Il tema immigrazione e antico quanto e antico l uomo

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Il tema immigrazione e antico quanto e antico l uomo
Emigrare
Il tema dell’immigrazione è antico quanto è antico l’uomo sulla terra.
Fin dai tempi della preistoria ci sono state nel mondo, a cominciare
dall’Africa, le grandi emigrazioni dalle terre più povere alle terre più
ricche per il bestiame e per la coltivazione.
I vasi comunicanti
Il mondo ha sempre funzionato come i vasi comunicanti, quando la
maggioranza della popolazione si trova in terre inospitali, povere e la
minoranza in terre ricche con abbondanti prodotti, la prima si riversa
nelle terre della seconda sino a quando la ricchezza del mondo non
venga ridistribuita in maniera equamine.
Tutto ciò avviene per un istinto primordiale di sopravvivenza,
richiamandoci ad un diritto alla vita riconosciuto come fondamento
dei diritti umani.
Oggi nel mondo globalizzato su 7 miliardi di popolazione, in un
contesto in cui l’80% della risorse è nelle mani del 20% della
popolazione mentre l’80% della popolazione si deve accontentare del
20% delle risorse, il travaso dai paesi poveri ai paesi ricchi è
inevitabile e soprattutto inarrestabile.
La parte del mondo ricco, dall’Europa agli Stati Uniti, all’Australia ha
alzato le barriere contro “l’invasione” degli immigrati” che fuggono
dalla povertà, dalle guerre, dalla miseria in cerca di un futuro migliore
per loro e per i loro figli.
Il mondo ricco può andare nei paesi poveri economicamente ma ricchi
di risorse, per sfruttarli e schiavizzarli, ma i poveri non possono
andare nei paesi ricchi per migliorare le loro condizioni, essi sono
condannati alla povertà e alla schiavitù.
Ma questo teorema non ha mai funzionato oggi più che mai.
Esso è ciò che genera conflitti, guerre e criminalità organizzata.
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La logica del proibizionismo
Se il mondo ricco alza le barriere, se adotta la logica del
proibizionismo rispetto alla libera immigrazione, allora gli effetti di
questa politica, tra l’altro condivisa unanimamente da tutti i paesi
ricchi, sarà la gestione della tratta degli esseri umani da parte di
organizzazioni criminali sempre più potenti.
Il mondo in conflitto sarà consegnato per la sua gestione alle lobby
delle armi, alle lobby dei trafficanti di uomini, donne e bambini,
considerati merce di scambio nel mercato del lavoro, nel mercato del
sesso, nel mercato degli organi.
Oggi le industrie più prolifiche sono quelle che nascono dal
proibizionismo: le industrie delle armi legali e illegali, il traffico della
droga e l’industria del sesso.
Il proibizionismo è certamente la politica che produce
inesorabilmente la suddetta economia di guerra e di sfruttamento.
Senza questa politica economica e proibizionistica, l’industria delle
armi sarebbe marginale, l’industria della droga limitata, l’industria del
sesso contenuta.
La cultura della paura
Ma per mantenere la politica proibizionista occorre alimentare la
logica delle barriere con la cultura della paura.
E per alimentare la cultura della paura occorre chiamare a raccolta in
questa opera di sensibilizzazione tutti i poteri della persuasione:
innanzitutto il potere della stampa e delle televisioni.
Sono essi i primi responsabili di una cultura della paura dell’
“invasione degli immigrati” che convince l’opinione pubblica che
occorre fare di tutto per “respingere” in ogni modo gli invasori.
Oggi l’Italia spende, per pattugliare il mediterraneo, oltre un milione di
euro al giorno.
Oggi una parte delle risorse europee è impiegato per incrementare la
sicurezza nei paesi di frontiera perseguendo senza esitazione la
politica proibizionista.
L’economia di sfruttamento dell’uomo sull’uomo
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Ma all’origine di tutto vi è una economia di sfruttamento dell’uomo
sull’altro uomo una economia che tende a depredare le ricchezze degli
altri popoli per il proprio tornaconto accentrando la ricchezza nelle
mani di pochi sfruttatori.
Ma perché si affermi l’economia dello sfruttamento occorre che essa
sia voluta ed affermata dalla politica che promuova leggi e
comportamenti politici all’insegna della differenza sempre più
marcata tra ricchi e poveri, che tuteli le grandi industrie del conflitto e
dello sfruttamento che alimenti guerre contenendole con il proprio
apparato militare entro i confini dei paesi in conflitto.
Occorre pertanto che il mondo ricco si attrezzi sempre di più con una
economia di guerra, una guerra di difesa si intende, dei propri confini,
di guerra per depredare le risorse degli altri paesi, di guerra per
respingere gli invasori nei propri territori.
A questa economia di guerra corrisponde inevitabilmente una politica
di guerra che promuove la cultura della paura.
La cultura della paura è fondamentale per creare il consenso degli
elettori che finiscono per ritenere inevitabile la cultura del
proibizionismo e la politica del respingimento.
L’economia della solidarietà
Proviamo a pensare cosa succederebbe se ad una economia
dello sfruttamento si sostituisse una economia della solidarietà tra i
popoli.
Se al libero transito delle merci si abbinasse il libero transito degli
esseri umani il mondo cambierebbe rapidamente volto.
I paesi più poveri transiterebbero nei paesi più ricchi, come già
avviene, non per invadere gli altri territori ma per vendere le loro
mercanzie, per trovare un lavoro più dignitoso e sarebbero portati a
cambiare le politiche del loro paese per renderle più democratiche e
meno povere economicamente.
Il teorema dei vasi comunicanti non produrrebbe conflitti ma
aiuterebbe, con una economia solidaristica, a distribuire la ricchezza
in modo equamine.
L’Europa troverebbe nei paesi più poveri un nuovo mercato
trasmettendo loro il proprio Know potrebbe sfruttare le risorse del
paese povero a vantaggio di tutti.
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L’economia della guerra si trasformerebbe nella economia della pace
nel rispetto dell’ambiente e della ricerca scientifica a vantaggio di tutti
gli uomini della terra.
Questa non è una utopia ma la condizione sine qua non perché il
mondo non si disintegri nella logica egoista del mio contro la logica
solidaristica del noi.
Costruiamo i ponti del dialogo
Vogliamo costruire dal basso la nuova costituzione dell’EU sulla
filosofia dello sfruttamento, della paura, dei conflitti o sulla filosofia
della pace, della solidarietà e della convivenza tra i popoli?
Se coltiviamo la cultura della pace, una economia della solidarietà
allora anche la nostra politica non potrà che essere la politica del
dialogo in cui non c’è posto per il proibizionismo, non c’è posto per
una artefatta paura, non c’è posto per le barriere ma soltanto per i
ponti che facilitino il dialogo e la conoscenza reciproca.
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