sfondo vecchio solidarietà
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sfondo vecchio solidarietà
I Quaderni Bimestrale n.29, marzo 2006 reg. Tribunale di Firenze n. 4885 del 28/01/1999 Direttore Responsabile Cristiana Guccinelli spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c legge 662/96 FI Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato Toscana A cura di Andrea Volterrani Raccontare il volontariato A cura di Andrea Volterrani Marzo 2006 5 PREMESSA Cristiana Guccinelli Il libro La Comunicazione per il volontariato. Idee, strumenti e processi uscì nella Collana I Quaderni nel 1998, poco dopo l’avvio del Centro Servizi Volontariato Toscana. Quella pubblicazione, a cura di Andrea Volterrani, dimostrava la sensibilità che Cesvot, fin dall’inizio, aveva nei riguardi del tema dell’informazione e della comunicazione sociale. E infatti quel libro, che ha rappresentato uno strumento di formazione per tanti operatori e volontari delle associazioni di tutta Italia è, ancora oggi, una pubblicazione richiesta ed utilizzata. Nel corso di questi anni gli studi sulla comunicazione sociale si sono arricchiti di nuove riflessioni ed analisi. Così non potevamo non chiedere ad Andrea Volterrani di lavorare ancora per noi, su questo tema, che lui conosce così bene e così bene lo porge agli operatori del non profit, perché oltre ad essere un bravo studioso è un profondo conoscitore delle associazioni, del volontariato e dei temi sociali. Così nasce Raccontare il volontariato che è molto di più di un aggiornamento. E’ un testo che affronta in modo maturo un tema che spesso soffre di luoghi comuni e di scarsi approfondimenti. In questo libro Andrea è riuscito ad individuare il cuore di molti problemi legati alla comunicazione del volontariato, a dare suggerimenti, a proporre punti di vista e obiettivi nuovi. Ma soprattutto, anche grazie alla qualità degli autori che ha coinvolto nella redazione del testo, è riuscito a descrivere tendenze interessanti ed a tracciare il percorso di nuove modalità di approccio ai media. Come comunicare i servizi di pubblica utilità come aiutare le associazioni ad organizzare e diffondere quella miniera preziosa di informazioni che sono in loro possesso sono temi complessi e affascinanti. Sicuramente il ruolo di un Centro per il Volontariato per le funzioni di servizio che deve esercitare farà riferimento, prima di tutto , alle regole fondamentali che disciplinano la comunicazione pubblica. Ciò significa, per esempio, non trascurare una riflessione sul linguaggio usato perché si tratta di informazione pubblica alla quale tutti devono poter attingere. Significa “scrostare” dal gergo di nicchia le consuetudini 6 linguistiche, non farsi intendere solo dagli addetti ai lavori. Comunicare è creare intese e condivisione, anche relativamente agli atti formali ed alle disposizioni che regolano l’accesso ai servizi. Significa anche preoccuparsi di semplificare modelli e procedure. Ed ancora, un Centro di Servizi come un Ente pubblico, ha il dovere di comunicare creando doppi sensi di marcia che consentano all’utente di rispondere, intervenire, suggerire e proporre. In sintesi, partecipare. Ma non basta una buona comunicazione istituzionale; un Centro Servizi per il volontariato ha anche il compito, non certamente secondario, di promuovere l’azione volontaria e di supportare le associazioni in un percorso di crescita culturale che le renderà più capaci di essere fonti di informazione preziose per i media e per la società, nonché soggetti che arricchiscono il panorama politico e culturale di punti di vista e di opinioni spesso degne di grande interesse. Ma, come ci spiega Volterrani, il cosmo volontariato è eterogeneo, spesso inafferrabile, a volte autoreferenziale e “il sociale” non desta grande interesse nei media. E allora dobbiamo inevitabilmente misurarci con i temi della comunicazione sociale, con la loro complessità e seguirne l’evoluzione per dare strumenti di informazione e di orientamento, per sensibilizzare e gettare le basi di una cultura che non sia costretta nel ghetto del generico e dell’improvvisazione. Ritengo che questo libro aggiunga qualcosa alla letteratura esistente soprattutto per quanto riguarda il tema della narrazione e delle storie, delle nuove tecnologie, di come entrare nel circuito degli avvenimenti. Credo che chiunque si occupi di comunicazione ed informazione sociale troverà in questa pubblicazione analisi, spunti e sollecitazioni molto interessanti. A tutti voi, buona lettura. 9 ISTRUZIONI PER L’USO Il quaderno è organizzato tradizionalmente in capitoli e paragrafi sequenziali, uno dietro l’altro. All’interno di ciascun capitolo ci possono essere due tipi di approfondimenti che lo fanno assomigliare ad un ipertesto: le definizioni di alcuni concetti e la descrizione di casi ed esperienze. Alla fine del quaderno sono stati inseriti i riferimenti bibliografici, i siti Internet e la filmografia per chi volesse approfondire specifici aspetti del testo. Questi tre aspetti riguardano tutto il testo poiché molti riferimenti sono trasversali ai singoli contenuti dei capitoli; chi volesse approfondire un singolo aspetto trova il riferimento nel capitolo specifico. Questo lavoro sarà fruibile in Internet secondo i principi della Free documentation License (FDL) e della Creative Commons (CCPL).1 Quest’opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/publicdomain/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 559 Nathan Abbott Way, Stanford, California 94305, USA. 1 11 1. INTRODUZIONE di Andrea Volterrani Nuove frontiere, nuove scoperte, nuovi mondi. Pur essendo l’attività che più di tutte caratterizza le relazioni tra gli uomini, la comunicazione è in continuo divenire. Pensarla in modo statico non aiuta a comprenderne le articolazioni, le opportunità, ma anche le illusioni, i fraintendimenti e gli errori. Questo è ancora più importante se il focus della nostra attenzione è il volontariato e, soprattutto, i temi dei quali si occupa – la solidarietà, l’ambiente, la cultura, la salute – perché il cambiamento continuo è, o meglio dovrebbe essere, caratteristica fondante e distintiva. Il testo che segue non è solo una rivisitazione del quaderno La comunicazione per il volontariato, ma una nuova apertura e un nuovo sguardo su molti temi a distanza di quasi 8 anni: un’eternità per le trasformazioni sociali e per gli eventi accaduti a cavallo tra due millenni. Il nuovo quaderno vuol essere uno strumento per pensare e per operare allo stesso tempo. Ogni argomento contiene sia elementi e spunti di riflessione teorici sia percorsi di pratica e di approfondimento tecnico che speriamo consentano al lettore di acquisire quegli elementi di base utili alla costruzione di pratiche comunicative innovative e capaci di far crescere le associazioni di volontariato in più direzioni: più volontari, più rapporti e relazioni sul territorio, più visibilità su e con i media, più progettualità e più innovazione, più risposte ai bisogni delle singole persone. I contenuti specifici del quaderno iniziano con una prima riflessione sugli intrecci virtuosi tra comunicazione e volontariato. I due contributi successivi riguardano i rapporti con i grandi media con particolare riferimento al tema della narrazioni e quelli con i media locali con particolare riferimento al tema del volontariato come fonte di notizie. Altri aspetti affrontati sono quelli della comunicazione interna ed organizzativa e quelli di Internet e della telematica, con un breve glossario sulle terminologie più diffuse, ma anche sconosciute ai più. Più avanti nel testo si trovano approfondimenti su nuovi metodi per la raccolta dei fondi, sulla realizzazione di prodotti editoriali quali un giornale, sulla promozione di campagne di comunicazione sociale, ma anche sulla costruzione di eventi specifici e sugli usi nuovi di “vecchi” strumenti come il telefono. Infine i tre contributi finali hanno lo scopo di sottoporre all’attenzione dei lettori possibili percorsi futuri per la comunicazione nel e del volontariato e non solo: dalla proposta di una nuova definizione per la comunicazione sociale a percorsi di sviluppo della comunicazione sul territorio, passan- 12 do dalla rivisitazione di vecchi concetti cari al volontariato. In chiusura di questa breve introduzione non possono mancare i ringraziamenti a chi ha reso possibile questo nuovo lavoro sulla comunicazione, ovverosia il Cesvot, in particolare il Presidente Franchi, il direttore Balli e la responsabile della comunicazione Cristiana Guccinelli. Inoltre vorrei ricordare oltre alle persone che hanno contribuito direttamente Marco Binotto, Elisabetta Gazzola, Barbara Mazza, Gaia Peruzzi, Roberta Scarfì - e a quelle che, anche inconsapevolmente, hanno reso possibile la realizzazione di questo testo attraverso spunti, riflessioni e chiacchierate, anche Terza.com, l’Osservatorio sulla Comunicazione Sociale della Sapienza come luogo privilegiato di discussione e di confronto avanzato e intelligente. 15 2. PERCHÉ RACCONTARE IL VOLONTARIATO? di Andrea Volterrani 2.1 I paradossi della comunicazione del volontariato Comunicare il volontariato o comunicare i temi e i problemi che il volontariato affronta? Questo è il primo dilemma che percorre tutta la storia dello sviluppo della comunicazione in un ambito spesso caratterizzato da una diffidenza nei confronti della comunicazione, considerata “un qualcosa in più” da agganciare alle attività e ai servizi offerti oppure un “nemico” che ostacola la crescita e, quindi, da combattere. Ed è questo il primo paradosso della comunicazione del volontariato. Un settore composto da una molteplicità di soggetti e di temi, che ha posto al centro la comunicazione come relazione fra persone, fra ambiti marginali, fra soggetti organizzati pubblici e privati, ha una forte resistenza a parlare della comunicazione e, soprattutto, ad agirla. Paradosso che mostra una scarsa cultura su che cosa è e quali opportunità potrebbe offrire la comunicazione. Il secondo paradosso è, invece, legato ai temi dei quali si occupa il volontariato. Cultura, ambiente, disagio sociale: ci troviamo di fronte a temi e problemi che nell’immaginario del nostro paese non godono certamente della centralità dell’economia o della politica. Piuttosto che soffermarsi sui perché di questa situazione, è necessario porsi una serie di interrogativi su quali strategie di comunicazione sono state adottate (se sono state adottate) dal volontariato e, soprattutto, se è davvero considerato prioritario, per i soggetti che agiscono in questo ambito, allargare lo sguardo per abbandonare l’autoreferenzialità che, spesso, contraddistingue la loro azione. Il terzo paradosso, infine, è la difficile ricomposizione della frammentazione del mondo del volontariato. Se da un lato la pluralità di idee, forme organizzative, attività e servizi offerti è una ricchezza sia per la democrazia sia per la capacità di aumentare la capacità di partecipazione, dall’altro mostra un’intrinseca debolezza nel costruire ed esprimere posizioni, punti di vista, progettualità comuni. Il paradosso emerge dalla forte volontà di acquisire visibilità dei singoli soggetti che è in contraddizione con la capacità sia di divenire fonti autorevoli (e quindi visibili di per sé) sia di costruire soggettività più larghe in grado di comunicare a pubblici più vasti, se non all’Italia intera. Nonostante i paradossi, il volontariato ha ampi spazi di miglioramento nelle strategie di comunicazione, nella capacità di dialogare con i media 16 e con gli altri soggetti pubblici e del mercato, nella possibilità di incidere positivamente nei processi decisionali pubblici. 2.2 Vizi e virtù: la comunicazione del volontariato Non si può non comunicare. La famosa affermazione della Scuola di Palo Alto va oggi completata con la seguente: è estremamente difficile comunicare. Entrare in relazione con gli altri, essere visibile nell’immaginario collettivo, far conoscere chi siamo e che cosa facciamo, essere ascoltati. Sono soltanto alcune delle azioni che il termine comunicare evoca nella nostra mente. L’elenco potrebbe allungarsi ancora, perché comunicare è un’attività dell’essere umano. Quando ci riferiamo ai soggetti del volontariato quello che prendiamo in considerazione non è l’attività di comunicazione interpersonale, faccia a faccia, ma quella organizzata e consapevole. Su questo piano la comunicazione diventa più complessa e meno facilmente circoscrivibile. La comunicazione, nonostante l’opinione corrente, non è una mera trasmissione di messaggi da un emittente a un ricevitore attraverso uno specifico medium. Vecchia concezione della comunicazione che prevede una sorta di isolamento dal contesto, dall’ambiente nel quale le attività di comunicazione agiscono (Thompson 1998). E questo ambiente non è quello fisico, spaziale, “reale”, ma quello, invece, dell’immaginario collettivo, della cultura/e della nostra società contemporanea. Se la comunicazione è cultura2, è anche relazione, comportamento, atteggiamento, organizzazione, identità3. Il ruolo della comunicazione e dei media, in questa prospettiva, diventa centrale rispetto alla comprensione delle trasformazioni sociali, della cultura diffusa della società contemporanea. Ed è a questo livello che possiamo parlare del diritto di accesso alle risorse simboliche da parte dei cittadini. I simboli, i significati, gli atteggiamenti e i comportamenti, le tradizioni, le storie sono parte integrante del nostro immaginario collettivo “alimentato” dai media (tv, stampa, nuove tecnologie). Porre attenzione alle risorse simboliche - e quindi al fatto che ogni individuo può utilizzare (e utilizza) i simboli e significati 2 Come afferma Carey (1975) “un processo simbolico attraverso il quale la realtà viene prodotta, mantenuta, ricostituita e trasformata.” 3 L’identità intesa come equilibrio instabile fra riconoscimento interno e riconoscimento esterno di singoli individui e di soggetti collettivi ha profonde relazioni con la comunicazione (esterna ed interna). Su questo tema vedi De Vita (2001), Jervis (1995), Giddens (1994), Castells (1997). 17 proposti per costruire la propria identità - significa da un lato favorire le opportunità di accesso consapevole al mondo dei media, dall’altro poter conoscere e riconoscere culture, comportamenti, storie estremamente diverse tra loro (e anche in conflitto) che sono presenti nella nostra società. Rappresentazioni diverse che consentono al singolo individuo e ai soggetti collettivi di “recuperare” risorse simboliche differenziate. E’ in questa direzione che affrontare il contesto della comunicazione del volontariato significa dover analizzare e comprendere le capacità di comunicazione delle molte soggettività, i contesti e le situazioni culturali e sociali dove si esplicano, le strutture per la comunicazione, le modalità operative, le rappresentazioni simboliche di quel tema o di quel soggetto (o insieme di temi e di soggetti), il sistema dei media generalisti (tv e radio in particolare, ma anche stampa), le relazioni fra sistema dei media e soggettività. La prospettiva che ci interessa analizzare è se i soggetti del volontariato che agiscono sulla scena sociale hanno capacità comunicative, se percepiscono il ruolo della comunicazione e dei media, se si stanno attrezzando per attivare quella comunicazione organizzata per entrare in relazione con il sistema dei media in generale e, quindi, con la produzione culturale e simbolica centrale della società contemporanea (Crane, 1997). 2.3 Perché si comunica? Dalla visibilità alla solidarietà Il primo problema della comunicazione è, forse, il più complesso. Si comunica per esistere, per avere la visibilità necessaria in una società nella quale la quantità di informazioni disponibili dà l’illusione della trasparenza (Bechelloni, 1995). Costruire visibilità può essere un obiettivo, ma rischia di mettere in secondo piano attività, servizi, scopi delle associazioni. Inoltre avere visibilità non significa necessariamente comunicare solidarietà, ma, piuttosto, affermare una presenza nei confronti di altri soggetti, pubblici, privati o dello stesso volontariato. E’ come se dicessimo: “ attenzione, ci sono anch’io, non dimenticatemi”, con un conseguente, però, annullamento dei motivi per i quali un soggetto volontariato esiste4. Il problema, in termini di comunicazione, è la non corrispondenza 4 La nascita delle associazioni volontariato è generalmente attribuita alla presenza di bisogni sociali ai quali nessuno risponde o risponde parzialmente. E’ anche vero che alcuni soggetti associativi nascono su esigenze diverse, come, ad esempio, i bisogni di socializzazione dei loro futuri associati. 18 fra forma e sostanza, tra visibilità e servizi offerti. Se la comunicazione diventa unicamente un fiore all’occhiello, qualcuno, prima o poi, potrebbe vedere il vestito sgualcito che sta sotto. Si può comunicare anche con l’intenzione di contribuire a costruire un immaginario collettivo dove il volontariato e la solidarietà abbiano cittadinanza. In questo caso dovremmo dividere il problema. Da un lato il volontariato, che è un insieme di soggetti collettivi con caratteristiche abbastanza definite e complesse (Frisanco, Ranci 1999), può essere rappresentato e identificato sulla base delle esperienze non mediate (l’associazione che opera nel quartiere e nel territorio) o sulla base di esperienze mediate. Nel secondo caso il volontariato potrebbe essere associato a un generico “fare qualcosa per gli altri”, a un “buonismo” di maniera, ma, difficilmente, a un soggetto politico alla pari di molti altri5 (Tavazza, 1997). Dal lato solidarietà, che è un concetto dai confini poco chiari (De Leonardis, 1998), è possibile che sia effettuata un’associazione con concetti e situazioni che vanno dall’altruismo alla compassione, dall’intervento per le emergenze ai servizi personalizzati. E’ ancora raro che sia fatta un’associazione con uno stile di vita, un modo di essere e di operare nella vita quotidiana. Il problema, in questo caso, non è che i media non rappresentano adeguatamente la solidarietà, ma è, invece, la quasi totale assenza dei comportamenti e dei concetti che fanno riferimento alla solidarietà nei luoghi di produzione simbolica della realtà sociale.6 Il volontariato potrebbe comunicare anche per modificare comportamenti e atteggiamenti reputati socialmente dannosi o scorretti. Le campagne di comunicazione sociale fanno parte della nostra esperienza di fruitori dei media7 e, spesso, hanno questo tipo di obiettivi. Obiettivi che non sono facilmente raggiungibili, non per la qualità delle campagne, ma per la difficoltà di “cambiare la testa alla gente” da un lato e, dall’altro, per la non condivisione del giudizio su ciò che è reputato socialmente corretto o scorretto. Se non vogliamo “fare ideologia”, allora dovremmo riconoscere la diversità dei punti di vista e delle opinioni su molti dei temi cari al volontariato. Un altro obiettivo di comunicazione (e non solo) potrebbe essere la costruzione e/o la riproduzione di relazioni (fra individui, fra soggetti collettivi, fra contesti, fra territori, fra culture). E’ la modalità comunica5 Prevalentemente dei soggetti 6 Anche se recentemente, pur politici ed economici. non affrontando la solidarietà esplicitamente, molte produzioni di fiction (dal Medico in Famiglia al Commissario Montalbano per citarne alcune) mettono in scena situazioni e contesti dove emerge l’agire solidale. 7 Vedi capitolo 10 sulle campagne di comunicazione sociale. 19 tiva che apparentemente sembra essere più congeniale alle associazioni volontariato. La costruzione di reti formali ed informali sul territorio centrate sui bisogni della persona è l’obiettivo più facilmente rintracciabile nei case statement diffusi dal volontariato. La realtà dei territori, però, racconta che gli elementi che caratterizzano le associazioni volontariato sono l’autoreferenzialità e la non relazione. La diversità è “buona” solo se è riferita all’utente portatore di un disagio; se, invece, si tratta di un soggetto pubblico o imprenditoriale o, ancora, di un altro soggetto del volontariato, la diversità non è riconosciuta né accettata. Il volontariato potrebbe comunicare per raccontare il disagio, per “dare voce a chi non ha voce”, usando uno slogan abbastanza diffuso nell’immaginario dell’agire solidale. Raccontare grandi e piccole storie per sottolineare aspetti, sfumature che non sono sempre raccolte da chi opera nei media. Raccontare rimanendo in secondo piano, diventando fonte credibile e autorevole. Questo percorso non è semplice se il volontariato continua a rimanere legato al singolo bisogno o al singolo problema. Questa sorta di “auto-ghettizzazione” non solo è controproducente nella logica della costruzione di una welfare community8, ma, anche, nell’ambito della comunicazione. Infatti, gli operatori dei media continueranno a percepire una fonte specialistica su un tema del disagio e non, invece, un soggetto in grado di raccontare trasversalmente problemi e opportunità di una comunità locale o nazionale. Si può comunicare per divertire? Forse sì, se il volontariato stesso abbandona quel clima triste e serioso che ne caratterizza troppo spesso l’identità. Questo non significa che i servizi e le attività non debbano essere svolte con impegno, continuità e professionalità, ma che non si debba disconoscere la possibilità di affascinare i nostri interlocutori e, quindi, anche i media. Infine, posso comunicare per imporre le mie idee. Motivazione legittima, ma che difficilmente ha grandi possibilità di riuscita nella complessità culturale della società contemporanea dove si sviluppano network di prospettive individuali e collettive, piuttosto che una cultura condivisa (Hannerz 1998). Se vogliamo comunicare per costruire solidarietà diffusa è necessario che questi interrogativi e questi problemi abbiano risposte e soluzioni condivise innanzitutto all’interno del volontariato, sia a livello di singola associazione sia a livello di movimento più generale. 8 Vedi De Leonardis (1998). 20 I perché della comunicazione sono l’altra faccia delle medaglia rispetto agli obiettivi dell’agire del volontariato. Se non coincidono, forse sarebbe opportuno riflettere e ripensare modalità organizzative, servizi, culture, identità. Quest’azione diventa prioritaria se vogliamo passare dall’autoreferenzialità alla capacità di costruire relazioni e reti. 2.4 A chi si comunica. Dagli inclusi agli esclusi In una società contemporanea caratterizzata da una profonda differenziazione e soggettivazione (Giddens 1994, Touraine 1993), affrontare il tema “a chi si comunica” non è semplice, ma è sicuramente centrale per qualsiasi soggetto (e quindi anche il volontariato) che voglia comunicare. Gli interessi, le opinioni, gli atteggiamenti, i comportamenti e gli stili di vita si sono moltiplicati fino al punto di poter parlare di iper-segmentazione (Cathelat 1985). Conosciamo il pubblico al quale vogliamo parlare? O meglio ancora, conosciamo il pubblico con il quale vogliamo costruire una relazione di comunicazione? Proviamo a ribaltare un luogo comune che circola negli ambienti del volontariato, ovverosia che il pubblico al quale ci si rivolge è quello degli esclusi: gli emarginati, il disagio sociale, coloro che non hanno voce. In realtà gli esclusi, cambiando prospettiva, sono coloro, individui, cittadini, organizzazioni, che del volontariato, della solidarietà, dello sviluppo sociale non conoscono (o non vogliono conoscere) le prerogative, le attività, i problemi o le prospettive. Gli inclusi, invece, sono proprio le associazioni volontariato e i loro “pubblici” ricchi di umanità, ma, anche, di problemi e difficoltà reali. Spesso gli operatori delle associazioni volontariato sono percepiti come una casta chiusa, non facilmente accessibile, che lascia una sensazione di “diversità”, di “fuori del normale” difficilmente conquistabile dal semplice cittadino9. Sembra quasi impossibile fare volontariato, perché sembra necessario essere troppo buoni, troppo bravi, troppo di tutto. La sensazione di esclusione da questo mondo, da parte di quella gente tanto vituperata e attaccata per l’assenza di sensibilità o attenzione verso il disagio, si rafforza giorno dopo giorno. Non tutti possono essere Superman10 e nemmeno vogliono esserlo. Vogliamo continuare ad ignorare questo mondo maggioritario, altro dal 9 In questo senso è stato profetico il titolo del libro, Non eroi, ma cittadini (1993). 10 Come raccontava lo spot di qualche anno fa per la promozione del volontariato solidarietà. e della 21 volontariato e dal volontariato, e, fondamentalmente, “proprietario” di quell’immaginario collettivo che non piace e che non contiene i “germi” della solidarietà? Oppure, invece, il volontariato vuole iniziare a porsi il problema dell’isolamento dal resto della società e avvia la costruzione di rapporti e relazioni con questi “nuovi esclusi”? E’ sostanzialmente questo il dilemma che la solidarietà organizzata11 si dovrebbe trovare ad affrontare. Uso il condizionale, perché altre sono le priorità che il volontariato sta in questo momento affrontando: il ruolo politico, i rapporti con gli altri soggetti del volontariato, l’emergere di nuovi bisogni sociali o il riemergere di quelli vecchi. Per superare i paradossi non esistono ricette preconfezionate o facili scorciatoie. Sono, invece, possibili alcune azioni mirate alla crescita della consapevolezza del ruolo e delle potenzialità della comunicazione che saranno oggetto dei paragrafi e dei contributi che seguono. 2.5 Una sfida e una scommessa: panorami sociali in movimento Raccontare il volontariato è, quindi, difficile, a volte quasi impossibile per la ricchezza e la varietà delle sue articolazioni e per la complessità dei temi trattati. La sfida è quella di riuscire a proporre nuove idee e strumenti per la comunicazione delle associazioni, ma, anche, quello di costruire un luogo di riflessione sul perché è importante e, forse, necessario raccontare e raccontarsi. La scommessa è appunto quella di partire dalla parziale oscurità per arrivare ad illuminare meglio quello che ruota e si muove intorno alla comunicazione sociale. Per iniziare è necessario porsi in un’ottica diversa dal passato, cercando di utilizzare nuovi strumenti concettuali che possano ampliare la nostra visione dell’esclusione sociale in relazione al mondo dei media e al mondo interiore dei soggetti. Ci troviamo di fronte a una trasformazione radicale delle società che difficilmente potremmo valutare adeguatamente se non con delle bussole (la svolta comunicativa, la nuova centralità del soggetto rispetto all’attore) che cominciano ad affermarsi nella riflessione sociologica e non solo12. A partire da queste basi crediamo sia opportuno, utilizzando una metafora calcistica, osservare i movimenti dei giocatori - cercando di non essere in linea con le telecamere sul terreno di gioco che 11 Per 12 Per usare il termine di Ranci (1997). un approfondimento vedi Touraine (2003), Giaccardi, Magatti (2003). 22 riprendono una partita di calcio - rimanendo seduti sulla tribuna centrale avendo a disposizione l’intero campo di gioco. Il concetto di panorama sociale13 può essere utile alla nostra analisi insieme alle più recenti ricerche dell’antropologia cognitiva sugli slittamenti concettuali e sull’immaginario collettivo e alle metodologie di ricerca qualitative (interviste biografiche, storie di vita)14. Se per panorama sociale intendiamo sia una rappresentazione dei bisogni sociali, dei percorsi individuali e collettivi nei e sui territori, delle organizzazioni che agiscono sul e nel disagio sociale sia le trasformazioni del welfare state, del sociale allargato e della solidarietà all’interno dell’immaginario collettivo costruito e ricostruito dai media e in particolare delle narrazioni mediate, allora è necessario comprendere meglio le relazioni fra le narrazioni dei territori, dei media e delle singole soggettività (individui, gruppi e organizzazioni). Riprendendo la metafora, analizzare i panorami sociali in movimento significa essere attenti, a quello che avviene all’altro estremo del campo, quando l’azione è all’estremo opposto. Significa porsi dal punto di vista di chi non si pone il problema in quel momento ed è per questo maggiormente disponibile ad esplorare quello che lo circonda. Il portiere inattivo di una delle squadre in campo in quel momento pur mantenendo uno sguardo vigile sull’azione lontana, ha la possibilità di valutare anche quello che sta intorno a lui (il pubblico dietro le sue spalle, la porta, il campo di gioco, le direttive dell’allenatore). Ovviamente il suo punto di vista cambierà mentre l’azione si sta avvicinando nuovamente: la sua mappa concettuale non cambia, ma slitta su un altro piano cognitivo, mettendo tra parentesi quello precedente. Cosa significa tutto ciò per il nostro ragionamento? In genere la vulnerabilità e l’esclusione sociale15 sono difficilmente al centro dell’azione, ma sono, per l’appunto, ai margini, fuori gioco, anche se sono parte del 13 Per 14 Sul 15 Per un approfondimento del concetto vedi Volterrani (2003: 3-17). tema delle interviste biografiche vedi ad esempio Bichi (2002). vulnerabilità sociale intendiamo “il percorso di impoverimento di un potenziale soggetto può avvenire transitando nel corso della vita tra l’area dell’integrazione (inserimento stabile in circuiti occupazionali e disponibilità di solidi supporti relazionali, specialmente familiari) all’area della disaffiliazione, in cui versano i soggetti in condizione di povertà estrema (caratterizzata da processi di decomposizione e abbandono del sé, incapacità di controllo dello spazio fisico, profonda rottura dei legami sociali, perdita della capacità di trasformare i beni in opportunità di vita). Questa transizione avviene attraverso microfratture nell’esperienza dei soggetti, tanto a livello lavorativo che a livello relazionale, che generano situazioni di precarietà e fragilità: è l’area della vulnerabilità sociale”, Castel (1995). Per un approfondimento dei concetti di esclusione sociale e di vulnerabilità vedi Castel (1995), Ranci (2002). 23 panorama sociale. Se vogliamo capire, comprendere le mappe concettuali che si costruiscono e ricostruiscono su questi temi, dobbiamo porre attenzione allo stesso tempo sia all’azione, e quindi alla visibilità sui media, sia al fuori gioco, e quindi al mondo interiore e alla vita quotidiana. Non solo, ma sarà necessario anche comprendere quale è la percezione sia di quelli che sono nell’azione sia di quelli che sono fuori gioco, ma anche di coloro che stanno sugli spalti a guardare. Una visione panoramica che consente di individuare mappe contigue e diverse dell’immaginario, ma anche le intersezioni, le sovrapposizioni e le fratture fra i vari soggetti in gioco. Di conseguenza potremmo anche individuare quelle parti che apparentemente rimangono invariate e che sono, di volta in volta, pregiudizi, pregiudizi, stereotipi e aree di innovazione (Jedlowski, 2003: 4567). L’analisi e l’approfondimento di questi aspetti spesso contraddittori tra loro ci consentono di ampliare non solo la nostra conoscenza dei temi e dei problemi del sociale, ma anche di sviluppare una capacità strategica nel costruire e ricostruire processi relazionali e simbolici maggiormente adeguati al contesto della società contemporanea. Contribuire alla trasformazione di pregiudizi e stereotipi radicati nel senso comune non è né semplice né scontato, soprattutto se parliamo di esclusione sociale. Da questo punto di vista aiuterebbe certamente a migliorare la situazione “se nelle tante e meritorie scuole per la formazione degli autori [della fiction], oltre a insegnare le teorie drammaturgiche e a come incastrare linee narrative orizzontali e verticali, si cercasse di coltivare negli allievi la disposizione a scendere, e ad esplorarla con attenzione, nella inesauribile miniera della realtà sociale” (Buonanno, 2003: 70). Ed è proprio scendendo nelle viscere di questa miniera che si possono trovare quegli aspetti della vita quotidiana che sono strettamente correlati alle marginalità e all’esclusione sociale, ma anche il cuore della comunicazione sociale, i soggetti che agiscono con modalità, comportamenti e atteggiamenti apparentemente sorprendenti. 2.6 Il ruolo delle narrazioni mediali Valutare il ruolo delle narrazioni mediali nell’alimentazione dei panorami sociali è apparentemente semplice. La produzione di immaginario riferibile ai media è facilmente individuabile e ha un’importanza difficilmente contestabile16. Meno facile, invece, è la comprensione di quali elementi 16 Sulla produzione di immaginario da parte dei media vedi Abruzzese (2003). 24 possono contribuire maggiormente a quella stereotipizzazione che molto peso ha nell’innescare processi di vulnerabilizzazione e di esclusione sociale. Non solo, ma è ancora più difficile selezionare fra questi quelli sui quali potrebbero avviarsi processi di trasformazione e di cambiamento, vero obiettivo della comunicazione sociale, e quando e a quali condizioni si potrebbero avviare. La ricostruzione dei panorami sociali assume la centralità delle narrazioni mediali sia come fonte primaria per analizzare adeguatamente l’immaginario collettivo sia come punto di riferimento di alcuni comportamenti individuali e collettivi. Quello che non può fare è l’individuazione di quei possibili meccanismi di cambiamento degli stereotipi e dei pregiudizi, se non per approssimazioni successive. In altre parole, è in grado di stabilire quali sono gli stereotipi su un tema o su un determinato ambito, ma non riesce evidentemente a predire la loro eventuale trasformazione. Usando le parole di Pickering (2001) “…In attending to media accounts and narratives, viewers, listeners and readers interpret them in different ways, depending on who they are, where they are, and when, in and across historical time they engagé with texts and images.” La consapevolezza del complesso processo di appropriazione degli stereotipi da parte delle audience consente di inscrivere pesantemente il ruolo delle narrazioni mediali da un lato nella costruzione degli stereotipi e dall’altro come strumento importante per una comunicazione sociale che abbia come obiettivi quelli di contribuire al cambiamento di immaginari radicati ed escludenti. 2.7 Stereotipi alla prova Alcuni esempi possono aiutare a comprendere meglio il filo del ragionamento: la diversità culturale legata soprattutto alle recenti migrazioni nel contesto italiano e la disabilità. Se vogliamo ricostruire una parte del panorama sociale della diversità culturale dobbiamo innanzitutto analizzare le narrazioni mediali. L’uso frequente degli stereotipi non è solo una modalità di etichettamento di temi e gruppi di individui, ma, soprattutto, una semplificazione che facilita la condivisione larga nell’ambito culturale e dell’immaginario collettivo. La doppia valenza degli stereotipi produce una sostanziale difficoltà 25 nella capacità individuale di discernere fra quello che è un atteggiamento o un comportamento escludente o, invece, una caratterizzazione della propria cultura di appartenenza. Se da un lato questo potrebbe provocare un consolidamento delle idee sulle diversità culturali, dall’altra parte il continuo cambiamento dei contesti reali (la crescente presenza in “casa propria” della diversità), delle relazioni nella vita quotidiana (ad esempio nell’ambito lavorativo, dei consumi e della fruizione dei servizi) e familiare (ad esempio la moltiplicazione delle coppie miste), dei racconti esperiti direttamente, costituiscono un forte contraddittorio e una possibile fonte di trasformazione degli stereotipi e della rappresentazioni. Inoltre è da sottolineare l’aumento di narrazioni sempre più articolate e complesse che, seppur giocando con l’elemento fascinativo ed esotico (e qualche volto comico)17, affrontano in modo non banale e superficiale il tema delle diversità culturali, ottenendo, allo stesso tempo, un successo in termini di popolarità e una maggiore visibilità dei temi. Non solo, ma sempre più si allargano i confini dell’immaginario sulla diversità, presentando elementi narrativi densi più di opportunità che di rischi.18 Comunque non è da sottovalutare l’ambiguità ancora presente nelle narrazioni mediali sulla diversità culturale. Sia la difesa della “autenticità delle culture” sia il loro annullamento in una presunta globalizzazione culturale convivono senza che siano tematizzate le problematiche o i diversi punti di vista. Non a caso la Buonanno afferma che “integrati o marginali, vittime o sfruttatori, gli immigrati sono ovunque; ma nessuna fiction, finora, ha cominciato ad affrontare seriamente – vale a dire fuori dal conformismo della correttezza politica o da un egualitarismo di maniera all’insegna dell’embrassons-nous – la complessità dei problemi che la convivenza tra genti e culture diverse innegabilmente comporta” (Buonanno 2003: 72). Se passiamo, invece, a considerare come le organizzazioni (pubbliche o del Terzo Settore) narrano la diversità ci troviamo spesso di fronte a una difficoltà che è teorica e pratica allo stesso tempo: la scarsa capacità di 17 Esempi di narrazioni di questo tipo sono il film inglese East is East che narra la storia di una famiglia anglo-pakistana nell’Inghilterra degli anni 70 oppure una puntata della serie televisiva (tratta dai popolari gialli di Andrea Camilleri) che vede protagonista il commissario Montalbano alle prese con un bambino tunisino rimasto solo dopo l’assassinio della madre (Il ladro di merendine) o ancora il film Sognando Beckham centrato su una adolescente indiana che vuole giocare a calcio. 18Ad esempio nella soap italiana Un posto al sole, è stato evidenziato il ruolo positivo di una ragazza somala nell’ambito delle relazioni amicali, affettive e lavorative della storia. 26 immaginazione e di creatività nell’affrontare il tema, come se la “novità” sia stata spiazzante per molti di questi soggetti che operano nell’ambito italiano. Il risultato è stato quello di coprire con un vecchio immaginario19 o derivato da quello pubblicitario legato ai prodotti del mercato, fenomeni e situazioni completamente nuove, almeno per l’immaginario collettivo italiano. Infine le analisi qualitative prevalentemente sociologiche della diversità culturale e religiosa propongono narrazioni20 individuali molto più ricche e complesse, con nuovi elementi di valutazione che rischiano di imporsi all’immaginario italiano attraverso, come accennato precedentemente, l’esperienza di vita quotidiana senza particolari conflittualità o con aspetti del tutto ignorati dalle narrazioni mediali e da quelle delle organizzazioni21. Se invece affrontiamo il tema della disabilità, il panorama sociale è ancora più complesso. Innanzitutto non possiamo non tenere conto delle relazioni che si possono stabilire con chi ha una evidente diversità biologica. Chi ha vissuto un incontro con un disabile negli spazi vitali reciproci, è abbastanza consapevole delle sensazioni iniziali di paura e di forte presa di distanza. La completa diversità biologica è dirompente per il mantenimento della propria integrità e “normalità”. Il disabile con la sua presenza fa riaffiorare alla nostra mente la mostruosità, la possibile trasformazione, la casualità della natura. La difficoltà a collocarsi relazionalmente in modo adeguato nei confronti di un disabile ha spesso come conseguenza un forte imbarazzo e l’adozione di comportamenti considerati ingenui e banali in altre situazioni sociali. Questa difficile situazione comunicativa può trovare (ma non è scontato) un suo equilibrio instabile con l’approfondimento della reciproca conoscenza. Nel maggio 2003 Panorama ha dedicato una doppia copertina a una donna seminuda che il lettore scopriva successivamente priva degli arti inferiori. L’articolo prendeva spunto da un servizio fotografico realizzato da due giornalisti francesi sui disabili di successo. E’ la prima volta che un settimanale a larga diffusione fa una scelta così coraggiosa di rottura di uno stereotipo, ma anche delle situazioni che si creano, come accennato precedentemente, nelle relazioni interpersonali con i disabili. Dal mondo 19 Ad esempio facendo riferimento alle caratteristiche dell’emigrazione italiana nel mondo di inizio secolo o del secondo dopoguerra. 20 Ad esempio attraverso la raccolta e l’analisi delle storie di vita degli immigrati. 21 Come, ad esempio, l’incorporazione a - valutativa di elementi simbolici e valoriali di altre culture e religioni da parte della popolazione giovanile. 27 di coloro che si occupano di disabilità (organizzazioni non profit, associazioni di familiari di disabili) furono mosse accuse22 di spettacolarizzazione del male e di non rispetto della diversità. Si è venuta a creare una situazione paradossale, ma che può essere spiegata utilizzando il concetto di panorama sociale. Da un lato le famiglie e ilTerzo Settore che quotidianamente vivono il problema della disabilità, che generalmente non è una storia di successo, si sono sentite defraudate delle loro difficoltà, dei loro problemi, delle loro paure. Dall’altra parte un media ha cercato di proporre e di coprire una parte diversa dell’immaginario sulla disabilità che convive con quella precedente e che, soprattutto, potrebbe contribuire a modificare lo stereotipo maggiormente diffuso carico di negatività e di paura. Il problema non è quello di valutare da che parte sta la ragione o il torto o se la disabilità è una risorsa o, viceversa, un problema (perché sincronicamente è entrambe le cose), ma, piuttosto, domandarsi se le narrazioni mediali contribuiscono a cambiare o a mantenere gli stereotipi e i panorami sociali su un tema specifico. Alcune ricerche effettuate in Italia per conto del servizio pubblico tengono conto solo di alcuni aspetti quantitativi e degli stereotipi proposti nelle notizie proposte dai telegiornali.23 Non è stato, invece, affrontato il perché siano proposti e, soprattutto, in quale contesto sia ricettivo sia culturale sono inseriti. Ma il vero nodo è che fondamentalmente si pongono unicamente dal punto di vista dell’offerta dei media. Dalla parte dell’audience e da chi vive la possibile situazione di esclusione sociale cosa avviene? Chi si occupa professionalmente di queste situazioni a quale immaginario fa riferimento? Temi quali l’handicap, il “disagio” giovanile, l’immigrazione, la demenza senile non riguardano quasi mai la vita quotidiana della maggior parte degli individui. Certamente l’esperienza diretta e quotidiana degli individui contribuisce a modificare gli stereotipi e soprattutto costringe chi pensa e produce immaginario attraverso i media a calibrare, rivedere, adattare. Ma se il processo di influenzamento è circolare, esistono elementi di rottura dall’una e dall’altra parte. Se riprendiamo il ragionamento svolto sia da Goffman (1969) sia da Turner (1993: 148-149), le situazioni descritte precedentemente sono drammi sociali e, soprattutto per il secondo, nascono in situazioni di conflitto e sono caratterizzate da quattro fasi: a) rottura; 22 Vedi il settimanale Vita del 24 giugno 2003. 23 La ricerca “2000-2001. Un anno di temi sociali nella programmazione Rai. Una ricerca quantitativa e qualitativa” è stata diretta da Andrea Canevaro, Maria Cristina Lasagni (ricerca qualitativa), Giuseppe Richeri (ricerca qualitativa). 28 b) crisi; c) azioni riparatrici; d) reintegrazione o scisma irreversibile. Se il dramma sociale è “…un’eruzione dalla superficie orizzontale della vita sociale nel suo pieno svolgersi, con le sue interazioni, transazioni, reciprocità, le sue consuetudini nel produrre sequenze regolari e ordinate di comportamento…”e se c’è“…un rapporto strutturale fra le componenti cognitive, affettive e impulsive dell’esperienza vissuta…” (Turner 1986: 72), allora il ruolo delle narrazioni mediali assume un ruolo ancor più centrale rispetto alla definizione di quali possibili rotture, cambiamenti, trasformazioni sono possibili nell’ambito della vulnerabilità e dell’esclusione sociale. 2.8 Il ruolo delle territorialità La comunicazione sociale difficilmente può essere apolide. La sua cittadinanza e la sua riconoscibilità è ben radicata nei territori ed è un elemento distintivo che si interseca profondamente con i panorami sociali sopra descritti in almeno tre direzioni. La prima riguarda la profonda differenziazione storica e culturale che caratterizza ogni territorio e lo rende unico e difficilmente interscambiabile con altri. Questa differenziazione non è inficiata dalle apparenti similitudini di superficie né da una sorta di spersonalizzazione rintracciabile in alcuni contesti24, perché tocca aspetti che fanno parte dell’immaginario e del vissuto reale di ogni individuo che agisce su quel determinato territorio. In questo senso il territorio apporta “un di più” nella ricostruzione di un panorama sociale che difficilmente può essere eluso nell’ambito della comunicazione sociale. In questo caso potremmo parlare di “slittamenti culturali” dei panorami sociali. La seconda direzione è quella relativa alla densità relazionale che si costruisce nel tempo e nello spazio definito dei territori. E’ abbastanza palese che alcuni territori hanno favorito e favoriscono rapporti e relazioni fra soggettività organizzate diverse, ma anche fra molteplicità di individui. Queste reticoli più o meno fitti di interscambi alimenta percezioni diverse sullo stesso panorama sociale provocando ulteriori differenziazioni delle quali tenere conto nell’ambito del lavoro di ricostruzione dei panorami sociali. In questo caso potremmo parlare di “slittamenti relazionali” dei panorami sociali. La terza e ultima direzione riguarda direttamente la conformazione geografica e la differente disponibilità di risorse naturali e climatiche dei 24 I cosiddetti non luoghi (Augè 1991). 29 territori25. Anche in questo caso è interessante notare che la differenziazione non può essere banalizzata. La diversa presenza di ostacoli e risorse naturali e climatici all’interazione umana, può provocare una separazione che, seppur notevolmente attenuata nella contemporaneità, continua a provocare la crescita di province diverse di significato nell’immaginario individuale e collettivo. In questo caso potremmo parlare di “slittamenti naturali” dei panorami sociali. 2.9 Ritorno dall’oscurità Panorami sociali, narrazioni mediali e territorialità sono la base della comprensione e dell’attivazione della comunicazione sociale nella contemporaneità. Una base che ancora deve essere sistematizzata perché possa contribuire a un processo di cambiamento che non sia né solo terminologico né solo tecnico. Se adottiamo questo punto di vista, sarebbe infatti necessario adottare un atteggiamento più riflessivo, capace di sondare in profondità quegli aspetti dell’essere umano che tendiamo ad escludere o a dare per scontati, perché apparentemente meno piacevoli e gratificanti. Ma è proprio partendo da quelli che è possibile pensare e costruire un altro segmento del processo di civilizzazione che ci contraddistingue. Siamo partiti da una scommessa e da una sfida. Nel girovagare nell’immaginario della comunicazione sociale non abbiamo ancora sufficientemente risposto all’interrogativo: può esistere un ritorno ai margini con nuove idee e nuove proposte? Una prima risposta è positiva se accanto ai processi di desoggettivazione si affiancano processi soggettivizzanti. Sì, ancora, se le strategie di comunicazione tengono conto delle persone per come sono, per come vivono e non per come vorremmo che fossero o vivessero. Sì, infine, se le storie non sono relegate nelle trasmissioni ghetto o autoreferenziali. La comunicazione è risorsa per la riflessività individuale, ma può anche essere ostacolo, paradossalmente, alla comprensione. L’eccesso di approfondimento e di informazione può interessare un ristretto nucleo di persone, elitario e particolarmente attento ai temi sociali; dall’altra parte il grande pubblico non è attratto da questi approfondimenti e, soprattutto, non li reputa utili per capire qualcosa in più al di là della personale esperienza di vita quotidiana. Un’ultima risposta 25 Sull’importanza del tema vedi ad esempio Diamond (1996). 30 positiva all’interrogativo iniziale potrebbe esserci se si riesce a coniugare la semplicità con la fascinazione e il collegamento con l’esperienza diretta dei soggetti. Ognuno di noi tende a dimenticare, a “cacciare” nell’oblio ciò che disturba, che provoca problema, ansia, paura, orrore, ma allo stesso tempo ne è affascinato. Quali strategie comunicative adottare allora? Non esistono ricette o vademecum precise e specifiche, ma, piuttosto, la crescita e lo sviluppo di una riflessività e di una responsabilità maggiore in tutti i soggetti che da punti di vista diversi sono chiamati ad occuparsi della comunicazione sociale, se vogliamo che le sfide etiche alla comunicazione non rimangano semplici affermazioni di principio. 33 3. DAL VOLONTARIATO AL PUBBLICO, ATTRAVERSO I GRANDI MEDIA (E IL TEATRO): STORIE IN CERCA DI AUTORI di Gaia Peruzzi 3.1 Volontariato e media, due mondi lontani La comunicazione sociale è quel settore della comunicazione pubblica che comprende attori e linguaggi impegnati a fare comunicazione intorno a questioni controverse della vita comune, con una prospettiva manifesta di solidarietà e di coesione sociale e un’attenzione particolare alle voci e alla vita delle categorie più vulnerabili e svantaggiate. Perché si abbia comunicazione sociale un tema concernente la convivenza nella società contemporanea deve ottenere visibilità nella sfera pubblica e con la propria presenza farsi portatore di un punto di vista e di valori esplicitamente votati all’utilità e al bene comune. Due grandi strade che consentono ad un qualsiasi argomento l’accesso alla sfera pubblica sono l’informazione giornalistica e il dibattito o l’intrattenimento culturale26. Ovvero, un tema deve farsi news o fiction, notizia o storia per la televisione o il cinema, se vuole raggiungere il pubblico, cioè i cittadini, attraverso i grandi media. In genere, nella grande arena della comunicazione pubblica sono sempre presenti alcuni temi sociali legati specificamente alla vulnerabilità e all’emarginazione sociale: ogni giorno infatti, a seconda del contesto e delle circostanze, qualche categoria svantaggiata o disagiata viene trascinata sotto la luce dei riflettori dall’onda di un episodio di cronaca o di una tenzone politica, e riproposta per un pò all’attenzione della comunità dal gioco infinito di citazioni e rimandi fra giornali, cinema e tv. A solo titolo di esempio, si possono citare come temi sociali “in vigore” nel dibattito pubblico italiano nei giorni della stesura di questo articolo alcune grandi questioni, legate a processi di trasformazione profonda della nostra società, quali l’immigrazione e i nuovi modelli emergenti di coppia e di famiglia, e tutta una serie di “affari” minori che in questo periodo 26 Oltre a quelli citati, esistono ovviamente anche altri luoghi e canali minori di accesso alla sfera pubblica. Per la comunicazione sociale in particolare si sono rivelati importanti, fino ad oggi, la pubblicità e le campagne informative e/o di fund raising costruite attorno a grandi eventi–spettacolo. In questa sede però ci concentreremo sulle narrazioni giornalistiche, cinematografiche e di fiction televisiva: per ragioni di spazio, ma anche perché si ritiene che queste rappresentino, nella morfologia attuale della sfera pubblica, le strade più importanti, e proprio le meno battute dal volontariato. 34 affiorano ripetutamente nelle pagine dei quotidiani o nelle rubriche tv sulla spinta di impulsi di cronaca: la pandemia aviaria, l’“emergenza” cocaina, la polemica fra medicine convenzionali e cure alternative… Tutti questi temi possono essere riconosciuti senza dubbio come importanti per la collettività e la convivenza comune. In particolare, i primi, destinati probabilmente a restare ancora a lungo nell’agenda politica del Paese, dopo aver permeato le cronache stanno penetrando pure i luoghi della sfera culturale, e li si rintraccia ormai anche nelle trame di narrazioni più articolate (film, serie televisive, romanzi…). La sorte degli altri appare invece più incerta: essa dipenderà dalla gravità dei problemi annunciati, e dalla capacità che mostreranno i soggetti più interessati di creare attorno a questi attenzione, riflessione, coinvolgimento. Perché si abbia comunicazione sociale infatti è necessario – si è detto – che, oltre ad una visibilità consolidata, si producano su tali temi testi e azioni orientati (a comportamenti di solidarietà e coesione) ed efficaci. Fra i temi ricorrenti o emergenti del sociale raramente si trova il volontariato. Del volontariato, della vita e dei problemi delle associazioni, i media italiani parlano poco. È sufficiente un rapido sguardo ai quotidiani nazionali, ai palinsesti delle principali emittenti radio e tv o alle recensioni cinematografiche, per constatare che il soggetto “volontariato” è scarsamente rappresentato, se non assente, nella sfera pubblica del nostro Paese. L’invisibilità quasi totale del volontariato non rende giustizia ai progressi che la comunicazione sociale ha compiuto negli ultimi anni nel suo complesso. Nella sua radicalità però il caso del volontariato racchiude molti degli elementi che ostacolano in generale il sociale nel farsi comunicazione; esso può essere considerato dunque, a parer di chi scrive, emblematico delle difficoltà della comunicazione sociale ad affermarsi. Volontariato e media sono due mondi per tanti aspetti lontani. Il sistema dei media, in particolare quello dei grandi media, è uno dei protagonisti riconosciuti della vita pubblica e sociale delle società contemporanee. Creatori e diffusori straordinariamente potenti di informazioni, immagini, rappresentazioni e storie, i media di massa intervengono in modo rilevante nel processo di costruzione dell’immaginario collettivo, fornendo agli individui e ai gruppi conoscenze e significati per interpretare la realtà e, di conseguenza, orientandone l’azione. Dispensatori di uno dei beni più perseguiti della nostra epoca, la visibilità pubblica, essi hanno sviluppato rapporti reciproci di controllo e dipendenza con tutti i poteri di tutte le sfere sociali. Di quella logica della competitività che, nel 35 bene e nel male, costituisce l’anima delle culture capitaliste, essi agiscono al tempo stesso come prodotti e promotori. Dall’altra parte, quel magma dal nome incerto che è ilTerzo Settore o non–profit costituisce ormai una realtà economica, politica e culturale notevole. Richiamandosi in maniera esplicita e distintiva a principi etici e di solidarietà, il movimento è nato ed opera ponendosi come alterità, talvolta opposizione, rispetto ai valori e alle istituzioni dominanti. Negli ultimi anni diversi suoi soggetti si sono incamminati in processi di trasformazione importanti, in direzione di una crescente istituzionalizzazione dell’identità e delle organizzazioni; hanno cominciato dunque ad adoperarsi per far corrispondere a questo cambiamento una maggiore visibilità pubblica. Di questo mondo che, nella sua ricchezza e frammentarietà, aspira a farsi espressione dell’insopprimibile pluralismo della società civile, il volontariato rappresenta, almeno idealmente, una delle componenti più caratteristiche. E – come si notava – anche una di quelle che fatica di più ad ottenere spazio e riconoscimento. Chi scrive è dell’opinione che, nonostante le difficoltà oggettive e numerose, la strada dei grandi media rimanga un obiettivo irrinunciabile per il volontariato e per tutto ilTerzo Settore, se essi vogliono davvero che il proprio operato raggiunga una visibilità popolare, ampia e diffusa. Assunto tale presupposto, con questo articolo ci si propone di fare un passo oltre: di inoltrarsi cioè ad esaminare quali aspetti della realtà e della vita del volontariato si lasciano supporre più interessanti per i grandi media, e quindi passibili di essere trasformati in narrazioni popolari. In particolare, avendo individuato nelle notizie giornalistiche e nelle storie di cinema e di tv canali importanti di accesso alla sfera pubblica, due sono gli interrogativi che orientano questa riflessione: i temi, i problemi e le esperienze del volontariato possiedono i requisiti per accedere allo statuto di news e/o di storie per la fiction? E, in caso di risposta affermativa, di quali accorgimenti e trattamenti necessitano affinché possano distinguersi dalla cronaca o dal puro intrattenimento e configurarsi come prodotti di comunicazione sociale? 3.2 Dal volontariato alla sfera pubblica. Esperienze in cerca di audience In questo paragrafo si affronterà il primo dei nodi che ci si è proposti di sciogliere: capire cioè se fra gli interessi, le caratteristiche e le logiche di azione del volontariato e dei media – che abbiamo visto essere per certi 36 aspetti lontane – possono essere trovati dei punti di contatto, compatibilità, incontro. La domanda–chiave è: quali soggetti, problemi e aspetti del lavoro delle associazioni possono interessare oggi i grandi media, ed essere immaginati come fonte di notizie e di storie per la stampa, il cinema e la tv? Per rispondere a questo interrogativo, si prenderanno in esame le caratteristiche generali dei temi concernenti il volontariato e l’associazionismo sociale, e se ne valuterà la conformità con i requisiti principali della narrabilità mediatica, ovvero con quelli che in letteratura sono chiamati news-values e fiction-values27. I news-values e i fiction-values sono corpus di regole di rilevanza e di selezione che presiedono alla costruzione rispettivamente di notizie e di prodotti di fiction, intendendo con questo secondo termine, in questa sede, le storie per la tv e il cinema. Detto in altri termini, gli studiosi di comunicazione hanno identificato una serie di requisiti che, posseduti da una vicenda, un’informazione o un racconto, predispongono e facilitano questi ad essere identificati, scelti ed elaborati dai professionisti del giornalismo e della sceneggiatura come oggetti dei propri testi, perché conformi alle regole sulle quali sono impostate le routine lavorative delle loro organizzazioni e i gusti le abitudini del pubblico. In pratica, tali criteri funzionano da selezionatori di eventi, distinguendo già, tra gli infiniti accadimenti e argomenti che la realtà offre quotidianamente ai giornalisti e agli autori di fiction come materia e fonte di ispirazione, quelli che appaiono più adatti ad essere narrati, e dunque a diventare notizia, storia televisiva o film28. Nella nostra disamina si prenderanno in considerazione 4 aspetti della vita del volontariato29: i problemi e le vicende di cui si occupano le associazioni sono questioni attuali, che facilmente toccano situazioni commoventi o drammatiche, spesso in–finite o comunque senza lieto fine, popolari (nel senso che hanno come protagonisti, nella maggior parte dei casi, gente comune). Il primo è un concetto-chiave classico degli studi sul giornalismo. Il secondo è stato introdotto nella letteratura italiana da Buonanno (1996), per analogia con la precedente espressione, in riferimento al campo della fiction televisiva. 