei primi
anni Novanta prese parte alla
decorazione dei soffitti di palazzo
dei Diamanti, insieme ai Carracci, a
Gaspare Venturini e ad altri pittori e
decorò il catino absidale della chiesa
di San Paolo. Fu coinvolto inoltre
nell’allestimento degli apparati
in occasione dell’arrivo del papa
Clemente VIII con la devoluzione
di Ferrara allo Stato della Chiesa
nel 1598. Ciò non gli impedì, in
seguito, di porsi al servizio di
Cesare d’Este, il duca spodestato
che gli commissionò la Natività
della Vergine, ora della Galleria
Estense, per la cappella dell’antico
castello di Modena dove la corte
si era trasferita. Nelle opere del
secondo decennio si avvertono
cauti aggiornamenti sulla lezione
moderna di Carlo Bonone di ritorno
da Roma, come mostrano la
Decollazione di san Giovanni Battista a
Ferrara, il San Bruno già nella chiesa
di San Cristoforo della Certosa e
ora nella Pinacoteca Nazionale di
Ferrara e la Sacra Famiglia con santi
della Galleria di Dresda.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Altre opere dell’artista, di proprietà della medesima Fondazione Cassa di
Risparmio di Ferrara, sono depositate presso la Pinacoteca Nazionale di
Ferrara; di notevole interesse è anche la grande Flagellazione (cm 208 x 138)
esposta nella Galleria dei dipinti antichi della Fondazione e della Cassa di
Risparmio di Cesena.
Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
È tra le poche Fondazioni italiane che hanno acquisito presso la Cassa di
Risparmio di riferimento l’antico patrimonio artistico costituito nel corso
tempo, spesso espressione degli antichi Monti di Pietà e frutto di ammirevoli
operazioni di tutela da parte di illuminati amministratori. La Fondazione è
di conseguenza entrata in possesso di antichi nuclei collezionistici già delle
famiglie Massari Zavaglia, Massari Ricasoli Firidolfi e Mazza, cui si è aggiunto
nel 1992 l’importantissimo nucleo della collezione Strozzi Sacrati; opere
che la Fondazione ha depositato presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara
dove nel contempo sono sopraggiunti i segmenti della collezione Strozzi
Sacrati acquisiti dallo Stato italiano. Sono evidenti pertanto i positivi effetti di
convergenti azioni di tutela che hanno scongiurato la dissoluzione delle ultime
testimonianze dell’antico tessuto collezionistico della città.
Merita inoltre una speciale segnalazione la raccolta di 360 ceramiche
tardomedievali e rinascimentali dell’area padana.
} 70
Accesso libero alla
lettura dei dati e alla
visualizzazione delle
immagini di un vasto
patrimonio privato
e scarsamente conosciuto.
[consultazione]
} 72
Si tratta di un testo esemplare della pittura tormentata
dell’artista, che vi esprime coerentemente una personale
visione della realtà, con grafia incisiva e caricata, attraverso
la compressione delle forme, lo schiacciamento dei piani e
il ribaltamento dell’immagine nell’imminenza dello spazio
dell’osservatore. Le forme contorte ritrascrivono con forzature
espressive tanto la disposizione e gli incastri delle figure quanto
la descrizione degli elementi naturali, con tronchi nodosi,
frasche in drammatico controluce, nubi scure che incombono
su un paesaggio sbiancato e fantastico.
Il tema della deposizione di Cristo morto incoraggia una
simile visione allucinata che fa presa sull’emotività, si appella
a una dirompente teatralizzazione, accentua le deformazioni
anatomiche del busto di Cristo ed esibisce gli scorci dei volti
alterati da gonfiori. In simili immagini non trovano spazio
la poetica naturalistica dei Carracci e la loro sensibilità lirica
e accorata, mentre sopravvive, in forme espressionistiche,
un’interpretazione onirica del fatto sacro esposto alla violenza
dei bagliori tintoretteschi, come è possibile riscontrare in
questo dipinto, torturato esempio di un manierismo estremo
in anni avanzati dell’attività dell’artista, ormai da tempo
rientrato nella sua terra romagnola, forse riferibile al secondo
decennio del Seicento.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Deposizione di Cristo nel sepolcro
Olio su tela, cm 102 x 145
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Ferraù Fenzoni
(Faenza 1561/62 – 1645)
dddddddddddddddddddddddddddd
A Roma prende parte, a cavallo
tra gli anni Ottanta e Novanta del
Cinquecento, alle decorazioni di
palazzi e basiliche negli anni di Sisto
V (Palazzo Lateranense, Scala Santa,
Biblioteca Sistina, chiese di Santa
Maria Maggiore, di Santa Maria in
Trastevere) ed entra in contatto con
gli artisti senesi di orientamento
baroccesco, con la corrente
michelangiolesca e in particolare
con Andrea Lilio e con la cosiddetta
pittura dei cavalieri (Federico Zuccari,
Cavalier d’Arpino, Pomarancio),
divenendo un esponente di rilievo
del manierismo estremo. Fecondo è
il soggiorno in Umbria, nel corso del
quale esegue affreschi nel duomo e
nel palazzo vescovile di Todi (1594),
così come pale d’altare ora nella
locale Pinacoteca Comunale. Lavori
per Foligno e Perugia si concludono
con il trasferimento a Faenza, dove,
nel 1600, ormai quarantenne, esegue
la tela con la Piscina probatica ora
nella Pinacoteca di Faenza e, più
avanti, tra il 1613 e il 1616, decora
tre cappelle del duomo, anche
in collaborazione con Benedetto
Marini. Le sue tele raggiungono
altri centri della Romagna, come
Castelbolognese, Bagnacavallo,
Ravenna e Cesena. Molto apprezzata,
anche al suo tempo, la folta
produzione grafica che raccolse
l’ammirazione di Giambattista Marino
e di Francesco Scannelli.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Altro significativo dipinto dell’artista si trova presso la Galleria dei dipinti
antichi della Fondazione e della Cassa di Risparmio di Cesena, Conversione
di san Paolo, olio su tela, cm 153 x 114.
