Numero 2 - Licei Camerino

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Numero 2 - Licei Camerino
E d i t o r i a l e
Le origini della matita risalgono a 400 anni fa.
Il vocabolo deriva dal latino lapis haematitas che
significa “pietra di ematite”.La matita è uno strumento
per disegnare, colorare e scrivere ma è anche un
oggetto che riesce a tracciare segni molto potenti.
Pochi mesi fa è stata utilizzata in difesa della libertà
di stampa, diventando immediatamente un’icona
e producendo centinaia di vignette che hanno
combattuto con ironia una guerra contro il terrore.
In passato ha dato il nome, in Argentina, ad una
cruenta notte - La notte delle matite spezzatequando alcuni studenti furono arrestati, torturati e poi
fatti sparire. Desaparecidos, piccole, fragili matite
spezzate dalla dittatura.
La storia della matita è alquanto complessa. Ai giorni
nostri è uno degli oggetti più utilizzati e prodotti in
assoluto tanto da far nascere un movimento attivissimo
di collezionisti di matite.
Questo elemento di materia povera è in grado
di realizzare disegni, creare storie, cancellare
contraddizioni, seguire un pensiero ma anche scrivere
una canzone o un racconto che conforti l’umanità.
Perciò in questo numero ci piace portare alla ribalta
tale strumento, per noi studenti tanto quotidiano,
eppure così ricco di simboli, così discreto e non
indelebile, così pronto a esprimere l’universo che ci
circonda e che abbiamo dentro.
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
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I n d i c e
SPORT
CALCIO Un Giorno Speciale DANZA Le Olimpiadi DANZA Pinguini in Campo ANGOLO DEL DOC
ECLISSI UNA “PICCOLA” SCOPERTA ATTUALITÀ
HUDEA
ESODO
TUMBLR
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I n d i c e
Curiosità su…
EXPO 2015 10
BIG MAC CHIMICA
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MATITA 3D
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LUCKY STRIKE ROSSE
PARTE 2 12-13
RECENSIONI
LIBRI The Quantum Thief 8
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FILM Big Eyes
FILM The Hobbit 3 SERIE TV Death Note MONA LISA SMILE INTERVISTA
SPARATE SUL BASSISTA
TRENDS
TATUAGGI
3 ALLEGRI RAGAZZI MORTI
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CITAZIONI20
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Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
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S p o r t
CALCIO Un Giorno Speciale
Tutto iniziò con la telefonata di un dirigente della mia
società calcistica. “Sei stato selezionato per sostenere un
provino per una squadra professionistica”, mi disse.
L’appuntamento era fissato per la settimana successiva.
In quei sette giorni, pur facendo di tutto per non pensarci,
ricevevo consigli, complimenti o raccomandazioni da
qualunque persona incontrassi, per cui ogni mio pensiero
correva inevitabilmente al ‘famigerato’ provino.
Finalmente arrivò il fatidico giorno. Il viaggio sembrava
non finire mai: guardavo in continuazione fuori dal
finestrino, pensando cosa mi avrebbero fatto fare. Dopo
essere arrivato ed entrato nello spogliatoio, non riuscivo
a fare altro che guardare gli altri ragazzi, cercavo di
ricordare se li avessi già incontrati e ovviamente tentavo di
concentrarmi per fare del mio meglio.
Da quel momento ognuno sa che deve dare il massimo:
il risultato non conta più, occorre fare meglio degli altri e
dimostrare a chi ti sta osservando che sei all’altezza della
situazione. Durante il riscaldamento, tra un esercizio e
l’altro, lo sguardo corre o agli uomini di qualche società
importante con foglio e penna in mano o a tuo padre in
tribuna, che già trepida per te.
Poi, finalmente, la partita. È il momento più bello, perché
scarichi tutte le emozioni e la tensione, attraverso ciò che
più ti piace fare: giocare a calcio. Al termine dell’incontro,
dopo aver restituito all’allenatore la casacca sudata, si
rientra negli spogliatoi. È allora che cominci a pensare:
“Ma come, è già finito tutto? In fondo ho ancora la voglia
e le forze per giocare e per dimostrare ciò che so fare”.
In realtà il provino tanto atteso è terminato. “Ho dato il
meglio di me o potevo fare di più?”, questo il dubbio che ti
assale. Non c’è mai però una risposta definitiva. C’è solo
una certezza: magari capiterà un’altra occasione simile e
l’esperienza di questo giorno sarà utile per il futuro.
Daniele Crescimbeni
S p o r t
DANZA Le Olimpiadi
Le Olimpiadi della danza sono una
manifestazione nazionale organizzata
dall’associazione “Fare Danza” di
Rovereto, che ha come direttore
artistico EnkelZhuti. Lo scopo è
quello di portare la danza nelle
scuole, facendo conoscere questa
disciplina anche a quei ragazzi che
non la praticano come sport o come
attività pomeridiana. La danza è,
infatti, una delle arti con le quali
l’essere mano esprime meglio la sua
personalità e i suoi sentimenti, ed è
quindi molto importante che nella fase
della crescita ci si possa accostare a
questa bellissima disciplina.
Il nostro gruppo era formato da
circa trenta ragazzi; siamo arrivati
alla gara nazionale di Verona dopo
aver superato le selezioni regionali
disputatesi al Palarossini di Ancona
nella settimana precedente, che ci
hanno visti impegnati contro nove
scuole; da quella competizione sono usciti tre gruppi
vincitori: il Liceo “C.Varano” di Camerino, il liceo
“Medi” di Senigallia ed il Liceo “Perticari” sempre
di Senigallia. Anche alla prova nazionale abbiamo
presentato la stessa coreografia: due balletti di
danza moderna tratti dal musical “Happy Feet”.
Ovviamente siamo stati tutti orgogliosi e contenti
di aver raggiunto questo straordinario risultato
che porta lustro sia alla scuola sia all’intera città.
Tutti, noi ragazzi e le nostre insegnanti, ci siamo
molto impegnati per raggiungere questo obiettivo
che ha richiesto numerose prove e sacrifici, i quali
sono spesso andati ad aggiungersi agli impegni
quotidiani dello studio. Le emozioni che abbiamo
vissuto, sia in questo periodo sia durante le gare,
sono state molteplici, anche perché per molte di
noi si trattava in assoluto della prima esibizione
della nostra vita. Molta era l’ansia, che andava
aumentando via via che il tempo passava e che
avevamo l’opportunità di osservare e valutare il
valore dei nostri avversari, alcuni dei quali davvero
temibili. Quella stessa ansia, però, ci ha permesso
di essere anche molto concentrate e piene di
energia, due aspetti che, oltre a quello tecnico,sono
fondamentali in un’esibizione di danza. Non sono
mancati i momenti di crisi e di sconforto, soprattutto
quando si avvicinava il momento di salire sul palco
di fronte ai giudici. Abbiamo superato quei momenti
scherzando, ridendo e ripetendoci che in fondo
l’importante era partecipare…(anche se in realtà
nessuno ci credeva: eravamo lì per vincere!)
DANZA Pinguini in Campo
Questa esperienza ha avuto un valore formativo
molto alto, indipendentemente dal fatto che siamo
arrivate al secondo posto. Innanzitutto è stata
l’occasione per conoscerci meglio e per superare,
grazie al gruppo che si è creato, certe piccole
incomprensioni che spesso tendono a separarci.
In secondo luogo è stata l’occasione perfetta per
spronare ognuno di noi a dare il meglio di sé e a
superare i momenti di vergogna.
È stata un’iniziativa davvero importante a cui tutti
dovrebbero partecipare, magari coinvolgendo altre
arti oltre alla danza
.
Camilla Ferretti
La vittoria in uno sport
penso sia la più grande
soddisfazione
di
un
atleta. Per uno sportivo
di
qualsiasi
disciplina
la cosa fondamentale è
l’allenamento: è il periodo
più difficile, più faticoso,
ma il suo andamento è
quasi decisivo per la fase
finale. Molti iniziano, ma
dopo qualche lezione di
prova non proseguono.
La preparazione non è
affatto semplice: i passi
da imparare, le posizioni
per la coreografia, i
tempi; e poi le prove con
i costumi… Quando le
selezioni regionali erano
all’orizzonte, il percorso
per arrivare è stato come il
cammino di un neonato ai
primi passi: duro allenamento, ridendo e scherzando
tra amici e compagni di squadra e siamo arrivati alle
gare. Il brivido d’ansia parte dalla testa e arriva fino
ai piedi. Nell’ora prestabilita “si aprono le danze”!
Eravamo noni su undici, perciò la tensione era sempre
maggiore. Abbiamo ballato dando del nostro meglio e
ciò è stato premiato: classificati per le finali nazionali.
