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Anniversari
SERGIO LEONE: DALLO ‘SPAGHETTI WESTERN’ AL MITO
Nel ventennale della sua scomparsa girando per la rete si scopre che i più grandi fan
del regista romano sono negli Usa. Non a caso Quentin Tarantino ha affermato che
non avrebbe mai potuto dirigere un film se non avesse visto “C’era una volta il
West”. Spulciando nel web ecco una selezione di interviste ed interventi personali
che mettono in luce alcuni risvolti della poetica cinematografica del John Ford
italiano. La sua terminale pellicola “C’era una volta in America” (1984) è un
capolavoro all’insegna di una ‘ricerca del tempo perduto’ di pretto sapore proustiano.
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di Alessio Di Lella
Scrivo “Sergio Leone” su www.google.it . I primi dieci risultati che escono sono, nell’ordine: tre
biografie di siti enciclopedici italiani (Wikipedia, Mymovies, Italica Rai); 3 video pubblicati online
per celebrare vita e opere del regista (potremmo chiamarli “amarcord video” o “coccodrilli online”,
per utilizzare un termine giornalistico); un “fan site”, dal curioso nome di “per un Pugno di
Leone!”, “A Fistful of Leone!”, www.fistful-of-leone.com ; altre tre biografie, Trovacinema di
Repubblica, Wikipedia inglese, ed Internet Movie Data Base. Per chi ha dimestichezza con il web
searching, si accorgerà che simili prime pagine escono con personaggi di fama internazionale. Tre o
quattro biografie online, alcuni tra i video più cliccati, un paio di fan site. Provate a scrivere
“George Washington”, “Steven Spielberg”, “Cristiano Ronaldo”, “Michael Jackson”, per dirne
alcuni.
Curioso come il più grande fan site del nostro regista non sia italiano, ma americano. Il sito
www.fistful-of-leone.com è una piacevole sorpresa. Contiene curiosità, interviste, recensioni di tutti
i film, materiali multimediali, link competenti, forum di discussione, approfondimenti tematici,
negozi online per l’acquisto di dvd. In home page c’è una presentazione di benvenuto, una breve
scheda del personaggio. Il suo cinema viene definito “slow, beautiful and powerful”. Fistful of
Leone è un “tribute to the masterful Sergio Leone!”, una valida alternativa alle enciclopedie
“democratiche” del web, un sito scritto da appassionati e rivolto ad appassionati, e non solo. Poi c’è
tutto il resto del web, anche se i “tributi” sono di stampo disinvolto, non specializzato.
Appassionato, appunto. In Italia potete trovare molti fan forum, muri di discussione dove si parla di
questo o di quel film. Come da tradizione, inoltre, disponiamo di un’ottima bibliografia di studi e
ricerche sul regista napoletano (a proposito: chi di voi lo ritiene ancora romano? In una intervista
Leone stesso ha dichiarato: “sono meridionale anch’io, sono figlio di padre napoletano, ho vissuto
più a Napoli che a Roma, anche essendo nato a Roma...”). Dicevo, segnaliamo alcune pubblicazioni
di sicuro interesse per gli studi su Sergio Leone. Tra le più recenti, non possiamo non citare lo
studio di Italo Moscati, Sergio Leone: quando il cinema era grande (Lindau, 2007, collana “Le
Comete”, 227 p.), e l’importante Sergio Leone: America e nostalgia di Sergio Donati (Edizioni
Falsopiano, 2005, 192 p.), sceneggiatore che lavorò per Leone stesso, abile nell’aver realizzato
un’indagine fotografica dell’immaginario americano così come costruito nei film di Leone. Tra i
maggiori studiosi stranieri segnaliamo Cristopher Fryling, che con la sua ultima pubblicazione
Sergio Leone: once upon a time in Italy, ha completato un percorso di studi sul regista napoletano
caratterizzato da interviste ed inchieste realizzate con la collaborazione di personaggi appartenenti
al mondo artistico di Sergio Leone (Clint Eastwood, Ennio Morricone, Lee van Cleef, lo stesso
Donati che abbiamo già citato). Il volume è disponibile presso la biblioteca Luigi Chiarini del
Centro Sperimentale di Cinematografia di Cinecittà, Roma.
Tornando ai contributi del web, ho spulciato tra decine di pubblicazioni multimediali (perlopiù
video estratti da vecchi documentari e trasmissioni tv), molte delle quali inedite rispetto ai
contributi speciali che potreste trovare nei menù dei film in dvd disponibili oggi sul mercato. Di
seguito, trascrivo alcuni spezzoni di un’interessante intervista realizzata poco prima dell’uscita in
sala di C’era una volta in America, mandata in onda da Raisat Cinema, resa disponibile in rete per
opera di un appassionato spettatore, e stranamente assente dagli archivi online della Rai…:
[Giornalista]: “Perché il suo film finisce nel ’68?”
