TRICOLOGIA INTERNISTICA - Società Italiana di Tricologia

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TRICOLOGIA INTERNISTICA - Società Italiana di Tricologia
September 2009
Official Journal
of the International Hair
Research Foundation
TRICOLOGIA INTERNISTICA
Lo stato dei capelli
come sintomo di patologia interna:
casi clinici e diagnosi differenziale
Atti del 1° Corso di Tricologia Internistica
Milano, 25-26 Settembre 2009
Scripta
MEDICA
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
1
Human Trichology
Official Journal of the International
Hair Research Foundation
Editor in Chief
Fabio Rinaldi (Italy)
Co-Editors
Elisabetta Sorbellini (Italy), Paola Bezzola (Italy)
Editorial Board
Jimènez Acosta (Spain)
Giuseppe Alessandrini (Italy)
Mark R. Avram (USA)
Mauro Barbareschi (Italy)
Carlo Alberto Bartoletti (Italy)
Emanuele Bartoletti (Italy)
Walter Beolchi (Switzerland)
Francesca Bernacchi (Italy)
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Mauro Castiglioni (Italy)
Leonardo Celleno (Italy)
Claude Dalle (France)
Vincenzo De Sanctis (Italy)
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Giuseppe Micali (Italy)
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Paolo Piazza (Italy)
Paolo Pigatto (Italy)
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Marco Toscani (Italy)
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Kenneth J. Washenik (USA)
Customer Board
Diego Dalla Palma (Italy)
Olimpia Mignosi (Italy)
Managing Editor
Antonio Di Maio (Italy)
IHRF Secretary Staff
Alessandra Ferretti (Italy), Assunta Preite (Italy)
Editoriale
Fabio Rinaldi
Presidente International Hair Research Foundation.
Cambiamo la visuale: occupiamoci di capelli come se fosse un discorso degno dell’interesse di un
medico. Sembra difficile, considerando che i capelli non hanno più nessuna funzione utile per il
corpo umano da quando non servono più a difenderci dal freddo o dal caldo come nei nostri antenati del Neolitico, più di diecimila anni fa. Hanno perso talmente importanza, che addirittura la
evoluzione della specie dell’uomo ha portato a cambiamenti genetici adattativi del patrimonio
genetico più utili per la sopravvivenza dell’essere umano, che hanno selezionato dei geni che
determinano la calvizie androgenetica nell’80% degli uomini e nel 50% delle donne (verrebbe da
dire: calvi è meglio!).
Sì, è vero, i capelli hanno mantenuto una importanza estetica e ancora di più psicologica notevole, tanto da essere una delle cause principali di alterazione dell’immagine di sè per moltissime
persone, e rappresentare una delle forme più importanti (e spesso gravi) di dismorfismo. Possibile
che esista gente che soffra così tanto per la mancanza di qualche capello? Comunque ci sono gli
psichiatri per questi!
Avere dei capelli sani, una chioma bella e folta è molto importante per una donna come per un
uomo a qualsiasi età, anche per il condizionamento che i media impongono, e questo è un altro
segno dei tempi che corrono. Ma perché un medico dovrebbe occuparsi di questo?
Allora, cambiamo la visuale. I capelli sono una parte del corpo umano: la loro salute dipende dallo
stato di salute generale dell’organismo. Quando i capelli cadono, quando la cute del cuoio capelluto è alterata, quando i capelli diventano fragili o brutti significa che qualcosa nel corpo non va
come dovrebbe: spesso questo è un segnale che deve essere valutato dal punto di vista medico.
La caduta dei capelli è, in molti casi, uno dei primi sintomi e spesso uno dei più visibili, di una
patologia interna. Se un medico, e a maggior ragione un dermatologo, prende in considerazione
il “sintomo caduta dei capelli” può fare la diagnosi di una malattia, magari anche grave.
La letteratura scientifica è piena di segnalazioni di questo genere, ma a volte un medico si limita a “liquidare” la persona che dice di perdere i capelli consigliandole uno shampoo e al massimo
un integratore a base di pochi aminoacidi. Eccoci di nuovo: che noia occuparsi di capelli per un
medico, ci sono i parrucchieri per questo!
Sarà perché la missione della International Hair Research Foundation è occuparsi di capelli, sarà
perché crediamo che un medico, e a maggior ragione un dermatologo, non possa non occuparsi
di capelli (questa è una famosa citazione di Albert Kligman!), abbiamo pensato di organizzare
un corso di aggiornamento per medici per rivalutare il “sintomo caduta dei capelli”: usiamo il
sintomo come strumento di diagnosi clinica per numerose patologie internistiche.
Del resto, le nuove ricerche sul genoma ci hanno insegnato che le mutazioni del DNA legate a
polimorfismi ormai evidenziati, determinano gravi danni della sequenza genica e dell’espre s s i one dei geni che controllano l’attività biologica dei capelli: queste modificazioni genetiche spesso
non interessano solo i bulbi piliferi, ma anche la prostata, l’endometrio, la mammella o le ossa
(per interessamento dei recettori androgeni allocati sul cromosoma X). Qualche anno fa un articolo pubblicato su Lancet segnalava un abbinamento statisticamente significativo tra l’alopecia
androgenetica localizzata prevalentemente al vertice e il cancro della prostata!
Il polimorfismo della trasmissione genica dei recettori androgeni nell’alopecia androgenetica è
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stata abbinata anche a patologia coronarica, e soprattutto a malattie metaboliche collegate alla
resistenza all’insulina e al diabete di tipo II.
Per esempio, se un medico si trova di fronte una ragazza che dice di perdere i capelli, che si
lamenta per un presunto diradamento della chioma come se fosse un uomo (anche se quasi
impercettibile), può scegliere due strade di comportamento:
a)
b)
International Hair Research Foundation
Viale Bianca Maria, 19 - 20122 Milano
Tel. +39 02780061
E-mail: [email protected]
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Direttore Responsabile Pietro Cazzola
D i re t t o re Generale A rmando Mazzù
D i re t t o re Marketing Antonio Di Maio
Consulenza Grafica Piero Merlini
Impaginazione Stefania Cacciaglia
Ascoltarla, compatendola, cercare di rassicurarla e dirle che non ha niente, e prescriverle un integratore a base di ferro (un po’ di ferro fa sempre bene!)
Fare un’anamnesi più accurata, valutare il suo peso corporeo scoprendo che è in sovrappeso, capire se ha mestruazioni regolari, valutare se ha una pur modesta forma di acne,
considerare la situazione dei capelli magari evidenziando un leggero diradamento e la
miniaturizzazione dei fusti, richiedere degli esami del sangue che comprendano
ANCHE la insulinemia e la colesterolemia.
Se la scelta è B, potrebbe mettere in luce una sindrome dell’ovaio policistico (forse addirittura
senza la policistosi), con iperinsulinemia e predisposizione al diabete di tipo II. Se la scelta è B,
questo medico ha fatto il suo lavoro di medico!
Si potrebbe andare avanti con mille altri esempi: la “semeiotica” del capello può portare alla diagnosi di forme di anemia (questo è facile), oppure di patologia tiroidea (per esempio di una tiro idite autoimmune collegata all’area celsi o a una forma di alopecia cicatriziale), o a un glucagonoma del surrene, ad una grave malattia infettiva, ad una patologia autoimmune, all’assunzione di farmaci o ad alterazioni metaboliche ed alimentari (per esempio le fasi inizali di un disturbo alimentare come l’anoressia).
Oppure scopriamo che la caduta dei capelli (vera o presunta) è causa di un dimorfismo grave, di
una sindrome ansioso-depressiva che rovina la vita a chi ne soffre, e che merita di essere curata
dallo specialista psichiatra.
Abbiamo cambiato la visuale: non è tanto per una questione noiosamente estetica (ma siamo
sicuri che non sia comunque corretto cercare di curare anche solo un problema estetico?), ma per
diagnosticare una patologia che può essere grave sin dai primi sintomi.
Allo stesso modo il capillizio può essere affetto da patologie cutanee molto banali come la forf ora o la dermatite seborroica, ma anche da patologie più gravi come una metastati cutanea.
Una lesione nodulo-cistica dello scalpo è spesso una cisti sebacea, ma può essere la metastasi di
un tumore polmonare come primo sintomo del cancro: è quello che è capitato recentemente ad
un nostro paziente che ci era stato inviato dal suo medico per l’asportazione della presunta e
banale cisti.
In quasi tutte le specialità cliniche i capelli possono essere coinvolti.
Lo scopo di questo primo corso di tricologia internistica è quello di focalizzare l’attenzione sul
capello per utilizzarlo nel lavoro diagnostico a favore dei nostri pazienti. Lo faremo grazie all’intervento di medici di varie specialità, a tecniche di diagnosi differenziali, all’aiuto di valutazioni
istologiche.
Fatta la diagnosi, poi, possiamo cercare anche una terapia utile per l’eventuale patologia internistica e per ridurre la caduta dei capelli, che paradossalmente a volte è la cosa che interessa di
più al paziente!
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Indice
I n t e rnational Hair Research Foundation
nasce per dare impulso alla ricerca scientifica in
ambito tricologico, un settore complesso in cui
si compenetrano aspetti medici, psicologici,
estetici e commerciali.
I n t e rnational Hair Research Foundation
ha come scopo la diffusione delle più aggiorn ate e comprovate informazioni al poliedrico
mondo della ricerca tricologica: medici, biologi, farmacisti, cosmetologi, aziende, hair professionals.
pag. 5
La genetica dell’alopecia androgenetica
e dell’alopecia areata
Fabio Rinaldi
pag. 9
Istopatologia delle alopecie
Raffaele Gianotti
pag. 10
I n t e rnational Hair Research Foundation
si rivolge a tutti coloro che, per motivi personali
o a vario titolo, sono interessati a questo rilevante argomento.
Lo stato dei capelli come sintomo di patologia interna:
casi clinici e diagnosi differenziale.
Aspetti nutrizionali e internistici
Alessandro Saibene
pag. 11
Capelli e ormoni femminili
Enrico Pedrini
cerca di colmare, in Italia e nel resto del
mondo, un vuoto di informazione sulle più
importanti e nuove conquiste della scienza
medica tricologica.
pag. 13
Non solo androgenetica: la terapia medica complementare
alla chirurgia della calvizie
Piero Rosati
I n t e rnational Hair Research Foundation
pag. 17
I difetti acquisiti del cuoio capelluto:
procedure ricostruttive
I n t e rnational Hair Research Foundation
attraverso una divulgazione scientifica comprensibile a tutti, si pone al servizio delle molte
persone che vivono la patologia tricologica in
modo così grave da condizionare, in senso
negativo, la loro qualità di vita e da re n d e re
effettivo il rischio, attraverso l’impiego di rimedi tutt’altro che scientifici, di un peggioramento della loro situazione.
