MoCa (re)Press- Gennaio 2017

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La post-verità, Orwell e la nostra ignoranza
Per il prestigioso Oxford Dictionary la parola dell’anno,
per il 2016, è stata “posttruth” (“post-verità”). E non
promette nulla di buono per il
2017. Perché questo sarà l’anno in cui dovremo
farci i conti un po’
tutti, visto il pesante effetto nelle nostre vite quotidiane.
La falsità dei contenuti, la plausibilità
e soprattutto la diffusione virale sono
tre elementi che
caratterizzano quelle che frettolosamente abbiamo etichettato
come
“bufale”. Ma il problema è più profondo, perché il nuovo
corso ci porta in
dono un capovolgimento del pensiero:
l’obiettività o la
veridicità dei fatti è
diventata
molto
meno rilevante (o
anche
totalmente
irrilevante) rispetto alla solleticazione delle emozioni e
delle convinzioni personali di
chi ascolta. E dunque scopriamo che molti “brexiters” nel
Regno Unito, dopo aver votato per il “Leave” in base ad
emozioni e credenze personali, corrano su Google a cercare di capire cosa sia l’Unione
Europea.
Stessa dinamica
per gli allarmi alimentari
infondati che corrono sui social o qualsiasi altra notizia
che possa solleticare i nostri
istinti primordiali. Ma questa
è solo la deflagrazione più
spettacolare di un fenomeno
che esiste da tempo. Non
sono solo webeti o leoni da
tastiera a guidarlo. Si è scoperchiato un vaso di Pandora, che non permette a larga
parte delle persone di capire
più cosa sia il vero e il falso.
L’orwelliano “bispensiero” per
cui il vero e il falso si annullavano, intrecciandosi in maniera assurda ma reale è
dietro l’angolo. Molti si erano aggrappati alla Rete prima e ai social poi come baluardi intelligenza collettiva
e consapevolezza diffusa, che
dovevano aiutarci a districarci nel mondo. E invece sono
dei collettori di stupidità
collettiva e catalizzatori della
post-verità. Facebook, ad
esempio, per motivi princi-
palmente commerciali, permette alle persone di modellare quello che leggono in
base ai loro gusti, rinchiudendolo in “camere d’eco”, in
cui si rinforzano le narrazioni
e i pregiudizi che
già si posseggono,
ignorando il resto.
Che sia vero o falso,
dunque, non importa. Il risultato è che,
oltre alla sparizione
dei luoghi fisici di
confronto, rischiano
di scomparire pure
quelli virtuali in cui
praticare un autentico confronto basato sul ricorso a parametri razionali e
non emotivi. Ognuno vive nella sua
bolla tribale, covando odio e rancore
per le bolle altrui.
L’unica
risposta
sensata a questo
impazzimento generale, resta, probabilmente, la formazione delle persone. Una impresa di lungo respiro e da far
tremare le vene ai polsi. Da
parte nostra tenteremo, nel
nostro piccolo, di tenere diritta la barra, rimanendo aperti, lucidi, inclusivi e senza
rinunciare al confronto, critico ma leale con chiunque
abbia voglia di partecipare.
Sarà difficile, ma dobbiamo
provarci. E questo è decisamente un gran buon proposito per l’anno che comincia.
La Redazione
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Sommario
Una serie al giorno..
2
Amarcord
2
Grazie Maria!
3
La fine del...
3
Da Nusco alle Ande
4
Classifica Libri
4
Nihil sub sole...
5
La Meningite, il...