28 Per un approfondimento sui valori notizia vedi il capitolo 4 29 Dato il carattere esplorativo del nostro discorso, e i limiti di spazio, si passeranno in rassegna solo le caratteristiche più generali delle esperienze concernenti il volontariato, senza addentrarsi in distinzioni concernenti le singole categorie di vulnerabilità o disagio. È evidente però che questi temi individuano, in prospettiva, piste e sentieri nuovi e originali di ricerca. 27 37 Proviamo a valutare se, e in che modo, tali caratteristiche possono configurarsi come requisiti di narrabilità. I fatti e le esperienze che il volontariato potrebbe raccontare sarebbero senza dubbio storie attuali. Non solo infatti il volontariato e l’associazionismo sono attori che vivono e operano nel presente, ma delle società contemporanee essi rappresentano anche – lo abbiamo visto – anche una realtà significativa e, per certi aspetti, unica. Per il giornalismo l’attualità delle vicende è un requisito costitutivo, essenziale. Per la fiction non è fondamentale, nel senso che il cinema e la tv raccontano pure personaggi ed eventi ambientati in altre epoche. Vero è però che la tendenza prevalente, almeno nei tempi più recenti, è quella di sceneggiare storie che raccontano la realtà di oggi, quando non addirittura ispirate a fatti di cronaca e a vicende veramente vissute. Tale attitudine pare così marcata che per la fiction televisiva italiana Buonanno (1996) ha parlato di sindrome della realtà. Punto due. Se si definisce il sociale – dalla vulnerabilità all’emarginazione, passando per il disagio – come quell’area di soggetti, situazioni e casi affetti, per ragioni diverse, da fragilità o difficoltà relazionali, allora le storie del volontariato sono per definizione storie difficili, di diversità e di incomunicabilità, complicate e tribolate. Storie che toccano le corde del cuore, i sentimenti e le emozioni, drammatiche. Il dramma, inteso come tensione conflittuale e sofferta all’interno di un processo umano dialettico o evolutivo, è il cuore stesso della narrazione. Le storie esistono perché esistono gli uomini e le donne con i loro dolori e i loro drammi. Questo vale ancora di più per le storie dei giornali, del cinema e della tv. Le prime due dimensioni esaminate si configurano dunque come newsvalues e fiction-values importanti. Sembrano cioè indicare che i racconti provenienti dal mondo del volontariato, almeno sotto questi profili, potrebbero aspirare a diventare narrazioni mediali, notizie o fiction televisive e cinematografiche. Passando all’elemento successivo, i casi e le vicende del sociale non sono sempre, anzi, non sono quasi mai, storie a lieto fine. Spesso sono storie senza una fine. Occuparsi nel quotidiano di vulnerabilità e disagio significa, senza eccessi drammatici, lavorare in situazioni e per bisogni di cui non è detto si riesca a vedere una conclusione, una soluzione. Il sociale è fatto di incertezza e precarietà nei casi più lievi, di esclusione e cronicità in quelli più gravi. Le 38 debolezze, i disagi, le malattie, le dipendenze, la povertà, le emarginazioni per alleviare i quali si adoperano i volontari raramente si estinguono senza traccia, in genere si evolvono con lentezza, talvolta si acuiscono in recrudescenze violente o inevitabili. Le narrazioni invece hanno bisogno di scioglimenti o ribaltamenti risolutori, se non definitivi. E se le notizie si generano anche da una variazione di intensità in un percorso, quando questa fa urgenza o emergenza, per le storie di fiction un the end, se non un lieto fine, è quasi indispensabile. L’ultimo aspetto proposto all’attenzione è quello degli attori che abitano questi mondi. Se dai problemi sociali non è immune nessuna sfera o categoria della società (anche se le meno privilegiate sono le più esposte), l’universo delle associazioni e del volontariato è costituito in larga parte da gente comune. I volontari sono uomini e donne di ogni età e ceto; differenti per provenienza, cultura, credo religioso e appartenenza politica, hanno in comune solo l’impegno a ritagliare con regolarità uno spazio della propria esistenza per un lavoro compiuto in nome della solidarietà. Nella sua frammentarietà, il volontariato rappresenta uno spaccato emblematico della società civile e della “normalità” della vita quotidiana. Sotto il profilo della narrabilità, questo elemento può avere differenti, controverse connotazioni. Evidentemente, nella realtà in cui viviamo uno status sociale elevato dei protagonisti è garanzia di notiziabilità per una vicenda30 e contribuisce a conferire successo pure a narrazioni di genere diverso, come ha rilevato Buonanno (1996) per quelle televisive. Il fatto che i volontari siano semplici, anonimi cittadini è un dato che può aver pesato, e forse pesa nella difficoltà del volontariato a “bucare” la sfera pubblica31. Esiste però anche un rovescio “positivo” del discorso. 30 L’affermazione è valida anche per i temi che riguardano specificamente i problemi del disagio e della vulnerabilità sociale. Si pensi, proprio in proposito, al recentissimo caso Lapo Elkann, dove il coinvolgimento di un rampollo di una delle più potenti dinastie italiane ha portato alla ribalta delle cronache un dramma, quello della cocaina, tanto noto quanto diffuso. 31 Molto probabilmente questo fattore ha pesato, e continua a pesare, anche nella direzione opposta. Se i media hanno trascurato il volontariato non riuscendo a scorgere nulla di interessante dietro attività e persone “troppo” ordinarie, d’altra parte i volontari, con l’accusa ricorrente ai media di spettacolarizzazione e massificazione della cultura, si sono forse proibiti per lungo tempo la comprensione del ruolo e dell’importanza della comunicazione e dei suoi questi strumenti. 31Si pensi, per nominare solo un esempio, a quante serie, italiane e straniere, hanno avuto come sfondo, nell’ultimo decennio, ospedali e pronto soccorso. 39 Se si guarda a un settore specifico come la fiction seriale, è evidente che la vita di organizzazioni lavorative, soprattutto del settore sociale, ha costituito negli ultimi anni lo sfondo, se non la trama, di programmi di indubbio successo e larga diffusione31. È un dato che merita attenzione, considerando che il volontariato è un mondo di organizzazioni, grandi e piccole, diversissime, peraltro molto singolari nel panorama dei luoghi lavorativi e di socializzazione della nostra epoca. Tentando un bilancio delle considerazioni finora sviluppate, potremmo dire che sì, il mondo del volontariato, nell’eterogeneità delle proprie realtà ed esperienze, ha sicuramente materia prima (nel senso di casi, storie, testimonianze, vicende, problemi) da offrire ai grandi media. L’attualità dei temi e la natura drammatica (nel senso di commovente o conflittuale) delle vicende che si potrebbero narrare costituirebbe con grande probabilità una garanzia di interesse, sia immaginando percorsi di notiziabilità che di sceneggiatura delle medesime. Altri caratteri distintivi della vita del volontariato sembrano configurarsi in maniera più ambigua e complessa rispetto ai suddetti criteri di narrabilità, con segni talvolta opposti se si considerano le esigenze del giornalismo o quelle della fiction. Essi rivelano la diversa praticabilità dei canali mediatici che conducono alla sfera pubblica per le esperienze del volontariato. A rovescio però suggeriscono pure una prima serie di criteri per selezionare e confezionare le storie che, raccolte dalle testimonianze di operatori e utenti, potrebbero far conoscere fuori il mondo e la vita delle associazioni. Nel complesso comunque dei sentieri paiono tracciabili, dal volontariato sociale ai grandi media, per nuove narrazioni. 3.3 Dalla sfera pubblica alla comunicazione sociale. Narrazioni in cerca di format Perché si abbia comunicazione sociale – si è detto – temi interessanti per la collettività devono essere elaborati in modo da risultare messaggi orientati a comportamenti e valori solidali. Ammesso che il volontariato sappia attivarsi per raccogliere e selezionare vicende e problemi capaci di attrarre l’attenzione del pubblico, occorre dunque che questi testi esprimano punti di vista consapevoli e mirati, affinché li si possa riconoscere come prodotti di comunicazione sociale e non semplicemente di informazione o intrattenimento. Occorre dunque porsi l’interrogativo: in concreto, quali fini dovrebbero 40 porsi, quali valori dovrebbero esprimere delle narrazioni mediali utili a promuovere il volontariato? La risposta si articolerà in tre riflessioni. La prima cerca le basi fondative del ragionamento. Data la situazione attuale di visibilità molto scarsa del volontariato sui grandi media, l’obiettivo prioritario e realistico di una comunicazione sociale efficace appare al momento quello di far conoscere il volontariato al grande pubblico dei media, per superare le visioni spesso superficiali e stereotipate che su di esso sono diffuse. Al di fuori della associazioni e della cerchia degli esperti, pochi sanno cos’è, perché esiste, come lavora e di cosa vive il volontariato oggi. Se le associazioni vogliono che queste conoscenze diventino patrimonio comune e condiviso nella società, è necessario che esse inneschino attorno al movimento curiosità, interesse, domande, come motori di processi di riflessione e approfondimento. Il mondo, la vita, le logiche, gli attori, le posizioni, i successi e i problemi delle associazioni – sia sul versante dei disagi di cui si occupano gli operatori, sia sotto il profilo delle organizzazioni lavorative e dei servizi – hanno bisogno oggi, se vogliono diventare comunicazione sociale, di essere presentati, esplorati, indagati, mostrati, interrogati, approfonditi, da punti di vista differenti, attraverso voci e testimonianze diverse. La realtà dell’associazionismo è straordinariamente ricca e frammentata; operazioni di lettura e presentazione della medesima attraverso i media di massa, tanto “ben fatte” e attraenti da risultare competitive con altri prodotti e interessanti per il grande pubblico, sono evidentemente complicate. Per penetrare e sorreggere la complessità di temi e di intrecci di cui vivono le associazioni, le forme che ad oggi appaiono più idonee sono forse le narrazioni estese. Le storie – del cinema, della letteratura, della tv – hanno trame espanse e dialogiche, nelle quali possono trovare spazio, per essere raffigurati, dipanati e confrontati, situazioni, stili di vita, posizioni, credenze, convinzioni significative della realtà dell’associazionismo. Per il compito individuato – far conoscere il volontariato –, nelle circostanze attuali – di pressoché nulla visibilità del medesimo –, si potrebbe azzardare che film, fiction e romanzi realisticamente ispirati funzionerebbero forse meglio delle notizie giornalistiche, per natura più sintetiche e tendenti al manicheismo delle rappresentazioni. Un film, una serie tv, un romanzo di successo appaiono in questo momento strade più adatte del giornalismo ad aprire le porte della sfera pubblica alle associazioni del sociale, perché l’arena culturale si configura per vari aspetti come più consona dell’attualità giornalistica allo spessore e alla profondità di narrazione utili al volontariato per farsi conoscere in 41 maniera non superficiale. Tale riflessione suggerisce di soffermarsi a considerare fra i possibili territori di attività di comunicazione sociale anche un altro spazio: il teatro. Non si tratta di un medium, questo è evidente. Ma storicamente il teatro è stato il luogo per eccellenza delle narrazioni pubbliche delle tensioni e dei drammi umani e sociali, e tutt’oggi rimane, anche se in posizione più marginale, una delle arene caratteristiche della sfera culturale. Per questi motivi, in questo discorso, ci è parso in un certo qual senso “assimilabile” ai grandi media. Inoltre, esso si presta meglio dei format mediali a narrazioni dalla trama aperta, al dubbio e all’irresolutezza del caso o dei casi umani, che abbiamo visto essere invece ricorrenti nelle storie del sociale. Si ritiene perciò opportuno aggiungerlo alla lista dei possibili percorsi del volontariato nel suo farsi comunicazione sociale33. Corollario del precedente, c’è un secondo elemento da prendere in considerazione esaminando le specificità distintive dei prodotti di comunicazione sociale, che attiene questa volta alle modalità di trattamento della materia oggetto del messaggio. Raccontare i problemi e le vicende del volontariato significa imbattersi prima o poi in casi di disagio, emarginazione, dolore. Si è già parlato di questo aspetto, analizzando la narrabilità dei diversi profili del volontariato, e si era valutato come questa componente possa essere in qualche modo funzionale ad attirare la luce dei riflettori sui temi del sociale, quando questi cercano visibilità sulla sfera pubblica. Riguardo alla questione adesso in esame, questo fattore rischia invece di incidere in senso opposto. La comunicazione sociale, richiamandosi a principi etici di attenzione e di solidarietà umana e sociale, pretende sensibilità e rispetto di fronte al dolore e rifugge la spettacolarizzazione del dramma e del patimento, a cui invece altri generi (la pubblicità commerciale, l’informazione, l’intrattenimento) ricorrono in maniera più disinvolta. La tendenza è a evitare l’enfasi patetica e i toni melodrammatici. Non solo. Una delle ambizioni 33 Il discorso meriterebbe di essere sviluppato con riferimenti più ampi alla situazione di questa arte oggi nel panorama italiano e internazionale. Non essendo questa però la sede opportuna, ci si limiterà a sottolineare che quello a cui si sta pensando non è il teatro sociale, inteso come esperienza in cui la rappresentazione diventa una sorta di seduta psicologica o terapeutica per tutti gli astanti, ma al teatro in senso anche più classico, se si vuole, come luogo dove si narrano storie. Chi scrive sta immaginando un teatro di drammaturgia, con trame ispirate all’attualità, in particolare ai problemi del sociale e al lavoro delle associazioni, come ennesimo spazio che può essere pensato e utilizzato dal volontariato in questa sua ricerca di occasioni per mostrarsi e farsi conoscere. 42 della comunicazione sociale è quella di riuscire a diffondere immagini e pratiche nuove riguardo ai temi di cui si occupa. Fra questi rientrano senza dubbio la concezione del dolore e della sofferenza umana, la capacità di guardare e di avvicinarsi ad essi in modo né pietistico né distaccato, l’attenzione ad adottare (quando necessario a creare) linguaggi e comportamenti adeguati per soggetti, casi e situazioni difficili. Sicuramente questa consapevole delicatezza deve essere assunta come un criterio imprescindibile nella costruzione di prodotti di comunicazione da e per il volontariato, visto che più di altri questo soggetto è rappresentativo della mission e dei valori del non–profit. Infine, un’ultima caratteristica da richiedersi a prodotti di comunicazione sociale da e sul volontariato: l’efficacia. Di per sé potrebbe apparire superfluo menzionare questo requisito (una buona comunicazione non dovrebbe di per sé essere sempre efficace?). Si è deciso di sottolinearlo però perché nella sua banalità esso costituisce invece, a parer di chi scrive, un nodo nevralgico della comunicazione sociale, e in particolare proprio di quella prodotta dai soggetti del volontariato. Se vuole essere utile, la comunicazione sociale deve essere efficace. Per essere efficace, data la complessità della realtà contemporanea, è necessario che sia professionale. Adeguata cioè a competere sulla sfera pubblica con linguaggi, testi e prodotti di generi diversi, anche esteticamente accattivanti.34 Indicazioni in tal senso si possono ricavare, più o meno esplicitamente, da tutti i punti presi in analisi, sia quelli concernenti la natura del volontariato che quelli relativi alle caratteristiche del sistema dei media e dei loro prodotti. Temi specifici, problemi delicati e obiettivi ambiziosi sono le specificità con cui si presenta sulla sfera pubblica il volontariato; trame complicate, linguaggi sofisticati e format mirati sono, d’altra parte, le caratteristiche che distinguono i prodotti in circolazione sui media. In mezzo, per di più, il solco di rapporti quasi inesistenti tra i due soggetti. È evidente che solo competenze professionali, capaci di comprendere e di muoversi in maniera opportuna in entrambi i due mondi – dotate delle conoscenze e delle sensibilità per capire il volontariato e dei saperi e delle tecniche per costruire prodotti mediatici competitivi – possono sperare di riuscire nell’impresa di comunicare, e far comunicare, il volontariato. Dunque, anche l’esplorazione di questo secondo versante del cammino – quello che guarda alla costruzione di una comunicazione che possa 34 Vedi i capitoli successivi. 43 avvalersi dell’appellativo di “sociale” – non ha rivelato ostacoli insormontabili alle aspirazioni del volontariato di rendere note, e diffuse, le proprie esperienze. Solo, ha messo in evidenza che il percorso è segnato da tappe e vincoli necessari. 3.4 Guardando al futuro. Storie in cerca di autori Esclusivamente per esigenze analitiche nel testo si sono presentati come fasi distinte due processi – la ricerca della visibilità sulla sfera pubblica e il perseguimento dei requisiti necessari a garantire l’idoneità di comunicazione “sociale” – che nella realtà costituiscono il percorso, unico e inseparabile, delle esperienze delle associazioni che vogliono farsi narrazioni pubbliche di comunicazione sociale del e sul volontariato. Se il volontariato ha difficoltà a comunicare, a farsi conoscere e a far conoscere i propri problemi e i propri progressi, questo non accade perché esso non ha nulla da raccontare. Materia prima da offrire ai media le associazioni dovrebbero sicuramente averne: si è visto infatti come le vicende e le questioni del volontariato possiedono più di una caratteristica conforme ai news-values e ai fiction-values, ovvero ai criteri di notiziabilità in base ai quali nel mondo dei media vengono selezionate le storie da raccontare, nella forma di notizie o di prodotti di fiction. Le esigenze produttive dei media, calibrate anche sulle aspettative del pubblico e sui requisiti della comunicazione sociale, richiedono casomai il trattamento dei materiali originali in narrazioni adatte ai formati giornalistici, televisivi e cinematografici. Le specificità dei singoli mezzi intervengono a disegnare la diversa praticabilità delle tante strade che possono condurre le esperienze del volontariato, nella forma di prodotti di comunicazione sociale, alla sfera pubblica. In particolare, prospettive differenti sembrano delinearsi in rapporto alle due grandi autostrade della comunicazione di massa: il giornalismo e la fiction cinematografica e televisiva. Nell’informazione, il ruolo più consono che si può immaginare per il volontariato, tenendo conto di tutte le caratteristiche sopra descritte, è quello di interlocutore privilegiato per i temi concernenti la vulnerabilità e il disagio sociale, aree in cui gli operatori delle associazioni possono vantare un’indubbia competenza. Piuttosto che cercare di farsi notizia ad ogni costo, inseguendo una visibilità dai ritmi e dagli effetti non sempre opportuni per la sensibilità della comunicazione sociale, le associazioni potrebbero sforzarsi di proporsi alla stampa e alle rubriche informative della tv come fonti preferenziali, 44 accreditate e continue, di materiali di approfondimento e di riflessione su quei temi per i quali, grazie a una rete di contatti e di competenze unica, esse possono selezionare in tempi rapidi voci, testimonianze e punti di vista nuovi, qualificati e significativi. Oltre al giornalismo, l’altra grande opportunità per il sociale e il volontariato, se davvero essi desiderano farsi conoscere ad un pubblico popolare, è rappresentata dalla fiction. Il cinema e la televisione sono i più potenti story–telling delle società contemporanee. Narrano, ogni giorno, a milioni di persone, le storie più diverse. Nell’estrema varietà di format e linguaggi che essi prevedono, anche le voci e i racconti delle esperienze del volontariato, con le specificità e le particolarità che si sono viste, potrebbero trovare, se adeguatamente trattati e confezionati, spazi e veicoli di trasmissione importanti. I volontari, il lavoro delle organizzazioni, i casi e i disagi del sociale come sfondo, attori o protagonisti di qualche narrazione popolare di successo potrebbero contribuire a immettere e diffondere rapidamente nell’immaginario pubblico nuove immagini e consapevolezze riguardo alla vita e alle esigenze di questo mondo ancora “sommerso”. In questa proposta si è affiancato ai grandi media un altro luogo della sfera pubblica, il teatro, in considerazione del prestigio e delle potenzialità che esso mantiene, nonostante la marginalità degli ultimi decenni, come scena di creazione, rappresentazione e riflessione dei temi e dei discorsi concernenti le tensioni e i dilemmi sociali di ogni epoca. Eravamo partiti da un interrogativo preciso: indagare se nella natura e nella vita del volontariato si possono rintracciare temi sufficientemente interessanti per essere comunicati al grande pubblico e valutarne eventualmente la “compatibilità” con gli adattamenti e i format richiesti dai grandi media. La maggior parte delle piste che abbiamo esplorato sembrano condurre a risposte positive, e convergono nel far sbiadire l’ipotesi che la spiegazione della poca o nulla visibilità di cui soffre nelle nostre società il volontariato possa essere addebitata allo scarso interesse del tema. I nodi vanno cercati altrove. Ne affronteremo rapidamente solo uno, quello che dalla nostra sintesi emerge come più visibile. Da qualunque versante – media o volontariato – si approcci il tema dell’incomunicabilità tra le due sfere, una questione riaffiora inevitabile: il bisogno di competenze. In una realtà in cui la visibilità è un’esigenza vitale per tutti i soggetti che operano nella società, e in cui molti si adoperano e competono con investi- 45 menti e mezzi sempre più consistenti per procurarsela, la professionalità nel comunicare è divenuta una competenza lavorativa indispensabile. I grandi media in particolare sono strumenti complessi e sofisticati: avvicinarli, comprenderli, utilizzarli in maniera mirata e efficace richiede il possesso di conoscenze sofisticate e abilità specifiche. Parimenti, per narrare il sociale e il volontariato oggi è indispensabile aver maturato una sensibilità e una conoscenza non superficiali di una realtà che, da qualunque profilo la si osservi (politico, economico, sociale, culturale) mostra tratti complessi e peculiari. Occorrono, dunque, professionisti della comunicazione sociale: persone in possesso delle competenze e delle tecniche necessarie a ideare, progettare e realizzare formati attraenti per il grande pubblico, e nel contempo sensibili e interessate alle problematiche, allo spirito e allo stile del mondo sociale e del volontariato. Non si può negare che dei passi in avanti in questa direzione, negli ultimi anni, siano stati compiuti. Percorsi formativi e curricula specifici hanno cominciato ad essere istituiti e riconosciuti nelle accademie, uffici e figure deputati sono stati inseriti dalle associazioni e dalle agenzie del non profit nei propri organici. Eppure, se il salto deve essere quello che si è immaginato, ancora non basta. Bisognerebbe osare forse qualcosa di più. E ad osare non può essere, a parer di chi scrive, che il volontariato, almeno in una fase iniziale, finché una prima soglia di visibilità non sia ottenuta, e il potere contrattuale di fronte ai media non si sia un pò accresciuto. Abbandonare quella sorta di reticenza che ancora conserva nei confronti di linguaggi, ritmi e colori più vivaci; investire nella formazione di comunicatori adeguati; sforzarsi di immaginarsi, e di proporsi, come autore-narratore attivo della realtà contemporanea: se l’obiettivo scelto è quello di raggiungere il grande pubblico, questi potrebbero essere i primi passi perché il volontariato cominci a raccontare storie, a raccontarsi, a farsi storia. 47 4. FARSI FONTI. COME ENTRARE NEL CIRCUITO DEGLI AVVENIMENTI di Marco Binotto Sono numerose le difficoltà nel costruire una coerente e lungimirante attività di relazioni con i media da parte del volontariato. Il primo ordine di motivi è stato già affrontato e appare del tutto interno: è relativo cioè al motivo per cui si intende comunicare, a come si concepiscono i mezzi di comunicazione, a come si vorrebbe essere rappresentati. Il secondo riguarda le competenze necessarie a comunicare in modo efficace. Se preferite, il primo risponde alla domanda: perché il volontariato non riesce a comunicare con i news media? Mentre il secondo risponde alla domanda: perché i news media non comprendono il volontariato? È necessario affrontare contemporaneamente queste due questioni per poter superare, in modo corretto e intellettualmente onesto, le difficoltà di relazione con l’universo mediale. Corretto, perché il sistema della comunicazione mette in gioco relazioni complesse in cui non esiste semplicemente un emittente – colui che parla – e un ricevente – colui che ascolta. Esistono apparati complessi, emittenti e riceventi, necessità linguistiche e tecniche del canale di trasmissione, molteplici attori spesso in competizione contemporanea, pregiudizi e identità culturali distinte: ci troviamo di fronte quindi non alla “semplicità” di un dialogo tra due persone, ma ad un ambiente comunicativo innervato di artefatti tecnologici: qualcosa che assomiglia più ad un mercato rionale o un suq che ad una chiacchierata tra amici. Onesto intellettualmente, perché è necessario tenere sempre in considerazione la possibilità di avere torto. Spesso le maggiori incomprensioni e le crisi delle relazioni nascono dalla incapacità di comprendere le ragioni dell’altro. Spesso l’incomprensione tra l’universo dei comunicatori – in questo caso la società civile che produce le informazioni – e quello dei giornalisti – coloro che devono raccogliere quelle notizie e diffonderle – nasce dalla contrapposizione di esigenze diverse, dalla comune esigenza di compiere il proprio lavoro e della fitta rete di relazioni e condizionamenti a cui si è vincolati. A queste ragioni tangibili si aggiungono delle continue incomprensioni “culturali”. Spesso i maggiori dissidi nascono da una diversa interpretazione dei fatti, della causa del comunicare, della sua finalità o persino del diverso significato che si attribuiscono ai termini. Crediamo sia necessario dissipare queste possibili (e reciproche) incomprensioni. Dovrebbe essere chiaro infatti che consideriamo la pratica 48 comunicativa non la semplice applicazione di regole o di tecniche del buon comunicare, quanto piuttosto una delle più intricate, e peculiari, espressioni dell’essere umano, una delle attività che caratterizzano la complessità del mondo moderno. Allora, con ordine, cerchiamo di dissipare alcuni dei luoghi comuni e delle semplificazioni rintracciabili in tutti gli attori della scena mediale fornendo, nel contempo, alcune indicazioni pratiche e consigli, insieme ad una serie di testi su cui poter approfondire gli argomenti affrontati. 4.1 Il giornalismo: distinguere tra ideali e lavoro quotidiano Non crediamo sia necessario insistere troppo su quanto sia necessario conoscere il modo di lavorare, la mentalità, le consuetudini e le regole del giornalismo per poter operare in modo corretto ed efficace nei suoi riguardi. Esistono però numerosi modi per affrontare questa conoscenza. Esiste naturalmente la visione ufficiale e di senso comune della professione del giornalismo, esistono le regole deontologiche illustrate dai manuali di giornalismo e dai testi anche critici dei “maestri del mestiere”, ma esistono anche una serie di ricerche condotte da sociologi ed esperti dei media. Accade spesso alla storia e alla storia della scienza, di venire spesso narrata espurgandola da casualità e incidenti quanto da interessi più o meno inconfessati: almeno in quel caso giustificati dalla pretesa di verità e dalla necessaria efficacia delle sue conquiste. Il discorso giornalistico assume in maniera meno predominante gli atteggiamenti del serio e incorrotto procedere della conoscenza. La sua stessa mitologia, rappresentata in genere nella filmografia sul tema, è costellata di incidenti e influenze oscure, dall’intrinseca umanità dei protagonisti. In entrambe le narrazioni è però presente lo stesso archetipo della conoscenza della realtà, dell’avventura, dell’epica del disvelamento della verità. Eppure per gli stessi motivi, per il fitto reticolo di immagini idealizzate e condizionamenti concreti, la quotidianità anche banale delle condizioni di produzione è rimasta per anni nell’ombra. Le coraggiose e polemiche accuse allo stato della professione, operate da alcuni suoi esponenti d’eccellenza quali Giampaolo Pansa e Giorgio Bocca, rimangono semplici censure di comportamenti eccezionali, di cattive prassi nostrane. L’influsso della quotidianità rimane inavvertito. Se il modello iniziale degli studi sul giornalismo è stato maggiormente orientato alla “sociologia delle professioni e dell’organizzazione” 49 (Bechelloni 1995: 32), ora l’utilizzo delle tecniche etnografiche e dell’osservazione Newsmaking: si tratta del partecipante da parte dei cosiddetti studi nome con cui sono noti gli sul Newsmaking consente proprio di mettestudi, di tradizione anglore in luce l’importanza delle routine e dei sassone, che indagano – con infiniti vincoli che regolano la performance tecniche di ricerca qualitatigiornalistica. Esempio illuminante di questo va – i processi di “costruziotipo di ricerca sociologica è costituito sicurane delle notizie”. mente dall’indispensabile lavoro di David L. Altheide. Il suo racconto, frutto di alcuni anni di osservazione delle pratiche e delle abitudini del giornalismo, non nasconde l’importanza dei singoli aspetti, anche tecnici, che condizionano la fattura dell’informazione. Ad esempio, dopo aver raccontato le divertenti peripezie di un giornalista (e del suo operatori) per effettuare delle riprese su una barca a vela e contemporaneamente leggere il testo del servizio, afferma candidamente: Questo dimostra che chi lavora ai telegiornali ha più a che fare con gli aspetti pratici del proprio mestiere che non con le formulazioni astratte sull’importanza sociale o l’oggettività dell’informazione. (Altheide 1976: 81) La complessità degli “aspetti pratici” varia a seconda della dimensione dell’azione informativa e sulle necessità tecniche del mestiere. Per questo motivo nella “confezione di una notizia” occorre tener conto di questi aspetti pratici della realizzazione di un servizio o articolo informativo quali ad esempio: a) la loro necessaria brevità e quindi la necessità di sintesi; b) il rispetto dei tempi di ricezione e lavorazione oltre che di messa in onda; c) la disponibilità di immagini per la stampa e soprattutto per la televisione. Per approfondire: Sono Spesso, invece, l’aspetto ufficiale del mestiere ormai numerosi i testi è l’unico presente nei manuali. Raramente, nel dedicati ai linguaggi e fustigare gli errori e le anomalie, trapelano alle tecniche del giornaalcuni elementi di quella bistrattata quotilismo. Non molte però dianità. Nel manuale inizialmente pubblicato le ricerche sul campo, “in dispense” dal settimanale “dell’Altritalia” tra queste segnaliamo i Avvenimenti – si trovano svelati alcuni di quetesti di Altheide (1976) e sti indicibili “vizi”. Nel sottoporre a giudizio Sorrentino (1995 e 2000). un ordinario pezzo di cronaca su di un’operazione di polizia si incorre in una scelta anoma- 50 la nella struttura espositiva. Una struttura, errata per le regole presentate nel testo, ma perfettamente plausibile nella realtà professionale. È facile intuire perché: la citazione di tutti quei nomi di poliziotti grandi e piccoli ha il valore di un’operazione di pubbliche relazioni. I citati ricambieranno in qualche modo, aiutando il cronista con informazioni e agevolazioni sul lavoro. Non per questo l’autore va dunque censurato, ma per aver sacrificato la notizia alle pubbliche relazioni. […] I partecipanti alla retata potevano anche essere nominati […]. Ciò doveva avvenire però in coda al pezzo, non in testa. (Benzoni, Scaglione 1993: 69) Gli interessi personali in questi casi coincidono, o trovano il modo, di coincidere con la qualità delle realizzazioni o con i suoi canoni. Altheide stesso elenca un’ampia serie di servizi realizzati in sua presenza dove la scelta dell’argomento e soprattutto della sua “inquadratura” non era funzionale alla fattura del servizio stesso ma ai particolari obblighi o vantaggi dell’autore: il tutto coincideva con “la implicita giustificazione che gli interessi personali in essi contenuti erano condivisibili da molti” (Altheide 1976: 72). Gli hobby o le passioni individuali, le amicizie o i sottaciuti legami vengono così trasformati in effettivo campo di utilità comune: le curiosità del lettore modello tendono a coincidere con le proprie. A fianco di questi condizionamenti, per così dire individuali, si aggiungano inesplicabili motivi organizzativi. Questi criteri organizzativi possono non essere legati alla qualità professionale dei cronisti, né alle esigenze della divisione del lavoro o “dell’impaginazione” della testata ma anche a più “sordidi” motivi contrattuali. Allora l’impossibilità legale di affidare troppi compiti ad un collaboratore esterno diventa uno dei criteri di scelta del “pezzo” da pubblicare o del collaboratore da utilizzare. Carlo Sorrentino racconta, quasi con scandalo, questo tipo di conseguenze. Ad esempio l’affidamento di alcune fonti a giovani collaboratori per alcuni settori di cronaca può comportare la spiacevole conseguenza di non poterne “pubblicare con frequenza i servizi” (Sorrentino 1995: 189). La copertura di un tema può, in questi casi, essere messa in discussione non dall’orientamento “politico” della testate ma per il più banale rischio – “paventato dalla proprietà” – di rivendicazioni del collaboratore: “Paradossalmente, tale elemento assume valore di notiziabilità, da tenere in conto nella scelta dei servizi da pubblicare!” (Sorrentino 1995: 189). Vincoli, casualità, incidenti dell’organizzazione umana di una complessa organizzazione incidono sul suo funzionamento. La relazione sociale 51 vince la regola operativa, il personale spesso spiega l’ideologia. Per comunicare in modo adeguato con i mezzi di informazione non occorre considerare il campo giornalistico come un blocco omogeneo, piuttosto è importante conoscere le differenze, le relazioni personali e persino i conflitti che dividono un giornalista da un altro, come ogni redazione dall’altra. 4.2 Il giornalista: la difficoltà di una definizione Le definizioni, i confini, degli elementi cardine dell’informazione hanno conosciuto negli anni ampie revisioni. Se la storia della stampa appare trarre origine dalle concezioni borghesi e liberali di pubblico e opinion publique di discendenza rousseauniana (Habermas 1962, Cristante 1999), la sua apparenza moderna assume le sembianze precise e delimitate di un “qualsiasi” prodotto culturale. Una merce costruita all’interno di una ramificata filiera industriale formata da un delimitato corpo, ordine, di produttori-lavoratori, e quindi distribuita e acquistata da un pubblico indifferenziato nel panorama-mercato dell’informazione. Gli scenari contemporanei vedono invece prefigurarsi una situazione più complessa e dai confini meno definiti. Nel recente passato si è cercato di superare tale difficoltà di delimitazione introducendo per il giornalismo il concetto di “campo culturale”. Una figurazione elaborata in origine da Norbert Elias e Pierre Bourdieu (Bechelloni 1995: 28). In quei termini il campo giornalistico si costruisce – tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo – quando l’attività specializzata di produrre informazione d’attualità diventa visibile e rilevante per intere comunità nazionali, economicamente remunerativa per imprese specializzate, decisiva per la formazioni delle opinioni pubbliche (Bechelloni 1995: 29). Tale definizione restituisce una realtà più legata alla storia del “prodotto notizia” e alla costituzione di un’apposita industria culturale (Schudson 1978). Al suo definitivo allontanamento dalle iniziali vocazioni politiche. Nel panorama della società dell’informazione, comunque, il mercato giornalistico appare perdere questi tratti di circuito separato e caratterizzato. I prodotti informativi assumono l’aspetto, e quindi anche i moduli narrativi e produttivi di tale sistema allargato. La moltiplicazione nella disponibilità di tecnologie di comunicazione e, (quindi) la proliferazione 52 non solo dei pubblici ma anche delle fonti, ovvero delle realtà interessate a immettersi nei flussi informativi, ha comportato significativi cambiamenti. Altheide e Snow (1991) hanno messo in rilievo come questi mutamenti possano comportare la dissoluzione delle peculiarità del campo giornalistico verso un’era “post-giornalistica”. L’integrarsi del panorama mediale in un sistema sempre più interconnesso renderanno quindi più labili, e difficili le definizioni, le distinzioni. Già ora la definizione del lavoro giornalistico appare impropria per quell’insieme di soggetti e professionalità operanti nella comunicazione. Se “si sono moltiplicati gli attori sociali che producono informazione” (Bechelloni 1995: 88), questi si articolano in forme “professionali o semi professionali” ispirate dalle tecniche sofisticate delle pubbliche relazioni e degli uffici stampa piuttosto che a quelle riferite al marketing e alla pubblicità. Tale attività di promozione e comunicazione amplia fatalmente il campo giornalistico, il campo dei “professionisti che trattano informazione” (ibid.: 89). E se La retorica giornalistica si applica a tutti ma solo pochi di essi – direttori e conduttori, inviati speciali e corrispondenti, capi-servizio e redattoricapo, editorialisti e commentatori – svolgono le funzioni giornalistiche che la tradizione ha codificato come tali. (Bechelloni 1995: 89) Questi giornalisti appaiono quindi condividere una stessa infosfera, un identico e assolutamente allargato mercato della comunicazione, ma sono caratterizzati dai confini, certo meno permeabili, delle redazioni e delle testate. Le routine costituenti la loro attività, il luogo e la struttura organizzativa appaiono essere allora gli unici e autentici tratti distintivi. Comune a tutti appare invece la struttura linguistica e la reciproca rete di vincoli e rapporti, convenienze e interessi, che tra questi soggetti si instaura. Per questo motivo ci sembra utile la definizione di giornalismo fornita recentemente da Carlo Sorrentino: “un prodotto culturale realizzato attraverso una fitta negoziazione che avviene e si definisce in specifici contesti sociali” (Sorrentino 2002: 9). La negoziazione rimanda a quell’insieme di incessanti relazioni che si instaurano tra le fonti, i “mediatori” (i giornalisti stessi) e il pubblico dell’informazione. Una negoziazione “circolare”. Ogni attore influisce e retroagisce su un processo di cui si mettono in evidenza il “carattere processuale e continuamente mutevole” (Sorrentino 2002: 11). Questa definizione culturale quindi, e finalmente, mette in evidenza la “realtà seconda” prodotta dal sistema di informazione. Una realtà costruita attraverso comuni processi di selezione. 53 Compito fondamentale di chi cerca di condizionare la quotidianità dell’informazione e di inserirsi in questa complessa rete di relazioni è in qualche modo quello di diventare parte delle professione giornalistica, conoscendo meglio questi processi di selezione a partire da ciò che si intende con notizia, come viene lavorata e da dove questa, di norma, proviene. 4.3 Le fonti: all’origine delle notizie Per cominciare dobbiamo fare una precisazione per alcuni versi scontata, ma nello stesso tempo sorprendente: sempre più chiaramente i fatti sono solo una materia prima dell’informazione, solo una delle materie prime. Gli avvenimenti non sono più l’oggetto della produzione, ma lo sono quegli oggetti semilavorati che potremmo definire “le notizie”. Dei byte di dati viaggianti tra fonti, agenzie e redazioni. L’ideale “manuale per l’autodifesa” del fruitore di informazione, ma anche del suo volontario produttore, nasce proprio da questa constatazione, ovvia per la sociologia. Primo, la trasformazione dell’oggetto della macchina informativa: dal “reale” alla circolazione di “resoconti”. Secondo, il ruolo preminente delle fonti di informazione. La moderna società dell’informazione, se non è il regno degli eventi, è infatti certamente il regno delle fonti d’informazione: pubbliche e private, planetarie e domestiche, potenti, astute, spesso esplicite, talvolta mascherate, non di rado irriconoscibili. (Fracassi 1996: 13) Comunicato-stampa: è un breve Come tale infatti, la maggior parte delle documento inviato dalle fonti di notizie pubblicate ha origine da qualche informazione direttamente ai giorfonte organizzata di natura più o meno nalisti e alle redazioni. Contiene giornalistica: una materia prima che una notizia, una dichiarazione, assume già dall’origine formati precisauna decisione o un aggiornamenti e codificati. Come minimo è costruita to inviato dall’istituzione, impresa, ente per essere pubblicato. per divenire notizia, per rientrare nei suoi criteri di selezione. Al massimo, grazie all’ampia letteratura sul tema e al know-how oramai largamente acquisito, definisce con precisione la lunghezza e la fattura necessarie all’immissione nel circuito. Un esempio di questo fenomeno è il comunicato-stampa, scritto con il linguaggio, la 54 lunghezza, l’ordine conformi alla pubblicazione. Realizzati (spesso) da giornalisti per giornalisti. Tradizionalmente l’origine di un notizia è, invece, un fatto verificatosi sotto gli occhi di un giornalista. In via sussidiaria il cronista può personalmente raccogliere indizi e dettagli sull’avvenimento presenti sul luogo o dai racconti dei presenti. Quasi sempre ormai a tale immagine ideale si sostituisce un lavoro continuo e regolare di raccolta e diffusione di informazioni circa “fatti riferiti da fonti”, giunti al cronista attraverso adeguati e appositi “canali” (Sorice 1995: 74), un racconto dei racconti. In realtà l’informazione è costituita sempre meno dal “semplice” resoconto di fatti: interpretazioni, dichiarazioni, analisi, documenti fornite da enti e persone completano il quadro delle notizie, amplificando la necessità del cronista di avere canali di comunicazione tramite i quali ricevere tali materie prime. Nella tabella seguente illustriamo sinteticamente quali sono le principali fonti di informazione organizzate e i principali canali di comunicazione attraverso i quali queste raggiungono le redazioni35. Fonti Canali di comunicazione Modalità di relazione Frequenza d’uso Agenzie di notizie Linee dedicate o connessione Internet Prevalente per abbonamento Continua Altri news media Rassegna della stampa, siti web, televideo Fruizione diretta Al limite relazioni personali tra redattori Continua Enti pubblici, partiti e forze sociali, imprese e ong e-mail, fax, telefono Comunicati stampa e note Su iniziativa del redattore Periodica o occasionale Istituzioni e servizi pubblici (forze di polizia, ospedali, vigili del fuoco, protezione civile,…) Prevalentemente telefono e incontri personali Su iniziativa del redattore A volte comunicati stampa e note ufficiali Periodica o occasionale Base dati, archivi e siti web Linee dedicate o connessione Internet Su richiesta, per abbonamento o gratuita Occasionale 35 Per approfondire questo aspetto rimandiamo alla ricerca coordinata da chi scrive sulle routine giornalistiche e in particolare al saggio dedicato alle fonti d’informazione. Binotto (2004). 55 Questa sommaria rappresentazione sinottica, mette in evidenza quanto sia importante per comunicare con i news media di dotarsi dei più comuni strumenti di comunicazione quali: una linea telefonica (o se questo fosse indisponibile un numero di cellulare di una persona sempre disponibile), un fax, un computer con una connessione ad Internet (per la posta elettronica). Da notare come, in modo crescente negli ultimi anni, le reti telematiche e in genere le tecnologie di comunicazione a distanza sono diventate il canale prevalente di ricezione delle notizie da parte delle redazione, inoltre la navigazione sul World Wide Web diviene uno dei principali modi utilizzati dai redattori per approfondire o aggiungere dettagli ai propri articoli, per questo motivo – come vedremo meglio nel capitolo dedicato a questi strumenti – appare sempre più indispensabile costruire e soprattutto aggiornare un sito o alcune pagine web dedicate all’organizzazione e alla raccolta di informazioni e notizie. In secondo luogo, è evidente quanto le redazioni debbano disporre di fonti di informazioni stabili e abbondanti. Una delle principali non è del tutto una fonte, ma è tra le più importanti e frequenti modalità utilizzate per ricevere informazioni e aggiornamenti in tempo reale o d’archivio. 4.4 L’agenzia di notizie: superare la prima linea Insieme alle fonti c’è, infatti, un’altra struttura informativa che risponde effiLancio d’agenzia: l’unità di noticacemente alle richieste dei giornalisti. zia preparata e inviata dalle agenUna fonte che completa, presiede e antizie ai propri abbonati attraverso cipa la maggior parte del lavoro delle le reti telematiche. Ogni giorno testate giornalistiche fornendo loro un’agenzia nazionale ne diffonde un giornale già pronto da selezionare, diverse centinaia differenziati per organizzare e commentare. Le agenzie lunghezza ed importanza. di notizie sono strutture giornalistiche che raccolgono preliminarmente le informazioni dalle fonti o da luoghi non raggiungibili dalla testata e che forniscono alle redazioni “notizie” semi-lavorate secondo standard prestabiliti e tempi certi. Si tratta di imprese specializzate configuratesi in realtà come veri e propri “apparati di rifornimento per le redazioni” (Cesareo 1981: 82) confezionando materiali spesso, come si vedrà, già considerabili come notizie36. “Quando entrerai nel giornale, ti accorgerai che lì nessuno scrive”: è 56 l’espressione scherzosa di un amico, ricordata dal giornalista Giorgio Calcagno, nella prefazione del volume di Laura Capuzzo dedicato alle agenzie. Il giornalista si accorse presto che quella battuta somigliava molto alla realtà, soprattutto quella dei piccoli giornali. L’utilizzo dei lanci d’agenzia gli apparse subito predominante, l’attività dei cronisti si limitava ad un lavoro manuale di manipolazione, piuttosto che ad una elaborazione originale. Loro, i redattori, prendevano certe misteriose striscioline che un fattorino ogni dieci minuti gli scaricava sul tavolo, sforbiciavano, incollavano, cancellavano qua, aggiungevano là, mettevano certi segni a margine (Calcagno in Capuzzo 1990: 13) I computer hanno sostituito la carta e le forbici, ma per un coincidente caso le interfacce grafiche dei moderni personal computer rendono ancora l’idea del tagliare e incollare. Certo, in molti e altri giornali i giornalisti continuano (anche) a scrivere, ma la fonte primaria, prioritaria e in alcuni casi indispensabile delle redazione, rimane l’agenzia. Le innovazioni tecnologiche hanno accentuato la “dipendenza” dai collegamenti mediali, dalle agenzie (anche) online. Tanto che: Oggi i giornali sono costruiti in maniera tale da avere un bisogno pressoché vitale dell’apporto continuo di notizie. […] Il compito della redazione pare molto più quello di valutare ciò che viene proposto […]. Agli occhi della redazione il mondo degli avvenimenti è costruito dall’insieme delle notizie d’agenzia. (Conti 1993: 32). Le innovazioni tecnologiche, l’avvento dei terminali elettronici nelle redazioni, accentua semplicemente questo dato materiale, evitando il ricorso alle forbici, ampliando il range di agenzie e lanci potenzialmente utilizzabili e i possibili utilizzi del materiale prodotto dalle agenzie. Certamente come affermava Giovanni Cesareo: “Il fatto che le si consideri invece alla stregua delle fonti non è senza significato” (ibid.). Per le redazioni infatti le agenzie rappresentano il principale punto di riferimento per la confezione del prodotto-notizia, l’unico per le redazioni più piccole. Le agenzie insieme all’intero complesso delle fonti ufficiali o regolari delle news organization costituiscono parte integrante del processo informativo. Per questo motivo, spesso, le agenzie sono diventate fonte diretta di informazioni per istituzioni, governi, imprese e associazioni. Negli ultimi anni, soprattutto dall’avvento della rete Internet, le agenzie divengono una potenziale testata informativa anche, e direttamente, per il pubblico. 36 57 L’agenzia continua a rispondere ad una necessità vitale dei quotidiani, quella di assicurarsi una copertura continua e organizzata di materia prima, una struttura che preveda le emergenze. L’organo di stampa […] ha bisogno di una struttura supplementare che gli assicuri la copertura di avvenimenti vicini e lontani, previsti e non prevedibili, che lo tenga al corrente in continuazione di quanto accade. (Capuzzo 1990: 28) L’informatore ha necessità di essere informato. Con attendibilità, autorevolezza e serietà. Ha bisogno di una fonte stabile, essenziale e sobria. Le agenzie già dalla loro nascita rappresentano la congiunzione di necessità produttive e di vantaggi economico-organizzativi. Se, infatti, corrispondenti e inviati possono costituire una delle maggiori uscite di un’azienda informativa, l’agenzia permette di “condividere” tale spesa con altre testate, vicine o lontane. Tale indiscutibile tornaconto porta, fatalmente, la redazione a confidare in modo sempre più massiccio su questa fonte stabile e relativamente poco costosa. Nel 1986 Sergio Lepri – direttore per trent’anni della principale agenzia di notizie nazionale, l’Ansa – individuava un incidenza minima sul bilancio di gestione per le testate del costo per l’abbonamento alle agenzie, la sua utilità economica appare equivalente alla sua utilità giornalistica. In qualche modo l’agenzia costituisce un parte esternalizzata della redazione. Proprio per rispondere alla difficoltà del volontariato, delTerzo Settore e dei temi sociali nell’essere affrontati adeguatamente dalle agenzie e dalle testate informative è nata da tempo un‘agenzia quotidiana espressamente dedicata a questi argomenti. Si chiama il Redattore sociale e nasce su iniziativa della Comunità di Capodarco aggiungendosi a simili agenzie più specializzate (Lalli 2002). In Italia il costo dell’informazione di agenzia (di tutte le agenzie) incide, sui costi globali di gestione dei quotidiani, soltanto dallo 0,60 al 3,00 per cento; questo significa che per i giornali l’informazione di base ha un peso irrilevante nei loro bilanci (Lepri 1986: 53). La situazione non appare modificata. L’agenzia è ancora l’ambiente informativo all’interno del quale i giornali “respirano” la realtà, attingono l’attualità37. Spesso i quotidiani pubblicano direttamente i lanci lasciando a volte la firma del redattore d’agenzia rendendolo così indistinguibile da un qualsiasi altro redattore della testata, trasformando in questo modo 58 l’opera dell’agenzia da materia prima a prodotto finito. Quindi il compito di chi vuole inserirsi in questo circuito è quello di far giungere anche la propria notizia – il proprio comunicato stampa o il proprio avvenimento – nella scrivania del giornalista di una testata o molto più spesso del redattore di un’agenzia di notizie. 4.5 Gli avvenimenti: l’importanza di diventare notizie Nel contempo, può essere utile anche tentare di far uscire il giornalista dalla redazione facendolo, in questo modo, venire a contatto più diretto “con la realtà”. Infatti la presenza dell’apparato tecnico e organizzativo costituito dalle infrastrutture di comunicazione e dalle agenzie di notizie rende il rapporto con “la realtà” del singolo redattore sempre più indiretto e mediato da queste. D’altro canto, paradossalmente la presenza di queste tecnologie e la sempre maggiore programmazione e preparazione dei protagonisti dell’informazione permette un contatto diretto del giornalista con le sue fonti. O meglio, con un apparato sempre più istituito di pubbliche relazioni. Come sintetizza efficacemente Mark Fishman citato da Marino Livolsi: “il bisogno di dati di una burocrazia dell’informazione può essere soddisfatto solo da altre burocrazie” (Livolsi 2000: 432). Uffici stampa, uffici di pubbliche relazioni e portavoce costituiscono un continuo referente per l’attività giornalistica. Come si è visto, tali fonti spesso appaiono preparate e culturalmente coerenti con le logiche della fattura giornalistica. (Spesso) giornalisti che scrivono per giornalisti. In generale quindi le fonti – come le agenzie di notizie – sembrano sempre più consce dell’importanza di questo loro ruolo. Forniscono infatti a ciclo continuo e senza interruzione prodotti (sempre meno) semilavorati, e (sempre più) pronti alla pubblicazione. In questo modo la presenza di informazioni appare costante e l’assenza di notizie per il lavoro quotidiano impensabile. Da anni nell’informazione non domina più un’economia di scarsità. Le fonti organizzate forniscono, infatti, in quantità sufficiente e standar37 Naturalmente solo parte di questa abbondante materia prima viene trasformata in energie utili, diventa aria effettivamente consumata. I fatti seguiti giornalmente da una agenzia di medie o grandi dimensioni variano, secondo l’agenzia da 200 a 500; ma i fatti seguiti dai giornali di larga informazione non superano i 100-110. (Lepri 1986: 53). Il respiro dell’informazione trasforma mediamente un lancio su sette in prodotto informativo, le scelte però sono simili e la presenza delle agenzie massiccia. Lo stesso autore infatti calcola che la metà circa delle notizia presente nei giornali proviene dalle agenzie. 59 dizzata adeguati fatti-notizia che rispondono certo alle proprie esigenze comunicative, ma anche alle necessità industriali delle redazioni. Questo incontro appare assumere, però, da tempo i tratti dell’alluvione informativa (Wurman 1989): È così che le redazioni, oltre che dai dispacci d’agenzia, sono sommerse dai comunicati stampa delle imprese, delle personalità politiche e delle associazioni. A New York già negli anni Venti un giornale riceveva quotidianamente 150.000 parole di materiale di pubbliche relazioni. I 5.000 agenti di relazioni pubbliche superavano in quella città il numero di giornalisti. (Livolsi 2000: 431) Infatti, per cominciare, occorre avere ben chiara la differenza tra un avvenimento e una notizia: chiarire che l’informazione non tratta semplicemente fatti o avvenimenti. Anzi l’avvenimento pubblicato, la notizia, appare non quello più importante, rilevante, originale o semplicemente nuovo, quanto quello più adatto ad inserirsi in questo circuito. Piuttosto, la notizia migliore è quella che si adatta meglio alle modalità, ai linguaggi, ai temi e ai tempi con cui la macchina informativa la tratterà. La vera materia prima trattata dall’informazione non è più il fatto, quanto resoconti di fatti, la notizia che circola nei suoi circuiti. I fatti, una volta compiuto il primissimo lavoro di trasformazione in testo cioè nel momento in cui l’avvenimento viene trasformato in notizia, possono viaggiare da una redazione all’altra. Questa distinzione tra “il fatto” come avvenimento e “la notizia” come messaggio appare fondamentale; seguendo il ragionamento di Michele Sorice: La notizia […] è un rapporto su un avvenimento. Questo significa, fra le altre cose, che essa non è l’esperienza dell’avvenimento e, quindi, non può che fondarsi sull’informazione di un evento e non sull’evento in sé. Il corollario logico di quanto stiamo affermando è che un evento diventa notizia solo se dà origine a una notizia e produce informazione. (Sorice 1995: 54) Una volta trasformato in testo-notizia, il resoconto-del-fatto inizia un viaggio che non conduce direttamente e unicamente sulle pagine del giornale o su un servizio televisivo. La notizia entra in un circuito mediale composto da innumerevoli nodi e canali. I nodi sono composti dalle varie agenzie di raccolta ed elaborazione delle notizie, dalla miriade di testate e agenzie di servizi piccole o grandi, e da un buon numero di cronisti, colla- 60 boratori e corrispondenti ancora in giro a “caccia di notizie”. La presenza di fonti e agenzie di pubbliche relazioni e la contemporanea proliferazione di microtestate e di canali di diffusione telematici di resoconti, immagini e fotografie amplifica e rende più ampio il panorama di possibilità e canali offerto da questo allargarsi indefinito dell’infosfera. 