I n t e rnational Hair Research Foundation
ha come motto:
“Il nostro sapere al vostro servizio”.
I n t e rnational Hair Research Foundation
vuol essere un punto di riferimento per i giorn alisti che vogliono attingere, in tempo reale, informazioni scientificamente certe e innovative nel
settore tricologico.
Marco Toscani, C. Monarca, M.I. Rizzo
pag. 21
La psicopatologia dell’immagine corporea
Cesare Maffei
pag. 24
Aggiornamenti in tema di sindrome dell’ovaio policistico
Roberto Lanzi
pag. 24
L’importanza della galenica e del consiglio
del Farmacista
Mauro Castiglioni
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La genetica dell’alopecia androgenetica e dell’alopecia areata
Fabio Rinaldi
Dermatologo e Presidente International Hair Research Foundation.
Gli esseri umani differiscono l’uno dall’altro sotto
molti aspetti, a partire dall’apparenza fisica, al comportamento individuale, alla suscettibilità alle malattie, alla risposta ai
farmaci. È ben noto come la maggior parte di queste caratteristiche siano frutto della codificazione degli innumerevoli
geni che compongono il genoma umano, pur considerando
l’influenza dell’ambiente e di mille altre variabili che ci circondano.
Le modificazioni genetiche avvenute nell’evoluzione dell’uomo hanno portato a significativi cambiamenti del numero
della popolazione sulla terra nel corso dei millenni, della sua
densità e delle condizioni culturali che hanno determinato
l’introduzione dell’agricoltura all’inizio del Neolitico, 10.000
anni fa. Le modificazioni dei geni nel corso dell’evoluzione ha
determinato le caratteristiche dell’uomo di oggi.
Gran parte delle differenze tra i primi esseri umani e l’uomo di
oggi è frutto di mutazioni del DNA umano capaci di generare
diff e renze genetiche ereditabili da un individuo all’altro: i polimorfismi. È stato stimato che negli umani si verifichi una mutazione di circa quattro nuovi aminoacidi alterati del genoma per
ogni generazione. La gran parte di queste mutazioni possono
avere un effetto vantaggioso per l’essere umano (mutazioni
adattative), deleterio o neutro dal momento che non produce
effetti utili per il buono stato di salute dell’individuo.
Le variazioni genetiche nell’essere umano assumono molte
forme, variando da anomalie cromosomiche macroscopicamente evidenti a modificazioni di un singolo nucleotide.
Recentemente sono state descritte variazioni sub microscopiche di numero di copie di segmenti di DNA o variazioni di
copie di polimorfismi, che determinano gravi alterazioni del
genoma a causa di deplezioni, inserzioni, duplicazioni che
portano a gravi danni della corretta sequenza genica o dell’espressione dei geni.
Le malattie geneticamente controllate possono essere classificate come disturbi con tratti monogenici, oligogenici o poligenici.
Le classiche malattie monogeniche sono determinate da un
singolo locus genico, e il fenotipo corrispondente risulta dall’attività di uno o due alleli. I geni coinvolti nelle malattie ad
e reditarietà monogenica hanno caratteristiche molto evidenti e
tipiche per l’analisi di segregazione della popolazione e seguono le regole dell’ereditarietà di Mendel. Se pochi geni maggio-
ri determinano una modificazione genetica si parla di trasmissione oligogenica, e anche in questo caso è possibile
determinare un’analisi di segregazione della popolazione.
Una malattia poligenica può avere un fenotipo continuamente differente, dovuto all’azione adattativa di numerosi
geni maggiori e alla modulazione contemporanea dell’espressione di numerosissimi geni, quasi con variazioni individuali, tanto da non poter essere studiata con tecniche di
segregazione della popolazione. In questi casi si deve effettuare una valutazione più complessa con associazioni di
alleli (linkage disequilibrium).
Come qualsiasi altra espressione del genoma
umano, i capelli sono regolati da una innumerevole serie di
espressioni genetiche che controllano la loro vita. Allo stesso modo, è stato possibile individuare negli ultimi anni
alcuni meccanismi genetici coinvolti nell’ereditarietà di due
forme di patologia tricologica estremamente comuni: l’alopecia androgenetica e l’alopecia areata.
ALOPECIA ANDROGENETICA (AGA)
L’AGA è una forma indiscutibilmente ereditaria,
anche considerando l’altissima incidenza nella popolazione
maschile e femminile. Certamente sembra essere una di
quelle modificazioni neutre, conseguenti a variazioni adattative più significative. La modalità completa di ereditarietà
rimane ancora oscura.
Non sono stati ancora individuati i geni responsabili con
certezza. Il principale meccanismo etiopatologico dell’AGA,
riportabile alla conversione del testosterone in di-idrotestosterone per effetto dei due isoenzimi 5-!-reduttasi I e II nei
follicoli piliferi dei soggetti affetti da AGA, implica un ruolo
dei geni che determinano l’espressione di questo meccanismo. Ellis et al., tuttavia nel 1998 non hanno evidenziato
nessun coinvolgimento dei geni (separati per ognuno di
essi) che codificano i due isoenzimi (SRD5A1 e SRD5A2)
nell’AGA. Il gene SRD5A2 riduce la sua espressione genica
in conseguenza alla somministrazione di finasteride; il gene
SRD5A1 invece non è influenzato dalla finasteride, ma dalla
dutasteride: studi di Thigpen AE et al. hanno dimostrato che,
contrariamente a quanto spesso affermato, la distribuzione
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del recettore di tipo I è predominante su tutto lo scalpo dalla
nascita a 3 anni e, di nuovo, dalla pubertà sino all’età adulta
avanzata.
Il gene che codifica il re c e t t o re dell’enzima di tipo I
(SRD5A1) è localizzato sul cromosoma 5 (5p15.5), mentre il
gene che codifica l’enzima di tipo II (SRD5A2) è localizzato
sul cromosoma 2 (2p.23). Entrambi i geni sono localizzati su
autosomi.
Gli Autori non hanno tuttavia evidenziato nessuna differenza significativa di modificazione genica (valutata con tecnica
RFLP, Restriction Fragment Lenght Polymorphisms, che non
altera la sequenza aminoacidicica, ma può essere usata come
marker genetico di varianti geniche), con uno studio su 828
famiglie, per un totale di 3000 individui. Le variazioni geniche dei 2 tipi dei recettori della 5-!-reduttasi non sembrano
quindi legate all’AGA. Anche l’ipotesi che la calvizie androgenetica sia una patologia a trasmissione autosomica non
sembra più veritiera, essendo più accreditata la possibilità
che si tratti di una ereditarietà a trasmissione poligenica.
L’espressione dei recettori androgeni (AR) è fortemente
aumentata nello scalpo dei soggetti affetti da calvizie. Il recettore androgeno è un tipico recettore steroideo e determina la
sensibilità delle cellule agli ormoni androgeni. Un numero
importante di mutazioni sono state descritte nel gene che
codifica gli AR in molte patologie più che altro legate al polimorfismo della ripetizione della tripletta CAG nei recettori
Ar X-linked, come la malattia di Kennedy che è associata ad
un certo grado di insensibilità agli androgeni, al cancro prostatico ed endometriale, all’irsutismo, all’acne, alla diminuzione della massa ossea e al tumore alla mammella in donne.
Alcune di queste mutazioni, associate con cambi funzionali
dell’espressione genica dei recettori AR e modificazioni dell’espressione del recettore o delle zone intorno, possono
essere considerate responsabili dell’AGA.
Utilizzando sempre il marker RFLP (StuI), Ellis et al. hanno
dimostrato un polimorfismo nell’exone 1 dei recettori AR,
causato da varianti di ripetizioni della tripletta CAG e GGN,
che sono stati riconosciuti responsabili dell’aumento del
rischio di cancro alla prostata. A questo proposito è interessante notare come la presenza dei recettori androgenici è
determinante per lo sviluppo dell’AGA, ma di per sé non sia
sufficiente a determinare la calvizie androgenetica. È fondamentale anche la presenza di alti livelli di androgeni circolanti: la castrazione, infatti, riduce l’incidenza della calvizie,
pur in presenza dei recettori geneticamente trasmessi.
Nello studio condotto da Ellis, comunque, è stato dimostrato come i markers StuI dell’espressione genetica degli AR fossero presenti in 53 dei 54 soggetti esaminati affetti da AGA
evidente sotto ai 30 anni, e nel 90% dei soggetti adulti affet-
ti da AGA. In altre parole, la possibilità di non presentare
una calvizie androgenetica in presenza dell’espressione genetica di questi recettori è estremamente minima.
Si deve considerare quindi la possibilità che altre
modificazioni poligeniche legate alla concentrazione degli
androgeni tissutali siano necessarie per completare l’espressione fenotipica, in particolare i geni coinvolti nell’espressione delle aromatasi e quelli legati al metabolismo
androgenico posti sul cromosoma X.
Questa spiegazione sembra plausibile anche dall’evidenza
di soggetti non affetti da AGA ma che presentano l’espressione genetica StuI: probabilmente la mancanza di altri
alleli legati agli androgeni, e soprattutto quelli trasmessi dal
cromosoma X, non sono presenti in questi soggetti. L’analisi
dell’espressione genetica dei recettori AR in presenza di
StuI ha anche definito le differenze funzionali espresse
dalle diverse mutazioni della lunghezza della ripetizione
della tripletta CAG. Ripetizioni brevi sono state messe in
correlazione con più alte espressioni di AR mRNA e con
maggiore funzione di attività trascrizionale. La frequenza di
catene di ripetizione corte sia di CAG che di GGN sono
altamente frequenti in soggetti calvi, esattamente come in
soggetti affetti da cancro alla prostata, patologia considerata una condizione certa androgeno-dipendente.
Il polimorfismo della trasmissione genetica è ulteriormente
confermato dalle segnalazioni di AGA abbinato a numerosi altri fenotipi clinici, come l’associazione con la coronaropatia, la iperplasia prostatica benigna, il cancro alla prostata e malattie metaboliche abbinate alla resistenza all’insulina e al diabete di tipo II.