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
La collezione di circa 70 dipinti della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
documenta gli specifici interessi rivolti agli artisti che hanno illustrato la città
romagnola, sia in antico sia nel Novecento, in particolare con i nomi di Biagio
d’Antonio, Marco Palmezzano, Francesco Menzocchi, Carlo Cignani, Giacomo
Zampa e Felice Giani. Condividendo le linee ispiratrici che hanno presieduto
alla formazione della raccolta della Cassa dei Risparmi, la Fondazione ha
acquisito dall’Istituto di Credito le opere più significative legate alla storia
della città e del territorio forlivese incrementando poi quel selezionato
nucleo con nuovi importanti dipinti.
} 74
Informazioni essenziali
relative a: numero
di inventario, oggetto,
autore, ambito culturale,
titolo, soggetto, materia
e tecnica, misure,
localizzazione, datazione,
proprietà, collezione
di appartenenza.
[stabilità]
Le opere esposte fanno parte di un gruppo di quattro
tele che includono il soggetto vetero-testamentario di Susanna
tentata dai vecchi e quello con San Benedetto che mette in fuga
i demoni; tutte racchiuse entro cornici ovali lisce, a piccole
gole, con cimasa a giorno di leggere volute e foglie d’acanto.
Nell’ultimo dipinto sorprende lo scorcio ravvicinato, sino al
primo piano, del nudo maschile scomposto, raffigurazione
demoniaca sulla quale il santo calca il piede mentre con l’altra
mano, come un esorcista, ricaccia potentemente gli altri
demoni nelle dense nubi. Si tratta di esercitazioni che ricordano
alcuni disegni accademici dell’artista, con modelli disposti in
posizioni sforzate secondo esibite, deformanti prospettive che
tornano anche in quadri di soggetto mitologico, oltre che di
soggetto vetero-testamentario come nell’ovale di collezione
privata, pendant di un Sansone e Dalila, con Giuditta che
consegna alla serva la testa di Oloferne, il cui corpo inerte giace
a terra in un’esibizione sconveniente. Qui, al contrario, la pudica
Susanna, inconsapevole di essere osservata dai vecchi, eppure
con lo sguardo rivolto all’osservatore, si bagna in un giardino
ornata da statue, quasi un ninfeo con nicchie, sculture e giochi
d’acqua. L’artista rievoca nuovamente le delizie dei parchi ducali
nel pendant con Cristo e la Samariana al pozzo, riprendendo in
controparte il modello del Cristo e la Samaritana di Annibale
Carracci ora nella Pinacoteca di Brera, allora nella collezione
Sampieri di Bologna, mentre la Maddalena sollevata in cielo
dagli angeli sembra presupporre le elaborazioni correggesche
di Lanfranco. I medesimi soggetti di Cristo e la Samaritana e di
Susanna tentata dai vecchi sono abbinati da Francesco Stringa in
una coppia di dipinti di collezione privata, un tempo attribuiti a
Marcantonio Franceschini.
Si tratta di opere della tarda maturità, forse dei primi
anni Novanta, che da un lato mostrano segnali di una nuova
cedevolezza non priva di grazia, come è nell’ovale con Susanna,
dall’altro conservano gli impianti magniloquenti del decennio
precedente, come è possibile verificare nel dipinto con San
Benedetto che scaccia i demoni.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
} 76
Cristo e la Samaritana al pozzo
Olio su tela ovale, cm 93 x 70
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Santa Maria Maddalena
sollevata in cielo dagli angeli
Olio su tela ovale, cm 93 x 70
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Francesco Stringa
(Modena 1635 – 1709)
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Principale pittore estense della
seconda metà del Seicento insieme a
Sigismondo Caula, Francesco Stringa
godette della fiducia dei duchi e della
corte, tanto da assumere incarichi di
sovrintendente delle raccolte ducali,
di direttore dell’Accademia di pittura
promossa dalla Comunità con la
protezione del duca e soprattutto di
sovrintendente alle fabbriche ducali.