4.6 Le notizie: la materia prima dell’informazione La costruzione del campo giornalistico è proprio costituita da connotati temporaPer approfondire: Sono li, tematici, professionali e linguistici. La molto numerosi i testi dediregolarità delle pubblicazioni trasforma cati alla storia del giornalipresto in routine la comunicazione di avvesmo. Per il panorama statunimenti e commenti, il resoconto di accadinitenze un ricognizione utile menti eccezionali e le polemiche politiche. è presente già in Schudson Un’uniformità che necessita di regolarità (1978) e in Hallin e Mancini nella ricerca della materia prima e meto(2004). do nella produzione, l’informazione da Per una ricognizione del eccezione diventa norma. Come gli eventi giornalismo italiano sono diventano processi. È quindi necessaria irrinunciabili i testi di Paolo un’organizzazione. La pratica giornalistica Murialdi e le raccolte di si deve costruire come professione separata, Castronovo e Tranfaglia. specializzata e uniforme. Come uniformi e stabili devono diventare l’oggetto della ricerca, il segno da comunicare. La realtà instabile diventa la notizia. In qualche modo quindi la necessità degli attori dell’arena pubblica di influenzare e fornire notizie ai giornalisti corrisponde con la necessità “dell’industria dell’informazione” di disporre quotidianamente di notizie da selezionare e trattare. La definizione di fatto o meglio di notizia, non è stabilita, quindi, da chi lo realizza o da chi ne è protagonista, ma da chi deve diffonderlo. Chiunque debba o voglia stabilire una serie di relazioni con i media deve quindi essere cosciente di questa differenza di prospettiva. Fondamentale, non solo perché decide del linguaggio o del contenuto corretto di una notizia, ma più radicalmente perché decide su ciò che “fa notizia”: stabilisce la differenza tra ciò che è notizia e ciò che non lo è. In qualche modo per inserirsi nelle regole di notiziabilità delle testate occorre insomma fornire fatti e testi che rappresentino una “notizia” 61 non per chi le emette, ma per chi le riceve: l’apparato giornalistico, il giornalista. 4.7 Cosa “fa notizia”: chiarire la differenza di prospettiva Esiste infatti una profonda differenza tra le intenzioni e le “regole” di chi “produce” Gatekeeping: Letteralmente coscientemente o meno, gli avvenimenti gatekeeper significa in inglese: e chi invece – per necessità professionali “il guardiano del cancello”. – deve trasformarle per la pubblicazione. Con questa metafora i primi La questione fondamentale nel rapporto studi sul giornalismo hanno con i news media passa dalla qualità e descritto il compito del redatquantità delle notizie, al loro essere pubtore che doveva esaminare blicate. Soprattutto per le notizie provele notizie che giungevano in nienti da fonti minori o non ufficiali come redazione, selezionando quelil volontariato la questione fondamentale le da gettar via e indirizzando è quella di essere scelte, di passare il vaglio le altre. dell’informazione. Quindi diventa fondamentale conoscere le “regole” di selezione delle notizie. Pare non essere possibile affrontare il tema della selezione delle notizie senza fare riferimento né alle ricerche sul gatekeeping né poi al concetto di “notiziabilità” o alla classificazione dei valori/notizia. Infatti numerose e ormai datate ricerche sui criteri di selezione delle notizie hanno orientano per molto tempo le ricerche successive, tuttavia non sono riuscite ancora a comporre un quadro omogeneo. Infatti: Le classificazioni possibili […] sono molte e, tuttavia, mai standardizzate né teoricamente definite una volta per tutte; il giornalista, cioè, segue criteri di rilevanza talvolta in maniera del tutto inconsapevole, involontaria o, semplicemente, applicando automatismi professionali. (Sorice 1995: 74) Il concetto teorico più fortunato, perché probabilmente più utile a ricostruire questo articolato, quanto imperscrutabile, campo è stato quello di notiziabilità (newsworthiness), il modo in cui quelle prime teorizzazioni definiscono un insieme dei “criteri di rilevanza” di ogni avvenimento. In Italia è stato il lavoro Mauro Wolf ad aver meglio ripreso, organizzato e sintetizzato i risultati delle ricerche prodotte in quest’ambito. Potremmo 62 infatti riprendere proprio la definizione messa a punto nel suo Teorie delle comunicazioni di massa, una preziosa e attenta opera di sistematizzazione e traduzione delle opere anglosassoni che ha costituito per anni un punto di riferimento sulla “sociologia delle emittenti”. La notiziabilità è costituita dal complesso di requisiti che si richiedono agli eventi […] per acquistare l’esistenza pubblica di notizie. […] la notiziabilità corrisponde all’insieme di criteri, operazioni, strumenti con cui gli apparati di informazione affrontano il compito di scegliere quotidianamente, da un numero imprevedibile e indefinito di accadimenti, una quantità finita e tendenzialmente stabile di notizie. (Wolf 1985: 190-191) È proprio l’insistenza sui caratteri di routinizzazione quotidiana di simili processi e sulle esigenze di standardizzazione delle scelte e del prodotto finito a costituire la necessità di un criterio. La notiziabilità racchiude una serie di norme condivise in modo diffuso che mette insieme quindi il “punto di vista della struttura del lavoro negli apparati informativi” con il “punto di vista della professionalità dei giornalisti” (ibid.). Se infatti le necessità di far fronte agli imprevisti rende necessario stabilire dei criteri omogenei e stabili di selezione, la prospettiva giornalistica vede e seleziona avvenimenti importanti che, per usare l’ormai nota espressione gergale, “fanno notizia”. Tuttora questa frase convenzionale esemplifica l’importanza del problema, anche deontologico, a cui risponde, ma anche del suo essere intrinsecamente legata a procedure tecniche. Essa rimanda contemporaneamente alla tendenziale e costante rottura, eccezione, delle notizie ma anche del suo legame alla macchina delle notizie. Rappresenta la congiunzione tra esigenze della routine e ai “canoni della cultura professionale”. Naturale corollario della notiziabilità è la scomposizione, ricostruita indirettamente, nei suoi elementi costituenti. La classificazione delle varie qualità e varietà che rendono un singolo fatto-notizia meritevole di essere selezionato dal fluire proveniente da fonti e agenzie ed essere elaborato e reintrodotto nel circuito informativo. La definizione di questi valori delle notizie, i news value, sono un altro e fortunato concetto teorico emanato dalle ricerche sul newsmaking. Tali criteri, usati per guidare le scelte redazionali, sebbene rappresentino “criteri stabili”, lasciano però intatta “la capacità del sistema di riposizionarsi e comprendere ciò che è fuori di tali criteri ma che ha la possibilità di essere notiziabile” (Sorice 1995: 65). Essi possono essere definiti come: 63 Delle regole pratiche comprendenti un corpus di conoscenze professionali che implicitamente, e spesso esplicitamente, spiegano e guidano le procedure lavorative redazionali […] essi costituiscono dei chiari e disponibili riferimenti a conoscenze condivise sulla natura e gli scopi delle notizie. […] I valori/notizia sono qualità degli eventi o della loro costituzione giornalistica, la cui relativa assenza o presenza li raccomanda per l’inclusione nel prodotto informativo. (Golding, Elliott 1979: 114)38 4.8 La selezione delle notizie: le regole di “notiziabilità” Spesso si afferma l’incapacità da parte degli stessi giorPer approfondire: nalisti di articolare o espliOltre alle ricerche qui citate, per comprendere citare in maniera compiuta meglio le regole, ma soprattutto la “mentalità queste “qualità” necessarie giornalistica”, è sufficiente consultare, sempre per un fatto per assurgere al accompagnati da una buona dose di spirito crirango di notizia. In realtà – a tico, i manuali redatti dagli stessi giornalisti. Ad parere di Golding ed Elliott esempio, quelli realizzati da Franco Abruzzo, o, ad esempio, del lavoro Alberto Papuzzi e Furio Colombo. di Gaye Tuchman – questi emergono, anche in modo piuttosto esplicito, nelle “interazioni quotidiane”. Durante la gestione di situazioni d’emergenza o nelle conversazioni tra pari, possono evidenziarsi i criteri per cui una notizia può assumere un particolare valore, proprio in virtù di circostanze eccezionali. In verità, il fatto che siano normalmente nascoste o non espresse, è iscritto nella fluidità del loro utilizzo. Infatti, come ogni regola di queste “burocrazie dell’imprevisto”, anche i valori-notizia appaiono come norme minime. Devono mantenere cioè una costante adattabilità alle più diverse situazioni in cui una notizia e gli avvenimenti possano giungere in redazione. I criteri di notiziabilità, dunque, non vanno considerati come gabbie rigide teoricamente predeterminate, ma, semmai, come linee-guida pragmatiche capaci di alti gradi di flessibilità e comparazione. (Sorice 1995: 67) Mutabili per medium, testata, periodo, genere, argomento e orari, i valori 38 Si è utilizzata la traduzione cit. in Wolf 1993: 197. 64 notizia sono, in fondo, una maledizione per la sociologia. Troppo flessibili per essere univocamente classificati, troppo importanti per essere trascurati. Diverse sono le definizioni e le tipologie. La ricerche sul newsmaking pare abbiano comunque fornito una classificazione utile e condivisa a sufficienza. Ad esempio, McQuail sintetizza una tipizzazione particolarmente essenziale non riproducendo la lunga serie di possibili variabili costruite da altri autori. I criteri si riducono infatti a tre principali dimensioni: a) Gente, chi è protagonista o parla di una vicenda; b) Luogo, dove avviene e quanto sono vicini alle fonti; c) Tempo, la tempestività degli eventi, la loro imprevedibilità, ma anche le scadenze imposte dall’organizzazione per la raccolta e la “messa in onda”. Articolando questi tre criteri è possibile immaginare quali siano, da una parte, i deficit di notiziabilità del volontariato, dall’altra, le strade per compensare queste deficienze: perché il volontariato non appare nei media e come può farlo (vedi 0.4.11 Fare notizia: come e quando costruire avvenimenti). Queste tipologie mettono perfettamente in evidenza come i valori notizia sono condizionati dall’importanza “culturale” del tema o dai protagonisti del fatto, dalla prospettiva adottata dal reporter, ma anche dalle esigenze produttive degli apparati, dalla loro facilità e rispondenza ai canoni fissati dal medium. Simile è infatti la definizione di rilevanza fornita da un noto giornalista. Notizia è tale non per quello che è detto, ma per il peso di chi lo dice. […] Notizia è il fatto non per quello che è, ma per l’ente a cui capita o per il luogo dove avviene. Notizia è il fatto positivo per il potere cui si è vicini o per la proprietà del giornale. (Lepri 1991: 30) In tal modo la selezione è operata secondo i criteri teorici di importanza forniti da tale “senso comune giornalistico” (Hall) ma anche da, questi davvero, inesprimibili bisogni personali o compromessi necessari alla vita professionale. Infatti, come prosegue Sergio Lepri, la scelta avviene anche rispettando questa individuale e necessaria scala di priorità: la notizia è per lo stesso giornalista in rapporto al maggiore o minore numero di elementi da lui trovati e raccolti; al maggiore o minore grado di comprensione del fatto, per difetto di cultura o di informazione; al suo rapporto personale con la fonte o con il soggetto o oggetto coinvolto, secondo amicizia, convenienza, opportunità; secondo l’interesse personale o di gruppo o di categoria. (Lepri 1991: 30) 65 È anche in questi termini che si determina e spiega questa fondamentale analisi di Giovanni Cesareo: “la produzione del materiale informativo non è soltanto culturalmente determinata ma anche strutturalmente determinata” (1981: 16). Ovvero, da precisi e materiali condizionamenti costruiti intorno alla logica di funzionamento degli apparati. Tale logica si trova di fronte alla duplice esigenza di cogliere “il nuovo” e quindi potenzialmente l’inaspettato, e contemporaneamente di realizzare un circuito produttivo industriale e quindi tendenzialmente indifferente alle variazioni. La necessità di produrre con regolarità news e di produrle rispondendo a determinati criteri di piacevolezza e forma attingendoli da “fornitori” regolari, costringe il giornalista a costruirsi quell’insieme di regole e tipologie appunto denominate news value. Quanto più queste regole si dimostrano rigide tanto più realizzano un prodotto gradevole e rispondente alle attese, ma tanto più si restringe la possibilità di cogliere i cambiamenti sociali. Riprendendo, di nuovo, le ancora efficaci parole di Cesareo: “Fa notizia”, nell’attuale modo di produzione, ciò che è “straordinario” ma nel contempo prevedibile e classificabile […]; “fa notizia” ciò che proviene da fonti conosciute e “fidate” e che, in un certo senso, è già conosciuto […], perché si riferisce all’ordine del discorso che l’apparato è in grado di cogliere, codificare e comunicare. “Fa notizia” insomma ciò che conferma, insieme, la norma sociale e la norma produttiva. (Cesareo 1981: 17). In qualche modo, quindi, inserirsi nelle regole di notiziabilità delle testate significa anche negare la spinta propulsiva che caratterizza il volontariato. Significa cioè ricondurre l’insolito caratterizzato dai temi trattati alla griglia di stereotipi e di senso comune che caratterizza lo sguardo dell’informazione verso “la società”. Occorre, in una certa misura, abbandonare la propria originalità e differenza, il patrimonio di proposte e innovazioni sociali per confrontarsi con un territorio nello stesso tempo alieno e familiare. Significa uscire dall’oblio del cambiamento sociale, della solidarietà e dell’emarginazione ed entrare nel circuito delle fonti. 4.9 Farsi fonti: entrare nel circuito degli avvenimenti Quindi, se la prima esigenza che abbiamo affrontato è stata quella di conoscere meglio il mondo giornalistico, comprendendone regole ed abi- 66 tudini, mentre la seconda quella di comprendere “il concetto di notizia”, indagandone definizioni e necessità per poter produrre avvenimenti che possano essere scelti e riportati, la terza esigenza è quella di attrezzarsi per produrre con continuità e sapienza avvenimenti notiziabili, diventando così un punto di riferimento per i mass media perché “il fatto che un giornale locale occasionalmente dia spazio a una notizia proveniente da un’organizzazione, non significa che quella organizzazione sia diventata “fonte” per il sistema dell’informazione, né che abbia un peso in esso” (Rosito, Springhetti 2001). Infatti, come bene sintetizzava Paola Springhetti in un convegno dedicato proprio al rapporto tra informazione e volontariato: Io credo che il grande passo in avanti del volontariato sarebbe, una volta preso atto che ha il dovere di comunicare e che deve mantenersi libero e trasparente nel farlo, di imparare a pensarsi come fonte. Il problema non è far parlare della singola associazione, progetto, iniziativa: una prospettiva veramente miope. Il punto è che ogni volontario dovrebbe sentirsi, pensarsi, come una persona che possiede delle informazioni, un’esperienza, una lettura dei problemi. (Springhetti 1999: 52) Il salto di qualità, in questo caso, è di passare da una concezione utilitaristica e pulviscolare del costruire una singola notizia, del “propagandare” la singola iniziativa o campagna, alla costruzione di un rapporto stabile con l’informazione. Significa appunto “sentirsi” e “pensarsi” come fonti di informazione: portatori di fatti, conoscenze e prospettive non solo importanti e originali, ma che possono fornire “chiavi di lettura” utili per i giornalisti e dati validi per la comprensione di avvenimenti e tendenze. Per far questo non solo occorre modificare il proprio atteggiamento nei confronti del ruolo e dell’importanza della propria attività sociale, ma anche – e forse soprattutto – nei confronti delle attività di comunicazione. Appare in via di superamento l’atteggiamento pregiudiziale denunciato dal caporedattore di Repubblica-Bologna Aldo Balzanelli, nel corso del convegno già citato: Ho contatti con dei volontari e noto in loro un atteggiamento di “quasi pudore”, come se andare sui giornali fosse una cosa disdicevole. Non ci si fida, c’è sempre paura della strumentalizzazione, dell’uso del caso sociale in modo becero. Ma c’è anche una sorta di pudore a comparire, come se il lavoro del volontario dovesse essere oscuro, non clamoroso, altrimenti si sporca. (Balzanelli 1999: 27) 67 Il volontariato può superare questa difficoltà assumendo un atteggiamento più pragmatico di “cooperazione limitata”. Appare permanere, da una parte, l’incapacità o la difficoltà di comprendere le esigenze, e gli errori, del mondo dei media, dall’altra, la fatica di attrezzarsi per fornire una risposta adeguata. In sintesi, si deve costruire una relazione di fiducia stabile con redattori e giornalisti, diventare un punto di riferimento per loro garantendo una certa disponibilità nel trattare fatti e notizie emersi dalla cronaca o dal dibattito politico, fornire dati e possibilità di approfondimento, persino attraverso casi esemplari e note di colore, così da poter entrare stabilmente nel panorama delle fonti della testata e quindi – non da ultimo – nell’agenda dei suoi giornalisti. Per entrare nel circuito degli avvenimenti occorre, non solo, essere protagonisti o origine di notizie, ma essere individuati come la loro fonte, per diventarne possibilmente i fornitori abituali. 4.10 Fonti non profit: il dramma di non essere ufficiali Dovrebbe ormai esser del tutto chiaro che il giornalismo, come il sistema dei media, è parte integrante del mondo sociale, quindi non solo integrato nei suoi valori e nel suo senso comune, ma anche nelle sue gerarchie di potere delle quali è, nello stesso tempo, parte e soggetto. Questa constatazione si concretizza, ad esempio, nella scelta delle fonti che le redazioni utilizzano per costruire i giornali. All’inizio degli anni Ottanta, nella sua importante e finora spesso riportata analisi dei processi informativi, Giovanni Cesareo definiva le fonti primarie – cioè quelle da cui “origina” l’informazione – secondo gli elementi in base ai quali queste si costituivano e trovavano legittimità. La collocazione “nella struttura del potere” – sicuramente in maniera condizionata dai fermenti di quegli anni – appare parte costitutiva della scelta di fonti ufficiali o istituzionali. Le grandi istituzioni del potere politico, economico, scientifico, militare derivano la loro autorità, per il sistema dell’informazione, sia dalla importanza che oggettivamente hanno nella scena sociale, sia dall’influenza diretta che possono esercitare sugli apparati delle comunicazioni di massa (Cesareo 1981: 83) Alla non del tutto esplicitabile “collusione” con tali apparati, si sono associati spesso dei veri e propri vincoli di proprietà. In particolare ci 68 si può riferire all’assenza di “editori puri”, spesso additata come causa dei malesseri del giornalismo italiano, o più spesso alla mancata costituzione di un mercato e di un industria culturale nazionale. Situazione in cui il ruolo e l’influenza nelle scelte del pubblico potrebbe competere con i condizionamenti dei cosiddetti “poteri forti”. Il secondo “elemento costituente” immaginato da Cesareo fa riferimento alla capacità di questi centri di potere di fornire informazioni ben confezionate e in maniera massiccia, per di più confacenti agli standard organizzativi e formali delle redazioni. In questo modo si assocerebbe al potere di influenza di queste grandi istituzioni una certa loro “omogeneità culturale con l’apparato di confezione” (Cesareo 1981: 85). Tali fonti costituiscono, cioè, prodotti rispondenti alla sua logica produttiva in termini di sintesi, possibilità di drammatizzazione, omogeneità nello stile e nei generi del prodotto giornalistico. Giovanni Cesareo classificava le fonti in due ampie categorie, quelle “attive” e quelle “passive”. Le prime “forniscono di loro iniziativa materiale informativo”, mentre le seconde “sono quelle cui attingono le redazioni di propria iniziativa e per esigenze che scaturiscono di volta in volta dal processo produttivo” (Cesareo 1981: 87). Tra le prime si collocano le fonti definite “centrali” – poste agli alti livelli istituzionali – fornitrici di informazioni “di prima mano” e in grado di elaborare dati e conoscenze strategiche nell’interpretazione di tendenze e processi sociali e politici. Le restanti, spesso di tipo “territoriale”, rimangono fuori dal “giro” consueto delle fonti fino a quando non si produce una situazione “eccezionale”. Tali fonti “di fase” cioè si attivano, o semplicemente divengono fonti, nell’istante sancito da una campagna o da un evento. Appare fin troppo chiaro che il mondo del volontariato, come l’informazione che produce, sono relegati a questo ruolo ancillare e episodico. Assumono il rango di fonti solo in situazioni straordinarie o grazie alla competenza e all’efficacia del lavoro di relazioni pubbliche. Infatti negli ultimi decenni il ruolo svolto dalle fonti non istituzionali è andato crescendo anche grazie alla capacità delle agenzie di comunicazione di costruire una relazione stabile e duratura con i mezzi di informazione, utilizzando le stesse strategie delle fonti istituzionali. In questo modo la platea degli attori dell’arena pubblica si è allargata, da una parte favorendo l’ingresso del volontariato, dall’altra allargando questa platea in modo tale da rendere difficile emergere. Tre sono le qualità fondamentali delle fonti istituzionali – acquisibili dalle organizzazioni di volontariato – tali che i redattori delle testate informative le preferiscano: 69 a) abbondanza; b) affidabilità; c) continuità Abbondanza. La prima caratteristica risponde alla necessità delle redazioni di disporre di informazioni copiose e di approfondimenti su richiesta. Questa necessità industriale, se da una parte è all’origine di alcune delle distorsioni sistematiche operate dai news media, come abbiamo visto, può anche trasformarsi in una delle chance per le fonti minori per inserirsi nel circuito degli eventi. Occorre essere sempre pronti al rapporto con i media preparando materiale per la stampa sul tema affrontato e sulla propria organizzazione, oltre a tenere sempre organizzato un archivio di informazioni e dati da fornire o rendere disponibili ai giornalisti in caso di necessità. Affidabilità. La seconda risponde alla necessità dei redattori di lavorare velocemente. Come abbiamo visto le fonti preferite dai giornalisti sono quelle per le quali non sono necessari numerosi controlli, non (solo) perché queste renderebbero più faticosa l’opera di raccolta di dettagli o la stesura del “pezzo”, quanto perché – in regime di abbondanza di fonti e scarsità di tempo – questo allungamento è strutturalmente impossibile. Un redattore, se costretto ad una lunga sequela di controlli e investigazioni, non si vedrà obbligato a farli, piuttosto più frequentemente cambierà notizia, o peggio fonte. È necessario quindi entrare nel novero delle fonti di cui si può aver fiducia. È indispensabile costituire una fonte affidabile per la testata o il giornalista con cui si è in relazione, per farlo: “non dite bugie”, evitate se possibile inesattezze e in ogni caso non cercate di ingannare il giornalista esagerando un fatto o riportano dati in modo poco fedele. Continuità. La terza caratteristica necessaria di una fonte di informazioni completa le due precedenti. I ritmi e i tempi di lavoro delle redazioni non rispondono alle esigenze delle fonti quanto agli orari, ben più stringenti, della “chiusura” per la stampa o per la “messa in onda” per tv e radio. Il redattore potrebbe dover disporre, in poco tempo, di maggiori informazioni su una notizia che avete diramato o meglio ancora potrebbe contattarvi per completare o commentare una notizia su cui sta lavorando. Per costituirsi come fonte occorre quindi garantire una certa continuità, non solo nella produzione di eventi e nella loro comunicazione alle redazioni, quanto nella disponibilità di informazioni o aggiornamenti, 70 di un commento o meglio di un’intervista, in qualsiasi momento della giornata lavorativa in relazione alle notizie “del giorno”. Per questo motivo, occorre costituire una struttura – l’ufficio stampa o comunicazione – che sia sempre disponibile al rapporto con la stampa. Se questo non fosse possibile, una struttura dell’organizzazione o una persona – ad esempio un responsabile dei rapporti con la stampa – non solo dovrebbe essere sempre contattabile39, ma anche disponibile e pronta a fornire – nei limiti delle possibilità e della cortesia – le informazioni “di taglio giornalistico” richieste. 4.11 Fare notizia: come e quando costruire avvenimenti Per costruire un solido rapporto con i media occorre, quindi, a) disporre di una struttura o di “personale” dedicato a questo compito, ma anche b) conoscere i criteri di notiziabilità e i valori notizia utilizzati dai giornalisti per selezionare le informazioni da pubblicare. La conoscenza dei valorinotizia non è però sufficiente. Ricordiamolo, si tratta pur sempre di regole astratte, ricostruite dagli studiosi e raramente applicate in modo ferreo o strutturato. Il processo di selezione di ogni singola notizia, infatti, è condizionato da una serie di momenti e contingenze molto più ampia. A meno che si tratti di una notizia sensazionale o di un autentico evento mediale, il vaglio delle news quotidiane, è influenzato da ben più ampie condizioni e variabili. Possiamo riassumere in tre fasi distinte il processo di selezione, ognuna di esse è caratterizzata da diversi criteri di scelta: I. La notizia deve possedere i requisiti minimi di notiziabilità. Ovvero, come abbiamo visto, possedere qualcuno dei valori notizia necessario per considerare l’avvenimento o il comunicato “una notizia”. Cioè le condizioni di drammaticità o negatività dell’accaduto, interesse umano, prossimità geografica, attualità e novità, popolarità o ampiezza delle persone coinvolte (Wolf 1985), sono necessarie a trasformare l’avvenimento in notizia, ma non sufficienti a garantire la sua pubblicazione. II. La notizia deve possedere i requisiti “tecnici” per la pubblicazione. Ovvero, un avvenimento notiziabile che non può essere pubblicato non è una notizia. Dopo aver ricevuto l’informazione, la decisione rispetto alla sua trattazione e soprattutto rispetto allo spazio che gli verrà dedicato, riguarda alcune esigenze tecnologiche e linguistiche relative al mezzo 39 Va da sé che questa disponibilità dovrebbe estendersi in linea di principio anche nei momenti in cui si è occupati in altra attività o semplicemente non si è in ufficio. D’altro canto è ovvio che di questa disponibilità non si deve permettere l’abuso. 71 utilizzato (carta stampata, radio, tv, web), alla tipologia della testata (quotidiano o periodico, di informazione o approfondimento,…) e alla struttura della redazione (dimensione, ramificazione sul territorio, disponibilità di tecnologie di ripresa, ecc.). Per esempio, una notizia per essere tale deve: essere breve, avere un inizio ed una fine, essere possibilmente corredata da immagini, essere comprensibile o comunque sintetizzabile.40 III. La notizia deve trovare spazio tra le notizie del giorno. Ovvero, una volta soddisfatti questi criteri “tecnici”, il fatto, e la sua trattazione, deve ottenere un posto nella “scaletta” dell’edizione in lavorazione. La scelta però non riguarda in astratto la disponibilità di pagine o minuti. Come abbiamo visto, le redazioni lavorano sempre in una condizione di abbondanza, dispongono cioè di un ampio spettro di possibilità. Il problema è quindi: perché scegliere proprio quella notizia? La selezione avviene, per ogni edizione, rispetto ad alcune precise contingenze, relative: a) agli argomenti o temi del giorno (ovvero, la notizia è parte del tema principale – da prima pagina – trattato dalla testata o può comunque essere attributo ad uno degli argomenti trattati); b) alla suddivisione tra i temi dello spazio disponibile (ovvero, la notizia può contribuire a completare o articolare un argomento affrontato proponendo un punto di vista, un dettaglio tecnico o un soggetto secondario e accessorio alla notizia principale) c) la suddivisione tra i settori dello spazio disponibile (ovvero, la notizia può contribuire a completare lo spazio attribuito ad un settore del giornale – politica, economia, salute, sport, e così via – anche perché questo rimane libero una volta elaborate le altre notizie o perché una di esse non è giunta a buon fine rispetto alle previsioni). A questo punto siamo in grado di concludere le sommarie “regole” per la costruzione di eventi notiziabili sintetizzate nei paragrafi precedenti, aggiungendo questi ultimi elementi. Le notizie proposte non dovranno solo rientrare negli stretti limiti tecnici e di notiziabilità delle redazioni, ma dovranno tener conto del panorama di argomenti e temi presenti nella Occorre precisare che le prime due fasi non avvengono o si completano in un preciso momento: spesso si tratta di operazioni automatiche svolte dai redattori o soglie tecniche dello stesso sistema di comunicazione della redazione. Una notizia non ritenuta tale viene per lo più scartata ab origine o non considerata (I fase), mentre una notizia non confezionata in modo corretto (II fase) può essere accettata in un primo momento ed esclusa nel corso della definizione dei contenuti dell’edizione in preparazione. Come si vedrà il processo fondamentale – quanto caratterizzato da una dose di fortuna e dall’estrema variabilità – è il terzo. 40 72 discussione pubblica e mediatica. In estrema sintesi, le possibilità di promozione delle notizie possono essere ridotte a due strategie: possiamo a) cercare di proporre una notizia o un tema che non si sta affrontando o che non è oggetto di dibattito, oppure, b) inserirci nella trattazione di un evento o di un argomento oggetto di trattazione in quel giorno o in quel periodo. Proporre l’ordine del giorno (creare una notizia) Seguire l’ordine del giorno (seguire una notizia) Su un tema originale Su un tema preesistente Su un tema Su un evento Evento Evento Evento Evento Dati o punti di vista Dati o commenti Dati o punti di vista Dati o commenti Nel primo caso, si tratta del compito più frequente, ma anche più arduo, di un ufficio stampa. Il tipico esempio è quello di un evento o manifestazione organizzato per proporre una discussione o un fatto non trattato di frequente dai mass media. La notizia, e la struttura promotrice, dovrà essere abbastanza forte e convincente da superare tutti i livelli di selezione: dovrà essere notiziabile (I fase), ben confezionato (II fase), ma soprattutto conquistare spazio tra i settori e i temi del giorno (III fase). In questi termini, è importante precisaPer approfondire: re la differenza tra settori e temi. Ogni Per il concetto di frame il riferimento d’obbligo è al lavoro notizia – come vedremo – viene indirizzata, a seconda dell’argomento trattato, di Erving Goffman. Rispetto verso le sezioni in cui può essere sudal concetto di tematizzazione divisa la redazione: può trattarsi di una possiamo rimandare ai testi suddivisione geografica – fatto locale o di Carlo Marletti e Giorgio nazionale – o una suddivisione tematica Grossi. Infine, per l’importantra gli argomenti tipici della trattazione za che ha l’adozione dei temi giornalistica – interni o esteri, politica o e l’agenda dei media rimaneconomia, cronaca o spettacolo. Una stesdiamo all’ormai classica racsa notizia può però, a seconda del modo colta di saggi curata da Sara in cui è trattata, essere indirizzata verso Bentivegna (1994). diverse sezioni. Ad esempio, il rapimento di una volontaria in un paese straniero può essere “tematizzata” come: un fatto di politica estera, diventare parte del dibattito politico sull’opportunità di un conflitto bellico, una notizia di cronaca concentrata sul racconto dell’”angoscia dei suoi genitori” o 73 come l’occasione per parlare della cooperazione internazionale portata avanti dai volontari delle Ong. Queste possibilità rimandano al modo in cui la notizia viene “inquadrata”, il tema utilizzato dalla redazione per scegliere la sezione e il redattore che se ne occuperà, ma anche il modo in cui verrà confezionato il pezzo e verranno scelte le immagini e i titoli. La tematizzazione ha quindi una doppia importanza: contribuisce alla selezione della notizia, inserendola nella griglia dell’organizzazione tematica delle redazioni tra le notizie e argomenti “del giorno”, ma contribuisce in modo decisivo alla loro interpretazione. Infatti, i temi sono essenzialmente delle “cornici”, dei frames di cui ci serviamo per rubricare soggetti e oggetti del vissuto in modo da contestualizzarli e fornire ad essi un senso che non avrebbero, se presi nella loro immediatezza e singolarità. (Marletti 1995: 58) L’interpretazione dei fatti è decisiva per orientare l’interesse della notizia, non ne definisce solo il significato, ma determina chi può essere abilitato a discuterne o fornire ulteriori informazioni: delimita le fonti. Persino un fatto di cronaca può essere oggetto di diverse interpretazioni (leggi tematizzazioni), alcune più semplici o convenzionali, “un crimine feroce” oppure come esempio di una situazione di disagio o di negligenza dei servizi pubblici. La principale difficoltà del volontariato in questo caso è quella di inserirsi in un inquadramento delle notizie che di solito lo penalizza. Maria Teresa Rosito sintetizzava in questo modo questa critica del volontariato al sistema dei media: Ci sono intere aree tematiche che i media non riescono o non vogliono seguire perché le ritengono di scarsa presa sul pubblico, mentre per il volontariato sono importanti e sarebbe doveroso proporle anche al vasto pubblico. È il caso dell’informazione sui Paesi in via di sviluppo, che è intermittente e vaga, legata di solito al verificarsi di qualche tragedia naturale (terremoti, cicloni, inquinamento…) o umana che sia (guerre, colpi di Stato, ondate migratorie…) e sostanzialmente insufficiente. Ma è anche il caso di molte altre problematiche “di casa nostra”, di cui ci si occupa intensamente per un certo periodo - anche in questo caso sull’onda di uno o più fatti di cronaca emotivamente coinvolgenti - per rimuoverle totalmente per lunghi periodi. (Rosito 1998) In sostanza, spesso il volontariato è portatore di “notizie deboli” (Albanesi 1998), approcci tematici e punti di vista eterodossi rispetto al 74 modo in cui fatti simili sono trattati, risulta quindi particolarmente difficile costruire un evento che, non fondandosi su una tematizzazione preesistente, riesca ad imporne una nuova. Risulta spesso più agevole ripiegare sulla diffusione di notizie che si inseriscono in temi e argomenti già trattati in precedenza dai news media con la speranza di modificarne lentamente l’interpretazione. O, ancora più facilmente, può seguire un dibattito già in corso sperando di poter accodare a quel “treno” la propria notizia. Nel secondo caso, infatti, la notizia si inserisce in un tema o, più spesso, nella trattazione di un evento già presente nell’agenda dei media. Si tratta di una sorta di “parassitismo mediatico”: la notizia, infatti, viene selezionata non per la propria importanza, ma semplicemente viene utilizzata dalla redazione a) per aggiungere informazioni o dettagli su un evento pubblicato (è il caso – ad esempio – dei box o dei grafici aggiunti alle pagine interamente dedicate dai quotidiani ad un argomento); Pastone: Nel gergo del giornalismo il pastob) per aggiungere alcuni dati o ne è un pezzo che riassume le diverse posiun punto di vista su un tema (è zioni o gli eventi svoltosi durante la giornata. il caso delle dichiarazioni di Tipicamente nella cronaca politica serve a esponenti di forze politiche o narrare le varie posizioni emerse, i botta e sociali aggiunte, sul modello risposta del dibattito politico, alternando le del pastone, ad un articolo); voci degli esponenti di vari partiti. o ancora c) per riempire lo spazio dedicato ad un evento o tema con una notizia in qualche modo correlata a questo (è il caso delle notizie brevi o di taglio basso presenti nelle pagine dei quotidiani o delle brevi note usate dai conduttori dei tg per collegare due notizie o cambiare argomento). In questo caso la notizia, una volta superati gli ostacoli di notiziabilità (I fase) e confezione (II fase), può, molto più semplicemente, trovare spazio tra le notizie del giorno (III fase). Queste possibilità costituiscono una delle migliori occasioni che si presentano ad una notizia per seguire la “scia di notizie” creata da un avvenimento o da un dibattito in corso. La notizia deve però coincidere con gli argomenti trattati dalla nostra organizzazione, ma soprattutto l’aspetto trattato, il taglio e il tono della discussione non devono essere troppo distanti dalle nostre posizioni. Più spesso, però, l’evento o il tema si avvicina solo in parte alle nostre intenzioni, in questo caso l’attività di relazione con i media, si configura più propriamente come “parassitaria”: il tema in agenda diventa un semplice pretesto per poter ottenere 75 una visibilità di risulta o per potersi affermare come fonte agli occhi del personale giornalistico41. È evidente come il volontariato si trovi molto spesso nella peggiore condizioni di chi comunica con i news media. Spesso è portatore di approcci tematici e punti di vista eterodossi rispetto al modo in cui fatti simili sono trattati, risultando quindi di fatto escluso nella selezione di questi fatti. Molto raramente il volontariato in sé o i temi che affronta sono oggetto di dibattito pubblico o parte dell’agenda politica e quindi trattati dalle testate generaliste. Spesso le notizie o i temi che propone non sono, infatti, inquadrabili in tematizzazioni già presenPer approfondire: ti o semplicemente ai quali Non sono molti i testi dedicati al rapporto tra non corrisponde una seziomedia e volontariato. Da segnalare soprattutto ne della redazione. alcuni convegni come quello su “L’informazione Nei pochi casi in cui un del volontariato” (Tisselli 1999) e ai seminari tema sociale si ritrova nelle annuali “Il Redattore Sociale” organizzati dalla pagine di giornali e teleComunità di Capodarco. giornali viene trattato in un modo distante dalle esigenze e dalle possibilità di approfondimento e discussione di operatori e volontari del settore. Il volontariato deve quindi farlo utilizzando termini e situazioni lontane da ciò che preferirebbe. In questi casi l’unica possibilità può essere quella di adottare questa strategia, abbandonare in parte il proprio linguaggio e allontanarsi dal proprio ambito per intervenire nel “tema del giorno” cercando di orientarne la discussione o comunque di presentarsi come fonte autorevole e competente in vista di future iniziative. 4.12 Le testate: conoscere la “burocrazia dell’imprevisto” È evidente come per costruire un duraturo rapporto con la stampa, le precondizioni fin qui esposte corrispondono alla composizione e ai ritmi della redazione giornalistica. Per questo motivo è indispensabile conoscere in modo più approfondito la composizione e i tempi della macchina informativa. Questa conoscenza, questa iniziale esplorazione, ci consente 41 Non è questa la sede per discutere sull’opportunità – in termini deontologici – di operare questo tipo di scelta, abbiamo però più volte chiarito che scegliere di avere dei rapporti con i media presuppone la possibilità e necessità di confrontarsi con regole e prassi non certo omogenee alla cultura del volontariato che però non possono essere ignorate. 76 di costruire una mappa degli apparati giornalistici utile a costruire una relazione con i media più efficiente e consapevole, ma anche di indagare su alcuni importanti indizi circa le ragioni che portano l’informazione fornita da questi apparati ad essere così poco attenta ai temi sociali propri del volontariato, così poco attenta alla “società reale”. Il primo convincente approfondimento scientifico di questo problema risale al 1973, si deve in particolare al fondamentale lavoro di Gaye Tuchman tradotto per la prima volta in Italia nel 1980 (Baldi)42. La tensione industriale verso la creazione di strutture produttive stabili, dove la ripetitività delle mansioni e la divisione scientifica e gerarchica del lavoro permetta l’ottimizzazione delle operazioni e quindi un valore aggiunto dato dall’integrazione collettiva dei singoli talenti, ha dovuto, in questo caso, adattarsi ad una situazione tendenzialmente dominata dagli imprevisti. Da questo punto di vista le news organization si caratterizzerebbero più come organizzazioni artigianali o più modernamente post-fordiste, in cui all’uso delle tecnologie e delle “quantità” industriali si contemperi una struttura flessibile e reticolare. Infatti la tendenza rilevata dal lavoro della studiosa statunitense mette in evidenza proprio lo sforzo delle testate giornalistiche di compenetrare una struttura produttiva di stampo industriale con procedure e vincoli adattabili alle situazioni. La nota ed efficace formula per riassumere questa strategia logistica è quella della “routinizzazione dell’imprevisto” (routining the unexpected). Il procedere quotidiano della produzione è dominato invece da una rigida suddivisione di responsabilità. La particolare delicatezza, politica e culturaPer approfondire: le, del materiale prodotto infatti accentua Non sono molto numerosi i il carattere gerarchico della sua gestione. testi che riescono a descriveLa struttura aziendale è, secondo vari re adeguatamente il rapporto autori, caratterizzata da un triangolo ai tra gli interessi dell’editore, i cui vertici ci sono: la proprietà, la direzione vertici del giornale e la redae la redazione. zione. Il vertice. Anche se l’analisi dei rapporti Possiamo consigliare i testi più o meno conflittuali tra queste tre realpolemici di Pierpaolo Pansa tà oltrepassa le finalità di questa ricogni(1986), Giorgio Bocca (1989) e zione si può notare come queste relazioni Dario Fertilio (1994). siano fondamentali per l’implementazio- L’articolo è stato poi ristampato nel testo di Andrea Garbarino e a questo si riferiscono le citazioni. 42 77 ne di una precisa linea editoriale, e sovente politica, della testata. Negli ultimi anni, il costituirsi di un mercato autenticamente concorrenziale e di una domanda più attenta e consapevole, ha condotto ad una sempre maggiore conflittualità tra la direzione e la redazione. Entrambe appaiono portatrici di divergenti visioni ed esigenze deontologiche e professionali, ambedue legate più alla qualità e alla fattura del prodotto o alla sua funzione sociale, e spesso in contrasto con la direzione aziendale portatrice dell’interesse della proprietà nella forma dei criteri economici del marketing (Sorrentino 1995: 157). È noto come i soggetti e le realtà sociali da cui emergono queste proprietà conducano spesso la linea editoriale delle testate a privilegiare i temi politici e di economia industriale e finanziaria, una scelta di matrice manageriale, coincidente spesso con gli interessi professionali della dirigenza, può comportare conseguenze sulla definizione della linea adottata, sul taglio dato e sulla stessa selezione delle notizie. Notizie che non solo parlano, ma provengono da quei “millecinquecento lettori” del giornalismo politico rivelati nel 1959 da Enzo Forcella43. Un giornalismo di prima pagina che, di fatto, tende ancora ad offrire uno spazio di discussione limitato a pochi attori e argomenti. D’altro canto un orientamento più spiccato al marketing editoriale porterebbe, e porta già, ad una particolare accentuazione sulla cronaca (nera) e comunque ad una più marcata accentuazione dei temi sociali di certo più vicini alla quotidianità dei lettori (Serventi Longhi 1998). È del tutto evidente che il primo passo per conoscere, soprattutto in ambito locale, le testate informative con cui intrecciare relazioni è quello di a) rilevarne la proprietà riconoscendone interessi e linea politicoeditoriale; b) identificare storia professionale della direzione; c) intuire pubblico e target di riferimento della testata. 4.13 La struttura redazionale: entrare nella macchina informativa A fronte della nutrita lista di imprese e testate giornalistiche, dei mezzi e tecnologie possibili ed esistenti, troviamo una struttura produttiva sostanzialmente simile, almeno stando alla consolidata letteratura sociologica sull’argomento. A fianco della suddivisione descritta precedentemente, con i relativi flussi di comando e le sempre possibili resistenze, il dato 43 Ci si riferisce all’articolo Millecinquecento lettori. Confessioni di un giornalista politico in “Tempo Presente”, n. 6, 1959, pp. 9-19. 78 realmente interessante appare la concretezza del produrre, la quantità e i compiti attribuiti ai singoli lavoratori. Quanto materiale originale viene composto per ogni numero? Quanto proviene “dall’interno” della testata o quanto è “appaltato” e quindi acquistato all’esterno? Appare chiaro come in questa realtà è necessario, o sufficiente, inserire la propria informazione in qualsiasi punto della filiera informativa perché questa potenzialmente si propaghi su tutta la rete. È emblematico come la struttura spesso semplicemente delineata dalla ricerca – o meglio dalle sintesi operate sulle ricerche – e soprattutto dalla immagini fornite dai giornalisti stessi, assomigli a quella intuitiva fornita dal senso comune. Una struttura in cui un mondo indistinto di avvenimenti – la “realtà del mondo” – fornisce una serie di stimoli ed eventi all’intero apparato dell’informazione, eventualmente suddiviso in singole imprese o gruppi editoriali. Questo lo elabora e fornisce i materiali pronti alla messa in onda o la pubblicazione da parte di apposite strutture tecniche. L’unica distinzione interna è data dalla mediazione della direzione, fornita negli ultimi anni di una certa visibilità mediale, e della proprietà, il cui unico dato pubblico indiscusso è l’esistenza (vedi Figura 1). Figura 1 – Struttura intuitiva del sistema d’informazione e delle news organization. 79 Il panorama delle fonti. La semplicità di questa illustrazione, da una parte fornisce un’immagine immediata del possibile rapporto tra realtà e rappresentazione, ma soprattutto disegna un modello euristico di come il senso comune immagini sia modellato il mondo dell’informazione. A sua volta, però, fornisce una descrizione assolutamente irrealistica, non solo rispetto alla complessità dell’apparato informativo, ma anche al rapporto che questa instaura con la “realtà”. Confrontiamo questa rappresentazione con quella delle fonti di informazione ripresa da Laura Capuzzo, e dal testo “antologico” di Gianni Faustini: allo schema delle attività di selezione e trattamento della realtà si aggiunge una ben più complessa articolazione delle fonti, una varietà che lascia però intatta la struttura lineare l’intero processo: la “realtà” sembra arrivare al pubblico per mezzo dell’apparato giornalistico. Figura 2 – Schema fonti primarie delle notizie Fonte. Dispense non pubblicate di A. Cioni in Capuzzo 1990: 76. 80 Sarebbe possibile fornire una rappresentazione molto più complessa, non solo della struttura della testata, ma della direzione e della provenienza dei flussi di informazioni. Se infatti le agenzie e le fonti organizzate forniscono materiale prelavorato, altre strutture – spesso esterne ai confini della testata44, a volte parte dello stesso gruppo editoriale o addirittura esterne ai confini nazionali – possono rendere ancor più multiforme la provenienza e il trattamento delle notizie. Questo tipo di strutturazione dell’organizzazione delle fonti comporta delle precise conseguenze nel modo di lavorare delle redazioni, così come evidenziato nella già citata ricerca diretta da Marino Livolsi nel 1984, conclusione confermata dai risultati sostanzialmente simili delle ricerche nordamericane degli anni precedenti. Tali indagini mettevano in evidenza come, l’organizzazione-giornale, almeno nella parte redazionale […] sia poco strutturata. L’organizzazione-giornale ha solo un nucleo centrale (la direzione) direttamente e chiaramente finalizzato al raggiungimento dei fini generali; per il resto sembra permettere ruoli e mansioni poco strutturati, con prescrizioni apparentemente non definite e controllo gerarchico ridotto al minimo […] la flessibilità necessaria è resa possibile dall’alto livello d’istruzione degli addetti che dal notevole spazio e significato del processo di auto-socializzazione alla professione (in generale) e a gruppo-testata (in particolare). (Livolsi 1984: 273-4) È il caso delle syndacation o delle agenzie di servizi strutture in grado di realizzare articoli o altri prodotti editoriali in abbonamento secondo il modello delle agenzie di notizie, in cui si affida un’intera parte dei compiti redazionali ad una struttura giornalistica completamente autonoma, con una qualità irraggiungibile per i mezzi e le dimensioni a disposizione delle singole testate. La tendenza ad affidare la realizzazione di singoli articoli o interi settori del giornale a questo tipo di strutture appare una delle pratiche contemporaneamente molto diffuse e meno indagate. Questa strutturazione in outsourcing permette infatti ai grandi gruppi editoriali di ridurre i costi fissi e unificare alcune produzioni standardizzate delegandole a terzi, oppure consente alle piccole testate di produrre un giornalismo di buona qualità anche se non hanno a disposizione adeguate risorse. Possiamo definire, con le parole di Carlo Sorrentino, tali agenzie come: 44 redazioni giornalistiche in cui vengono raccolte, selezionate ed elaborate le notizie riguardanti eventi di rilievo nazionale e internazionale. Si distinguono dalla agenzie di informazione perché non si limitano a fornire informazione stringate e in progress su ogni singolo evento, bensì selezionano alcuni eventi sui quali garantiscono un’informazione approfondita, con servizi redatti da uno o più giornalisti, che possono essere pubblicati senza alcuna rielaborazione da chi li riceve, a firma del giornalista dell’agenzia di servizi che l’ha elaborata. (Sorrentino 1995: 98). 81 Se da un punto di vista linguistico il giornale è strutturato “a mosaico” – con la giustapposizione di diverse notizie e argomenti45 – sempre più anche le tecniche di produzione e riproduzione di quel mosaico vi somigliano. L’attività di fronte allo schermo, sulla scrivania diventa attività di cut up: un perenne taglia e incolla tra informazioni, dati, immagini e testi. Il redattore deve compiere costantemente quest’impresa ipertestuale di associare media e fonti diverse. Materiali provenienti da origini, linguaggi e intenzioni, spesso distanti l’una dall’altra. Accomunati soltanto dal medium terminale elettronico con una metodologia del tutto digitale. La tecnica del collage costruisce mosaici. 4.14 Il desk: l’importanza di raggiungere la scrivania Il quotidiano omnibus come la tv generalista, sembrano così, progressivamente, trasformarsi in raccoglitrici di informazioni. Unicamente impegnate nell’assemblaggio di comunicati stampa e lanci di agenzia, dell’immagine del canale satellitare e del pezzo preparato dal service, delle pubblicità (palesi o redazionali) e delle interviste, dei resoconti di collaboratori freelance e di opinionisti a contratto: la testata diviene letteralmente mezzo di informazione, un veicolo. Oppure diventa efficace e esemplificativa la formula del portale, quella forma possibile nel World Wide Web che per alcuni anni è sembrata diventare, prima del collasso della new economy, l’orizzonte futuro dell’informazione e della comunicazione elettronica. Se le nuove tecnologie insieme alla grande rete (anche) d’informazione Internet permettono già da qualche tempo la trasformazione del quotidiano in ipertesto (Sorice 1995:109), le testate quotidiane – superando persino i limiti della settimanalizzazione – offrono quotidianamente il panorama degli accadimenti reali e mediali della giornata. Per far questo compongono e strutturano, dalle più svariate fonti, avvenimenti e commenti, attingendo e riproducendo l’intero contenuto mediale disponibile. In campo televisivo lo stesso scenario è illustrato dallo sviluppo dei canali all news via satellite sull’esempio della famigerata CNN oppure della “nostrana” RaiNews24 (Boda 2000; Mezza, Fleischner, Boda 2000). 45 È Marshall McLuhan a definire “a mosaico” questa caratteristica, particolarmente evidente nei quotidiani di stampo anglosassone. Una struttura che rimanda sia ai criteri di impaginazione che a quelli di realizzazione dei giornali e rappresenta, per lo studioso canadese, “la forma dell’immagine collettiva e impone una partecipazione in profondità, che è della comunità più che dell’individuo e inclusiva più che esclusiva” (McLuhan 1964: 226). 82 La produzione avviene a getto continuo fondandosi sulle risorse messe a disposizione dalla rete in cui l’impegno è tutto orientato a comporre un prodotto editoriale ben fatto e non escludere nessuna voce importante o nessun fatto di rilievo. Come per le redazioni dei quotidiani il redattore si trasforma in un “professionista della realizzazione editoriale” (Conti 1993: 32). L’obiettivo è quello di dar vita, anche graficamente, ad un prodotto finito. La stessa struttura produttiva ne risulta completamente stravolta o meglio viene adeguata la rappresentazione ad una tendenza presente da anni. Un mutamento semplicemente accelerato ed evidenziato dalla disponibilità di tecnologie digitali di riproduzione e dalla necessità 24 ore su 24 di notizie e novità. Il modello organizzativo delle testate portale è costituito intorno alla sola redazione centrale o, più nello specifico, alle scrivanie del caporedattore e dei colleghi del desk: il resto della produzione rimane completamente decentrata. Lo stesso flusso di informazioni non si sposta in maniera unidirezionale dai fatti alle agenzie o dai corrispondenti fino alla redazione, ma – trasformato in testo – rimbalza continuamente tra una redazione e l’altra, tra un’edizione e la successiva. Una rappresentazione estesa di queste ramificazioni sarebbe impossibile, uno schema per tipologie di fonti e canali può cercare però di illustrarne la complessità e le ambiguità (vedi Figura 3). Figura 3 - Rappresentazione più articolata delle news organization. 83 Come si può osservare, ai potenti flussi verticali di notizie provenienti dal mondo degli eventi e dalle fonti organizzate, spesso per il tramite delle agenzie di notizie, si aggiungono più o meno decisi flussi retroattivi. La produzione mediale è, infatti, fruita soprattutto dagli stessi soggetti emittenti: direttamente con l’acquisto o attraverso servizi organizzati di rassegna stampa, le fonti, per prime, consumano informazione con l’obiettivo di rimanere continuamente aggiornate sull’attualità e così predisporre al meglio l’intervento successivo. Stessa cosa si può dire per le redazioni di tutte le testate voraci, consumatrici dei messaggi prodotti dalla “concorrenza” nazionale e internazionale, mediale e intermediale. Se è vero che: Chi vuole intraprendere seriamente questa professione dovrà essere sempre informato su ciò che sta avvenendo intorno a lui. Il giornalista che lavora in televisione deve abituarsi a leggere i quotidiani a fondo, non come lo farebbe una persona qualsiasi, ma da “professionista”. […] Un buon giornalista legge i quotidiani e i settimanali, guarda la televisione e ascolta i giornali radio. In pratica, deve diventare una specie di “maniaco delle notizia”. (Lewis 1984: 29) Allo stesso modo anche chi deve comunicare deve costantemente “leggere” i mass media con attenzione e spirito critico, deve comprenderne a fondo il linguaggio, le narrazioni e l’immaginario di riferimento. In sostanza il buon comunicatore deve “sentire” lo spirito del proprio tempo: cercare costantemente di conoscere e comprendere, essere curiosi, “onnivori”. Parlare ogni linguaggio e comprendere ogni contenuto. Significa essere contemporaneamente persone della propria epoca e consapevoli dell’ambiente dei media così da essere in grado di padroneggiarne simboli e stereotipi nello stesso modo in cui padroneggiano le minute “regole” della comunicazione di massa: “il nostro vero talento è di saper ascoltare” (Séguéla 1979: 121) Per meglio comprendere i meccanismi di funzionamento del sistema informativo è quindi necessario cercare di ricostruire l’origine delle notizie. Chiedersi costantemente da dove viene ogni notizia che riceviamo o che cattura il nostro interesse, da dove è partita, quale percorso ha compiuto prima di giungere alla nostra attenzione, quali gangli ha attraversato. In questo modo, comprenderemmo forse meglio il modo per far seguire alla notizia che intendiamo proporre un percorso simile. 