Uno studio fondamentale di Hillmer et al. condotto in
Germania, ha dimostrato l’importanza fondamentale della
presenza del gene degli AR (MIM 313700) sulla regione
Xq12-22 del cromosoma X, in un campione di 95 famiglie
nelle quali almeno due fratelli manifestavano AGA in età
precoce (391 individui tipizzati, con 201 uomini affetti). La
localizzazione dei markers, non necessariamente a livello
del centromero, suggerisce che gli aplotipi AR predominanti sono una manifestazione più recente dell’evoluzione,
indicando forse, addirittura, un’azione di selezione favorevole su questo locus. Dal momento che gli androgeni
mediano una grande quantità di risposte fisiologiche e di
sviluppo dell’organismo attraverso l’azione degli AR, specialmente per il sistema riproduttivo maschile, è plausibile
che le modificazioni genetiche dei recettori androgenici
possano avere un impatto positivo sulla selezione umana
(verrebbe da dire: calvi è meglio!). In questo studio, la ripetizione della tripletta CAG non risultava significativa per
l’incidenza dell’AGA (affetti/non affetti p = 1), mentre la
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mutazione con la ripetizione della tripletta GGN era fortemente associata alla calvizie (affetti/non affetti p < 0.0001).
Da questi studi, l’allele composto da 23 ripetizioni di GGN
sembra essere addirittura l’allele responsabile dell’AGA.
È interessante segnalare che ripetizioni più brevi della tripletta sono segnalate in associazione con il tumore alla prostata, ripetizioni più lunghe con il tumore all’endometrio,
anche se questi dati sono tuttora da confermare con studi
più completi.
Questi dati, che al momento sembrano essere i più convincenti, attribuiscono ai recettori AR posti sul cromosoma X,
la maggiore responsabilità della trasmissione ereditaria
dell’AGA. Questi dati però non possono spiegare la somiglianza della trasmissione ereditaria da padre a figlio, dal
momento che i figli maschi ereditano il cromosoma X dalla
madre. I risultati di questo importante studio genetico, tuttavia, evidenziano l’importanza della linea materna nella
ereditarietà della calvizie androgenetica, per la trasmissione
della mutazione di 23 ripetizioni della tripletta GGN all’interno del cromosoma X nella regione del gene dell’AR. In
questo modo, la responsabilità dell’ereditarietà dell’AGA ad
un figlio maschio sarebbe maggiore attraverso il cromosoma X che la madre ha ereditato dal padre (trasmissione
nonno materno " nipote, e non padre " figlio).
Probabilmente il polimorfismo poligenico ha anche altre
modificazioni su geni autosomici che determinano i vari
gradi della AGA.
ALOPECIA AREATA (AA)
L’alopecia areata è inquadrabile ormai con certezza come una malattia autoimmune. Dal momento che l’influenza genetica è stata chiaramente dimostrata per forme
patologie autoimmuni, la AA ha certamente una componente di trasmissione genetica complessa.
La AA non segue le regole dell’ereditarietà mendeliana, ed
è presumibile che la AA abbia un carattere poligenico in cui
geni maggiori determinano la gravità della patologia, ma il
fenotipo definitivo sia regolato dall’espressione di numerosi geni minori.
La AA, seguendo le regole di una patologia a carattere poligenico, si esprime a livello individuale con differenti fenotipi: se
la soglia dell’espressione genica è bassa non si manifesta la
patologia; tanto più il livello della soglia di suscettibilità genica si alza (con azione sinergica aumentata di più geni maggiori e minori), tanto più si manifesterà con gravità differente
e recidive continue, dalla comparsa di un singola chiazza sino
ad una forma completa di alopecia totale e/o universale.
La soglia di espressione della malattia è comunque regolata
anche da numerosi fattori esogeni (età, fattori ambientali, alimentari, altro?) e di conseguenza l’andamento della malattia
(età di insorgenza, recidive, remissione).
La trasmissione genetica della AA sembra essere dimostrata
anche dalla comparsa dell’alta frequenza della patologia in
gemelli omozigoti, o in numerosi membri e per successive
generazioni della stessa famiglia.
Una associazione molto evidente è tra la AA e la trisomia 21
(sindrome di Down): in uno studio su 1000 soggetti affetti
da trisomia 21 l’incidenza della AA è stata di 60 casi, contro
un solo caso in un gruppo di controllo sano di 1000 soggetti. Numerosi altri studi hanno dimostrato l’associazione con
altre patologie legate al cromosoma 21. Per esempio, l’incidenza del 29-37% di AA nella sindrome autoimmune
poliendocrina di tipo 1 (AIRE) provocata dalla mutazione
genetica del gene regolatore autoimmune, sembrerebbero
dimostrare che i loci genetici responsabili siano localizzati
sul cromosoma 21. Nella sindrome autoimmune poliendocrina-candidiasi-distrofia ectodermica (APECED) l’incidenza
sale a oltre il 40%. Anche APECED è causata da una mutazione del gene regolatore dell’autoimmunità (AIRE) sul cromosoma 21 che regola la risposta immunitaria contro cellule endocrine e contro il follicolo pilifero. Le proteine AIRE
determinano l’organizzazione delle cellule stromali timiche e
la self-tolerance durante la maturazione delle cellule T.
Altre associazioni tra AA e patologie autoimmuni sono state
descritte, anche se mancano evidenti lavori controllati da
meta-analisi. Diversi studi hanno evidenziato AA con una incidenza dal 7 al 27% in soggetti affetti da patologia tiroidea
(malattia di Basedow, mixedema, tiroidite di Hashimoto).
La co-espressione di vitiligine e AA è stata dimostrata nel 4%
e nel 9% dei casi in due studi diversi.
Il complesso di proteine maggiori (MHC) di istocompatibilità HLA (Human Leukocyte Antigen) è codificato da geni
localizzati sul cromosoma 6, e determina la presentazione
degli antigeni e del riconoscimento delle proteine autologhe
da parte delle cellule immunitarie. Gli antigeni della MHC di
classe I e II sono espressi da quasi tutte le cellule nucleate, e
i linfociti CD8+ hanno la funzione di riconoscere gli antigeni presentati dalle cellule attraverso i loro recettori delle cellule T. L’espressione degli antigeni alle cellule di Langherans
e ai macrofagi può determinare un’attivazione di altre cellule nucleate durante i processi infiammatori della AA. La
modificazione di particolari espressioni geniche potrebbe
essere alla base di un’aumentata attivazione della risposta
linfocitaria e provocare la sensibilità dei linfociti a reagire
contro antigeni bersaglio del follicolo pilifero in corso di AA.
Le analisi genetiche dell’AA si sono focalizzate principalmente
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sui geni HLA-D (che codificano la classe MHC II) che regolano la comparsa, la gravità o la resistenza alla terapia della AA.
Ricerche recenti hanno dimostrato che l’allele DRB1*1104
(DR11) è presente con espressione significativamente aumentata in pazienti affetti da AA. L’allele DRB1*0401 (DR4) è fortemente espresso in soggetti affetti da AA totale e/o universale,
mentre il DQB1*0301 (DQ7) è espresso significativamente
solo nella forma di AA totale e universale.
Questi dati sembrerebbero dimostrare che l’espressione dei
geni HLA, gli antigeni MHC, siano importanti per la presentazione di un antigene nel follicolo pilifero al momento non
conosciuto specifico della AA. Sono state evidenziate anche
espressioni aberranti di proteine MHC in soggetti affetti da
AA, così come numerosi altri alleli che codificano altri fattori del sistema immunitario che potrebbero avere un ruolo di
rilievo nella AA.
Ulteriori ricerche in altre regioni del genoma umano hanno
evidenziato un’associazione tra la AA, soprattutto di tipo totale e universale, sull’allele 2 di una ripetizione variabile che
determina un polimorfismo nell’introne 2 del gene del recettore antagonista IL-1-RN sul cromosoma umano 2, che codifica l’espressione del recettore IL-1 antagonista. L’allele 2 infatti
è presente nel 44% dei soggetti affetti da AA in chiazze, contro
il 41% dei controlli (nessuna significatività), ma nel 68% dei
soggetti con AA totale e nel 77% di quelli con AA universale.
L’allele 2 esprime la produzione di IL-1#, e questo dato sembra indicare che le forme più gravi di AA siano regolate dalla
over-regulation della IL-1#.
La IL-1‚ è una citochina fondamentale nella mediazione della
risposta infiammatoria. Il gruppo di geni IL-1 sul cromosoma
2 includono geni per l’espressione delle proteine pro-infiammatorie IL-1, dei loro recettori di membrana, del recettore
antagonista anti-infiammatorio IL-1-RN e di un suo omologo
di cui non si conosce ancora esattamente l’azione. È noto che
la IL-1 ha un effetto diretto sulla crescita del pelo e del capello: in vitro la IL-1 inibisce la crescita del fusto e induce modificazioni morfologiche molto simili a quelle della AA in vivo.
Anche il Tumor Necrosis Factor ! (TNF-!) ha un potente
effetto inibitore della crescita del follicolo pilifero in vitro.
TNF-! è codificato da un gene dell’HLA di classe III, e un
polimorfismo di questo gene è significativamente associato a
malattie autoimmuni/infiammatorie come il lupus eritemato-
so sistemico, l’artrite reumatoide, la dermatite erpetiforme
e la celiachia. In uno studio ridotto (50 soggetti) Galbraith
et al. hanno dimostrato una forte differenza del genotipo
del TNF-! nei soggetti affetti da AA universale rispetto ai
soggetti di controllo.
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Scripta
MEDICA
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
9
Istopatologia delle alopecie
Raffaele Gianotti
Istituto di Scienze Dermatologiche IRCCS – Ospedale Maggiore Policlinico Regina Elena – Università degli Studi di Milano.
Le alopecie possono essere classificate in modo semplicistico in due categorie: cicatriziali e non cicatriziali. Le prime
sono ulteriormente suddivise in primitive e secondarie. Nelle forme primitive il follicolo pilifero è il bersaglio primario dell’infiltrazione linfocitica; al contrario, nelle forme secondarie, l’unità follicolare è “uno spettatore innocente” che viene coinvolto in un
processo flogistico distruttivo diretto verso la cute circostante. Le forme alopeciche non cicatriziali sono numerose e molto complesse nella diagnostica differenziale, in quanto appaiono istologicamente molto simili tra loro.
Negli ultimi anni il dermatopatologo ha iniziato a studiare con attenzione ed interesse i quadri istopatologici delle alopecie, a
lungo scarsamente considerati per la rarità del materiale biopsiato.
Oggi, il paziente appare molto sensibilizzato alla patologia che affligge l’annesso pilifero, le biopsie vengono eseguite frequentemente e di conseguenza la richiesta di una diagnosi altamente specifica è cresciuta. La diagnosi istologica delle alopecie è diventata un campo di studio molto popolare tra i dermatopatologi. È importante sottolineare che la diagnosi finale si basa anche sulla
c o r relazione dei dati clinici che devono essere forniti al patologo. È quindi necessaria una stretta collaborazione tra i due specialisti che possono trarre giovamento anche attraverso l’ausilio delle nuove tecniche fotografiche digitali e di trasferimento dei dati
per via telematica.