La sua formazione si svolse nel segno
del naturalismo carraccesco e della
lezione di Guercino, aggiornata sul
chiaroscuro di Flaminio Torri e sulle
ardite invenzioni di Mattia Preti attivo
a Modena alla metà del Seicento
con affreschi nella chiesa di San
Biagio e nel duomo. Gli esiti di quella
sensibilità si manifestarono presto
nella decorazione delle volte della
chiesa di Sant’Agostino, trasformata in
Pantheon Atestinum, e nelle tele della
fine degli anni Sessanta quali la Morte
di san Giuseppe e il Transito della Vergine
della chiesa del Voto e nella grandiosa
pala con l’Assunzione della Vergine nella
chiesa di San Carlo a Modena.
I saldi impianti compositivi delle sue
opere sembrano discendere anche
dai modelli di Giovanni Lanfranco,
come rivela la grande Crocifissione
ora nel monastero della Visitazione
a Baggiovara eseguita alla metà
degli anni Settanta, al tempo
degli affreschi che decorano, con
quadrature di Baldassare Bianchi, tre
volte dell’ambiente attiguo all’antica
cappella del palazzo ducale; così
come la pala con la Madonna, il
Bambino e i santi Crispino e Crispiniano
e Paolo eremita della basilica di San
Prospero a Reggio, del 1680, versa
il modello di ispirazione reniana in
un contesto di accentuati contrasti
luministici. Un alleggerimento delle
invenzioni caratterizza i prodotti
finali, specie quelli di piccolo formato
a destinazione collezionistica nei
quali si insinua un certa grazia
sentimentale espressa da pennellate
rapide e di improvvisa scioltezza.
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
La raccolta, composta da circa trentasette opere, documenta in particolare
la produzione di artisti modenesi attivi tra Otto e Novecento, legati
all’Accademia di Belle Arti: da Adeodato Malatesta, il principale pittore
estense del secolo XIX, a Gaetano Bellei, Giuseppe Graziosi e Pio Semeghini.
Non mancano pezzi antichi di particolare spicco, frutto di recenti acquisizioni,
come un Crocifisso in terracotta di Antonio Begarelli, un dipinto d’altare di
Matteo Coloretti, un tempo nella chiesa di Sant’Agostino, quattro ovali di
Francesco Stringa e un raro clavicembalo in marmo del 1681 firmato da
Michele Antonio Grandi, in deposito presso la Galleria Estense.
Caratterizza le attività della Fondazione l’interesse per la fotografia, attestato
sia dall’acquisizione di negativi e di positivi fotografici, sia da esposizioni di
ampio raggio sulla fotografia contemporanea.
} 78
} 80
Definizione dell’entità
del patrimonio, delle sue
caratteristiche e del suo
valore culturale.
[conoscenza]
} 82
Particolarmente seducente per la calda luminosità che
mette in evidenza la nudità della dea, il dipinto si caratterizza
per l’omaggio arcadico, tra musica e danza, al suono del flauto
da parte di un satiro e al ritmo dei sonagli di un tamburello
battuto da una ninfa, mentre i tre putti sostengono un
festone di verdura con fiori; gradevole contesto evasivo
che, anche in ragione della grazia carezzevole, ha indotto a
istituire collegamenti con la produzione veneziana di primo
Settecento, nel nome di Giovanni Antonio Pellegrini, in forza
peraltro di un supposto, ma non documentato, soggiorno
veneziano dell’artista in età matura (a Venezia questi è
ricordato solo più avanti, nel 1751). Sono state notate affinità,
nelle tipologie delle figure e soprattutto nella pennellata
abbreviata e nella stesura leggera e delicata del colore, con la
celebre Santa Cecilia al cembalo dell’Accademia di San Luca,
eseguita entro il 1727.
Delicato e dinamico come un modelletto, il dipinto
su rame esibisce una virtuosistica modulazione della luce
e un’apprensiva, tremula sensibilità, nella ridotta gamma
cromatica che esalta i valori chiaroscurali con effetti che
ricordano gli aggraziati prodotti del Settecento francese. Tra i
numerosi possibili confronti vale la pena ricordare la coppia
di dipinti dell’Athenaeum Galerie di Montecarlo raffiguranti la
Toeletta di Venere e Loth e le figlie.
Un dipinto di composizione analoga, sempre su rame e delle
medesime dimensioni, è segnalato in collezione privata a Parma.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Baccanale con ninfe, satiro e tre amorini
Olio su rame, cm 35,5 x 47,5
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Michele Rocca detto il Parmigianino
(Parma 1666 – Venezia?, dopo il 1751)
dddddddddddddddddddddddddddd
Originario di Parma, nel 1682 circa
si trasferì a Roma dove frequentò
l’ambiente dei pittori cortoneschi.