84 4.15 Il redattore e il cronista: i giornalisti non sono tutti uguali La redazione giornalistica negli anni ha subito modificazioni strutturali e tecnologiche che ne hanno accresciuto il carattere centrale nell’assetto complessivo delle varie testate. Infatti al suo fianco si configurano la direzione, gli uffici responsabili delle incombenze amministrative, della diffusione e del marketing, e le strutture tecniche dedicate alla pubblicazione (la tipografia) o alla messa in onda (montaggio, regia, etc.). Essa trasforma i flussi di “materiale informativo grezzo” in un insieme di messaggi, più o meno, omogenei. Come si è osservato in precedenza molti ricercatori hanno riflettuto sulle caratteristiche atipiche di queste organizzazioni: trasformare l’incoerente e incostante fluire del reale in una serie ordinata, leggibile e continua di informazioni. Notizie simili per formato e sempre diverse per contenuto. Dal punto di vista socio-semiotico utilizzato da Michele Sorice la redazione è un “soggetto collettivo enunciante” (1995: 54). Infatti l’attività di elaborazione delle comunicazioni di massa (giornalistiche) è sostanzialmente una pratica collettiva. Se, come si è visto, l’immagine del solitario cronista sempre in giro a procacciarsi spunti per scrivere articoli rimane solo parte delle figure dell’immaginario mitico legato al giornalismo, questo è stato sostituito dal concreto e quotidiano lavoro di raccolta e diffusione svolto dalle agenzie e quindi dalla quantità enorme di notizie potenziali fornite dalle fonti, ufficiali o meno, che attorniano la redazione. Ma, prescindendo da questa fase, la composizione del prodotto finito giornalistico mette in campo una serie di ruoli e competenze rigorosamente suddivise tra più persone. Se ci si limita a osservare la realtà italiana, la grandezza della redazione può variare da 1-2 giornalisti a circa 500, a seconda della capacità di diffusione della testata (Sorrentino 2002: 65). Come tutti i lavori industriali anche il processo produttivo dell’informazione è fortemente segmentato. I molti ricercatori occupatesi della questione hanno prodotto diverse suddivisioni funzionali e logistiche. Di certo la produzione di notizie richiede delle fasi di: - Ricerca e raccolta - Scelta e selezione - Elaborazione e stesura - Revisione, supervisione e management I compiti della redazione, infatti, non attengono alla raccolta delle informazioni, ma ad una serie di attività che, da una parte, presiedono alla 85 divisione dei compiti e al loro corretto svolgimento, dall’altra, alla loro finalizzazione provvedendo alla stesura finale del prodotto finito e alla sua “pubblicazione”. Utile a riassumere i compiti di norma attribuibili alla redazione, possiamo ancora utilizzare il lavoro di Andrea Garbarino (1985). Secondo questa distinzione la redazione presiede: a) all’organizzazione del lavoro; b) alla valutazione del materiale prodotto dalle strutture redazionali; c) alla valutazione e selezione delle agenzie; d) alle ricerche di archivio; e) alla titolazione e impaginazione; f) all’organizzazione per avvenimenti non previsti. Ovvero, la redazione opera la suddivisione preventiva degli argomenti e dei compiti tra i vari redattori, in particolare rispettando le decisioni prese dalla riunione di direzione. Quindi, rispettando il taglio e lo spazio da dedicare ad ogni singolo argomento o notizia, si occupa di rivedere e selezione il materiale fornito dai singoli cronisti e inviati o dei diversi settori. A questo punto può operare la revisione, valutandone, inoltre, la lunghezza e la possibile impaginazione. Provvede, infine, alla scelta delle immagini e alla composizione di titoli (compito quest’ultimo spesso riservato a caporedattori e vicedirettori). La seconda incombenza fondamentale della redazione è quella di modificare radicalmente la struttura del giornale in occasione di eventi o imprevisti, rivedendo la divisione del lavoro, operando apposite ricerche e se necessario scrivendo o riscrivendo singole parti del giornale. Ai giornalisti, come si può notare, rimane il compito meno strutturato e burocratizzabile: “essi operano prevalentemente all’esterno dell’organizzazione, raccogliendo le notizie presso varie fonti o ambienti di loro competenza, le scrivono essi stessi e considerano a quel punto terminato il proprio compito” (Garbarino 1985: 47). Se la redazione dell’articolo o del testo radiofonico o televisivo può rimanere opera individuale, alla sua revisione ed adattamento operano una serie più ampia di figure. Se la sua composizione può basarsi sull’assemblaggio di lanci d’agenzia o di spunti provenienti da altri mezzi d’informazione o da comunicati stampa, diverso appare il destino degli oscuri lavoratori delle redazioni. I cronisti presenti stabilmente in redazione – soprattutto dopo le modificazioni nelle pratiche di composizione tipografica ormai affidate agli stessi redattori grazie all’uso di terminali informatici – operano la rilettura e eventualmente l’editing del pezzo per adattarlo ai formati stabiliti dall’impaginazione o alle necessità della scaletta e della lettura dello speaker. Avvolto in un destino simile alle prospettive futuribili del giornalista, questo lavoratore della redazione è sempre più lontano dalla mitica ricerca delle notizie e caratterizzato da quest’anonimo lavoro di scrivania 86 nelle redazioni: un’attività quotidiana di lavorazione, senza soluzione di continuità, dei “pezzi”. Il loro compito precipuo è quello di assicurare un’adeguata e tempestiva confezione del prodotto giornalistico da conferire, secondo modalità prefissate, alla componente dell’organizzazione che si occupa di immetterlo sul mercato del consumo, attraverso processi in parte tecnico-industriali e in parte commerciali. (Garbarino 1985: 47) La differenza tra le due attività è sostanziale. Non solo per il differente grado di routinizzazione dell’attività o semplicemente per il differente compito assolto, rimangono diverse la cultura professionale, le ambizioni, l’autorappresentazione del proprio lavoro, del suo grado di autonomia e dignità: una diversa “coscienza di classe”. Lo stesso fine professionale è dissimile: “il giornalista” misura il proprio successo nella capacità di trovare avvenimenti degni di interesse e di produrne un resoconto efficace. I “redattori” hanno continuamente a che fare con la struttura direttiva e tecnica della “fabbrica”. Rappresentano, in qualche modo, “l’artigiano” e “l’operaio” dell’informazione. Compito del comunicatore è quindi quello di attivare adeguate relazioni con entrambe le figure, tenendo conto delle differenti esigenze professionali, delle diverse modalità produttive e dei distintivi tempi di lavoro. Intorno alle figure del reporter e dell’addetto al desk si caratterizza un diverso rilievo simbolico e diversi livelli di autostima professionale. Una differenza evidenziata dalle critiche reciproche: i reporter accusano gli operatori di scrivania di esser lontano dai fatti e dalle fonti, mentre questi ultimi accusano i primi di esserlo troppo. è naturale che un giornalista, trascorrendo più tempo in municipio che in redazione, cominci gradatamente a pensare che i suoi interessi sono più affini a quelli del sindaco che non a quelli del capocronista (Judd in Garbarino 1985: 48). I cronisti, al fine di procurarsi notizie, retroscena e rivelazioni sono a diretto contatto con le fonti corrono il rischio di diventarne semplici portavoce, trovandosi spesso troppo vicino a problemi, a linguaggi e ad influenze non sempre trasparenti. Un’insieme di esigenze spesso molto lontane da quelle caratteristiche del linguaggio del medium utilizzato o più semplicemente della testata per cui si opera. Un divenire-fonte. I 87 deskisti, alle prese con gli obblighi produttivi della redazione e quindi con i suoi tempi ed esigenze di formato, sono spesso invece troppo lontani dal “vero”, semplici ripetitori acritici del comunicare altrui, incollati alle scadenze e agli obblighi tecnici dell’impaginazione o del cronometro. Un divenire-macchina. Quindi, tendenzialmente, con i reporter si instaurerà una relazione più intensa e diretta, cercando proPer approfondire: gressivamente di introdurli nella Negli ultimi anni sono numerosi i cultura e nel linguaggio propri del testi dedicati all’avvento della rete volontariato così da realizzare artiInternet nelle redazioni e di come coli meno superficiali e garantenabbiamo modificato il lavoro giornado un rapporto duraturo e persolistico. Possiamo segnalare quelli di nalizzato. Mentre le informazioni Andrea Enrico Pulcini (1998) Piersanti generiche e i comunicati stampa e Vittorio Roidi (1999, 2000 e 2001). – in linea di principio – possono essere indirizzate ai vari desk redazionali rispettandone quindi esigenze e ritmi, con la speranza che vengano notati o pubblicati e che quindi provochino l’interesse di altri inviati e corrispondenti. I cambiamenti sostanziali dovuti alle innovazioni tecnologiche riguardano proprio l’accelerazione impressa a questa frizione. Il desk assume la posizione centrale nella pratica professionale centralizzando le attività e costruendo un sapere e quindi una professionalità ormai completamente distinta dalla figura del cronista e soprattutto dal suo influsso simbolico nell’immaginario dei giornalisti “in formazione”. Ma il cambiamento più rilevante appare ancora la posizione assunta nei confronti delle fonti d’informazione: da una parte ne sono molto lontani, lontani “dalla realtà”, dall’altro sono legate a queste con maggiore forza. Privati della mediazione di altre voci o dell’osservazione diretta, le comunicazioni provenenti dalla fonti organizzate rappresentano l’unico punto di vista disponibile sulla realtà e spesso l’unica serie di informazioni disponibili per la “chiusura” del giornale. Di conseguenza la diminuzione della possibilità di verifica delle fonti e di ricerca di nuove informazioni appare procedere in maniera inversamente proporzionale al controllo pressoché totale operabile sul prodotto finito e della quantità enorme di dati ricevuti o ricevibili dalle stanze della redazione (Sorrentino 2002: 71-72). La disponibilità di archivi informatizzati e della rete Internet, di canali satellitari per le immagini o per gli ultimi aggiornamenti, delle agenzie di notizie ed immagini per aggiornare “fino all’ultimo minuto” il contenuto dei 88 “pezzi” permettono una maggiore disponibilità di fonti, ma una separazione irreparabile con la possibile verifica “con i propri occhi” delle informazione ricevute. Caratteristiche, quest’ultime, che rendono chiaramente necessario abbinare alle attività di relazione diretta con la stampa, la preparazione e pubblicazione di materiale informativo testuale e possibilmente fotografico e audiovisivo destinato proprio agli addetti al desk e agli stessi reporter per la chiusura dei “pezzi”. 4.16 L’organizzazione del lavoro: l’importanza delle differenze Questa suddivisione, insieme a quella tra inviato e corrispondente, quella tra i vari redattori capo e i responsabili di settore, la stessa divisione della redazione in vari settori specializzati apre la “scatola” della sua organizzazione fino a questo momento chiusa. Si potrà vedere come alle mediazioni interposte tra il mondo nebuloso dei fatti e le redazioni operata dall’apparato delle fonti, dalle agenzie e dalle stesse reti di telecomunicazione, si aggiungano le mediazioni, per così dire interne, costituite dall’opera di editing e selezione compiuta nei diversi livelli produttivi. Mentre nel rapporto negoziale con la fonte il giornalista svolge un ruolo di gatekeeper, selezionando quanto gli viene riferito; ora le parti si ribaltano, è il caposervizio a fungere da gatekeeper, mentre il raccoglitore di notizie deve cercare di presentare le informazioni in modo da mostrare il possesso di adeguati valori-notizia (Sorrentino 1995: 190) Le conseguenze di questa constatazione possono essere molto estese: il processo generale di selezione delle notizie, infatti, con le sue consuetudini e regole di notiziabilità si ritrova riprodotto innumerevoli volte nel percorso compiuto dalla notizia. A sua volta la struttura interna delle redazioni tende anch’essa a costituirsi come un network, il cui indirizzo in questo caso è saldamente nelle mani della direzione, Per approfondire: ma anche degli automatiÈ stato il lavoro di Claudio Fracassi (1994. 1996) ad aver meglio approfondito il tema del rapporsmi dirigenziali. Così, se nel panorama to tra routine del giornalismo, il ruolo delle fonti esteso ed esterno alla redaorganizzate e la sempre maggiore distanza delle zioni, le fonti – e quinredazioni dalla “realtà”. di le notizie – gareggiano 89 costantemente per entrare nel cono di luce della selezione redazionale, all’interno si ripropone una simile concorrenza nello scenario pulviscolare della redazione. Singoli collaboratori e redattori “sono costretti” allora ad amplificare l’importanza e i toni di una notizia, nella stessa misura delle fonti più spregiudicate, al solo scopo di entrare nelle strette maglie dei valori-notizia. Solo il redattore e quindi la notizia e la fonte “migliore” emerge. Sono numerose le selezioni che la nostra notizia deve superare. Convincere il cronista della sua bontà può non essere sufficiente. Questo, a sua volta, dovrà infatti “convincere” il suo capo (redattore). La notizia dovrà allora passare al vaglio del desk e della direzione per essere inserita nella pagina o tra ancor più ristretti limiti di tempo. Tutte queste figure hanno spesso interessi e necessità – rispetto al tema e allo spazio da dedicare – divergenti di cui occorre sempre tener conto. A questo punto è possibile produrre un ulteriore e ultimo schema di funzionamento della redazione: Figura 4 – Struttura organizzativa della redazione. Leggenda: intendere le linee come relazioni gerarchiche di istruzioni e comandi e le frecce come flussi di notizie. Come si può osservare la struttura si è ulteriormente complessificata e permangono ancora dei sistemi chiusi. La direzione influenza il proces- 90 so tramite interventi soprattutto lungo la “linea gerarchica” formata da vicedirettori, redattori capo e capiservizio. In particolare le indicazioni sono impartite attraverso le riunioni di redazione. A loro volta i responsabili delle redazioni e dei servizi trasmettono tali prescrizioni al resto della struttura redazionale tramite la distribuzione dei compiti e l’impostazione della struttura tematica del lavoro. Nel rispetto di queste designazioni e trame i vari pezzi sono confezionati nel corso della “giornata” (usando come ideal-tipo le redazioni di trasmissioni quotidiane). Il controllo della macchina torna nelle mani della redazione/direzione nel momento in cui i singoli pezzi vengono rielaborati e impaginati, o piuttosto posti nella scaletta nel caso delle testate televisive o radiofoniche. La scelta dei titoli principali completa la fattura del prodotto. Se, per un verso, la redazione appare ruotare intorno ad unico centro – costituito dal rapporto tra direzione e redazione centrale coordinata dalla figura del caporedattore –, l’ampliamento delle funzioni da svolgere e delle conoscenze, anche tecniche, necessarie, amplifica il decentramento e la specializzazione funzionale. Di nuovo, l’ambivalenza di questo problema risulta amplificata dal rapporto tra lavoro redazionale e attività decentrata. Se il primo appare ai cronisti lontano dai fatti e dalle fonti, il secondo appare troppo distante dagli interessi anche linguistici della testata, sembra allontanarsi dal vivo della professione. Questa spaccatura rende ancora più necessario evitare di costruire e promuovere relazioni con i cronisti eccessivamente concentrati sulla propria organizzazione, finalizzati semplicemente a promuovere la propria attività – il rischio costante della “autoreferenzialità” – mirando invece a “parlare” del proprio tema, della sofferenza e dell’emarginazione del quale si vogliono proporre soluzioni o risolvere problemi specifici. In questo modo il reporter non potrà sentirsi (a ragione) utilizzato come megafono dalla fonte, ma semplicemente tratterà un argomento importante e “nuovo”. 91 Figura 5 – Struttura tematica della redazione Fonte: Livolsi 1984: 260 Editore FONTI Concessionaria pubblicità Amministrazione Direttore (Direttore - Vicedirettore) Diffusione Redattori Capo Capi - servizio Segreteria di redazione Stenografi Archivio Serv. Fotograf. Economia Sport Spettacolo Cultura Cronaca Esteri Interni Telescriventi Grafici Impaginazione GIORNALI Stampa Osservando anche lo schema della redazione di un grande quotidiano nazionale riportata nella figura precedente – le sezioni della redazioni sono molto frequentemente organizzate lungo una suddivisione tematica, specializzate negli argomenti in cui è diviso “il giornale”. Inoltre la ramificazione e differenziazione della struttura redazionale permette una certa specializzazione tra i vari redattori e collaboratori. Specializzarsi su di un argomento può significare infatti per un redattore costruirsi un nicchia. Una competenza spesso accentuata dall’opinione sommaria della dirigenza e dei colleghi. Un’immagine che spesso costruisce intorno al redattore uno stereotipo da cui può essere difficile uscire. La specializzazione diventa allora un limite, uno spazio angusto, dal quale è poi difficile emergere. L’unica possibilità è quella di scegliersi, o più spesso che si venga assegnati, ad un tema “fortunato”. Purtroppo i temi sociali 92 proposti dal volontariato molto raramente sono definiti in questo modo. È ormai noto come sia spesso difficile per tali temi affermarsi proprio perché è difficile collocare tali notizie anche per l’assenza di settori redazionali dedicati a questi argomenti. Se questo aspetto impedisce il formarsi di ghetti all’interno dei quali rinchiudere “il sociale”, rende ancora più necessario per il volontariato, identificare con precisione la divisione di argomenti all’interno della redazione così da dirigere le informazioni verso il settore o “servizio” più vicino al tema trattato dalla notizia. Però, lo stesso andamento occupazionale può scoraggiare il formarsi di professionalità specializzate, soprattutto nelle emittenti minori o locali dove il ricambio frequente del personale e i ritmi di lavoro, impediscono, in ogni caso, una divisione troppo rigida tra i redattori (Lewis 1984: 128). La specializzazione del personale giornalistico, quindi, se appare sempre più una necessità per comprendere le complesse relazioni tra i fatti e gli scenari globali, può apparire controproducente nella vita e nell’organizzazione professionale. Si può concludere che l’assenza di settori, o task force, su un argomento nell’economia della redazione di certo lo penalizza nel confronto con altre issue. Infatti l’assenza di specializzazioni verticali non permette il formarsi di redattori esperti (anche sull’argomento) e quindi la possibilità di pubblicare notizie approfondite e consapevoli, approfondimenti e pagine tematizzate sullo spunto fornito da notizie d’attualità, ma nemmeno di cercare autonomamente informazioni sul tema in assenza di suggestioni o eventi prodotti dalle fonti (più o meno ufficiali). La presenza di temi e argomenti tra le notizie narrate dipende quindi non solo dalla forza degli eventi, ma anche, e spesso soprattutto, dal fluire spesso casuale delle relazioni personali. La struttura stessa della macchina redazionale condiziona il tipo di notizie pubblicate. Da questo punto di vista è ancora più importante, soprattutto quando ci si confronta con redazioni o testate locali, individuare i redattori che si occupano più di frequente del tema trattato cosi da rivolgere a questi le nostre sollecitazioni e intrecciare se possibile un rapporto preferenziale. 4.17 Relazioni con i media: entrare nell’imbuto Sono numerose le critiche che nel tempo si sono dispiegate nei confronti della rappresentazione fornita dai media delle attività svolte e dell’immagine dei volontari e delle volontarie. Molte sono le critiche che, nel tempo, si sono dispiegate verso il modo in cui i mezzi di informazione 93 rappresentano le questioni sociali e, in generale, la società italiana. Molte di queste critiche appaiono fondate, il punto è però quali siano le ragioni strutturali di questo comportamento dei media o, sempre per onestà, se le cause siano da attribuire al modo in cui il volontariato si comporta nei confronti dei media o se dipende piuttosto dall’immagine che la società italiana fornisce al variegato mondo del giornalismo e dell’informazione. Per cause strutturali, intendiamo, innanzitutto, i codici linguistici che regolano e condizionano il funzionamento dei mezzi di comunicazione di massa e, in secondo luogo, le condizioni organizzative e professionali in cui il personale giornalistico opera. Spesso infatti, come ricordavamo sopra, occorre tener conto delle circostanze in cui agisce il mondo giornalistico anche per criticarlo o addirittura tentare di modificarlo, ma nello stesso tenendolo in dovuto conto. Spesso si immaginano i mezzi di informazione come un megafono, uno strumento che permette di amplificare la propria voce diffondendola dove non potrebbe arrivare con le proprie forze. E spesso è così. Però, proprio come un megafono, i news media possono amplificare solo una piccola porzione della realtà enfatizzandone virtù e vizi, rendendo, per sineddoche, una parte per il tutto. In qualche modo, quindi, la potenza straordinaria del megafono si configura, osservandola dall’altro verso, come un imbuto nel quale solo alcune delle voci provenienti dalla società riescono ad ottenere la necessaria modulazione. Ne consegue che la prima regola di funzionamento di cui tener conto è l’esigenza di sintesi. Infatti solo alcune brevi e ben codificate informazioni posso entrare in quella strettoia. La prima esigenza di qualsiasi redattore e giornalista è infatti quella di ridurre la complessità, prima di tutto valutando le numerosissime notizie e informazioni che giungono quotidianamente nella sua scrivania per selezionare il numero fatalmente limitato che verrà “pubblicato”. La seconda è quella di adattarne il formato alle esigenze della testata. Infatti, i quotidiani – ma la necessità è ancora più stringente per telegiornali e giornali radio – hanno dei limiti molto rigidi rispetto alla lunghezza e allo spazio da dedicare a qualsiasi notizia. Si tratta di poche centinaia di caratteri per la carta stampata e poche decine di parole per i mezzi audiovisivi. Quindi l’azione più frequente dal giornalista è quella di ridurre le dimensioni della notizia ricevuta. Prima di tutto quindi occorre predisporsi al piccolo, e quasi inevitabile, trauma di vedere un proprio pensiero o informazione, frutto magari del lavoro di mesi o di faticose mediazioni, brutalmente ridotto o parzialmente rielaborato per esigenze 94 di spazio o di una “migliore comprensione”. Quindi, occorre prepararsi alla frequente eventualità che la propria notizia sia sintetizzata o addirittura tagliata cercando, non solo di offrire notizie molto sintetiche e adatte al formato di pubblicazione, ma anche che a) possano essere pubblicate solo delle parti, senza che questo taglio ne pregiudichi la comprensione o l’efficacia; e che b) rispondono alle esigenze di linguaggio e impaginazione delle testate. Un’altra conseguenza del funzionamento a imbuto-megafono dei mass media è quello che questo strumento comporta molto spesso una centralizzazione. Ovvero la necessità di entrare nella strettoia delle notizie, comporta la necessità di formare una strettoia simile anche all’interno della organizzazione emittente. Cioè le molteplici e spesso inconsapevoli attività di comunicazione del volontariato, le articolate e diffuse attività di auto-rappresentazione compiute quotidianamente attraverso strumenti di comunicazione leggera quali volantini e manifesti, incontri ed eventi, relazioni sociali e discorsi devono, quasi esclusivamente, ridursi e concentrarsi in messaggi “unici”, diffusi attraverso un’unica voce: quella dell’ufficio stampa. Per questo motivo, per una serie di esigenze esterne al modus operandi del volontariato, quella ricchezza espressiva molecolare deve essere concentrata in una struttura organizzata e tendenzialmente professionalizzata incaricata del rapporto con i media, incaricata di infilarsi nell’imbuto. Per costruire uno stabile ed efficiente lavoro di relazione con i media occorre formare una struttura o comunque individuare una serie di personalità responsabili della relazione con la stampa. I compiti di questa struttura saranno quelle di preparare e gestire le relazioni pubbliche con le testate informative e quindi di programmare, selezionare e se necessario filtrare contenuti e comunicati provenienti dall’interno dell’organizzazione verso i media. Ciò non deve significare, però, delegare a tale struttura “di professionisti” tutto l’onere della “competenza comunicativa”. La capacità di comunicare e la conoscenza dei media deve, proprio per questi motivi, diventare patrimonio di tutta l’organizzazione, di tutta la cultura del volontariato. Appare ovvio come sia un compito, a dir poco disagevole, per una piccola organizzazione, fondata quasi esclusivamente sul lavoro volontario e priva di ingenti risorse economiche da indirizzare alla costruzione professionale di fatti-notizia, entrare in questo circuito e superare l’elevata soglia di attenzione del sistema d’informazione. Naturalmente non esistono scorciatoie, né soluzioni semplici quanto geniali da proporre, tanto più che tutti i testi che si occupano di rapporti con i media e relazioni 95 pubbliche presuppongono come prerequisiti proprio la disponibilità di risorse economiche e di professionalità del settore46. Inoltre, la necessità di entrare nell’imbuto dei media costringe le fonti di informazioni a concorrere per conquistare spazio per la “propria notizia”. La visibilità, in questi termini, costituisce una risorsa scarsa: il numero di notizie pubblicate o trasmesse ogni giorno è limitato. E‘ questo forse il maggior pericolo del rapporto con i media, può condurre anche le fonti del volontariato e del non profit a gareggiare tra loro invece di cooperare. Una direzione opposta agli intenti e alla cultura del volontariato, il comune intento solidaristico e disinteressato, l’oggettiva situazione di debolezza delle strutture e delle professionalità, la necessità comune di far emergere realtà sociali troppo spesso escluse dovrebbero, invece, spingere alla costruzione di reti e coordinamenti che uniscano le (poche) forze invece di dividerle. La cooperazione può e deve rappresentare il valore aggiunto della comunicazione del volontariato e delTerzo Settore in genere. Cooperazione in questo senso può significare allargare le sinergie tra le varie realtà presenti sul territorio intorno ad attività di routine o a campagne specifiche, ma anche e soprattutto allargare queste reti alla comunicazione e al rapporto con la stampa, per esempio nella direzione nella condivisione di risorse ed esperienze o nella realizzazione comune di attività di comunicazione. 4.18 Relazioni pubbliche: usare strumenti predisposti per altri Occorre partire da una premessa, non esiste una definizione di ufficio stampa adatta al volontariato, né un manuale che spiega come costruirlo o rapportarsi con i media realizzato appositamente per il mondo del volontariato o per ilTerzo Settore47. Come avviene per molte delle attività svolte dalle associazioni di volontariato, la disciplina che si occupa di questa materia proviene da un campo di studi aziendali: le relazioni pubbliche.48 Esistono più definizioni di relazione pubbliche, tutte accomunate da una 46 In proposito vedi il paragrafo successivo. 47 Negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni manuali dedicati al rapporto tra comunicazione e non profit che però sostanzialmente cercano di adeguare le tecniche delle relazioni pubbliche e degli uffici stampa alle peculiarità degli enti non profit (Ambrosio - Ragosa 2004, Pira 2005). 48 Si veda il capitolo 11 96 stessa origine storica: le relazioni pubbliche sono infatti il settore aziendale che originariamente si occupava delle relazioni esterne all’impresa (Invernizzi 2001). Nel tempo questa funzione si è evoluta e precisata, passando dai contatti episodici (soprattutto) con i vertici editoriali e con la stampa specializzata, ad un’attività estesa e integrata di comunicazione con l’opinione pubblica e con gli stakeholders dell’impresa (De Vincentiis 1999). Le relazioni pubbliche sono quindi diventate parte integrante dell’attività delle aziende e via via di “qualsiasi organizzazione (impresa, associazione, ente o istituzione)” (Muzi Falconi 2002: 51) finalizzate all’”entrare e/o restare in relazione con i suoi pubblici influenti” (ibid.). In effetti la definizione che ne risulta appare particolarmente vicina alle attività di comunicazione affrontate da questo testo: la professione di relazioni pubbliche, che si avvale di competenze specifiche, è costituita da un insieme di attività il cui obiettivo generale è di comunicare per informare e per influenzare l’opinione pubblica e i pubblici influenti al fine di creare benevolenza, in un clima di comprensione reciproca tra l’organizzazione e i suoi pubblici. I servizi di base che ne definiscono il contenuto sono rappresentati dalle relazioni con i media e dall’organizzazione di eventi. (Invernizzi 2001: 31). Nella sua evoluzione, quindi, il concetto e gli strumenti di relazione con i “pubblici influenti” e con i media si è esteso: se in origine era un ramo della comunicazione d’impresa, oggi ha costruito una serie di conoscenze e una professionalità molto precisa – “operatori delle relazioni pubbliche” e “agenzie di consulenza”49 – e adatta a tutti gli attori imprenditoriali, pubblici ma anche associativi e non profit. Non è qui possibile approfondire questo argomento ma possiamo notare come, in questo e altri casi simili, non solo il linguaggio, ma gli orientamenti di fondo, la mission e gli strumenti della comunicazione di matrice aziendale possono non essere i più adatti per essere applicati al mondo del volontariato. La principale differenza riguarda la finalità della comunicazione d’impresa che non coincide, o meglio non dovrebbe coincidere, con quella messa in campo dal volontariato. Naturalmente, l’obiettivo dell’impresa nella costruzione di relazioni – secondo la definizione dell’International Public Relation – è quello di “ottenere e di mantenere la comprensione, la simpatia”, con il fine ultimo di costruire consenso e 49 Rispettivamente associati in Italia nella Federazione Relazioni Pubbliche Italiana (Ferpi) e l’Associazione italiana delle agenzie di relazioni pubbliche (Assorel). 97 relazioni che permettano il proseguimento dell’attività imprenditoriale e quindi nell’alstakeholders: Possiamo largamento del proprio mercato con finalità tradurre questo termine di profitto. È proprio questo fine che le come “portatore di intedifferenza delle attività del volontariato che resse”. Infatti “To hold a si caratterizzano proprio per la gratuità e stake letteralmente signifil’incompatibilità con qualsiasi fine di lucro. ca possedere un interesse, Se la prima è contrassegnata dall’interesse un titolo, in pratica indica privato da cui origina, la seconda non può che un soggetto che è titolato a distinguersi per l’interesse pubblico e collettivo entrare in relazione con una che rappresenta. determinata organizzazioQuesta diversità può evidenziarsi nella ne (Ambrosio 2004: 22). modalità in cui l’impresa o l’organizzazione di volontariato comunicano: il fine della comunicazione d’impresa è quello di accentuare o estendere la visibilità sui media e quindi la presenza e l’influenza della propria organizzazione, il fine del volontariato è invece quello – riprendendo la Carta dei valori del volontariato – di perseguire “l’innovazione socio-culturale a partire dalle condizioni e dai problemi esistenti [proponendo] idee e progetti, rischiando e sperimentando interventi per conto della comunità in cui operano”. Ovvero, se il fine primario della comunicazione d’impresa è quello di comunicare se stessi, i propri beni o servizi, quello del volontario è promuovere e valorizzare l’”esperienza di solidarietà e pratica di sussidiarietà” che rappresenta e del valore culturale “della relazione e della condivisione con l’altro” attraverso l’esempio della propria attività quotidiana volontaria di impegno e cittadinanza attiva. In questo senso, le leve delle relazioni pubbliche possono essere utilizzate dalle organizzazioni di volontariato per interagire “con il mondo dei mass media e dei suoi operatori perché informino in modo corretto ed esaustivo sui temi sociali e culturali di cui si occupano” (ibid.) più che per ottenere spazio per la propria sigla o per le attività che si svolgono. La seconda differenza tra le RP delle imprese e la comunicazione del volontariato riguarda invece le risorse a disposizione. Infatti, è del tutto ovvio che le attività di comunicazione organizzate da un’impresa o da un ente pubblico possono disporre di risorse economiche e di personale specificatamente indirizzato a tale scopo. Leggendo gli esempi forniti dai numerosi manuali di relazioni pubbliche ormai disponibili, si nota non solo come questi abbiano come riferimento continuo l’attività aziendale, ma che prevedano una stabilità dell’organizzazione e della struttura dedicata alla comunicazione, come un ampiezza di mezzi e strumenti, 98 spesso irraggiungibili per il volontariato organizzato. Non si tratta solo della creazione di un ufficio dedicato, ma di una serie di strumenti tecnici di comunicazione (personal computer, terminali e reti aziendali, sale per video-conferenze), di informazione (abbonamento a testate e agenzie di notizie), di promozione (realizzazione e stampa di brochure, volantini, riviste e pubblicazioni), di documentazione (centri studi e archivi) oltre che a risorse umane (personale competente e professionale) e logistiche (uffici e centri congressi) i cui costi di acquisizione e gestione sono ancor meno sopportabili per piccole organizzazioni. La comunicazione del volontariato si caratterizza, invece, per un certa artigianalità nella costruzione e conduzione delle attività di relazione. Questo dato di relativa povertà non deve però significare una mancato investimento nelle attività di comunicazione. Anzi, il limite costituito della ristrettezza delle risorse, può e deve essere compensato con la ricchezza delle idee, della passione e della coscienza nell’uso e in approccio consapevole ai linguaggi e ai “segreti” alla comunicazione, passione e competenza che ormai caratterizza il volontariato in tutte le sue attività. Prescindendo da queste differenze, lo studio e la tradizione delle relazioni pubbliche hanno, in ogni caso, accumulato un’ampia esperienza nel rapporto con i mass media. Una competenza che ha prodotto una serie di tecniche e “consigli pratici” correlati ai “meccanismi di funzionamento” dei news media e dell’immaginario collettivo che possono, in qualche misura, essere applicati anche dal volontariato, tenendo in dovuto conto delle differenze di impostazione e di disponibilità economica. Ma c’è un altro elemento delle relazioni pubbliche che può essere particolarmente utile quando si affrontano le discipline della comunicazione. Il concetto stesso di relazioni pubbliche mette l’accento sull’importanza di costruire e programmare una serie di “sistemi di relazione” (Muzi Falconi 2002: 2) propri di società così permeate da strumenti e tecnologie di comunicazione. Senza dubbio il suo far riferimento al carattere bidirezionale e dialogico della comunicazione è quello che rende più utile richiamarsi alle relazioni pubbliche. Infatti dietro all’attribuzione di un’”importanza sempre più decisiva al concetto di relazione” (Muzi Falconi 2002: 53, corsivo nostro) si evidenzia l’adozione di un approccio moderno alle teorie della comunicazione. Supera una concezione della comunicazione come trasmissione, ovvero “come un processo volto alla trasmissione di segnali e messaggi a distanza a fini di controllo” (Carey 1988: 15), persuasione, propaganda o, al limite, di diffusione di informazioni. Una visione antiquata che allontana l’idea che comunicando si sia inseriti 99 in un “ambiente mediale”, che si diventi parte di una “conversazione” (Ronchi 2003), piuttosto che svolgere il ruolo di chi esprime un parere, prende una posizione, occupa un canale. Abbandonare questa concezione permetterebbe al volontariato – ma a molti altri attori della arena mediale – di allontanare il rischio e la critica di autoreferenzialità, oltre che aderire più pienamente ai suoi stessi principi ispiratori. Infatti, la cultura della comunicazione che progressivamente il volontariato dovrebbe fare propria deve infatti essere intesa principalmente – riprendendo in questo caso il punto 23 della Carta dei valori – come “strumento di relazione, di promozione culturale e di cambiamento, attraverso cui sensibilizzano l’opinione pubblica e favoriscono la costruzione di rapporti e sinergie a tutti i livelli”. 4.19 L’ufficio stampa: l’importanza delle relazioni È, quindi, intrattenere e mantenere relazioni la principale attività di comunicazione svolta del responsabile della comunicazione o dall’ufficio stampa. Uno dei suoi compiti principali è dato dalla capacità di “ottenere la comprensione, la simpatia e quindi il concorso dei giornalisti, mediante un rapporto personale a carattere continuativo e organizzato” (De Vincentiis 1999: 44). Relazioni intrecciate attraverso una serie di attività sistematiche compiute, per quanto possibile, in maniera continua e cadenzata, attività che consentono non solo di offrirsi come fonte stabile e affidabile agli occhi della testata, ma anche e soprattutto di costruire una relazione personale con i “suoi” redattori. Spesso, infatti, è proprio la relazione personale instaurata con i singoli giornalisti a garantire l’efficacia del lavoro di ufficio stampa. La fiducia, la confidenza e in qualche modo la reciprocità garantita da un buon rapporto con i giornalisti consentono infatti al redattore di considerare la vostra fonte come disponibile e competente, oltre che ad essergli nota, così da poter essere contattati in caso di necessità di informazioni o approfondimenti. D’altro canto vi consentirà di contattarli per approfondire la conoscenza delle dinamiche redazionali o del tema in discussione, o semplicemente per “promuovere” una particolare notizia. È per questo motivo che gli addetti stampa ritengono particolarmente preziosa la lista dei contatti con giornalisti. Un’agenda e mailing list che viene costruita nel tempo e che costituisce spesso il principale risultato del 100 proprio lavoro. Proprio su questo terreno il volontariato può valorizzare la propria capacità di cooperare e costruire reti, scambiandosi esperienze, informazioni e indirizzi. Come evidenziava Stefano Trasatti presentando un’esperienza importante in questo senso: il coordinamento degli uffici stampa del non profit. È un interscambio di informazioni che può sembrare banale, ma che ha delle potenzialità enormi, almeno per quanto riguarda la comunicazione “dal” non profit. “Parlarsi”, conoscersi, “spiarsi”, imitarsi - lungi dall’appiattire i messaggi - può contribuire a migliorare quel tono di fondo del proprio linguaggio di cui il volontariato e ilTerzo Settore oggi non dispongono: una carenza a cui si deve molta dell’inefficacia, della scarsa riconoscibilità, della confusione che il mondo della comunicazione - spesso a ragione - ci rimprovera. (Trasatti 2000) Come abbiamo detto, sono ormai molto numerosi i testi dedicati alle attività di relazioni pubbliche e di ufficio stampa, manuali spesso colmi di indicazioni di massima e di liste di consigli e indicazioni pratiche – quanto privi di esempi o di errori ricorrenti – ai quali rimandiamo. Sarà sufficiente, in questa sede, riassumere la tabella seguente le principali attività che solitamente vengono attribuite all’ufficio stampa, la cui necessità dovrebbe esser stata chiarita dalle pagine precedenti. Si tratta di attività e materiali preparati in anticipo – che quindi debbono essere pronti in ogni momento – e delle attività quotidiane e periodiche realizzate dai membri dell’ufficio stampa o comunque da chi si occupa di relazioni con i media. 101 Attività preliminare Attività di Routine - Predisposizione di un calendario delle attività ed eventi regolarmente realizzati o programmati - Preparazione di materiali testuali e grafici che presentino l’organizzazione, la sua composizione e le sue attività (cartella stampa istituzionale) - Preparazione di dati statistici, archivi e informazioni riguardanti i temi di interesse - Mappatura delle testate e dei giornalisti che si occupano dei temi di interesse dell’organizzazione - Mappatura della visibilità e del trattamento mediale dei temi di interesse dell’organizzazione - Approntamento di materiali fotografici e audiovisivi di descrizione delle attività dell’organizzazione - Approntamento e aggiornamento di un data-base o archivio dei contatti con giornalisti e stakeholder - Raccolta e analisi della stampa quotidiana e periodica (rassegna stampa) - Invio sistematico “almeno bimestrale” (De Vincentiis 1999: 44) delle principali novità e dello stato dell’organizzazione - Invito sistematico alle attività e eventi dell’organizzazione - “Contatto periodico, almeno mensile, con la rosa ristretta dei giornalisti più sensibili e importanti” (Muzi Falconi 2002: 73) - Aggiornamento del sito web (almeno nella parte dedicata alla stampa) - Aggiornamento dei materiali preparati nelle “attività preliminari” Queste attività non esauriscono certo l’attività di comunicazione che il volontariato può e deve svolgere, ne sono sufficienti in sé. Prima di tutto – come vedremo nel capitolo dedicato a questo tema – le relazioni con i media devono inserirsi e ed essere quanto più possibile organiche alla comunicazione, all’immagine, allo stile e alla cultura della propria organizzazione. Un’attività di comunicazione che deve essere attentamente e in via preliminare programmata, tenendo conto della propria immagine presso i news media e l’opinione pubblica, dei punti di forza e debolezza della propria attività di comunicazione, realizzando non solo l’attività quotidiana ma preparando campagne eccezionali. Tutte queste valutazioni e idee devono essere patrimonio di chi svolge attività di ufficio stampa oltre che parte della propria attività. Un’attività di progettazione che per l’attività di ufficio stampa significa sostanzialmente: Fotografare, preliminarmente e con continuità, a) il rapporto con i media e b) l’andamento della discussione pubblica e dell’approfondimento mediale dei propri temi di interesse; 102 Identificare quali informazioni e punti di vista disponibili siano nello stesso tempo: a) prioritari per l’organizzazione; b) interessanti per testate e giornalisti; e c) originali e non disponibili facilmente in altro modo. In questo modo sarà possibile stabilire quale tipo di fonte si può costituire, cioè “essere considerati come fonti reali ed autorevoli su alcuni temi, altre volte come fonti alternative a quelle istituzionali, altre ancora come fonti uniche” (Volterrani 1999: 20), permettendovi di evidenziare l’originalità e la potenzialità del vostro approccio e delle informazioni di cui potete disporre e a mettervi in condizione di poter preparare al meglio i dati e le notizie che potete diffondere, ma anche degli eventi che potete preparare e i temi su cui poter intervenire. Infatti a fianco delle attività di routine svolte dalla struttura che si occupa di comunicazione c’è l’attività vera e propria di relazione con i media. Attività che può essere può essere pianificata – come la realizzazione e pubblicizzazione di eventi – o rispondere all’agenda dei media. In ogni caso – lo ribadiamo ancora una volta – compito dell’ufficio stampa è solo quello di trasformare questi fatti in avvenimenti notiziabili: confezionare notizie. 4.20 La comunicazione del volontariato: un valore aggiunto e un ingrediente segreto In sostanza, l’arduo compito dell’ufficio stampa di un’organizzazione volontariato è quello di costituirsi come una fonte come tutte le altre e, nello stesso tempo, essere una fonte diversa dalle altre. Dovrà, contemporaneamente, a) tener conto, per quanto possibile, delle “regole” delle relazioni con la stampa e di public relation – ovvero delle regole linguistiche e organizzative del giornalismo che abbiamo sommariamente trattato fino a questo momento – così da produrre un’attività consapevole e dal sufficiente carattere di professionalità richiesto e b) valorizzare le peculiarità dell’organizzazione e della cultura del volontariato. Naturalmente essere coscienti delle “regole” linguistiche e organizzative dell’informazione non significa accettarle (o rifiutarle) così come sono, in blocco. Occorre a nostro avviso, utilizzare lo stesso approccio che il volontariato ha già adottato per i problemi che affronta: non si accontenta né di una semplice critica dell’esistente, né di tamponarne i maggiori problemi, ma cerca di operare giorno dopo giorno per un cambiamento sociale 103 e culturale. Un metodo solo da alcuni anni applicato al rapporto con i media. Di fronte al giornalista ci si dovrebbe porre nella duplice veste dell’educatore – colui che cerca di rinnovare le circostanze date – ma anche dell’educato – colui che cerca continuamente di conoscere personalità e abitudini di chi si trova di fronte. Ovvero, offrire con il proprio intervento nella sfera della comunicazione “un contributo alla crescita culturale del giornalismo” (Trasatti 1999a), instaurando, per quanto possibile, un rapporto dialettico con l’informazione (locale e nazionale): ad esempio, non rinunciando a esprimere il proprio parere sulla buona o cattiva qualità dei resoconti, che riguardino l’associazione o meno. (Trasatti 1999b: 264) È un difficile esercizio quello di conoscere e criticare, utilizzarne le regole mentre si cerca di cambiarle, comprendere le ragioni dell’Altro (giornalistico) mentre si cerca di influenzarle. Si può diventare così vicini alle ragioni del sistema dell’informazione da non essere più in grado di osservarle criticamente, mentre se ne può essere così lontani da rimanere invisibili, autoreferenziali, isolati. La professionalità e la valutazione dell’efficacia del singolo intervento rischiano allora di accontentarsi del risultato, di accontentarsi della sue regole “senza preoccuparsi che questa occasionale attenzione non intacca un messaggio complessivo estraneo o a volte opposto alla cultura della solidarietà” (Rosito, Springhetti 2001). Le organizzazioni di volontariato, in questi termini, non sono così critiche come ci si potrebbe aspettare nei confronti dei media. [...] I media chiedono soprattutto dati e materiali oppure storie, e resta l’impressione che siano ancora loro - i media - a tenere in mano l’agenda, cioè a scegliere i temi e le occasioni in cui parlarne, e soprattutto i modi. Molto più rari sono i casi in cui è il volontariato a proporre e i media ad accettare. Il rischio è dunque che un’organizzazione abbia accesso alla grande informazione solo nella misura in cui si adatta alla filosofia, allo stile, alla scala di priorità dei media, accettando di fatto un ruolo subalterno. (Rosito, Springhetti 2001) Il difficile ruolo della comunicazione del volontariato rimane allora quello di trovare un difficile equilibrio tra la spinta ad adottare acriticamente le “regole” dei mass media e le prassi del giornalismo e quella ad esserne tanto lontana da non comprenderle, ma di non avere neanche alcuna possibilità di modificarle, di incidere sulla realtà. Un’ultima indicazione, quasi un dettaglio. Per comunicare in modo effi- 104 cace non è solo necessaria una buona struttura e organizzazione, oltre alla professionalità nell’agire. Mancano gli ingredienti spesso non considerati e quindi non presenti nei succitati manuali di public relation: creatività e cooperazione. Si tratta di componenti necessarie a tutti i comunicatori, ma sono indispensabili per la comunicazione che il volontariato può, e spesso deve, mettere in campo. Sviluppare un’idea originale, scoprire un legame o un modo diverso di affrontare un tema o una questione, persino trovare una formula evocativa per etichettare la propria campagna, il proprio comunicato stampa o il tema che si affronta può rendere la propria attività più efficace di un budget milionario o di una rete di contatti molto ampia. L’ulteriore ricchezza possibile del volontariato è il suo essere una comunità di esperienze e idee, la sua stessa capacità di relazione, di invenzione, di rapporto con il sociale. Dalla necessità di comprendere e cambiare, di connettere ed innovare, di aiutare e dialogare, sintetizzata con qualche efficacia da Virginio Colmegna: I verbi possono essere “coinvolgersi”, “conoscendo, partecipando e ascoltando”. Non è possibile diventare ‘redattori sociali’ senza una comunicazione, una riflessione forte dove al centro non ci sia semplicemente la propria visione di partenza che chiede di essere confermata dai fatti ma un modo continuo di interrogarsi su come si comunica la notizia e su come viene vista la risposta. È un percorso difficile che ha bisogno non di una strategia data in partenza, ma di dialogo, interazione. Per informare, conoscersi, coinvolgersi, bisogna creare un sistema di relazioni sociali e di comunicazioni tra gli attori, i protagonisti e quelli che fanno notizia. Non si tratta di costruire delle agenzie che informano ma di cominciare a comunicare, contribuire insieme a cogliere, anticipare. (Colmegna 1999) 107 5. DENTRO L’ASSOCIAZIONE: LA COMUNICAZIONE INTERNA E ORGANIZZATIVA di Andrea Volterrani 5.1 Perché la comunicazione interna è utile alle associazioni di volontariato Per parlare di comunicazione interna in relazione alle associazioni di volontariato è opportuno chiarire innanzitutto le ragioni che ci hanno indotto ad inserire la trattazione di questo argomento tra i temi rilevanti di questo manuale. Occorre spiegare cioè perché, e in quale senso, la comunicazione interna costituisca una questione rilevante per le associazioni di volontariato. Il discorso sulla comunicazione interna è strettamente legato a quello dell’identità di gruppo. Quest’affermazione fa riferimento ad un’idea della comunicazione da intendersi non solo come attività di scambio delle informazioni, ma come dimensione relazionale ben più complessa e profonda. Nella nostra accezione comunicazione è una capacità, e una strategia, propria di una persona ma anche di un gruppo, mirata a creare legami, condivisione, socialità tra le persone, attraverso l’attivazione delle potenzialità di ogni singolo individuo. Nell’espressione comunicazione interna sono da ricomprendersi dunque tutti quei processi che sono attivati all’interno di un’organizzazione al fine di aumentare tra i membri la condivisione sugli obiettivi da perseguire e sulle modalità da attuare per ottenerli, in particolare attraverso la diffusione di conoscenze e competenze progettuali e relazionali. In un’ottica di tal genere, che pone la coesione dei partecipanti come obiettivo essenziale, l’apertura verso i compagni, il dialogo e lo stimolo al confronto e alla cooperazione divengono elementi indispensabili di una strategia di azione consapevole. L’incremento della coesione tra i membri passa attraverso un rafforzamento del riconoscimento interno, ovvero del senso di appartenenza che lega ogni singolo individuo al gruppo. Alla lunga, anche l’immagine esterna dell’organizzazione subisce un cambiamento positivo, perché è quasi scontato che la maggiore consapevolezza e fiducia nelle proprie possibilità incidano concretamente sul modo in cui un soggetto (in questo caso un gruppo) si rapporta agli altri. Lavorando in questo senso, dunque, la comunicazione interna costruisce e rafforza l’identità di un gruppo. E’ ovvio che l’associazione di volontariato, soltanto per il fatto di essere 108 un gruppo, è già direttamente interessata dal problema della comunicazione interna. Esistono però altre ragioni che fanno avvertire il tema della comunicazione interna come un’esigenza specifica e immediata delle associazioni di volontariato. Il mondo del non profit in generale, e le associazioni di volontariato in quanto sue componenti, stanno attraversando, in Italia, una fase particolarmente delicata della loro esistenza. A determinare questa condizione di instabilità e incertezza è in primo luogo la difficoltà che questi soggetti manifestano nel costruirsi un’identità, se non stabile, almeno chiaramente riconoscibile. Fino a qualche tempo fa la maggior parte delle associazioni non si poneva neppure il problema di sanare la frattura spesso esistente tra un’immagine interna fatta di convinzioni solide ed orgogliose, e una percezione esterna, in cui ammirazione e gratitudine per il ruolo svolto dai volontari nel sociale si mescolavano di fatto ad una scarsa conoscenza delle logiche e dei metodi con cui questo lavoro era stato compiuto. Adesso che si discute sulle diverse modalità per riconoscere a tutto ilTerzo Settore un ruolo più consono alle sue potenzialità, le associazioni non possono più esimersi dalla responsabilità di dichiarare in modo esplicito i fini che perseguono, la natura delle loro strutture e i rapporti che vorrebbero instaurare con altri soggetti. Risolvere questi dubbi di fronte alla società civile significa avviare un’opera di chiarificazione degli obiettivi, dei ruoli e delle funzioni delle singole persone che compongono l’associazione; questa operazione deve avvenire, prima di tutto, internamente al gruppo. Poiché tale esigenza non può più essere rimandata (pena la perdita di credibilità e fiducia da parte di quei settori –politico ed economico- dei quali finalmente si è suscitato l’interesse), la questione della comunicazione interna per le associazioni di volontariato è ormai irrinunciabile. 5.2 Il mondo interno dell’associazione Una volta appurata l’utilità per l’associazione di volontariato di affrontare il problema della comunicazione interna, e delineati a grandi linee i suoi fini, il passaggio successivo consiste nell’individuare con precisione i soggetti che devono sentirsi direttamente coinvolti dalla nuova strategia di comunicazione. Potrebbe apparire una precisazione scontata, perché elencare i compo- 109 nenti di un gruppo è un’operazione semplicissima, quasi intuitiva. In questo caso però si è ritenuto opportuno soffermarsi su questo punto per almeno due ragioni: la questione del coinvolgimento dei membri assume nell’associazione di volontariato una rilevanza del tutto particolare rispetto a quella che può avere in un qualsiasi altro gruppo, per la natura completamente diversa delle motivazioni che lo sostengono. Poiché una comunicazione interna che si propone di aumentare il senso di appartenenza, la coesione, la fiducia e l’autostima dei membri finisce per incidere direttamente sul loro coinvolgimento, è bene non lasciare dubbi su chi è chiamato a prendere parte a questo sforzo di rinnovamento. In secondo luogo si è creduto che qualche approfondimento sullo stretto legame che intercorre tra la dimensione organizzativa e quella comunicativa all’interno di un gruppo potesse aiutare il lettore a comprendere meglio l’importanza della comunicazione interna per un’associazione. Una strategia di comunicazione interna che vuol essere efficace deve coinvolgere tutti i membri e i partecipanti dell’associazione. Indipendentemente dal loro numero, indipendentemente dalla struttura più o meno rigida, più o meno verticistica dell’organizzazione, tutti devono percepire, da parte di tutti, una disponibilità all’ascolto e un’attenzione alle proprie esigenze. Quel tutti comprende naturalmente i soci, i volontari, eventuali operatori esterni e/o dipendenti; ma anche gli utenti e quanti fra i cittadini (familiari, amici, conoscenti di utenti…) si trovino, per una qualsiasi ragione, a frequentare l’associazione. Probabilmente il cerchio delle persone appena elencate sarà giudicato di primo impatto troppo largo. Si obietterà certamente che tenere in considerazione le opinioni e i problemi di così tante persone è impresa dispersiva e rischiosa, destinata a risolversi in un insuccesso o, al meglio, in un nulla di fatto. Ci teniamo invece a ribadire che le indicazioni fornite costituiscono il presupposto fondamentale di un qualunque tentativo serio di crescita da parte di un’associazione. Si è parlato non a caso di attenzione e disponibilità all’ascolto, da intendersi come condizioni di base per l’apertura di un dialogo. E’ ovvio che poi il grado di responsabilità e di investimento richiesto alla singola persona per attuare la nuova strategia comunicativa varierà in base all’effettivo coinvolgimento della medesima nell’organizzazione. Ma è anche vero che un’associazione che rinunci, in partenza, a garantire queste condizioni minime di democraticità rischia di trovarsi poi seriamente impacciata al momento di dover definire la sua mission. Il coinvolgimento generale è dunque il presupposto fondamentale di una comunicazione interna perseguita seriamente. 110 Sulla base di quanto detto finora, dovrebbe risultare chiaro che il concetto di comunicazione interna cui si fa riferimento in questo testo presenta, per certi aspetti, elementi di forte affinità e contiguità con quello di organizzazione, intesa come processo e come struttura. Una buona comunicazione interna favorisce una più rapida ed efficace risoluzione dei processi di lavoro in corso, e quindi migliora l’organizzazione dell’associazione; allo stesso tempo una comunicazione interna efficace ha bisogno alle spalle di un’organizzazione che funzioni. Le due dimensioni, quella comunicativa e quella organizzativa, all’interno di una medesima struttura sono evidentemente correlate e talvolta non ben distinguibili. Questo emerge anche dall’analisi di Quaglino (1992), per il quale la comunicazione (interna ad un gruppo) rappresenta “un fatto organizzativo globale”, in quanto investe ogni aspetto dell’organizzazione. Lo scopo di questa seconda osservazione è di ribadire l’importanza della comunicazione interna anche in relazione agli aspetti organizzativi e gestionali dell’associazione; e di sottolineare la stretta connessione di elementi tecnici e relazionali all’interno di una medesima strategia comunicativa. A questo punto non possiamo esimerci dal fornire delle indicazioni circa le modalità e gli strumenti concreti cui fare ricorso per impostare una strategia di comunicazione interna efficace. Prima di assolvere a questo compito riteniamo però doverosa un’ulteriore precisazione. La strada fin qui proposta (impostazione e adozione di una strategia di comunicazione interna finalizzata al rafforzamento dell’identità e della coesione tra i membri e, conseguentemente, alla fluidificazione dei meccanismi organizzativi) non è esente da rischi. L’adozione di pratiche di cooperazione e di concertazione può infatti favorire, soprattutto nelle fasi iniziali di discussione, l’emergere di opinioni e punti di vista differenti. Nel caso in cui le posizioni divengano inconciliabili, esiste la possibilità concreta che all’interno dell’associazione si manifestino conflitti e fratture. Ipotesi senza dubbio spiacevole, soprattutto in un contesto, come quello del volontariato, in cui la componente umana e relazionale dovrebbe giocare un ruolo fondamentale; ma si tratta di un rischio inevitabile in un percorso di crescita come quello intrapreso da un’associazione che abbia deciso di preoccuparsi della comunicazione interna al gruppo. 