5
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MoCa (re)Press Gennaio 2017
Una serie al giorno …
Sono sempre stata una patita di serie tv, sin dai tempi de“La
casa nella prateria” e de “I Jefferson” (stereotipi americani a gogo!) che mi hanno accompagnato durante l’infanzia, per poi
passare a “Twin Peaks” ed ad “Ally McBeal”! Da appassionata
sono rimasta felicemente sorpresa dell’evoluzione delle serie,
che oggi sono scritte, dirette ed interpretate come dei piccoli
capolavori cinematografici. Quest’anno mi aveva già molto colpito “The young Pope”, diretta da Sorrentino, ma era solo l’inizio di una ricca stagione, che non riguarda solo la programmazione di Sky, ma anche quella di Fox Life (ahimè, niente RAI o
Mediaset) e che spazia dalla commedia agro-dolce familiare,
alla serie sentimentale, a quella dal taglio poliziescogiudiziario. Impossibile recensirle tutte (ce n’è più di una al
giorno!), ma almeno tre mi sento di consigliarle, a partire da
quella che si è appena conclusa, ma che andrà in replica in versione maratona a breve, “The night of”. Miniserie di otto episodi, prodotta dalla Hbo, è stata creata, scritta e diretta dallo sceneggiatore di Schindler’s List Steve Zaillan e pensata, in
realtà, per James Gandolfini (scomparso, purtroppo, nel 2013). La storia è quella giudiziaria di un giovane pakistano, accusato di omicidio e costretto a fare i conti col sistema penitenziario e con la Giustizia americana, difeso da un problematico e
contraddittorio avvocato, impersonato in maniera sublime da John Turturro. Taglio da documentario, ambientazioni oscure
e realistiche, fanno di questa serie l’avanguardia del poliziesco, in cui non è più la soluzione del caso l’apice della storia, ma
il dubbio che si innesca nello spettatore e che lo lascia irrisolto e pensieroso. Di tutt’altro genere, finto familiare direi, This
is us, in onda su Fox Life dopo oltre 20 milioni di visualizzazioni del trailer sui social! Vite che si intrecciano, con un minimo
comun denominatore costituito dalla data di nascita dei protagonisti (la stessa) ed un sovrapporsi di emozioni, positive e
negative, che ti coinvolgono e rilassano per tutto l’episodio, seppur con un leggero magone che nelle saghe familiari non guasta mai (come in quei meravigliosi film di Natale, dove famiglie assurde si riuniscono, all’insegna di chi ha il segreto più
grosso da nascondere!). E poi, per ora, sto seguendo “Divorce”, che dopo 12 anni porta sul piccolo schermo Sara Jessica Parker (protagonista di un’altra serie culto) nei panni di una donna che nella separazione dal marito trova una motivazione per
reinventarsi (o forse autodistruggersi … non l’ho ancora capito!). 8-10, al massimo 13, episodi per raccontare delle storie
credibili, con un’ottima fotografia, delle interessanti colonne sonore, degli attori non scontati ed efficaci ed una regia spesso
realista. Questi gli ingredienti di successo delle nuove serie tv, che consolano quelli come me che sempre più spesso devono
rinunciare alle prime visioni cinematografiche!
Giuseppina Volpe
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Amarcord
La vita viaggia ad una velocità impressionante
e a volte neanche ce ne rendiamo conto. Come
in una sorta di amarcord, in alcune circostanze, ti ritrovi a calcolare quanti anni sono passati da un dato evento attraverso una canzone
e capisci che ne è passato davvero tanto perché
l’ascoltavi col Walkman (attrezzo ormai andato in disuso) quando andavi al liceo. Oppure
improvvisamente arriva un profumo che non
aspetti e ti ricordi che lo metteva tutte le mattine la tua coinquilina e che in quei giorni ne
eri quasi nauseata, e oggi, invece, ripensi a
quei tempi e vorresti tanto abbracciarla perché
non la vedi proprio da tanto. E la dimensione
del tempo che passa è data anche da particolari apparentemente insignificanti, ma è necessario fermarsi un attimo. Improvvisamente arrivano, come in un vortice, una serie di piccoli particolari. Per allargare ulteriormente il campo dei ricordi basta farsi una chiacchierata con qualcuno, ed ecco subito servite peculiarità dimenticate,
accompagnate da risate ma a volte anche da tanti pianti. Ho la fortuna, nonostante l’epoca social, di parlare ancora tanto
con le persone. E quando lo faccio con quelle care mi piace scoprire anche le loro emozioni. A volte mi ritrovo a ridere come
una pazza, ma tante volte mi ritrovo anche a commuovermi. Ecco, questo mi piace della mia socialità ancora reale. Sarò
anche anacronistica, sarò anche desueta, ma non baratterò mai un abbraccio, una stretta di mano, una pacca sulla spalla o
anche solo un semplice sguardo per niente. Come non potrei mai sbagliarmi su quel profumo di quella mia coinquilina, lo
riconoscerei tra un milione, perché è suo, è nostro!
Laura Bonavitacola
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Grazie Maria!