Secondo l’attestazione delle fonti
sarebbe entrato nella bottega di
Ciro Ferri, pur mostrando interessi
per l’indirizzo classicista di Maratta.
Mantenne tuttavia un legame con
la cultura della sua città d’origine,
grazie soprattutto al forte ascendente
dei modelli del Correggio rafforzato
nel ritorno a Parma nel 1687, sebbene
lo stile, incline verso le forme lievi
del roccocò, risentisse sempre più
decisamente della lezione di Luca
Giordano, di Francesco Trevisani, di
Sebastiano Conca e di Benedetto
Luti, interpretata in chiave arcadica
e paganeggiante in una sorta di
anticipazione del barocchetto. Più che
dai dipinti sacri e dalle pale d’altare
(la pala in San Paolo alla Regola, del
1695; quella nella chiesa di Santa
Maria Maddalena, del 1698; l’altra in
Santa Francesca Romana), il successo
derivò all’artista dalle piccole tele da
cavalletto caratterizzate da freschezza
inventiva e da rapidità di stesura,
molto apprezzate dai collezionisti più
esigenti, dai gusti ricercati.
Fondazione Cassa di Risparmio di Parma
e Monte di Credito su pegno di Busseto
La collezione è composta da opere provenienti dalla collezione della Cassa di
Risparmio di Parma e Piacenza alla quale si sono aggiunte quelle acquisite
direttamente dalla Fondazione negli ultimi vent’anni e altre pervenute
attraverso donazioni. Ne è derivata un’esposizione permanente all’interno di
palazzo Bossi Bocchi, sede della Fondazione dal 1995.
Composta da oltre 500 pezzi tra dipinti, sculture e disegni di varie epoche, la
collezione include anche una raccolta di ceramiche e di porcellane dei secoli
XV e XVI, di ambito italiano e orientale, e inoltre mappe e carte geografiche.
} 84
52 Fondazioni,
59 Collezioni
e oltre 9000 opere d’arte.
[patrimonio]
} 86
Agar è stata scacciata con il figlio Ismaele da Abramo
su istigazione della moglie Sara ed è stata abbandonata nel
deserto. Esausta e priva di acqua e viveri, si accascia al suolo
vicino al figlio morente di stenti, adagiato all’ombra di un
cespuglio. Interviene nell’insperato salvataggio l’angelo che le
addita un pozzo nelle vicinanze.
Il pittore segue il testo biblico, ma trasforma il deserto in
una visione d’arcadia al cui esito rasserenante contribuiscono
la luminosa gamma cromatica e l’impostazione diagonale
della composizione, variata e alleggerita dalla calcolata regia
delle luci. Un ritmo musicale sostiene la rappresentazione,
come in un melodramma, mentre la tavolozza compete con
quella dei pittori dell’area veneta ben noti a Nicola Bertuzzi.
E infatti, alla sua apparizione presso la Heim Gallery di
Londra nel 1968, il dipinto fu ritenuto di Jacopo Amigoni,
rappresentante europeo del roccocò veneziano, così come
numerose altre opere dell’artista furono considerate per lungo
tempo del veneziano Giuseppe Nogari, fino alle convergenti
revisioni della critica nei primi anni Ottanta del secolo scorso.
Si tratta di un esempio illuminante del barocchetto bolognese,
che affianca felicemente le opere di Vittorio Bigari, di Giuseppe
Marchesi detto il Sansone e di Giuseppe Varotti.
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Agar e Ismaele nel deserto
con l’arcangelo Michele
Olio su tela, cm 35 x 38,5
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Nicola Bertuzzi detto l’Anconitano
(Ancona 1710/1715 circa – Bologna 1777)
dddddddddddddddddddddddddddd
La prima opera nota dell’artista
è rappresentata dal disegno con
Ruggero e lo spirito di Astolfo con
il quale il giovane vinse nel 1734,
a Bologna, un concorso presso
l’Accademia Clementina. Qui formò
il proprio stile sull’insegnamento
di Vittorio Bigari che lo introdusse
nello studio delle forme eleganti,
leggere e briose del barocchetto,
allora proposte anche da Francesco
Monti, i cui risultati sono ben
documentati dalla folta produzione
di composizioni di piccolo formato,
spesso realizzate su carta applicata
a tela con sciolte pennellate quasi
di tocco, nel ricorso a una gamma
cromatica luminosa e lieve. Pittore
duttile e versatile, Bertuzzi si dedica
alla decorazione murale (biblioteca
del collegio Santa Lucia a Bologna,
allora dei gesuiti, 1743; chiesa di
San Mattia, 1744) e all’esecuzione
di pale d’altare (chiesa del Carmine
di Medicina; chiesa di Santa Maria
della Neve a Casaglia e altre), ma
le opere più seducenti per il brio
narrativo e la grazia appuntita sono
rappresentate dalle Storie bibliche
del palazzo ‘di sopra’ di Bagnarola
di Budrio confluite nel palazzo
Visconti Di Modrone a Milano, dalle
sette tele per l’oratorio Caprara a
Crevalcore e dagli inserti figurali
entro luminosi paesaggi arcadici
del giovane Vincenzo Martinelli
nelle tele commissionate dal
conte Valerio Boschi per la villa La
Sampiera, ora della Fondazione
Cassa di Risparmio in Bologna.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Altri significativi dipinti dell’artista si trovano nella Galleria dei dipinti antichi
della Fondazione e della Cassa di Risparmio di Cesena, Mosè e il serpente
di bronzo, cm 129 x 172,5; e presso la Fondazione Cassa di Risparmio di
Rimini, Alessandro concede ad Apelle la propria amante Campaspe, olio su
tela, cm 290 x 180. La Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna possiede,
oltre al bozzetto per lo stendardo della Confraternita della morte, del 1776,
una Nascita della Vergine e cinque tele con le Delizie della villeggiatura che
mostrano le eleganti figure di Nicola Bertuzzi entro ampie vedute di paese di
Vincenzo Martinelli, opere eseguite per la villa bolognese detta La Sampiera.