5.3 Pensare a una strategia di comunicazione interna Sulle strategie e gli strumenti da utilizzare per una comunicazione effi- 111 ciente ed efficace all’interno di un gruppo esiste una bibliografia di riferimento abbastanza consistente. Il problema è che i destinatari ideali di queste opere sono delle organizzazioni (imprese ed enti pubblici in prevalenza) da cui le associazioni di volontariato si distinguono nettamente sia per quanto riguarda la natura della struttura, sia riguardo alle finalità perseguite. Poiché il discorso sulla comunicazione interna investe quello dell’identità della struttura, il fatto che un’associazione di volontariato abbia scelto di muoversi in base a logiche non necessariamente orientate al profitto (e talvolta perfino in aperto contrasto con queste) rende improponibile ogni tentativo di applicazione automatica al volontariato delle strategie pensate per le aziende. Considerando però che ad accomunare le due realtà (l’impresa economica tradizionale e il volontariato) rimane il fatto che si tratta in entrambi i casi di gruppi di persone che lavorano insieme, sarebbe stato poco sensato non ricercare, fra le indicazioni proposte dalla letteratura sulla comunicazione interna d’impresa, quelle che, opportunamente rivisitate, potessero risultare utili anche in un discorso di questo tipo. Integrandole con altre idee pensate appositamente per il mondo del volontariato si dovrebbe riuscire a ricavarne un vademecum specifico per le associazioni di volontariato. Le pagine che seguono costituiscono il risultato di una riflessione che, tenendo in conto le premesse fatte fino ad ora, si propone di trovare una prima risposta alla domanda: cosa deve fare un’associazione di volontariato per migliorare la sua comunicazione interna? A quali strumenti deve ricorrere? E in quale modo deve perseguirli? Una volta inquadrati teoricamente i fini e il senso per cui questo processo deve essere avviato, l’intento adesso è quello di scendere ad un livello di analisi più concreto, fornendo una serie di suggerimenti che si prestino ad un’immediata realizzazione pratica anche da parte di soggetti non esperti di comunicazione. Un ultimo avvertimento prima di passare alla rassegna degli strumenti proposti. Questo testo è pensato in modo specifico per le associazioni di volontariato. Esse costituiscono nel loro insieme un mondo assai eterogeneo. E’ ovvio che rivolgersi a un pubblico così variegato comporta la necessità di mantenere il discorso ad un certo livello di generalità. Sarà compito di ogni socio/volontario interpretare i nostri consigli adattandoli alle caratteristiche e alle esigenze specifiche della propria associazione. L’unico aiuto che da parte nostra può venire in questo senso è elencare una serie 112 di variabili che sicuramente incidono in modo determinante nel definire l’identità dell’associazione. Le variabili sono le seguenti: - numero dei soci/volontari/dipendenti/obiettori numero degli utenti tipo di relazione prevalenti tra soci e volontari, tra volontari e tra volontari e utenti dimensioni e qualità delle sedi operative estensione territoriale/ambito territoriale di azione caratteristiche sociali, culturali ed economiche del territorio tipo di servizio offerto (interno/esterno, particolare/universale, gra tuito/convenzionale, occasionale/continuativo) caratteristiche dei volontari (età, professione, motivazione, professio nalità, capitale culturale, capacità relazionali …) caratteristiche degli utenti (età, professione, tipo di disagio, capitale culturale, capacità relazionali …) modalità operative prevalenti nel gruppo (lavoro di gruppo, lavoro individuale, abitudine alla supervisione…) E’ opportuno, a nostro avviso, che chiunque decida di lavorare sulla comunicazione interna, prima di passare all’azione, si fermi a considerare quanto e come ciascuna delle dimensioni appena nominate può influenzare le scelte fatte in fase di elaborazione di una strategia di comunicazione. 5.4 La strategia e gli strumenti della comunicazione interna Completata la presentazione della cornice nella quale ci muoviamo, possiamo finalmente dedicarci alla descrizione delle modalità di azione concreta. Affronteremo in primo luogo alcuni problemi concernenti l’impostazione generale della strategia, per passare poi alla rassegna degli strumenti da utilizzare per attuarla. 5.4.1 La strategia Il punto essenziale da precisare riguardo all’adozione della strategia è che essa deve essere chiara e consapevole. Decidere di lavorare sulla comuni- 113 cazione interna significa assumersi l’impegno di pensare preventivamente un percorso e regolare a tal fine l’uso degli strumenti disponibili. Il processo deve essere finalizzato al perseguimento di un’immagine coerente e coordinata del gruppo. La discontinuità e l’improvvisazione, in un’operazione di tal genere, costituiscono una garanzia di fallimento. Alla base di ogni provvedimento deve esserci perciò uno sforzo continuo di progettazione e programmazione. Avendo già anticipato che, per ottenere una comunicazione interna efficace, il coinvolgimento delle persone deve essere il più ampio possibile, l’unico dubbio da sciogliere riguardo ai partecipanti è quello dell’identità del promotore: chi deve prendere l’iniziativa di proporre, ed eventualmente pensare ed avviare, una strategia di comunicazione per l’associazione? Chiunque, indipendentemente dalla posizione che vi ricopre, percepisca all’interno dell’associazione l’esigenza di affrontare questo problema dovrebbe assumersi la responsabilità, nei tempi e nei modi che riterrà più opportuno, di sollevare la questione. 5.4.2 Gli strumenti 5.4.2.1 Lavoro sulle relazioni interpersonali Fra gli strumenti che possono essere utilizzati per intraprendere questo cammino di crescita dell’associazione ce n’è uno che per rilevanza e significatività si distingue di gran lunga da tutti gli altri. Si tratta del lavoro da compiersi sulle relazioni interpersonali. Costruire un gruppo significa, in primo luogo e innanzitutto, lavorare sulle persone. Accrescere il consenso e il coinvolgimento, diffondere le competenze, maturare il senso di responsabilità e sostenere la fiducia sono attività che possono fondarsi solo sulla sollecitazione del singolo e sulla costruzione di una rete di rapporti. Esistono in proposito diverse strategie di azione. La psicologia dei gruppi potrebbe fornircene vari esempi. Quella che noi vogliamo proporre è conosciuta con il nome di empowerment. La complessità, la delicatezza e l’importanza da noi attribuite a questo tema ci hanno convinto dell’opportunità di riservargli una trattazione separata. In questa sede ci limiteremo perciò ad alcune osservazioni di carattere estremamente generale, applicabili a qualunque metodologia di azione. 114 Le relazioni si costruiscono nel tempo, con un lavoro fatto di pazienza e di costanza. E si mantengono con una pratica quotidiana di cura e sollecitazione. Indipendentemente dalle inclinazioni personali, esse vanno comunque improntate a quel minimo di cortesia e disponibilità che è auspicabile ovunque, ma che sarebbe quasi un controsenso non trovare in un’associazione di volontariato. Infine, è bene imparare a non dare mai per scontato il carattere positivo di una relazione (per esempio tra i volontari stessi o tra i volontari e gli utenti). E’ un atto di ingenuità frequente, che la realtà smentisce più spesso di quanto non ci si aspetti. L’esperienza insegna che, nei rapporti tra individui, esistono delle dinamiche di azione che tendono a riprodurre delle opposizioni (formale/informale, superiore/inferiore, debole/forte, assistente/assistito, interno/esterno, incluso/emarginato, amico/nemico, giovane/vecchio, uomo/donna) dalle quali è molto facile che scaturiscano tensioni e fratture. Imparare a gestire l’esplosione dei conflitti, e cominciare a pensare a come prevenirli, è l’atteggiamento più costruttivo per un serio piano di comunicazione interna. 5.4.2.2 Empowerment I soggetti che costituiscono un’associazione di volontariato sono diversi in relazione alle dimensioni e all’attività svolta dall’Associazione di cui fanno parte. In generale possiamo affermare che al massimo possono essere presenti i seguenti gruppi di soggetti: 1) 2) 3) 4) Volontari Soci Dipendenti Operatori e operatrici di servizio civile Non necessariamente fra tali gruppi esistono divisioni nette. Un socio può far parte della forza volontaria attiva, può essere o essere stato un operatore di servizio civile, o anche un dipendente; un dipendente può prestare nelle ore libere dal lavoro la sua attività quale volontario e così via. Quello che emerge chiaramente dall’analisi dei quattro diversi gruppi è che le motivazioni specifiche che li legano all’associazione possono essere anche molto diverse. 115 Maggiori analogie si possono sicuramente ricercare fra le motivazioni che spingono i volontari ad operare presso quella associazione in particolare, i soci a sostenerla ed ad utilizzarne le risorse, gli operatori di servizio civile a decidere di fare domanda di servizio presso di essa. Accanto alla motivazione ideologica, c’è spesso quella territoriale, e non ultima quella affettiva. I dipendenti invece arrivano all’associazione in quanto chiamati a svolgere un compito per il quale percepiscono alla fine del mese uno stipendio. Possono decidere di rimanere legati a quella struttura per tutta la vita, possono trovarsi più o meno bene, possono più o meno condividere gli obiettivi dell’associazione, ma quello che li contraddistingue è che sono legati da un rapporto lavorativo con tanto di mansionario, diritti, doveri, retribuzione stabiliti da un contratto. Di queste particolari differenze si deve sicuramente tenere conto quando si lavora sulla formazione, riqualificazione e coinvolgimento di questi soggetti. Lavorare sui vari gruppi di soggetti presenti nell’associazione, consente di migliorare il clima interno e le comunicazioni, facilita il passaggio di informazioni e la creazione di un modello organizzativo il più possibile condiviso e conseguentemente efficiente. Il tipo di percorso formativo da proporre per i vari gruppi deve conseguentemente avere obiettivi diversi perché diverso è il rapporto che ciascun gruppo ha con l’associazione nel suo complesso. Sebbene ci sia quindi l’esigenza di utilizzare percorsi formativi specifici che trattino particolari temi, ed approfondiscano particolari concetti, è comunque necessario porre in primo luogo attenzione proprio a questo tipo di rapporto. Lavorare sui legami che i vari gruppi hanno fra di loro o fra i soggetti che ne fanno parte e sul rapporto che esiste con l’associazione, dovrebbe essere il primo obiettivo nella programmazione di un qualsiasi percorso formativo interno. Il modello proposto fa riferimento alla teoria ed alla prassi dell’empowerment (Piccardo, 1995). L’obiettivo fondamentale è quello di far crescere consapevolezza, responsabilità, autonomia ed autostima sia a livello individuale che collettivo. In una parola “dare potere” agli individui, ai gruppi, alle organizzazioni aumentando il coinvolgimento ed il senso di appartenenza attraverso un allenamento continuo alle codecisioni, alla critica costruttiva, alla valutazione congiunta dei risultati. Gli obiettivi specifici di un percorso di empowerment possono essere così riassunti: 116 - Far conoscere l’Associazione che promuove il corso: la sua organizzazione interna, i soggetti di riferimento, le attività organizzate, il ruolo dei vari soggetti ed in particolare dei volontari - Promuovere lo scambio di esperienze fra i partecipanti, educarli all’ascolto, al confronto ed alla rielaborazione di tali esperienze - Lavorare sulle motivazioni che spingono i volontari ad entrare a far parte dell’associazione - Valutare le aspettative di ognuno - Rafforzare le risorse e le potenzialità del singolo e del gruppo dei volontari Gli incontri tenuti da esperti di comunicazione e di tecniche di animazione sono rivolti a piccoli gruppi di massimo 20 partecipanti. Ogni incontro è caratterizzato da una metodologia attiva, coerente con gli obiettivi, atta a garantire il massimo coinvolgimento dei partecipanti ed a utilizzare l’esperienza di cui ciascuno è portatore. La metodologia è così appresa dall’esperienza diretta che consente di favorire i rapporti umani e lo scambio delle esperienze fra i membri del gruppo. La presenza di un conduttore (trainer) ha lo scopo di aiutare il gruppo a prendere coscienza della propria realtà e di quella degli altri, piuttosto che quello di dare risposte o soluzioni. In genere dopo un percorso di empowerment gli individui e i gruppi raggiungono gli obiettivi prefissati. I problemi principali sono la chiusura e la continuità. Una volta costituito il gruppo, aumentato il grado di coinvolgimento e il senso di appartenenza, non sempre si riesce ad allargare ad altri individui o altri gruppi il percorso effettuato per la costruzione di un’identità escludente. Inoltre perché l’empowerment possa sviluppare i suoi effetti nell’organizzazione, il “cuore” delle metodologie e degli elementi fondanti dovrebbe essere continuamente rinnovato. Infine il “costo emotivo” (in termini strettamente emozionali, ma, anche, relazionali) per alcuni individui potrebbe risultare troppo alto, tanto da provocare prematuramente la fuoriuscita dal percorso o addirittura ostacolare il lavoro del gruppo. 5.4.2.3 Le riunioni In tutte le organizzazioni si tengono, più o meno regolarmente, delle riunioni. Purtroppo non sempre si riesce ad afferrare e a far percepire l’importanza e la funzione strategica che queste occasioni dovrebbero avere. 117 Anzi, spesso l’impressione è che questi appuntamenti non costituiscano altro che una perdita di tempo, in cui al fastidio per il senso di inconcludenza si aggiunge quello di una lunghezza anche faticosa da sopportare. In un’ottica seriamente orientata alla concertazione e alla cooperazione, le riunioni dovrebbero configurarsi come il luogo ideale di mediazione, negoziazione e risoluzione dei conflitti. Dovrebbero essere concepite come l’ambiente più favorevole per la costruzione di un dialogo vero tra tutti i partecipanti; una discussione democratica finalizzata alla integrazione, e mai all’esclusione, dei soggetti più deboli e svantaggiati. Perché questa divenga davvero la percezione dei partecipanti, occorre che si dedichi del tempo alla preparazione dell’evento: la data della riunione deve essere comunicata preventivamente ai partecipanti, accompagnata da un ordine del giorno (breve, ma con una formulazione chiara e definita degli obiettivi, degli interventi e dei tempi di discussione previsti); sarebbe opportuno verificare da subito la disponibilità e l’interesse dei partecipanti, e contrattare, dove possibile, le modifiche richieste alla data e al programma. Durante la seduta è fondamentale che i ruoli dei partecipanti e i tempi fissati siano rispettati; sarebbe inoltre utile raccogliere e distribuire materiali di presentazione, di supporto e di approfondimento al dibattito. La periodicità (magari contrattata) aggiungerebbe ufficialità agli incontri, trasformando l’episodio della riunione in un evento atteso. 5.4.2.4 Le assemblee Quando dalle riunioni (organizzate per un numero ristretto di persone) si passa alle assemblee (aperte a tutti gli operatori), ai problemi delle prime si aggiungono in genere un senso di smarrimento e di inutilità da parte dei membri dovuti alla sensazione che gli interventi dei relatori siano autoreferenziali e che in realtà le decisioni sui temi discussi siano già state prese in altra sede. Il problema è molto simile a quello presentato nel caso precedente: trasformare un episodio la cui percezione è connotata quasi esclusivamente in termini di noia ed inutilità in un’occasione reale di scontro ed incontro presuppone, da parte dei promotori, una volontà sincera di democratizzazione dei canali di partecipazione. E l’attenzione, da parte degli organizzatori, ai particolari già segnalati per la preparazione delle riunioni. 118 5.4.2.5 Gli eventi socializzanti interni Se quella che si vuole costruire è una coesione seria e duratura, le occasioni di incontro non possono essere limitate alle situazioni di lavoro. Questa considerazione, alla quale si comincia a riconoscere un suo valore anche in ambienti di lavoro orientati prevalentemente al profitto, assume una rilevanza davvero notevole in un contesto, come quello dell’associazione di volontariato, in cui la motivazione e gli aspetti psicologici giocano un ruolo così fondamentale per la partecipazione e il coinvolgimento degli individui. Le feste, le gite, le cene, gli spettacoli, le pause sono da considerarsi occasioni fondamentali e privilegiate per la costruzione di relazioni e per il rafforzamento del senso di solidarietà e amicizia tra tutti i membri dell’associazione. Ne discende immediatamente l’importanza di gestire bene, e ancora prima di creare, momenti di incontro che favoriscano la socializzazione di soci, volontari e utenti. 5.4.2.6 La gestione degli spazi In conseguenza e coerentemente con quanto detto fino ad ora a proposito dell’importanza dei rapporti tra le persone, si manifesta la necessità di porre attenzione alla gestione degli spazi che l’associazione ha a disposizione all’interno della sua sede. La disposizione e lo sfruttamento degli spazi, se gestiti in modo intelligente, possono avere una loro influenza non solo sugli aspetti strettamente organizzativi dell’associazione, ma anche sulle dinamiche relazionali che intercorrono tra i vari membri del personale interno dell’associazione, e tra questi e i cittadini che, in qualità di utenti o di prossimi a questi ultimi, si ritrovano a frequentare l’associazione. Le caratteristiche particolari di ogni sede rendono inutile in questo contesto fornire qualunque indicazione di carattere generale; ci accontentiamo di aver attirato l’attenzione su un problema che ciascuno affronterà ricorrendo all’aiuto della propria fantasia e creatività. 5.4.2.7 La corrispondenza Il problema della gestione delle informazioni è uno dei nodi cruciali sui 119 quali sono chiamate a confrontarsi le organizzazioni che aspirano ad essere riconosciute efficienti. Dimenticanze, lentezze e disguidi nei canali di distribuzione interni; difficoltà di comprensione del messaggio, dovute all’utilizzo di espressioni retoriche e/o eccessivamente formali; ridondanza e scarsa sinteticità del testo; questi e altri difetti favoriscono la diffusione tra i destinatari di un atteggiamento di scarsa attenzione e disinteresse verso la posta loro indirizzata. E al contempo li privano dell’iniziativa di affidare al testo scritto note e appunti che invece sarebbe bene registrare per iscritto. Al contrario, l’abitudine a costruire testi brevi ed essenziali, in un linguaggio chiaro e preciso, insieme ad una gestione rapida ed efficiente dei messaggi, renderebbe molto più fluidi i meccanismi di comunicazione all’interno dell’associazione. Infine, un piccolo accorgimento da parte del mittente al fine di personalizzare il messaggio (magari scrivendo a mano l’intestazione, oppure aggiungendo due righe di saluto…), sarebbe sintomo, oltre che di gentilezza, di un sincero interesse nei confronti della persona destinataria. 5.4.2.8 La newsletter interna50 All’interno del discorso sulla comunicazione interna, un posto speciale spetta alla newsletter, lo strumento per eccellenza deputato alla diffusione delle informazioni sullo stato e le attività dell’associazione. Considerata l’importanza che le è conferita, è bene che la preparazione della newsletter sia accurata sia per quanto riguarda la forma che per i contenuti. Una veste grafica accattivante, la chiarezza e la semplicità del linguaggio, la diffusione attraverso mezzi che siano facilmente accessibili e da tutti condivisi sono i requisiti indispensabili cui deve rispondere questo strumento. Anche la scelta dei temi, e l’ottica in cui si decide di declinarli, dovrebbero rispondere a criteri di significatività e coerenza. Una calendarizzazione regolare della distribuzione contribuirebbe a dare visibilità all’iniziativa. 50 Sulla newsletter come strumento editoriale vedi capitolo 8 120 5.4.2.9 Il logo e le sigle. La calendarizzazione degli eventi Sui motivi che rendono necessaria la costruzione di un’immagine coordinata e coerente dell’associazione ci eravamo già soffermati parlando dei caratteri generali di una strategia di comunicazione. Tali ragioni sono tutte riconducibili comunque al discorso più ampio sull’identità e sull’esigenza di rafforzamento della coesione del gruppo. A questo fine contribuisce in modo determinante, operando contemporaneamente sul versante interno e su quello pubblico dell’immagine, l’uso ripetuto di tutti quegli strumenti visivi (logo, sigle varie, etichette) che servono a dare visibilità all’associazione e alle sue attività. La riproposizione dei medesimi tipi di materiali (cartelline, manifesti…) in occasioni diverse e possibilmente cadenzate, così come la calendarizzazione degli eventi, innescando un processo di routinizzazione delle attività, contribuirebbe in modo notevole a rafforzare la percezione di continuità, affidabilità e dunque solidità dell’associazione. 5.4.2.10 La bacheca Sempre in una logica di routinizzazione degli eventi deve essere letto il suggerimento per l’organizzazione di una bacheca per l’affissione dei messaggi a uso interno dell’associazione. Da collocarsi naturalmente in luogo visibile e accessibile a tutti, la bacheca può facilmente essere gestita in modo da comprendere uno spazio per le comunicazioni più urgenti ed importanti; una parte invece è giusto che sia lasciata alla fantasia libera e creativa di chiunque abbia voglia di ritagliarsi un angolo per una comunicazione più informale. Accorgimenti piccoli ma utili: soprattutto nella sezione “ufficiale” della bacheca, è bene fare attenzione ad una disposizione ordinata e non casuale dei messaggi; da evitare, ad esempio, assolutamente l’affissione di fogli dello stesso colore in una stessa parte della bacheca. 123 6. VOLONTARI NELLA RETE di Marco Binotto 6.1 Informatica: allontanarsi dai preconcetti Il mondo dell’informatica, dei computer e della rete - come d’altro canto il volontariato - gode di una popolarità del tutto ambigua. In apparenza sembra noto a molti, tutti conoscono la sua esistenza e prima o dopo lo incontrano nella vita quotidiana, ma questa conoscenza è comunque superficiale, spesso connotata da semplificazioni e inesattezze. Come è avvenuto per il rapporto con i mass media ci si deve qui confrontare con una serie di stereotipi e pregiudizi, in alcuni casi meno immotivati, in altri del tutto fondati. Come tutti gli stereotipi queste immagini allegoriche, pur basandosi su alcuni elementi di verità, semplificano la realtà e rappresentano, spesso, più la concretizzazione di timori e paure che una guida alla comprensione: giustificano la nostra ignoranza, circondandola di miti affascinanti quanto dannosi. Occorre quindi affrontarli: alcuni nascondono rischi insiti in queste tecnologie, in altri casi sono del tutto legittime, come molte altre critiche rivolte ai mezzi di informazione. Sarete però d’accordo nel non ritenere accettabili critiche che, al contrario, nascono da una mancata o erronea conoscenza: non si può giudicare senza conoscere. Anche per il computer e le reti telematiche occorre affrontare direttamente questi preconcetti e queste diffidenze, evidenziando quali siano le qualità che possono essere utili al volontariato. Difatti, per i mass media la diffidenza è giustificata dal modo in cui, in particolare i news media, dipingono il volontariato e i temi “sociali” di cui si occupa. Nel caso degli elaboratori elettronici, delle tecnologie digitali e dalla rete Internet appare quanto mai impropria. Innanzitutto ripercorrendo la storia del personal computer e quella della rete delle reti si possono incontrare molti punti in comune con i valori e i principi di fondo, l’ispirazione e le pratiche concrete del volontariato. Osservando con maggiore attenzione possiamo notare come, per molti aspetti, la comunicazione mediata dal computer, ma anche le numerose pratiche e comunità di fruitori della rete, come quelle dei realizzatori di contenuti e infrastrutture di connessione, possono apparire sorprendentemente simili, ma anche utili, al tipo di comunicazione che auspichiamo per il volontariato. Come avviene sin troppo spesso per il volontariato, questa parte del passato e del presente dell’informatica non riceve l’attenzione dovuta. Non è certo la più cele- 124 bre, né quella che domina il discorso politico o gli orientamenti economici, anzi spesso è addirittura criminalizzata. Non è certo la più spettacolare o ricca eppure, come il volontariato, costituisce le fondamenta del vivere sociale e contribuisce al ben pubblico. Questa parte della storia delle rete e dell’informatica piuttosto ne costituisce il cardine, oltre che la speranza. Sono meno note dei profitti miliardari della Microsoft di Bill Gates, delle minacce dei “pirati informatici” o dei torbidi traffici pedo-pornografici, ma non di meno – proprio come il volontariato – sono parti della realtà sociale non meno importante e forse non meno diffusa. Iniziamo però dalla prima e più ingombrante serie di pregiudizi. Quelli rivolti all’attrezzo incomprensibile ai più, quando non pericoloso: il “cervello elettronico”. 6.2 Il computer: da macchina per calcolare a strumento di comunicazione A cosa serve il computer, e soprattutto, cosa fa? Per molti anni il computer è stato immaginato come una macchina per realizzare calcoli, un “calcolatore elettronico”, successivamente è diventato un “cervello elettronico”, cioè tendenzialmente una macchina “intelligente”. Sono numerosissimi i film o le immagini documentarie in cui il computer è stato ritratto alternativamente come “calcolatore” o come “cervellone”. Nel primo caso abbiamo grandi meccanismi, circondati da tecnici in camice e ricoperti da bobine di nastro magnetico, che compiono ogni tipo di calcolo. Questi computer rispondono alle domande con sequenze di numeri dalla ferrea e fredda logica delle macchine. Ebbene, questa immagine è quella più vicina all’origine moderna del computer. La seconda metafora assomiglia più da vicino ad un incubo. Possiamo rimandare, in questo caso, a delle immagini di finzione cinematografica: ricordate il celebre Hal9000 – il computer intelligente del film 2001 Odissea nello spazio – che, acquisite facoltà, emozioni e istinti di autocoservazione fin troppo umani, uccise l’equipaggio della nave spaziale che governava? Oppure, se siete troppo giovani per ricordare il film di Stanley Kubrik, potete riprendere l’incubo più recente delle “macchine” di Matrix che, divenute intelligenti, dominano l’uomo invece di servirlo. Non è questa la sede per approfondire l’origine o i timori nascosti dietro queste immagini, quel che è certo è che rappresentano due cause, o almeno le loro manifestazioni, della diffidenza spesso associata all’uso del personal computer. La trilogia di Matrix però illustra anche un’altra immagine solitamente associata al mondo dei computer e della rete: la cosiddetta realtà virtuale. Il computer sarebbe portatore, in 125 questo caso, di un mondo parallelo, completamente separato dalla realtà reale. Ma affronteremo questo spettro più avanti. Per ora ci limiteremo ad affrontare le prime due visioni, i primi due spettri. La prima immagine, quella del grande calcolatore elettronico, è – come dicevamo – quella più vicina alle origini storiche e al funzionamento interno del BIT: è uno dei termini teccomputer. Paradossalmente, infatti, i primi nici più noti e stravaganti. computer erano apparecchiature molto Termine nato dall’unione dei grandi e costose utilizzate in prevalenza termini BInary digIT, identifiall’interno di grandi complessi industriali, ca l’unità di misura minima dall’apparato militare e nella ricerca scientidell’informazione elaborata fica, in virtù della loro capacità di effettuare dal computer. La “cifra digie archiviare un’enorme mole di calcoli e tale” che può assumere solo dati. Solo dei tecnici altamente qualificati ne due valori: zero o uno, acceconoscevano il funzionamento e potevano so o spento. utilizzarle: comunicavano con il calcolatore attraverso dei congegni meccanici molto complessi quanto rudimentali quali i nastri magnetici e le schede perforate. Il calcolatore elaborava numeri e cifre e, quindi, solo conoscendo il suo linguaggio, fatto di zeri e uni (i celebri bit), cifre decimali o esadecimali51, era possibile comprenderne i risultati e programmarne il funzionamento. Quest’ultima dote del calcolatore, quella cioè di essere una macchina programmabile sarà una di quelle che contribuirà a decretarne il successo. Anche se in misura molto minore rispetto a oggi, anche quei computer potevano svolgere una serie molto ampia di funzioni, cioè si poteva scegliere da una lista i calcoli e le manipolazioni numeriche possibili, farle eseguire e, quindi, attenderne il risultato. La stessa macchina poteva eseguire azioni e adempiere funzioni, anche molto diverse, a seconda della lista di istruzioni (il programma) fornite e di quali dispositivi di ingresso e uscita dei dati e dei risultati fossero disponibili. Speriamo di aver riassunto efficacemente in queste poche righe la sostanza delle origini del computer perché contiene alcune nozioni indispensabili per comprendere al meglio la struttura e la possibile utilità del personal computer. Il computer è una macchina che, nella sua essenza, manipola numeri. Tutto sommato, ancora oggi, anche se si sono ridotte le sue dimensioni e sono 51 Esistono numerosi sistemi di numerazione utilizzati dal computer. Ognuna è caratterizzata dal numero di cifre di base utilizzabili per comporre tutti i numeri: dieci nel nostro sistema decimale, due in quello binario, sedici in quello esadecimale e così via. 126 aumentate a dismisura la sue capacità e potenza, dobbiamo considerare il computer una macchina “stupida”. Si tratta di un elaboratore e manipolatore di simboli, quindi, pur con tutte le sue enormi potenzialità, occorre immaginare il personal computer come un semplice strumento, uno strumento utilissimo, che può modificare la percezione, le possibilità di relazione tra le persone, con gli oggetti e con le conoscenze, ma pur sempre e solo uno strumento. Il computer è programmabile. Le capacità e gli errori possibili nell’uso del computer dipendono dalle istruzioni fornite dai suoi programmi – il suo software – e dall’uso di chi lo utilizza. Con questo non intendiamo affermare, come spesso avviene, che come tecnologia sia neutrale, anzi ciò significa che, non solo la sua struttura tecnica, ma anche i suoi programmi, influenzano e condizionano in modo decisivo il suo utilizzo e le conseguenze che può avere sulle nostre vite. Quindi, la scelta dei programmi e del software utilizzati è fondamentale per determinare uso, ruolo e influenza del computer. A conferma di questo ruolo vi è la stessa storia del cambiamento che ha portato questi enormi calcolatori – centralizzati, astrusi e costosi – in dispositivi economici e facilmente utilizzabili. Tale cambiamento è stato determinato proprio dal modo in cui sono stati costruiti i programmi che li controllavano, dalla tecnologie e i dispositivi di cui erano forniti e dal tipo di utilizzo per cui venivano progettati. Della metafora che ne ha orientato l’uso sociale (Bennato 2002). Tutto sommato, la seconda immagine, quella dell’intelligenza artificiale, è quella che ha orientato il suo sviluppo recente. Infatti, da macchina immaginata e realizzata per effettuare calcoli e operazioni logiche52, il computer è diventato una macchina in grado di manipolare, trasmettere e memorizzare simboli ed informazioni. Tuttavia, l’immagine del “cervello elettronico” è comunque fuorviante. Infatti, concepisce il computer come una artefatto potenzialmente senziente: la capacità dei suoi sistemi operativi e programmi attualmente diffusi di renderlo facile e immediato nell’utilizzo, di avvalersi di icone e di un linguaggio apparentemente naturale per controllarlo, in qualche modo, lo umanizza, rendendo vivida l’immagine di un dispositivo “che può pensare”. Invece, come vedremo meglio nelle prossime pagine, si tratta ora di una tecnologia che può facilitare e orientare le relazioni sociali, diffondere informazioni e opere d’arte, permettere la cooperazione e lo scambio tra i cittadini oltre ad effettuare calcoli, archiviare dati e 52 Le operazioni logiche – fondate sulla distinzione vero-falso – pur fondandosi su di un calcolo matematico permettono di programmare il computer per compiere delle scelte. 127 rendere automatici i compiti ripetitivi riducendo il lavoro e modificando i processi produttivi. Il computer è uno strumento per amplificare e potenziare le attività umane, la nostre capacità cognitive, il nostro lavoro e le nostre capacità di comunicazione, non per sostituirsi alla nostra intelligenza. Serve ad aiutare l’intelligenza e l’umanità, non a sostituirla. L’informatica, se utilizzata in modo appropriato, può rappresentare un’enorme occasione per il volontariato, per i comportamenti e le intenzioni già proprie del volontariato. Il computer non penserà per noi, ma potrà aiutarci a pensare, ovvero a ordinare le nostre riflessioni, condividerle con altri e tradurle in realtà. Il computer resta una “macchina stupida”, l’intelligenza resta al suo utilizzatore. 6.3 Nuove tecnologie: tutt’altro che neutrali Nel paragrafo precedente abbiamo evidenziato come la riduzione di dimensioni, l’invenzione di interfacce grafiche e del mouse per rendere più semplice e intuitivo il suo utilizzo, non è dipesa solo dallo sviluppo tecnologico, ma dall’intervento di una serie di persone e gruppi organizzati che – prevalentemente in maniera volontaria – hanno modificato il modo in cui veniva usato il computer e quindi il modo in cui funzionava. Questa constatazione ci porta all’ultimo mito che rimane da smascherare. È uno dei più radicati e diffusi, ma anche uno dei più pericolosi: l’idea che le tecnologie – “in quanto tali” – siano neutrali. Invece, il computer, come qualsiasi altra tecnologia o strumento di comunicazione, non è affatto neutrale. Per approfondire: Secondo Marshall McLuhan – pioniere degli Sono numerosi i testi dedistudi sulle tecnologie di comunicazione – cati alla storia delle tecnoloquesta errata convinzione dipende dal fatto gie e al loro rapporto con i che spesso si è troppo concentrati sul conprocessi sociali. Finalmente tenuto dei messaggi trasmessi o trasportati alcuni dei più importanti dai mezzi di comunicazione, mentre il loro sono stati tradotti in italiaprincipale effetto risiede nel modo in cui no. Segnaliamo oltre ai clasmettono in relazione gli esseri umani. Cioè sici lavori di Harold Innis e il medium produce conseguenze non per il Marshall McLuhan, Bijker contenuto che trasporta ma per la sua stessa (1995) e i testi di Patrice esistenza, “perché è il medium che controlla Flichy e Lewis Mumford. le proporzioni e la forma dell’associazione 128 e dell’azione umana” (McLuhan 1964: 16). Se gli “effetti della tecnologia non si verificano infatti al livello delle opinioni e dei concetti, ma alterano costantemente, e senza incontrare resistenza, le reazioni sensoriali o le forme di percezione” (McLuhan 1964: 27), nessuna tecnologia può dirsi neutrale perché basta la sua presenza provocare modificazioni nella struttura sociale e nel comportamento individuale. In questo senso, ogni artefatto tecnologico, una volta definita la sua struttura tecnica e le modalità d’uso, modifica la relazione tra i suoi utilizzatori e la realtà, la strutturazione dei poteri e la diffusione delle informazioni e delle conoscenze. Il momento cardine quindi è proprio la definizione tecnica del suo funzionamento e l’utilizzo sociale che se ne può fare. Innovazione tecnologica si gioca, infatti, tutta sulla definizione di chi dovrà utilizzare le tecnologie? A quale scopo? E, soprattutto, in che modo? Nel caso delle tecnologie informatiche, sono stati proprio i programmatori dei primi computer, alcuni gruppi di appassionati di elettronica e informatica, insieme a gruppi di attivisti politici e sociali, a trasformare un sistema di valori e una passione in un risultato tecnologico, l’immaginario sociale e politico di un’”informatica popolare” in un diverso modo di utilizzare e costruire il computer: hanno trasformato il “microcomputer” in “personal computer” (Flichy 1995: 221). Forse perché consci dell’importanza di rispondere alle domande relative a tutte le innovazioni tecnologiche, sono intervenuti su queste dimensioni: hanno contribuito ad immaginare il computer come una macchina familiare ed economica, prima, e come uno strumento di comunicazione e scambio di informazioni, poi. Steven Levy, un giornalista statunitense, ha ricostruito una storia dell’informatica – molto citata – che mette bene in evidenza il ruolo di programmatori, tecnici e volontari nel costruire l’attuale aspetto del personal computer. E’ stata, ad esempio, la combinazione di una rete di club di appassionati che vedevano l’elettronica e i primi computer come un hobby, una riviste specializzata e una serie di piccolissime imprese ad immaginare e proporre un computer da tavolo, dal costo limitato e che potesse essere utilizzato a casa attraverso sistemi di inserimento e lettura dei dati non troppo complessi. Si trattava degli esperimenti e dell’ambiente culturale all’interno del quale nacquero la Apple – l’azienda che costruì e vendette il primo home computer “industriale” – e la Microsoft del giovane Bill Gates – che diffuse il software che avrebbe fatto funzionare i primi pc della ibm. Riprenderemo più avanti altri passaggi fondamentali di questa storia “alternativa”, per ora ci accontenteremo di trarne una lezione (crediamo) utile alla cultura proposta dal volontariato: 129 Compito del volontariato non è di accettare tutte le innovazioni tecnologiche come qualsiasi new media, quanto piuttosto di scegliere quali, tra le opzioni tecniche e i possibili impieghi, siano più vicini alle proprie finalità, al proprio modo di operare, alla propria cultura. In questo senso, dovrà evitare di utilizzare o essere “condizionata” da tecnologie estranee ai propri valori, concorrendo invece allo sviluppo di configurazioni tecnologiche più vicine agli intenti di solidarietà e partecipazione di cui è portatrice. 6.4 Digitale: un linguaggio “universale” Forse una domanda è rimasta in sospeso: ma come può una macchina costruita per eseguire calcoli a diventare uno strumento di comunicazione? Abbiamo infatti confermato che, attualmente, il computer è ancora una specie di “macchina calcolatrice”. Il segreto del suo sviluppo come medium, non risiede solo nell’evoluzione dei dispositivi che consentono di connetterlo all’esterno come monitor, tastiere, stampanti, scanner, unità a disco e modem. Il “segreto” sta invece tutto nella capacità di trasformare qualsiasi dato sensibile – il suono, l’immagine, la scrittura – in numeri. E’ proprio la trasformazione del caotico mare di informazioni analogiche del mondo “reale” in dati numerici digitali a rendere tali informazioni manipolabili e archiviabili da parte delle tecnologie elettroniche. Sono numeri quelli archiviati nei pc, ma anche nelle fotocamere e telecamere digitali, nei lettori di Dvd e compact disc, nei decoder satellitari. Ognuno di questi dispositivi contiene ormai un piccolo computer, un chip, che ha il compito di trasformare i dati dai formati analogici a quelli digitali e viceversa. Questa “scoperta” ha due importanti conseguenze non solo, che riguardano certo la storia delle tecnologie, ma anche per i possibili usi dell’informatica e della telematica da parte del volontariato. Innanzitutto, la traduzione in digitale di, tendenzialmente, ogni forma di espressione umana consente al computer di modificarle e prepararle per la diffusione (stampa, visualizzazione, trasmissione e così via). Il vero nucleo della rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni è consistita in questa capacità delle tecnologie digitali di tradurre in formato elettronico tutti quei meccanismi di riproduzione e comunicazione del reale quali la fotografia e l’immagine audiovisiva, la musica e il suono, la stampa e la grafica fino alle frontiere della simulazione tridimensionale. Chiunque abbia fatto quattro passi in un negozio di elettrodomestici ha 130 potuto constatare come ormai esiste una versione digitale di qualsiasi strumento di comunicazione e riproduzione analogico e che l’enorme capacità di calcolo degli attuali computer ha reso i pc domestici delle vere e proprie centrali di produzione e riproduzione multimediale. Ovvero, attraverso il computer un qualsiasi ufficio, una qualsiasi abitazione privata o, attraverso i computer portatili, addirittura ogni singolo individuo può diventare un produttore di comunicazione efficace e di qualità. Anche un pc non troppo sofisticato o all’avanguardia, corredato da programmi adatti e spesso molto semplici da usare, può progettare e realizzare molteplici testi comunicativi. Ne sintetizziamo di seguito alcune che, in questa fase, possono essere particolarmente utili al volontariato. Medium Prodotti possibili Programmi o dispositivi necessari Stampa • Redazione di brevi testi graficamente accurati • Redazione di saggi o manuali • Preparazione grafica di immagini e locandine • Progettazione e realizzazione di riviste e brochure • Programmi di elaborazione dei testi (word processor) • Programmi di impaginazione Video • Produzione e montaggio di video-documentari e cortometraggi • Registrazione audiovideo di eventi e manifestazioni • Registrazione di interviste e videocomunicati stampa • webcam • videocamere digitali (miniDV o dvd) • strumenti di conversione da analogico a digitale (vhs – dvd) Immagine • Documentazione di eventi e manifestazioni • Realizzazione di banner e immagini per siti web • Fotocamere digitali • Programmi di elaborazione grafica e fotoritocco Suono • registrazione audio di interviste o eventi pubblici • registrazione di interventi o interviste da pubblicare sul web o utilizzare nei mass media • microfoni connessi al computer • registratori portatili (mp3) • strumenti di conversione da analogico a digitale (mc – mp3) 131 Si tratta solo di alcune semplici idee o indicazioni, è nostra intenzione semplicemente suggerirvi le numerose applicazioni che il computer può apportare all’attività comunicativa. Infatti questi strumenti, con un adeguata preparazione, possono realizzare prodotti anche molto vicini a mezzi e risultati professionali ad un costo infinitevolmente più basso. Quello che bisogna aggiungere rimane, come sempre, contenuto e consapevolezza della comunicazione. In ogni caso questa possibilità è solo la prima delle potenzialità del digitale. 6.5 Telematica: trasmettere informazioni digitali a distanza La trasformazione nei linguaggi digitali costituisce una sorta di traduzione in una lingua universale. Infatti il formato numerico delle “opere” create o riprodotte è, come abbiamo visto, il linguaggio elementare degli “elaboratori elettronici”. È quindi, tendenzialmente, comprensibile a qualsiasi strumento informatico programmato per leggerlo e manipolarlo, ma soprattutto rende possibile trasferirli a distanza. Arriviamo con questo alla seconda conseguenza dell’avvento del digitale. I dati numeri possono essere conservati e manipolati più facilmente, ma anche trasmessi. E’ infatti questa la base della telematica – parola che nasce dall’unione di telecomunicazione e informatica – la capacità degli strumenti informatici di inviare e ricevere dati attraverso le reti di telecomunicazione. Anche in questo caso, è una innovazione tecnologica legata al digitale a facilitare questo passaggio. Infatti, una volta tradotto in cifre, il testo può essere “ridotto di dimensioni” attraverso un procedimento matematico, può essere compresso. Questa riduzione è indispensabile, non solo per essere ospitato nella memoria dei computer domestici, ma anche per essere memorizzata in dispositivi di archiviazione quali floppy disc, compact disc e dvd che quindi possono essere distribuiti e trasportati molto più facilmente, ma – molto più importante – questa riduzione “di spazio” permette di inviarli più facilmente e in un minor tempo attraverso le rete telematiche. Esistono diversi modi – formati – per archiviare e distribuire materiali multimediali. Potete star tranquilli: non intendiamo qui spiegarne nei dettagli la varietà e le tassonomie possibili. Basta dire che la maggior parte di questi formati sta acquistando nel tempo il rango di standard, così da poter essere “compresi” facilmente da qualsiasi tipo di computer o dispositivo elettronico. Esistono formati per i documenti testuali, spesso 132 conosciuti da chiunque utilizzi anche ad un livello elementare il computer, formati per le pagine e i banner dei siti web, spesso compresi in fondo all’indirizzo Internet; per le immagini, noti a chi ha una delle nuovissime macchine fotografiche digitali; per gli audiovisivi, utilizzati dai nuovi dispositivi dvd, e così via. In tutti i casi i vari formati sono contrassegnati da una sigla, acronimi dall’inglese spesso incomprensibili o comunque dalla non sempre felice associazione consonantica: rtf, pdf, png, jpeg, htm,... Quel che conta è che siano sufficientemente diffusi da essere leggibili dal pc o dall’elettrodomestico di chi riceverà o dovrà leggere il vostro elaborato. Spesso molti di questi sistemi di compressione e codifica sono stati creati o sono distribuiti da una industria di software. In questo caso trovare i programmi per la lettura o più spesso per la creazione di questi formati può essere più complesso o, in ogni caso, più costoso. Tuttavia, esistono, per ogni tipo di medium, standard “aperti”, ovvero formati che sono utilizzabili senza bisogno di pagare costose licenze o di utilizzare programmi specifici. Un tipico esempio è quello fornito dai recenti e molto diffusi formati di compressione per i suoni (ad esempio i celebri mp3) e per i filmati (mpeg), ma esistono formati che permettono di visualizzare o ascoltare in diretta come per le radio e tv un documento – in questo caso si usa il termine streaming – senza bisogno di ricevere o memorizzarne il contenuto sul proprio personal computer. L’informatica e la telematica progressivamente stanno perdendo il carattere solo testuale dei loro prodotti. Ormai, con una spesa tutto sommato contenuta, un operatore della comunicazione volontario può realizzare contenuti multimediali di qualità, archiviarli, trasmetterli e metterli a disposizione con dei costi tutto sommato contenuti. Fino a questo momento questi sistemi sono divenuti celebri e si sono diffusi per utilizzi commerciali e per l’intrattenimento, gli mp3 vengono usati per ascoltare (e scambiare) musica leggera, i formati per i video per realizzare o trasmettere film o trasmissioni televisive (ad esempio satellitari), gli standard per immagini, ad esempio, con lo scopo di ricevere o inviare fotografie realizzate con i nuovi telefoni cellulari o le nuove macchine fotografiche digitali. La diffusione commerciale e la diffusione popolare di queste tecnologie sono senza dubbio legate al tempo libero e al divertimento, almeno fino ad oggi. Sono tuttavia innumerevoli le prospettive e i possibili utilizzi in ambito sociale, organizzativo, politico o informativo che queste possono avere una volta arrivate alla portata di tutti. Possiamo solo immaginarne le nuove possibilità espressive che si stanno aprendo anche per il mondo del volontariato. Questa diffusione commerciale sta togliendo, e nel tempo lo farà sempre 133 più radicalmente, i due alibi che per molto tempo hanno allontanato il volontariato e in genere l’universo dell’associazionismo e delTerzo Settore dagli strumenti dell’informatica e della telematica. Due argomenti sinteticamente riassunti dagli utili testi di Carlo Gubitosa: “Troppo costosa”: la telematica è spesso associata a “chiamata lontana”, a “interurbana”, a “troppi soldi da spendere”. [...] “Troppo difficile”: c’è chi pensa che per fare telematica occorra conoscere molte nozioni scientifiche. Roba da ingegneri, insomma. (Gubitosa, Marcandalli, Marescotti 1996: 7) Ora le apparecchiature di ascolto e diffusione di prodotti multimediali digitali – videocamere digitali e lettori dvd, fotocamere, lettori mp3, cellulari di terza generazione stano arrivando alla portata di tutti mentre l’esplosione dell’utilizzo della rete Internet e la progressiva liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni rende l’offerta di connettività, anche ad alta velocità, sempre meno costosa. Per le stesse ragioni, mentre si abbassano i costi dei personal computer, il loro utilizzo diventa sempre più intuitivo e semplice. Già nel 1996 Gubitosa poteva scrivere: La comunicazione telematica avviene oggi con procedure semplificate che “nascondono” all’utente le sottostanti questioni tecniche. Anche chi è dotato di una cultura prevalentemente umanistica può utilizzare la telematica, così come usa il telefono o il TV color senza conoscerne i presupposti tecnologici o le nozioni scientifiche correlate. (Gubitosa, Marcandalli, Marescotti 1996: 7) Per approfondire: I rischi insiti nelle nuove tecnologie e le possibilità che possono dischiutere sono stati oggetto di ampia discussione nel corso degli anni Novanta. Per avere un’esempio della contrapposizione possibile consigliamo i testi di Kevin Kelly co-fondatore della rivista Wired e quelli di Nicolas Negroponte. Per una rassegna critica rimandiamo a Formenti (2000). Possiamo imparare a ricevere e fruire questi prodotti molto facilmente come abbiamo appreso – certo con qualche difficoltà – il funzionamento del telecomando, del telefono cellulare o del videoregistratore. Con una sostanziale differenza: l’accesso ai linguaggi digitali e al loro scambiarsi attraverso la rete permetterà, in potenza, un nuovo modo di comunicare, una comunicazione non confinata alla semplice fruizione di prodotti di intrattenimento, ma ad un nuovo protagonismo di chi 134 avrà voglia e strumenti per costruire relazioni e scambiare esperienze e saperi. Ogni volontario può diventare un reporter, un fotografo o un videomaker. Può riportare o commentare un evento, descrivere una situazione di disagio o raccontare la propria attività volontaria e rendendo il tutto pubblico. Allo stesso modo ogni gruppo di volontari organizzati può, virtualmente, realizzare una rivista, aprire una radio, fare una tv, creare un sito, dove – con una spesa tutta sommato contenuta – potrà diffondere quelle narrazioni, comunicare il volontariato. 6.6 La rivoluzione digitale: quali occasioni per il volontariato? Con lo sgonfiamento della bolla finanziaria e di ottimismo cresciuta intorno alla new economy ci siamo liberati della retorica che per molti anni ha circondato l’esplosione economica e pubblicistica di Internet. Possiamo quindi affrontare questi temi con maggiore serenità. Infatti la storia ormai più che trentennale della informatica diffusa e della telematica ha visto alternarsi di “cyberottimismi” e “tecnofobie”: la rete poteva rappresentare alternativamente una nuova possibile frontiera economica o una nuova possibile utopia, la possibilità elettronica di costruire una nuova “era liberista” o una nuova possibilità di “emancipazione sociale”. Per fortuna il nostro discorso non deve affrontare la complessità di questi argomenti. Piuttosto, si limita ad evidenziare quali strumenti di conoscenza e comunicazione messi a disposizione delle tecnologie di rete possono essere utili al volontariato. Se i punti di vista sulle implicazioni della rivoluzione digitale nel suo complesso possono essere anche molto discordanti, alcuni elementi appaiono comuni a molti. Resta da confrontare questi elementi con la cultura del volontariato cercando di valutare gli aspetti meno lontani o, addirittura, quelli più prossimi. Prescindendo dalle sue origini storiche, fino a questo momento, l’impiego telematico delle possibilità offerte dall’informatica e dal digitale pare limitarsi alla fruizione di prodotti dell’industria culturale, oppure alla ricezione di informazioni, ad esempio, sul proprio cellulare. Occorre forse ribadirlo per un ultima volta: le tecnologie elettroniche – in linea di principio – consentono non solo di ricevere, ma di produrre e inviare contenuti digitali (testi, immagini, audiovisivi). Questa semplice constatazione rende – per ora e virtualmente – il possessore di questi strumenti non un semplice terminale ricevente ma un nodo della rete, queste nuove tecnologie sono infatti strumenti adatti a)a diffon- 135 dere e conservare idee e opere d’ingegno, b) ad intrattenere relazioni e collaborare a distanza, c) ad inserirsi in sistemi più ampi. È intorno a queste tre dimensioni, queste tre visioni delle tecnologie, che è possibile immaginare il loro impiego da parte del volontariato. Informazione. Appare sempre più chiaro come il connubio tra le tecnologie digitali e informatiche di produzione multimediale e l’estensione della possibilità di trasmissione telematica consentono di utilizzare il computer come un mezzo di informazione e comunicazione. L’abbassamento dei costi di cui abbiamo parlato finora, permette di superare l’ostacolo maggiore alla “democratizzazione” del mestiere di comunicatore, infatti, la soglia d’ingresso dei mezzi di comunicazione di massa è sempre stata altissima. Le spese fisse per l’avvio di un’attività editoriale di tipo professionale sono sempre state alla portata solo delle grandi organizzazioni o dei magnati. Internet ha scardinato queste regole consentendo a chiunque di diffondere notizie a livello planetario a costo zero. Una volta acquistato un computer dotato di modem, infatti, è possibile avviare un’attività pubblicistica sul Web senza contare su un budget, ma solo sulle proprie conoscenze e capacità. È ancora difficile prevedere quale sarà la portata storica di questa innovazione, ma già ora è possibile vedere come il mestiere di giornalista sta cambiando, consentendo a singoli individui di dare vita a pubblicazioni di un certo successo. (Romagnolo, Sottocorona 2000: 40) Con tutta la sua eccezionalità, e ambiguità, il G8 di Genova del 2001 ha dato un enorme dimostrazione di come gli strumenti telematici e digitali consentano ad una platea, ora anche molto vasta, di indirizzarsi verso quella che, da tempo, appare la seconda via nel rapporto tra comunicazione e volontariato: la realizzazione “in proprio” di canali di informazione e diffusione (Volterrani 2003). Se Internet rappresenta la possibilità di pubblicazione e distribuzione quasi “a costo zero” rispetto ai budget richiesti per una testata giornalistica nazionale o anche solo per la pubblicazione di una rivista autoprodotta, la connettività digitale consente di allargare il raggio degli strumenti analogici già disponibili – si pensi alla connessione attraverso la rete delle radio locali (nel circuito Radio Gap53) – o di realizIl Global Audio Project è un esperimento di connessione di diverse radio “comunitarie” o “di movimento” che attraverso la rete Internet realizzavano programmi comuni e li diffondevano in simultanea. 53 136 zare altri formati rispetto al testo cartaceo come i cd-rom contenenti testi o registrazioni audio degli eventi54. Questi sono solo alcuni degli esempi dell’ausilio che queste tecnologie possono portare alla strategia da tempo attuata dal volontariato di costruire un autentico circuito informativo “alternativo” rispetto ai limiti del sistema mediale. Un circuito focalizzato sui temi sociali e caratterizzato dall’approfondimento e dall’attenzione propri del volontariato. In questi termini, la telematica – come dimostrato dall’esplosione del fenomeno dei blog – diviene un’occasione formidabile di disintermediazione, ovvero della possibilità di diventare fonte di informazione per il pubblico. Superando, in qualche modo, la mediazione operata dal giornalismo e dal sistema informativo, fornendo direttamente ai soggetti interessati informazioni, approfondimenti e punti di vista spesso poco o affatto rappresentati. Cooperazione. Abbiamo già avuto occasione di affrontare la distinzione tra due modi di concepire la comunicazione: quello prevalente, focalizzato sulla trasmissione di messaggi, concentrato prevalentemente sull’impegno di convincere e “sensibilizzare”, diffondere opinioni e comportamenti antitetico a quello concentrato sull’attivazione di contatti e collaborazioni, sulla comunicazione come capacità-necessità dell’essere umano di stare insieme agli altri, di condividere i propri pensieri e di operare collettivamente. Ebbene le tecnologie di rete possono rappresentare un’incredibile potenziamento di questo secondo aspetto della comunicazione. Già nella prima edizione di questo testo si metteva in evidenza che ci fosse un elemento fondamentale in comune tra volontariato e telematica. Entrambe si basano su un dato fondamentale: la relazione. È questa che costituisce il valore aggiunto dell’azione volontaria. La capacità di intervenire in settori in cui fondamentale è l’apporto umano, il contatto, la possibilità di superare culture diverse, mondi separati. L’emarginazione esce allo scoperto e rivendica, almeno nelle esperienze più avanzate, la sua centralità e la possibilità di entrare a far parte, in maniera non subordinata, dell’agenda politica. È questa capacità relazionale che è alla base di tutte le azioni, anche estremamente innovative, che il volontariato pone in essere. (Volterrani 1999: 29) In un suo testo recente Howard Rheingold, proseguendo nella direzione 54 Anche questi esperimenti sono emersi con una certa estensione dopo i fatti di Genova, Cfr. Cristante 2003. 