Fatta la legge (passibile di notevoli miglioramenti, ma per
ora ci accontentiamo almeno della sua esistenza!) sulle unioni civili, bisogna educare gli italiani. Sono in due a provarci,
con risultati molto diversi: da un lato la regina dei troni, Maria De Filippi, dall’altro Raitre con il programma “Stato civile
–L’amore è uguale per tutti”. Grande successo per la prima;
attacchi, polemiche e insulti per il secondo. È la distanza
incolmabile tra l’ideale e il reale, tra la favola e la quotidianità, tra il personaggio e la persona a generare una reazione
diversa nel pubblico. Insomma la Maria nazionale crea un
quadretto amoroso idilliaco, fatto di incontri, di sguardi, di
qualche litigio ben congeniato, con protagonisti belli, aitanti,
muscolosi. Il pubblico si lascia coinvolgere emotivamente e si
auspica il lieto fine. E le preferenze sessuali non contano più,
non vengono prese in considerazione, perché tanto è solo una favola, un mondo perfetto, ma inconsistente. “Stato civile” (andato in onda prima in seconda serata, e poi in replica durante le ultime festività subito dopo “Blob”, intorno alle
20:15) ha raccontato storie d’amore lunghe 10, 20, addirittura 52 anni, di coppie che hanno vissuto la loro quotidianità, nonostante i pregiudizi, l’assoluta mancanza di diritti, l’ottusità culturale che le ha circondate. Storie vere di gente comune
che è riuscita a trovare la forza nel sentimento. Ma proprio perché hanno raccontato, senza recriminazione e risentimento,
ma con dolcezza e leggerezza, il loro amore, ecco che una parte del pubblico sovrano ha pensato bene di lasciarsi andare a
commenti per così dire poco educati sul programma. Così la TV pubblica, che finalmente fa qualcosa di pubblico, viene accusata di produrre spazzatura grazie all’estorsione del canone, e la De Filippi, che irretisce e inganna con le sue perfette e
finte favole d’amore, ottiene tanto di plauso per la funzione civile che riesce a svolgere. Non ci resta che ringraziare Maria
perché possiamo continuare a vivere nelle favole e rimanere lontani dalla realtà
Marialuisa Giannone
La fine del maggioritario
Ormai è trascorso un mese da quando
si è svolto il referendum costituzionale,
che si è concluso in modo chiaro: una
riforma pessima che è stata bocciata
seccamente. Il dibattito si è immediatamente spostato sulla legge elettorale.
Dando per scontato che l' “Italicum”
verrà in buona parte dichiarato incostituzionale e visto che ormai nemmeno i
redattori di questa legge elettorale se
lo filano più, occorrerà riscriverne
un’altra. E qui ricomincia un’epopea,
quella delle leggi elettorali con componente maggioritaria più o meno marcata (“Mattarellum” o “Porcellum”). Facendo una panoramica all'estero, tra i
paesi da cui abbiamo in passato preso
spunto per le nostre leggi elettorali,
emerge che molti paesi storicamente
bipartitici, laddove ha avuto in passato
senso una legge elettorale maggioritaria, ormai non sono più tali: sono emersi terzi (o persino più) poli che hanno
spazzato via l'antecedente dualismo tra
Conservatori e Progressisti. L'Italia,
che tradizionalmente non è bipartitica,
ha provato la strada del bipolarismo
con un esito: due schieramenti con accozzaglie di partiti nel segno di un leader unificatore candidato premier. Ne
sono scaturiti governi indecenti, comunque ricattabili da partiti minori,
che hanno prodotto solo disastri. Ma il
punto che occorre segnalare maggiormente è che si è sacrificata la
“rappresentatività” (ovvero il diritto di
ogni cittadino ad essere rappresentato
da un parlamentare scelto con una
preferenza) in nome della
“governabilità” (ovvero garantire l'esistenza di un esecutivo ad ogni costo, al
netto degli Scilipoti, dei Razzi, dei Verdini, degli Alfano etc.). Il dogma della
“governabilità”, legata a doppio filo con
le leggi elettorali di stampo maggioritario, ha prodotto deficit democratici: per
garantirla si è ricorso a leggi elettorali
che premiano in modo drastico il partito/coalizione che prende anche un solo
voto in più; ma questo, nello scenario
attuale, implica che con il 30% o meno
dei voti si governi, grazie a dei bonus
abnormi. Se volessimo attenerci cieca-
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mente al dogma potremmo pensare persino di eliminare le libere elezioni e