Non ci credevamo. La nostra gioia era immensa: chi
urlava, chi saltava (indossando vestiti da pinguino!) e
chi abbracciava la prima persona che gli si presentava
davanti. Siamo ritornati a casa con la felicità nel
volto e nel cuore perché eravamo contenti di essere
stati ricompensati dopo tutti i sacrifici. Il giorno della
finale abbiamo iniziato presto a prepararci. Questa
volta le squadre in gioco erano trenta. Ci sembrava
impossibile, ma non abbiamo mai perso la speranza.
Dopo l’esibizione mi sentivo sollevata, tuttavia il peso
della premiazione era ancora presente. Quando il
presentatore ha elencato gli eliminati e non eravamo
nella lista, per noi già questa era una vittoria. Il tempo
scorre. Siamo secondi! Gli occhi brillano di felicità e
di emozione e siamo andati a festeggiare con i primi.
Siamo stanchissimi, ma allo stesso tempo troviamo le
energie per festeggiare per ore. Mi sento soddisfatta di
me stessa e di tutti noi insieme, fiera perché nonostante i
problemi di salute sono riuscita a impegnarmi e resistere
fino alla fine. La vittoria è importante e soddisfacente,
ma per arrivarci occorrono bravi insegnanti, buoni
propositi, determinazione, autostima e lavoro di gruppo.
Grazie a questa opportunità ho sperimentato sulla mia
pelle il significato di tutto ciò.
Giulia Loreti
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Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
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A n g o l o
d e l
D o c
A n g o l o
ECLISSI
Il 20 Marzo scorso abbiamo assistito a un’eclissi
parziale di Sole. Questo evento particolare in campo
astronomico, l’ allineamento sulla linea dei nodi tra Sole,
Luna e Terra, ha portato all’oscuramento del 60% del
disco solare, visto dalle nostre zone.
Per chi se lo fosse perso, per distrazione o impegni di
lavoro o puro menefreghismo (si spera di no!), non posso
altro che dire: mi dispiace. Per quanto possa apparire
ridicola come manifestazione celeste, trattandosi
solo di un’eclissi parziale, non avremo un’altra eclissi
solare visibile fino al 2027, quando la totale copertura
del Sole sarà visibile dallo Stretto di Gibilterra e dalla
spianata davanti alle Piramidi di Giza in Egitto, mentre
qui godremo di un discreto 80% di copertura, come
già successo nel 1999 per l’eclissi totale nell’Europa
Centrale.
Ore 8:00. A scuola quasi tutti sono a conoscenza
dell’evento grazie ai vari media e diversi si sono attrezzati
con mezzi di fortuna: occhiali e vetri da saldatore,
lastre radiografiche, diapositive, cocci anneriti con
l’accendino scippato al compagno di banco…
Alle 9:30, dopo la prima campanella, avviene il primo
contatto (inizia la copertura). I primi coraggiosi si
aggirano furtivi per i corridoi nascondendo nella felpa
le maschere improvvisate. L’annuncio viene dato ai
compagni prigionieri delle classi e parte un brusio in
crescendo che costringe alcuni professori a ristabilire
l’ordine turbato.
Alle 10 il cielo sembra aver cambiato colore, da celestino
brumoso a indaco, e già è visibile un 30% di copertura.
Le teste degli studenti sono volte alle finestre e non
tanto al professore che tenta inutilmente di spiegare un
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d e l
D o c
UNA “PICCOLA” SCOPERTA
nuovo argomento o di interrogare in pace.
Alle 10.20 suona la campanella: frotte di ragazzi si
riversano sulle finestre a sud-est e iniziano a immortalare
l’evento sui loro smartphone, qualcuno riuscendo
addirittura a postare un selfie con sole eclissato prima
della fine dell’ora. Alcuni professori illuminati conducono
le loro greggi sugli spiazzi antistanti o sovrastanti le
scuole per permettere una migliore osservazione del
massimo della parzialità.
Ore 10.30. Quando quasi tutti sono richiamati nelle
classi, alcuni ribelli rimangono appostati per cogliere
il minuto cruciale; il cielo è innaturalmente spento, le
ombre sono vaghe, la luce velata, gli animali tacciono
allibiti e un lieve vento si alza misterioso.
Ore 10.40. Saltano via via tutte le coperture e i
disobbedienti vengono riportati entro le fila, ma lo spirito
non è sazio. Alcuni fortunati approfittano dell’ora buca
per collegarsi in diretta streaming con le Isole Faer Oer
e le isole Svalbard, lungo il circolo polare artico, dove
passa il cono d’ombra della totalità.
Alle 11.30 la luna lascia il Sole, mentre sugli schermi dei
telefonini il Sole delle Svalbard si oscura per un paio di
minuti, lasciando meravigliati i curiosi e i fotografi giunti
appositamente in quella landa ghiacciata. Curiosità e
meraviglia sono forse la chiave non solo per un giusto
approccio alla scienza, ma anche per sviluppare una
visione più ampia e una mentalità sempre più aperta al
futuro.
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
Matteo Sabbatini
“Tutto normale”. Quante volte sentiamo questa
espressione? La scialba quotidianità a cui ci siamo
assuefatti ci sta forse facendo perdere la coscienza di
trovarci in Universo che è talmente vasto e complesso
che ancora non ne conosciamo che una minima parte,
per cui niente è davvero normale! Infatti assistiamo a
scoperte scientifiche sempre nuove e incredibilmente
importanti per la comprensione del cosmo ma
che spesso ci appaiono troppo strambe e poco
comprensibili. L’ultima scoperta, solo in ordine di tempo,
è di quello che il Presidente dell’Agenzia Spaziale
Italiana ha definito “un fenomeno fisico fondamentale e
sconosciuto.”
AMS, lo spettrometro parzialmente costruito in Italia e
installato sulla ISS (Stazione Spaziale Internazionale),
compie rilevamenti sui raggi cosmici da quattro anni, e
gli scienziati delle particelle, riunitisi a Ginevra questo
Aprile, hanno pubblicato le elaborazioni della sua
mole pazzesca di dati: 60 milioni di raggi analizzati,
300 milioni di eventi di particella seguiti e circa 2 TeV
(Tetaelettronvolt) di energia ricevuti.
Dall’analisi del comportamento degli antiprotoni (cioè
protoni di carica negativa), particelle molto energetiche,
è emerso uno strano comportamento, non spiegabile con
i modelli matematici consueti e nemmeno con gli ultimi
modelli che ipotizzano la fonte dei raggi cosmici in una
stella pulsar o in una
supernova morente.
I rapporti totalmente
inaspettati tra elettroni
e antiprotoni aprono la
strada ad un’eccitante
ipotesi:
la
fonte
potrebbe essere la
materia oscura. Finora
non si aveva avuto una
prova così importante
della sua esistenza
e questo avrà grandi
conseguenze
nello
studio
di
questa
materia dalla natura
ignota che pare costituire il 26,8% dell’Universo (a
fronte di un magro 4,9% di materia conosciuta e di un
68,3% di misteriosa energia oscura). Quanto è ancora
da scoprire!
Sulla scia degli ultimi dati rivoluzionari, AMS ha iniziato
quindi ad indagare, come ogni buon detective, sulle
cause di tutti questi fenomeni, risalendo all’infanzia
dell’Universo. In quel periodo di espansione vertiginosa
si fronteggiavano la materia e il suo opposto, l’antimateria,
e negli scontri le loro particelle si annichilivano, cioè si
cancellavano trasformandosi in energia pura. Secondo
le ultime teorie, per pochissimo prevalse la materia
sull’antimateria, e così oggi siamo composti della prima.
La cosa buffa è che se avesse prevalso la seconda,
probabilmente non ce ne accorgeremmo: avremmo
chiamato materia l’antimateria e viceversa. Questione
di punti di vista!
Adesso AMS sta puntando tutto sulla ricerca di
antinuclei di elio, che dimostrerebbero l’esistenza di
stelle e galassie composte di antimateria, e, chi può
dirlo, forse anche di organismi di antimateria.
Per cui, se doveste per caso incontrare per strada un
vostro gemello di antimateria, non stringetegli la mano:
potreste distruggere l’intero Universo convertendolo in
energia. Occhi aperti!