[Sergio Leone]: “Il mio film finisce nel ’68 perché, essendo una storia sulla nostalgia, sul passato,
quasi proustiana, quasi “Alla ricerca del tempo perduto” di un gangster, ho voluto significare
queste due epoche che per me sono determinanti per l’America, cioè: il ’22 , che è l'epoca
dell'antirepressione; il ’33, il proibizionismo; e poi c'è un lasso di tempo, che è oblio, è un vuoto
quasi pneumatico, per arrivare al ’68 che è la data della grande contestazione. Ma non è un fatto
legato alla politica. È una coincidenza, quella del ’68, ma mi piaceva pensare che questo
protagonista si addormentasse coll’oppio nel 1968, quando sono cominciate un certo tipo di
contestazione ed una nuova America”.
[Giornalista]: “Le 3 ore e 40 minuti sono tante per un film, sono tante per le nostre perfide abitudini
televisive. Dice che ce la farà, a difendere la durata di questo suo film?”
[Sergio Leone]: “Mah! Fino ad adesso chi l’ha visto, ha detto che fossero passati appena un’ora,
un’ora e mezza, e questo quindi è un gran vantaggio. Si, io questa cosa la devo difendere, anche
perché, in America, sono in polemica con gli americani, stanno cercando di tagliare il film e
arriverò forse anche ad un processo. O perlomeno, ritirare il mio nome se questi si ostinano a non
farlo uscire nella versione originale. Ma io credo che i film siano lunghi fin quando annoiano.
Ecco, un film di 3 ore e 40 può sembrare un film di un’ora, e un film di un’ora e mezza può
sembrare un film di 5 ore. E quindi la verità sta in mezzo. Il pubblico vede lo spettacolo e un film
così, un film nostalgico, un film sull’America che a me mi ha affascinato e appassionato, non
poteva che avere questa lunghezza, e questa durata”.
[Giornalista]: “Un’ultima domanda, io sono meridionale, non so se se ne sia accorto...”
[Sergio Leone]: “Io me ne sono accorto e le dico che sono meridionale anch'io, sono figlio di padre
napoletano, ho vissuto più a Napoli che a Roma, anche essendo nato a Roma...”
[Giornalista]: “Allora gliela posso fare questa domanda: per i contadini delle vostre parti, che sono
andati in milioni ad emigrare in America, è stato un bene o un male che Cristoforo Colombo abbia
scoperto l’America?”
[Sergio Leone]: “Guardi, io le posso rispondere solo una cosa, e con una certa convinzione: in
realtà, noi abbiamo esportato contadini, ed importato gangster...”.
C’era una volta in America (1984) è il film più amato dagli appassionati di Sergio Leone.
Personalmente, ritengo che la migliore recensione del film che si possa consigliare di leggere, sia
quella scritta dall’enciclopedia del cinema “il Morandini”. È una recensione impeccabile,
esauriente, esemplare. Un buon punto di partenza prima di avventurarsi in eventuali studi
accademici sull’opera. Per chi non ne dispone una copia cartacea, può leggerne la versione originale
online al link http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=3925. Cosa pensa Sergio
Leone dei suoi film? All’università, un famoso docente di studi cinematografici mi insegnò che non
bisogna mai fare riferimento al pensiero di un autore per studiare il cinema dell’autore stesso; al di
fuori dell’approccio accademico, però, penso che l’obiettività del regista sui suoi film sia la messa a
fuoco migliore da farsi nel marasma del “giornalismo minestrone” in cui oggi ci muoviamo, per
cercare di avere un pochino di informazione culturale in merito. Riportiamo allora ulteriori
contributi del regista stesso, raccolti e selezionati da documentari e servizi per la televisione
italiana, mandati in onda quando il regista era ancora in vita.
Un appassionato di cinema western, ad esempio, potrebbe imparare moltissimo da questa semplice
e completa osservazione di Sergio Leone sul suo cinema, nel contesto del cinema western
americano (il regista fa riferimento, in particolare, al cinema di John Ford: “La condizione di Ford è
un rigore, cioè i personaggi di Ford sono sempre attaccati ad una certa realtà, anche se
edulcorata. Per cui Ford si differisce da me proprio totalmente nel modo di concepire la vita. Lui
era un ottimista, io decisamente un pessimista. Ecco, questa è la differenza che regna sovrana nei
film di Ford e miei. Cioè, l'ho detto già una volta, i suoi personaggi quando si affacciavano alla
finestra guardavano lontano uno splendido futuro. I miei, invece, avevano solo paura di prendere
una palla in mezzo agli occhi”.
