Numero 2 - Licei Camerino
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Numero 2 - Licei Camerino
E d i t o r i a l e Le origini della matita risalgono a 400 anni fa. Il vocabolo deriva dal latino lapis haematitas che significa “pietra di ematite”.La matita è uno strumento per disegnare, colorare e scrivere ma è anche un oggetto che riesce a tracciare segni molto potenti. Pochi mesi fa è stata utilizzata in difesa della libertà di stampa, diventando immediatamente un’icona e producendo centinaia di vignette che hanno combattuto con ironia una guerra contro il terrore. In passato ha dato il nome, in Argentina, ad una cruenta notte - La notte delle matite spezzatequando alcuni studenti furono arrestati, torturati e poi fatti sparire. Desaparecidos, piccole, fragili matite spezzate dalla dittatura. La storia della matita è alquanto complessa. Ai giorni nostri è uno degli oggetti più utilizzati e prodotti in assoluto tanto da far nascere un movimento attivissimo di collezionisti di matite. Questo elemento di materia povera è in grado di realizzare disegni, creare storie, cancellare contraddizioni, seguire un pensiero ma anche scrivere una canzone o un racconto che conforti l’umanità. Perciò in questo numero ci piace portare alla ribalta tale strumento, per noi studenti tanto quotidiano, eppure così ricco di simboli, così discreto e non indelebile, così pronto a esprimere l’universo che ci circonda e che abbiamo dentro. Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 1 I n d i c e SPORT CALCIO Un Giorno Speciale DANZA Le Olimpiadi DANZA Pinguini in Campo ANGOLO DEL DOC ECLISSI UNA “PICCOLA” SCOPERTA ATTUALITÀ HUDEA ESODO TUMBLR 4 4 5 6 7 I n d i c e Curiosità su… EXPO 2015 10 BIG MAC CHIMICA 10 MATITA 3D 11 LUCKY STRIKE ROSSE PARTE 2 12-13 RECENSIONI LIBRI The Quantum Thief 8 9 14 FILM Big Eyes FILM The Hobbit 3 SERIE TV Death Note MONA LISA SMILE INTERVISTA SPARATE SUL BASSISTA TRENDS TATUAGGI 3 ALLEGRI RAGAZZI MORTI 15 15 16 17 17 18 19 19 CITAZIONI20 2 Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 3 S p o r t CALCIO Un Giorno Speciale Tutto iniziò con la telefonata di un dirigente della mia società calcistica. “Sei stato selezionato per sostenere un provino per una squadra professionistica”, mi disse. L’appuntamento era fissato per la settimana successiva. In quei sette giorni, pur facendo di tutto per non pensarci, ricevevo consigli, complimenti o raccomandazioni da qualunque persona incontrassi, per cui ogni mio pensiero correva inevitabilmente al ‘famigerato’ provino. Finalmente arrivò il fatidico giorno. Il viaggio sembrava non finire mai: guardavo in continuazione fuori dal finestrino, pensando cosa mi avrebbero fatto fare. Dopo essere arrivato ed entrato nello spogliatoio, non riuscivo a fare altro che guardare gli altri ragazzi, cercavo di ricordare se li avessi già incontrati e ovviamente tentavo di concentrarmi per fare del mio meglio. Da quel momento ognuno sa che deve dare il massimo: il risultato non conta più, occorre fare meglio degli altri e dimostrare a chi ti sta osservando che sei all’altezza della situazione. Durante il riscaldamento, tra un esercizio e l’altro, lo sguardo corre o agli uomini di qualche società importante con foglio e penna in mano o a tuo padre in tribuna, che già trepida per te. Poi, finalmente, la partita. È il momento più bello, perché scarichi tutte le emozioni e la tensione, attraverso ciò che più ti piace fare: giocare a calcio. Al termine dell’incontro, dopo aver restituito all’allenatore la casacca sudata, si rientra negli spogliatoi. È allora che cominci a pensare: “Ma come, è già finito tutto? In fondo ho ancora la voglia e le forze per giocare e per dimostrare ciò che so fare”. In realtà il provino tanto atteso è terminato. “Ho dato il meglio di me o potevo fare di più?”, questo il dubbio che ti assale. Non c’è mai però una risposta definitiva. C’è solo una certezza: magari capiterà un’altra occasione simile e l’esperienza di questo giorno sarà utile per il futuro. Daniele Crescimbeni S p o r t DANZA Le Olimpiadi Le Olimpiadi della danza sono una manifestazione nazionale organizzata dall’associazione “Fare Danza” di Rovereto, che ha come direttore artistico EnkelZhuti. Lo scopo è quello di portare la danza nelle scuole, facendo conoscere questa disciplina anche a quei ragazzi che non la praticano come sport o come attività pomeridiana. La danza è, infatti, una delle arti con le quali l’essere mano esprime meglio la sua personalità e i suoi sentimenti, ed è quindi molto importante che nella fase della crescita ci si possa accostare a questa bellissima disciplina. Il nostro gruppo era formato da circa trenta ragazzi; siamo arrivati alla gara nazionale di Verona dopo aver superato le selezioni regionali disputatesi al Palarossini di Ancona nella settimana precedente, che ci hanno visti impegnati contro nove scuole; da quella competizione sono usciti tre gruppi vincitori: il Liceo “C.Varano” di Camerino, il liceo “Medi” di Senigallia ed il Liceo “Perticari” sempre di Senigallia. Anche alla prova nazionale abbiamo presentato la stessa coreografia: due balletti di danza moderna tratti dal musical “Happy Feet”. Ovviamente siamo stati tutti orgogliosi e contenti di aver raggiunto questo straordinario risultato che porta lustro sia alla scuola sia all’intera città. Tutti, noi ragazzi e le nostre insegnanti, ci siamo molto impegnati per raggiungere questo obiettivo che ha richiesto numerose prove e sacrifici, i quali sono spesso andati ad aggiungersi agli impegni quotidiani dello studio. Le emozioni che abbiamo vissuto, sia in questo periodo sia durante le gare, sono state molteplici, anche perché per molte di noi si trattava in assoluto della prima esibizione della nostra vita. Molta era l’ansia, che andava aumentando via via che il tempo passava e che avevamo l’opportunità di osservare e valutare il valore dei nostri avversari, alcuni dei quali davvero temibili. Quella stessa ansia, però, ci ha permesso di essere anche molto concentrate e piene di energia, due aspetti che, oltre a quello tecnico,sono fondamentali in un’esibizione di danza. Non sono mancati i momenti di crisi e di sconforto, soprattutto quando si avvicinava il momento di salire sul palco di fronte ai giudici. Abbiamo superato quei momenti scherzando, ridendo e ripetendoci che in fondo l’importante era partecipare…(anche se in realtà nessuno ci credeva: eravamo lì per vincere!) DANZA Pinguini in Campo Questa esperienza ha avuto un valore formativo molto alto, indipendentemente dal fatto che siamo arrivate al secondo posto. Innanzitutto è stata l’occasione per conoscerci meglio e per superare, grazie al gruppo che si è creato, certe piccole incomprensioni che spesso tendono a separarci. In secondo luogo è stata l’occasione perfetta per spronare ognuno di noi a dare il meglio di sé e a superare i momenti di vergogna. È stata un’iniziativa davvero importante a cui tutti dovrebbero partecipare, magari coinvolgendo altre arti oltre alla danza . Camilla Ferretti La vittoria in uno sport penso sia la più grande soddisfazione di un atleta. Per uno sportivo di qualsiasi disciplina la cosa fondamentale è l’allenamento: è il periodo più difficile, più faticoso, ma il suo andamento è quasi decisivo per la fase finale. Molti iniziano, ma dopo qualche lezione di prova non proseguono. La preparazione non è affatto semplice: i passi da imparare, le posizioni per la coreografia, i tempi; e poi le prove con i costumi… Quando le selezioni regionali erano all’orizzonte, il percorso per arrivare è stato come il cammino di un neonato ai primi passi: duro allenamento, ridendo e scherzando tra amici e compagni di squadra e siamo arrivati alle gare. Il brivido d’ansia parte dalla testa e arriva fino ai piedi. Nell’ora prestabilita “si aprono le danze”! Eravamo noni su undici, perciò la tensione era sempre maggiore. Abbiamo ballato dando