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
Matteo Sabbatini
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A t t u a l i t à
A t t u a l i t à
ESODO
HUDEA
La guerra è il più terribile mostro che l’uomo abbia
mai creato. Distrugge tutto. Chi subisce gli orrori della
guerra non torna mai lo stesso. Secondo me le guerre
scoppiano per motivi stupidi. Ad esempio, dichiarare
guerra ad uno stato perché la popolazione è di un’etnia
diversa è stupido e razzista. Ovviamente c’è chi ci guadagna: i potenti. Loro non vedono la sofferenza di chi
non ha più nulla, non sentono le grida delle mogli che
perdono mariti e figli, non vedono gli occhi spaventati
dei bambini che un attimo prima stringevano le mani
della loro mamma, convinti di riuscire a salvarsi e che
ora si trovano in mezzo alla strada, soli, senza sapere
che cosa è accaduto e ignari di cosa ne sarà di loro. Ai
potenti interessa solo ottenere altro potere, senza curarsi dei mezzi che devono usare e delle loro mani che si
macchieranno per sempre del sangue di migliaia di innocenti, soprattutto donne, bambini e anziani. Quando
penso a certe cose provo repulsione, ma anche un senso di impotenza, perché vorrei compiere tante azioni
utili ma non c’è niente che si possa fare, alla fine. E poi,
ci si rende conto davvero di ciò che provano le popolazioni colpite dalla guerra solo quando ci si ritrova nella
stessa situazione. Chi guarda quegli orrori da fuori e
non li vive, prova compassione, ma sono in pochi coloro che si danno da fare per tentare di aiutare in modo
concreto. Ciò che afferma Osman Sagirli, cioè che per
far comprendere realmente gli orrori della guerra, bisogna vederli negli occhi dei bambini, è vero. Gli adulti
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tendono a nascondere tutto dietro ad una maschera
apatica: paure, gioie, anche la loro vera personalità e a
mostrarsi sempre forti e sicuri. I bambini invece no, loro
sono trasparenti, si riesce a capire cosa provano anche
alla prima occhiata. Non dovrebbero vedere certi orrori, i bambini meritano di vivere la loro infanzia felici,
liberi, perché un bambino che subisce un trauma come
quello di assistere ad una guerra, a tutte quelle stragi,
non sarà mai un bambino. La sua infanzia è stata rubata dai potenti: non merita tutto questo. Ad esempio, la
bambina nella foto di Sagirli, Hudea, a solo quattro anni
si spaventa perché le puntano contro una macchina
fotografica. A quell’età io mi incantavo a guardare la lucina rossa che precede
il flash e avrei mai potuto
di confondere una macchina fotografica con
un’arma, anche perché
non sapevo neanche che
cosa fosse. La sua prima
azione invece è stata alzare le mani sopra la testa in segno di resa. Hudea è una bambina solo
di età e di corporatura, la
sua mente è stata cambiata dalla guerra e gli
orrori che ha visto e forse
anche subito la perseguiteranno per il resto
della sua vita. Non si
può più permettere che
ai bambini venga strappata via l’infanzia. E’
forse l’orrore più grande
della guerra. Per fermare
le guerre definitivamente
non saprei cosa fare,
perché gli uomini avidi di
potere e ricchezze non cambiano mai. Allora, se proprio è “necessario” farsi la guerra, bisognerebbe che gli
Stati non direttamente coinvolti impieghino più truppe
per mettere in salvo i bambini colpiti dal mostro della
guerra e meno per fare una guerra che non è la loro.
Salviamo i bambini, magari impareranno qualcosa e
quando cresceranno creeranno un nuovo mondo senza
guerra. I bambini sono la nostra speranza per un mondo migliore, se continuiamo a non salvarli e a rovinargli
la vita, roviniamo anche il futuro del nostro pianeta e di
chi verrà dopo di noi.
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
Alice Lacchè
Morire non è un crimine. Far morire,sì.
Cosa racconterà ai propri figli tra 15 anni un padre
sopravvissuto ai barconi affondati nel tratto di mare tra
la Libia e l’Italia?
Racconterà loro della speranza con la quale partì
dalla sua terra natale e di come abbia speso tutti i suoi
risparmi e venduto tutti i suoi averi per salire su un
barcone, che prometteva morte già dall’inizio.?
O descriverà loro la spietata freddezza degli scafisti,
uomini che non hanno rimorsi o timore a lucrare sulla
vita di altre persone, ai quali non interessa il volto o
la storia che c’è dietro i soldi che vengono dati? Sei
mila dollari è il prezzo che i trafficanti danno alla vita di
uomini donne e bambini. Una vita spezzata, inghiottita
dal mare e destinata ad essere dimenticata entro
breve.
Molto probabilmente saranno queste le testimonianze
che i figli dei sopravvissuti ascolteranno dai loro padri
e madri.
E non siamo forse noi italiani ipocriti riguardo alla
questione?
Molti di noi sono fermamente convinti che gli immigrati
vengano nel nostro paese per “rubarci il lavoro, i soldi
e le case”, ma sono altrettanto sicuri che un italiano
all’estero stia “lottando per il suo futuro”. E i libici
invece? Stanno facendo una crociera? Siamo, per
caso, ancora convinti che la Libia sia una terra di oasi
e alberi da frutto? O abbiamo finalmente realizzato che
in quello “scatolone di sabbia” oltre al petrolio scorre
anche molto sangue?. Gli immigrati stanno fuggendo
da guerre e morte, per cercare una speranza spesso
quasi inesistente. Stanno abbandonando la propria
patria, il luogo in cui sono nati, per rifugiarsi da un
destino nefasto. Si l bass guitar pic asciano alle spalle
la propria casa e salgono su dei barconi, in balia
delle malattie e dei cavalloni che le bagnarole su cui
viaggiano non possono fronteggiare.
Altri compatrioti si abbandonano,
invece, all’ipocrisia della frasi fatte:
“La storia serve a non dimenticare”.
Allora pochi la conoscono
davvero, perché altrimenti non
dimenticherebbero che siamo figli
di emigrati. Non farebbero svanire
nell’oblio il fatto che, molti italiani,
negli ultimi anni dell’800 siano
fuggiti con una valigia di cartone
e una speranza nel cuore verso
mete più “rosee”. O che i numeri
dei morti sulle coste Libiche sono
così alti da avvicinarsi a quelli di
una guerra, abbastanza da poter
parlare di genocidio. Ebbene,
sentiamo davvero il bisogno di
istituire una nuova giornata della
memoria per le vittime degli
scafisti oppure vogliamo agire?
Vogliamo aiutare quelli che
scappano, adoperarci per farli
fuggire in sicurezza, o continuare
impassibili ad osservare ed anzi,
lamentarci dell’afflusso di disperati
che arrivano vivi sulle nostre coste?
L’idea che alcune vite contino meno di altre è alla
base di tutto ciò che c’è di sbagliato in questa terra.
Possiamo e dobbiamo evitare che, tra 15 anni, un
padre con le lacrime agli occhi debba dire a suo
figlio che è stato fortunato a sopravvivere ma, viste le
circostanze, avrebbe preferito morire.
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
Sandra Caballina
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C u r i o s i t à
C u r i o s i t à
s u . . .
EXPO 2015
E’oramai incominciato l’evento più discusso e atteso di
tutto l’anno, a cui siamo stati preparati attraverso tutti
gli spot altisonanti e i numerosi scandali di tangenti e
mafia degli appalti che hanno quasi minato la stabilità
del governo democraticamente (sic) costituito.
Per queste ed altre complicanze, a tre settimane
dalla data di inaugurazione ufficiale, fissata per il 1
Maggio, ancora buona parte dell’esposizione non era
stata completata e perciò Expo ha subito numerose
diffide da parte di personalità importanti che avevano
precedentemente promosso l’evento. Ultimo di
questi è il marchigiano Rossini, architetto di fama
internazionale, che ha espresso il suo disappunto
in merito alla modifica del suo progetto per la
disposizione degli stand, effettuata dalla commissione
per accelerare i lavori già molte volte interrotti.
Cercando di tralasciare queste seppur gravi pecche,
ricordiamo che può comunque essere una buona
occasione per rilanciare la nostra nazione in un’ottica
di un progresso umano ecosostenibile, un punto
di partenza per prendere coscienza sulle reali
potenzialità dell’Uomo globale nella nostra società in
trasformazione. Ma avevamo promesso curiosità:.
-
Sono presenti padiglioni in rappresentanza
anche dei micro-stati come Città del Vaticano, San
Marino, Principato di Monaco e Liechtenstein, ognuno
con tre tematiche differenti!
-
Con il tema “Campi di idee”, la Germania della
Merkel intende presentarsi come “una nazione gioviale
e allegra”. (Buona fortuna!)
-
L’Egitto usa come mascotte la dea Iside della
fertilità a presentazione dello stand sulla genetica degli
alimenti.
-
Il Camerun tratta degli usi più innovativi del
cacao, dalla farmaceutica ai biocarburi.
-
L’Angola dedica parte del padiglione alla
tradizionale (e inusuale) centralità delle donne nella
cultura nazionale.