137 già intrapresa nella sua ricerca precedente dedicata alle “comunità virtuali”, mette in evidenza come “le nuove forme sociali dell’inizio del XXI secolo accresceranno notevolmente il potere delle reti sociali” (2002: 15), forme sociali sviluppatesi proprio intorno alle tecnologie di elaborazione e trasmissione a distanza e in rete. Rheingold le chiama appunto “tecnologie di cooperazione”: sono fondate su una comunicazione che non si dirige da un solo emittente verso un solo ricevente, come nel caso del telefono, né è indirizzata ad un emittente verso un pubblico, è il caso dei mezzi di comunicazione di massa come giornali, radio o televisione. Le tecnologie di rete sono caratterizzate da una comunicazione “da molti a molti” (many to many) dove, potenzialmente, ogni ricevente può essere un emittente. In questo senso le tecnologie elettroniche possono fornire formidabili strumenti per agevolare e migliorare la cooperazione di gruppi già esistenti, ma anche inventare forme associative inedite, nuovi modi di collaborare e trovare soluzioni collettive. La conoscenza reciproca e la condivisione di conoscenze, opinioni ed esperienze messa a disposizione dall’utilizzazione della rete come spazio pubblico permettono di accumulare esperienze, coordinare l’attività comune, incrementare la conoscenza collettiva, risolvere problemi e garantire la trasparenza delle decisioni. Ora la frontiera delle “tecnologie senza fili” come i telefoni cellulari e la connessione in rete senza fili (WiFi), secondo Rheingold, possono accentuare in maniera esponenziale le loro possibilità cooperative. Lo scambio di documenti, i gruppi di discussione e la posta elettronica già dalle origini di Internet erano utilizzati principalmente come meccanismi di collegamento e collaborazione. Possiamo solo immaginare quali possano essere le potenzialità per il volontariato di questi sistemi tecnologici. Si può andare dalla semplice organizzazione e coordinamento delle attività, dalla divisione informatizzata dei compiti alla mobilitazione in tempo reale in vista di emergenze fino alla definizione comune degli obiettivi e delle scelte. Immaginiamo la possibilità di realizzare conferenze e spazi di discussione permanenti – sincroniche o prolungate nel tempo –, archivi e depositi – testuali e audiovisivi – delle esperienze, delle conoscenze e delle discussioni a favore dei nuovi volontari o di chi vuole approfittare delle conoscenze sociali così accumulate. Queste possibilità quindi sarebbero, insieme, un’occasione per rendere più efficiente e fluida l’organizzazione interna e un’efficace veicolo di “comunicazione esterna”: strumento per allargare le facoltà e le competenze di quello che diventerebbe, in questo modo, quasi un “collettivo intelligente” (Lévy 1994). 138 Accesso. Possiamo immaginare, a questo punto, quale sia la principale obiezione a questo spettro, fin troppo ambizioso, di possibilità. L’ostacolo che si erge tra le possibilità della tecnica e dell’”ingegneria del legame sociale” e la sua concreta applicazione, non risiede, infatti, nei dispositivi tecnici elettronici né nella possibilità di integrare in questo modo valori e intelligenze personali. L’ostacolo maggiore risiede nella possibilità di avere accesso alle strutture e alle conoscenze necessarie necessari ad implementare queste possibilità di informazione e cooperazione, per così dire, “tecnoassistita”. Il volontariato potrà scegliere se sfruttare o meno queste possibilità tecnologiche, potrà scegliere scientemente se rifiutare, i suoi rischi e le sue possibilità ma, in ogni caso, nel “giro di una decina d’anni un nuovo genere di spartiacque digitale separerà coloro che sapranno come usare i mezzi d’informazione per riunirsi in gruppi e coloro che non lo sapranno fare” (Rheingold 2002: 16). Questo divario digitale costituisce una nuova potenziale fonte di esclusione tra chi avrà la possibilità di inserirsi in queste nuove forme sociali, che emergono sempre più quali nuove forme di lavoro e cittadinanza. Allora il nuovo, ed ennesimo, compito del volontariato potrà essere, da una parte, di non rimanere escluso dalle impressionanti energie umani e intellettuali fornite dalla rete, escluso però insieme al mondo sociale che salda e rappresenta. Combattere l’esclusione dalle possibilità di accesso alla comunicazione digitale potrà essere, d’altro canto, un altro degli impegni “per rimuovere le cause delle diseguaglianze economiche, culturali, sociali, religiose e politiche”55, l’ennesima responsabilità di cui il volontariato vorrà, o dovrà, farsi carico: un divario che progressivamente si aggiungerà a quelli già conosciuti (Ranci e Vanoli, 1994). Siamo quindi di fronte ad una duplice sfida. Quella dell’utilizzo da parte del volontariato delle prospettive aperte dalla “Società della rete” nei termini appena descritti. Ma soprattutto quella di diventare operatore del territorio digitale. Il suo fine non potrà, però, essere esclusivamente quello di favorire una generica alfabetizzazione informatica in vista dell’accesso alle possibilità economiche e professionali della rete. La prospettiva è ben più ampia, è quella di utilizzare le nuove tecnologie come: a) strumento di formazione permanente, acquisizione critica e produzione di informazioni; b) occasione per la costruzione di coesione sociale attraverso l’ausilio di sistemi di connettività, incontro e cooperazione on e off line; c) strumento di cittadinanza attiva e di partecipazio55 Dal punto 7 della Carta dei valori del volontariato. 139 ne civica e politica; d) strumento per l’accesso alle persone con disabilità ai prodotti culturali e artistici tradotti in formato elettronico. I primi due obiettivi sono intrinsecamente legati ai due utilizzi dei new media trattati in questo paragrafo: come mezzo di diffusione di informazione o conoscenza e come mezzo per accentuare collaborazione o relazione sociale. In questo caso però non si tratterebbe di utilizzarle in prima persona e per fini, per così dire, interni, quanto piuttosto di costruire le condizioni e le infrastrutture necessarie perché i nostri concittadini siano capaci ad usarle. Costruire cioè quegli stessi processi di valorizzazione personale, crescita del capitale sociale e della consapevolezza, attivazione di processi di autopromozione che già animano l’attività del volontariato. Crediamo di aver mostrato come le tecnologie di rete possano essere molto utili, in questo senso, almeno quanto siano indispensabili nel lavoro e nella cittadinanza del futuro. Forse occorre spendere alcune parole per illustrare gli ultimi due obiettivi. Il penultimo (c. strumento di cittadinanza attiva) rimanda certo alle possibilità offerte dalle tecnologie digitali di produrre informazione e comunicazione finalizzata ad influenzare le scelte amministrative o legislative o comunque ad intervenire sull’opinione pubblica e sugli stakeholder, conoscenze come abbiamo visto utili anche per le attività di relazione con i media e comunicazione dello stesso volontariato. La disponibilità di queste tecnologie diviene però particolarmente indispensabile con l’affermarsi di processi di partecipazione civica online e di e-governament. Chi si troverà escluso – cittadini, gruppi sociali o società civile – da questi strumenti di “democrazia elettronica” rischia infatti di trovarsi ai margini della partecipazione democratica. L’ultimo punto (d. accesso alle persone con disabilità) rimanda di nuovo alla possibilità delle tecnologie digitali di costituire una sorta di linguaggio universale. Questa traducibilità è fondamentale per permettere la lettura e la produzione da parte di persone con disabilità, utilizzando altri medium o le ormai numerose tecnologie a disposizione. Di fatto non è sufficiente assicurare l’accesso a personal computer e alla rete. L’esclusione e il divario digitale è costituito solo da barriere che sono solo in parte tecnologiche. È necessario un impegno culturale e politico. Come vedremo a breve (§ 06.11 Copyright: le possibilità di una telematica Per approfondire: Il tema della “cittadinanza telematica” e dell’utilizzo della rete da parte delle amministrazioni pubbliche e civiche è ormai largamento oggetto di analisi e studi. Consigliamo le ricerche di Anna Carola Freschi (2002) e del CRC (2004) e i saggi di Stefano Rodotà. 140 sociale), perché l’accesso al patrimonio collettivo di conoscenze sia davvero garantito a tutti occorre non solo avere accesso alla rete, ma avere la disponibilità di informazioni e contenuti che per l’arretratezza del sistema legislativo e produttivo o per vincoli economici, spesso non sono facilmente raggiungibili. Per concludere questa parte, riassumiamo in una tabella le principali possibilità di utilizzo della rete qui affrontate. Informazione Possibili usi delle organizzazioni Possibili usi dei fruitori - Raccogliere e diffondere informazioni a basso costo Archiviazione di informazioni e contenuti digitali - - - Ricevere un’informazione plurale e pluralistica Diventare produttori di notizie Cooperazione - Organizzazione interna Costruzione cooperativa di contenuti - Partecipazione Accesso e trasparenza delle discussioni Accesso - Strumento di formazione permanente Strumento di coesione sociale Strumento di cittadinanza attiva Fornire accesso a contenuti e linguaggi - Alfabetizzazione informatica Accesso ai contenuti - - 6.7 Interattiva e ipertestuale: cultura del volontariato e cultura della rete L’enfasi verso le, apparentemente mirabili, possibilità offerte dalle reti telematiche potrà, a questo punto, apparire frutto di un esibizione di retorica o peggio di un entusiasmo verso le nuove tecnologie o di un ancor meno preferibile o irragionevole ottimismo da parte di chi scrive. Non possiamo escludere nessuna di queste circostanze. La coincidenza tra la cultura del volontariato e quella da cui ha tratto origine la rete – dovete però ammettere – è molto singolare. Questa, inoltre, costituisce ancora l’essenza dello “spirito della rete” e solo a questa affinità possiamo appellarci come giustificazione all’enfasi che poniamo sulle possibilità positive della telematica. Uno dei primi esperimenti di utilizzo del computer all’esterno dei laboratori di ricerca universitari o dei grandi complessi 141 industriali e militari è stato proprio il tentativo di metterlo a disposizione “della comunità”, di invitare i cittadini ad utilizzarlo come strumento di comunicazione e relazione tra pari. Si trattava di una delle due tendenze dei primi pionieri dell’uso sociale delle tecnologie informatiche, i “volontari della rete”, gli hackers: quelli che intendevano “diffondere l’uso dei computer nella società”. Si tratta di una storia che assume quasi i tratti di una leggenda. Era la metà degli anni Settanta quando il Community Memory Project portava “in strada” un rete di terminali connessi in rete. Era possibile scambiarsi messaggi e affiggere annunci come su di una bacheca56. Steven Levy descrive in questo modo il risultato: La gente vi trovava partner per giocare a scacchi, per studiare, per far accoppiare il proprio serpente; giravano consigli sui ristoranti e sui dischi; venivano offerti servizi come babysitteraggio, passaggi, battitura testi, lettura dei tarocchi, interventi idraulici, pantomime e fotografia (Levy 1984: 181) In qualche modo troviamo l’anticipazione di un utilizzo molto diffuso oggi della rete Internet. La rete diventa un estensione automatizzata di alcune pratiche comuni: trovare compagnia, aiuto, consigli, collaborazione. Ovvero le relazioni sociali erano diventate il principale contenuto della rete. In un modo simile, la seconda tendenza di questi primi hackers – quelli che ancora lavoravano nei laboratori informatici universitari o nei leggendari “garage” – era quella di modificare i principi di funzionamento (la struttura tecnologia, l’hardware) e d’uso (gli impieghi possibili e il software) di elaboratori elettronici che sarebbero presto diventati home computer. Anche in questo caso – come vedremo più avanti – questi esperti e appassionati fondavano la propria attività sulla cooperazione, sulla libera circolazione dei progetti, del lavoro e dei “modi di fare le cose”. La ricerca della migliore soluzione avveniva attraverso la socializzazione dei risultati degli esperimenti compiuti, sia di quelli riusciti che di quelli falliti. L’invenzione avveniva attraverso un lavoro del tutto collettivo: invece di confidare su un fantomatico “genio individuale”, utilizzava un numero più esteso possibile di menti e percorsi contemporanei. Non è un caso che la metafora della bacheca verrà presto utilizzata per rappresentare il sistema di comunicazione per messaggi “affidati” ai diversi computer delle prime reti telematiche amatoriali – chiamate per l’appunto Bullettin Board System. Il funzionamento di queste reti a basso budget era concentrato sullo scambio notturno attraverso la linee telefoniche di informazioni e messaggi tra i diversi computer del network. 56 142 In entrambi i casi la rete diventa sinonimo di cooperazione e condivisione. Perché? Non è del tutto semplice dare una risposta a questa domanda, ma alcune possibili soluzioni tale dilemma possono essere utili a precisare l’utilità per il volontariato del concetto (e delle tecnologie) di rete. Sono molecolari. Pierre Lévy in un testo molto noto, dedicato alla possibilità innovative del “cyberspazio”, spiega le possibilità delle tecnologie di rete di costruire una intelligenza collettiva riprendendo un concetto sviluppato dai filosofi francesi Giles Deleuze e Felix Guattari. La caratteristica principale di questi strumenti è, per il filosofo francese, di essere “molecolari”. Cosa significa? Le tecnologie molecolari non rendono omogenee le differenze, ma considerano le idee e le persone “una ad una”: All’opposto delle tecnologie “molari”, che considerano i loro oggetti in blocco, alla cieca, in modo entropico e sommario, le tecnologie “molecolari” si accostano in maniera molto fine agli oggetti e ai processi che controllano. Evitano la massificazione. (Lévy 1994: 56). Al contrario dei sondaggi, delle votazioni a maggioranza e delle comunicazione di massa, le tecnologie informatiche applicate alla telecomunicazioni non servono unicamente a diffondere un unico messaggio a tutti i connessi, né tanto meno a livellare o condensare le singole opzioni in sistemi omogenei. Questa caratteristica rende, invece, leggibile e potenzialmente utile ogni singola caratteristica espressa, ogni variazione individuale o di gruppo. Ogni lettore può virtualmente modificare la costruzione e visualizzazione dei messaggi, ogni lettore può pubblicare i propri messaggi. I forum, le chat e i gruppi di discussione (newsgroup) sono da tempo un esempio di questa possibilità, ma si tratta ancor di modelli di discussione e non di decisione. Sono in corso di elaborazione sistemi di discussione in rete che non solo permettono di scambiare e confrontare le opinioni, ma di tenerne conto singolarmente, costruendo un percorso progressivo e condiviso di scelta. Questa possibilità nasce dalla seconda delle caratteristiche che affronteremo. Sono interattive. Le possibilità di elaborazione, memorizzazione e scelta dei computer permettono alle reti di superare la semplice connessione di alcuni punti, la possibilità di questi di ricevere o trasmettere segnali. I computer possono registrare le comunicazioni ricevute, metterle in ordine, raggrupparle, indirizzarle – a seconda di parametri stabiliti dal sistema – e, soprattutto, possono variare dinamicamente via via che la situazione generale o singolare si modifica. Il sistema di rete così può, 143 molecolarmente, riconoscere ogni singolo partecipante alla discussione o iscritto alla struttura e a) adeguare alle sue preferenze o allo stato della discussione i contenuti da mostrargli e le opzioni da proporgli; b) adeguare in tempo reale, lo stato generale della discussione o della comunicazione così riconosciuto alle preferenze e opzioni di ogni singolo partecipante; c) modulare la partecipazione di ogni “iscritto” formando delle aggregazioni che possano agevolare la divisione dei compiti e delle competenze. Anche in questo caso esistono esempi concreti e funzionanti dell’applicazione di questa possibilità. Il famoso sito di vendita di libri Amazon.com suggerisce a chi ricerca un testo – libro, cd musicale, dvd, ecc. – le scelte compiute dai clienti che hanno compiuto ricerche o scelte simili, aggregando in forma di “consigli automatizzati” le preferenze di persone con gusti o preferenze affini. Il sito di aste online eBay valuta l’affidabilità delle offerte proposte tra privati attraverso un sistema di controllo cooperativo affidato alla valutazione e al giudizio di chi ha già compiuto affari con quel venditore. Sono poi innumerevoli i casi di siti di notizie, pareri e discussioni che permettono di tener conto sia del giudizio dei lettori sulle capacità di chi pubblica, ma anche dei gusti e delle preferenze di chi legge orientando su questa la presentazione dei contenuti. Sono innumerevoli gli esempi di applicazioni non commerciali di queste possibilità, ad esempio: Slashdot e altri gruppi di discussione autoorganizzati permettono ai partecipanti di valutare i contributi (postings) degli altri protagonisti della discussone, mettendo quindi in evidenza gli articoli più interessanti facendo retrocedere gli altri. (Rheingold 2002: 191) Applicazioni come queste – “filtri collaborativi”, “reti di fiducia”, “sistemi di valutazione collettiva della reputazione” – permettono infatti di sostenere in modo automatico la cooperazione. Possiamo solo immaginare quali attività saranno possibili quando le connessioni senza fili permetteranno di tener conto anche della posizione geografica di ogni persona connessa e di orientarne o condividerne l’attività. In quel caso, la rete può, sempre più propriamente, essere un “medium di coordinamento più che [un] medium di comunicazione [dove] connettersi per agire diviene più importante di connettersi per sapere” (Gulmanelli 2003: 5). Queste possibilità superano di gran lunga l’interattività intesa come semplice possibilità di scelta tra le diverse opzioni offerte o anche della possibilità di inviare un commento o una risposta all’autore, interattività qui ha il senso pieno di includere ogni “partecipante” nel sistema, 144 rendendolo parte delle decisioni e degli orientamenti collettivi, sia nei termini delle scelte da operare, sia in quello del giudizio reciproco sui suoi protagonisti. Sono ipertestuali. Tutti ormai siamo usi “navigare in Internet”, attraversiamo a colpi di clic pagine del World Wide Web saltellando da un sito all’altro. Gli stessi termini rete, ipertesto, Web o link ci sembrano familiari e sono ormai entrati nel linguaggio degli utenti e dei mass media. Proprio questa familiarità, insieme al rapimento estetico che ne accompagna l’uso e ne circonda l’immaginario, può occultare la vera novità del produrre e leggere messaggi su Internet. Infatti i contenuti presenti sull’Internet, non sono testi, ma sono – o sarebbe meglio dire possono essere – ipertesti. Chi scrive “per Internet” non scrive un testo, scrivere per Internet non è – o, ancora, non dovrebbe essere – come scrivere un libro. Nello stesso modo, leggere “su Internet” non è la stessa cosa che leggere un libro. Ciò che conta non è solamente cosa si scrive ma come questo scritto, il nostro sito, la nostra informazione, la nostra immagine sia collegata ad altri siti, informazioPer approfondire: ni, immagini. Come si riferisca a quelle La prima definizione di ipertesto e come da quelle provenga. si deve all’opera di Ted Nelson Il Web – inventato come tecnologia di (1981). Per le sue applicazioni strutturazione ipertestuale dei signirecenti e per la sua concretizzazioficati in Rete dagli scienziati del Cern ne nel World Wide Web si rimanda di Ginevra – è, nel suo insieme, un al lavoro di Landow (1997) e Bolter (1990). enorme ipertesto Se questa constatazione ha una grande importanza per chi si occupa del linguaggio, di scrittura e dell’organizzazione dei significati, può essere rilevante anche per il volontariato. Costruire ipertesti, comunicare attraverso ipertesti, infatti, non significa diventare semplici autori di comunicazioni, opere d’arte o di “messaggi alla nazione”. Significa mettere in relazione contenuti e idee nello stesso modo in cui la rete telematica connette persone e organizzazioni, significa che il senso della comunicazione è stabilita da chi opera queste connessioni, ma anche da ogni lettore che sceglie se e come attraversare un percorso o un altro, fornendo diverse interpretazioni e legami. Significa costruire interpretazioni accostando fatti e spiegazioni, come il volontariato connette la realtà in cui opera con il piano generale delle sue implicazioni sociali e politiche. Significa, in sostanza, costruire relazioni tra significati nello stesso modo in cui si costruiscono relazioni tra persone. In tal senso, scrivere per il web può significare accumulare e condividere documenti e testi, ma significa soprattutto metterle in connessione, costrui- 145 re percorsi che li mettano in correlazione fornendoli di significati nuovi. In questo modo l’utilizzo delle tecnologie di rete significa spostare i confini fra un testo e l’altro, fra l’autore e il lettore, fra l’insegnante e lo studente. Hanno anche effetti definitivi sul modo in cui si concepisce l’autore, il testo e l’opera, e danno nuova forma a ciascuno di questi concetti. (Landow 1997: 57) Progressivamente nell’avvicinarsi all’uso delle tecnologie telematiche il volontariato dovrà abbandonare ogni assetto legato ad altri mezzi di comunicazione. Presto non dovrà più costruire testi unici, lineari quanto abbracciare l’idea di costruire ipertesti che connettano diversi significati attraverso i quali il lettore potrà “navigare”. Dovrà rivedere l’idea di sé come unico autore verso l’idea di una produzione collettiva e polifonica. Dovrà abbandonare l’idea del “ricevente” come semplice fruitore passivo verso l’idea che il “vero” significato del messaggio si concretizza quando viene letto, interpretato e commentato. Sono decentrate. Tutte le potenzialità fin qui emerse si traducono in “tecnologie di cooperazione” perché hanno come presupposto l’assenza di un centro che coordini o gestisca le attività. L’assenza di un coordinamento centrale costringe e (quindi) favorisce la cooperazione tra i suoi membri. L’automazione dei processi di collaborazione si rende indispensabile proprio perché un livello di coordinamento non è disponibile o meglio perché il suo lavoro sarebbe troppo ampio per essere possibile da svolgere per un centro umano. Il carattere molecolare e interattivo delle reti sono necessarie proprio per la necessità di inventare soluzioni per compensare l’assenza di un centro di coordinamento. Nello stesso tempo, però possono rendere non solo più logica, ma anche più efficiente, un’organizzazione decentrata. In caso contrario possono offrire un ausilio elettronico alle attività corporee di coordinamento. Forse è necessario fornire un esempio per comprendere al meglio questa mutua necessità. Chiunque abbia realizzato un prodotto intellettuale in gruppo, sa quanto possa essere difficile coordinare tutti gli interventi sul testo, districarsi tra le varie versioni, aggiungere le varie componenti e interventi che si aggiungono nel tempo, accettare suggerimenti e correzioni. Anche in questo caso, si è sviluppata una tecnologia che permette e sopporta la redazione collettiva di documenti. Si chiama Wiki e permette di archiviare, organizzare e modificare le diverse parti e versioni di un documento permettendone la modifica e l’aggiornamento da parte di più persone. Le capacità di creazione collettiva offerte da questo strumento 146 sta conducendo alla realizzazione di opere culturali collettive, anche molto ambiziose come il progetto Wikipedia: un’enciclopedia mondiale, multilingue e “open content”, i cui contenuti cioè sono continuamente aggiornati, riveduti e arricchiti dai contribuiti di chiunque desideri partecipare all’iniziativa. Contributi, che una volta messi online all’interno di Wikipedia, possono essere modificati, tagliati o corretti da chiunque ritenga di avere sufficiente competenza in materia per farlo. (Gulmanelli 2003: 66) Sono cognitive. L’esempio del sistema Wiki, come speriamo i precedenti, dimostrano come – soprattutto le nuove generazioni – stiano trovando soluzioni innovative ed adeguate alle capacità della telematica. Spesso infatti si pensa alle nuove tecnologie come un modo per fare le stesse cose che già si facevano con le vecchi tecniche: scrivere con il computer, ordinare i propri documenti, prendere un appuntamento, segnarsi un appunto. Niente di più errato. Le nuove tecnologie possono permettere modi diversi di fare le stesse cose. Persino di trovare nuove modi di fare: nuovi modi di creare e collaborare. Infatti dobbiamo concepire queste tecnologie per quello che sono, si tratta infatti di “artefatti cognitivi” e non semplici utensili o mezzi di comunicazione. Sono cognitivi perché, non solo permettono di creare elaborare e scambiare informazioni, ma che, nel farlo, modificano il modo in cui il cervello umano organizza i propri pensieri, in cui si confronta Per approfondire: con la realtà e con i propri simili. Gli artefatti cognitivi sono quindi oggetti e L’autore a cui far riferimento per tecnologie realizzate “al fine di aiutare introdursi allo studio degli artefate migliorare i processi cognitivi” (Carli ti cognitivi è senza dubbio Donald 2003: 167). Spesso non si presta adeA. Norman. Inoltre segnaliamo guata attenzione a questa caratteristica, il testo introduttivo di Giuseppe il computer e le tecnologie digitali di Mantovani (1995) e un’interescomunicazione possono certo aiutarci a sante applicazione agli oggetti di svolgere più velocemente vecchi comuso quotidiano di Fabrizio Carli piti, ma permettono anche di farli in (2000). modi radicalmente diversi o meglio di non farli affatto. Difatti, possono permettere di automatizzare alcuni compiti lenti e ripetitivi come scrivere in molte copie con piccole modifiche o personalizzazioni una stessa lettera, modificare in pochi secondi una parola in un intero testo, organizzare istantaneamente dei dati secondo un ordine diverso, e così via. Ma possono 147 anche realizzare attività che non avremmo potuto compiere: comunicare un messaggio a distanza simultaneamente a un piccolo o grande gruppo, decidere in un istante un luogo di appuntamento, scegliere tra diverse possibili forme un’immagine... Solo chi utilizza i personal computer può immaginare quante possibilità di relazione con il mondo e con il prossimo sono ora possibili. Rimangono solo la voglia e fantasia di utilizzare in pieno queste possibilità per sviluppare nuove modalità creative, ma anche il modo in cui progettiamo e realizziamo attività e interfacce di comunicazione attraverso il computer. Tipico esempio di un utilizzo antiquato delle nuove tecnologie sono i siti web. Spesso infatti questi, ma in generale la rete Internet, non vengono immaginati e adoperati come tecnologie di cooperazione e relazione, ma come un “vecchio” mass media. 6.8 Internet: non solo un mass media Parlando delle relazioni con i media abbiamo già abbondantemente, e speriamo in modo convincente, evidenziato l’utilità di pubblicare un sito o delle pagine web della vostra organizzazione o associazione. Il sito web, infatti, può essere molto utile nella relazione con gli apparati giornalistici, ma anche come occasione per essere facilmente rintracciabile e contattabile da parte di navigatori e curiosi. Ma questi due utilizzi elementari non possono certo esaurire le possibilità offerte dal World Wide Web e di Internet, né le necessità e ricchezza comunicativa che il volontariato può, e deve, esprimere. Molto spesso invece la presenza sull’Internet si esaurisce nella necessità di esserci, di essere presenti anche in quello spazio, voler, a tutti i costi, disporre “anche voi di un sito Internet” così da poter essere presenti nella rete. La comunicazione sul web, come ogni altra attività di comunicazione, deve essere consapevole e pianificata, cioè finalizzata a precisi obiettivi e destinata a contattare un preciso “pubblico”. Non si deve realizzare un sito web o pubblicare delle pagine web senza un scopo preciso: “tanto per farlo”. Il risultato di questo difetto di intelligenza comunicativa si risolve nella realizzazione di cosiddetti “siti vetrina”. Siti web che si riducono ad essere poco più di una versione elettronica di una brochure promozionale, un luogo molto statico di presentazione di sé, quasi delle vetrine dell’organizzazione: Il complesso del “quanto siamo bravi”, “chi siamo, cosa facciamo”, si tra- 148 sferisce sulla rete, in ossequio alla cultura telematica dominante. Pagine spesso vecchie, non aggiornate, con pochi collegamenti, e che non permettono, fattore fondamentale, interattività, possibilità di interrogare i dati, di acquisire informazioni e scambiarle. (Volterrani 1999: 30) Vetrina? In questa definizione spregiativa spesso si intersecano problemi, errori di comunicazione e un uso sbagliato, o insufficiente, dei linguaggi propri del mezzo di comunicazione. Ognuno di questi difetti ne produce altri: ogni scelta compromette la successiva. Anche in questo caso, per comodità, cerchiamo di sciogliere in vitro il groviglio per poter osservare e cercare di risolvere meglio ognuna di queste incognite. Possiamo distinguere in tre ambiti i punti di criticità ricorrenti: Inutilizzabile. Esistono ormai una serie, più o meno consolidata e condivisa, di canoni per la realizzazione di siti web. Tali convenzioni, anche se del tutto indicative, stanno costruendo una sorta di idioma che permette ai navigatori di riconoscere in poco tempo le funzioni del sito e la sua struttura così da poterlo esplorare velocemente e senza troppe difficoltà. Si tratta di norme di usabilità e accessibilità. Indicano come fare un sito in cui siano riconoscibili con chiarezza l’identità dell’emittente e la sua “ragione sociale”, che ogni sua parte sia – se non necessario altrimenti – omogenea dal punto di vista stilistico, che presenti in ogni sua sezione “barre di navigazione” e indicazioni sulla provenienza delle informazioni, che queste ultime siano ben organizzate e aggiornate, che sia ricevibile anche da pc e connessioni non troppo veloci (ricordiamo sempre la questione dell’accesso) e infine che sia “leggibile” dalle tecnologie adottate dai disabili per navigare sul web57. La lista dei consigli potrebbe dilungarsi, sono però disponibili ormai una quantità veramente ampia di manuali e strumenti di realizzazione dei siti utili anche se non pensate appositamente per il volontariato o il settore non profit. Inoltre, negli ultimi anni sono stati sviluppati alcuni software, gratuiti, che rendono molto più agevole, corretta e tecnicamente adeguata la realizzazione di siti web. Una volta istallati, consentono la realizzazione, pubblicazione e aggiornamento di portali e siti web anche da parte di 57 Il consorzio – il W3C – che gestisce il World Wide Web fornisce alcune specifici standard per verificare l’accessibilità dei siti web. 149 utenti inesperti. Si tratta di varie possibili applicazioni, tutte realizzate con software libero, ovvero con un linguaggio di programmazione – il php – che permette di integrare le pagine web (scritte in html) con un archivio digitale (un database sql). Questa integrazione permette di sfruttare in modo massiccio le potenzialità della rete, quali la pubblicazione di notizie e commenti, la raccolta di documenti e link e la loro ricerca online, forum e strumenti di discussione e feedback, utilizzando parti di programma (chiamati moduli) già realizzati e applicabili al proprio sito. Esistono numerose piattaforme e comunità di sviluppatori (php-nuke, evolution, e-xoop, e molti altri) tutte caratterizzate da una struttura del sito abbastanza riconoscibile e (a volte troppo) convenzionale che può essere adattata e riorganizzata per le vostre esigenze e del tutto personalizzabile dal punto di vista stilistico e grafico. Francisco Burzi, il creatore della prima piattaforma del genere, la descrive in questo modo: PHP-Nuke è un “sistema portale”, sistema di gestione delle news, gestore di comunità online. L’Obiettivo di PHPnuke è di avere un sistema automatico per distribuire news e articoli ai diversi utenti. Ogni utente può inserire articoli o commentarli.58 Il vantaggio estetico di questa scelta è quello di poter utilizzare una struttura corretta dal punto di vista della grafica e dell’usabilità. Al contempo, grazie al lavoro di migliaia di sviluppatori per lo più volontari e dell’esperienza di milioni di utilizzatori, le possibilità (i moduli) offerte si accresce e perfeziona di continuo. In sostanza, adottare questo sistema permette di avere a disposizione tecnologie facilmente utilizzabili e che permettono, se sfruttate in pieno, di risolvere anche gli altri problemi ricorrenti in molti siti web del volontariato (e non solo). Unidirezionale e statico. La seconda serie di obiezioni rimanda al modo in cui si concepisce il proprio sito web. E’ possibile concepire il sito come un 58 Citazione dal “manuale (How-to) ufficiale di PHP-Nuke” realizzato da Claudio Erba e tradotto dal colletivo di www.spaghettibrain.com. Così Burzi descriveva le “caratteristiche principali del sistema”: Amministrazione via Web, Statistiche, Sondaggi, Box personalizzabili dagli amministratori e dagli utenti, grafica personalizzabile per gli utenti registrati, possibilità di modificare o eliminare le news già pubblicate, possibilità di moderare i commenti, statistiche delle pagine che linkano al nostro sito, Manager delle sezioni, Blocchi personalizzabili in HTML, modifica profilo utenti registrati ed amministratori, sistema integrato di gestione banner (Ad server), motore di ricerca interno (In realtà più di uno, NdR), generatore di sommario news esportabili attraverso il formato RSS/RDF e molte, molte altre funzioni. 150 mezzo per propagare messaggi precostituiti, immaginandolo la rete come uno strumento di comunicazione da uno-a-molti: ovvero si utilizza il web alla stregua di una rivista cartacea, di un canale televisivo o di una radio. L’unica scelta dell’utente rimane, quindi, quella di scegliere il nostro sito e leggere quel messaggio lasciato da noi a “beneficio dell’umanità”. Non vogliamo, con questo, sottovalutare le potenzialità di questo utilizzo delle tecnologie web, infatti un sito può diventare uno strumento essenziale per la realizzazione di media e di fonti di informazione indipendenti. Tramite Internet infatti si può scrivere con una certa enfasi che: Per la prima volta nella storia dell’umanità anche una sola persona, con un impegno economico molto basso e con conoscenze tecniche di base, è in grado di immettere notizie in un circuito che provvede alla loro distribuzione in tutto il pianeta. (Romagnolo, Sottocorona 2000: 38) Ma, come abbiamo fin qui cercato di illustrare, si tratta di un modello arretrato e che dilapida le possibilità offerte dall’interattività telematica. Fino a questo momento abbiamo cercato di mantenere ben separati i due principali ruoli svolti dalle tecnologie di comunicazione: quello della trasmissione e quello della cooperazione. Le tecnologie informatiche possono però consentire una particolare simbiosi tra questi due orientamenti. Trattando del rapporto con i mass media abbiamo potuto già notare come le redazioni giornalistiche, come molti altri apparati propri dell’industria culturale, sono costituiti da “soggetti collettivi d’enunciazione”. La produzione culturale e comunicativa è uscita da tempo dall’immagine astratta dell’autore solitario e creativo approdando all’idea della elaborazione intellettuale come frutto di collaborazione, dialogo e ispirazione collettiva. Nello stesso modo, il materiale pubblicato sul sito web, al pari della comunicazione realizzata dalle varie organizzazioni, se delegate semplicemente ad una o più figure professionali, ad un settore specifico, diventeranno spesso povere e asfittiche, anche se, forse, ben congegnate. L’attività creativa, come quella di raccolta di informazione e di elaborazione culturale, funziona al meglio quando esprime una comunità, un’intelligenza collettiva che raccoglie, collega e quindi comunica. Ma le possibilità non si esauriscono qui. Un sito web che garantisce un dialogo aperto tra l’organizzazione e i suoi fruitori, tra i beneficiari dei “servizi” e i suoi volontari e tra i volontari stessi, un sito che si apre alla collaborazione di tutti per commentare, scegliere e pubblicare commenti e informazioni ma anche per raccogliere documenti e dati diventa rapi- 151 damente un sito web molto aggiornato, dinamico, che riesce ad attrarre energie e idee oltre che fruitori e visitatori: comunicare significa anche ascoltare. Invitate e fate in modo che volontari, beneficiari, famiglie, enti pubblici e partner privati, associazioni amiche scrivano diari e storie, facciano fotografie e realizzino video amatoriali, riportino e commentino notizie, creino opere d’arte. Il vostro sito web non sarà solo l’house organ, la “voce ufficiale” dell’organizzazione, ma ne esprimerà la vitalità, metterà in scena valori e dubbi, avventure e persone. In questo caso il compito del volontariato è quello di fornire lo spazio e la possibilità agli attori sociali di esprimersi, di costruire relazioni sociali così da uscire dalla marginalità e dal silenzio. Si tratta semplicemente di applicare i metodi già applicati a questo nuovo ambiente mediale. Niente di più. Isolato. Spesso si utilizza la metafora della città per cercare di descrivere il World Wide Web. Ebbene, pubblicare un sito web corrisponde ad aprire un negozio in una sua piccola via di periferia, o – più precisamente o peggio – più spesso corrisponde ad affiggere un volantino su di un muro. Infatti limitarsi a pubblicare un sito web, non solo rischia di diventare inutile – equivale a passare inosservati – ma significa utilizzare solo in minima parte le potenzialità comunicative della rete. Visitare, o meglio navigare, su di un sito web, sul vostro sito, infatti richiede un intervento attivo dell’utente, la volontà “di cercarvi”. Non sempre però è facile trovare un sito web, anche utilizzando il motore di ricerca più à la page, animati dalle migliori intenzioni o guidati da richieste molto precise. In un’enorme ipertesto planetario fatto di pagine e siti collegali l’uno con l’altro, non basta infatti costruire un sito web, finanche ottimamente congegnato e aggiornato quotidianamente, per essere rintracciati o rintracciabili. Forse sarebbe più congegnali alle organizzazioni del volontariato costruire non interi siti autosufficienti ma connettersi in rete, costruire cioè network tematici e territoriali. Essere inseriti insieme e connessi a reti e siti web più ampi può rendere molto più semplice trovare la vostra organizzazione, ma costituirebbe anche il primo passo per una effettiva collaborazione con realtà simili. Si potrebbero ipotizzare accordi tra associazioni che, a livello locale, possano interagire con provider, pubblici o privati a seconda del caso e delle evenienze, per gestire un sito collettivo, collettore di più associazioni che mettono insieme le loro risorse. Tale prospettiva implica uno sforzo di apertura, anche notevole da parte delle associazioni, spesso gelose delle 152 loro prerogative, delle loro conoscenze. (Volterrani 1999: 32) Il vero spirito della rete, facilitato ora dalla progressiva integrazione di piattaforme e sistemi di gestione, è proprio quello incentivare tali tipologie di collaborazione trasversale. Tipico esempio è quello delle Rss (RDF Site Summary o Really Simple Syndacation), un sistema tecnologico che permette di connettere i siti uno con l’altro59. Con questo strumento è possibile inserire nel proprio sito notizie, novità e contenuti pubblicati da un altro, in maniera del tutto automatica. In questo modo è possibile integrare nelle proprie pagine, ad esempio, le ultime notizie su “temi sociali” provenienti da un sito informativo specializzato, le news di altre associazioni e organizzazioni di volontariato, novità ed eventi di associazioni di secondo livello o riguardanti legislazione o politiche per ilTerzo Settore. Con metodi simili è possibile rendere automatico e facilmente gestibile quel lavoro di interconnessione già in atto, ad esempio, attraverso la realizzazione di campagne comuni o con il semplice scambio di banner. 6.9 Cyberspazio: tutt’altro che virtuale Dovremmo esser già riusciti nelle pagine precedenti a sfatare il più recente mito legato al mondo dell’informatica: l’idea del virtuale come spazio artificiale, irreale, di finzione. L’economia virtuale è allora l’economia immateriale e illusoria. Lo studio virtuale è l’immagine televisiva ricostruita dalla grafica computerizzata. La comunità virtuale è, invece, considerata una compagnia di ragazzi alienati che non fanno altro che “chattare” dal proprio appartamento, come la realtà virtuale è un nuovo videogioco che ci porta in un luogo fittizio, un mondo immaginario. L’uso che indichiamo delle “tecnologie del virtuale” per il volontariato non prevede la costruzione di una “realtà virtuale”, ma la loro applicazione per supportare e amplificare le attività e la cultura di solidarietà già espresse da questo mondo. Naturalmente alcune di queste applicazioni permettono relazioni e intelligenze non praticabili senza un appoggio tecnologico, ma ormai ben altre tecnologie sono patrimonio anche dell’attività volontaria. Spesso nel mass media, ma anche nelle chiacchiere quotidiane si utilizzano frasi enfatiche e formule magniloquenti per descrive le possibilità 59 Per una definizione più articolata rimandiamo alla voce corrispondente della Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/RSS 153 di ricezione e diffusione di Internet: con Internet pare si possa osservare, parlare e “collegarsi con il mondo intero”. Questa retorica, in alcuni casi, si limita alla possibilità di visitare alcuni siti commerciali, spesso nordamericani, dove poter osservare beni di consumo o al massimo ammirare immagini esotiche o curiose. Le possibilità di connessione di Internet e di altre reti telematiche sono effettivamente globali. Eppure, questa ampiezza mondiale può essere, ed è da molto tempo, un’ottima opportunità per gli interventi di cooperazione e solidarietà internazionale, per scambiare informazioni e opinioni con comunità e gruppi organizzati del Sud del mondo o con volontari del Nord. Di solito, però, lo spazio di comunicazione di Internet è più limitato. Pochi riescono a trovare il nostro sito o ricevere il nostro messaggio, perché molto fortunati oppure perché questo riguarda intenzionalmente un determinato territorio o un preciso gruppo di persone che condividono un interesse o una passione. Nello stesso senso, e molto più modestamente, si può – e deve – immaginare Internet come una tecnologia che non serve (solo) a comunicare con il mondo, ma che permette o accentua le relazioni sociali. In questi termini, il sito web non costituirebbe un semplice o ulteriore elemento di comunicazione esterna, un’appendice più o meno necessaria alla “vera attività volontaria”, ma potrebbe diventarne una parte integrante. Certo, sarebbe già un ottimo risultato se si considerasse la rete un sussidio per l’organizzazione e la cooperazione dei volontari, ma possiamo lasciare nell’orizzonte l’obiettivo di farla diventare parte delle possibili attività di servizio. Probabilmente, poi, la crescita completa delle organizzazioni di volontariato sarà visibile quando esse impareranno a usare la rete non solo per cercare informazioni, e neanche solo per collegarsi con altri soggetti delTerzo Settore o dell’amministrazione pubblica o di altro tipo, ma quando saranno in grado di fornire, attraverso i propri siti, servizi concreti per gli utenti. (Rosito, Springhetti 2001) Naturalmente, non tutto il composito mondo del volontariato può adottare la rete come strumento di integrazione e di solidarietà. Per fortuna la relazione faccia-a-faccia rimane la principale risorsa e il fine di molta azione volontaria. Come abbiamo visto, i computer e la telematica, soprattutto se completate dalle tecnologie portatili di comunicazione a distanza, possono diventare un’ottima infrastruttura organizzativa. Immaginiamo l’utente di un servizio che segnala la necessità di assistenza attraverso un sms o un segnalatore automatico. Immaginiamo un sistema tecnologico 154 che – grazie al riconoscimento della posizione del suo cellulare – identifica il volontario o la volontaria più prossimi e scegliere tra questi, grazie all’archivio disponibile, quello “più gradito” dall’assistito o quella con cui ha già avuto contatti. A questo punto il sistema, automaticamente, potrebbe contattare tramite sms il volontario scelto che a quel punto contattarebbe direttamente l’assistito. Questo esempio – del tutto ipotetico – è ritagliato, non a caso, sull’utilizzo di una tecnologia – la telefonia cellulare – ormai diffusa tra tutti i cittadini e che nel prossimo futuro sarà facilmente integrabile con le tecnologie informatiche e di rete. L’esempio dovrebbe dimostrare anche un altro aspetto. L’organizzazione delle attività è di solito tra quelle più impegnative e dispendiose per ogni struttura, in particolare per quelle del volontariato. Spesso questa traduce in procedure burocratiche e nella burocratizzazione delle attività. Manuel Castells – uno dei maggiori esperti della “Società della Rete” – segnala un rischio possibile: “se avete un’organizzazione burocratica e aggiungete i computers essa diventerà ancora più burocratica”60. L’utilizzo dell’informatica deve sostituire e non aggiungersi alle procedure burocratiche già attuate. Come abbiamo visto, il networking permette un’organizzazione decentrata e non gerarchica. Permette la cooperazione e la fluidità. La flessibilità e adattabilità propria dell’attività volontaria deve essere potenziata e valorizzata dall’utilizzo delle tecnologie di lavoro in rete e non rappresentare una nuova mediazione. Immaginate se, nell’esempio, qualcuno avesse dovesse gestire lo scambio di sms o se qualcuno avesse dovuto compilare un modulo di richiesta… In questi termini, il cyberspazio può e deve essere “virtuale”. 6.10 Software: anche i programmatori possono essere volontari Nel secondo paragrafo abbiamo sostenuto l’importanza della scelta dei programmi adottati dai computer che utilizziamo. Il software non indica solo cosa può fare il pc, ma condiziona il modo in cui lo farà, le possibilità che ci offrirà, il modo in cui potremmo usarlo come strumento di comu60 Intervista di Erica Rosolen e Beatrice Morandi e pubblicata da “Arnovalley Community” nel marzo 2003 (Manuel Castells: L’economia in rete, impresa e Innovazione). L’Autore si riferiva alle imprese, ma il suo significato può essere facilmente esteso a tutte le organizzazioni. 155 nicazione. Per questo motivo la scelta del software non è indifferente, soprattutto per il volontariato. Linux è un termine ormai noto a molti. La fama del sistema operativo libero e open source che sta facendo vacillare il monopolio del sistema Windows della Microsoft di Bill Gates, si è nel tempo diffusa anche tra i non addetti ai lavori. Tanto che, forse, descriverlo può risultare superfluo. Il nome Linux è diventato sinonimo, l’emblema, di una particolare modo di creare e distribuire programmi per computer. In questo modello il software non è creato da una singola azienda o software house per poter essere poi venduto e distribuito tra i suoi utilizzatori. Il programma viene invece elaborato collettivamente e volontariamente da un gruppo anche molto ampio di programmatori. Questi sviluppatori scrivono volontariamente LINUX: il nome Linux è il nome e nel tempo libero il “codice” dei prodato da Linus Torvalds ad un kernel grammi scambiandosi informazioni e – il nucleo di un sistema operativo commenti, correggendosi a vicenda, – realizzato in modo cooperativo facendo tentativi ed esperimenti. Ciò è e soggetto a licenza GPL. Questo possibile perché il programma è aperto. programma, indispensabile al funOvvero, il contenuto del programma, zionamento del sistema operativo, la lista delle istruzioni (il cosiddetè andato a completare il sistema to “codice sorgente”) – normalmente GNU fino a quel momento sviilleggibile dagli utenti e tenuto in gran luppato intorno alla Free Software segreto dalle imprese produttrici – è Foundation di Stalman. In questo disponibile a tutti. In questo modo quemodo si sono potuti integrare e sti “programmatori volontari” possono aggiungere una serie smisurata di leggerlo, studiarlo, proporre variazioni programmi free software e una serie e miglioramenti ed immaginarne una di versioni e diramazioni così da versione diversa o migliore, con un comporre un ambiente di lavoro meccanismo simile “a un grande e condel tutto autonomo rispetto alle fusionario bazaar, pullulante di progetti piattaforme esistenti (Windows, e approcci tra loro diversi” (Raymond Mac, Unix, ecc.) chiamato appunto 1998). Gnu/Linux (Cfr. Stalman, Linux ed Com’è accaduto per l’invenzione dei il Progetto GNU, http://www.gnu. primi personal computer la creazioorg/gnu/linux-and-gnu.it.html). ne diventa un’attività di bricolage. Esperimenti e attrezzature dovevano costantemente essere scambiati. Informazioni e risultati, scoperte e sconfitte dovevano essere immediatamente condivisi. Solo un ambiente associativo poteva e può costruire quel risultato. In un simile ambiente sociale Steve Wozniac e Steve Job 156 poterono – come narra la leggenda – costruire l’Apple 2, il primo computer “domestico”, in un garage. Quindi né le grandi imprese (IBM, Sun, Digital, ecc.) né la ricerca pubblica finanziata dallo Stato. Presto le grandi imprese “acquistarono” le innovazioni di questo volontariato e diffusero l’uso del computer da tavolo negli uffici e negli appartamenti degli Stati Uniti e del resto del mondo. Un percorso parallelo avveniva per i programmi che permettevano ai “minicomputer” – grandi come stanze o armadi – ma anche ai piccoli “giocattoli casalinghi” sviluppati negli anni Settanta, di funzionare. Anche in quel campo la condivisione delle informazioni e la “solidarietà” tra programmatori era indispensabile per costruire le nuove competenze necessarie. Come ogni nuova conoscenza, la possibilità di metterla alla prova, modificarne alcuni aspetti, discuterne le deficienze e proporre alternative, accelerava la produzione di risultati. Come racconta Steven Levy, pare che la stessa fortuna di Bill Gates sia dovuta alla diffusione incontrollata del “codice sorgente” di un linguaggio di programmazione da lui elaborato (il Basic), in uno di questi meeting. Anche in quel caso quel patrimonio di conoscenze ed esperienze è stato poi chiuso in un programma non leggibile e “venduto” per far funzionare i nuovi personal computer della ibm. Proprio per evitare questo rischio tale software a sorgente aperto viene protetto da una specifica licenza per la tutela del diritto d’autore. Si tratta delle General Public Licence (gpl) che garantiscono che chiunque possa utilizzare o manipolare un programma a patto che tutte le modifiche apportate siano a loro volta coperte dallo stesso tipo di licenza61: garantisce cioè che un “codice rilasciato sotto GPL è libero, e tutti i codici che da esso derivano saranno altrettanto liberi” (Ippolita 2005: 19). La libertà è, quindi, riferita all’utente. Tale licenza, infatti, garantisce che: - l’utente ha la libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo; - l’utente ha la libertà di modificare il programma secondo i propri bisogni (perché questa libertà abbia qualche effetto in pratica, è necessario avere accesso al codice sorgente del programma, poiché apportare modifiche ad un programma senza disporre del codice sorgente è estremamente difficile); In aggiunta a questa condizione, un’altra clausula prevede che se si utilizza una serie di istruzioni (una “routine”) o un programma coperto da Gpl all’interno di un altro, per costruirne o migliorarne uno più grande, anche quest’ultimo sarà coperto dalla stessa licenza. 61 157 - l’utente ha la libertà di distribuire copie del programma, gratuitamente o dietro compenso; - l’utente ha la libertà di distribuire versioni modificate del programma, così che la comunità possa fruire dei miglioramenti apportati. (R. Stalman, Il progetto GNU) Un recente testo della sociologa Mariella Berra e dell’ingegnere Angelo Raffaele Meo descrive il Software Libero e la sua origine storica definendolo proprio come frutto di una sorta di “informatica solidale”: la storia delle tecnologie e dell’Internet, la possibilità di produrre e correggere il software conoscendo il “codice sorgente”, il modello di organizzazione cooperativo e antiutiltaristico in azione, le possibilità e i vantaggi dei “prodotti” realizzati, le possibilità economiche e politiche che apre. Il volontariato dovrebbe essere eticamente vicino a questa storia e quindi, in modo del tutto naturale, utilizzare il free software: perché il volontariato non dovrebbe utilizzare programmi costruiti grazie ad attività volontarie e solidali? Eppure ci sono una serie di altre ragioni, molto meno “simboliche”, per scegliere questo tipo di software, che qui riassumeremo. Sono poco costose. Probabilmente si tratta della ragione meno nobile ma più legata alle difficoltà quotidiane affrontate dal volontariato. Tutti i programmi “liberi” possono essere scaricati gratuitamente dalla rete, acquistati a costi molto bassi o addirittura disponibili gratuitamente o al semplice costo del cd-rom che li contiene. Questa economicità nasce dall’idea “di realizzare e diffondere una tecnologia efficiente e a basso costo, in cui il valore aggiunto è dato dalla cooperazione” (Berra, Meo 2001: 169). Se questa “organizzazione del lavoro” rende i programmi particolarmente efficienti, la loro libera distribuzione e il loro fondarsi su lavoro per lo più volontario, li rende anche particolarmente economici. Il loro utilizzo è ormai molto semplice: sono ormai disponibili interfacce grafiche simili a quelle dei sistemi Windows e Macintosh. Mentre sono disponibili anche le più comuni applicazioni per l’elaborazione dei testi, la grafica, il calcolo (fogli elettronici), la navigazione e la gestione della posta elettronica utilizzabili anche in queste piattaforme “proprietarie”62. Anche la loro istallazione è stata nel tempo semplificata. Certo, il loro uso o l’istallazione di alcuni programmi può richiedere un aiuto ulteriore. Per questa evenienza si possono contattare i numerosi 62 Così vengono definiti i software e i sistemi operativi “non liberi”. 158 gruppi di appassionati che negli ultimi anni si sono formati su tutto il territorio nazionale o chiedere l’assistenza ad un’azienda specializzata. Questo sarebbe certo un costo, ma a questo punto occorre chiedersi se si preferisce pagare il software ad una impresa profit lontana centinaia di chilometri e l’assistenza ad una sua consociata o se preferiamo rivolgersi ad una piccola azienda locale, formata spesso dagli stessi sviluppatori di software libero. Sono conviviali. Quest’ultima considerazione ci porta direttamente al secondo valore aggiunto legato all’uso di questo tipo di programmi. Questi strumenti, infatti, assomigliano a quelli che Ivan Illich (1973) definiva “strumenti conviviali”: attrezzature non chiuse, proposte dall’alto e impossibili da modificare o adattare. Sono sistemi aperti: se ne possono conoscere i meccanismi di funzionamento, si possono modificare e adattare alle necessità locali, costringono gli utilizzatori al rapporto sociale, all’assistenza del vicino per farlo funzionare, “costringono” alla convivialità63. Queste definizioni sono perfettamente adattabili al software “non proprietario”. Non sono costosi, sono modulari e flessibili, non richiedono continui aggiornamenti o assistenza professionalizzata, sono decentrati e costringono il consumo a diventare produttivo. Ossia attivo, relazionale, associativo. Come la loro realizzazione è fondata sulla cooperazione, il loro utilizzo richiede e permette la creazione di relazioni di cooperazione e scambio tra il produttore e l’utilizzatore o tra gli utilizzatori. Sono contestuali e adattabili. Proprio grazie a questa relazione, i programmi non sono scatole chiuse alle quali l’utente, l’organizzazione di volontariato, deve adattarsi. Al contrario, la possibilità di modificare direttamente il codice è la condizione per adeguarlo alle esigenze di chi lo usa e per riadattare il patrimonio di conoscenze di cui il prodotto software è il risultato ai bisogni dei diversi contesti locali. (Berra, Meo 2001: 173) Questi dispositivi, realizzati attraverso un linguaggio di programmazione libero (il php) e disponibili in modo gratuito ed aperto possono essere adattati e modificati per adeguarsi ad ogni esigenza. Nessuna parte o software viene acquistato se non necessario, mentre la necessità di perfezionamento e accomodamento dei programmi richiede solo la costruzione 63 Serge Latouche (1986) riprende questa definizione per proporre delle “tecnologia appropriate” per la questione dello “sviluppo” del Sud del mondo. Tecnologie non imposte dall’alto, o meglio dal centro, tecnologie chiuse, immodificabili, non conviviali. 159 di relazioni e reti con realtà simili e con altri gruppi di volontari: L’eccellenza tecnica del software libero dipende proprio dal fatto che nessuno si arroga l’esclusiva sulla sua distribuzione; il vantaggio per l’utente è che qualunque tecnico può offrire assistenza qualificata, così come qualunque riparatore può aggiustare un trapano elettrico [...] ogni tecnico programmatore può intervenire su un programma libero e modificarlo perché si adatti nel migliore dei modi alle esigenze dell’utente (Rubini 1998). Anche un singolo volontario o un gruppo di appassionati può intervenire sul software, mentre nessuna azienda trae profitto dal continuo alternarsi di aggiornamenti dei programmi e nuove macchine (e denari) necessari. Gli strumenti di comunicazione possono finalmente diventare un bene collettivo, ma può esserlo anche la comunicazione? 