del nostro meglio e ciò è stato premiato: classificati per le finali nazionali. Non ci credevamo. La nostra gioia era immensa: chi urlava, chi saltava (indossando vestiti da pinguino!) e chi abbracciava la prima persona che gli si presentava davanti. Siamo ritornati a casa con la felicità nel volto e nel cuore perché eravamo contenti di essere stati ricompensati dopo tutti i sacrifici. Il giorno della finale abbiamo iniziato presto a prepararci. Questa volta le squadre in gioco erano trenta. Ci sembrava impossibile, ma non abbiamo mai perso la speranza. Dopo l’esibizione mi sentivo sollevata, tuttavia il peso della premiazione era ancora presente. Quando il presentatore ha elencato gli eliminati e non eravamo nella lista, per noi già questa era una vittoria. Il tempo scorre. Siamo secondi! Gli occhi brillano di felicità e di emozione e siamo andati a festeggiare con i primi. Siamo stanchissimi, ma allo stesso tempo troviamo le energie per festeggiare per ore. Mi sento soddisfatta di me stessa e di tutti noi insieme, fiera perché nonostante i problemi di salute sono riuscita a impegnarmi e resistere fino alla fine. La vittoria è importante e soddisfacente, ma per arrivarci occorrono bravi insegnanti, buoni propositi, determinazione, autostima e lavoro di gruppo. Grazie a questa opportunità ho sperimentato sulla mia pelle il significato di tutto ciò. Giulia Loreti 4 Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 5 A n g o l o d e l D o c A n g o l o ECLISSI Il 20 Marzo scorso abbiamo assistito a un’eclissi parziale di Sole. Questo evento particolare in campo astronomico, l’ allineamento sulla linea dei nodi tra Sole, Luna e Terra, ha portato all’oscuramento del 60% del disco solare, visto dalle nostre zone. Per chi se lo fosse perso, per distrazione o impegni di lavoro o puro menefreghismo (si spera di no!), non posso altro che dire: mi dispiace. Per quanto possa apparire ridicola come manifestazione celeste, trattandosi solo di un’eclissi parziale, non avremo un’altra eclissi solare visibile fino al 2027, quando la totale copertura del Sole sarà visibile dallo Stretto di Gibilterra e dalla spianata davanti alle Piramidi di Giza in Egitto, mentre qui godremo di un discreto 80% di copertura, come già successo nel 1999 per l’eclissi totale nell’Europa Centrale. Ore 8:00. A scuola quasi tutti sono a conoscenza dell’evento grazie ai vari media e diversi si sono attrezzati con mezzi di fortuna: occhiali e vetri da saldatore, lastre radiografiche, diapositive, cocci anneriti con l’accendino scippato al compagno di banco… Alle 9:30, dopo la prima campanella, avviene il primo contatto (inizia la copertura). I primi coraggiosi si aggirano furtivi per i corridoi nascondendo nella felpa le maschere improvvisate. L’annuncio viene dato ai compagni prigionieri delle classi e parte un brusio in crescendo che costringe alcuni professori a ristabilire l’ordine turbato. Alle 10 il cielo sembra aver cambiato colore, da celestino brumoso a indaco, e già è visibile un 30% di copertura. Le teste degli studenti sono volte alle finestre e non tanto al professore che tenta inutilmente di spiegare un 6 d e l D o c UNA “PICCOLA” SCOPERTA nuovo argomento o di interrogare in pace. Alle 10.20 suona la campanella: frotte di ragazzi si riversano sulle finestre a sud-est e iniziano a immortalare l’evento sui loro smartphone, qualcuno riuscendo addirittura a postare un selfie con sole eclissato prima della fine dell’ora. Alcuni professori illuminati conducono le loro greggi sugli spiazzi antistanti o sovrastanti le scuole per permettere una migliore osservazione del massimo della parzialità. Ore 10.30. Quando quasi tutti sono richiamati nelle classi, alcuni ribelli rimangono appostati per cogliere il minuto cruciale; il cielo è innaturalmente spento, le ombre sono vaghe, la luce velata, gli animali tacciono allibiti e un lieve vento si alza misterioso. Ore 10.40. Saltano via via tutte le coperture e i disobbedienti vengono riportati entro le fila, ma lo spirito non è sazio. Alcuni fortunati approfittano dell’ora buca per collegarsi in diretta streaming con le Isole Faer Oer e le isole Svalbard, lungo il circolo polare artico, dove passa il cono d’ombra della totalità. Alle 11.30 la luna lascia il Sole, mentre sugli schermi dei telefonini il Sole delle Svalbard si oscura per un paio di minuti, lasciando meravigliati i curiosi e i fotografi giunti appositamente in quella landa ghiacciata. Curiosità e meraviglia sono forse la chiave non solo per un giusto approccio alla scienza, ma anche per sviluppare una visione più ampia e una mentalità sempre più aperta al futuro. Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 Matteo Sabbatini “Tutto normale”. Quante volte sentiamo questa espressione? La scialba quotidianità a cui ci siamo assuefatti ci sta forse facendo perdere la coscienza di trovarci in Universo che è talmente vasto e complesso che ancora non ne conosciamo che una minima parte, per cui niente è davvero normale! Infatti assistiamo a scoperte scientifiche sempre nuove e incredibilmente importanti per la comprensione del cosmo ma che spesso ci appaiono troppo strambe e poco comprensibili. L’ultima scoperta, solo in ordine di tempo, è di quello che il Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana ha definito “un fenomeno fisico fondamentale e sconosciuto.” AMS, lo spettrometro parzialmente costruito in Italia e installato sulla ISS (Stazione Spaziale Internazionale), compie rilevamenti sui raggi cosmici da quattro anni, e gli scienziati delle particelle, riunitisi a Ginevra questo Aprile, hanno pubblicato le elaborazioni della sua mole pazzesca di dati: 60 milioni di raggi analizzati, 300 milioni di eventi di particella seguiti e circa 2 TeV (Tetaelettronvolt) di energia ricevuti. Dall’analisi del comportamento degli antiprotoni (cioè protoni di carica negativa), particelle molto energetiche, è emerso uno strano comportamento, non spiegabile con i modelli matematici consueti e nemmeno con gli ultimi modelli che ipotizzano la fonte dei raggi cosmici in una stella pulsar o in una supernova morente. I rapporti totalmente inaspettati tra elettroni e antiprotoni aprono la strada ad un’eccitante ipotesi: la fonte potrebbe essere la materia oscura. Finora non si aveva avuto una prova così importante della sua esistenza e questo avrà grandi conseguenze nello studio di questa materia dalla natura ignota che pare costituire il 26,8% dell’Universo (a fronte di un magro 4,9% di materia conosciuta e di un 68,3% di misteriosa energia oscura). Quanto è ancora da scoprire! Sulla scia degli ultimi dati rivoluzionari, AMS ha iniziato quindi ad indagare, come ogni buon detective, sulle cause di tutti questi fenomeni, risalendo all’infanzia dell’Universo. In quel periodo di espansione vertiginosa si fronteggiavano la materia e il suo opposto, l’antimateria, e negli scontri le loro particelle si annichilivano, cioè si cancellavano trasformandosi in energia pura. Secondo le ultime teorie, per pochissimo prevalse la materia sull’antimateria, e così oggi siamo composti della prima. La cosa buffa è che se avesse prevalso la seconda, probabilmente non ce ne accorgeremmo: avremmo chiamato materia l’antimateria e viceversa. Questione di punti di vista! Adesso AMS sta puntando tutto sulla ricerca di antinuclei di elio, che dimostrerebbero l’esistenza di stelle e galassie composte di antimateria, e, chi può dirlo, forse anche di organismi di antimateria. Per cui, se doveste per caso incontrare per strada un vostro gemello di antimateria, non stringetegli la mano: potreste distruggere l’intero Universo convertendolo in energia. Occhi aperti! Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 Matteo Sabbatini 7 A t t u a l i t à A t t u a l i t à ESODO HUDEA La guerra è il più terribile mostro che l’uomo abbia mai creato. Distrugge tutto. Chi subisce gli orrori della guerra non torna mai lo stesso. Secondo me le guerre scoppiano per motivi stupidi. Ad esempio, dichiarare guerra ad uno stato perché la popolazione è di un’etnia diversa è stupido e razzista. Ovviamente c’è chi ci guadagna: i potenti. Loro non vedono la sofferenza di chi non ha più nulla, non sentono le grida delle mogli che perdono mariti e figli, non vedono gli occhi spaventati dei bambini che un attimo prima stringevano le mani della loro mamma, convinti di riuscire a salvarsi e che ora si trovano in mezzo alla strada, soli, senza sapere che cosa è accaduto e ignari di cosa ne sarà di loro. Ai potenti interessa solo ottenere altro potere, senza curarsi dei mezzi che devono usare e delle loro mani che si macchieranno per sempre del sangue di migliaia di innocenti, soprattutto donne, bambini e anziani. Quando penso a certe cose provo repulsione, ma anche un senso di impotenza, perché vorrei compiere tante azioni utili ma non c’è niente che si possa fare, alla fine. E poi, ci si rende conto davvero di ciò che provano le popolazioni colpite dalla guerra solo quando ci si ritrova nella stessa situazione. Chi guarda quegli orrori da fuori e non li vive, prova compassione, ma sono in pochi coloro che si danno da fare per tentare di aiutare in modo concreto. Ciò che afferma Osman Sagirli, cioè che per far comprendere realmente gli orrori della guerra, bisogna vederli negli occhi dei bambini, è vero. Gli adulti 8 tendono a nascondere tutto dietro ad una maschera apatica: paure, gioie, anche la loro vera personalità e a mostrarsi sempre forti e sicuri. I bambini invece no, loro sono trasparenti, si riesce a capire cosa provano anche alla prima occhiata. Non dovrebbero vedere certi orrori, i bambini meritano di vivere la loro infanzia felici, liberi, perché un bambino che subisce un trauma come quello di assistere ad una guerra, a tutte quelle stragi, non sarà mai un bambino. La sua infanzia è stata rubata dai potenti: non merita tutto questo. Ad esempio, la bambina nella foto di Sagirli, Hudea, a solo quattro anni si spaventa perché le puntano contro una macchina fotografica. A quell’età io mi incantavo a guardare la lucina rossa che precede il flash e avrei mai potuto di confondere una macchina fotografica con un’arma, anche perché non sapevo neanche che cosa fosse. La sua prima azione invece è stata alzare le mani sopra la testa in segno di resa. Hudea è una bambina solo di età e di corporatura, la sua mente è stata cambiata dalla guerra e gli orrori che ha visto e forse anche subito la perseguiteranno per il resto della sua vita. Non si può più permettere che ai bambini venga strappata via l’infanzia. E’ forse l’orrore più grande della guerra. Per fermare le guerre definitivamente non saprei cosa fare, perché gli uomini avidi di potere e ricchezze non cambiano mai. Allora, se proprio è “necessario” farsi la guerra, bisognerebbe che gli Stati non direttamente coinvolti impieghino più truppe per mettere in salvo i bambini colpiti dal mostro della guerra e meno per fare una guerra che non è la loro. Salviamo i bambini, magari impareranno qualcosa e quando cresceranno creeranno un nuovo mondo senza guerra. I bambini sono la nostra speranza per un mondo migliore, se continuiamo a non salvarli e a rovinargli la vita, roviniamo anche il futuro del nostro pianeta e di chi verrà dopo di noi. Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 Alice Lacchè Morire non è un crimine. Far morire,sì. Cosa racconterà ai propri figli tra 15 anni un padre sopravvissuto ai barconi affondati nel tratto di mare tra la Libia e l’Italia? Racconterà loro della speranza con la quale partì dalla sua terra natale e di come abbia speso tutti i suoi risparmi e venduto tutti i suoi averi per salire su un barcone, che prometteva morte già dall’inizio.? O descriverà loro la spietata freddezza degli scafisti, uomini che non hanno rimorsi o timore a lucrare sulla vita di altre persone, ai quali non interessa il volto o la storia che c’è dietro i soldi che vengono dati? Sei mila dollari è il prezzo che i trafficanti danno alla vita di uomini donne e bambini. Una vita spezzata, inghiottita dal mare e destinata ad essere dimenticata entro breve. Molto probabilmente saranno queste le testimonianze che i figli dei sopravvissuti ascolteranno dai loro padri e madri. E non siamo forse noi italiani ipocriti riguardo alla questione? Molti di noi sono fermamente convinti che gli immigrati vengano nel nostro paese per “rubarci il lavoro, i soldi e le case”, ma sono altrettanto sicuri che un italiano all’estero stia “lottando per il suo futuro”. E i libici invece? Stanno facendo una crociera? Siamo, per caso, ancora convinti che la Libia sia una terra di oasi e alberi da frutto? O abbiamo finalmente realizzato che in quello “scatolone di sabbia” oltre al petrolio scorre anche molto sangue?. Gli immigrati stanno fuggendo da guerre e morte, per cercare una speranza spesso quasi inesistente. Stanno abbandonando la propria patria, il luogo in cui sono nati, per rifugiarsi da un destino nefasto. Si l bass guitar pic asciano alle spalle la propria casa e salgono su dei barconi, in balia delle malattie e dei cavalloni che le bagnarole su cui viaggiano non possono fronteggiare. Altri compatrioti si abbandonano, invece, all’ipocrisia della frasi fatte: “La storia serve a non dimenticare”. Allora pochi la conoscono davvero, perché altrimenti non dimenticherebbero che siamo figli di emigrati. Non farebbero svanire nell’oblio il fatto che, molti italiani, negli ultimi anni dell’800 siano fuggiti con una valigia di cartone e una speranza nel cuore verso mete più “rosee”. O che i numeri dei morti sulle coste Libiche sono così alti da avvicinarsi a quelli di una guerra, abbastanza da poter parlare di genocidio. Ebbene, sentiamo davvero il bisogno di istituire una nuova giornata della memoria per le vittime degli scafisti oppure vogliamo agire? Vogliamo aiutare quelli che scappano, adoperarci per farli fuggire in sicurezza, o continuare impassibili ad osservare ed anzi, lamentarci dell’afflusso di disperati che arrivano vivi sulle nostre coste? L’idea che alcune vite contino meno di altre è alla base di tutto ciò che c’è di sbagliato in questa terra. Possiamo e dobbiamo evitare che, tra 15 anni, un padre con le lacrime agli occhi debba dire a suo figlio che è stato fortunato a sopravvivere ma, viste le circostanze, avrebbe preferito morire. Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 Sandra Caballina 9 C u r i o s i t à C u r i o s i t à s u . . . EXPO 2015 E’oramai incominciato l’evento più discusso e atteso di tutto l’anno, a cui siamo stati preparati attraverso tutti gli spot altisonanti e i numerosi scandali di tangenti e mafia degli appalti che hanno quasi minato la stabilità del governo democraticamente (sic) costituito. Per queste ed altre complicanze, a tre settimane dalla data di inaugurazione ufficiale, fissata per il 1 Maggio, ancora buona parte dell’esposizione non era stata completata e perciò Expo ha subito numerose diffide da parte di personalità importanti che avevano precedentemente promosso l’evento. Ultimo di questi è il marchigiano Rossini, architetto di fama internazionale, che ha espresso il suo disappunto in merito alla modifica del suo progetto per la disposizione degli stand, effettuata dalla commissione per accelerare i lavori già molte volte interrotti. Cercando di tralasciare queste seppur gravi pecche, ricordiamo che può comunque essere una buona occasione per rilanciare la nostra nazione in un’ottica di un progresso umano ecosostenibile, un punto di partenza per prendere coscienza sulle reali potenzialità dell’Uomo globale nella nostra società in trasformazione. Ma avevamo promesso curiosità:. - Sono presenti padiglioni in rappresentanza anche dei micro-stati come Città del Vaticano, San Marino, Principato di Monaco e Liechtenstein, ognuno con tre tematiche differenti! - Con