instaurare una dittatura, forma di governo stabilissima, de gustibus... È dunque d'obbligo chiedersi quanta
“rappresentatività” siamo disposti a
sacrificare in nome della
“governabilità”, e quale legge elettorale
dovremmo scrivere per il futuro del paese. Il sottoscritto, analizzando gli accadimenti politici dell'ultimo ventennio,
auspica una legge elettorale con fortissima componente proporzionale e minima componente maggioritaria, che sacrifichi il minimo indispensabile di
“rappresentatività” e conceda premi di
maggioranza solo in caso di forte distacco di voti tra il partito/coalizione più
votato e gli altri schieramenti. Il sostanziale ritorno al proporzionale, che qui
propongo, potrà sembrare obsoleto, ma
è quanto di più congeniale al quadro
politico italiano e non solo, e mi sembra
oggettivamente meglio del perseverare
nell'attuale stato di cose per continuare
a vedere i palazzi del potere completamente in mano a forze politiche che
rappresentano a stento un terzo dei
votanti, storpiando il volere del popolo,
che può essere anche quello di non dare
il mandato di governare a nessuno: è
accaduto in altre nazioni senza che si
siano abbattute piaghe bibliche su di
esse.
Adamo Gambone
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La Narrativa… a cura di Luigi Capone
Da Nusco alle Ande, Ciriaco sei grande
Garibaldi l’eroe dei due mondi, Che
Guevara il rivoluzionario comunista.
Ciriaco De Mita il profeta della dottrina
cattolica adattata al capitalismo sulle
orme di Don Sturzo. Il pericolo comunista era in agguato in tutto l’occidente
non ancora conquistato dal Patto Atlantico. La sua diffusione era così capillare che la voce arrivò persino in ogni
singolo paese e frazione dell’entroterra
dell’Italia meridionale, lì dove negli
anni ’50 la lotta dipinta da Guareschi tra il sindaco comunista Peppone e il parroco democristiano
Don Camillo era ridotta però a
un’egemonia incontrastata del secondo. Secondo una famosa canzone di Gaber “Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia”, invece da quelle parti “nessuno era
comunista perché era nato in Irpinia”. Era l’epoca in cui veniva sconfitto Fiorentino Sullo e saliva al
trono Ciriaco De Mita, e con lui
Biagio Agnes diventava direttore
della RAI, la P2 era viva e vegeta come
non mai. Era l’epoca del divino Giulio,
Belzebù, delle stragi e dei posti fissi. La
spettacolare prima repubblica. Era
un’altra era, era tutto più semplice e
anche la gente era più vera. Si votava
in maniera molto semplice, quasi automatica, “croce sopra a croce” e non ci
pensavi più. Era l’epoca dei “comunisti
drogati che facevano le orge” e qualcuno
di loro aggiungeva “magari!”, perché da
che mondo è mondo il comunista lavora
tanto e tromba tanto poco (lo ricordava
anche il grande Carlo Monni in una sua
poesia). Era l’epoca in cui l’Italia era
come il mio quartiere, dove la Democrazia Cristiana prendeva il 96% e il Partito Comunista il 4%, i tempi d’oro dell’Italia, anzi degli italiani che hanno vissuto in quegli anni. Era l’epoca dei comunisti che erano gli unici a rimanere
disoccupati e qualcuno di loro di conseguenza finiva per entrare nella cerchia
dei cosiddetti pazzi del paese, chiamati
anche i “Mao Mao”, una tribù terrorista
filo-cinese. Il Paese in questione era
diviso in due parti come Berlino, la parte ovest, corrispondente con la cattedrale e le rovine del castello, era frequentata dai democristiani con passeggino,
gelatino e maglioncino sulle spalle, abituati a giocare a carte davanti alla sezione della Democrazia Cristiana, poi
del PPI, poi della Margherita, oggi del
Pd (ma è vuota, la catena si è interrotta
con il Pd). La parte est era invece piena
zeppa di comunisti, iniziava con la sezione della sinistra giovanile che era
uno stanzino buio di 10 metri quadrati
e terminava con i giardinetti pubblici
dove i filosovietici erano soliti fumare
erba. Inutile aggiungere che anch’io
stavo nei giardinetti (e che forse non
ero nemmeno comunista ma tale mi
ritenevano i democristiani e viceversa;
nel dubbio stavo coi comunisti). Non
fate come me! Votate DC sin dall’inizio
che troverete lavoro nei dintorni del
vostro quartiere senza dover emigrare.