Lo stato dei capelli come sintomo di patologia intern a :
casi clinici e diagnosi differenziale.
Aspetti nutrizionali e internistici
Alessandro Saibene
Istituto Scientifico H. San Raffaele, Unità Operativa di Medicina Generale ad Indirizzo Diabetologico ed Endocrino-Metabolico.
Numerose possono essere le problematiche nutrizionali e le patologie in grado di interferire con lo stato dei capelli. In
realtà la revisione della letteratura scientifica dimostra come poco si sappia sulla relazione tra stato nutrizionale e caduta dei capelli; la maggior parte dei dati scientifici derivano da lavori sulla malnutrizione proteico-energetica, il digiuno prolungato e disturbi
alimentari. La carenza di ferro è il difetto nutrizionale più comune e riconosce numerose cause, che vanno dalle perdite mestruali, alla gravidanza nelle donne, a perdite ematiche di varia origine dal tratto gastroenterico, al malassorbimento. Numerosi studi
hanno esaminato la possibile correlazione tra carenza marziale e caduta di capelli, ma quasi tutti sono stati eseguiti su soggetti di
sesso femminile. In alcuni di essi è stata riscontrata una relazione tra sideropenia e alopecia areata, alopecia androgenica, telogen
effluvium e caduta dei capelli diffusa, mentre questa relazione non è stata confermata da altri studi, non essendovi quindi dati
univocamente interpretabili. Anche la carenza di zinco è stata segnalata come possibile causa di alopecia diffusa, con riportato
netto miglioramento clinico dopo supplementazione; tuttavia questo dato non è stato confermato da altri autori. Altre segnalazioni in letteratura puntualizzano il possibile ruolo della carenza di L-lisina, un aminoacido essenziale, e dati di uno studio in doppio cieco sembrerebbero dimostrare l’efficacia di una terapia suppletiva con questo aminoacido. Al contrario, non vi sono al
momento dati scientifici riguardanti il possibile ruolo dell’arginina nella terapia topica della caduta dei capelli. Una sindrome
carenziale di acidi grassi è stata descritta in pazienti in alimentazione parenterale prolungata. Si presenta con eritema e desquamazione del cuoio capelluto e delle sopracciglia, poi i peli ed i capelli cadono e, quelli che rimangono, sono depigmentati, secchi, presentano alterazioni strutturali. Non è da trascurare un probabile ruolo esercitato dalla vitamina C nei confronti del sistema pilo-sebaceo, come avveniva nello scorbuto, malattia oggi quasi inesistente, legata a grave carenza di questa vitamina.
Verranno quindi discussi i dati disponibili in letteratura sulle possibili relazioni tra caduta dei capelli e carenze nutrizionali.
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Capelli e ormoni femminili
Enrico Pedrini
Specialista in Ginecologia e Endocrinologia Sperimentale – Torino.
La menopausa è un momento
singolare per la donna poiché segna in
diversi modi l’avviarsi verso l’età matura. Si definisce menopausa il periodo
che segue l’ultima mestruazione della
vita. In considerazione dell’aumento
dell’età media, una donna passa attualmente più di un terzo della propria vita
in menopausa.
L’insorgenza della menopausa coincide
con la comparsa di una serie di eventi a
cascata che include l’esaurimento del
numero di follicoli ovarici. La cessazione dello sviluppo follicolare conduce
ad una ridotta secrezione di estradiolo e
inibina che determina la perdita del
feed-back negativo per l’asse ipotalamo-ipofisario ed uno stato di ipoestrogenismo.
L’ipoestrogenismo con l’aumento della
quota di estrone (ormone a debole
effetto estrogenico) e la ridotta espre ssione dei recettori estrogenici, porta
ad alcuni cambiamenti fisiologici che
riguardano anche la cute ed i suoi annessi.
L’ipoestrogenismo derivante dall’insufficienza ovarica ha una importante con-
dizione clinica spesso correlata con numerose patologie come l’osteoporosi,
alcune malattie cardiovascolari e la malattia di Alzheimer.
A seguito della menopausa anche la
cute ed i suoi annessi subiscono alterazioni quali:
riduzione della velocità del flusso
capillare;
vasodilatazione a livello delle
papille dermiche;
riduzione della crescita e caduta
di capelli e peli.
L’HRT ritarda l’invecchiamento cutaneo
agendo a diversi livelli sia a livello della
cute che degli annessi cutanei.
Pochi sono i dati in letteratura riguardo
l’effetto della HRT sui capelli.
Sicuramente l’effetto meno gradito è la
caduta di capelli nel periodo pre e post
menopausale che riguarda una non trascurabile percentuale di donne.
La caduta dei livelli ormonali in menopausa, a seguito dell’esaurimento della
funzione ovarica, porta ad un aumento
percentualmente rilevante di altri steroidi di origine surrenalica a più bassa
potenza estrogenica e/o ad effetto
androgenico.
Ne consegue una riduzione della crescita dei capelli.
I dati presenti in letteratura sono
soprattutto riferiti all’uso di estroprogestinici presenti nei contraccettivi orali.
La perdita di capelli è rilevata in una
percentuale contenuta (1,7%) durante
il primo mese di utilizzo e dipende dal
tipo di progestinico somministrato; è
meno frequente con i derivati del 17
OH progesterone, è più marcata con 19
nor-derivati.
L’effetto sembra dovuto all’azione del
progestinico sulla fase di crescita del
capello, che è dose dipendente e generalmente si autolimita.
L’effetto alopecia androgenetica è indotto dai preparati a base di noretisterone
acetato e dipende dalle caratteristiche
del capello.
Si presenta comunque diversi mesi
dopo inizio della terapia ormonale.
Scripta
MEDICA
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Non solo androgenetica: la terapia medica complementare
alla chirurgia della calvizie
L’alopecia da steroidi sessuali: androgenetica carenziale fronto-parietale
Andrea Marliani e Gaetano Agostinacchio
Porto Recanati – Firenze.
Il ciclo del capello è controllato da ormoni steroidi sessuali. Non
solo dagli ormoni circolanti ma piuttosto e soprattutto da ormoni prodotti in
loco dal follicolo stesso.
Due sono gli ormoni intrafollicolari
essenziali alla regolazione del ciclo del
capello: diidrosterone ed estrone.
Il diidrosterone porta il follicolo in
catagen ed il capello in telogen.
L’ e s t rone mantiene le mitosi della
matrice, la durata dell’anagen ed attiva
le cellule staminali all’inizio dell’anagen
stesso.
Alla 5 alfa riduzione del testosterone in
diidrotestosterone è legato il quadro
clinico ben codificato dell’alopecia
androgenetica. È ormai accettato che
questa sia dovuta ad un messaggio
genetico che per realizzarsi ha bisogno
degli ormoni maschili (Hamilton). Il
genotipo (l’ereditarietà per la calvizie)
diventa cioè fenotipo (la calvizie si
manifesta clinicamente) solo in presenza di androgeni.
L’alopecia androgenetica è sostenuta
dalla presenza dei normali ormoni
androgeni nel plasma, da una ereditarietà multigenica familiare (da cui il termine androgenetica), dall’attività nei
follicoli piliferi di enzimi capaci di convertire gli steroidi in ormoni attivi verso
il follicolo stesso. In particolare risulta
determinante l’enzima 5-alfa-reduttasi,
convertitore del testosterone in diidrotestosterone (DHT).
La situazione che ne consegue è quella
della calvizie cosiddetta (a pattern)
maschile con lo svuotamento del vertice.
È proprio lo svuotamento del vertice che
definisce l’alopecia androgenetica.
Questo quadro è frequente negli uomini e raro nelle donne.
Ipotizziamo invece che a ridotta attività
della aromatasi o/e 3 alfa reduttasi sia
collegato il quadro clinico di alopecia
diffusa che chiamiamo alopecia care n z i ale (alopecia da carente attività dell’estrone follicolare/Low local estrone ipotrichia).
Nelle donne, fatta eccezione per qualche raro caso di anomala produzione
ormonale surrenalica o ovarica per
difetto enzimatico o per tumore secernente, l’alopecia è clinicamente diversa
da quella maschile ed i meccanismi
appaiono differenti, anche se non ancora del tutto chiariti ed assimilabili ad
una situazione da carenza di estrone.
I casi di quelle ragazze con i capelli fini,
lunghi e diradati su tutto il cuoio capelluto (ma più sul vertice e nella zona
frontale) con la madre (spesso) nelle
stesse condizioni ma con mestruo e fertilità normale, senza eccesso di androgeni circolanti ed in cui non è possibile reperire chiari elementi clinici e laboratoristici che ci facciano deporre per
un telogen effluvio, ci fanno pensare ad
una carenza locale (deficit di 17 steroido ossido reduttasi, aromatasi, 3 alfa
reduttasi) o ad una resistenza periferica
familiare del follicolo all’azione dell’estrone. Sono cioè alopecie carenziali!
Questo quadro è frequente nelle donne
mentre è più raro ma esiste anche negli
uomini.
All’attività diretta del testosterone è
infine riconducibile il quadro dell’alopecia fronto-parietale (la così detta
stempiatura maschile).
Per capire cosa è l’alopecia fronto-parietale è importante considerare come progredisce la perdita di capelli nell’uomo.
Si ha dapprima un innalzamento della
linea frontale dei capelli accompagnato
da diradamento alle “tempie” che dà al
taglio dei capelli la caratteristica forma
maschile a M.
Fin qui la caduta di capelli maschile può
essere considerata fisiologica e non
obbligatoriamente un preludio della calvizie e preferiamo pertanto parlare di
“alopecia fronto-parietale maschile fisiologica”. La considerazione che ci sono
uomini “stempiati” ma non calvi e
uomini calvi ma non stempiati, con
l’osservazione che gli inibitori della 5
alfa reduttasi non hanno molto effetto
nel ridurre la velocità di comparsa della
alopecia fronto-parietale, fa supporre
che quest’ultima sia conseguenza dell’azione diretta del testosterone mentre
la calvizie (vera) lo è del suo metabolita principale, il diidrotestosterone.
Per questo motivo tutti gli uomini sono,
almeno minimamente, stempiati e l’attaccatura ad M dei capelli maschili è
fisiologica come la crescita della barba.
Per compre n d e re meglio questo concetto occorre fare alcune considerazioni:
tutti gli uomini sono, di norma,
stempiati… (per effetto del testosterone la cui sola presenza è
quindi sufficiente a provocare la
stempiatura);
Scripta M E D I C A
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
12
non tutti gli uomini sono calvi…
(quindi la presenza del testosterone non basta; la calvizie vera,
del vertice, è ereditaria e dovuta
al diidrotestosterone);
le donne calve (per effetto del diid ro t e s t o s t e rone) non sono, di
norma, stempiate (quindi la presenza del DHT che provoca loro
la calvizie non basta per dare la
stempiatura);
quando una donna ha un tumore
testosterone secernente si stempia (quindi la presenza del testosterone è sufficiente a provocare
la stempiatura) ma non obbligatoriamente diventa calva (perché
la calvizie vera, del vertice, è ereditaria e dovuta al diidrotestosterone e la sola presenza del testosterone non basta).