il tema “Campi di idee”, la Germania della Merkel intende presentarsi come “una nazione gioviale e allegra”. (Buona fortuna!) - L’Egitto usa come mascotte la dea Iside della fertilità a presentazione dello stand sulla genetica degli alimenti. - Il Camerun tratta degli usi più innovativi del cacao, dalla farmaceutica ai biocarburi. - L’Angola dedica parte del padiglione alla tradizionale (e inusuale) centralità delle donne nella cultura nazionale. - In “Zona Caffè” si trova lo stand della Costa Rica, paese impegnatosi a liberarsi dei combustibili fossili entro sei anni. - Il Burundi ospita nel suo padiglione le tipiche 10 s u . . . MATITA 3D capanne di fango e paglia. - Durante l’esposizione si giocherà una specie di rivincita della finale mondiale 2014, la World Expo Supercup, tra Germania e Argentina. (Tedeschi ancora favoriti?) - La scorsa EXPO tenutasi a Singapore nel 2010 ha accolto 73 milioni di visitatori con il tema “Città migliori, vita migliore” sulla sostenibilità dell’impatto umano sull’ambiente, con grande successo per le allora recenti tecnologie esposte nel padiglione giapponese dei robot. - Durante l’EXPO 1958 di Bruxelles, il Belgio produsse 5 tonnellate di cioccolato al giorno. - All’EXPO 1900 di Parigi, Rudolf Diesel brevettò il suo motore ad olio di arachidi, mentre i fratelli Lumière si godevano il meritato successo del cinematografo. - All’EXPO 1876 di Philadephia fu esposto il braccio con la fiaccola della Statua della libertà. Per 50 centesimi si poteva salire in cima con una scala, e il denaro così raccolto servì a finire la statua. Matteo Sabbatini BIG MAC CHIMICA Molti tra le varie generazioni al giorno d’oggi si chiedono cosa sia rimasto del ruggente 1968, quando i giovani avevano il mondo in mano ed erano sempre pronti a scendere in strada per manifestare la loro libertà e voglia di vivere. Una cosa del ’68 ci è rimasta eccome, in verità… Forse non tutti sanno che, proprio nel 1968, il panino più venduto nel mondo e il più popolare del McMenu, il Big Mac, nacque dell’inventiva culinaria di uno studente italo-americano, Jim Delligatti, studente dell’università del Michigan e titolare di un ristorante McDonald’s ad Uniontown, in Pennsylvania. Inizialmente variò spesso nome (venne chiamato “Aristocrat” e “Blue Ribbon Burger”), ma a battezzarlo definitivamente come Big Mac fu in realtà una cameriera al Mc Donald’s di Chicago, la 21enne Esther G. Rose. “Ogni giorno 40 milioni di persone di ogni nazione, razza Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 e religione entrano nei 25.000 ristoranti Mc. Donald’s sparsi in oltre 110 paesi. Il ristorante di hamburger e patatine inventato negli anni ‘50 dai fratelli McDonald è diventato uno dei più grandi successi imprenditoriali di tutti i tempi” Mario Resca, presidente del McDonald’s Developement Italy Alzi la mano chi non è mai stato al McDonald’s. I fedeli di Burger King non contano. Bene. C’è a chi piace e c’è a chi non piace mangiarci, ma nessuno probabilmente vorrebbe farlo ancora dopo aver scoperto tutti i segreti e gli ingredienti dietro attraenti pietanze colorate. Sono stati compiuti molti studi non ufficiali sulla composizione chimica degli alimenti propinati dalle grandi catene di fast food, ma nessuno ufficiale, e questo da già da pensare. Comunque, focalizzandoci sul Big Mac: - sembra che il famoso pane al sesamo sia di farina tipo zero arricchita con edulcoranti, in modo da stimolare la produzione di insulina, alterando i livelli di glucosio nel sangue e quindi aumentando la sensazione di fame, elevando però il rischio diabete nella persona. - L’hamburger pesa 103 grammi e misura 10 cm (un po’ più largo del panino che lo contiene per dare l’impressione di abbondanza), ed è cotto per esattamene 35 secondi. Il macinato che lo costituisce potrebbe contenere, secondo alcuni, gli scarti dell’animale. - La salsa segreta, oltre a contenere numerose spezie esotiche, sembra contenere un elevata percentuale di grassi saturi di origine vegetale molto usati nell’industria del preconfezionato (olio di soia, olio di colza), potenzialmente dannosi per l’organismo se assunti in quantità eccessive e comunque dannosi per l’ambiente, visto che le emissioni di CO2 per la loro lavorazione sono assai elevate e le piantagioni stanno rimpiazzando continuamente zone forestali vergini, soprattutto nel Sud America. - I diversi edulcoranti, acidi e conservanti contenuti dal panino sono oggetto di forti accuse da parte di molti salutisti, che denunciano l’incorruttibilità poco naturale del panino ad agenti esterni quali muffe, funghi e parassiti. Con ciò ovviamente non si invita, come i più radicali fanno, a disertare tutti i fast food per sempre, anzi. Si tratta solo di un invito a prendere coscienza del basso livello di salubrità di certi prodotti, che se vengono assunti in quantità esagerate possono fare davvero male. Un paninozzo ogni tanto non fa la differenza. Uno stile di vita sano sì. Nel marzo scorso è terminata la raccolta fondi ad incasso plurimilionario per l’avvio industriale di un progetto ambizioso quanto innovativo che potrebbe avviare una vera e propria rivoluzione: la matita 3D, o 3Doodler (to doodle=scarabocchiare). In analogia con le stampanti 3D, questo prodotto della Startup Wobble Works (Boston, USA, fondata nel 2010) si propone di rendere concrete le idee dell’artista-creatore, ma libero dagli schemi di un programma computerizzato, utilizzando plastica liquefatta da un dispositivo termico che solidifica a contatto con l’aria e che permette di creare disegni a mano libera. In altre parole, una pistola “spara-colla” un po’ particolare. Su youtube circolano da mesi molti video illustrativi delle possibilità artistiche che offre: decorazioni, modellini, gioielli, cover per cellulari o semplici disegni. Infatti, già da un anno a questa parte, molti artisti di tutto il mondo si sono cimentati in questo territorio inesplorato e stanno elaborando opere via via più complesse e spettacolari. Al momento la sua diffusione commerciale è alquanto limitata e il prezzo, sebbene in calo, è ancora superiore ai 70 $. Comunque, assai probabilmente, nel corso di pochi anni la matita 3D ci sarà più familiare anche per gli usi più comuni, e non la vedremo più come “giocattolo per ricchi” o strumento del designer professionista. Gli sviluppi di questa invenzione non sono ancora tutti chiari, ma rimane il fascino indiscutibile del creare qualcosa di unico che emerga dal foglio di disegno per materializzarsi davanti agli occhi come per magia. Matteo Sabbatini Matteo Sabbatini Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 11 L u c k y S t r i k e R o s s e parte 2 I. Paolo Eleonora aveva mani sudate – scivolose come fossero saponette. Paolo l’afferrò per la vita. Le fece scorrere le mani lungo i fanchi – asciugandosele – e cercò la reazione di Edo. Il compagno sedeva sulla ringhiera – una mano saldamente ficcata in tasca e l’altra che stringeva una birra. Commentò con una lunga sorsata. O forse non l’aveva nemmeno visto. A bordo pista si ammucchiavano sassolini che gettavano piccole ombre, come cicatrici dell’acne, sul cemento rosato. Di giorno, i bambini ci si affannavano: i più goffi spingendo i monopattini, gli altri roteando le braccia per non cadere dai pattini a rotelle. Quella sera, i loro fratelli maggiori ronzavano come falene attorno alla musica. Cippo Panzer, fratello minore, con la camicia abbottonata sotto la felpa, sudato e che ballava con sua sorella, gli chiese di ballare con Leo. Paolo gli mollò una pacca che era quasi la sberla che meritava, ma acconsentì. Le scarpette scollate di Cipollina erano nere e lucide come armi. Paolo strinse cerchi attorno ad Edo, sperando di sembrare casuale, mentre ballava e chiacchierava con lei. Quando Edo fu a portata di voce, gridò: “Hai la canna, ce ne andiamo a pescare?”