In quell’epoca si diceva anche che la
marijuana fosse satanica, nel senso che
potesse modificare l’animo umano facendolo tendere al maligno. Anche a
bere, nei bar bevevano solo i comunisti.
I democristiani invece, con il loro stipendio ricco, ogni sabato sera andavano
nei night club sulla litoranea a bruciare
soldi appresso a quattro ballerine che
non gliela davano neanche, lasciando le
mogli a casa davanti alla tv. Commoventi le militanze di intellettuali ingombranti in tutti i sensi come Giuliano Ferrara con Lotta Continua e di
Giovanni Lindo Ferretti punk comunista leader dei CCCP – Fedeli alla linea
armato sulle barricate durante la rivoluzione portoghese, entrambi poi fonda-
tori della lista conservatrice cattolica
“Aborto No Grazie”. Oggi il primo scrive sul Foglio, il secondo sull’Avvenire.
Tanti sono quelli che ricordiamo che
hanno cambiato casacca e identità ma
nessuno si ricorda di Paolo Gentiloni,
un comunista anonimo di cui mai nessuno aveva sentito parlare fino a quando non è diventato fiorellino e centrista, quindi ministro e quindi Presidente del Consiglio dei Ministri dopo
le finte dimissioni di Matteo Renzi, il boy scout di Licio Gelli. Nessuno si ricordava nemmeno della
militanza comunista di Vincenzo
De Luca, messo in quarta fila nelle poche foto in bianco e nero
dell’epoca reperibili su internet,
uno che ha meritato l’appellativo
di “sceriffo”, eternamente indagato, saldamente ancorato a quella
scrivania dalla quale parla, appare composto sulla sua emittente
privata locale scatenando la fantasia dei telespettatori, per cui è
facile paragonarlo a un personaggio
immaginario a metà strada tra Il Padrino e Totò della Banda degli onesti. I
fascisti invece, semplicemente non
c’erano (quelli sono venuti prima e
dopo) oppure si nascondevano bene.
Almeno in Paese, bastava nominare le
teorie centriste popolariste di Don
Sturzo per eliminare comunisti e fascisti in un colpo solo. O forse i fascisti
sono questi che abbiamo nominato
finora ma ci hanno preso per il culo
talmente bene che non ce ne siamo
accorti. Sì, perché, in tutti questi anni,
ci hanno convinti del fatto che la dittatura possa essere solo di estrema destra o di estrema sinistra, mai di estremo centro.
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Classifica Libri
1.La paranza dei bambini di Roberto Saviano € 18.50
2.L’arte di essere fragili di Alessandro D’Avenia € 19.00
3.Il labirinto degli Spiriti di Carlos Ruiz Zafon € 23.00
4.La ragazza del treno di Paula Hawkins € 19.50
5.Harry Potter e le maledizioni dell’erede di J. K. Rowling € 19.80
6.La dieta della longevità di Valter Longo € 15.90
7.Diario di una Schiappa di Jeff Kinney € 13.00
8.Pane di Maurizio De Giovanni € 19.00
9.Miss Peregrine la casa dei ragazzi speciali di Ransom Riggs € 18.00
10.L'amica geniale di Elena Ferrante € 18.00
Fonte: http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/catalogo/libri/classifica-libri.html
“La presente pubblicazione non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene pubblicata senza alcuna
periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n°62 del 7-3-2001”
MoCa (re)Press Gennaio 2017
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Nihil sub sole novum!