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Disposta con nuovo allestimento del 2005 nello storico palazzo Montani
Antaldi decorato da pitture murali d’età neoclassica degli allievi di
Giannandrea Lazzarini, la collezione della Fondazione Cassa di Risparmio
di Pesaro si articola nei diversi settori delle pitture, delle ceramiche, dei
disegni, delle stampe e infine di un considerevole fondo di carte e mappe
del territorio del ducato di Urbino poi Legazione pontificia. A caratterizzarla
sono soprattutto i 170 dipinti e le 150 ceramiche circa, che riflettono la storia
artistica del territorio. Sviluppata inoltre la sezione del Novecento, con artisti
quali Anselmo Bucci e Alessandro Gallucci.
} 88
Un tempo nella raccolta Busiri Vici di Roma e quindi
nella raccolta Volpe di Bologna, la tela ha fatto ingresso nella
collezione della Fondazione pesarese nel 1999 ben illustrando
l’attività del pittore marchigiano che riscosse notevole successo
non solo in patria, come mostrano le opere a Sant’Angelo in
Vado, Urbino e Macerata, ma anche in alcune città dell’Umbria e
soprattutto a Roma. La composizione di questa Educazione della
Vergine corrisponde infatti a quella dipinta nella grande tela
che si conserva nella Galleria Nazionale dell’Umbria, conclusa
il 15 giugno 1732 come riportò lo stesso artista sul dipinto
insieme alla firma e destinata alla chiesa di Santa Teresa degli
Scalzi a Perugia. È ben verosimile, come è stato proposto, che
la tela qui in esame sia da identificare con quella ricordata da
Michele Angelo Dolci nella guida manoscritta delle chiese e dei
palazzi di Urbino, del 1755, come “Sant’Anna, con la Vergine e
san Gioacchino” che nel palazzo Albani di Urbino era abbinata
ad altra dello stesso Francesco Mancini “con Cristo in gloria
che porge la corona a san Clemente e a sant’Agostino”; dipinto,
quest’ultimo, riconosciuto in quello di collezione Lemme, dalle
dimensioni molto simili.
Vi è raffigurata sant’Anna che tiene il libro aperto per
l’esercizio di lettura della Vergine, mentre Gioacchino segue la
scena con trepidazione sullo sfondo di elementi architettonici
della classicità con l’accompagnamento musicale di due angeli
sulle nubi. La finitezza vibrante dell’esecuzione ne fa un’opera
del tutto autonoma, malgrado il rapporto con la grande pala
di Perugia; così che resta aperta l’eventualità di un’esecuzione
successiva alla grande pala del 1732.
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Educazione della Vergine
Olio su tela, cm 96 x 68
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Francesco Mancini
(Sant’Angelo in Vado, Pesaro 1679 – Roma 1758)
dddddddddddddddddddddddddddd
Allievo di Carlo Cignani a Forlì, al
tempo in cui l’artista bolognese
decorava la cupola della Madonna
del fuoco nel duomo, Francesco
Mancini esordì in palazzo Albicini
e si affermò con le opere che
decorano la biblioteca del
monastero camaldolese di Classe,
a Ravenna, eseguite tra il 1713 e
il 1714 per l’abate Pietro Canneti.
In seguito fu attivo in Umbria, tra
Città di Castello e Perugia. Segna
una tappa fondamentale della sua
carriera l’intervento decorativo
nell’abside della cattedrale di
Foligno che il pittore ottenne anche
grazie al sostegno di protettori
insigni quali l’abate Canneti e il
cardinale Giuseppe Ulisse Gozzadini,
vescovo di Imola. Dal 1724 si
trasferì a Roma, dove non mancò
di eseguire dipinti per le terre
marchigiane caratterizzati dalla
nobiltà classicistica che gli derivava
dall’insegnamento di Carlo Cignani
e dallo studio delle opere romane di
Carlo Maratta. Iscritto all’Accademia
di San Luca, fu attivo nella chiesa
di San Filippo a Perugia alla fine
del terzo decennio e quindi, di
nuovo a Roma, fu impegnato nella
decorazione della coffee-house nel
nuovo padiglione di palazzo Colonna
e in commissioni di pale d’altare
di grande prestigio per le chiese
romane e di altre destinate a chiese
di Lisbona e di Évora per volere
del re Giovanni V di Portogallo.