. Cipollina li chiamò “Finocchi!”, mentre si allontanavano passandosi una birra. II. Edoardo Gli alberi sembravano pini, ma erano coricati stranamente su se stessi, formando quasi un baldacchino di rami. “Con quale delle due ci stai provando?” s’informò Edo. Appoggiò gli scarponcini spellati – buoni solo per sembrare più alto - sulla panca e si sedette sul piano del tavolo. La pietra gli era fredda sotto le natiche. “Con nessuna delle due, credo” Edoardo staccò una cartina dal blocchetto. “Eleonora, lei...”, cominciò. “E’ grassa. Potresti parcheggiarci una macchina all’ombra del suo sedere” Ridacchiando suo malgrado, Edoardo strappò la cartina che stava leccando. “Guarda che casino mi hai fatto fare!”, protestò. Incollò due cartine in una “elle” di cui strappò il bracciò più corto. “Cartina lunga”, spiegò, graffiando l’aria con un paio di virgolette, mimate con le dita. “Ma fammi il piacere!”, lo censurò Paolo “Facciamo uno svuotino, cazzo” Levò il tabacco e il filtro da una sigaretta, 12 massaggiandosela tra le dita. Edoardo sminuzzò il grumo verde, mescolandone i frammenti al tabacco. Adattò alla Lucky Strike Rossa il filtro che si era girato e spinse il “non più tanto tabacco” nella loro “non più tanto una sigaretta”. Paolo gli passò il clipper. “Grazie”. Estrasse il bastoncino di plastica nascosto dalla rotellina dell’accendino e domandò: “Mi spieghi cosa diavolo ci fai qui?”. III. Paolo “C’era un posto che chiamavamo ‘La Gabbia’. Era solo un campetto da basket, ma noi lo chiamavamo ‘La Gabbia’ per via della brutta rete. Simone...” esitò “all’oratorio lo chiamavano Nemo. Mi portava a giocare a biliardo. Mi metteva seduto sul tavolo, con le mani incrociate dietro la schiena e mi guidava la stecca per fare buca. In cambio non parlavo della birra e di tutte le sue ragazze. Adesso...” Deglutì. Grattò la gomma da dentro un tappo di birra “Spacciava. Comprava cocaina all’ingrosso e s’incazzava se fumavamo alla ‘Gabbia’ perché gli attiravamo la pula vicino casa”, uso la gretta per staccarsi una pellicina “Un giorno si fa tutta la cocaina. Così prende me e la Marta, ci riempie di botte e ci dice di mettergli a soqquadro la casa: per far finta che sono venuti i ladri e se la sono presa loro, la roba. Colle occhiaie, il naso che sanguinava e i denti spezzati, anche, pensava che ci avrebbero creduto, gli sgherri che gliela vendevano e adesso volevano i soldi. Mi portava a giocare a biliardo, però”, ripetè, aggrottando la fronte. “La Marta non voleva più vedermi e dopo saltò fuori tutto: l’erba, le ragazze, tutto. “Per mia madre, certe cose qui non succedono” Sorrise: l’odore d’erba è più facile da riconoscere che definire. “Si sbaglia”. IV. Edoardo “La Giulia ha vomitato”, spiegò Eleonora e cadde a peso morto su Cipollina. Edoardo si leccò le dita e spense cautamente la canna. “Suo padre mi spella” spiegò. “In tal caso...” Si alzarono. Edoardo sollevò Cipollina, mentre Paolo schiaffeggiava delicatamente Leo. Si passarono la birra un’ultima volta e sciacquarono la bottiglia. Edo ripetè a Giulia che sì, era davvero acqua e le tenne la bottiglia mentre beveva. Quando lei gli rabbrividì contro Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 L u c k y S t r i k e R o s s e parte 2 la coscia, si pinzò tra le dita il tessuto sottile della sua camicetta. “Hai freddo?”. Le passò la sua felpa, strofinandole la schiena e le braccia, metre le abbassava il cappuccio. Al margine del suo campo visivo Paolo faceva lo stesso col suo maglione. Si levò la maglietta e l’avvolse in testa a Eleonora. Edo sperò che fosse abbastanza lucida da assaporare e ricordarsi il momento. Estrasse un monocolo immaginario, se lo lucidò contro la gamba dei pantaloni, se lo portò davanti alla faccia e assunse un’espressione debitamente scandalizzata. Paolo gli mostrò il dito medio. Dove c’erano i lividi, la luna non luccicava sulla sua pelle. Ritornarono a casa, rabbrividendo gli uni e barcollando le altre. V. Paolo Il dialogo con Edo sull’accademia militare, che “ti prendeva se facevi il liceo”, ma lui che faceva i geometri “ci sarebbe voluto andare”, si stava trasformando in una discussione - con Edo che lo sfidava: “mi faccio tatuare anche la lingua se serve a tenermi fuori di lì” – quando le ragazze cominciarono a scusarsi. Paolo le tranquillizzò “Una volta una tipa mi ha portato in un bosco e dipinto la camicia e la faccia di verde. Di serate ne ho passate di peggiori”. Salutarono Cipollina. Nudo dalla vita in su, puzzando d’erba e all’una di notte, Paolo preferì rimandare la sua presentazione al padre di Leo e, docilmente, si lasciò confinare da Edo nell’ombra del pianerottolo. Il compagno, indicandogli la propria maglietta - sformata, scolorita e con la stampa crepata – assunse un’aria saccente e si attaccò al campanello. Sgranò stronzate come le perle di un rosario. Mentre Paolo apprendeva di aver cantato e suonato la chitarra tutta la sera, Eleonora corse in bagno a vomitare. “Dicevi?”, fece il padre di Leo. Il tono era minaccioso anche attraverso la porta chiusa. Il portone si spalancò ed Edo gli rovinò addosso. Lui e Paolo capitombolarono giù per le scale, in un groviglio di magliette e felpe e scapparono, ridendo, dentro notte. VI. Edoardo e Paolo La Villa era rossa e bianca come un disegno. L’edera saliva per la facciata: come la banda verde di un tricolore che si stesse dipingendo la solo. Le ortensie scavalcavano i rovi ammucchiati in cortile. I loro fiori paffuti e rosa sbirciavano, come volti, tra l’erba alta. Paolo scavalcò il cancello, mentre Edo guizzava tra le sbarre. Si rincorsero attraverso il cortile e scattarono verso la porta. Al centro di un primo stanzone luminoso si spalancava una piscina. Saltarono una finestra e sdrucciolarono giù dal balcone per uno scivolo di cocci che un tempo era stato una scala. Strisciarono rasente al muro, nel giardinogiungla, attenti a non storcersi le caviglie sulle radici esplose dalle aiuole. Le porte spalancate delle camere sfarfallarono ai margini del loro campo visivo, mentre si affrettavano giù per un corridoio. Un materasso ed un paio di mutandine li rallentarono. Erano state dimenticate o erano lì per marchiare un territorio? L’eco della domanda si avvitò per una scala a chiocciola rimbalzando in una vasto garage. Paolo grattò la plastica scolorita di una giostra per bambini, la cui fessura non chiedeva centesimi ma lire. Sganciò l’elastico di un telo plastica e il mobile che c’era acquattato sotto lo ingoiò in una nube di polvere. Soffocati, si arrampicarono su una striscia di tetto, per respirare. Non c’erano tegole, ma un drappo rosso che a Paolo sembrava amianto. “E’ meglio se non lo tocchi” lo avvertì Edo “Ti arrossa la pelle e prude”. Si afferrò i polsini e fece leva cogli avambracci per montare sul tetto più alto. “Ma è amianto?”, s’informò Paolo, ingegnandosi, mentre si arrampicava, di non toccare nulla se non con il robusto tessuto dei jeans. “Boh!?” fece Edo - una risata incastrata nella sua voce - mentre correva leggiadro su per il tetto. Paolo inseguì la sagoma ossuta del suo sedere. Si stesero, passandosi un pacchetto di sigarette. Edo tastò all’interno e sorrise. Fece uscire una Lucky Strike Rossa imbottita d’erba, pensando a quella vecchia leggenda secondo cui le Lucky Strike si chiamano così perché una su mille contiene marijuana e trovarla è un colpo di fortuna: che in inglese si dice “lucky strike”. Affondò gli occhi nel cielo azzurro, guardando il fumo srotolarsi, come la scia di un aereo che lo portava lontano e rapidamente. Si rotolò verso Paolo, tendendogli la sigaretta. Si chiese quando e come fossero diventati amici e non trovò risposta. Forse era stato solamente un colpo di fortuna. Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 13 R e c e n s i o n i LIBRI The Quantum Thief Chi di noi non è iscritto ad almeno un social network? Se qualcuno di voi non lo è, o siete primati che vivono in una sperduta grotta eremitica, oppure siete coraggiosi anticonformisti. In ogni caso, siete merce rara, visto che la maggioranza della popolazione ha più di un account tra Facebook, Twitter e Instagram. Escludendo la rivoluzione sociale apportata dalla messaggistica di WhatsApp che, con le sue spunte blu e gli “ultimo accesso alle…”, continua a segnare la vita di molti ingenui giovani innamorati, prenderemo in analisi un social network molto chiacchierato: Tumblr, o “tumblr. ”, come da logo. Ad oggi, Tumblr ospita oltre 225 milioni di blog e 105 miliardi di post, che vengono creati al ritmo di 87 milioni al giorno. Tra gli utenti più della metà risulta avere un età inferiore ai 25 anni, ma il social annovera anche personalità come Barack Obama, Lady Gaga, Zooey Deschanel, Jesse Williams, John Green, Madonna, John Mayer e persino le più disparate associazioni e organizzazioni, dallo staff del British Museum alla Proloco di Camerino. Non male, eh? Tuttavia, basta chiedere in giro per accorgersi che Tumblr è considerato il social della depressione, tanto da diventare un luogo comune, associato a foto in bianco e nero di polsi e gambe tagliati, occhi lacrimanti sangue, atmosfere cupe e stati depressivi. Eppure David Karp, il fondatore di questo social, non è una sorta di Anticristo venuto sulla Terra per portare morte e desolazione: il suo scopo, quando, nel 2007, fondò Tumblr come “microblogging platform and social networking website” era di rendere accessibile a chiunque la costruzione di un “Tumblr Log”, uno spazio (a misura d’uomo) di discussione aperta, volta a sviluppare su diversi piani i “topics” (argomenti di interesse comune a gruppi di persone). Sfortunamente, la geniale intuizione di Karp è stata utilizzata da alcuni come campo fertile dove rendere pubblico il proprio disagio incitando più o meno direttamente ad autolesionismo, anoressia, bulimia o addirittura al suicidio. Sulla scia dello scandalo, non sono mancate critiche anche ironiche da altri social network, come le pagine Facebook “Cose molto Tumblr” e “L’imbarazzante disagio degli utenti di Tumblr Italia”, tanto per citarne alcune. Non tutti, però, sanno che, diventato oggetto di scandalo, anche per un’assai elevata concentrazione di materiale pornografico libero, nel marzo 2012, Tumblr ha preso provvedimenti, modificando la propria Politica dei Contenuti con queste parole: “Noi siamo profondamente impegnati a sostenere e difendere la libertà di parola dei nostri utenti, ma dobbiamo porre alcuni limiti… Non pubblicare contenuti che promuovono attivamente o celebrano autolesionismo 14 o autodistruzione…Questi sono messaggi e punti di vista ai quali ci opponiamo fermamente, e che non vogliamo ospitare sulla nostra piattaforma…Quando un utente cerca tag come “anoressia”, “anoressica”, “bulimia”, “bulimica”, “purga”, ecc., noi mostreremo un avviso pubblico che indirizzi verso linee di aiuto come ad esempio quella dell’Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso”. Ovviamente il problema non è stato del tutto eliminato, sebbene ne siano stati profondamente limitati i danni. Parallelo al Tumblr della depressione esiste anche un Tumblr “buono”, utile per l’autopromozione, per interagire con persone dagli interessi comuni, per impegnarsi nella società. Per esempio, nel 2011, Tumblr ha promosso l’occupazione di Wall Street. Tumblr può essere uno strumento fondamentale sia nel presente, come mezzo di diffusione libera e accessibile di idee, ma anche nel futuro a cui stiamo andando incontro. Già fin d’ora questo social è utilizzato come base di lancio per la promozione di aziende e privati, quindi ci possiamo aspettare che, in un domani assai prossimo, tutti dovremo familiarizzare con questo mezzo. Vi invitiamo quindi a scoprire ed esplorare, anche solo per curiosità, questo sito di cui si sparla tanto. Potreste rimanerne piacevolmente sorpresi! Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 Matteo Sabbatini Due anni fa mi trovavo, come mi è solito un paio di volte l’anno, alla ricerca di un libro nel quale immergermi, per gustare nuovamente la sensazione di sprofondare nell’ennesima storia fantasy e ricordo di essere rimasto impressionato da un’opera totalmente sconosciuta, ma promettente. Un primo segno che mi ha motivato a dargli uno sguardo è stata la rilegatura accattivante, e sopratutto, mentre il primo volume era piccolino e in formato tascabile, il secondo era più compatto e di dimensioni nettamente maggiori, segno che l’opera aveva avuto un certo successo. Presi l’ottima decisione di acquistare entrambi i volumi che iniziai subito a divorare (non in senso letterale ovviamente, in casa avevo dello strudel di mele, molto più gustoso della carta stampata). Poco fa li ho riletti in occasione della pubblicazione del terzo e ultimo volume, per creare continuità nel racconto e ora, mentre attendo il corriere di Amazon che mi dovrebbe portare il libro a giorni (in inglese, per non dover attendere 6 mesi per una traduzione in italiano o tedesco) scrivo questa recensione, che completerò appena letto “The Causal Angel”. Jean le Flambeur, ladro diventato leggendario per i suoi furti, deve rubare un artefatto dai poteri sconfinati, il Gioiello di Kaminari, creato dagli Zoku: dei “superuomini” evoluti dai “Gamer”. Questo oggetto è in grado di decidere le sorti di una battaglia che infuria da secoli, che vede contrapposti Sobornost e Zoku per il “dominio” della galassia. Le avventure del ladro lo portano su Marte dove si mette alla ricerca dell’Exomemory (Server nel quale vengono conservati i ricordi degli abitanti), per poi arrivare sulla Terra, che nel frattempo è stata devastata dal Chaoscode. Lì va a caccia di storie, ma è costretto a fuggire e nell’ultimo libro lo seguiamo mentre accosta gli indizi trovati, come tasselli di un puzzle, per carpire la collocazione del Gioiello, ma ne scopre anche la natura oscura che ha portato gli Zoku a proibire il suo utilizzo e cancellarne ogni traccia. Innanzitutto, parlando di libri, ovviamente non abbiamo aspetti grafici o sonori da prendere in considerazione, in compenso acquisisce maggiore importanza lo stile, la scorrevolezza e la terminologia con i quali si esprime l’autore e, sopra ogni altra cosa, la trama. La narrazione non è lineare e viene esposta dal punto di vista di più personaggi e spesso gli avvenimenti vengono raccontati indirettamente, dopo l’accaduto. Anche di difficile comprensione (tranne per l’autore, che è laureato in fisica quantica) risultano molti termini specifici, ma non è necessario fare lunghe ricerche per godersi la lettura, perché gli elementi chiave nello sviluppo della trama vengono approfonditi nel corso del racconto. Altro punto di forza è l’originalità delle ambientazioni, che, trattandosi di science fiction, potrebbero sembrare scontate (Marte, la Terra, Venere, Saturno), ma vengono descritte in maniera da dare una sensazione di verosomiglianza unica in un genere che tende ad essere molto vago. Non ci sono buchi nella trama, anche se spesso vengono introdotti elementi a noi sconosciuti per risolvere una situazione, non essendo l’autore vincolato dalla realtà contemporanea e i suoi mezzi tecnologici, ma avendo totale libertà di inventare entro i limiti della coerenza, ma trascendendo quelli della realisticità. Antonio Gassner FILM Big Eyes “Big Eyes” è un film del 2014 del regista re del surrealismo gotico, Tim Burton, con protagonisti il premio Oscar Christopher Waltz e Amy Adams. Tuttavia, “Big Eyes”, la seconda pellicola biografica di Burton, non ha il solito stampo tetro, ma si apre su una scenografia atta a risaltare i colori pastello degli anni ‘60, decade nella quale è ambientato il film, resi volutamente troppo brillanti, a contrasto con la trama ricca di oscurità. Margareth Ulbrich, donna sposata, che ha una figlia e un grande amore per la pittura, fugge da un matrimonio che la opprime e si rifugia nella soleggiata