6.11 Copyright: le possibilità di una telematica sociale Lungo le reti transitano, quindi, comunicazioni, informazioni, relazioni. La trasformazione digitale rende l’esperienza e i legami sociali “trasmissibili” a distanza. Il loro trasferimento, però, non si traduce in perdita per chi li dona. Al contrario dello scambio economico di beni materiali, i contenuti digitali possono essere duplicati e diffusi velocemente e senza nessuna perdita. La riproducibilità digitale delle informazioni, cioè, arricchisce chi “riceve” senza impoverire chi “trasmette”. Questa constatazione basilare, come abbiamo visto finora, ha delle enormi conseguenze non solo per la cosiddetta old economy, ma per il modo di funzionare delle reti e soprattutto per chi, come il volontariato, fonda la propria attività sul dono e la solidarietà. Per utilizzare al meglio queste peculiarità e garantire che questi principi siano rafforzati e rafforzino l’utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche occorre garantire la diffusione e l’accesso alle informazioni digitali. La new economy pare abbia fallito perché ha cercato di tradurre in beni da vendere informazioni e servizi che gli utenti della rete già si scambiavano “gratuitamente” e in modo del naturale (Formenti 2002). Ovvero, ha fallito quando ha cercato di utilizzare a fini commerciali l’amicizia, la condivisione, l’aiuto, le relazioni sociali che costituiscono la vera materia prima della rete. Il rapporto sociale, la cultura, le conoscenze sono un bene comune, sono il modo in cui le persone costruiscono comunità e convivono. Difficilmente si può convincere qualcuno a vendere o comprare la 160 propria amicizia, la qualità, tutta sociale, di vivere e comunicare insieme, aiutare e esser aiutati dagli altri: “le cose degli amici sono comuni: se non ci sono cose comuni, non ci sono amici” (Pievatolo 2005). La sconfitta “imprenditoriale” dell’economia della rete si sta però trasformando nell’impegno a trasformare tale ricchezza di relazioni in scarsità, comprimendo la capacità di produrre e condividere le informazioni digitali. Se “beni digitali” non sono scarsi non possono diventare parte di un mercato. Tradizionalmente un bene economico che sia liberamente accessibile e largamente diffuso, ha un valore scarso o nullo sul mercato, chi ha il possesso di questo bene ha tutto l’interesse a limitarne l’accessibilità per rendere il bene scarso e quindi aumentarne il valore di mercato. In altre parole si tendono a trovare degli strumenti (tecnici e legali) per limitarne la diffusione e riproducibilità.64 Prima di tutto, questa trasformazione avviene a livello etico-morale, si squalifica l’attività di copia dei contenuti digitali e alla loro condivisione e scambio, riducendola a mera operazione di pirateria o addirittura definendola un “furto”, ma soprattutto si rafforzano e inaspriscono le discipline del copyright e del diritto d’autore (Cortiana 2005). La conseguenza è che la “proprietà intellettuale che era un mezzo al servizio della creazione e della diffusione dei saperi è diventata un fine in sé” (Latrive 2004). La facilità nella riproduzione e diffusione di “opere d’ingegno” attraverso gli strumenti elettronici rende necessario un profondo ripensamento delle norme relative al diritto d’autore e al concetto stesso di autorialità. Infatti il copyright, come tradizionalmente concepito, può essere uno strumento rigido che ostacola invece di favorire la creazione delle conoscenze e la loro diffusione – tecnicamente semplicissima – attraverso le reti telematiche. Le modifiche legislative stanno prevalentemente andando verso una regolamentazione ancora più restrittiva e che può non garantire il diritto degli autori – individuali o collettivi – di assicurare la massima diffusione dei contenuti prodotti. Non è del tutto semplice, ad esempio, per un’organizzazione di volontariato pubblicare un testo o un’opera lasciando liberi gli individui o le associazioni di volontariato di utilizzarla e diffonderla. Le norme e le istituzioni che garantiscono la tutela del diritto d’autore, applicandosi in Testo tratto dal documento Verso la Società della Conoscenza elaborato dall’Associazione “Il Secolo della Rete”. 64 161 modo indifferenziato a tutte le opere di ingegno, possono non prevedere o garantire tale scelta. Il diritto d’autore è infatti diventata, più che una garanzia o facoltà dell’autore, una tutela obbligatoria. D’altro canto tale tutela “eccessiva” della proprietà intellettuale può diventare un vincolo insormontabile per la realizzazione di prodotti comunicativi per il volontariato, produzione caratterizzata dalla cronica penuria di risorse economiche. Pensiamo solo all’abitudine diffusa di utilizzare immagini o parti di programma fatalmente coperte da copyright per costruire i propri siti web o, ad esempio, della pratica di utilizzare “una mailing list per spedire copie di articoli di giornali online a tutti i propri iscritti” (Bollier 2002: 9). Ovvero non solo la diffusione di informazioni, ma anche il loro utilizzo a fini sociali e non commerciali è limitata da queste discipline. La nascita di Internet e delle tecnologie digitali cambia la natura dei diritti di proprietà intellettuale, mutandone il senso e accrescendone la severità. Per approfondire: È ormai molto ampia la letteratura dedicata al tema del diritto d’autore e free software. Sul software libero consigliamo i numerosi testi dedicati alla sua storia e alla figura di Stallman (Stallman 2002 e Williams 2002). Sul copyright possiamo segnalare i testi di Lawrence Lessig, gli interventi sul tema dell’”atelier letterario” Wu Ming (www.wumingfoundation. com) e il testo curato da Raf Scelsi (1994). Prima dell’avvento delle tecnologie di Internet, [...] le tecnologie per la pubblicazione erano costose e questo implicava che gran parte dell’editoria fosse commerciale. [...] Ma, con la nascita di Internet, questo limite naturale alla portata della legge è scomparso. La legge controlla non soltanto la creatività degli autori professionali; ma di fatto quella di chiunque. Oggi il peso di questa legge supera enormemente ogni beneficio originario - sicuramente ha effetto sulla creatività non-commerciale, e sempre più anche su quella commerciale. [...] Il ruolo della legge è sempre meno quello di offrire sostegno alla creatività, e sempre più quello di tutelare determinate industrie nei confronti della concorrenza. (Lessing 2004) Per questo motivo la Free Software Foundation di Richard Stalmann e il giurista Lawrence Lessig, autore del passo appena citato, hanno ispirato l’elaborazione di una serie di licenze che, mentre tutelano il diritto degli autori, garantiscano la diffusione dei contenuti attraverso le reti telematiche. Si chiamano Free documentation Licenze (fdl) e Creative Commons 162 (ccpl) e sono costruite sul modello delle Gpl del free software. La prima rende, un manuale, un testo o altri documenti utili e funzionali, ‘liberi’ nel senso di assicurare a tutti la libertà effettiva di copiarli e ridistribuirli, con o senza modifiche, a fini di lucro o meno. In modo simile, la seconda è una licenza flessibile e articolata che mira a garantire la conservazione di uno spazio pubblico della conoscenza e della comunicazione. Si tratta di “licenze limitate”, in cui non “tutti”, ma solo “alcuni diritti” sono riservati. In linea generale garantisce “la libertà di copiare, distribuire, mostrare ed eseguire in pubblico l’opera” (Aliprandi 2005: 50) L’autore può, però, decidere a) se permette al fruitore di modificare l’opera o di utilizzarla per creare “opere derivate”; b) se, in questo caso, vuole che l’opera modificata sia distribuita con lo stesso tipo di licenza65; o c) se permettere la diffusione della propria opera a fini commerciali o meno. La licenza, quindi, non solo garantisce la pubblicità dell’opera, ma lascia all’autore, individuale o collettivo, di stabilire le modalità di questa diffusione. Queste licenze si stanno ampiamente diffondendo nella rete e la loro espressione si sta traducendo e adattando alle varie legislazioni nazionali. Oltre alle iniziative per limitare l’espandersi all’infinito della tutela legale dei diritti della proprietà intellettuale e della brevettabilità, l’utilizzo di queste licenze è un gesto concreto per ampliare l’accesso alle conoscenze attraverso le reti telematiche e quindi la possibilità di cooperazione e il mantenimento di uno spazio pubblico della conoscenza. Nelle parole di Jeremy Rifkin, il nostro tempo, l’era dell’accesso, si caratterizza non dalla proprietà dei beni e delle conoscenza ma dalla possibilità di accedere a conoscenze e “esperienze culturali”: assistiamo al “passaggio dal regime di proprietà, fondato sull’idea di distribuzione capillare della titolarità dei beni, al regime di accesso, basato sulla garanzia di disponibilità temporanea di beni controllati da reti di fornitori” (Rifkin 2000: 9). Compito del volontariato non è solo quello di usare le nuove tecnologie di creazione e trasferimento dei contenuti culturali, ma di garantire che questi beni siano accessibili a tutti e che la loro creazione e distribuzione non sia esclusivamente “al servizio dalla sfera economica” (Rifkin 2000:13). Per le organizzazioni di volontariato rendere disponibili contenuti e strumenti attraverso la rete e sottoporli a queste licenze, Questa possibilità è centrale nelle licenze del Software libero. Si tratta di una clausola spesso definita come “virale” perché si espande attraverso il suo utilizzo. Infatti, se qualcuno utilizza una parte di software libero all’interno del proprio programma, quest’ultimo dovrebbe diventare a sua volta libero, ne verrebbe “contaminato”. 65 163 significa continuare l’opera di “responsabile partecipazione e pratica di cittadinanza solidale in quanto [...] concorre all’allargamento, tutela e fruizione dei beni comuni”66, anche nel campo della comunicazione. Non significa solo accordarsi alla cultura della rete e alle sue “regole”, ma contribuisce a garantire l’accesso alla conoscenza e la produzione di comunicazione come beni comuni. La struttura attuale del volontariato sembra già pronta, o comunque la più adatta a questa trasformazione. Come scrivevamo nella prima edizione di questo quaderno: Chi, meglio dei soggetti che hanno nella capacità relazionale la loro specificità, può utilizzare le inaspettate potenzialità della rete. Chi può costituire comunità virtuali, aperte e non chiuse, beninteso, se non le persone, le associazioni, le organizzazioni che agiscono su base comunitaria? Chi può al meglio agire nella rete, se non chi basa la sua azione quotidiana sulla capacità di mettersi in rete con gli altri soggetti? Purtroppo, la risposta scontata non è, necessariamente, il volontariato. Utilizzare la rete non significa soltanto “imparare a far funzionare un computer”, né “essere connessi ad Internet”. Può voler dire ripensare il modo in cui ci si organizza, si comunica, si costruisce il proprio sapere e la rete delle proprie relazioni. Bisogna essere in grado di mettere in discussione un modo di pensare legato ai vecchi media e ad antiquate forme organizzative, agire finalmente in rete o piuttosto utilizzare strumenti adatti proprio alla ricchezza, frammentarietà e dispersione del volontariato. Paradossalmente però, perché la rete diventi spazio di discussione, condivisione e cooperazione occorre applicare, anche in quel campo, la solidarietà e la cultura del dono. Perché davvero la telematica diventi sociale. Si vuole accettare la sfida? 66 Punto 7 della Carta dei valori del volontariato. 165 7. PERSI NELLA RETE: BREVE GLOSSARIO PER I NEO INTERNAUTI di Andrea Volterrani La rete può spaventare. Ma può spaventare ancora di più non riuscire ad avere un seppur minimo accesso. Quello che segue vuol essere il “kit da principianti” per le associazioni di volontariato. Ecco allora le notizie minime che dovreste sapere. 7.1 Cos’è Internet? Internet, o “la rete delle reti” nasce nel 1969 con il nome di ARPANET su progetto del Dipartimento della Difesa statunitense. Obiettivo dell’attività è creare un’infrastruttura di comunicazione totalmente indipendente e decentrata in grado di resistere agli attacchi nucleari russi previsti nel periodo della Guerra Fredda. I computer collegati tra loro avrebbero infatti mantenuto la propria indipendenza, non pregiudicando il funzionamento del sistema nel momento in cui uno di loro fosse stato distrutto. Il progetto originario collegò 4 tra le principali istituzioni universitarie degli Stati Uniti: l’Università della California di Los Angeles, l’SRI di Stanford, l’Università della California di Santa Barbara e l’Università dello Utah. Gli sviluppi civili del progetto furono però pressoché immediati, tanto che già negli anni ‘70 si iniziò a parlare di “rete delle reti”, ovvero di una gigantesca infrastruttura in grado di collegare tra loro reti pubbliche e private, universitarie e aziendali, mettendo a disposizione degli utenti del sistema l’informazione in esse contenuta. Da allora Internet non ha mai fermato la sua crescita continuando ad espandersi in ogni angolo del globo e ad arricchirsi di contatti e contenuti. 7.2 Come funziona Internet? Le reti che compongono Internet scambiano tra loro informazioni attraverso l’utilizzo di un codice di comunicazione condiviso, un protocollo, che permette a computer anche molto distanti tra loro nello spaziao di comunicare in maniera univoca e di ridurre al minimo le possibilità di errore e di fraintendimento. Il TCP/IP (Transmission Control Protocol/ Internet Protocol) è infatti il sistema che controlla e regola lo scambio di 166 informazioni sulla rete, che ne presidia le connessioni fisiche, che suddivide l’informazione in “pacchetti” di contenuto e che infine ne supervisiona la ricomposizione una volta a destinazione, provvedendo al reinoltro di quelle parti di contenuto che eventualmente siano state deteriorate dal “viaggio”. Il funzionamento dello scambio di materiale tra due computer è da un certo punto di vista molto simile al sistema postale tradizionale. Ogni computer dotato di un accesso ad Internet ha infatti un nome identificativo che ne permette il reperimento e consente all’informazione di essere recapitata o richiesta. Ognuno di questi indirizzi è unico, proprio come il nostro indirizzo di casa, e consente quindi al sistema di identificarci in maniera semplice ed efficace almeno per tutta la durata della connessione. Di fatto il nome che le nostre macchine assumono sulla rete è rappresentato da una serie di caratteri numerici, spesso tradotti per nostra comodità dal sistema in insiemi significativi di caratteri che ci permettono di identificare il nostro interlocutore del momento in maniera pratica e veloce. Ad esempio digitando l’indirizzo www.cesvot.it quello che si sta “chiamando” è il computer sul quale risiedono le informazioni relative al Centro Servizi Volontariato, che ci risponderà mostrandoci alcuni dei suoi contenuti. L’ultima parte del nome, le poche lettere che stanno dopo l’ultimo punto, tornano invece ad essere una sigla convenzionale, che identifica o la provenienza dell’informazione (in questo caso .it sta per “Italia”), o la sua natura (ad esempio “.info” indica siti di informazione, “.org” siti di organizzazioni senza scopo di lucro, “.com” siti commerciali, “.gov” siti governativi). Questo sistema di catalogazione permette di farsi un’idea immediata della tipologia di siti che si vedono anche per la prima volta. 7.3 Alcuni strumenti per fare i primi passi Che lingua si parla in rete: @ (“at - presso” o “chiocciola”): è il simbolo che in un indirizzo di posta elettronica separa il “nome” dal “nomedominio”. Bcc (blind carbon copy – copia carbone nascosta): le persone il cui indirizzo di posta elettronica è inserito in questo campo riceveranno il messaggio per conoscenza, ma rimarranno nascosti alla vista di coloro cui è stato indirizzato primariamente ed anche a coloro che lo ricevono in carbon copy. browser: si tratta di programmi per consentire un più facile accesso alla rete agli utenti. I più famosi sono Netscape ed Explorer. 167 cc (Carbon Copy – copia carbone): si tratta di uno dei campi all’interno dei quali è possibile digitare un indirizzo di posta elettronica in maniera tale che il contenuto del messaggio sia inviato anche a lui/lei, insieme al destinatario principale. client (cliente): è così chiamato ogni computer che accede alla rete per interpellare altri computer (server) e chiedere a loro dati ed informazioni. connessione: azione attraverso la quale si permette al proprio computer di entrare sulla rete e quindi in collegamento con tutti gli altri computer lì presenti. E’ resa possibile dall’attività svolta dai provider. download (scaricare): è il processo attraverso il quale è possibile prelevare programmi e documenti da un computer e trasportarli sul proprio. e-mail (posta elettronica): è un sistema che somiglia molto nel funzionamento al sistema postale tradizionale e che permette agli utenti della rete di scambiarsi messaggi. Rappresenta uno degli usi maggiori che si fanno della rete. http (HyperText Transfer Protocol): è il protocollo che si usa sulla rete per trasferire documenti. Nella sua forma abbreviata precede quasi tutti gli indirizzi Internet ad indicare che il sistema di scambio delle informazioni che si sta utilizzando è quello basato su questo protocollo. Indirizzo Internet: è il nome che permette di identificare un computer su Internet. Le macchina leggono questi indirizzi come blocchi di numeri separati tra loro da punti, che vengono tradotti per gli esseri umani in parole per permettere una miglior comprensione dei contenuti. Tali insiemi di lettere sono sempre divisi in due o più parti, separate tra loro da punti. (es. cesvot.it), di cui la parte più a sinistra è la più specifica, mentre quella a destra la più generale (it sta per Italia) Indirizzo di posta elettronica: è l’indirizzo che permette ad un utente di inviare un messaggio ad un altro, proprio come quando si invia una lettera di tipo tradizionale. Nel caso della posta elettronica il messaggio viene inviato ad un indirizzo che ha generalmente la forma nome@nomedoninio, in cui la prima parte (nome) è scelta a discrezione dell’utente, mentre la seconda (nomedominio) identifica il luogo (il computer) all’interno del quale la casella di posta è ospitata e dove quindi saranno archiviate tutte le comunicazioni e che potrà essere “chiamato” per consultarle. Ipertesto: si tratta di un testo non sequenziale, ovvero che ha la possibilità di essere letto –e di avere un significato compiuto- non solo seguendo dalla prima parola all’ultima, ma anche procedendo in maniera nonlineare, seguendo i rimandi interni tra parole significative (link) o accedendo ad altri testi. www: acronimo di World Wide Web (ragnatela grande come il mondo), 168 indica l’insieme delle risorse accessibili usando i servizi Internet. Di solito viene identificato con Internet stessa, mentre ne è solo una parte. Le tre lettere, in carattere minuscolo e seguite dal punto, precedono quasi tutti i nomi dei siti per indicare che questi devono essere cercati all’interno della “ragnatela”. link (legame): sulla rete indica termini presenti all’interno di un testo che rimandano ad un’altra parte dello stesso, ad un testo completamente diverso o addirittura ad un altro luogo. Convenzionalmente i link sono graficamente segnalati all’interno del testo e passandoci sopra con un puntatore segnalano la possibilità di essere “cliccati”, ovvero premuti per attivare il collegamento. login: è l’azione con la quale un utente si collega ad un sistema informatico. Tipicamente consiste nell’inserire il proprio userID (ovvero un identificativo pubblico scelto liberamente dall’utente o a lui assegnato dal sistema) e la propria password (insieme di alfanumerico di caratteri scelto a totale discrezione dell’utente e che deve rimanere segreto per proteggere la sicurezza dell’accesso). modem: abbreviazione delle parole MODulatore e DEModulatore, dispositivo che fa da tramite tra il computer e la linea telefonica (o la fibra ottica) che permette l’accesso del computer ad Internet. provider: sono soggetti pubblici o privati che, generalmente dietro il pagamento di un abbonamento, consentono ai computer di entrare su Internet. Il provider ha infatti uno o più computer server che accolgono le richieste provenienti dai computer dei propri clienti e provvedono a smistarle e reindirizzarle correttamente ali server che gestiscono la rete. server: indica un computer o un programma che fornisce informazioni e servizi agli altri computer che lo interpellano. 7.4 Fare ricerca su Internet: ovvero come trovare qualcosa senza perdersi troppo “Cercalo su Internet!”, “L’ho trovato su Internet”, “Sarà su Internet…”… ecco solo alcune delle espressioni che sempre più frequentemente diciamo e sentiamo dire quando si parla di cercare e trovare informazioni, indicazioni, documenti. La rete rappresenta infatti indubbiamente un luogo ricco di nozioni, documenti, testi, dove quindi è facile trovare risposte alle proprie domande. Un luogo tuttavia anche molto pericoloso proprio per la sua vastità e ricchezza perché, come ben sanno le persone abituate a fare ricerca, il problema è raramente che cercando non si trova, solitamente si trova troppo! E quando si ha troppa informazione si rischia 169 di finire dove si è cominciato, ovvero allo stadio iniziale della conoscenza, scoraggiati. Per evitare che la ricerca produca frustrazione anziché risultato è quindi opportuno che chi si approccia a tale compito conosca le regole dello strumento che utilizza per la propria attività e le segua adeguandole al proprio fabbisogno. Quando si parla di effettuare ricerche su Internet questo significa conoscere i principi della sua struttura e le modalità più funzionali per “interrogare il sistema” affinché produca risultati accettabili. Se infatti è vero che la rete contiene “un pò di tutto”, è anche vero che include gli strumenti per costruirsi un percorso all’interno del labirinto e non perdercisi dentro. Sono i “motori di ricerca”, ovvero software che permettono all’utente di interrogare la rete e di cercare ciò di cui si ha bisogno, strumenti che, come boe in mezzo al mare, aiutano a trovare la via. Si tratta di una sorta di bibliotecari sapienti –anche se non sempre saggi- che, grazie ad un accesso pressoché illimitato ai contenuti della grande rete, possono guidarci nei suoi meandri, portando alla nostra attenzione “pezzi di comunicazione” di volta in volta di interesse. Come tutti i bibliotecari, però, anche i motori di ricerca devono essere interrogati in maniera appropriata perché possano effettivamente capire cosa stiamo cercando e guidarci verso il suo reperimento. Avete mai provato a chiedere ad un bibliotecario: “sto cercando un libro d’amore”? Probabilmente se lo avete fatto avrete visto dipingersi sul suo volto perplessità e dubbio. Questo perché per “libro d’amore” si può intendere un romanzo d’amore, un trattato sull’amor cortese o ancora un testo di fisiologia che descrive le alterazioni del nostro corpo quando sottoposto ad una tale emozione, solo per fare qualche esempio. La stessa cosa succede, in maniera ancora più forte e talvolta divertente (o estremamente frustrante) quando si interroga un motore di ricerca, che per di più è un programma fatto di numeri e quindi incapace di cogliere sfumature, sottintesi o significati impliciti insiti nella nostra richiesta, nonché di chiederci chiarimenti. Per evitare che le ricerche si trasformino in una demoralizzante perdita di tempo appare quindi necessario per prima cosa sapere a grandi linee come funzionano i motori di ricerca e poi apprendere nello specifico le regole che ne sovrintendono l’interrogazione. Quasi tutti i motori più noti hanno infatti sistemi simili per l’analisi dei documenti presenti sulla rete, mentre hanno norme più particolari per quanto riguarda l’interrogazione da parte degli utenti. Generalmente la conoscenza di un motore di ricerca proviene da spider o crawler (in italiano “ragni”) ovvero software che girano instancabilmente sulla rete andando a “leggere” tutte le pagine che trovano per poi catalogarle in base al loro titolo, alle parole più ricorrenti, 170 ai link che contengono. Tutte queste informazioni costituiscono l’archivio del loro sapere e rappresentano le tracce che esso ha per reperire l’informazione e sottoporla all’attenzione del proprio interlocutore. Conoscere questo meccanismo ci permette di avere le idee più chiare rispetto alla domanda da porre al motore perché può spingerci a ragionare seguendo la stessa logica e pensando quindi, nel caso in cui sia un testo quello che stiamo cercando, a quale possa essere il suo titolo, quali le parole più ricorrenti, quali link potrebbero guidarci ad esso. L’altra utile conoscenza per una più facile ricerca è quella degli “operatori booleani”, ovvero un insieme di segni convenzionali che molti dei motori utilizzano per la ricerca di più parole disposte in sequenza. I principali sono: - AND (la congiunzione “e” in inglese), che indica al motore di ricerca che i due termini che lo racchiudono devono essere presenti nel testo insieme; - OR (la disgiuntiva “o”), che indica al contrario che i due termini possono essere presenti alternativamente nel testo; - NOT (la negazione “non”), che indica che nel testo non devono essere presenti alcuni termini; - “” (virgolette aperte e chiuse intorno ai nostri termini di ricerca), che indica che i termini in esse contenuti sono una citazione testuale che si sta cercando. Tali elementi possono essere utilizzati singolarmente o in forma aggregata per definire meglio la ricerca. Ad esempio digitando “cielo AND azzurro”, si dirà al motore di ricerca che si sta cercando un testo all’interno del quale sia presente la locuzione “cielo azzurro”, mentre digitando “cielo OR azzurro” si chiederà alla macchina di andare a reperire tutti i documenti in cui sia presente almeno uno dei due termini. Quando si usa la congiunzione NOT, invece, si chiede esplicitamente di escludere dalla ricerca uno o più termini, non prendendo conseguentemente in considerazione i documenti all’interno dei quali essi sono presenti. Molti motori di ricerca hanno con il tempo appreso a rispondere in maniera più adeguata alle domande poste dall’interlocutore umano, tanto che offrono spesso più opzioni per raffinare fin da subito la propria ricerca, per selezionare le variabili e ridurre così i margini di ambiguità. E’ sempre utile approfittare di queste opportunità, perché la rete cresce di giorno in giorno, aumentando quindi la confusione che si può ingenerare andando a cercare qualcosa al suo interno. Un’altra notazione importante è quella che riguarda le directory, ovvero elenchi tematici che posso risultare assai utili per definire una ricerca 171 particolarmente complessa. Le directory infatti hanno una struttura simile alle prime pagine di un elenco telefonico cartaceo, dove sono riportate tutte le categorie dei servizi poi contenuti nella pubblicazione. La selezione di una specifica categoria, qualora possibile, ha quindi la funzione di restringere fin da subito il campo della ricerca, escludendo i risultati non appropriati. Ad esempio selezionare la categoria “Arte” prima di digitare “tramonto” permetterà al motore di ricerca di capire che i risultati per noi significativi saranno solamente quelli che reperiranno la parola all’interno di documenti a tema artistico, tralasciando invece l’accezione scientifica o geografica del termine. Tutti i principali motori di ricerca hanno una directory, che è possibile selezionare fin dall’inizio della ricerca. 7.5 Essere su Internet: alcune considerazioni per un buon sito Indubbiamente gli strumenti multimediali rappresentano una grande risorsa di comunicazione, dal momento che permettono di mettere in comunicazione individui e collettività in maniera rapida, relativamente facile ed immediata, annullando spesso le differenze di spazio e di tempo. Come ogni strumento di comunicazione, tuttavia, anche in questo caso regole e accortezze sono necessarie perché la comunicazione possa essere appropriata ed efficace. Se infatti è relativamente facile “essere su Internet”, come sempre più spesso sentiamo ricordare come un dovere per chiunque aspiri ad una visibilità pubblica, non altrettanto lo è esserci in maniera funzionale ed efficace. Internet è infatti un medium molto particolare, dotato di caratteristiche che lo rendono allo stesso tempo un eccezionale mezzo di comunicazione ed un supporto molto esigente. La comunicazione che viene veicolata sulla rete ha infatti la possibilità teorica di essere ricevuta in ogni parte del globo da pubblici vasti ed eterogenei e può quindi portare a grandi risultati agli emittenti. Il prezzo da pagare per questo servizio è però costituito dalla rispondenza della struttura del messaggio ai requisiti imposti dal mezzo ed alle modalità d’interazione che con esso hanno le persone. Anche il contenuto più interessante ed importante, infatti, può andare perduto nel mare di informazioni che affollano la grande rete o essere ignorato da riceventi teoricamente interessati perché non conforme alle regole da loro imposte. Dal punto di vista degli utenti, infatti, è fondamentale che il sito risponda alle loro modalità d’interazione con il computer ed alle esigenze che dovrebbe risolvere. 172 E’ quindi importante che la progettazione dell’intervento muova da una definizione accurata del tipo di pubblico al quale la comunicazione è principalmente indirizzata e che sia ben chiaro quale funzione tale strumento deve svolgere. Nella realizzazione di un sito istituzionale per un’associazione di volontariato che aspira ad una fruizione universale, è, ad esempio, basilare che sia considerata una tipologia di utenti con competenze limitate riguardo alla “navigazione” e alla ricerca delle informazioni. Questo infatti permette di ottenere una comunicazione pressoché universale, anche se di livello minimo, che può essere successivamente resa più articolata e complessa in base alle esigenze rilevate. Per raggiungere tale risultato è possibile seguire un percorso in quattro passaggi: -suddivisione dell’informazione in unità logiche; -definizione di una struttura gerarchica del sito che tenga conto delle dimensioni dell’importanza e della generalità; -utilizzo di tale gerarchia per la strutturazione delle relazioni tra blocchi d’informazione; -verifica del prototipo dal punto di vista funzionale ed estetico. E’ importante che il procedimento logico che ha portato alla strutturazione dell’informazione all’interno del sito sia quanto più possibile chiaro e condivisibile per coloro che dovranno utilizzarlo, anziché apparire come un insieme disordinato di contenuti che i soggetti devono riordinare creando appositi modelli mentali67. La struttura di un sito ben costruito dovrebbe essere intuitiva per l’utente ed essere realizzata sulla base del principio che devono essere le informazioni a trovare il soggetto anziché il contrario. Un altro elemento importante che deve essere tenuto in grande considerazione riguarda poi la relazione che gli utenti hanno direttamente con i testi contenuti nel sito. E’ infatti opportuno considerare che allo schermo del computer il soggetto non si rapporta nello stesso modo che ad una pubblicazione, anche se in entrambi i casi quello che ha davanti è un testo scritto. Le informazioni su supporto carteceo vengono infatti lette, mentre ciò avviene più raramente nel caso di pagine Web, che vengono prevalentemente “scansionate”, ovvero esaminate nella loro globalità piuttosto velocemente, mentre il cervello seleziona le informazioni ritenute significative. Come è possibile quindi incrementare le probabilità che proprio le informazioni che si ritengono più significative vengano giudicate tali anche dai nostri interlocutori e siano inserite tra gli elementi 67 Alan Richmond, The Web developer’s virtual library, 2. Conceptual Foundations, in http:// wdvl.com/Authoring/Design/Conceptual.html. 173 da processare e trattenere? Per garantire che le informazioni giungano a destinazione è importante che le pagine siano scansionabili, e questo vuol dire che devono contenere: -parole chiave evidenziate; -titoli e titoletti che abbiano un significato immediatamente comprensibile (non ambiguo o fuorviante). Titoli e sottotitoli rappresentano infatti nella maggioranza dei casi il “filo d’Arianna” che guida gli spostamenti dell’utente all’interno del sito e dovrebbero quindi evitare nella maniera più assoluta di trarre in inganno. Per evitare che casi d’incomprensione si verifichino sono anche a disposizione dei creatori di siti alcuni accorgimenti, uno dei quali è costituito dai piccoli messaggi pop-up (ovvero che appaiono sullo schermo non appena il cursore punta l’informazione), che corredano il titolo con una breve spiegazione relativa al contenuto della pagina alla quale esso conduce68; -elenchi puntati; -un testo costruito in stile giornalistico, ovvero costituito da brevi paragrafi strutturati sul modello della “piramide rovesciata”, dove l’idea chiave è contenuta nelle prime battute; -metà (o anche meno) delle parole che verrebbero usate per lo stesso testo scritto in maniera convenzionale69. Attraverso l’applicazione di questi accorgimenti si crea un sito effettivamente centrato sull’utente che è messo in grado di trovarsi davanti ad una struttura chiara all’interno della quale può muoversi con libertà, andando a cercare le informazioni delle quali ha bisogno. La sua soddisfazione in termini comunicativi (derivante sia dalla presenza che dalla raggiungibilità delle informazioni cercate) è infatti il parametro centrale per giudicare il successo della comunicazione e un obiettivo che deve essere sempre perseguito con scrupolo e tenacia. 7.6 Mandami una mail: potenzialità di una corrispondenza elettronica Sicuramente uno dei maggiori utilizzi che tutti noi facciamo di Internet è rappresentato dalla posta elettronica, che ha in molti casi sostituito il tradizionale invio di comunicazioni cartacee. La posta elettronica è infatti più pratica, più veloce e generalmente meno costosa, in grado di annullare 68 Jackob Nielsen, Using link titles to help users predict where they are going, in http://www. useit.com/alertbox/980111.html 69 Jackob Nielsen, How Users read on the Web, in http://www.useit.com/alertbox/9/10a. html. 174 le distanze di spazio e di tempo in maniera semplice ed efficace. La posta elettronica permette inoltre l’invio e la ricezione di documenti che possono essere allegati ai messaggi e che quindi possono essere scambiati tra interlocutori. L’immediatezza e la facilità che caratterizzano questo mezzo di comunicazione però portano con loro anche il rischio di dimenticare le regole di buona condotta della comunicazione, che molti utenti della rete hanno sentito il bisogno di riaffermare con forza attraverso la creazione di un vero e proprio “galateo della rete” denominato Netiquette e dedicato in particolare all’uso della posta elettronica. 7.6.1 I principi della Netiquette: - Utilizzare sempre il campo per l’inserimento del soggetto della comunicazione, permetterà al vostro interlocutore di identificare immediatamente il tema del messaggio. - Non inserire criteri di priorità nella ricezione dei messaggi a meno che essi non siano veramente urgenti. - Utilizzare con parsimonia l’opzione di “conferma di ricezione” o “conferma di lettura”. Questa seconda, in particolare, dovrebbe essere utilizzata con estrema cautela, dal momento che implicitamente trasmette un messaggio di sfiducia nei confronti dell’interlocutore, che si deve in qualche modo “controllare”. In assenza di una risposta ad un messaggio particolarmente importante è meglio attendere qualche tempo e poi inviare un nuovo messaggio per verificare personalmente la corretta ricezione della prima comunicazione. - Rendere sempre immediatamente visibile il mittente del messaggio. Sulla rete viene inviata una grande quantità di “posta spazzatura” (spam), costituita da messaggi invadenti e talvolta pericolosi che è bene non aprire se non provenienti da fonti sicure. L’identificazione del mittente della comunicazione permetterà quindi di garantire per il suo contenuto facendo sì che il messaggio non sia cancellato prima della sua apertura. - Non inviare allegati di grandi dimensioni. Non tutti possiedono connessioni alla rete veloci, in grado quindi di minimizzare i tempi di download dei documenti. Tenere conto di questo permetterà di non affaticare eccessivamente il computer del nostro interlocutore e di approfittare della sua pazienza . - Non inviare mai lettere a catena, quelle che si chiamano “catene di Sant’Antonio”. Sono generalmente fastidiose per chi le riceve e rischiano di intasare con futili contenuti le caselle di posta dei propri interlocutori. 175 - Costruire i testi delle comunicazioni in maniera concisa e diretta. Ricordando che sullo schermo di un computer è faticoso leggere testi lunghi è sempre opportuno che messaggi e paragrafi siano costruiti in maniera tale da non affaticare l’interlocutore ed agevolarne la comprensione del significato complessivo della comunicazione. - Ricordare sempre che la posta elettronica non è un mezzo di comunicazione sicuro, a meno che non si adottino criteri di crittografia. E’ quindi sempre bene tener presente che non dovrebbe essere scritto su un messaggio di posta elettronica niente che non si scriverebbe su di una cartolina postale. - Fare attenzione ai caratteri utilizzati nel messaggio, dal momento che essi possono avere un significato specifico. Scrivere in carattere maiuscolo, infatti, in tutta la comunicazione elettronica equivale ad urlare. - Utilizzare con parsimonia, ma sfruttandone le potenzialità comunicative, i cosiddetti smileys, ovvero le faccine (ridenti J, tristi L, perplesse K …) che cercano di arginare i problemi di comprensione che possono realizzarsi sulla rete in conseguenza della mancanza di indicazioni relative allo stato d’animo del soggetto di parola. Per evitare fraintendimenti è quindi sempre utile far seguire una faccina sorridente ad una battuta di spirito, mentre una faccina triste ad un rimprovero, ad indicare il disappunto con il quale lo si proferisce. 177 8. FARSI VOCE: L’EDITORIA DEL VOLONTARIATO di Roberta Scarfì 8.1 L’editoria sociale oggi In Italia sono attive 221.412 organizzazioni non profit secondo una prima indagine specifica condotta dall’Istat nel 1999. All’interno di questa cornice si possono individuare quattro realtà differenti: le organizzazioni di volontariato, le associazioni, le fondazioni, le cooperative sociali. Ognuno di questi organismi in diversa misura ha contribuito a far nascere un fenomeno recente quanto di profondo interesse: l’editoria delTerzo Settore. Un’editoria molto ricca di testate e feconda dal punto di vista dei contenuti, difficile da inquadrare in standard consolidati secondo quanto riportato dal Rapporto annuale del Forum Permanente del Terzo Settore 20042005. Un’editoria che risponde prevalentemente ad esigenze di comunicazione interna ma non solo e che ha un pubblico potenziale molto vasto se consideriamo i circa quattro milioni di cittadini tra volontari (la maggior parte, oltre i tre milioni), religiosi, obiettori di coscienza, collaboratori e dipendenti (Istat, 1999). Un’editoria che nasce e cresce in virtù di esigenze sociali, di bisogni di cittadinanza attiva. Il mondo del volontariato, in particolare, rappresenta un grande protagonista di questo sviluppo. Gruppi e associazioni, impegnandosi in un percorso iniziato almeno venticinque anni fa, hanno “aggredito” i problemi denunciandone le radici sociali: dall’arretratezza del sistema assistenziale alla noncuranza del mondo politico; dalle lentezze burocratiche degli apparati amministrativi all’indifferenza dell’opinione pubblica ai problemi di interesse collettivo e così via. Questo stile incalzante ha cercato veicoli per diffondere la propria voce, determinata a farsi sentire, portando all’attenzione dei cittadini problemi sociali, bisogni condivisi e ancora inespressi, incitando alla partecipazione. Così, negli ultimi anni abbiamo assistito distratti al proliferare, dapprima in modo sommerso, poi sempre più organizzato, di giornali, riviste, bollettini. Nonostante le enormi difficoltà – crescita dei costi di produzione; assenza di contributi specifici; scarso reperimento di pubblicità; i costi dell’Iva e le continue rinegoziazioni sulle tariffe postali – i numeri dell’editoria del volontariato sono cresciuti e parlano da soli. Una ricerca del 2000 fatta dalla Fivol - Fondazione Italiana per il Volontariato (La voce del volontariato 2000), l’unica per ora specifica sull’argomento, conta circa 6.000 178 testate. Sono i veicoli attraverso cui le associazioni comunicano con i propri soci. Il rapporto fiduciario tra socio ed associazione, infatti, si regge molto spesso proprio su un prodotto editoriale: un bollettino, una rivista. Quello che per un’azienda è un house horgan, per un’associazione è uno strumento di collegamento permanente e stabilisce un’interazione in quanto il socio, o il volontario, aderendo all’associazione entrano a far parte di una comunità della quale condividono mission, identità, valori e vogliono essere aggiornati sulle iniziative, le campagne, le raccolte fondi, gli appuntamenti, i punti di vista su questioni specifiche ma anche su temi di interesse generale. I prodotti editoriali del volontariato nascono con il preciso obiettivo di voler dire senza essere “detti” o interpretati da altri (Valentini, 1995). È un modo di comunicare a partire dal quotidiano. L’esperienza della condivisione insegna quanto sia difficile parlare da una situazione di emarginazione, soprattutto per chi ne è vittima. Eppure, proprio coloro che hanno sofferto o soffrono di un particolare disagio, sono portatori di esperienze che possono arricchire la comunità facendola crescere ed aumentandone il capitale sociale. Il vero diritto di cittadinanza (sociale, civile, politica) si esplica quando queste esperienze vengono socializzate e si ragiona in maniera critica sulle soluzioni, sui cambiamenti da operare perché certe situazioni non si ripetano. L’avvento delle nuove tecnologie ha offerto nuove possibilità di pubblicazione e distribuzione. Molta dell’editoria del volontariato e delTerzo Settore si trova oggi su Internet, sotto forma di siti, portali, newsletter, agenzie informatiche, sia per contenere i costi, sia per aumentare le possibilità di diffusione e contatto, sia per stare al passo con i tempi. La rivista cartacea tuttavia rimane un elemento irrinunciabile per le associazioni: può essere letta con calma e sfogliata, è trasportabile e contiene pagine fruibili più agevolmente di quelle elettroniche. Resta comunque il problema della distribuzione. Quasi inaccessibile l’edicola, salvo che per poche fortunate testate (Vita, Il Salvagente, Altroconsumo …), rimane il “passamano” in occasione di convegni, conferenze, manifestazioni, opportunità estemporanee e non continuative che non possono certo rappresentare una soluzione. Le tariffe postali agevolate sono l’unico sostegno di cui gode questo mondo. 8.2 Chi difende gli interessi dell’editoria sociale? MNP- Media non Profit: tavolo di coordinamento nazionale costituitosi 179 nel 2002 per affrontare la questione delle tariffe postali agevolate e più in generale per contribuire al pluralismo e alla libertà di informazione. Faticosamente messo insieme da addetti ai lavori provenienti da diverse esperienze, resta uno dei principali soggetti con cui confrontarsi sui temi della comunicazione e delle sue possibilità. In particolare si interessa del ruolo della cosiddetta “editoria minore” nel nostro Paese. Mediacoop: associazione delle cooperative giornalistiche, editoriali e della comunicazione. Nasce con la finalità di colmare un vuoto di rappresentanza specifica delle voci libere, autonome e indipendenti e valorizzare il ruolo delle esperienze fondate sulla cooperazione, la partecipazione ed il volontariato. Raccoglie intorno a sé i soggetti più diversi per orientamento culturale e politico, gli operatori dell’informazione protagonisti di iniziative editoriali nazionali e locali, della carta stampata, delle radio e delle televisioni, organizzati nelle forme giuridiche più varie, cooperative, società, non profit, associazioni a partecipazione diffusa da parte dei cittadini e talora autogestite. Aderisce al tavolo Media Non Profit riconoscendo il grande lavoro che questo organismo ha svolto negli anni per soggetti editoriali minori, autonomi e territorialmente radicati consentendo loro di lavorare in rete, costruire sinergie e contribuire ad affermare nei fatti il diritto al pluralismo e alla libertà di informazione. Coordinamento Addetti Stampa Non profit: costituitosi nel 1998 su iniziativa di alcuni responsabili della comunicazione di organizzazioni nazionali delTerzo Settore, oggi conta circa 143 associazioni aderenti (fonte: www. fnsi.it). Obiettivo del Coordinamento è realizzare una rete di informazioni efficace che colleghi gli addetti stampa e creare un luogo permanente di confronto e formazione sulle strategie comunicative del non profit. Intende anche sensibilizzare le associazioni all’importanza di un’attività di comunicazione al di là delle azioni sul campo. Secondo il Coordinamento, a tal fine, occorre aumentare la qualità della produzione editoriale sia dal punto di vista giornalistico che contenutistico. Comitato per la libertà e il diritto all’informazione: nato dall’iniziativa di Federazione Nazionale Stampa Italiana (F.N.S.I.), Unione Sindacale Giornalisti Rai (U.S.I.G.RAI) e di molte associazioni di Terzo Settore, nel 2004 si è battuto contro il Disegno di legge Gasparri (Disegno di legge recante “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della società Rai – Radiotelevisione Italiana S.p.a. e delega al Governo per l’emanazione del codice della radiotelevisione”). Le motiva- 180 zioni della protesta consistevano nel fatto che il DDL non teneva conto della carenza di regolamentazione legislativa sul conflitto di interessi e di garanzie al pluralismo dell’informazione. Il 21 e 22 maggio 2004, gli Stati Generali dell’Informazione e della Cultura si sono riuniti a Gubbio per un seminario in seguito al quale è stato prodotto un documento, sottoscritto da tutte le associazioni aderenti al Comitato, noto come Carta di Gubbio. Si trattava di un appello a tutti i candidati al Parlamento Europeo ad affermare i principi della libertà di informazione, della ricerca, della comunicazione e dell’espressione culturale. Tra le altre cose sottolineava la centralità dell’editoria e di ogni forma di diffusione plurale della stampa quotidiana e periodica, affermando l’esigenza di difendere l’indipendenza di tutti i giornali, in Italia e in Europa, contro ogni tentativo di condizioMedia non mainstream: il termine mainstream namento e pressione. indica media e prodotti mediali di ampia difForum Permanente del Terzo Settore: attivo dal 1998 è sede di confronto permanente sui principali temi che riguardano gli organismi non profit. E’ parte sociale riconosciuta e vi aderiscono le principali realtà del mondo del volontariato, dell’associazionismo, della cooperazione sociale, della solidarietà internazionale, della mutualità integrativa volontaria del nostro paese. fusione. Our media, partecipatory media, citizen media, radical media, alternative media sono alcune etichette che concorrono a definire la galassia dei media non-mainstream. Essi sono cioè forme di comunicazione mediata “alternative” che si distinguono da quelle mainstream per le diverse scelte estetiche, linguistiche, organizzative e distributive. Vi sono comprese forme che sono spesso ai margini dell’universo mediale come iniziative editoriali su piccola scala, pubblicazioni peculiari per canali di circolazione, testate a stampa e siti web legati al mondo delle associazioni, dei movimenti e delTerzo Settore. (Pasquali, Sorice, 2005). 8.3 A proposito di editoria sociale L’editoria sociale comprende tutti gli strumenti, cartacei e non, attraverso cui le realtà non profit comunicano. Oltre alla radio e alla televisione, il cui accesso rimane per molti un’impresa sia per i costi che per i mezzi, rimangono una serie di alternative ugualmente efficaci che hanno il pregio di rivolgersi ad un pubblico interessato e, in qualche modo, filtrato per il semplice fatto di essere composto da persone che utilizzano tali 181 alternative come scelte chiare e definite. 8.3.1 La rivista cartacea Un’interessante ricerca sui media non-mainstream realizzata da Francesca Pasquali e Michele Sorice con il supporto della Fivol dedica un intero capitolo ai problemi ed alle potenzialità delle riviste del Terzo Settore70. Tale contributo può aiutarci a visualizzare concretamente i passi da compiere per creare una vera e propria testata dotata di pubblico e orientata a fare comunicazione consapevole nei confronti di specifici stakeholder e/o della comunità territoriale in cui è radicata l’associazione. Una rivista nasce in genere dopo qualche anno di attività dell’ente. In una prima veste editoriale di solito si tratta di un bollettino, un foglio di collegamento con l’obiettivo di soddisfare un’esigenza di comunicazione interna (parlare al proprio corpo associativo; fare da connessione tra i soci o i centri di riferimento; rendicontare l’utilizzo dei fondi e raccoglierne altri e, soprattutto, diffondere e confermare lo spirito con cui l’organizzazione opera). Con il tempo questo tipo di comunicazione non è più sufficiente. Lentamente si apre un mondo di rapporti da curare (donatori da conquistare e fidelizzare, stakeholder da informare, visibilità esterna da acquisire, messaggi da veicolare al di fuori della propria realtà) e cresce l’esigenza di avere un ruolo culturale e politico, di fare riflessione e cultura specifica a partire dalla propria esperienza. Attraverso la comunicazione scritta si cerca quindi di far circolare il proprio punto di vista su varie questioni rompendo l’autoreferenzialità e l’isolamento tipici dell’house horgan. Emerge in seguito l’esigenza di testimoniare la fedeltà alla mission dell’organizzazione rivolgendosi a una platea di lettori più vasta o maggiormente differenziata. Da questo deriva la trasformazione in una testata con più pagine, con una veste grafica diversa ed in grado di offrire più possibilità di approfondimento, cifre e dati, ma anche motivazioni e riflessioni. La testata, a questo punto, tende a realizzare una doppia strategia comunicativa rivolgendosi sia all’interno dell’organizzazione, per rinforzare 70 Le testate esaminate sono 9: Manitese, Italia Caritas, AVIS, Terre di Mezzo, Camminando Insieme, L’Alzheimer, Attive, Progetto Uomo. Sono state prese in esame riviste non-mainstream espressione di specifiche porzioni della società civile organizzata. I risultati sono interessanti in quanto, pur se non rappresentativi dell’intera realtà delTerzo Settore, mettono in evidenza caratteristiche simili per molti dei prodotti editoriali di volontariato. Il contributo è una prima ricognizione nel panorama delle testate di questo tipo. 182 la scelta di aderirvi; sia all’esterno parlando ai propri soci, aderenti e donatori, all’opinione pubblica per ampliare la base del consenso e far passare posizioni e valori ed arrivare al coinvolgimento diretto di tutti i cittadini. 8.3.2 Cosa bisogna fare per pubblicare una rivista? Innanzitutto bisogna costituirsi giuridicamente. Come? Nominando un direttore della testata, che deve essere una persona iscritta all’albo professionale dei giornalisti o dei pubblicisti. Occorre poi iscrivere la testata al registro della stampa periodica, pratica che viene svolta presso il Tribunale competente per territorio dove è ubicata la sede editoriale. Maggiori informazioni possono essere richieste all’Ordine dei Giornalisti o direttamente alla cancelleria del tribunale. L’iscrizione al registro della stampa periodica rappresenta ufficialmente l’entrata nel mondo dell’editoria. In quanto associazioni di volontariato si potrà stipulare un contratto con le poste, per la spedizione a tariffa agevolata della rivista. L’iscrizione della testata giornalistica permette, inoltre, di chiedere sovvenzioni e contributi statali. Sulla pubblicazione, per legge, devono sempre essere indicati luogo e anno della pubblicazione, il nome e il domicilio dello stampatore, dell’editore e il nome del direttore responsabile. Il secondo passo da fare, come in qualsiasi attività, è dotarsi di una gestione amministrativa che curi l’aspetto finanziario, il rapporto con le istituzioni e la progettualità. In genere tale necessità rischia di essere sottovalutata in quanto all’inizio nel gruppo prevale l’entusiasmo e le forti motivazioni dei partecipanti sembrano sufficienti per superare qualsiasi problema si presenti. Tuttavia è bene gestire con molta attenzione l’attribuzione dei compiti, tenendo conto delle caratteristiche e delle esperienze individuali, e l’amministrazione dei rapporti interni ed esterni per il mantenimento della testata. Occorrono persone che programmino il piano editoriale sulla base del budget disponibile; curino i contenuti e la veste editoriale della rivista (ideazione, redazione, correzione, titolazione, ecc…) e si occupino del reperimento, della selezione e dell’archiviazione delle fonti iconografiche. Particolare attenzione va prestata al materiale iconografico poiché buona parte del successo di una rivista è dovuto ad esso. Un responsabile deve mantenere i rapporti con la tipografia e lo studio grafico (qualora siano esterni); comparare i preventivi e i costi 183 delle operazioni editoriali fino alla stampa delle cianografie e al “visto si stampi”. Un’altra persona deve occuparsi di mantenere aggiornato il database degli indirizzi sia interni che esterni; della distribuzione tramite i vettori postali e dei rapporti con le istituzioni addette (tribunale, authority ecc.) e di prevedere, al momento della stampa, delle copie in più della rivista da tenere in giacenza. Queste ultime, infatti, oltre a servire da archivio potranno essere distribuite in altre occasioni per far conoscere l’associazione. Per finanziare una rivista ci sono diverse strade da percorrere ed occorre batterle tutte, perché è faticoso, soprattutto nei primi tempi, ottenere sovvenzioni da parte degli enti pubblici e il ricavato delle vendite (o delle libere contribuzioni) viene interamente assorbito dalle spese di acquisto dei materiali di consumo e da quelle per la tipografia. Le entrate potranno provenire principalmente dalla cessione di spazi pubblicitari sul giornale anche se gli acquirenti, specie nel caso di riviste di volontariato, non sono mai molti. Affinché la rivista sia un vero prodotto editoriale con una sua precisa identità e non una semplice raccolta di testi, è necessario che la redazione abbia spazi di discussione nei quali accordarsi sui temi da trattare e sui modi ed i tempi per farlo. Le decisioni saranno prese solo al termine di un processo di “negoziazione” tra i componenti del gruppo e questo permetterà che tutti si sentano coinvolti. Il rischio diffuso per le associazioni di volontariato, e non profit in generale, è quello di essere autoreferenziali, di guardare ai problemi sempre e solo dalla propria prospettiva. Prima di iniziare a scrivere per un giornale, occorre quindi decidere a quale pubblico rivolgersi: se ai soci e ai componenti dell’associazione (pubblicando un bollettino interno), o all’esterno, oppure ad entrambi. Se si vuole scrivere anche per un pubblico esterno, bisogna tener presente che si tratta di avviare un rapporto, un dialogo, un incontro attraverso le parole scritte su carta, con persone che molto probabilmente non sanno niente dell’associazione (cosa fa, chi è, ecc.). Perciò bisogna lavorare nella consapevolezza di dover invogliare il proprio pubblico a conoscerci. Inutile riempire le pagine di contenuti che possano capire solo gli addetti ai lavori, ovvero gli appartenenti al mondo delTerzo Settore. Calarsi, invece, fin da subito nei panni dei destinatari ed aprirsi a punti di vista diversi. La scelta dei temi e del modo per trattarli maturerà gradualmente: ogni qual volta ci si renderà conto che in un particolare settore l’informazione manca, oppure è insufficiente, ci si metterà in moto, chiedendo notizie, documentandosi, e raccogliendo testimonianze. La regola primaria, infat- 184 ti, è documentarsi sempre prima di iniziare a scrivere e ricontrollare i dati e le citazioni utilizzate prima di pubblicarli. 