Pensiamo che la sensibilità
dei follicoli agli steroidi sia diversa nelle
diverse aree del cuoio capelluto.
I follicoli con diversa sensibilità ormonale sembrano comunque mescolati
casualmente ma quelli con sensibilità al
diidrotestosterone prevalgono nella zona
del vertice mentre quelli sensibili al
testosterone sembrano abbondare nella
zona fronto-parietale. I follicoli delle
zone basse e della nuca appaiono larg amente insensibili agli androgeni. Tutti i
follicoli hanno bisogno di estrone.
Tutto questo non è solo “accademia”
ma ha risvolti terapeutici fondamentali.
Gli inibitori della 5 alfa reduttasi
(segnatamente finasteride e dutasteride), che sono il pilastro della terapia di
una alopecia androgenetica, sono invece quasi inefficaci nelle donne con alopecia carenziale (perché sbagliano il
bersaglio cercando di inibire il metabolismo di un ormone che quasi non c’è)
mentre una terapia topica con estrone
può risultare efficace in molti casi.
Nella terapia (se terapia si vuole fare )
dell’alopecia fronto-parietale (che
comunque è autolimitata) occorre
u s a re un antagonista del carrier del
testosterone come lo spironolattone
topico.
Questi tre quadri ora descritti ovviamente nella pratica clinica si fondono e
confondono fra loro nello stesso paziente.
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Scripta
MEDICA
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
13
Trattamento delle alopecie conseguenti a traumi, ustioni
e terapie oncologiche mediche e chirurgiche
Piero Rosati
Piero Rosati Clinic – Ferrara.
Le particolarità anatomiche del cuoio capelluto spiegano le difficoltà e l’originalità della ricostruzione di questa
regione rispetto ad altre. Se da una parte infatti troviamo fattori sfavorevoli quali: la forma del cranio, l’inestensibilità re l ativa del cuoio capelluto, il minor rendimento dei lembi in rapporto alla convessità del supporto osseo e la presenza di capelli unica in tutto l’organismo, dall’altra abbiamo fattori favorevoli quali: un buono spazio di clivaggio, una superficie rigida
r a p p resentata dal tavolato cranico, una ricca vascolarizzazione
ed infine la possibilità di mascherare le cicatrici fra i capelli.
I fattori sopra elencati si intersecano variamente in rapporto
alla eziologia delle lesioni in quella che oggi può essere definita la tecnica principale in queste ricostruzioni e che è rappresentata dalla espansione cutanea da attuare sempre ogni
qual volta la zona alopecia presenta una superficie superiore
a 50 cm2.
ANATOMIA DEL CUOIO CAPELLUTO
La presenza dei capelli (attuale o pregressa in caso
di calvizie androgenetica) ne definisce un’unità anatomica a
se stante rispetto alla cute glabra circostante della superficie,
in un individuo adulto non calvo, di circa 600-700 cm2 le cui
particolarità sono rappresentate dai suoi differenti strati che
dalla superficie in profondità sono:
la pelle con un derma riccamente vascolarizzato e
spesso;
il tessuto sottocutaneo costituito da tessuto adiposo
lobulato e percorso da travate fibroconnettivali e su cui
poggia il bulbo pilifero;
la galea, aponeurosi fibrosa ed inestensibile, solidamente legata alla cute attraverso le travate fibroconnettivali sottocutanee che va a costituire lo spessore del
cosiddetto “scalpo chirurgico”;
lo spazio sottoaponeurotico di Merckel costituito da
tessuto connettivo lasso e relativamente avascolare
considerato il piano di clivaggio chirurgico;
il periostio scarsamente aderente al tavolato osseo tran-
ne che lungo le suture craniche che se intatto può ricevere un innesto cutaneo ricordando però la sua estrema fragilità e sensibilità all’essiccamento.
TECNICA CHIRURGICA
L’ampiezza e la qualità del cuoio capelluto residuo
sono il principale fattore condizionante la ricostruzione, oltre
al posizionamento dell’espansore che determinerà il futuro
lembo nel rispetto dell’orientamento dei capelli, di un’attaccatura frontotemporale estetica e della possibilità nei pazienti di sesso maschile giovani della comparsa di una calvizie
androgenetica.
L’intervento comprende due tempi operatori:
il primo tempo operatorio è il posizionamento di uno
o più espansori;
il secondo tempo, mediamente tre mesi più tardi, consiste nell’asportazione del o degli espansori, nell’exeresi dell’area alopecia e nella realizzazione dei lembi.
Ciascuno dei due tempi in rapporto a problematiche tecniche e soggettive può essere effettuato sia in anestesia locale
associata a sedazione profonda, sia in anestesia generale.
Primo tempo operatorio: posizionamento degli espansori
L’intervento è preceduto da uno shampoo disinfettante e quando possibile da una rasatura “a minima”.
L’incisione deve essere radiale e perpendicolare all’asse maggiore dell’espansore ed ha una lunghezza abitualmente dai 3
ai 5 cm; essa è sempre preceduta da infiltrazione di soluzione fisiologica allo scopo di facilitare lo scollamento nello spazio di Merckel della loggia che conterrà gli espansori.
La dissezione è iniziata dalla forbice, proseguita con il dito
e quindi completata con i dissettori. La loggia dovrà essere
leggermente più ampia al fine di permettere un comodo
alloggiamento degli espansori. Non viene posizionato alcun
d renaggio di aspirazione.
Gli espansori sono preparati con attenzione e posizionati con
l’aiuto di un dissettore smusso intorno al quale sono stati avvol-
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ti e che ne permetterà la distensione con movimento
parallelo all’asse di incisione all’interno della loggia.
Quindi gli espansori vengono provati e riempiti circa
del 10% con soluzione fisiologica colorata (blu di
metilene) per assicurarsi della loro integrità e permettere una sufficiente distensione nella loggia. La valvola è posizionata per la stessa via d’accesso degli espansori, a distanza, evitando con estrema attenzione l’inginocchiamento del tubo di raccordo. Testata la
buona funzionalità del sistema si procede alla sutura.
Una profilassi antibiotica è abitualmente somministrata per 5-7 giorni.
Il primo gonfiaggio verrà effettuato 15 giorn i
dopo l’intervento con cadenza settimanale e solo
molto raramente bi-settimanale. Ad ogni gonfiaggio, anche se non è una regola, si inietta circa il 10%
del volume dell’espansore e si completa il riempimento mediamente in circa 3 mesi.
Secondo tempo operatorio: asportazione
dell’espansore ed allestimento del lembo
Effettuato il disegno del lembo o dei lembi sulla
base del programma chirurgico deciso prima dell’intervento, si asporta l’espansore con la sua valvola, meglio se utilizzando le incisioni del futuro
lembo. Si procede quindi alla fragilizzazione della
capsula ed all’asportazione del più spesso cordoncino periprotesico corrispondente alla base del
perimetro dell’espansore, al fine di facilitare la
mobilizzazione e distensione del lembo.
Quindi la cicatrice alopecica è rimossa dopo
a v e re valutato i margini di avanzamento del
lembo. L’ e x e resi a pieno spessore dà risultati maggiori rispetto alla disepidermizzazione.
Si effettua quindi la sutura evitando di resecare
eventuali eccessi cutanei o orecchie di cane che
abitualmente scompaiono spontaneamente e solo
se persistono oltre il sesto mese si può ipotizzare
un rimodellamento.
Figura 1a-b.
Espansori in situ.
a
b
Figura 2a-b.
a: aspetto pre-operatorio; b: aspetto post-operatorio.
a
b
Figura 3a-b.
a: aspetto pre-operatorio; b: aspetto post-operatorio.
ALCUNE INDICAZIONI
a) Scelta dell’espansore: al di là delle tante marche
e modelli di espansori, personalmente pre f e r isco espansori rettangolari a bordi smussi con
valvola a distanza di piccole dimensioni
b) Strategie e scelte chirurgiche: per le alopecia
inferiori a 50 cm2 (7 x 7), tranne rarissimi casi,
a
b
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MEDICA
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p referisco l’autotrapianto di capelli la
cui tecnica, adattata alle esigenze della
cute cicatriziale, può essere il miglior
compromesso. Sono invece fortemente contrario alle escissioni multiple
spesso votate ad evidenti recidive.
Questa indicazione è giustificata dal
forte risentimento sociale per il
paziente dato dagli espansori e sproporzionato all’entità della lesione.
Per alopecia tra 50 e 350 cm2: l’espansione cutanea rappresenta la soluzione
ideale, abitualmente utilizzo un espansore e solo raramente due.
a
Infine le alopecia superiori a 350 cm2,
ovvero pari o superiori ai 2/3 della
superficie del cuoio capelluto, nella maggioranza dei casi
non possono che essere trattate parzialmente ed apportano una capigliatura un po’ rada; ciò non vuol dire che i
risultati siano scadenti. Infatti nella ricostruzione si privilegiano le zone considerate sociali del cuoio capelluto,
quali la regione frontale e temporale; sarà poi la capigliatura ad aiutare. In questo caso si utilizzano 1-2 espansori
e non escludo l’eventuale possibilità di un ulteriore intervento a circa un anno di distanza.
c) Posizionamento degli espansori: il posizionamento
degli espansori dipende dalla scelta dei lembi che si
programma di realizzare più frequentemente di avanzamento o di trasposizione e che permettono di ottenere
la minor tensione ed il conseguente minore stretchback.
Molto importante è tenere conto dell’orientamento dei
capelli quando si programma il lembo, cercando di
ricreare il più possibile la direzione dell’orientamento
naturale. Infine ribadiamo come negli uomini giovani
a
Figura 4a-b.
a: aspetto pre-operatorio; b: aspetto post-operatorio.
b
con antecedenti di calvizie androgenetica, per quanto
possibile, gli espansori debbono essere posizionati nelle
regioni parietali o occipitali.
CONSIDERAZIONI SULL’ALLOTRAPIANTO
DI CAPELLI DA NOI IDEATO
A LCUNE
Se è vero che l’espansione ha rappresentato una
grande rivoluzione nella ricostruzione del cuoio capelluto in
casi particolari che vedremo di seguito, anche noi abbiamo
contribuito in pazienti selezionatissimi ad effettuare su nostra
intuizione, primi al mondo, un trapianto di capelli da un individuo all’altro sfruttando un pre g resso trapianto di midollo
osseo per gravi malattie ematologiche. In questi casi infatti si
tratta di pazienti leucemici che una volta guariti, persistendo
gravi ed importanti forme di alopecia conseguenti a pesanti
trattamenti radioterapici, potevano ricevere dal donatore di
midollo osseo i capelli che
venivano trasferiti con un
Figura 5a-b-c.
intervento di allotrapianto.
a: aspetto pre-operatorio; b: espansore in situ; c: aspetto post-operatorio.