San Francisco, dove inizia a racimolare qualche spicciolo tratteggiando per strada ritratti e caricature dei passanti. Ed è in quella strada che conosce l’amore, o quello che lei pensa sia amore, Walter Keane, che dipinge paesaggi francesi ed ha una parlantina sciolta capace Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 15 R e c e n s i o n i R e c e n s i o n i SERIE TV Death Note di convincere il più tirchio degli uomini a portarsi a casa una tela. I due si sposano e condividono una casa e l’amore per l’arte. I guai arriveranno quando Margareth capirà che quella di Walter è solo una maschera, sotto la quale si cela un uomo avido ed egoista, capace di tutto pur di vedersi circondato da soldi ed onori. Il talento, però, non è qualcosa che si può comprare… “Big Eyes” narra la storia vera ed avvincente di Margareth Keane e delle sue bambine acriliche dai grandi occhi e lo fa con dinamicità, senza mai annoiare. Una storia ricca di colpi di scena, che nessuno si aspetterebbe da un film sulla vita di una pittrice, con un cast, musiche, scenografie e regia spettacolari. L’accuratezza della pellicola si nota dai dettagli, come per esempio i quadri sullo sfondo che sono fedelissimi agli originali. Inoltre il surrealismo di Burton, seppur centellinato in pochi fotogrammi, è presente, come una firma indelebile del regista. Consiglierei vivissimamente di vedere il film, che nonostante presenti alcune ma rare sbavature, vale il prezzo del biglietto, se non un po’ di più. Sandra Caballina FILM The Hobbit 3 Finalmente é stato presentato al cinema il finale di una storia epica, ambientata in un universo popolato da Orchi, Elfi e Nani, che ci ha fatto amare il Medioevo. Sto parlando de “Lo Hobbit”, ispirato al capolavoro di J. R. R. Tolkien. “La battaglia delle cinque armate” è sicuramente un capolavoro d’animazione grafica, pieno di effetti speciali ed eserciti sterminati, ma già qui possiamo trovare il primo piccolo difetto: l’eccessivo utilizzo di queste animazioni soprattutto negli eserciti degli orchi e nelle coorti elfiche, per quanto crei verosimiglianza e permetta di giostrare un maggior numero di soldati, va comunque ad intaccare quel senso di perfezione che dava “Il Signore degli Anelli”, dove si riconoscevano le 16 espressioni e i lineamenti facciali dei singoli soldati e dove anche la leggera desincronizzazione durante la marcia dà comunque un senso di realisticità maggiore. Un altro aspetto tecnico interessante è il 3D. Ovviamente ha i suoi aspetti positivi implementare questa tecnica, principalmente perché si nota subito che diverse scene sono state studiate e curate per l’esposizione in 3D e al cinema fanno un figurone, ma meno ottimale è stato il poter riconoscere i pori nella pelle degli attori (Legolas, parlo di te…) per non parlare dell’affaticamento visivo di due ore e mezza, che risulta stancante per un occhio non abituato come il mio. Anche interessante è l’armamento dei Nani che, nella battaglia finale, sono muniti della famosa “Havel’s Rock Armor” di Dark Souls, una lancia spartana e organizzati in formazione a testuggine romana, mentre il loro generale, Dain Ironfoot, ha una cavalcatura alternativa per via delle sue ridotte dimensioni, un cinghiale da battaglia. Mentre il capolavoro precedente, “Il Signore degli Anelli”, era strutturato in maniera ultracompatta, al punto da tagliare addirittura alcuni elementi presenti nel libro, lo Hobbit invece si trova costretto ad “inventare” e implementare storyline (l’Elfa Rossa/Azog) e personaggi ormai diventati leggendari (Legolas/Nazgul/Saruman/Galadriel) per raggiungere la stessa durata. Mentre questi ultimi sono un’aggiunta gradita, dando magiore profondità alla missione di Gandalf, Legolas è un fallimento. Non sono a conoscenza degli avvenimenti della sua vita privata, ma Legolas sembra imbottito di psicofarmaci, fino al punto di gonfiargli la faccia e anche Thranduil non rispecchia il nostro ideale classico di elfo leggiadro dalla straordinaria bellezza. Per il resto della durata del film, la storia è costellata di duelli all’ultimo sangue tra eroi degli schieramenti opposti, tra cui spicca quello tra Azog e Thorin, che porta alla morte di entrambi i contendenti, mentre sullo sfondo si intravede l’immensa battaglia che infuria tra l’antica città ora fantasma di Thal e l’entrata della Montagna Solitaria, entrambe sotto l’assedio delle possenti forze del male. Mentre l’azione non manca, le poche scene con valore “emotivo” sono stirate all’inverosimile, ma sono provviste di un ottimo accompagnamento musicale (a proposito, sapevate che la colonna sonora de “Il Signore degli Anelli” è una vera e propria sinfonia per orchestra?) Sono sicura che voi, sì proprio voi che state leggendo, siate delle persone per bene, degli angioletti scesi dal cielo con le migliori intenzioni possibili, ma almeno una volta vi sarà capitato di lanciare anatemi portatori di disgrazie o di malesseri fisiologici a qualche persona a voi particolarmente cara. Sì, mi sto proprio rivolgendo a voi cari studenti esasperati, ma tranquilli, non siete i soli, infatti a rincuorarvi ci pensa il caro Giappone, patria che detiene il maggior numero di suicidi all’anno, regalandoci un Anime con i fiocchi che fa al caso vostro, Death Note. Ideato da Tsugomi Oba e tratto dall’omonimo manga, Death Note è un concentrato di suspense, azione e mitologia giapponese. Protagonista della storia è lo studente modello Light Yagami la cui vita cambia il giorno in cui trova un misterioso quaderno nero nei pressi della sua scuola. Ciò di cui Light è ignaro è l’enorme potere che il Death Note possiede, ovvero di uccidere una persona il cui nome è stato scritto all’interno; gettato nel mondo degli umani dal suo precedente possessore, lo shinigami (Dio della morte, tanto per suscitare un po’ di allegria) Ryuk. Light si ritrova tra le mani il potere di un dio e non esita neanche per un momento ad usarlo. Col tempo diventa famoso in tutto il mondo con il nome di Kira (dall’inglese killer) e si destreggia abilmente nel condurre due vite differenti: Light Yagami, brillante studente universitario e Kira, giustiziere e “Dio del nuovo mondo”, da lui purificato dalla malvagità. Ovviamente le azioni del giovane non passano di certo inosservate, infatti la polizia giapponese ingaggia il detective Elle il quale eguaglia Light in intelligenza e astuzia. Tra Light e Elle si creerà una grande amicizia, ma riuscirà il detective a scoprire la vera identità di Kira? Non vi rovino il finale. Canale 8 del digitale terrestre…andatevelo a vedere! Antonio Gassner Sofia Carducci Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 E per la cronaca…nella vita reale non esiste (purtroppo) il Death Note. Non provate a comprare un quaderno nero, non funziona, fidatevi. MONA LISA SMILE Quando vi dico arte, voi a cosa pensate? A un dipinto, probabilmente. E quando dico dipinto? Scommetto che la maggioranza di voi ha pensato alla Mona Lisa. E’ un dipinto di Leonardo Da Vinci, creato nel 1503, che raffigura una donna, che ha alle spalle un paesaggio rurale toscano. Potremmo soffermarci sull’analisi dei colori o del soggetto, sulla tecnica usata dall’artista ma la domanda a cui voglio dare una risposta è un’altra: perché la Gioconda è uno dei quadri più conosciuti al mondo? Senza dubbio per la sua bellezza e per tutte le cospirazioni che si celano dietro la tela, ma anche per un motivo che, soprattutto nell’era dei social e della televisione, è arrivato agli occhi persino dei bambini, che non hanno ancora avuto l’occasione di aprire un libro di storia dell’arte. Qual è questo motivo? Beh, vi siete mai soffermati a pensare a quante parodie ci siano della Mona Lisa? La Gioconda è rappresentata sotto forma di personaggi dei cartoni, di film e… persino con la classica posa da Selfie. Queste rivisitazioni girano sul web, appaiono su episodi di cartoni animati visti in tutto