-
In “Zona Caffè” si trova lo stand della Costa
Rica, paese impegnatosi a liberarsi dei combustibili
fossili entro sei anni.
-
Il Burundi ospita nel suo padiglione le tipiche
10
s u . . .
MATITA 3D
capanne di fango e paglia.
-
Durante l’esposizione si giocherà una specie
di rivincita della finale mondiale 2014, la World Expo
Supercup, tra Germania e Argentina. (Tedeschi ancora
favoriti?)
-
La scorsa EXPO tenutasi a Singapore nel 2010
ha accolto 73 milioni di visitatori con il tema “Città
migliori, vita migliore” sulla sostenibilità dell’impatto
umano sull’ambiente, con grande successo per
le allora recenti tecnologie esposte nel padiglione
giapponese dei robot.
-
Durante l’EXPO 1958 di Bruxelles, il Belgio
produsse 5 tonnellate di cioccolato al giorno.
-
All’EXPO 1900 di Parigi, Rudolf Diesel
brevettò il suo motore ad olio di arachidi, mentre i
fratelli Lumière si godevano il meritato successo del
cinematografo.
-
All’EXPO 1876 di Philadephia fu esposto il
braccio con la fiaccola della Statua della libertà. Per
50 centesimi si poteva salire in cima con una scala, e il
denaro così raccolto servì a finire la statua.
Matteo Sabbatini
BIG MAC CHIMICA
Molti tra le varie generazioni al giorno d’oggi si
chiedono cosa sia rimasto del ruggente 1968, quando
i giovani avevano il mondo in mano ed erano sempre
pronti a scendere in strada per manifestare la loro
libertà e voglia di vivere. Una cosa del ’68 ci è rimasta
eccome, in verità…
Forse non tutti sanno che, proprio nel 1968, il
panino più venduto nel mondo e il più popolare del
McMenu, il Big Mac, nacque dell’inventiva culinaria
di uno studente italo-americano, Jim Delligatti,
studente dell’università del Michigan e titolare di un
ristorante McDonald’s ad Uniontown, in Pennsylvania.
Inizialmente variò spesso nome (venne chiamato
“Aristocrat” e “Blue
Ribbon Burger”),
ma a battezzarlo
definitivamente come
Big Mac fu in realtà
una cameriera al Mc
Donald’s di Chicago,
la 21enne Esther G.
Rose.
“Ogni giorno 40
milioni di persone di
ogni nazione, razza
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
e religione entrano nei 25.000 ristoranti Mc. Donald’s
sparsi in oltre 110 paesi. Il ristorante di hamburger e
patatine inventato negli anni ‘50 dai fratelli McDonald è
diventato uno dei più grandi successi imprenditoriali di
tutti i tempi”
Mario Resca, presidente del McDonald’s
Developement Italy
Alzi la mano chi non è mai stato al McDonald’s. I fedeli
di Burger King non contano. Bene.
C’è a chi piace e c’è a chi non piace mangiarci, ma
nessuno probabilmente vorrebbe farlo ancora dopo
aver scoperto tutti i segreti e gli ingredienti dietro
attraenti pietanze colorate. Sono stati compiuti molti
studi non ufficiali sulla composizione chimica degli
alimenti propinati dalle grandi catene di fast food, ma
nessuno ufficiale, e questo da già da pensare.
Comunque, focalizzandoci sul Big Mac:
-
sembra che il famoso pane al sesamo sia di
farina tipo zero arricchita con edulcoranti, in modo
da stimolare la produzione di insulina, alterando i
livelli di glucosio nel sangue e quindi aumentando la
sensazione di fame, elevando però il rischio diabete
nella persona.
-
L’hamburger pesa 103 grammi e misura 10
cm (un po’ più largo del panino che lo contiene per
dare l’impressione di abbondanza), ed è cotto per
esattamene 35 secondi. Il macinato che lo costituisce
potrebbe contenere, secondo alcuni, gli scarti
dell’animale.
-
La salsa segreta, oltre a contenere numerose
spezie esotiche, sembra contenere un elevata
percentuale di grassi saturi di origine vegetale molto
usati nell’industria del preconfezionato (olio di soia,
olio di colza), potenzialmente dannosi per l’organismo
se assunti in quantità eccessive e comunque dannosi
per l’ambiente, visto che le emissioni di CO2 per la loro
lavorazione sono assai elevate e le piantagioni stanno
rimpiazzando continuamente zone forestali vergini,
soprattutto nel Sud America.
-
I diversi edulcoranti, acidi e conservanti
contenuti dal panino sono oggetto di forti accuse da
parte di molti salutisti, che denunciano l’incorruttibilità
poco naturale del panino ad agenti esterni quali muffe,
funghi e parassiti.
Con ciò ovviamente non si invita, come i più radicali
fanno, a disertare tutti i fast food per sempre, anzi. Si
tratta solo di un invito a prendere coscienza del basso
livello di salubrità di certi prodotti, che se vengono
assunti in quantità esagerate possono fare davvero
male. Un paninozzo ogni tanto non fa la differenza.
Uno stile di vita sano sì.
Nel marzo scorso è terminata la raccolta fondi ad
incasso plurimilionario per l’avvio industriale di un
progetto ambizioso quanto innovativo che potrebbe
avviare una vera e propria rivoluzione: la matita 3D, o
3Doodler (to doodle=scarabocchiare). In analogia con
le stampanti 3D, questo prodotto della Startup Wobble
Works (Boston, USA, fondata nel 2010) si propone di
rendere concrete le idee dell’artista-creatore, ma libero
dagli schemi di un programma computerizzato, utilizzando plastica liquefatta da un dispositivo termico che
solidifica a contatto con l’aria e che permette di creare
disegni a mano libera. In altre parole, una pistola
“spara-colla” un po’ particolare. Su youtube circolano
da mesi molti video illustrativi delle possibilità artistiche
che offre: decorazioni, modellini, gioielli, cover per cellulari o semplici disegni.
Infatti, già da un anno a questa parte, molti artisti
di tutto il mondo si sono cimentati in questo territorio
inesplorato e stanno elaborando opere via via più
complesse e spettacolari.
Al momento la sua diffusione commerciale è alquanto limitata e il prezzo, sebbene in calo, è ancora
superiore ai 70 $. Comunque, assai probabilmente, nel
corso di pochi anni la matita 3D ci sarà più familiare
anche per gli usi più comuni, e non la vedremo più
come “giocattolo per ricchi” o strumento del designer
professionista.
Gli sviluppi di questa invenzione non sono ancora
tutti chiari, ma rimane il fascino indiscutibile del creare
qualcosa di unico che emerga dal foglio di disegno
per materializzarsi davanti agli occhi come per magia.
Matteo Sabbatini
Matteo Sabbatini
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
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L u c k y
S t r i k e
R o s s e
parte 2
I. Paolo
Eleonora aveva mani sudate – scivolose come
fossero saponette.
Paolo l’afferrò per la vita.
Le fece scorrere le mani lungo i fanchi –
asciugandosele – e cercò la reazione di Edo.
Il compagno sedeva sulla ringhiera – una mano
saldamente ficcata in tasca e l’altra che stringeva
una birra. Commentò con una lunga sorsata. O
forse non l’aveva nemmeno visto.
A bordo pista si ammucchiavano sassolini
che gettavano piccole ombre, come cicatrici
dell’acne, sul cemento rosato.
Di giorno, i bambini ci si affannavano: i più
goffi spingendo i monopattini, gli altri roteando
le braccia per non cadere dai pattini a rotelle.
Quella sera, i loro fratelli maggiori ronzavano
come falene attorno alla musica.
Cippo Panzer, fratello minore, con la camicia
abbottonata sotto la felpa, sudato e che ballava
con sua sorella, gli chiese di ballare con Leo.
Paolo gli mollò una pacca che era quasi la sberla
che meritava, ma acconsentì.
Le scarpette scollate di Cipollina erano nere e
lucide come armi. Paolo strinse cerchi attorno
ad Edo, sperando di sembrare casuale, mentre
ballava e chiacchierava con lei.
Quando Edo fu a portata di voce, gridò: “Hai la
canna, ce ne andiamo a pescare?”.
Cipollina li chiamò “Finocchi!”, mentre si
allontanavano passandosi una birra.
II. Edoardo
Gli alberi sembravano pini, ma erano coricati
stranamente su se stessi, formando quasi un
baldacchino di rami.
“Con quale delle due ci stai provando?”
s’informò Edo. Appoggiò gli scarponcini spellati
– buoni solo per sembrare più alto - sulla panca
e si sedette sul piano del tavolo. La pietra gli era
fredda sotto le natiche.
“Con nessuna delle due, credo”
Edoardo staccò una cartina dal blocchetto.