La pubblicazione negli
Stati Uniti da parte nostra
di tale limitata indicazione
che può aprire importanti
p rospettive nei trapianti
d’organo, oltre ad essere
stata applicata in vari
campi specialistici, ha subito in alcuni casi aberrazioni nelle indicazioni: lo
stesso principio è stato utilizzato di recente con
b
c
successo per il primo tra-
Scripta M E D I C A
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
16
pianto di ovaio, il cui fine ultimo era la procreazione, che al di là di ogni sensazionalismo,
poteva sicuramente essere conseguita diversamente con i medesimi risultati.
Figura 6a-b.
a: aspetto pre-operatorio; b: espansore in situ.
CONCLUSIONI
La nostra ampia casistica di espansione cutanea del cuoio capelluto ci permette
di definirla la tecnica di scelta nelle ricostruzioni delle alopecia conseguenti a traumi,
ustioni e terapie oncologiche mediche e chirurgiche del cuoio capelluto.
Stiamo comunque studiando metodiche chirurgiche alternative che ci permettono di ottenere risultati comparabili riducendo però le
limitazioni sociali che il paziente deve subire
in corso di trattamento.
Infine ribadiamo come la nostra tecnica di allotrapianto di capelli sia applicabile solo in quei
portatori di alopecia guariti da gravi affezioni
ematologiche trattate con trapianto di midollo;
nei normali casi invece di alopecia androgenetica sia maschile che femminile, noi attuiamo
sistematicamente, qualora ve ne sia l’indicazione, l’autotrapianto di capelli con tecnica minimicro chirurgica.
BIBLIOGRAFIA
a
b
Figura 7a-b.
Aspetto post-operatorio.
a
b
Figura 8a-b-c.
a: aspetto pre-operatorio; b: lembo espanso posizionato (notare come nella regione del vertice
sia possibile ricostruire un orientamento dei capelli simile a quello naturale); c: aspetto post-operatorio.
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Scripta
MEDICA
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
17
I difetti acquisiti del cuoio capelluto:
procedure ricostruttive
Marco Toscani, C. Monarca, M.I. Rizzo
Dipartimento Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Pol. Umberto I Università “La Sapienza” – Roma.
La ricostruzione dei difetti dello scalpo può rendersi necessaria in seguito a traumi, ustioni, neoplasie, radionecrosi o per il miglioramento cosmetico di evidenti esiti
cicatriziali talvolta secondari a pregressi interventi chirurgici.
La storia della ricostruzione del cuoio capelluto si è sviluppata parallelamente alle tecniche di chirurgia plastica. Koss et
al. (1) già nel 1696 descrissero uno tra i primi trattamenti
chirurgici del cuoio capelluto in seguito a trauma. Nel 1908,
Robinson (2) dimostrò il successo nell’attecchimento di un
innesto cutaneo su un fondo periostale in tempi più rapidi
rispetto alla formazione di tessuto di granulazione. Inoltre,
più recentemente Kazanjan dimostrò che, effettuando delle
incisioni sulla galea, si otteneva un migliore avanzamento dei
lembi locali (3).
Neumann e Radovan (4, 5) popolarizzarono l’uso degli
espansori tissutali dimostrando la fondamentale utilità di
questa tecnica anche nella ricostruzione dello scalpo
(Figura 1).
Inoltre, lo svilupparsi delle tecniche microchirurgiche ha
giocato un ruolo importante nella ricostruzione del cuoio
capelluto consentendo di re i m p i a n t a re anche un’avulsione
totale dello scalpo per coprire perdite di sostanza diff i c i lmente risolvibili con altre tecniche (6, 7).
Allo stesso modo l’utilizzo di innesti microchirurgici ad alta
densità ha permesso di ottenere risultati estetici soddisfacenti, non realizzabili con le tecniche di autotrapianto tradizionali (8, 9) (Figura 2).
METODI
Il successo nella procedura ricostruttiva necessita di
una precisa conoscenza dell’anatomia dello scalpo, della fisiologia del capello e della biomeccanica della cute. La corretta
strategia nella chirurgia del cuoio capelluto è condizionata da
numerosi fattori quali dimensioni e localizzazione del difetto/lesione/esito, la presenza del periostio, la qualità del cuoio
capelluto residuo nelle aree circostanti, la presenza o meno di
capelli, la disposizione della linea del capillizio e le possibili
comorbidità del paziente. Nelle perdite di sostanza subtotali,
quando il tessuto locale potrebbe essere insufficiente, potrebbe
rendersi necessario l’utilizzo di espansori cutanei od il ricorso
a tecniche microchirurgiche.
I capelli, inoltre, rappresentano sicuramente la caratteristica
visibile più importante del cuoio capelluto, quindi, il chirurgo
ricostruttore deve avere massima considerazione nel preserv aFigura 1.
Espansori Tissutali.
Figura 2.
Micrograft.
Scripta M E D I C A
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18
re la normale disposizione ed orientamento dei capelli sullo
scalpo. Per tali motivi la chirurgia della calvizie acquisita, come
quella per il trattamento della calvizie androgenetica, deve
avvalersi di validi e ben categorizzati principi di tecnica. La
migliore opzione ricostruttiva del cuoio capelluto è, comunque, proprio il cuoio capelluto. Difatti, nel corpo umano non
esiste un altro tessuto donatore che possa essere considerato
simile per qualità allo scalpo.
RISULTATI
Se nel passato la sola copertura del difetto dello scalpo rappresentava il trattamento di prima scelta per evitare
complicanze quali infezioni, essiccamento, sepsi, attualmente,
oltre alla semplice copertura, una ricostruzione chirurgica oggi
deve tenere conto, se possibile, anche del ripristino esteticamente valido dello scalpo preservando il normale angolo di
crescita dei capelli e le linee del capillizio. Il trapianto microchirurgico mediante innesto di bulbi capilliferi, inoltre, può
garantire un ulteriore infoltimento in aree di alopecia più o
meno vaste, sia per esiti traumatici sia in seguito a procedure
ricostruttive. Gli innesti di capelli possono essere utilizzati in
modo estremamente vantaggioso anche come procedura ancillare secondaria di camouflage delle incisioni chirurgiche qualora risultino evidenti.
Inoltre, il trapianto di capelli può essere utilizzato non solo
per il trattamento della calvizie ma anche per la ricostruzione di altri parti del corpo, come il sopracciglio o la barba
(Figura 3). I microinnesti sono utilizzati con successo per la
ricostruzione del sopracciglio da diversi anni, rappresentando oggi uno degli standard di trattamento.
Attualmente, la tecnica di impianto ad alta densità con
microinnesti da uno o due bulbi, appare la scelta ottimale per
la ricostruzione del sopracciglio negli esiti cicatriziali (10).
Figura 3.
Ricostruzione del sopracciglio con Micrograft
L’utilizzo dei “micrograft” appare, quindi, una tecnica chirurgica ormai affidabile in mani esperte nel trattamento della
calvizie, acquisita soprattutto in casi di ridotta elasticità cutanea come negli esiti cicatriziali da ustione, dove il riarrangiamento dei tessuti sarebbe molto più complesso e difficile da
ottenere (11).
Quando la ricostruzione con tessuto locale non è possibile a
causa delle dimensioni del difetto, troppo esteso per la zona
donatrice disponibile, può essere presa in considerazione la
possibilità di espansione tissutale. Gli espansori tissutali difatti garantiscono la possibilità di espandere il tessuto fino a circa
il 50% dello scalpo (12) (Figura 4).
Questa procedura ormai ben standardizzata, e che offre innumerevoli vantaggi ricostruttivi, però non appare comunque
scevra da possibili complicanze quali infezioni dell’impianto,
esposizione, dislocazione (6,25%) (13, 14).
L’utilizzo di espansori cutanei dovrà pre v e d e re l’inserimento
del dispositivo più grande possibile nello spazio subgaleale.
La forma dell’espansore dovrà garantire il maggior guadagno
tissutale possibile (15). La scelta dell’espansore e la sua forma
dovrà essere effettuata in base al difetto del paziente da riparare. Un unico espansore è generalmente preferibile al posto di
più espansori per ottenere la maggiore espansione, riducendo
i rischi d’infezione dovuti
ai multipli siti chirurgici.
Figura 4.
L’espansione deve essere
Ustione da olio bollente: ricostruzione mediante espansione cutanea.
continuata fino ad ottenere
un lembo di dimensioni
maggiori per il 20% dell’entità del difetto, per minimizzare così la retrazione
successiva all’avanzamento
del lembo (stretch back)
(Figura 5). Inoltre, come
nelle altre pro c e d u re di
chirurgia plastica ricostruttiva, ancor più nella chi-
Scripta
MEDICA
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
19
c h i r u rgia che garantisce la
possibilità di copertura di
difetti dello scalpo totali o
sub-totali. Inoltre la possibilità di microtrapianto dei follicoli ha permesso la copertura di più o meno ampi esiti
cicatriziali (chirurgici e non),
con risultati estetici soddisfacenti e cicatrici chirurgiche
del sito donatore estre m amente contenute e nascoste,
ove possibile, nel cuoio capelluto residuo.
Il goal ricostruttivo attuale
infatti, consiste proprio nell’associare alla copertura del
difetto il migliore risultato
estetico possibile, offrendo la
quasi totale “restitutio ad integrum”.
L’utilizzo di lembi locali rigorosamente di rotazione, o
rotazione ed avanzamento,
che rispettino l’attaccatura
del capillizio e la vascolarizzazione dello scalpo, permette la copertura di difetti anche ampi con ottimi risultati estetici. Il ricorso ad espansori cutanei appare spesso risolutivo
quando la ricostruzione con lembi loco-regionali non risulta
realizzabile.
Inoltre, questi dispositivi offrono la possibilità di effettuare
ricostruzioni di difetti ampi rimpiazzando il tessuto danneg-
Figura 5.
Trauma stradale: ricostruzione mediante innesto di cute in urgenza
e successiva espansione cutanea.
rurgia del cuoio capelluto risulterà necessario porre particolare attenzione ai dettagli di tecnica per garantire il miglior risultato chirurgico: emostasi accurata, anestesia locale con adre n alina che, unita all’idrodissezione, potranno essere utili per
ridurre il sanguinamento.