il mondo e sono alla portata di tutti, che si vedono passare sotto gli occhi questa figura col sorriso enigmatico. E chissà se qualcuno, dopo aver visto la parodia, non vada a cercare informazioni sulla tela originale. Diamo un’occhiata alle varie rivisitazioni e vediamo quanto la fantasia si possa spingere lontano senza abbandonare o disintegrare il soggetto originale. Sandra Caballina Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 17 I n t e r v i s t a T r e n d s SPARATE SUL BASSISTA Intervista di Lucia Giorgi con Paolo Gesualdo, bassista degli «Shutem Down» Se chiedete al vostro cane chi è Jimi Hendrix, risponderà ululando «Star Sprangled Banner», con tanto di feedback e distorsioni. Ma chi sono Cliff Burton, Bill Wyman e John Paul Jones? Persino la «directioner» più accanita subisce il fascino angelico e conturbante di Kurt Cobain, ma nessuno indosserebbe una maglietta con la faccia di Krist Novoselic (forse perché i suoi denti sembrano un plastico delle Alpi Apuane). Certo, ci sono le eccezioni che confermano la regola, come Sting, ma in generale i bassisti non godono di grande fama. Eppure la musica non è fatta solamente di «front-man» che fanno roteare i microfoni e primi chitarristi che cavalcano il palco a suon di «Duck-Walk». Ci sono anche batteristi, tastieristi e bassisti. Senza di loro le vostre canzoni preferite sembrerebbero un deserto. Provate a riascoltarle con un paio di buone cuffie e capirete che cosa intendo. A meno che non ascoltiate rigorosamente il Bob Dylan acustico. E gli «Shutem Down» di acustico non hanno proprio niente. Sono dei metallari, loro. Q: «Shut ‘em Down» vuol dire «Spegnili», «Zittiscili». Chi è che volete zittire? A: Quando suoniamo, il nostro obiettivo è lasciare il pubblico e le altre band senza parole, zittite dal nostro talento e dalla nostra aggressività. E poi non sono l’unico a pensare che «Shutem Down» sia un nome tosto. (A me, per esempio, fa pensare ai «System of a Down») Q: Parliamo di te. Da quanto tempo suoni il basso e perché? A: Suono il basso da quattro o cinque anni. Per due anni sono andato a lezione, poi ho suonato in diverse band. Ho iniziato per necessità: quando i miei amici hanno deciso di metter su un complesso è sorto il problema di trovare un bassista, così mi sono «autonominato» e ho cominciato a studiare musica. ENIGMUSICA: Collega il bassista alla band TATUAGGI Q: Qual è il tuo ruolo nella band? A: Come band cerchiamo di fare tutto insieme: tutti partecipano alla composizione di nuovi pezzi, all’organizzazione delle serate, a montare e smontare l’impianto pre e post concerto... Q: Charlie Watts (il batterista dei «Rolling Stones») ha dato un pugno a Mick Jagger perché lo aveva chiamato il «SUO batterista». Ti capita mai, come bassista «sfigato» di sentirti subordinato o ignorato? A: Si dice che il basso sia uno strumento da sfigati... In realtà dipende tutto dal bassista: ci sono bassisti funk o jazz che fanno invidia a molti chitarristi. Se si è bravi anche il basso può risaltare nelle canzoni, come, ad esempio, nei «Red Hot Chili Peppers». Q: Che genere di musica fate? A: Bella domanda... Come «cover band» facciamo hard rock ed heavy metal, ma quando scriviamo pezzi originali ognuno cerca di lasciare la propria impronta. Perciò molte delle nostre canzoni non sono attinenti al genere. Se ci piacciono, ce ne sbattiamo altamente il (CENSORED) e le suoniamo lo stesso. Q: Dove si può ascoltare la vosta musica? A: Chiunque può seguirci tramite la nostra pagina Facebook, mentre noi ci affrettiamo a finire il disco... Q: Il DISCO?! A: Già. Presto uscirà un nostro EP con cinque pezzi inediti. Lo stiamo registrando a Pavia: si tratta di un premio che abbiamo vinto classificandoci primi in un contest a cui abbiamo partecipato lo scorso inverno. IL BASSISTA CONSIGLIA: “Bombtrack” - Rage Agains the Machine (Quelli che fanno “Metal-Rappato”) “Heavy Hearts” - Close Your Eyes (Che fai, ci riveli il tuo lato tenero?) “R U Mine?” - Arctic Monkeys (Sembra proprio di sì!) “Before I Forget” - Slipknot (O forse no?) soluzioni a p.20 1 Cliff Burton 2 Krist Novoselic b) Red Hot Chili Peppers 3 John Paul Jones 4 Bill Wyman 5 Flea 18 Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 a) Nirvana d) c) Metallica Led Il tatuaggio è un segno permanente sulla pelle. Un segno che ci parla, ci racconta tante storie. Rappresenta ciò che si è vissuto o un semplice desiderio avuto. E’ un segno che ha un’origine antichissima: 5000 anni ha un corpo rinvenuto nel 1991 su cui si possono vedere dei veri e propri tatuaggi. Una pratica utilizzata inizialmente per scopo terapeutico fino ad arrivare poi ad un vero e proprio simbolo di cultura. Dai crociati che portavano sul braccio la croce di Cristo, ai Maori che firmavano il loro corpo per indicare la loro appartenenza e le loro vittorie, dagli egiziani che li utilizzavano come rito funebre, ai Giapponesi che si decoravano per un semplice scopo estetico. Fino ad arrivare agli anni ‘70 durante i quali i movimenti come il punk e i bikers si tatuavano per ribellarsi alla società contemporanea. TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI Dietro quelle maschere da teschio, si nascondono tre allegri ragazzi...morti, che prendono vita attraverso la loro musica. Questo gruppo è da oltre vent’anni molto famoso nella scena indie. Le loro canzoni non possono essere catalogate in un unico genere poichè spaziano dall’alternative rock, al punk e al reggae. Troviamo al basso Enrico Molteni, alla batteria Luca Masseroni e infine alla voce e alla chitarra Davide Toffolo, popolare disegnatore di fumetti. I tre hanno deciso di non esporre la loro immagine ai media e di riconoscersi nella matita di Davide, creatore delle maschere che indossano durante i concerti e che ormai sono diventate il simbolo della band. Non è il primo gruppo che decide di nascondere la propria identità ma probabilmente la differenza sta nel fatto che lo fanno in uno stile tutto loro. Per mantenere la loro indipendenza e non sottostare alle regole del mercato discografico, hanno deciso di creare l’etichetta La Tempesta che pubblica i loro lavori e che negli anni è diventata un punto di riferimento per quegli artisti che vogliono essere Con il passare del tempo questo segno è diventato una forma d’arte che oggi unisce la maggior parte delle persone che tramite esso cercano sempre più di manifestare la propria personalità. Che abbia valenza estetica o etica, nella nostra epoca il tatuaggio vive un periodo di grande rinascita, libero dai pregiudizi ma forse svuotato dal suo significato più profondo. Nice de Blasio proprietari della propria musica. I testi dei TARM sono apparentemente leggeri ma hanno varie possibilità di interpretazione, sono profondamente comunicativi e trasmettono forti messaggi. I temi fondamentali riguardano l’adolescenza vista dal suo lato più oscuro durante la quale si affronta un periodo pieno di ostacoli che gli “allegri” cantano con ironia e leggerezza. Nice de Blasio Zeppelin e) Rolling Stones Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15 19 C i t a z i o n i Mai rimpiangere ieri. La vita è in te oggi, e tu costruisci il tuo domani. Ron Hubbard Morire non è nulla; non vivere è spaventoso. Victor Hugo La penna è la lingua dell’anima. Anonimo La nostra paura del peggio è più forte del nostro desiderio del meglio. Elio Vittorini Non sforzarti tanto. Le cose accadono quando meno te lo aspetti. Gabriel Garcia Marquez Siamo tutti nati nel fango ma alcuni di noi guardano alle stelle Oscar Wilde Ogni uomo lascia la vita come se l’avesse appena iniziata Epicuro Continuate ad essere folli, a vivere la vita nel modo che volete e non come la desiderano gli altri. Paulo Coelho Non t’ama chi d’amor ti dice, ma t’ama chi guarda e tace. William Shakespeare Soluzioni di p. 18: 1,c ; 2,a ; 3,d ; 4,e ; 5,b 20 Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15