“Eleonora, lei...”, cominciò.
“E’ grassa. Potresti parcheggiarci una macchina
all’ombra del suo sedere”
Ridacchiando suo malgrado, Edoardo strappò la
cartina che stava leccando.
“Guarda che casino mi hai fatto fare!”, protestò.
Incollò due cartine in una “elle” di cui strappò il
bracciò più corto.
“Cartina lunga”, spiegò, graffiando l’aria con un
paio di virgolette, mimate con le dita.
“Ma fammi il piacere!”, lo censurò Paolo
“Facciamo uno svuotino, cazzo”
Levò il tabacco e il filtro da una sigaretta,
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massaggiandosela tra le dita.
Edoardo sminuzzò il grumo verde,
mescolandone i frammenti al tabacco.
Adattò alla Lucky Strike Rossa il filtro che si era
girato e spinse il “non più tanto tabacco” nella
loro “non più tanto una sigaretta”.
Paolo gli passò il clipper.
“Grazie”.
Estrasse il bastoncino di plastica nascosto dalla
rotellina dell’accendino e domandò: “Mi spieghi
cosa diavolo ci fai qui?”.
III. Paolo
“C’era un posto che chiamavamo ‘La Gabbia’.
Era solo un campetto da basket, ma noi lo
chiamavamo ‘La Gabbia’ per via della brutta
rete. Simone...” esitò “all’oratorio lo chiamavano
Nemo. Mi portava a giocare a biliardo. Mi
metteva seduto sul tavolo, con le mani incrociate
dietro la schiena e mi guidava la stecca per fare
buca. In cambio non parlavo della birra e di
tutte le sue ragazze. Adesso...” Deglutì. Grattò la
gomma da dentro un tappo di birra “Spacciava.
Comprava cocaina all’ingrosso e s’incazzava se
fumavamo alla ‘Gabbia’ perché gli attiravamo
la pula vicino casa”, uso la gretta per staccarsi
una pellicina “Un giorno si fa tutta la cocaina.
Così prende me e la Marta, ci riempie di botte
e ci dice di mettergli a soqquadro la casa: per
far finta che sono venuti i ladri e se la sono
presa loro, la roba. Colle occhiaie, il naso che
sanguinava e i denti spezzati, anche, pensava
che ci avrebbero creduto, gli sgherri che gliela
vendevano e adesso volevano i soldi. Mi portava
a giocare a biliardo, però”, ripetè, aggrottando
la fronte.
“La Marta non voleva più vedermi e dopo saltò
fuori tutto: l’erba, le ragazze, tutto.
“Per mia madre, certe cose qui non succedono”
Sorrise: l’odore d’erba è più facile da riconoscere
che definire.
“Si sbaglia”.
IV. Edoardo
“La Giulia ha vomitato”, spiegò Eleonora e
cadde a peso morto su Cipollina.
Edoardo si leccò le dita e spense cautamente la
canna.
“Suo padre mi spella” spiegò.
“In tal caso...”
Si alzarono. Edoardo sollevò Cipollina, mentre
Paolo schiaffeggiava delicatamente Leo.
Si passarono la birra un’ultima volta e
sciacquarono la bottiglia. Edo ripetè a Giulia
che sì, era davvero acqua e le tenne la bottiglia
mentre beveva. Quando lei gli rabbrividì contro
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
L u c k y
S t r i k e
R o s s e
parte 2
la coscia, si pinzò tra le dita il tessuto sottile
della sua camicetta.
“Hai freddo?”.
Le passò la sua felpa, strofinandole la schiena
e le braccia, metre le abbassava il cappuccio.
Al margine del suo campo visivo Paolo faceva
lo stesso col suo maglione. Si levò la maglietta
e l’avvolse in testa a Eleonora. Edo sperò
che fosse abbastanza lucida da assaporare e
ricordarsi il momento. Estrasse un monocolo
immaginario, se lo lucidò contro la gamba
dei pantaloni, se lo portò davanti alla faccia
e assunse un’espressione debitamente
scandalizzata. Paolo gli mostrò il dito medio.
Dove c’erano i lividi, la luna non luccicava sulla
sua pelle.
Ritornarono a casa, rabbrividendo gli uni e
barcollando le altre.
V. Paolo
Il dialogo con Edo sull’accademia militare, che
“ti prendeva se facevi il liceo”, ma lui che faceva
i geometri “ci sarebbe voluto andare”, si stava
trasformando in una discussione - con Edo che
lo sfidava: “mi faccio tatuare anche la lingua se
serve a tenermi fuori di lì” – quando le ragazze
cominciarono a scusarsi.
Paolo le tranquillizzò “Una volta una tipa mi
ha portato in un bosco e dipinto la camicia e
la faccia di verde. Di serate ne ho passate di
peggiori”.
Salutarono Cipollina.
Nudo dalla vita in su, puzzando d’erba e
all’una di notte, Paolo preferì rimandare la sua
presentazione al padre di Leo e, docilmente,
si lasciò confinare da Edo nell’ombra del
pianerottolo. Il compagno, indicandogli la
propria maglietta - sformata, scolorita e con la
stampa crepata – assunse un’aria saccente e si
attaccò al campanello.
Sgranò stronzate come le perle di un rosario.
Mentre Paolo apprendeva di aver cantato e
suonato la chitarra tutta la sera, Eleonora corse
in bagno a vomitare.
“Dicevi?”, fece il padre di Leo. Il tono era
minaccioso anche attraverso la porta chiusa.
Il portone si spalancò ed Edo gli rovinò
addosso. Lui e Paolo capitombolarono giù per
le scale, in un groviglio di magliette e felpe e
scapparono, ridendo, dentro notte.
VI. Edoardo e Paolo
La Villa era rossa e bianca come un disegno.
L’edera saliva per la facciata: come la banda verde
di un tricolore che si stesse dipingendo la solo.
Le ortensie scavalcavano i rovi ammucchiati
in cortile. I loro fiori paffuti e rosa sbirciavano,
come volti, tra l’erba alta.
Paolo scavalcò il cancello, mentre Edo guizzava
tra le sbarre.
Si rincorsero attraverso il cortile e scattarono
verso la porta.
Al centro di un primo stanzone luminoso si
spalancava una piscina. Saltarono una finestra e
sdrucciolarono giù dal balcone per uno scivolo
di cocci che un tempo era stato una scala.
Strisciarono rasente al muro, nel giardinogiungla, attenti a non storcersi le caviglie sulle
radici esplose dalle aiuole.
Le porte spalancate delle camere sfarfallarono
ai margini del loro campo visivo, mentre si
affrettavano giù per un corridoio. Un materasso
ed un paio di mutandine li rallentarono. Erano
state dimenticate o erano lì per marchiare un
territorio?
L’eco della domanda si avvitò per una scala a
chiocciola rimbalzando in una vasto garage.
Paolo grattò la plastica scolorita di una giostra
per bambini, la cui fessura non chiedeva
centesimi ma lire.
Sganciò l’elastico di un telo plastica e il mobile
che c’era acquattato sotto lo ingoiò in una nube
di polvere.
Soffocati, si arrampicarono su una striscia di
tetto, per respirare.
Non c’erano tegole, ma un drappo rosso che a
Paolo sembrava amianto.
“E’ meglio se non lo tocchi” lo avvertì Edo “Ti
arrossa la pelle e prude”.
Si afferrò i polsini e fece leva cogli avambracci per
montare sul tetto più alto.
“Ma è amianto?”, s’informò Paolo, ingegnandosi,
mentre si arrampicava, di non toccare nulla se
non con il robusto tessuto dei jeans.
“Boh!?” fece Edo - una risata incastrata nella sua
voce - mentre correva leggiadro su per il tetto.
Paolo inseguì la sagoma ossuta del suo sedere.
Si stesero, passandosi un pacchetto di sigarette.
Edo tastò all’interno e sorrise. Fece uscire una
Lucky Strike Rossa imbottita d’erba, pensando
a quella vecchia leggenda secondo cui le Lucky
Strike si chiamano così perché una su mille
contiene marijuana e trovarla è un colpo di
fortuna: che in inglese si dice “lucky strike”.
Affondò gli occhi nel cielo azzurro, guardando il
fumo srotolarsi, come la scia di un aereo che lo
portava lontano e rapidamente.
Si rotolò verso Paolo, tendendogli la sigaretta. Si
chiese quando e come fossero diventati amici e
non trovò risposta. Forse era stato solamente un
colpo di fortuna.
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
13
R e c e n s i o n i
LIBRI The Quantum Thief
Chi di noi non è iscritto ad almeno un social network?