Il limitato utilizzo del diatermocauterio garantirà la sopravvivenza della maggior parte dei follicoli piliferi; le incisioni
effettuate rispettando l’angolo di crescita dei bulbi garantiranno una minore perdita di unità follicolari con cicatrici
meno evidenti; inoltre, per una cicatrizzazione ottimale,
sarà opportuno evitare un’eccessiva tensione sulle suture
effettuando un accurato scollamento dei lembi e se serve, il
release della galea aponeurotica (16). Qualora le incisioni
chirurgiche risultassero particolarmente evidenti, potranno
essere camuffate con innesti microchirurgici da effettuare in
un secondo tempo (17, 18) (Figua 6).
DISCUSSIONE
Le tecniche chirurgiche ricostruttive appaiono oggi
estremamente evolute grazie anche all’avvento della micro-
Figura 6.
Esiti cicatriziali post Face-lift:
ricostruzione mediante autotrapianto.
Scripta M E D I C A
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
20
giato con tessuto sano, mantenendo il pattern nativo dei
capelli (12).
Risorsa ulteriore nella scala ricostruttiva è stata offerta infine
dai lembi liberi che garantiscono un’efficace copertura di
ampie perdite di sostanza quando, né l’autotrapianto dei
capelli, né l’utilizzo di lembi locali, né l’espansione tissutale appaiono sufficienti.
C
ONCLUSIONI
Numerose sono le possibilità terapeutiche al giorno d’oggi a disposizione del chirurgo: dall’autotrapianto, alla
rotazione di lembi locali, all’uso degli espansori cutanei;
ogni caso andrà attentamente valutato per ottenere attraverso la scelta chirurgica più idonea il miglior risultato.
La dettagliata conoscenza dell’anatomia, vascolarizzazione
ed innervazione del cuoio capelluto, nonché l’anatomo-fisiologia degli annessi cutanei dello scalpo e di tutte le opzioni
ricostruttive, appare requisito imprescindibile per ottenere
non solo la copertura del difetto ma anche una ricostruzione esteticamente valida.
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Scripta
MEDICA
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
21
La psicopatologia dell’immagine corporea
Cesare Maffei
Università Vita-Salute San Raffaele – Milano.
Il corpo, oltre ad essere un oggetto concreto, fisico, è anche
una rappresentazione mentale: ogni essere umano può osservare il proprio corpo come osserva un qualsiasi oggetto nella
realtà, ma “sente” il proprio corpo come parte integrante
della propria soggettività. È interessante notare come nella
lingua tedesca esistano due termini per designare lo stesso
oggetto, cioè il corpo: koerper rimanda al corpo fisico, mentre leib rimanda al corpo vissuto, soggettivo.
I peli del corpo, ed in particolare i capelli, hanno da sempre
ricevuto un’attribuzione di significato simbolica all’interno
del contesto socioculturale. Di particolare interesse è anche
la possibilità di modificare molto rapidamente il proprio
aspetto agendo sui capelli, ma anche sulla barba e sui baffi
nel caso degli uomini: a differenza di altre parti del corpo, la
cui modificazione implica qualche tipo di intervento clinico,
per lo più chirurgico, ognuno può modificare il proprio
aspetto tagliandosi i capelli, pettinandosi in un modo piuttosto che in un altro, tingendosi, e così via. È inutile insistere
su ciò che anche il senso comune ben conosce: i capelli bianchi, che segnalano il passare degli anni, possono venire
nascosti con le tinture, di cui soprattutto le donne (ma in
misura non trascurabile anche gli uomini) fanno largo uso.
D’altra parte i capelli rossi, o viola, o gialli, laccati a forma di
vistosa cresta segnalano una appartenenza ad un gruppo culturale, così come la testa rasata. Va da sé, perché anche questo è noto a tutti, che i capelli sono inseriti dentro il codice
dei richiami erotici, così come hanno un ruolo nelle relazioni di tenerezza, accadimento, protezione. In sintesi: le aree
del corpo in questione sembrano avere un valore simbolico
più che una funzione biologica in senso stretto, e c’è quindi
da aspettarsi che le modificazioni, patologiche o meno, che
le riguardano implichino di conseguenza degli effetti a livello psicologico, ma anche psicopatologico.
Il fatto che lo stress emozionale abbia una relazione diretta
con la perdita dei capelli è controverso: sono stati riportati
casi di perdita acuta, reversibile dei capelli in occasione di
stress emozionali particolarmente intensi (Rook et al., 1982),
tuttavia il legame tra una perdita diffusa e cronica dei capelli con lo stress emozionale è assai controverso (Olsen, 2003).
Probabilmente più importante è il rapporto tra modificazioni del corpo reali, o ritenute tali dal soggetto, e legame di esse
con fenomeni di ordine psicologico o psicopatologico. Un
esempio particolarmente significativo è rappresentato dalla
alopecia androgenetica. Numerose ricerche hanno indagato
la relazione tra la perdita dei capelli dovuta a questa condizione e la reazione psicologica ad essa: se in gran parte dei
soggetti la reazione è di moderato, transitorio disagio, ovvero non vi è particolare coinvolgimento emozionale, tuttavia
appare probabile che alcune categorie di soggetti siano predisposte ad una reazione negativa. Infatti, per quanto riguarda i maschi, (Cash 2001, Stough et al. 2005):
1. quanto più precoce è l’età, tanto più è probabile che il
soggetto si viva come diverso, come socialmente poco
desiderabile o attraente, rispetto ai coetanei;
2. i maschi che non sono sentimentalmente legati, ma aspirano ad una relazione affettiva, si possono sentire danneggiati rispetto alla loro attrattiva e quindi alla probabilità di successo;
3. coloro che hanno investito sull’apparenza fisica come
fonte di autostima sono più a rischio di tollerare male la
perdita dei capelli, proprio perché vi è un legame diretto
tra l’aspetto fisico e la stima di sé, che ha poche risorse
altrove;
4. coloro che tendono a riporre la stima di sé nella relazione con gli altri, e che quindi hanno una sorgente “esterna” dell’autostima, sono più a rischio di essere destabilizzati psicologicamente da risposte negative dell’ambiente;
5. i maschi che hanno di fondo una bassa stima di sé, o problematiche di personalità soprattutto nell’ambito narcisistico, rischiano di avere grandi difficoltà nel fronteggiare
un’ulteriore negatività.
Per quanto riguarda le femmine, vi sono meno dati di ricerca.
Tuttavia i risultati non sono diversi da quelli dei maschi per
quanto riguarda le categorie a rischio di risposta disadattiva
allo stress, che sono le stesse, con un’aggravante che riguarda
la maggiore intensità della risposta emotiva negativa, legata al
maggior investimento delle femmine sull’aspetto fisico, all’interno del quale i capelli hanno un ruolo particolare.
Un ulteriore commento, relativo sia a maschi che a femmine,
riguarda la popolazione che consulta clinicamente per la per-
Scripta M E D I C A
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
22
dita dei capelli: i soggetti che si rivolgono ad uno specialista
per un problema di alopecia androgenetica sono tendenzialmente più sofferenti da un punto di vista psicologico rispetto alla popolazione generale, per una serie di parametri clinici riguardanti l’ansia, la depressione, l’isolamento sociale,
l’insonnia, mostrando anche maggiore problematicità a livello personologico, da cui probabilmente dipende poi la comparsa dei sintomi ora citati (Maffei et al., 1994). A rendere la
situazione ancora più complessa contribuiscono i dati di una
ricerca multicentrica europea compiuta su 1500 maschi
(Mariola et al., 2005) da cui è emerso che la perdita dei capelli viene considerata come un problema non trascurabile sia
sul piano dell’immagine di sé, che delle relazioni interpersonali (minore attrattività, segnale di invecchiamento e simili);
tuttavia la percezione del problema non sembra essere connessa con la ricerca di trattamento, che riguarda una percentuale estremamente esigua di soggetti. Questo risultato ha
confermato quanto riferito in altre ricerche, senza che però
nessuna di esse sia riuscita ad approfondire il motivo per cui
alla percezione del problema non segue il tentativo di mettere in atto risposte adeguate. Tra le ipotesi fatte, va presa in
considerazione una serie di fattori tra cui la vergogna a confessare un problema che potrebbe essere da altri considerato
come superficiale e vano, ovvero il non voler ammettere di
essere davvero disturbati dalla perdita dei capelli.
Questi dati, tra i non molti disponibili, mostrano quanto sia
complesso, e quindi non sempre facilmente comprensibile, il
legame tra i capelli e la psiche, il cui rapporto, come affermato all’inizio del presente articolo, è comunque mediato
dalla rappresentazione del corpo e dalle sue relazioni con i
codici personali e sociali in cui è inserito.
Rispetto alla rappresentazione del corpo, tre aree sono particolarmente rilevanti e possono esprimersi in maniera adattiva, disadattiva o francamente patologica:
1. narcisismo: identità e stima di sé;
2. ossessività: tendenza a rimuginare;
3. ipocondria: preoccupazione per la salute.
Le classificazioni correnti dei fenomeni francamente psicopatologici riguardanti l’esperienza e l’immagine corporea, identificano alcune categorie diagnostiche raggruppate nell’ambito dei Disturbi Somatoformi, secondo il manuale diagnostico
DSM-IV (APA, 1994). Tali categorie sono così sintetizzabili:
Disturbo da Somatizzazione: riguarda la presenza di
sintomi fisici (dolore in vari distretti somatici, sintomi
gastrointestinali, sessuali, pseudoneurologici) per i
quali è possibile escludere l’origine fisica.
Disturbo Somatoforme indifferenziato: riguarda la presenza di sintomi fisici vaghi, tra cui la fatica, la perdita
di appetito, difficoltà digestive, difficoltà genitourinarie, per i quali è possibile escludere l’origine fisica.
Disturbi da Conversione: riguarda la presenza di sintomi sensoriali o motori che suggeriscono una patologia
neurologica, o comunque somatica in assenza di essa.
Disturbo Algico: riguarda la presenza di sintomatologia
dolorosa tale da non poter essere ignorata e che interferisce con la vita del soggetto.
Ipocondria: riguarda la presenza di una evidente
preoccupazione per la propria salute fisica in assenza
di sintomi, ovvero in presenza di sintomi la cui interpretazione viene distorta dal soggetto.