Leone parla di un cinema western il cui linguaggio è appiattito, fotografico, nei confronti di
un’epoca della quale il suo cinema deve valorizzare la valenza mitologica. In questi termini,
ambientazioni, personaggi, città, devono tutti appartenere ad un’unica ripresa, un unico modo di
vedere il mito raccontato dall’occhio della telecamera. Famosi sono, ad esempio, i “primissimi piani
alla Sergio Leone”, la cui ricetta, per dirla con parole sue, è la seguente: “Io ho pensato sempre di
usare il cinemascope come mezzo di grandezza e, appunto, profondità. Voglio dire, con la stessa
attenzione con cui riprendo una montagna o un paesaggio, riprendo anche gli occhi, ecco. E quindi
una faccia, per me, diventa una vasta prateria”. Non servono commenti, invece, per la seguente
idea di cinema western che Leone ha sempre avuto nel cuore per dirigere i suoi film: “Voglio dire,
il western è... l’ingenuità di un fanciullo. Riproposta in un adulto, diventa infantilismo. Però non è
detto che l’adulto non debba rimanere affascinato dall’ingenuità del fanciullo. E secondo me, ha
l’obbligo di riproporla, quest’ingenuità, naturalmente in maniera più adulta, con mezzi più
avanzati. Di riprodurre che cosa? La realtà... cioè, la realtà dell’ingenuità. E mi sembra la cosa
più sacrosanta da difendere, ecco”.
Quando, nel 1967, Sergio Leone fu chiamato dalla casa di produzione hollywoodiana Paramount,
cominciarono per lui una serie di circostanze artistiche senza le quali oggi non avremmo, col senno
di poi, le sue famose “trilogie”, o anche alcuni dei suoi film. Ce lo spiega lui in questa risposta data
ad un giornalista, che in un’intervista del 1984 gli chiedeva cosa lo avesse spinto a realizzare la
famosa “trilogia del dollaro”: “Ti dico subito: io, quando ho fatto “Per un pugno di dollari”, subito
dopo ho fatto “Per qualche dollaro in più”, e ho finito, chiamiamola la trilogia, con “Il buono, il
brutto e il cattivo”. Io dopo “Il buono, il brutto e il cattivo” non avrei voluto più fare western,
perché avevo chiuso con quel tipo di leggenda, quel tipo di storia, e avrei voluto fare “C’era una
volta in America”, il film che sto finendo adesso. Se non ché, dato che i successi, ecco... tutti son
pronti a non perdonarli, invece l’insuccesso si, quando andai in America la prima volta mi dissero:
“Lei ci faccia un altro western, e noi le faremo fare “C’era una volta in America”. Però prima ci
faccia un altro western”. E allora a questo punto nacque l'esigenza di fare un film che era diverso
dagli altri tre, e nacque l’esigenza di fare un’altra trilogia, che è nata con "C’era una volta il
west", si è svolta con “Giù la testa”, e finisce con "C'era una volta in America", che sono i tre
periodi che toccano l'America, o le Americhe se vogliamo”.
Per Sergio Leone lo spettacolo più bello era quello del mito, inteso come narrazione sacrale,
racconto delle origini, della creazione di qualcosa di grande. Il suo cinema parla di miti moderni, e
lui stesso, come regista, è diventato un mito dell’arte cinematografica: molto del cinema di oggi è
nato dal linguaggio visivo di Sergio Leone. Uno dei più apprezzati giovani registi moderni, Quentin
Tarantino, ha affermato che non avrebbe mai potuto fare il regista se non avesse visto C’era una
volta il West di Sergio Leone (1968). Leone una volta fece un semplice esempio: Robert De Niro è
un attore, perché veste le parti del personaggio con la stessa naturalezza con la quale indosserebbe
un cappotto; mentre Clint Eastwood è un divo, perché indossa la parte del personaggio come fosse
un’armatura pesante, rigida, con la visiera abbassata. Sergio Leone non ha mai vinto un Premio
Oscar, il massimo riconoscimento di critica pubblica per un professionista del cinema: questo ha
fatto sì che ieri non fosse un divo, ma oggi, senza dubbio, è un mito, esattamente come lui stesso
amava intenderlo.
FILMOGRAFIA DELL’AUTORE
-
Il colosso di Rodi (1961)
Per un pugno di dollari (1964)
Per qualche dollaro in più (1965)
Il buono, il brutto, il cattivo (1966)
C’era una volta il West (1968)
Giù la testa (1971)
Il mio nome è Nessuno (1973)
C’era una volta in America (1984)