Se qualcuno di voi non lo è, o siete primati che vivono in
una sperduta grotta eremitica, oppure siete coraggiosi
anticonformisti. In ogni caso, siete merce rara, visto che
la maggioranza della popolazione ha più di un account
tra Facebook, Twitter e Instagram.
Escludendo la rivoluzione sociale apportata dalla
messaggistica di WhatsApp che, con le sue spunte
blu e gli “ultimo accesso alle…”, continua a segnare la
vita di molti ingenui giovani innamorati, prenderemo in
analisi un social network molto chiacchierato: Tumblr, o
“tumblr. ”, come da logo.
Ad oggi, Tumblr ospita oltre 225 milioni di blog e 105
miliardi di post, che vengono creati al ritmo di 87 milioni
al giorno. Tra gli utenti più della metà risulta avere un
età inferiore ai 25 anni, ma il social annovera anche
personalità come Barack Obama, Lady Gaga, Zooey
Deschanel, Jesse Williams, John Green, Madonna,
John Mayer e persino le più disparate associazioni
e organizzazioni, dallo staff del British Museum alla
Proloco di Camerino.
Non male, eh?
Tuttavia, basta chiedere in giro per accorgersi che
Tumblr è considerato il social della depressione, tanto
da diventare un luogo comune, associato a foto in
bianco e nero di polsi e gambe tagliati, occhi lacrimanti
sangue, atmosfere cupe e stati depressivi.
Eppure David Karp, il fondatore di questo social, non
è una sorta di Anticristo venuto sulla Terra per portare
morte e desolazione: il suo scopo, quando, nel 2007,
fondò Tumblr come “microblogging platform and
social networking website” era di rendere accessibile
a chiunque la costruzione di un “Tumblr Log”, uno
spazio (a misura d’uomo) di discussione aperta, volta
a sviluppare su diversi piani i “topics” (argomenti di
interesse comune a gruppi di persone).
Sfortunamente, la geniale intuizione di Karp è stata
utilizzata da alcuni come campo fertile dove rendere
pubblico il proprio disagio incitando più o meno
direttamente ad autolesionismo, anoressia, bulimia o
addirittura al suicidio. Sulla scia dello scandalo, non
sono mancate critiche anche ironiche da altri social
network, come le pagine Facebook “Cose molto Tumblr”
e “L’imbarazzante disagio degli utenti di Tumblr Italia”,
tanto per citarne alcune.
Non tutti, però, sanno che, diventato oggetto di
scandalo, anche per un’assai elevata concentrazione
di materiale pornografico libero, nel marzo 2012,
Tumblr ha preso provvedimenti, modificando la propria
Politica dei Contenuti con queste parole: “Noi siamo
profondamente impegnati a sostenere e difendere
la libertà di parola dei nostri utenti, ma dobbiamo
porre alcuni limiti… Non pubblicare contenuti che
promuovono attivamente o celebrano autolesionismo
14
o autodistruzione…Questi sono messaggi e punti di
vista ai quali ci opponiamo fermamente, e che non
vogliamo ospitare sulla nostra piattaforma…Quando
un utente cerca tag come “anoressia”, “anoressica”,
“bulimia”, “bulimica”, “purga”, ecc., noi mostreremo un
avviso pubblico che indirizzi verso linee di aiuto come
ad esempio quella dell’Associazione Italiana Disturbi
dell’Alimentazione e del Peso”.
Ovviamente il problema non è stato del tutto eliminato,
sebbene ne siano stati profondamente limitati i danni.
Parallelo al Tumblr della depressione esiste anche
un Tumblr “buono”, utile per l’autopromozione, per
interagire con persone dagli interessi comuni, per
impegnarsi nella società. Per esempio, nel 2011, Tumblr
ha promosso l’occupazione di Wall Street.
Tumblr può essere uno strumento fondamentale sia nel
presente, come mezzo di diffusione libera e accessibile
di idee, ma anche nel futuro a cui stiamo andando
incontro. Già fin d’ora questo social è utilizzato come
base di lancio per la promozione di aziende e privati,
quindi ci possiamo aspettare che, in un domani assai
prossimo, tutti dovremo familiarizzare con questo
mezzo. Vi invitiamo quindi a scoprire ed esplorare,
anche solo per curiosità, questo sito di cui si sparla
tanto. Potreste rimanerne piacevolmente sorpresi!
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
Matteo Sabbatini
Due anni fa mi trovavo,
come mi è solito un
paio di volte l’anno, alla
ricerca di un libro nel
quale immergermi, per
gustare nuovamente
la sensazione
di sprofondare
nell’ennesima storia
fantasy e ricordo
di essere rimasto
impressionato da
un’opera totalmente
sconosciuta, ma
promettente. Un
primo segno che mi
ha motivato a dargli
uno sguardo è stata la rilegatura accattivante, e
sopratutto, mentre il primo volume era piccolino e
in formato tascabile, il secondo era più compatto
e di dimensioni nettamente maggiori, segno che
l’opera aveva avuto un certo successo. Presi l’ottima
decisione di acquistare entrambi i volumi che iniziai
subito a divorare (non in senso letterale ovviamente,
in casa avevo dello strudel di mele, molto più gustoso
della carta stampata). Poco fa li ho riletti in occasione
della pubblicazione del terzo e ultimo volume, per
creare continuità nel racconto e ora, mentre attendo
il corriere di Amazon che mi dovrebbe portare il libro
a giorni (in inglese, per non dover attendere 6 mesi
per una traduzione in italiano o tedesco) scrivo questa
recensione, che completerò appena letto “The Causal
Angel”.
Jean le Flambeur, ladro diventato leggendario
per i suoi furti, deve rubare un artefatto dai poteri
sconfinati, il Gioiello di Kaminari, creato dagli Zoku:
dei “superuomini” evoluti dai “Gamer”. Questo oggetto
è in grado di decidere le sorti di una battaglia che
infuria da secoli, che vede contrapposti Sobornost e
Zoku per il “dominio” della galassia. Le avventure del
ladro lo portano su Marte dove si mette alla ricerca
dell’Exomemory (Server nel quale vengono conservati
i ricordi degli abitanti), per poi arrivare sulla Terra, che
nel frattempo è stata devastata dal Chaoscode. Lì va
a caccia di storie, ma è costretto a fuggire e nell’ultimo
libro lo seguiamo mentre accosta gli indizi trovati,
come tasselli di un puzzle, per carpire la collocazione
del Gioiello, ma ne scopre anche la natura oscura
che ha portato gli Zoku a proibire il suo utilizzo e
cancellarne ogni traccia.
Innanzitutto, parlando di libri, ovviamente non abbiamo
aspetti grafici o sonori da prendere in considerazione,
in compenso acquisisce maggiore importanza lo
stile, la scorrevolezza e la terminologia con i quali si
esprime l’autore e, sopra ogni altra cosa, la trama. La
narrazione non è lineare e viene esposta dal punto
di vista di più personaggi e spesso gli avvenimenti
vengono raccontati indirettamente, dopo l’accaduto.
Anche di difficile comprensione (tranne per l’autore,
che è laureato in fisica quantica) risultano molti termini
specifici, ma non è necessario fare lunghe ricerche
per godersi la lettura, perché gli elementi chiave nello
sviluppo della trama vengono approfonditi nel corso
del racconto.
Altro punto di forza è l’originalità delle ambientazioni,
che, trattandosi di science fiction, potrebbero
sembrare scontate (Marte, la Terra, Venere, Saturno),
ma vengono descritte in maniera da dare una
sensazione di verosomiglianza unica in un genere che
tende ad essere molto vago. Non ci sono buchi nella
trama, anche se spesso vengono introdotti elementi
a noi sconosciuti per risolvere una situazione, non
essendo l’autore vincolato dalla realtà contemporanea
e i suoi mezzi tecnologici, ma avendo totale
libertà di inventare entro i limiti della coerenza, ma
trascendendo quelli della realisticità.
Antonio Gassner
FILM Big Eyes
“Big Eyes” è un film del
2014 del regista re del
surrealismo gotico, Tim
Burton, con protagonisti
il premio Oscar
Christopher Waltz e Amy
Adams.
Tuttavia, “Big Eyes”,
la seconda pellicola
biografica di Burton,
non ha il solito stampo
tetro, ma si apre su
una scenografia atta a
risaltare i colori pastello
degli anni ‘60, decade
nella quale è ambientato
il film, resi volutamente troppo brillanti, a contrasto con
la trama ricca di oscurità.
Margareth Ulbrich, donna sposata, che ha una
figlia e un grande amore per la pittura, fugge da un
matrimonio che la opprime e si rifugia nella soleggiata
San Francisco, dove inizia a racimolare qualche
spicciolo tratteggiando per strada ritratti e caricature
dei passanti.