Disturbo da Dismorfismo corporeo: riguarda la pre s e nza di una evidente preoccupazione per un difetto fisico
non presente, ovvero la sopravvalutazione di un difetto
presente, ma di non particolare rilievo. È in questa categoria che si possono trovare i soggetti che vivono la perdita dei capelli, reale o presunta, con preoccupazione
tale da far ritenere che si sia perso il legame tra la natura del problema e la reazione psicologica, a questo
punto psicopatologica, del soggetto. Il motivo di questa
eccessiva preoccupazione può avere una natura molto
variabile: la caduta dei capelli, l’acne, la presenza di
peluria sul volto, le rughe, le cicatrici, ma anche ogni
imperfezione o asimmetria del volto, la forma del naso,
degli occhi, delle palpebre, così come l’aspetto di varie
parti del corpo, tra cui il seno, i genitali, le natiche. I
soggetti con questa problematica possono passare
molto tempo a controllare il proprio corpo, stando ad
esempio a lungo davanti ad uno specchio o ad una
vetrina, tuttavia possono anche evitare di guardarsi allo
specchio. Possono anche alternarsi i due tipi di comportamento, per cui a periodi di spasmodico controllo
si alternano periodi di evitamento. Il difetto, se possibile, può venire ridotto od occultato attraverso il trucco,
la pettinatura, ma anche “tormentato” attraverso il continuo toccare la parte in causa (ad esempio i foruncoli).
È spesso presente l’idea che gli altri esseri umani notino il difetto e che abbiano un atteggiamento di schern o
o di critica: ciò porta al ritiro sociale, o comunque alla
presenza di difficoltà nelle relazioni interpersonali in
vari campi. Può essere presente depressione, ed a volte
ideazione suicidaria. Sembra che problematiche cutanee riguardino il 65 percento dei Disturbi da
Dismorfismo corporeo e che il 50 percento riguardi i
capelli (P h i l l i p s, 1996). Nei soggetti con questa pro b l ematica si può inoltre dire che il corpo “invade” il pensiero attraverso una continua presenza mentale al problema: ciò significa pensiero coatto, rimuginazione,
Scripta
MEDICA
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
23
ossessione. Il soggetto, in altri termini, “non pensa ad
altro”, ovvero pensa troppo al problema, essendone il
pensiero stesso magnetizzato in maniera incontrollabile. È infatti tipico della psicopatologia ossessiva il fatto
di sentire che la propria volontà di pensare è annullata,
a fronte di una necessità (coazione) incontrollabile,
esattamente come quando si ha in mente il motivo di
una canzone, senza sapere il perché, senza un senso,
ma non si riesce a scacciarla.
I soggetti con Disturbo da Dimorfismo corporeo possono
essere anche affetti da Tricotillomania, cioè dalla tendenza a
strapparsi i capelli, ovvero altri peli (ad esempio le sopracciglia), in maniera compulsiva, cioè coatta. Infatti l’impossibilità di sottrarsi ad un comportamento, cioè la compulsione, è
l’equivalente comportamentale di ciò che accade nei pensieri con l’ossessione. In genere i soggetti con Tricotillomania
percepiscono un forte senso di tensione prima di compiere il
gesto, ed un grande rilassamento, o addirittura piacere, dopo
averlo compiuto. L’azione può essere compiuta sotto stress,
ovvero in una stato di “distrazione” mentale, ad esempio
davanti alla televisione, e non è usualmente accompagnata da
dolore. All’osservazione i soggetti con Tricotillomania presentano quadri variabili: sono presenti aree di completa alopecia, ovvero aree in cui la densità dei capelli è ridotta. L’area
più colpita sembra essere quella parietale, ma sono anche
presenti configurazioni a “tonsura”, mentre le sopracciglia
possono essere completamente eliminate. Qualora vi sia tricofagia, la formazione di bezoari può produrre sintomi digestivi fino all’occlusione. Nell’adulto la Tricotillomania è più
frequente nelle femmine.
Per quanto riguarda il trattamento, è evidente che ci si trova
di fronte ad un quadro estremamente variegato, in cui non è
s e m p re agevole distinguere tra normalità e patologia. Il primo
compito del dermatologo, o comunque del medico non specialista in ambito psicopatologico, è di capire quando si sia
varcato, o si stia varcando, questo confine: in questo articolo
si è cercato di riassumere in maniera molto succinta la fenomenologia dei disturbi psichici. Ad essa va aggiunto che i
disturbi di cui sopra assumono una chiara configurazione
patologica soprattutto quando l’intensità e la durata dei sintomi hanno un impatto negativo significativo sulla vita del soggetto, sia per quanto riguarda il vissuto (livello di preoccupazione, ansia, depressione, rimunginazione), sia rispetto alla
vita quotidiana (interferenza con le attività usuali, sia affettive, che relazionali, lavorative). In altri termini il disturbo va
ad interferire con la qualità della vita. Qualora si abbia il
sospetto di uno dei disturbi di cui sopra, è meglio consultare
uno specialista: è più indicato che il primo contatto con lo
specialista non coinvolga il soggetto, ma sia un consulto tra
colleghi, onde evitare il rifiuto del paziente di fronte all’idea di
essere trattato come “matto” senza motivo.
Per quanto riguarda invece le situazioni in cui il disagio psichico non arriva ad essere patologia, è auspicabile che, accanto agli eventuali trattamenti somatici, il dermatologo assuma
un atteggiamento di interesse per il paziente e non soltanto
per il sintomo. Ciò può essere fatto agevolmente attraverso
una indagine del modo in cui il soggetto si relaziona con il
p roblema, di quali sono i suoi timori e di quali sono le aspettative, accanto ad una accurata indagine di ciò che è stato fatto
fino ad ora e di quali sono i risultati ottenuti. È i n o l t re necessaria estrema franchezza, ma anche grande cautela, nel confro n t a re ciò che è possibile fare, con ciò che il soggetto si
aspetta: in altri termini, non bisogna creare illusioni, che poi
corrono il rischio di trasformarsi in cocenti delusioni. Il
paziente va quindi aiutato a farsi una immagine realistica del
p roblema, di ciò che si può fare e di ciò che può rappresentare il fatto di non poter davvero risolvere il problema: in altri
termini, va aiutato a “disinvestire” qualora abbia troppo caricato di significati il problema, mostrando come i vissuti soggettivi di menomazione possano essere tollerati. E ciò non
significa minimizzare (“si può vivere benissimo senza capelli!”), bensì educare il paziente a tro v a re ulteriori fonti di autostima (“la perdita dei capelli non è la perdita di te stesso!”).
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Scripta M E D I C A
Volume 12, n. 1, 2009 Suppl. 1
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Aggiornamenti in tema di sindrome dell’ovaio policistico
Roberto Lanzi
Unità Funzionale di Endocrinologia, Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele – Milano..
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) è la più comune patologia endocrina della donna in età fertile. Secondo la
Consenus Conference di Rotterdam del 2003 la PCOs viene definita, esclusa la presenza di altre patologie, dalla presenza di almeno due criteri tra: 1) oligo/anovulatorietà, 2) iperandrogenismo clinico e/o biochimico, 3) ovaie policistiche all’esame ecografico.
I criteri ecografici di ovaio policistico comprendono la presenza di almeno 12 follicoli di diametro compreso tra 2 e 9 mm indipendentemente dalla posizione e/o un volume ovarico > 10 ml all’esame transvaginale, anche in un solo ovaio. Altri criteri proposti comprendono un rapporto area stro m a / a rea totale dell’ovaio > 0,34 all’esame ecografico o un indice di pulsatilità > 1,85 a
livello dell’arteria intrauterina all’esame color-Doppler. L’eziologia della PCOs rimane sconosciuta. Rilevanza sempre maggiore
viene data al substrato genetico. Tra i fattori acquisiti, primaria importanza è rivestita da sovrappeso e obesità, condizioni favorenti lo sviluppo di stati di insulino-resistenza e conseguente iperinsulinismo. A livello ovarico l’eccesso di insulina sembra innescare, attraverso meccanismi solo in parte chiariti, una serie di processi che conducono ad aumento del volume ghiandolare,
eccesso di sintesi di ormoni androgeni e anomalie nella maturazione e selezione follicolare. Dal punto di vista clinico la PCOs si
caratterizza per un quadro variegato, caratterizzato in varia misura da irsutismo, acne, alopecia, oligo/amenorrea, infertilità,
acanthosis nigricans, sovrappeso/obesità, intolleranza ai carboidrati/diabete mellito, apnee notturne, epilessia. Nel lungo termine
è aumentata la predisposizione a complicanze cardio/cerebrovascolari e al cancro dell’endometrio. La terapia della PCOs pre v ede, in presenza di condizioni di sovrappeso/obesità, l’attuazione di misure comportamentali volte alla riduzione del peso corporeo. Un ruolo sempre maggiore stanno acquisendo i farmaci insulino-sensibilizzanti quali la metformina, allo scopo di ridurre i
livelli circolanti di insulina. Gli estro progestinici hanno un ruolo sintomatico, garantendo flussi regolari e il conseguente fisiologico ricambio della mucosa uterina, oltre ad avere azione antiseborroica e di controllo dell’irsutismo. L’uso di farmaci quali clomifene e inibitori delle aromatasi può essere indicato nell’ambito di programmi di fecondazione assistita.
L’importanza della galenica e del consiglio del Farmacista
Mauro Castiglioni
Farmacista – Milano.
La scelta del prodotto "Galenico" rappresenta sicuramente per il medico un momento importa della Terapia. Definire
bene un Galenico rappresenta il punto di partenza per poter affrontare un argomento che può, a seconda dei casi, dar luogo a
spunti diversi. La realizzazione in Farmacia di un preparato galenico di origine magistrale deve essere vista come la possibilità di
creare un prodotto unico, non presente sul mercato, in grado di andare incontro alle singole esigenze del paziente. L'utilizzo di
questo prodotto da parte del medico deve pertanto soddisfare queste precise caratteristiche. Il ricorso al Galenico Cosmeceutico
di origine magistrale deve essere visto come la possibilità di prescrivere al Paziente un farmaco unico, specifico e studiato in base
alle sue specifiche esigenze. In questo contesto ecco che l'unione tra cosmetica e farmacologia possono portare alla realizzazione
di un prodotto particolare con caratteristiche di biodisponibilità e concentrazioni del o dei principi attivi del tutto particolari. La
realizzazione di una base costituita da eccipienti con particolari caratteristiche chimico-fisiche nella quale vengono incorporati o
dispersi i principi attivi di diversa natura e concentrazione, portano alla formazione di un prodotto specifico studiato ad hoc per
il paziente che tenga conto sia delle caratteristiche del paziente stesso, sia della particolare patologia (utilizzo di concentrazioni
diverse, possibilità di associare uno o più principi attivi). Sono queste le principali e ritengo uniche motivazioni che devono portare il medico a scegliere questi prodotti rispetto ad altri. L'utilizzo di principi attivi non utilizzabili in cosmetica, veicolati però
con basi aventi caratteristiche cosmetiche, rappresentano sicuramente una delle nuove frontiere della moderna Tricologia.