Allo scadere degli anni Trenta si
colloca il soggiorno a Macerata
che diede origine a un complesso
di tele particolarmente raffinate
nel sacello della Madonna della
Misericordia. Accolto nell’Accademia
di Francia nel 1732 ed eletto principe
dell’Accademia di San Luca nel 1750,
proseguì con successo l’attività per il
resto dei suoi giorni grazie anche al
pieno sostegno del papa bolognese
Benedetto XIV Lambertini.
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
} 90
Dipinti di notevole importanza
storico-artistica risalenti
ai secoli passati accanto
alla prevalente componente
moderna e contemporanea che
fa riferimento alla seconda metà
dell’Ottocento e al Novecento
(oltre 4500 opere del Novecento,
1200 opere circa dell’Ottocento,
circa 1000 del Settecento).
[fisionomia]
} 92
Regina della Lidia, Onfale è qui presentata con lo
sguardo colmo di tenerezza per l’osservatore, rivestita della
pelle di leone e appoggiata alla clava sottratta a Ercole, il
quale, condannato da Giove a trascorrere tre anni al servizio
della regina, perdutamente innamorato di lei fila la lana,
in abiti femminili, e le ha ceduto gli emblemi delle proprie
prerogative. L’acconciatura alquanto lavorata, inanellata da
diadema e nastri e fermata da trecce, ricorda le raffinate
eleganze cortesi di Parmigianino e di Nicolò dell’Abate, mentre
la dolcezza dell’espressione sembra discendere dagli stessi
modelli di Correggio, a conferma del fondamentale apporto
dei pittori di Parma al rinnovamento radicale della pittura a
Bologna sullo scadere del Cinquecento ad opera soprattutto
dei tre Carracci. Sull’altro versante il fluire sciolto della pelle
di leone sulla spalla e il sintetico, libero disegno naturale
della manica preludono agli sviluppi della cultura barocca
bolognese che darà i suoi frutti, dalla metà del secolo, con
l’emergere della figura di Domenico Maria Canuti.
Apparsa in una vendita Christie’s a Londra nel 1992
con attribuzione a Francesco Brizio, ma poi restituita al suo
maestro Ludovico Carracci, la tela trova confronti persuasivi,
anche sotto il profilo della datazione, con l’angelo posto accanto
al sepolcro vuoto della Vergine nella pala della Madonna
Assunta della Galleria Estense, risalente agli anni 1606-1607.
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Onfale con la clava di Ercole
Olio su tela, cm 80,5 x 63
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Ludovico Carracci
(Bologna 1555 – 1619)
dddddddddddddddddddddddddddd
Ludovico Carracci, maggiore
d’età rispetto ai cugini Agostino
e Annibale, tra loro fratelli, è
l’autorevole rifondatore della pittura
e il maestro nella cui bottega si
formano, a partire dagli anni ottanta
del Cinquecento, i principali pittori
bolognesi, i quali sotto la sua
guida decorano l’oratorio di San
Colombano e soprattutto il chiostro
ottagonale del monastero di San
Michele in Bosco.
La prima opera nota che attesta
la collaborazione con i cugini è la
decorazione ad affresco di palazzo
Fava, che comprende, al piano nobile,
il camerino d’Europa e il salone con
il fregio del mito di Giasone e Medea
concluso nel 1584, precedente
importante dei più evoluti affreschi
di palazzo Magnani con storie di
Roma. Questi rappresentano l’ultima
occasione di un comune lavoro,
prossimo ormai alla diaspora che
conduce Annibale a Roma seguito da
Agostino che pochi anni dopo conclude
i suoi giorni a Parma nel 1602.
Ludovico consegna pale d’altare
alle principali chiese di Bologna,
per lo più ora nella Pinacoteca
Nazionale; tra queste la Caduta
di san Paolo per la chiesa di San
Francesco, il Martirio di sant’Orsola
per la chiesa di San Leonardo, la
Predica del Battista per la chiesa di
San Girolamo della Certosa e altre; le
sue opere raggiungono anche Cento,
Modena, Reggio e Mantova, mentre
a Piacenza sono gli affreschi nel
duomo a illustrare il suo magistero.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Un dipinto di grande interesse dell’artista, eseguito ad affresco e staccato con
il massello verso il 1730, si trova nell’Oratorio di San Filippo Neri di proprietà
della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna:
Cristo presentato al popolo, affresco staccato, cm 290 x 290.
Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia
Pietro Manodori
La collezione d’arte di circa centotrenta opere cui a partire dal 1991 la
Fondazione Pietro Manodori ha dato vita si pone in rapporto di continuità
con quella formata in precedenza dalla Cassa di Risparmio di Reggio Emilia,
erede peraltro dell’antico Monte di Pietà al quale erano pervenute opere
d’arte di notevole interesse, ora per lo più esposte presso i Musei Civici,
come il Ritratto del cardinale Domenico Toschi, firmato da Ottavio Leoni e
datato 1604, il Ritratto di gentildonna con cagnolino, forse Isabella Arlotti
Toschi, e altre ancora. Per quanto non manchino dipinti antichi, la raccolta è
prevalentemente formata da opere dell’Ottocento e del Novecento eseguite da
artisti emiliani, in particolare attivi a Reggio; tuttavia risaltano il gruppo delle
nature morte di Cristoforo Munari e la serie dei paesaggi di Antonio Fontanesi.
} 94
Si legge nella Vita di Alessandro scritta da Plutarco che
il grande condottiero, al comando dell’esercito stremato dalla
fatica e dalla sete per l’inseguimento dell’esercito di Dario, rifiutò
la preziosa acqua che gli era stata offerta da alcuni contadini
avendo appreso che a questa avevano rinunciato i loro figli pur
consapevoli di mettere a repentaglio la propria sopravvivenza;
e motivò il rifiuto affermando che la mancata dimostrazione di
solidarietà avrebbe fatto perdere ogni coraggio ai suoi compagni.
Il dipinto presenta la variante iconografica del soldato che, in
luogo del contadino, posto in lontananza sulla sinistra, offre al
generale l’acqua raccolta nell’elmo.
Insieme all’altro dipinto di Lanfranco, anch’esso
acquisito dalla Fondazione Manodori nel 2001, eseguito
su tavola, fa parte di una celebre serie di undici pezzi
commissionati tra il 1614 e il 1616 dal cardinale Alessandro
Peretti Montalto, nipote del papa Sisto V, allo scopo di arredare
il salone della villa Montalto a Roma. All’impresa presero
parte importantissimi artisti, per lo più cresciuti all’ombra
di Annibale Carracci, come Domenichino, Sisto Badalocchio,
Francesco Albani e Antonio Carracci, ma anche Giovanni
Baglione e Antiveduto Grammatica dell’area caravaggesca e il
tardomanierista Antonio Tempesta.
Lanfranco risolve la complessità del tema distribuendo
gli elementi del paesaggio e le figure su diversi livelli e
snodando il flusso degli armati in una spazialità articolata di
ispirazione barocca, dal primo piano occupato dal soldato e dal
condottiero sul cavallo bianco fino agli armati che scorrono in
alto, in controluce come i tronchi e gli elementi del paesaggio.
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Alessandro Magno rifiuta l’acqua da
bere offertagli da un soldato
Olio su tela ovale, cm 115 x 150
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Giovanni Lanfranco
(Parma 1582 – Roma 1647)
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La formazione dell’artista, avviata
sotto la guida di Agostino Carracci
a Parma, si completò con Annibale
Carracci a Roma dove il giovane fu
inviato dal duca Ranuccio Farnese
insieme a Sisto Badalocchio.
L’artista in seguito rientrò per
breve tempo nel ducato farnesiano
e ricevette commissioni di pale
d’altare per le chiese piacentine,
alcune delle quali eseguite poi a
Roma. Qui si affermò grazie al
successo dei dipinti eseguiti in
palazzo Mattei e nella chiesa di
Sant’Agostino che gli fruttarono la
partecipazione alla decorazione della
Sala Regia nel Palazzo del Quirinale
e, nel terzo decennio del secolo, la
commissione delle grandi tele per la
cappella del santissimo Sacramento
nella basilica di San Paolo fuori le
Mura. Gli procurò fama di grande
decoratore la decorazione ad
affresco della cupola di Sant’Andrea
della Valle (1625-1627), cui
seguirono, nel soggiorno napoletano
avviato nel 1633, gli affreschi nella
cupola del Gesù Nuovo, nella
Certosa di San Marino, nella chiesa
dei Santi Apostoli e nella cappella del
Tesoro in duomo. Rientrato a Roma
nel 1646, nell’ultimo anno di vita
curò la decorazione dell’abside della
chiesa di San Carlo ai Catinari.
L’esperienza singolare dell’artista,
che associò alla formazione in ambito
carraccesco la conoscenza delle opere
di Caravaggio a Roma e una spiccata
predisposizione allo sviluppo della
figurazione barocca, rappresentò
un significativo precedente del
naturalismo barocco di Giacinto
Brandi, di Giovanni Battista Beinaschi
e dello stesso Mattia Preti.