Ed è in quella strada che conosce l’amore, o quello
che lei pensa sia amore, Walter Keane, che dipinge
paesaggi francesi ed ha una parlantina sciolta capace
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
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R e c e n s i o n i
R e c e n s i o n i
SERIE TV Death Note
di convincere il più tirchio degli uomini a portarsi a
casa una tela.
I due si sposano e condividono una casa e l’amore per
l’arte.
I guai arriveranno quando Margareth capirà che quella
di Walter è solo una maschera, sotto la quale si cela un
uomo avido ed egoista, capace di tutto pur di vedersi
circondato da soldi ed onori.
Il talento, però, non è qualcosa che si può comprare…
“Big Eyes” narra la storia vera ed avvincente di
Margareth Keane e delle sue bambine acriliche
dai grandi occhi e lo fa con dinamicità, senza mai
annoiare. Una storia ricca di colpi di scena, che
nessuno si aspetterebbe da un film sulla vita di una
pittrice, con un cast, musiche, scenografie e regia
spettacolari.
L’accuratezza della pellicola si nota dai dettagli, come
per esempio i quadri sullo sfondo che sono fedelissimi
agli originali. Inoltre il surrealismo di Burton, seppur
centellinato in pochi fotogrammi, è presente, come una
firma indelebile del regista.
Consiglierei vivissimamente di vedere il film, che
nonostante presenti alcune ma rare sbavature, vale il
prezzo del biglietto, se non un po’ di più.
Sandra Caballina
FILM The Hobbit 3
Finalmente é stato
presentato al cinema
il finale di una storia
epica, ambientata in
un universo popolato
da Orchi, Elfi e Nani,
che ci ha fatto amare il
Medioevo. Sto parlando
de “Lo Hobbit”, ispirato
al capolavoro di J. R. R.
Tolkien.
“La battaglia delle
cinque armate” è
sicuramente un
capolavoro d’animazione
grafica, pieno di effetti
speciali ed eserciti
sterminati, ma già qui possiamo trovare il primo
piccolo difetto: l’eccessivo utilizzo di queste animazioni
soprattutto negli eserciti degli orchi e nelle coorti
elfiche, per quanto crei verosimiglianza e permetta di
giostrare un maggior numero di soldati, va comunque
ad intaccare quel senso di perfezione che dava
“Il Signore degli Anelli”, dove si riconoscevano le
16
espressioni e i lineamenti facciali dei singoli soldati e
dove anche la leggera desincronizzazione durante la
marcia dà comunque un senso di realisticità maggiore.
Un altro aspetto tecnico interessante è il 3D.
Ovviamente ha i suoi aspetti positivi implementare
questa tecnica, principalmente perché si nota subito
che diverse scene sono state studiate e curate per
l’esposizione in 3D e al cinema fanno un figurone,
ma meno ottimale è stato il poter riconoscere i pori
nella pelle degli attori (Legolas, parlo di te…) per non
parlare dell’affaticamento visivo di due ore e mezza,
che risulta stancante per un occhio non abituato
come il mio.
Anche interessante è l’armamento dei Nani che, nella
battaglia finale, sono muniti della famosa “Havel’s
Rock Armor” di Dark Souls, una lancia spartana
e organizzati in formazione a testuggine romana,
mentre il loro generale, Dain Ironfoot, ha una
cavalcatura alternativa per via delle sue ridotte
dimensioni, un cinghiale da battaglia.
Mentre il capolavoro precedente, “Il Signore degli
Anelli”, era strutturato in maniera ultracompatta,
al punto da tagliare addirittura alcuni elementi
presenti nel libro, lo Hobbit invece si trova
costretto ad “inventare” e implementare storyline
(l’Elfa Rossa/Azog) e personaggi ormai diventati
leggendari (Legolas/Nazgul/Saruman/Galadriel)
per raggiungere la stessa durata. Mentre questi
ultimi sono un’aggiunta gradita, dando magiore
profondità alla missione di Gandalf, Legolas
è un fallimento. Non sono a conoscenza degli
avvenimenti della sua vita privata, ma Legolas
sembra imbottito di psicofarmaci, fino al punto
di gonfiargli la faccia e anche Thranduil non
rispecchia il nostro ideale classico di elfo leggiadro
dalla straordinaria bellezza.
Per il resto della durata del film, la storia è
costellata di duelli all’ultimo sangue tra eroi degli
schieramenti opposti, tra cui spicca quello tra
Azog e Thorin, che porta alla morte di entrambi
i contendenti, mentre sullo sfondo si intravede
l’immensa battaglia che infuria tra l’antica città ora
fantasma di Thal e l’entrata della Montagna Solitaria,
entrambe sotto l’assedio delle possenti forze del male.
Mentre l’azione non manca, le poche scene con
valore “emotivo” sono stirate all’inverosimile, ma
sono provviste di un ottimo accompagnamento
musicale (a proposito, sapevate che la colonna
sonora de “Il Signore degli Anelli” è una vera e propria
sinfonia per orchestra?)
Sono sicura che voi, sì
proprio voi che state
leggendo, siate delle
persone per bene, degli
angioletti scesi dal cielo
con le migliori intenzioni
possibili, ma almeno una
volta vi sarà capitato
di lanciare anatemi
portatori di disgrazie o
di malesseri fisiologici
a qualche persona a
voi particolarmente
cara. Sì, mi sto proprio
rivolgendo a voi cari
studenti esasperati, ma
tranquilli, non siete i soli,
infatti a rincuorarvi ci pensa il caro Giappone, patria
che detiene il maggior numero di suicidi all’anno,
regalandoci un Anime con i fiocchi che fa al caso
vostro, Death Note.
Ideato da Tsugomi Oba e tratto dall’omonimo manga,
Death Note è un concentrato di suspense, azione e
mitologia giapponese. Protagonista della storia è lo
studente modello Light Yagami la cui vita cambia il
giorno in cui trova un misterioso quaderno nero nei
pressi della sua scuola. Ciò di cui Light è ignaro è
l’enorme potere che il Death Note possiede, ovvero
di uccidere una persona il cui nome è stato scritto
all’interno; gettato nel mondo degli umani dal suo
precedente possessore, lo shinigami (Dio della morte,
tanto per suscitare un po’ di allegria) Ryuk.
Light si ritrova tra le mani il potere di un dio e non
esita neanche per un momento ad usarlo. Col tempo
diventa famoso in tutto il mondo con il nome di Kira
(dall’inglese killer) e si destreggia abilmente nel
condurre due vite differenti: Light Yagami, brillante
studente universitario e Kira, giustiziere e “Dio del
nuovo mondo”, da lui purificato dalla malvagità.
Ovviamente le azioni del giovane non passano di certo
inosservate, infatti la polizia giapponese ingaggia il
detective Elle il quale eguaglia Light in intelligenza e
astuzia. Tra Light e Elle si creerà una grande amicizia,
ma riuscirà il detective a scoprire la vera identità
di Kira? Non vi rovino il finale. Canale 8 del digitale
terrestre…andatevelo a vedere!
Antonio Gassner
Sofia Carducci
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
E per la cronaca…nella vita reale non esiste
(purtroppo) il Death Note. Non provate a comprare un
quaderno nero, non funziona, fidatevi.
MONA LISA SMILE
Quando vi dico arte, voi a
cosa pensate? A un dipinto,
probabilmente. E quando
dico dipinto? Scommetto
che la maggioranza di voi ha
pensato alla Mona Lisa.
E’ un dipinto di Leonardo Da
Vinci, creato nel 1503, che
raffigura una donna, che ha
alle spalle un paesaggio rurale
toscano. Potremmo soffermarci
sull’analisi dei colori o del
soggetto, sulla tecnica usata
dall’artista ma la domanda a
cui voglio dare una risposta è
un’altra: perché la Gioconda è
uno dei quadri più conosciuti
al mondo?
Senza dubbio per la sua
bellezza e per tutte le
cospirazioni che si celano
dietro la tela, ma anche per un
motivo che, soprattutto nell’era
dei social e della televisione, è
arrivato agli occhi persino dei
bambini, che non hanno ancora
avuto l’occasione di aprire un
libro di storia dell’arte.
Qual è questo motivo?
Beh, vi siete mai soffermati
a pensare a quante parodie
ci siano della Mona Lisa? La
Gioconda è rappresentata
sotto forma di personaggi dei
cartoni, di film e… persino
con la classica posa da Selfie.
Queste rivisitazioni girano sul
web, appaiono su episodi di
cartoni animati visti in tutto il
mondo e sono alla portata di
tutti, che si vedono passare
sotto gli occhi questa figura col
sorriso enigmatico. E chissà
se qualcuno, dopo aver visto
la parodia, non vada a cercare
informazioni sulla tela originale.