“I giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese con lo
scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che
devono essere controllate. Propongo non un tribunale governativo, ma
una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate
dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei
giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa
il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del
telegiornale o in prima pagina se cartaceo”. È l'ultima geniale trovata di
Beppe Grillo, la prima di questo nuovo anno, (giusto per ricordare ai più
ottimisti che a cambiare sono solo i calendari!), che “tuona” direttamente dalle colonne del suo blog. Un'entrata, l'ennesima, a gamba tesa sul
sistema di informazione italiana, rea, a suo dire, di essere fabbricatrice
consapevole di notizie false. Nihil sub sole novum! È un’accusa non giustificabile anche perché non giustificata. Difficile capire se Grillo la pensi davvero così, o sia solo l'ennesima becera provocazione, un
“distrattore” retoricamente ben costruito, considerato il momento non
proprio roseo del movimento di cui è capo indiscusso. Certo è invece che
a pensarla così sul sistema di informazione è la maggior parte di chi
frequenta il suo sito e probabilmente una fetta consistente dell'elettorato a cinque stelle. Rispondono un po' tutti, risponde,
per esempio, Enrico Mentana, invitando Grillo a cercarsi un avvocato, minacciando dunque querela, salvo poi, dietro una
correzione di tiro dello stesso Grillo, o chi per esso, far svanire la minaccia. Abbiamo scherzato insomma! E risponde Mario
Calabresi, direttore di Repubblica, tramite editoriale: “Sarebbe sbagliato orchestrare una difesa d’ufficio del giornalismo
italiano, senza dubbio non esente da pecche e peccati, ma nel dibattito sui falsi che circolano in rete non siamo noi i colpevoli.
La prima responsabilità ricade infatti su chi da anni predica l’inutilità di esperienza e competenza, per cui chiunque può
concionare su vaccini, scie chimiche, chemioterapia o cellule staminali con la pretesa di avere in tasca una verità popolare,
da nulla suffragata se non da un sentimento di massa”. E così quello che poteva essere un vero, duro confronto sull’informazione italiana si riduce a una partita, con tifosi moderati e capi ultras, una vana contrapposizione utile solo a convincere i
già-convinti propri sostenitori. Di altamente inquietante rimane comunque quel richiamo all'indistinto “tribunale del popolo”, immaginato come quella folla acclamante, esaltata, aizzata ad arte... che alla fine sceglie sempre Barabba.
Angela Ziviello
[email protected]
La Meningite, il gioco di chi?
Come tutti sappiamo, l’allarme meningite sta invadendo tutto lo stivale. Tra le
regioni più “bombardate”, la Toscana dove i casi di meningite conosciuti non
sono certo recenti, alcuni risalgono a un anno fa. Si è diffusa una psicosi generale che non lascia scampo. È da considerarsi un’epidemia? Oppure è solo un
modo per “pubblicizzare” vaccini che mettano nelle tasche del paese nuovi soldi? È solo terrorismo psicologico o verità assoluta? I media sguazzano gioiosamente in questi mari battendosi tra l’allarmismo e le rassicurazioni. Poi ci
sono gli articoli di chiarimento e quelli “pubblicitari”. Non per offendere, anzi;
ma ho poco gradito la medaglia d’oro Bebe Vio e tutta la sua famiglia ritratti in
foto mentre si tenevano l’ovatta sul braccio dopo aver fatto il vaccino. Da lì si
passa alla strumentalizzazione dei partiti politici che fanno partite di ping
pong fra chi sostiene i vaccini e chi punta il dito contro il presunto allarmismo.
Ma si sa, tutto in Italia diventa politica. E così, tra un malato e l’altro, i media,
insieme ai politici e ai mercenari della salute, ci mangiano su. Una gran delusione, come per tutte le malattie che da decenni spuntano abitualmente e poi,
come per magia, scompaiono. E non si sa neppure come. Vaccinarsi o no? Epidemia o no? Questo il dilemma. Per qualcosa di così importante come la salute,
i giochetti di politici/media/mercenari andrebbero tolti di mezzo. Il Ministero
della Salute dovrebbe (che brutto usare il condizionale per questi argomenti)
zittire qualunque voce e chiarire la situazione, in seguito definire un piano di intervento. Ma qui, in Italia, si pensa a fare i
giochetti: trasmettere servizi al tg che terrorizzano (anche sull’influenza, non dimentichiamolo) seguiti da famiglie sorridenti che si vaccinano e, infine, da politici che rinnegano il vaccino dicendo che è tutto ingigantito. A chi credere? Continuo,
anzi, continuiamo a farci domande. Ma risposte concrete fatte di piani di azione dello Stato non ne arrivano. Del resto, lo
Stato è troppo impegnato a fare il gioco delle sedie, cosa gliene può interessare dell’allarme meningite?
Rita Mola
[email protected]