}
mmmmmmmmmmmmmmmm
Altri importanti dipinti dell’artista nelle collezioni delle Fondazioni bancarie
si trovano presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia - Pietro
Manodori, Alessandro beve la medicina del medico Filippo mostrandogli la lettera
calunniosa di Parmenione, olio su tavola, cm 115 x 150; la Fondazione Cassa
di Risparmio di Parma, Chiamata di san Matteo, olio su tela, cm 171 x 219; e la
Galleria dei dipinti antichi della Fondazione e della Cassa di Risparmio di Cesena,
Pietà, olio su tela, cm 198 x 147; Pioggia delle coturnici, olio su tela, cm 217 x 233.
Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia
Pietro Manodori
} 96
La cristianizzazione delle profetesse del mondo antico
induce la Sibilla di Delfi a preannunciare la nascita di Cristo
dalla Vergine: “Virgineo conceptus ab alvo” si legge nel foglio
che si srotola sulla cartella sostenuta da un angiolino posto a
sinistra, a bilanciare l’altro putto che, a destra, reggendo un
grande libro aperto, porge il calamaio con la penna alla Sibilla
ispirata con lo sguardo al cielo.
La solenne semplicità dell’ambiente, scandito dalle
linee ortogonali degli elementi architettonici della classicità
sullo sfondo di fronde svettanti (fusti di colonne scanalate
su alti basamenti, un pilastro sulla destra cui la figura
femminile si appoggia), esalta il purismo della pittura,
al cui esito concorrono la venustà della figura, la grazia
cerimoniale dei putti, la luminosità che scende dall’alto
allusiva alla rivelazione celeste, la stesura pittorica liscia,
accurata e formalmente impeccabile e soprattutto l’equilibrio
della composizione spaziosa il cui impianto simmetrico
è intenzionalmente variato dall’inquadratura un poco
laterale. Si tratta di un’opera esemplare dell’artista, il quale
è consapevole che il successo della formula faticosamente
raggiunta è inscindibile da una costante tenuta qualitativa.
Lo stile rinvia alla fase finale dell’artista, così che si sarebbe
tentati di identificare l’opera, come è stato suggerito, con la
“Sibilla grande al naturale” ordinata dal marchese Cerbone Pucci
con un primo versamento in data 27 settembre 1726, come
informa il libro dei conti, se non intervenisse la definizione di
“Sibilla Eritrea” riportata nel saldo registrato l’anno successivo.
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La Sibilla Delfica
Olio su tela, cm 198 x 174
ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd
Marcantonio Franceschini
(Bologna 1648 – 1729)
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Allievo prediletto di Carlo Cignani e
interprete sensibile della sua poetica
classicistica, Franceschini trascorre
la prima parte della vita all’ombra del
maestro. Alla sua facilità esecutiva,
infatti, Cignani deve l’efficienza
della propria bottega, che tiene il
passo delle numerose commissioni,
anche nel campo decorativo, con la
spedita realizzazione degli affreschi
nelle lunette dei portici delle chiese
di San Bartolomeo e di Santa Maria
dei Servi, oltre che all’interno della
basilica di San Petronio; ma gli
affreschi più seducenti sono quelli
realizzati, sulla scorta rigorosa dei
diligenti cartoni del maestro, nel
Palazzo del Giardino a Parma a
completamento della decorazione
rimasta interrotta alla morte di
Agostino Carracci nel 1602.
Nel corso degli anni Ottanta l’artista
si emancipa e dà avvio a una rapida
affermazione con le decorazioni in
palazzo Ranuzzi (1680), in palazzo
Monti Salina e in palazzo Marescotti
Brazzetti a Bologna (1682), cui
seguono gli affreschi nel duomo di
Piacenza (1689), nel Palazzo Ducale
di Modena (1696) e nel Palazzo
Ducale di Genova (1702-1704).
Come informa il libro dei conti, gli
incarichi si succedono senza sosta,
sia da parte della committenza
aulica, ecclesiastica e nobiliare, con
affreschi e pale d’altare, sia da parte
del ceto imprenditoriale e di quello
intellettuale dello Studio con dipinti
di destinazione privata. Spicca il
rapporto duraturo con il principe
di Liechtenstein, al quale l’artista
consegna una folta serie di dipinti
per il palazzo a Vienna documentati
dall’interessante scambio epistolare.
Avvalendosi di pochi fidati aiuti,
Franceschini prosegue l’intensa
attività fino all’ultimo tempo
senza deflettere dal classicismo ad
oltranza già elaborato in gioventù,
destinato a evolversi sulle premesse
dell’insegnamento di Cignani nella
direzione di un luminoso purismo.
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mmmmmmmmmmmmmmmm
Altro significativo dipinto dell’artista si trova presso nella Galleria dei dipinti
antichi della Fondazione e della Cassa di Risparmio di Cesena:
La Giustizia e la Pace si abbracciano, olio su tela, cm 213 x 120.
Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia
Pietro Manodori
Bibliografia
essenziale
di riferimento
dddddddddddddddddddddddddd
} 98
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52 Fondazioni
Fondazione Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde
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Finito di stampare nel mese di novembre 2012
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euro 25,00