Diamo un’occhiata alle varie
rivisitazioni e vediamo quanto
la fantasia si possa spingere
lontano senza abbandonare o
disintegrare il soggetto originale.
Sandra Caballina
Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
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I n t e r v i s t a
T r e n d s
SPARATE SUL BASSISTA
Intervista di Lucia Giorgi con Paolo Gesualdo, bassista
degli «Shutem Down»
Se chiedete al vostro cane chi è Jimi Hendrix,
risponderà ululando «Star Sprangled Banner», con
tanto di feedback e distorsioni. Ma chi sono Cliff
Burton, Bill Wyman e John Paul Jones?
Persino la «directioner» più accanita subisce il fascino
angelico e conturbante di Kurt Cobain, ma nessuno
indosserebbe una maglietta con la faccia di Krist
Novoselic (forse perché i suoi denti sembrano un
plastico delle Alpi Apuane).
Certo, ci sono le eccezioni che confermano la regola,
come Sting, ma in generale i bassisti non godono di
grande fama.
Eppure la musica non è fatta solamente di «front-man»
che fanno roteare i microfoni e primi chitarristi che
cavalcano il palco a suon di «Duck-Walk». Ci sono
anche batteristi, tastieristi e bassisti. Senza di loro le
vostre canzoni preferite sembrerebbero un deserto.
Provate a riascoltarle con un paio di buone cuffie e
capirete che cosa intendo. A meno che non ascoltiate
rigorosamente il Bob Dylan acustico. E gli «Shutem
Down» di acustico non hanno proprio niente. Sono dei
metallari, loro.
Q: «Shut ‘em Down» vuol dire «Spegnili»,
«Zittiscili». Chi è che volete zittire?
A: Quando suoniamo, il nostro obiettivo è lasciare il
pubblico e le altre band senza parole, zittite dal nostro
talento e dalla nostra aggressività.
E poi non sono l’unico a pensare che «Shutem Down»
sia un nome tosto. (A me, per esempio, fa pensare ai
«System of a Down»)
Q: Parliamo di te. Da quanto tempo suoni il basso e
perché?
A: Suono il basso da quattro o cinque anni. Per due
anni sono andato a lezione, poi ho suonato in diverse
band.
Ho iniziato per necessità: quando i miei amici hanno
deciso di metter su un complesso è sorto il problema
di trovare un bassista, così mi sono «autonominato» e
ho cominciato a studiare musica.
ENIGMUSICA:
Collega il bassista alla band TATUAGGI
Q: Qual è il tuo ruolo nella band?
A: Come band cerchiamo di fare tutto insieme:
tutti partecipano alla composizione di nuovi pezzi,
all’organizzazione delle serate, a montare e smontare
l’impianto pre e post concerto...
Q: Charlie Watts (il batterista dei «Rolling Stones»)
ha dato un pugno a Mick Jagger perché lo aveva
chiamato il «SUO batterista». Ti capita mai,
come bassista «sfigato» di sentirti subordinato o
ignorato?
A: Si dice che il basso sia uno strumento da sfigati... In
realtà dipende tutto dal bassista: ci sono bassisti funk
o jazz che fanno invidia a molti chitarristi. Se si è bravi
anche il basso può risaltare nelle canzoni, come, ad
esempio, nei «Red Hot Chili Peppers».
Q: Che genere di musica fate?
A: Bella domanda... Come «cover band» facciamo
hard rock ed heavy metal, ma quando scriviamo pezzi
originali ognuno cerca di lasciare la propria impronta.
Perciò molte delle nostre canzoni non sono attinenti al
genere. Se ci piacciono, ce ne sbattiamo altamente il
(CENSORED) e le suoniamo lo stesso.
Q: Dove si può ascoltare la vosta musica?
A: Chiunque può seguirci tramite la nostra pagina
Facebook, mentre noi ci affrettiamo a finire il disco...
Q: Il DISCO?!
A: Già. Presto uscirà un nostro EP con cinque pezzi
inediti. Lo stiamo registrando a Pavia: si tratta di un
premio che abbiamo vinto classificandoci primi in un
contest a cui abbiamo partecipato lo scorso inverno.
IL BASSISTA CONSIGLIA:
“Bombtrack” - Rage Agains the Machine (Quelli che
fanno “Metal-Rappato”)
“Heavy Hearts” - Close Your Eyes (Che fai, ci riveli il
tuo lato tenero?)
“R U Mine?” - Arctic Monkeys (Sembra proprio di sì!)
“Before I Forget” - Slipknot (O forse no?)
soluzioni a p.20
1 Cliff Burton
2 Krist Novoselic
b) Red Hot Chili Peppers
3 John Paul Jones
4 Bill Wyman
5 Flea
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Ci Vuole Costanza n.4, a.2, a.s. 2014/15
a) Nirvana
d)
c) Metallica
Led
Il tatuaggio è un segno permanente sulla pelle.
Un segno che ci parla, ci racconta tante storie.
Rappresenta ciò che si è vissuto o un semplice
desiderio avuto. E’ un segno che ha un’origine
antichissima: 5000 anni ha un corpo rinvenuto nel
1991 su cui si possono vedere dei veri e propri
tatuaggi. Una pratica utilizzata inizialmente per scopo
terapeutico fino ad
arrivare poi ad un vero
e proprio simbolo di
cultura. Dai crociati che
portavano sul braccio
la croce di Cristo, ai
Maori che firmavano il
loro corpo per indicare
la loro appartenenza
e le loro vittorie,
dagli egiziani che li
utilizzavano come rito
funebre, ai Giapponesi
che si decoravano per
un semplice scopo
estetico. Fino ad arrivare
agli anni ‘70 durante i
quali i movimenti come
il punk e i bikers si tatuavano per ribellarsi alla società
contemporanea.
TRE ALLEGRI RAGAZZI
MORTI
Dietro quelle maschere da teschio, si nascondono tre
allegri ragazzi...morti, che prendono vita attraverso la
loro musica. Questo gruppo è da oltre vent’anni molto
famoso nella scena indie. Le loro canzoni non possono
essere catalogate in un unico genere poichè spaziano
dall’alternative rock, al punk e al reggae.
Troviamo al basso Enrico Molteni, alla batteria Luca
Masseroni e infine alla voce e alla chitarra Davide
Toffolo, popolare disegnatore di fumetti. I tre hanno
deciso di non esporre la loro immagine ai media e
di riconoscersi nella matita di Davide, creatore delle
maschere che indossano durante i concerti e che
ormai sono diventate il simbolo della band. Non è il
primo gruppo che decide di nascondere la propria
identità ma probabilmente la differenza sta nel fatto
che lo fanno in uno stile tutto loro.
Per mantenere la loro indipendenza e non sottostare
alle regole del mercato discografico, hanno deciso
di creare l’etichetta La Tempesta che pubblica i
loro lavori e che negli anni è diventata un punto di
riferimento per quegli artisti che vogliono essere
Con il passare del tempo
questo segno è diventato
una forma d’arte che oggi
unisce la maggior parte
delle persone che tramite
esso cercano sempre più
di manifestare la propria
personalità. Che abbia
valenza estetica o etica, nella
nostra epoca il tatuaggio
vive un periodo di grande
rinascita, libero dai pregiudizi
ma forse svuotato dal suo
significato più profondo.
Nice de Blasio
proprietari della propria musica.
I testi dei TARM sono apparentemente leggeri
ma hanno varie possibilità di interpretazione,
sono profondamente comunicativi e trasmettono
forti messaggi. I temi fondamentali riguardano
l’adolescenza vista dal suo lato più oscuro durante la
quale si affronta un periodo pieno di ostacoli che gli
“allegri” cantano con ironia e leggerezza.
Nice de Blasio
Zeppelin
e) Rolling Stones
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C i t a z i o n i
Mai rimpiangere ieri. La vita è in te oggi, e tu costruisci il tuo domani.
Ron Hubbard
Morire non è nulla; non vivere è spaventoso.
Victor Hugo
La penna è la lingua dell’anima.
Anonimo
La nostra paura del peggio è più forte del nostro desiderio del meglio.
Elio Vittorini
Non sforzarti tanto. Le cose accadono quando meno te lo aspetti.
Gabriel Garcia Marquez
Siamo tutti nati nel fango ma alcuni di noi guardano alle stelle
Oscar Wilde
Ogni uomo lascia la vita come se l’avesse appena iniziata
Epicuro
Continuate ad essere folli, a vivere la vita nel modo che volete e non come la desiderano gli altri.
Paulo Coelho
Non t’ama chi d’amor ti dice, ma t’ama chi guarda e tace.
William Shakespeare
Soluzioni di p. 18: 1,c ; 2,a ; 3,d ; 4,e ; 5,b
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