8.3.3 Piccolo glossario utile71 Avviamento: fase iniziale delle operazioni di spedizione di un giornale ai distributori e alle edicole. Battuta: l’unità di misura della lunghezza del pezzo. Borderò: elenco delle spese di una testata giornalistica. Box: detto anche “finestrella” interrompe un articolo per dare una notizia, sottolineare un approfondimento, riportare una frase da mettere in evidenza. Normalmente si trova all’interno di un riquadro. Bozza: parte della pagina riprodotta per la correzione. Prova di stampa. Stabilire un corretto rapporto con la tipografia è assolutamente indispensabile. Per non fare impazzire il tipografo, le bozze vanno corrette utilizzando i più usuali segni convenzionali (un gergo, un linguaggio di segni) per fargli capire non solo quali sono gli errori, i refusi, da correggere, ma anche quali cambiamenti nel testo riteniamo opportuno introdurre per renderlo più leggibile (una spaziatura, un corsivo, una sottolineatura ecc...). Questo evita equivoci, perdite di tempo, lavoro mal fatto. Riportiamo i simboli di correzione delle bozze: 70 Fonte: www.piccoligiornalisti.it 185 Tabella A.1 Correzione Eliminare lettere e riunire Ideazione a margine nel testo ⊥ ⊗ Una lettera da eliminare in corepo di parola. ⊗ Un gruppo di lettere da eliminaaare si indica in questo modo. Eliminare lo spazio (unire) Uno spazio da eliminare per uni re due parti di una parola si indica in questo modo. Inserire uno spazio (staccare) ⊥ Uno spazio da inserire perstaccare due parole si indica in questo modo. Portare a riga successiva ⊏ Un tratto di testo da portare alla riga successiva si indica in questo modo. Serve ad iniziare su una nuova riga. Portare a riga precedente Un tratto di testo da portare alla riga precedente si indica in questo modo. Serve a continuare sulla stessa riga. → Se la riga da continuare si trova a fine pagina si usa una freccia alla fine della riga. → Inserire rientranza Una rientranza da inserire a inizio di riga si indica in questo modo. Eliminare rientranza Una rientranza da eliminare a inizio di riga si indica in questo modo. Una rientranza da eliminare parzialmente si indica in questo modo. (tratto da www.ilmestierediscrivere.com) 186 Bufala: notizia di grande clamore completamente falsa e tendenziosa. Cartella: Unità di misura della lunghezza del pezzo pari a 30 righe di 60 battute l’una. Carattere: può essere “alto” (maiuscolo), “basso” (minuscolo), “corsivo”, “tondo” (non corsivo), “neretto”, “chiaro”(non neretto). Sono tutte indicazioni da fornire al tipografo. Ecco un titolo con carattere tutto alto: “PROGETTARE UN GIORNALE”. Ed un titolo con carattere alto-basso: “Progettare un giornale”. La prima lettera in quest’ultimo caso è maiuscola mentre il resto rimane minuscolo. E di seguito abbiamo un esempio rispettivamente di chiaro, neretto e corsivo: “Con i pochi essenziali appunti di queste pagine vogliamo suggerirvi idee per comunicare”. Chiusura: fase finale del ciclo di lavoro in redazione. Cianografia: modello di prova della pubblicazione in formato colore (detta anche “Ciano”). Formato: quello del giornale (o della rivista) è strettamente legato a quello della carta per evitare sprechi. Partendo dal formato A0, per successive riduzioni si arriva al formato A4 che è quello più comune (fotocopie, carta da lettere, moduli ecc). Tra i tanti tipi di carta (patinata, calandrata ecc…) da scegliere non possiamo dimenticare la “carta riciclata” (“Nessun albero è stato abbattuto per stampare questo foglio…”) di cui molte associazioni fanno già uso. Pur non comportando vantaggi economici diretti, in quanto non viene a costare meno dell’altra, testimonia l’attenzione al problema ecologico e quindi la sensibilità ambientale di chi ne fa uso. Altro fattore importante per la scelta della carta è la “grammatura” ovvero il peso per metro quadrato. Normalmente una buona grammatura è quella da 80 grammi. 187 Vari formati: (Fonte: Sanpaolo., 1994: 22) 188 COLONNA COLONNA Gabbia: struttura della pagina che compone il menabò. Il reticolo in cui si divide il giornale, formato in verticale dalle colonne e in orizzontale dai moduli. E’ indispensabile per impaginare rapidamente e correttamente. Ecco un esempio di gabbia di un giornale: MODULO Menabò: terza fase della progettazione del giornale dopo la scaletta e il timone. Si tratta di un modello schematico della pubblicazione indicante la tipologia della composizione, dell’impaginazione, ecc… È il vero e proprio progetto esecutivo di una rivista o un giornale. Si tratta di un modello di giornale a grandezza naturale. Esempi di menabò: 189 (Fonte: Sanpaolo, 1994: 31) (tratto da: www.fausernet.novara.it) 190 Refuso: errore tipografico. Scaletta: è il primo abbozzo, la primissima idea (“In questo numero di cosa dobbiamo parlare?”) del giornale e la prima fase di progettazione. È l’elenco delle cose da dire, degli appuntamenti da dare, degli argomenti e dei temi da trattare, delle notizie da fornire. Nel formulare la scaletta i tempi tecnici (costituiti dal numero di giorni per la scrittura, l’impaginazione, la composizione grafica, la stampa, l’invio a destinazione) vanno tenuti ben presenti. È indispensabile tener conto della data presunta in cui il giornale potrà arrivare a destinazione (non stiamo parlando di pubblicazioni a livello professionale che hanno una struttura ad hoc ma di pubblicazioni che esistono grazie all’impegno dei volontari). Nella scaletta, accanto ai “pezzi” da scrivere, deve figurare anche il nome di chi li scriverà e, in linea di massima, almeno la lunghezza del testo espressa in cartelle o battute. Timone: è la seconda fase di progettazione del giornale o rivista. Si tratta della visualizzazione, in forma schematica, della scaletta. Comprende anche gli spazi destinati alla pubblicità e ai redazionali. È, in scala ridotta, l’immagine del giornale, con lo stesso numero di pagine, che consente di studiare in modo più approfondito il dimensionamento dei testi, la quantità e il tipo di immagini (foto, disegni, grafici che occorrono) da inserire nei testi arricchendoli di brevi notizie e dati significativi e la posizione dei titoli nelle pagine che si affiancano e che vanno sempre valutate nel loro insieme. (elaborazione mia) Taglio: posizione degli articoli non collocati alla testata della pagina. 191 “Taglio alto” è il titolo impaginato sopra la metà della pagina, “taglio medio” è quello sulla metà e “taglio basso” quello sotto la metà (vedi esempio di menabò). 8.3.4 Un caso pratico: il procedimento editoriale di “Uispress”72 Uispress è una delle riviste associative dell’Unione Italiana Sport Per Tutti. Viene pubblicata periodicamente sulla base di specifiche esigenze comunicative interne all’associazione ed è il frutto della collaborazione tra varie articolazioni (Leghe, Aree, Progetti UISP) e l’ufficio editoria nazionale. L’UISP annovera, infatti, 26 Leghe ed Aree di attività, ognuna delle quali fa capo ad una attività sportiva diversa. Periodicamente, in occasione di eventi o manifestazioni particolari, una di queste articolazioni contatta l’ufficio centrale e da questo rapporto nasce la rivista. Ecco le fasi: 1. La Lega o l’Area dà l’input iniziale contattando l’ufficio editoria UISP; 2. ufficio editoria e la Lega si accordano sulle modalità (costi, inserzioni pubblicitarie, taratura su uno specifico pubblico di riferimento) e i tempi di pubblicazione; 3. la Lega invia i contenuti alla redazione centrale; 4. la redazione centrale elabora i contenuti in articoli; provvede alla titolazione e sottotitolazione e alla ricerca di fonti iconografiche coerenti; invia tutti i contenuti al service grafico esterno per l’impaginazione iniziale (il “chilometrico”); 5. l’ufficio editoria corregge i testi insieme alla Lega attraverso uno scambio di bozze; 6. le correzioni vengono unificate ed inviate allo studio grafico; 7. lo studio grafico corregge i testi secondo le indicazioni, dà l’impostazione grafica ed invia nuovamente il tutto alla redazione centrale; 8. la redazione centrale fa visionare il materiale alla Lega per l’ok e invia tutto allo studio grafico con le ultime indicazioni; 9. lo studio grafico realizza la copertina su indicazioni della redazione centrale, produce le pellicole e le invia alla tipografia; 10. la tipografia produce le cianografie (una versione della rivista più simiPer il procedimento editoriale di Uispress si ringrazia Ivano Maiorella, responsabile comunicazione UISP, per la collaborazione. 72 192 le alla stampa definitiva); 11. la redazione centrale, dopo aver visionato le cianografie, dà il “via si stampi” secondo un numero di copie concordato tali da soddisfare il bisogno di postalizzazione (indirizzario interno ed esterno) e un certo numero di copie da tenere in giacenza. 8.3.5 La newsletter Un altro strumento economico e semplice da realizzare è la newsletter. Se, infatti, è troppo costoso pubblicare un giornale cartaceo e distribuirlo, la newsletter è ciò che può in parte sostituirlo o affiancarlo. Adattissima per la comunicazione interna, si presta molto anche come veicolo per la comunicazione esterna. Si tratta, in pratica, di un’e-mail con contenuti informativi inseriti in allegato oppure direttamente nel corpo del messaggio. In quest’ultimo caso il formato è “testo” se ci sono solo elementi di scrittura, html qualora vi siano anche immagini, link, ipertesti ecc. Tutti possono realizzare una newsletter in formato html, basta saper utilizzare Internet, un programma di posta elettronica (il più diffuso è Outlook Express) ed avere un pò di dimestichezza con il mouse e il “copia e incolla”. La differenza rispetto ad un giornale in carta stampata è che le pagine, invece di essere cartacee, sono elettroniche e quindi cambia anche la modalità di fruizione. Si pone, infatti, una scelta di base da subito: molti articoli brevi di poche righe oppure pochi articoli abbastanza lunghi? Nel primo caso si può arrivare ad un massimo di venti pezzi, nel secondo sette è il numero perfetto. Il tipo di impostazione dipende dagli obiettivi che si vogliono raggiungere. Se si vuole solo informare o incuriosire, infatti, uno stile sintetico e stringato del tipo “toccata e fuga” sull’argomento andrà benissimo; se invece si intende proporre approfondimenti, piccoli report (come nel caso di congressi, conferenze ed eventi) o articoli critici sarà meglio utilizzare il secondo tipo di newsletter. Sinteticità e chiarezza rimangono comunque le chiavi per un buon risultato, soprattutto considerando che la lettura avviene sullo schermo del computer, cosa non troppo agevole. Per aiutare il lettore allora sarà opportuno riportare all’inizio della newsletter un indice con tutti i titoli e di seguito gli articoli interi secondo la successione indicata. L’organizzazione redazionale qui è importante più che mai. Deve esserci un responsabile di redazione che visioni gli articoli e funga da centro di 193 raccolta nel caso in cui i pezzi giungano da sedi decentrate. A lui anche il compito di tenere aggiornato il data base con gli indirizzi di posta elettronica a cui spedire il prodotto finale. Ogni articolo deve arrivare alla redazione centrale in file Word. Sarà il responsabile a mettere tutto insieme nella versione finale. Da un punto di vista estetico, per chi non sa usare i programmi di grafica, la tecnologia viene incontro con i file di immagine – i formati sono vari, i gif sono quelli meno pesanti – che si possono inserire nel corpo dell’email con molta facilità. Si può scatenare la fantasia (sempre con cautela perché “il troppo stroppia”) e se ad esempio si ha a disposizione il logo dell’associazione, si può incollarlo rimpicciolito accanto ad ogni titolo come elemento di richiamo. Se poi ci si sente in vena di virtuosismi si può anche trovare il modo di cambiargli colore con varie combinazioni giocando con le opzioni di Paint. I colori possono richiamare il titolo della newsletter che campeggia in alto al centro. Altrimenti si possono utilizzare elenchi puntati, numerati o personalizzati utilizzando gli stili di Word. L’importante è non “caricare” troppo per non rischiare di intasare la posta dei destinatari. Teniamo sempre conto di chi ha la connessione a 56 Kb e del fatto che molti leggono la posta direttamente da Internet e se abbiamo inserito immagini, queste potrebbero non essere visualizzate correttamente. Per sapere quanti Kb stiamo inviando è sufficiente andare su “proprietà” dell’e-mail da Outlook. Mantenendosi sui 100 Kb tutti potranno ricevere la nostra newsletter; andando oltre si potrebbe rallentare troppo la ricezione con disagi anche gravi per i destinatari. Infine, dato che stiamo avendo a che fare con dati sensibili che dovremo aver raccolto da data-base autorizzati, in calce all’e-mail sarà opportuno riportare un messaggio del tipo: “Gli indirizzi e-mail presenti nel nostro archivio provengono da contatti personali o da elenchi e servizi di pubblico dominio. In ottemperanza alla legge 675/96 per la tutela delle persone o di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, in ogni momento è possibile modificare o cancellare i dati. Nel caso le nostre comunicazioni non fossero nel vostro interesse, sarà possibile evitare ulteriore disturbo rispondendo a questa e-mail specificando l’indirizzo o gli indirizzi da rimuovere ed indicando come oggetto nel messaggio ‘cancellami’”. 194 Un esempio: l’intestazione e l’indice della newsletter di Arci Servizio Civile Roma nel luglio 2004 ARCI SERVIZIO CIVILE ROMA NEWSLETTER N... 8 luglio: giornata nazionale di mobilitazione per il Servizio civile Nazionale Mutua Studentesca, UDS e UDU: campeggio nel parco naturale della Sterpaia Servizio Civile Nazionale: percezioni di oggi e scenari futuri Associazionismo e cinema: la testimonianza una volontaria in servizio civile Legambiente, Comieco e Abacus: indagine sul senso civico in Italia Festa di fine servizio per le volontarie entrate in servizio a luglio 2003 Mondiali antirazzisti VIII edizione. Intervista ad Arianna Mancini, volontaria in servizio civile 197 9. UN NUOVO APPROCCIO PER LA RACCOLTA FONDI di Elisabetta Gazzola 9.1 A caccia di fondi Il successo del fund raising nei prossimi anni non verrà solamente dall’invenzione di nuovi strumenti di raccolta fondi, ma anche, e soprattutto, da un radicale cambiamento nella relazione con il donatore e da un miglior utilizzo del database nella gestione dei vecchi strumenti di fund raising, quali per esempio i programmi di direct mail (invio postale). Non si possono inventare ogni giorno strumenti nuovi di raccolta fondi, ma si possono fare continui miglioramenti ai soliti e usuali strumenti di raccolta fondi. Fare fund raising significa instaurare un rapporto di reciprocità tra due soggetti e sarebbe utopico e non sostenibile credere che il donatore venga spinto al gesto di solidarietà solo in base alla “bontà” del progetto sociale; il segreto sta proprio qui, nella relazione con il donatore. Il termine fund raising, che letteralmente tradotto significa “elevamento o innalzamento di fondi”, rende l’idea di una serie di strategie e azioni da realizzare affinché si attui uno sviluppo nella raccolta fondi di una associazione di volontariato. Per Henry Rosso (1919 – 1999), italo-americano fondatore della Fund raising School dell’Indiana State University, la più famosa scuola di fund Documento buona causa (DBC): é una presentazione della associazione finalizzata a promuovere una donazione, una sponsorizzazione o altre attività simili. Una volta definita, buona causa rappresenta il codice genetico di una associazione: ogni azione di raccolta fondi deve pertanto essere in linea con essa. La buona causa è il motivo e quindi il progetto per cui l’associazione decide di ricercare risorse. Il DBC deve contenere: - descrizione della mission ovvero della causa istituzionale per cui è sorta l’associazione; - natura giuridica; - breve storia dell’ associazione; - alcuni numeri e dati relativi al fabbisogno che si intende soddisfare; - breve elencazione delle principali attività; - spiegazione delle modalità di erogazione dei servizi; - destinatari delle attività; - enunciazione dei criteri di verifica della qualità delle prestazioni erogate. Ecco un esempio di documento di buona causa. 198 raising del mondo, si deduce che il fund raising ha a che fare con le persone, e non tanto con il chieder loro soldi, ma piuttosto con il generare rapporti duraturi che “predispongano al dono”. Appare chiaro allora che la definizione di fund raising non è più l’univoca sollecitazione di fondi da parte di A verso B, ma la capacità di generare rapporti che insegnino alla persona quanto c’è da guadagnare a donare. 9.2 “Nei panni del donatore” Il vero segreto sta nel “mettersi nei suoi panni”. Prima di scrivere una lettera, di fare una telefonata, di fissare un appuntamento bisogna considerare con molta attenzione due aspetti: il primo è cercare di chiarire a noi stessi perché la nostra organizzazione è diversa da tutte le altre dello stesso settore, “cosa abbiamo di speciale” per indurre il donatore a dare a noi il suo supporto piuttosto che ad altri. E’ importante mettersi nei suoi panni, pensare in anticipo quali potrebbero essere le sue domande ed essere preparati a rispondere. L’altro aspetto ha a che fare con la capacità di pensare sempre nel modo più creativo possibile: è importante non rivolgere al donatore solo le richieste più ovvie, perché ci sono diverse tipologie di risorse che le persone possono donare oltre a quelle economiche; ad esempio il loro tempo, il loro aiuto come volontari, le loro abilità, le loro competenze professionali, i loro consigli. Prima di elaborare un programma di raccolta fondi, occorre porsi alcune domande. E’ opportuno chiedersi sempre “perché stiamo cercando fondi”? Abbiamo un progetto da proporre ai nostri potenziali donatori? Di quali strumenti di comunicazione disponiamo per far conoscere la nostra causa? La nostra mission è chiara e descrive in modo accurato la conformazione attuale della nostra associazione? Esiste un Documento buona causa (DBC) che descriva chiaramente e in modo conciso che cosa fa la nostra associazione, perché lo fa e come propone di farlo? I potenziali donatori possono rivelarsi inoltre interessati alla stabilità economica dell’organizzazione. Essa è in grado di sostenere le spese operative correnti? Di solito chiude in pareggio? Saprà amministrare in modo etico la donazione ricevuta? Ecco un esempio di documento di buona causa. 199 Figura 1 – Esempio di documento di buona causa Solo dopo aver dato una risposta a queste domande potremo procedere nella scelta del mercato alla quale avvicinarsi per cercare fondi e di seguito allo strumento da utilizzare (invio postale, telemarketing, sponsorizzazione,...). Prima di individuare gli strumenti più idonei ad agevolare una campagna di raccolta fondi è necessario identificare il mercato al quale l’organizzazione non profit desidera riferirsi. A titolo esemplificativo si possono individuare i seguenti bacini: 200 - persone; - imprese; - enti pubblici; - fondazioni aziendali, familiari e bancarie. Per ognuno di questi mercati si possono identificare una serie di strumenti di comunicazione attraverso i quali è possibile instaurare una collaborazione in grado di portare all’associazione risorse. Alcuni di questi strumenti sono stati utilizzati più volte nel passato e continuano a manifestare caratteristiche di applicabilità, altri invece cominciano a manifestare segni del tempo e altri ancora sono caratterizzati da forte innovatività. Se esaminiamo il mercato delle persone ad esempio possiamo trarre alcune rapide conclusioni. Gli strumenti del mailing (l’invio postale) e del telemarketing (la sollecitazione telefonica) che hanno sempre caratterizzato la modalità di comunicazione verso l’esterno della buona causa di un’organizzazione non profit e della relativa richiesta di partecipazione alla soluzione del bisogno continuano ad esistere ma non sono più sufficienti a causa della concorrenza. Gli eventi speciali di piccole e grandi dimensioni permettono di rendere visibile l’organizzazione e di accrescere la notorietà favorendo contemporaneamente la creazione di un rapporto di fiducia con i propri donatori. Le campagne lasciti testamentari vengono proposte da alcune realtà ma incontrano ancora difficoltà di adesione immediata per una serie di pregiudizi73. Le campagne di lasciti testamentari rientrano nelle cosi dette “donazioni pianificate”: eredità, lasciti e testamenti. IL CASO: LA CAMPAGNA LASCITI - LEGA FILO D’ORO La Lega del Filo d’Oro è un ente che si pone come obiettivi l’assistenza, l’educazione, la riabilitazione e il reinserimento nella società di persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali. Uno degli strumenti particolarmente interessante per coinvolgere nei progetti della Lega del Filo d’Oro i cittadini italiani è quello della campagna lasciti testamentari sviluppata a partire dalla fine degli anni ottanta. L’obiettivo di questo progetto è di promuovere per chi lo desidera la redazione di un testamento a favore dell’Associazione sempre nel pieno rispetto della volontà personale. Il testamento infatti rispetta le volontà e permette di tutelare 73 Ambrosio, Regosa (2004: 104). 201 i propri cari nel modo ritenuto più opportuno. L’Associazione ha utilizzato come canali di comunicazione: il contatto diretto con chi sostiene da tempo l’Associazione, i notai, la pubblicità su stampa specializzata su materie giuridiche e legali, la pubblicità su stampa generica, il direct mail e il notiziario dell’Associazione all’interno del quale è dedicato uno spazio ad hoc per aggiornare e informare sul tema dei lasciti. Sono stati individuati i target diretti a cui destinare la campagna lasciti. Gli opuscoli informativi sono stati inviati nel 1994 a circa 40.000 sostenitori particolarmente attivi e sensibili. Nel 2000 invece il target diretto della promozione della campagna è stato tutto l’universo dei circa 300.000 sostenitori attivi dell’Associazione presenti sul territorio nazionale. Come target indiretti invece sono state contattate differenti categorie professionali che per le loro caratteristiche rivestono un’importanza cruciale nella veicolazione del messaggio. I notai sono stati i primi ad essere informati della campagna attraverso una lettera e più tardi anche attraverso un opuscolo informativo. La speranza è che essi stessi segnalino questa possibilità ai loro clienti senza forzare l’adesione, traendone in questo modo un beneficio in termini di immagine e reputazione. In secondo luogo sono stati coinvolti i dottori commercialisti e gli avvocati che in modo meno diretto vengono comunque interpellati rispetto alla gestione dei patrimoni personali. Alcuni dati possono aiutare a far capire l’importanza dell’attivazione di una simile campagna: - le pratiche successorie e di donazione dal 1996 ad oggi sono state 323, con un picco nel 2002 di 38; - l’importo totale a oggi raccolto è di circa 17 milioni di euro; - i nominativi raccolti per il database di potenziali testatori dal 1987 a oggi sono 767. 9.3 L’ SMS Uno strumento innovativo che ha invece dimostrato di venire velocemente accettato dal pubblico proprio in virtù delle sue caratteristiche di adattamento alle diverse abitudini di vita è l’sms. Ad esempio l’sms (short message system) inviato tramite telefono cellulare è riuscito a coniugare due importanti caratteristiche di uno strumento di donazione efficace: l’immediatezza del gesto di solidarietà, la possibilità di donare un importo determinato e l’utilizzo di un mezzo di comunicazione abituale. L’sms rappresenta l’esempio più significativo della capacità della tecnologia 202 cellulare di influire sul nostro modo di comunicare. E’ diventato in brevissimo tempo una forma propria di comunicazione con il suo “gergo”, la sua “etichetta” e una gestualità ormai consueta, soprattutto tra giovani e giovanissimi, che hanno riscoperto una “comunicazione epistolare” da tempo soppiantata da quella vocale. L’ sms non è uno spot televisivo che spara sulla massa una comunicazione “forte” puntando a superare la soglia di attenzione del pubblico, ma un messaggio più personale e diretto che proprio in virtù di quella confidenza, concessa da chi lo riceve, deve essere gradito per avere effetto. IL CASO: SUPER MESSAGGI SOLIDALI DI VODAFONE Esempio significativo dell’utilizzo di tale strumento è il sistema “super messaggi solidali” messo in campo da Vodafone: tramite questo servizio la società consente ai propri clienti di inviare uno o più sms e di ricevere un sms informativo di risposta sulle attività svolte dall’associazione prescelta o sull’andamento della raccolta alla quale si contribuisce. A suo tempo, il lancio dell’iniziativa è stato affidato ai canali di comunicazione tradizionali (soprattutto campagna stampa sui quotidiani) con grande dispendio di mezzi economici e questo rende l’iniziativa accessibile unicamente secondo le logiche di accreditamento del gruppo Vodafone, anche perché l’archivio di recapiti telefonici rappresenta la principale criticità di questo tipo di attività. Anche se non direttamente con l’operatore telefonico, le associazioni di volontariato possono oggi avviare iniziative di raccolta fondi via sms e mms (multimedia message service) con investimenti molto limitati (i costi vivi sono di poche migliaia di euro per l’attivazione di un numero breve e la gestione del servizio). Non ci si deve aspettare miracoli: si tratta di strumenti di marketing e comunicazione e, come tali, richiedono una progettazione e una programmazione coordinata con la strategia complessiva dell’organizzazione.74 74 Dal 12 agosto scorso, le donazioni effettuate tramite sms, tutte e non solo quelle che finanziano la ricerca scientifica (come scritto erroneamente sul Sole 24 ore del 13 agosto 2005), sono esenti dall’Iva. Lo ha stabilito l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 124/E in risposta a un interpello del Comitato Telethon Fondazione onlus. 203 9.4 Come raccogliere fondi dalle imprese Nel caso del mercato delle imprese si possono individuare un’altra serie di modalità di collaborazione più o meno coinvolgenti. Il rapporto tra l’impresa e l’organizzazione non profit si deve concretizzare in una relazione biunivoca ovvero per l’associazione come strumento di fund raising e per l’impresa come una strategia di comunicazione. Se si è una piccola organizzazione non bisogna scoraggiarsi e pensare che le imprese non prenderanno mai in considerazione la vostra associazione; in alcuni casi le realtà profit sono più interessate a finanziare realtà locali con fama regionale o comunale. In ogni caso l’impresa sceglierà l’associazione che ha una buona fama, che opera con correttezza, che rende visibili i suoi risultati e che è quindi ben conosciuta nel territorio. In secondo luogo sceglierà una mission che più le appartiene e che più riesce ad avvicinarsi al messaggio che vuole trasmettere.75 Per le imprese gli strumenti di coinvolgimento si stanno trasformando, passando dall’utilizzo della sponsorizzazione episodica verso forme di coinvolgimento più complesse e durature nel tempo. Oggi le imprese cercano sempre più rapporti continuativi con l’organizzazione. Si tratterà di costruire relazioni sempre più simbiotiche, considerando in modo approfondito cosa l’organizzazione può ricevere dall’impresa, ma anche cosa a sua volta può dare all’impresa. 9.4.1 Come cercare potenziali donatori tra le imprese Esistono molte fonti di ricerca a cui fare ricorso per identificare i potenziali donatori. Informazioni di carattere locale o regionale possono essere reperite nelle biblioteche pubbliche e universitarie. Informazioni rilevanti da inserire nei propri indirizzari possono essere ottenute anche tramite le testate economiche, le comunicazioni agli azionisti, le pubblicazioni settoriali, la sezione del rapporto annuale relativa ai ringraziamenti agli azionisti, le comunicazioni personali, gli elenchi degli iscritti alla Camera di commercio e alle associazioni di categoria, nonché all’interno dei database disponibili su Internet.76 Il mezzo migliore per ottenere sostegno dal mondo delle imprese è 75 Melandri (2005: 41). 76 Rosso, Tempel, Melandri (2003). 204 costruire una buona relazione. La semplice conservazione di un archivio di potenziali donatori con note sulle imprese, sui loro manager e dirigenti, completo di informazioni sulle modalità per contattarli, di rapporti annuali o di rapporti sulla responsabilità sociale, di articoli della stampa spianerà la strada. La promozione delle relazioni con le imprese è un processo in continuo divenire ed è importante mettere a punto un piano strategico di sensibilizzazione. La forma ideale di sollecitazione alle imprese è l’incontro di persona, ma anche gli eventi speciali, gli inviti a visitare la sede dell’associazione, l’invio di una newsletter servono per coinvolgere i rappresentanti delle aziende. Il sostegno che può fornire una impresa si può esprimere sotto diverse forme in particolare modo ci concentreremo sul cause related marketing. Il cause related marketing (CRM) è un’attività’ commerciale in cui l’impresa e l’associazione formano una partnership al fine di promuovere un’immagine, un prodotto, o un servizio, traendone mutuamente beneficio. Il cause related marketing può servire a rompere il ghiaccio; chissà quante persone si sono avvicinate al sociale acquistando un prodotto e poi sono diventare volontarie e convinte sostenitrici di qualche buona causa. Di seguito si passano in rassegna alcune delle principali esperienza di CRM che evidenziano gli strumenti promozionali sulla quale si è fatto leva:77 1. Vi sono iniziative di CRM tipicamente imperniate sulla pubblicità. Una delle forme più semplici di CRM consiste nell’utilizzo di un messaggio pubblicitario caratterizzato da una forte valenza socaile. Ciò può avvenire legando l’immagine dell’impresa a una causa sociale di rilievo generale o al nome di un ente non profit, di norma selezionato tra quelli più noti. In entrambe i casi, l’impresa effettua un’opera di sensibilizzazione del pubblico, cercando di connotarsi come un soggetto orientato alla CSR (Responsabilità Sociale d’impresa). 77 Molteni, Devigli (2004: 35-38). 205 IL CASO: DASH MISSIONE BONTA’ L’edizione di Dash Missione Bontà dal titolo Un Aiuto per Crescere, ha il suo perno nella campagna di comunicazione con cui Procter & Gamble rende noto il suo impegno a favore dei bambini in situazioni di disagio in Italia. La valenza sociale del messaggio rivolto al pubblico consiste in primo luogo, nell’opera di sensibilizzazione relativa ai bisogni dell’infanzia e al valore del volontariato e, in secondo luogo, nell’invito a partecipare direttamente al progetto e alla raccolta fondi. L’attività di comunicazione che l’azienda ha messo a disposizione ha utilizzato diversi canali: - la campagna radio sulle principali reti nazionali; - l’attività continuativa dell’Ufficio Stampa, a livello nazionale e locale, che ha assicurato una copertura stampa di eccellente livello quantitativo e qualitativo; - le telepromozioni all’interno di importanti trasmissioni in occasione del lancio dell’iniziativa; - il sito Internet dedicato all’iniziativa; - le informazioni sul progetto riportate sulle confezioni di Dash e sul leaflet posto all’interno, corredato di un bollettino postale per effettuare la donazione. 2. Promozione al consumatore. Si tratta di orientare le preferenze dell’acquirente comunicando che, al momento dell’acquisto del prodotto o dell’utilizzo di un certo servizio, una determinata somma di denaro verrà destinato a una causa sociale o a un ente non profit. IL CASO: BANCA POPOLARE DI BERGAMO E CESVI La collaborazione tra Banca Popolare di Bergamo - Credito Varesino e Cesvi costituisce un valido esempio di promozione al consumatore relativa all’erogazione di servizi. I clienti della banca sono stati invitati a sostenere la campagna dallo slogan La fame ha paura di noi. Nel corso del mese di dicembre 2002, per ogni acquisto effettuato con l’ausilio della carta di credito Si, la Banca ha destinato 10 centesimi di euro al Cesvi. Lo scopo dell’iniziativa era di migliorare lo stato nutrizionale dei bambini e delle donne in gravidanza nelle zone suburbane della città di Hanoi, in Vietnam. 206 3. Raccolta Punti. Piuttosto comune è il ricorso allo strumento della raccolta punti: in questo caso il consumatore che effettua la raccolta può scegliere di trasformare i punti collezionati in un premio destinato a un ente non profit che può essere predefinito dall’impresa o in vario modo proposto dal cliente. In qualche esperienza il premio riguarda esclusivamente una causa sociale; in altre si lascia al cliente l’opzione di utilizzare i punti per un premio a favore di una causa sociale personalmente indicata. IL CASO: NORDICONAD E AVSI NordiConad, mediante una raccolta a punti, ha sostenuto il progetto di adozioni a distanza di AVSI, un’associazione di volontari per il servizio internazionale operante in oltre trenta Paesi, e il programma promosso dall’Unicef per la distribuzione di kit di vaccinazione nei Paesi in via di sviluppo. Nel catalogo premi il consumatore ha potuto scegliere di ricevere i premi tradizionali oppure di destinare i punti collezionati a una delle due iniziative umanitarie. 4. Licenza. In contropartita di una certa somma di denaro e/o di una royalty, un’impresa può acquistare la licenza di utilizzo, nella commercializzazione dei propri beni, del nome e del logo di un ente non profit. Per l’impresa diventa fondamentale identificare un’azienda senza fini di lucro assai nota e dotata di alta reputazione, meglio se culturalmente prossima al segmento di clientela a cui più direttamente l’offerta aziendale si indirizza. 5. Sponsorizzazione. Per annoverarsi tra le operazioni di CRM, una sponsorizzazione deve presentare alcuni requisiti: essere connessa a una causa sociale; essere gestita in vista di un adeguato ritorno commerciale ed economico; prevedere, oltre al trasferimento di denaro, altre forme di impegno tese a valorizzare il potenziale di marketing e di relazioni insito nella sponsorizzazione effettuata. 207 IL CASO: CENTRALE DEL LATTE DI FIRENZE, PISTOIA E LIVORNO E OSPEDALE MEYER La Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno in considerazione dell’evoluzione in atto nei comportamenti d’acquisto, ha deciso di destinare una quota significativa del proprio budget di comunicazione ad un obiettivo di pubblica utilità. E’ nata così nel 2001 l’operazione Con Mukki per il nuovo Meyer, una campagna di CRM avente come leva centrale la sponsorizzazione. L’operazione era volta a sostenere la ricerca scientifica dell’Ospedale pediatrico Anna Meyer di Firenze e la costruzione del Nuovo Meyer, destinato a diventare il polo pediatrico regionale ad alta specializzazione. L’impegno principale della Centrale del Latte è stato quello di corrispondere all’ospedale un contributo fisso annuale e una quota variabile pari ad alcuni punti percentuali dell’incremento di fatturato rispetto all’anno precedente. 9.5 Strategie per un mondo in movimento: il fund raising via Internet Un ruolo sempre più importante lo stanno acquisendo quelli che sono chiamati i new media, e tra questi soprattutto Internet78. Avere un sito permette di raggiungere fasce di pubblico sempre più ampie in tutto il mondo. Le organizzazioni stanno comprendendo velocemente il valore di Internet come strumento di raccolta fondi: è semplice, implica bassi costi e raggiunge un vasto pubblico. Alcune associazioni di volontariato stanno avendo risultati molto significativi. Questo tipo di comunicazione avrà un ruolo sempre più importante, non solo per la possibilità di raggiungere un pubblico più ampio attraverso nuovi strumenti, ma anche rispetto a come le organizzazioni comunicano loro stesse, quale immagine riescono a dare di sé: avere un sito permette all’organizzazione di dare un’immagine molto diretta del suo stile, dei suoi valori, del suo modo di lavorare. Sebbene molti aspetti del fund raising si siano evoluti e trasformati negli ultimi 10 anni, nessun cambiamento ha richiesto e ricevuto attenzione quanto l’introduzione della donazione online, ovvero l’utilizzo di Internet a scopi filantropici. Le donazioni online hanno raggiunto la loro maturità l’ 11 settembre 2001. Nei giorni seguenti gli attentati terroristici che hanno 78 Vedi capitolo Volontari nella rete. 208 colpito gli Stati Uniti, il mondo intero ha sfruttato Internet come strumento per effettuare donazioni in risposta a quei tragici eventi. Il ricorso alla donazione online è stato così intenso nelle settimane seguenti gli attentati da rappresentare un evento storico per la filantropia statunitense. I donatori hanno potuto collegarsi a numerosi siti web di imprese profit, che in breve tempo avevano inserito link per elargire donazioni con carta di credito, consentendo a milioni di navigatori l’opportunità’ di dare il proprio contributo alle famiglie colpite. Per la prima volta dall’avvento di Internet, la Croce Rossa statunitense ha ricevuto più donazioni via Internet rispetto a quelle ottenute tramite il numero verde, secondo un portavoce della Croce Rossa: “Evidentemente, il potere di Internet è enorme” (Christensen, 2001). Non dobbiamo però dimenticare che la raccolta fondi tramite Internet rappresenta un nuovo mercato da esplorare per avere nuovi potenziali donatori, dove poter sperimentare nuove tecniche di raccolta fondi, senza però sostituirsi agli attuali strumenti. Per avere successo usando la rete come strumento di fund raising è necessario integrare le tecniche online con le attività compiute dall’organizzazione non profit al di fuori dal web (ad esempio raccolta fondi attraverso eventi, invio postale, telemarketing...). Non dobbiamo pensare che la donazione online abbia rimpiazzato tutti i tradizionali metodi di raccolta fondi, anzi, accade proprio l’opposto. Per molto tempo ha animato i sogni di tante organizzazioni che approdavano online la speranza di incrementare sensibilmente, attraverso il proprio sito Internet, le proprie entrate. Tuttavia fra i problemi che ancora oggi si riscontrano quando si tenta di raccogliere fondi online c’è la questione culturale delle associazioni di volontariato stesse. E’ importante capire che i siti delle associazioni non devono essere solo delle vetrine e che, soprattutto, sono un mezzo di comunicazione e di interazione sostanzialmente diverso dagli altri. Non ci si può porre su Internet come ci si pone in una newsletter o in una campagna stampa tradizionale: si deve essere più veloci, accattivanti, interattivi appunto. Le associazioni di volontariato che non offrono ai propri sostenitori l’opportunità’ di comunicare e donare online non sfruttano tutte le loro potenzialità e non si preparano per il futuro. Il punto di forza della donazione online consiste nel fatto che Internet non rappresenta solo un valido strumento di fund raising, ma rappresenta una Donazione online: La donazione online consiste in una serie di tecniche di fund raising via Internet, che possono essere impiegate per costruire e sviluppare i rapporti con gli attuali e i potenziali donatori. 209 piattaforma ideale da cui partire per raggiungere, informare e coinvolgere i potenziali donatori, molti dei quali potrebbero rivelarsi irraggiungibili attraverso i canali tradizionali di fund raising. E’ noto che quando è possibile costruire e rinsaldare una relazione con un potenziale donatore, le possibilità di convincerlo a donare aumentano notevolmente. Per ottenere una donazione, anche online, bisogna chiederla! Chi dona online normalmente è indotto a farlo dalla mission, dalla buona causa e dall’opportunità’ di aiutare un’organizzazione non profit forse già sostenuta anche fuori dal web. Per sfruttare appieno le potenzialità offerte dalla donazione online, si devono tenere presente 2 concetti essenziali: 1) la donazione online deve essere considerata in primo luogo uno strumento per la costruzione di relazioni, e solo in secondo luogo come uno strumento di fund raising; 2) il successo nell’utilizzo dei siti web e della posta elettronica dipende dalla loro integrazione con tutte le altre forme di comunicazione utilizzate dall’organizzazione non profit (mailing, depliant, newsletter, telemarketing, radio, inserzioni sulla stampa).79 9.6 Come iniziare per raccogliere fondi via Internet? La donazione online si sviluppa attraverso un sistema di comunicazioni via e-mail tra l’organizzazione non profit e il donatore, il cui traffico è organizzato intorno a un sito web ben strutturato e ricco di contenuti. Usando l’e-mail nel modo giusto (dietro autorizzazione del destinatario), un’organizzazione non profit può infatti concedere ai suoi donatori una maggiore facilità di accesso alle informazioni, nonché un’informazione più tempestiva sull’amministrazione etica delle donazioni, rinsaldando il rapporto di fiducia con i sostenitori. Le metodologie della donazione online consentono alle associazioni di volontariato di comunicare non solo attraverso un sito web, ma anche via e-mail, promuovendo il sito web. Il sito web dell’organizzazione non profit deve riflettere la mission: se sul sito compaiono informazioni obsolete, significa che l’organizzazione non profit non ha niente di nuovo da dire. Il sito web deve rappresentare una reale fonte di aggiornamento di informazioni relative all’attività dell’or79 Rosso, Tempel, Melandri (2004: 292). 210 ganizzazione e deve fornire ampie possibilità di donare e di comunicare e interagire con l’organizzazione. Oltre ad essere invitante e piacevole, un sito deve essere facile da consultare. Non si deve mirare ad una donazione immediata ma alla creazione di una relazione. L’interattività si raggiunge dando la possibilità di entrare in contatto con l’organizzazione attraverso l’e-mail (posta elettronica), i forum di discussione, la newsletter. Alcune associazioni di volontariato sono riuscite a ottenere sponsor per le loro newsletter, specialmente da studi legali o banche, disponibili ad accollarsi i costi di produzione in cambio di uno spazio pubblicitario. Attraverso Internet è possibile raccogliere fondi per: 1. Acquisizione di nuovi donatori: in sostituzione di un’impegnativa operazione di mailing (invio di lettere tramite posta), alcune associazioni di volontariato utilizzano la posta elettronica. I volontari raccolgono nominativi ed indirizzi di potenziali donatori, l’organizzazione invia informazioni via e-mail e il donatore può fare clic su di un link che porta alla pagina delle donazioni nel sito Web dell’organizzazione non profit. 2. Donazioni e rinnovo delle tessere online: talvolta si usa l’e-mail per invitare i donatori a rinnovare i loro contributi, oppure nelle pagine web può comparire un invito a contribuire alle attività dell’organizzazione, ad esempio facendo una donazione online, lasciando il proprio recapito per essere contattati dall’organizzazione non profit. 3. Sensibilizzazione dei donatori attraverso: l’invio periodico di newsletter per mantenere informati i donatori rispetto all’andamento dei progetti, alla destinazione dei fondi ricevuti; l’offerta di servizi gratuiti online ai potenziali donatori; chat room su argomenti che interessano i donatori. Ecco alcuni brevi suggerimenti per chi desidera utilizzare Internet come strumento di raccolta fondi: 1) Una chiara e precisa rendicontazione di come verrà usato il denaro donato via Internet. È il primo segno di serietà e affidabilità che date ai vostri potenziali donatori pronti a sostenervi con una donazione online. Particolarmente attenti a quanta parte del loro denaro verrà spesa per coprire i costi del fund raising online: per cui, di regola, non bisogna spendere più del 10% della raccolta totale. 2) Garantire la massima sicurezza ai vostri donatori. Che digitare sul web il proprio numero di carta di credito sia pericoloso, non è un segreto per nessuno. Meglio quindi prevenire i dubbi di possibili donatori spiegando loro che i numeri di carta di credito e le informazioni personali digitate 211 sul loro computer non possono essere intercettate da nessuno perché vengono convertire in un elenco di numeri e codici decifrabili solo dal vostro server e spiegando a tutti i termini del vostro contratto con le varie aziende di carte di credito e le misure di sicurezza da esse adottate. 3) Offrire diverse opzioni di donazione. Non è detto che tutti i donatori online siano in possesso o desiderosi di sostenervi con carta di credito, qualcuno potrebbe voler inviare il proprio sostegno per posta, via fax, telefonando a un operatore o via e-mail. Per non deluderli, ricordate sempre di specificare sul sito il vostro indirizzo, e-mail, numero di fax e un numero di telefono dedicato e possibilmente gratuito in cui operatori della vostra organizzazione sappiano rispondere alle domande di possibili donatori e raccoglierne le offerte. 4) Sollecitare le donazioni online. Se non chiedete, è difficile che qualcuno, che visita per la prima volta il vostro sito, via dia il suo sostegno. Cercate dunque di prevedere una parte del vostro sito interamente dedicata alla raccolta fondi. 5) Create eventi speciali cui legare la vostra raccolta fondi. Negli Stati Uniti hanno avuto un grande successo le aste di oggetti appartenenti a star dello sport e dello spettacolo da aggiudicarsi online con donazioni a beneficio di enti e campagne non profit. 212 IL CASO: LE ASTE DI BENEFICENZA DI WWW.EBAY.IT Il sito www.ebay.it attivato il 15 gennaio 2001 e solo una settimana più tardi, il 21 gennaio, ospitava la sua prima asta di beneficenza online (due inviti per il Galà della Pubblicità la cui vendita ha permesso l’allestimento di un’aula informativa in una scuola media della provincia di Napoli). Ebay rappresenta la più grande community al mondo di privati e piccole aziende per la compravendita di beni e servizi online senza intermediari. La formula che si rivela vincente è quella di far leva, per quanto riguarda il segmento non profit - che sul sito è indicato dal termine “beneficenza” – sulla passione degli italiani per il collezionismo. Cuore d’atleta è un’asta benefica online, che coinvolge il mondo dello sport. Oggetti unici e situazioni offerti dai più noti campioni di tutte le discipline sportive vengono messi all’asta sul sito di eBay nel periodo tra marzo e maggio. Nelle edizioni passate di Cuore d’atleta, organizzate prima a favore di Amnesty International e poi per Special Olympics Italia, sono stati messi all’asta gli oggetti di oltre 200 personaggi e società sportive italiane e internazionali. Gli sci di Isolde Kostner, madrina dell’edizione 2002, i guanti di Schumacher e di Buffon, il surf di Alessandra Sensini, i caschi di Alessandro Zanardi e di Valentino Rossi, sono stati solo alcuni oggetti che hanno permesso di raggiungere oltre 90.000 euro di raccolta. L’iniziativa è promossa da La Gazzetta dello Sport in collaborazione con Radio Deejay e con il patrocinio dei più importanti Enti Sportivi Italiani, tra cui la Lega Calcio, la Lega Basket, la Federazione Italiana di Tennis, la Lega Pallavolo Serie A Maschile, la Lega Pallavolo Serie A Femminile. Tramite questo tipo di eventi le associazioni di volontariato riescono a darsi una nuova immagine, più attiva e giovane e riescono anche a raggiungere un pubblico che difficilmente si sarebbe interessato alle loro cause. La prova del nove del successo di iniziative come Cuore d’Atleta è che le associazioni che fanno raccolta fondi su eBay sono passate in tre anni dalle quattordici iniziali alle attuali 115. 6) Pubblicizzare le vostre raccolte fondi nel modo e spazio corretto. Come ogni comunità, anche quella di Internet ha adottato un codice di comportamento che va rispettato e vieta nel modo più assoluto di disturbare lo svolgimento di chatline e newsgroup inviando messaggi a raggiera incuranti del tema di cui si sta discutendo. Pena: l’inserimento della vostra organizzazione nella lista nera del web o addirittura il boicottaggio del vostro sito. Meglio messaggi e-mail chiari, che spiegano in poche righe lo 213 scopo della vostra raccolta e rimandano al sito dell’organizzazione inviati a destinatari selezionati. 9.7 Un grazie sincero! Il donatore, e questo è un dato di fatto, chiede sempre più, e a gran voce, di vivere momenti personalizzati e non di essere trattato solo come un numero. Una recente ricerca condotta sul campo svela risultati poco lusinghieri per la maggior parte delle associazioni di volontariato che fanno un uso insufficiente dei mezzi più moderni a loro disposizione per la raccolta fondi, omettono di ringraziare i donatori e si dimenticano di loro per il resto dell’anno. La sequenza delle azioni messe in atto da un’organizzazione a seguito di una donazione è: la maggior parte dei donatori infatti, effettua una donazione, riceve una lettera di ringraziamento e occasionalmente una newsletter. Due o tre volte all’anno viene chiesto loro di fare ulteriori donazioni e, se donano, vengono ringraziati nuovamente. Tutto questo è sufficiente? Può continuare a funzionare? Ma se l’obiettivo primario del fare fund raising è insegnare alle persone la gioia di donare, dando vita a uno scambio di reciprocità, e di conseguenza far crescere il numero dei donatori, nonché l’ammontare delle donazioni, allora “le solite” lettere di ringraziamento e i soliti gadget non personalizzati (calendari, fotografie, penne) potrebbero allontanare il fundraiser da questo importante obiettivo. Ai fini di una corretta relazione con il donatore, è molto importante che i tempi di sollecitazione e di ringraziamento, vengano accuratamente rispettati. Appare chiaro infatti che se dopo una donazione non arriva immediatamente un ringraziamento il donatore potrebbe non essere soddisfatto dell’esperienza di dono fatta. Così come se dovesse capitare che il donatore viene sommerso di sollecitazioni, che si ripetono costantemente nel tempo, senza uno specifico motivo, ciò potrebbe essere causa di disturbo. Ringraziare, com’è noto, non serve solamente a dimostrare la propria cortesia, e non può essere considerato come una tecnica per ottenere il rinnovo o l’aumento delle donazioni. Ringraziare significa riconoscere che le persone che investono nella mission e negli obiettivi operativi dell’organizzazione non profit contribuiscono in modo significativo a rafforzare il tessuto della società. E’ noto inoltre che la “teoria” raccomanda di ringraziare il donatore entro le 24-48 ore: in realtà in Italia il tempo medio 214 per ricevere una lettera di ringraziamento sia di 46 giorni. A questo proposito è importante ricordare che: - nel pensiero del donatore può sempre sorgere il dubbio che, se l’organizzazione non profit dà ai donatori uno scarso riconoscimento della loro importanza, non ringraziandoli per la donazione, la stessa scarsa attenzione potrebbe essere rivolta anche ai beneficiari dell’azione dell’organizzazione; - ringraziare è il primo passo per rendere concreto il vero scopo del fund raising, creare relazioni; - quando il donatore si sente più vicino all’organizzazione attraverso una relazione con i suoi costituenti, dona di più, parla volentieri dell’associazione a colleghi e amici, che a loro volta possono donare o divenire volontari;80 - per rendere viva questa rete di relazione è necessario vedere il mondo con gli occhi del donatore. La raccolta fondi è la capacità di trasformare perfetti sconosciuti in amici fedeli. Dopo aver messo a punto la propria strategia di ricerca fondi è necessario preoccuparsi di come i donatori vecchi e nuovi continuino a sostenere attraverso le proprie donazioni l’organizzazione. Tre sono passaggi fondamentali per trasformare perfetti sconosciuti in amici fedeli: • Comunicare. E’ indispensabile comunicare i risultati che si sono raggiunti con le donazioni che “quel donatore” ha inviato. • Coinvolgere. Inteso come mantenimento di attenzione operativa del sostenitore rispetto alle attività svolte dall’associazione. E’ come se il donatore partecipasse “con le proprie mani” al raggiungimento degli obiettivi per i quali ha fatto una donazione: non solo l’informazione su come “procedono i lavori” rispetto alla meta, ma l’ascolto del suo parere sull’ andamento del progetto che ha finanziato. In alcuni casi si può invitare anche a verificare di persona il donatore come si sta evolvendo il progetto. • Ringraziare. La comunicazione con i donatori è il miglior strumento per mantenere un rapporto duraturo. Dire “grazie” spesso rappresenta in 80 Melandri (2005) 215 realtà l’occasione più importante per comunicare con persone che hanno scelto liberamente di aderire alla mission, e la gratitudine è un’emozione sempre potente e coinvolgente che crea un legame profondo tra l’organizzazione e il donatore. Ogni organizzazione deve individuare le modalità più adatte per completare i propri programmi di ringraziamento dei donatori. La capacità da parte di un’organizzazione di ringraziare i suoi donatori aiuta a “trasformare i donatori occasionali in donatori fedeli”. In particolare il ringraziamento per la donazione ricevuta ha un valore inestimabile. E’ necessario selezionare i mezzi di comunicazione per effettuare il ringraziamento (posta, telefono, quotidiani, televisione o comunicazione integrata tramite più mezzi) nonché valutare i metodi più coerenti (scritto, verbale, tramite immagini e così via). Non è una banalità affermare che niente può sostituire una telefonata, l’invio di una breve lettera personale o una visita faccia a faccia soltanto per ringraziare. Qualora questo non sia possibile dato l’elevato numero di donatori, l’organizzazione dovrà impegnarsi per individuare svariati metodi per ringraziare i propri donatori. Alcuni suggerimenti possono essere i seguenti: • Il ringraziamento per essere efficace deve essere tempestivo deve giungere al donatore entro al massimo 48 ore dopo aver ricevuto la donazione; • è utile inviare una relazione bimestrale sullo stato delle attività inerenti il progetto finanziato dal donatore; • ipotizzare un bollettino che con cadenza tri/quadrimestrale informi il donatore della vita dell’organizzazione non profit; • creare una o due eventi di risonanza pubblica a cui invitare il donatore; • inviare un fascicolo di presentazione approfondita dell’organizzazione non profit entro 30 giorni dalla donazione; • la relazione di fine anno con i risultati complessivi raggiunti è doverosa per il sostenitore. Forse non tutti sanno che: • I donatori del passato saranno con grande probabilità i donatori del futuro; • Il 50% dei sostenitori degli anni precedenti devolveranno lo stesso 216 ammontare; • Se verrà richiesto, il 15% dei supporter già in contatto con l’organizzazione aumenteranno l’ammontare donato; • Dopo il secondo rinnovo, la fedeltà si estenderà per altri sette anni; • Coloro che sono alla prima donazione offriranno cifre da 5 a 8 volte inferiori rispetto agli altri; Dopo 5 anni l’80% del denaro raccolto sarà devoluto da donatori influenzati dalla campagna di rinnovo. 9.8 L’etica nella raccolta fondi Il tema dell’etica è strettamente legato alla ricerca di finanziamenti. Le brevi note qui contenute sono una semplice indicazione e richiamo ad ognuno, consapevoli che è la responsabilità di ciascuno che rende più o meno giustificabile orientarsi verso una direzione piuttosto che un’altra. E’ certamente utile tenere insieme gli interrogativi su “come ottenere finanziamenti” con quelli su “a chi mi posso rivolgere senza mandare in crisi i miei valori di riferimento”. In molti stati molte associazioni di volontariato hanno adottato codici di autoregolamentazione che prevedono il rispetto di alcuni principi e che impongono a chi aderisce il rispetto di alcune procedure precise. In Italia ad esempio, prendendo esempio dalle esperienze francese e inglese, è nata la Carta della Donazione, promossa da Sodalitas, a cui hanno già aderito numerose fra le associazioni italiane. La trasparenza di gestione è in assoluto la garanzia più importante che una associazione deve dare ai suoi donatori. Nel non profit tutto si basa sulla fiducia e a maggior ragione non ci deve essere uno scollamento tra identità dell’associazione (contenuto, progetti) e immagine (comunicazione e raccolta fondi). Uno strumento fondamentale per le associazioni a questo proposito è il Bilancio. Le associazioni attraverso questo strumento di comunicazione rendono conto dell’attività globale di un anno della gestione dettagliata dei fondi raccolti. In Italia, solo il 40% dei cittadini effettua donazioni a favore del non profit, a fronte del 70% riscontrato nel Regno Unito, e i fondi donati ammontano complessivamente a 1,1 miliardi di euro, a fronte degli 11 miliardi di euro registrati Oltremanica (dati Doxa 2002). Se questi numeri incoraggiano a ritenere che in Italia il ‘mercato” delle donazioni può conoscere uno sviluppo significativo, devono tuttavia indurre a riflettere sulle ragioni per cui gli italiani si mostrano meno generosi rispetto ai cittadini di altri Paesi europei. La 217 chiarezza e la completezza della informazioni fornite al donatore, la capacità di rendicontare con tempestività e traparenza sull’utilizzo dei fondi raccolti sono aspetti determinanti. Aspetti, questi, di cui ogni ente non profit deve prendersi cura per non disperdere e, anzi alimentare la risorsa più preziosa: la fiducia.81 81 Proprio a tale proposito per creare un clima di garanzia e fiducia in cui far crescere anche in Italia la cultura della donazione, Forum Permanente del Terzo Settore, Sodalitas e Summit della Solidarietà hanno costituito l’Istituto Italiano della Donazione. Il marchio dell’Istituto Italiano della Donazione vuole essere lo strumento per attribuire una certificazione di qualità alle organizzazioni non profit in grado di superare una verifica per accertare il rispetto degli standard contenuti nella Carta della donazione. Superata la verifica, le organizzazioni non profit possono utilizzare il marchio dell’Istituto in ogni strumento di comunicazione e in occasione di ogni iniziativa di raccolta fondi. 219 10. LE CAMPAGNE DI COMUNICAZIONE SOCIALE di Elisabetta Gazzola Al giorno d’oggi la comunicazione “d’impresa” occupa un ruolo molto importante sia per le implicazioni di ordine economico, sia per gli aspetti culturali e sociologici connessi. Le tecniche di comunicazione sono andate via via diversificandosi: alla pubblicità si sono aggiunte progressivamente altre forme di comunicazione, quali promozioni, direct marketing82 e sponsorizzazioni. Negli ultimi decenni, poi, alle forme di comunicazione classica se ne sono aggiunte altre: la comunicazione istituzionale e informativa di governi ed enti pubblici, e la pubblicità sociale, di cui Pubblicità Progresso è stata la capostipite. A partire dagli anni ’70 Pubblicità Progresso ha inventato nel senso letterale del termine una nuova categoria della comunicazione, fino ad allora sconosciuta in Italia. L’effetto sulla comunicazione sociale è stato notevolissimo: ha favorito, tra gli altri, l’ingresso della pubblicità e della comunicazione in genere tra gli strumenti operativi di enti, istituzioni, pubblica amministrazione e organizzazioni che operano nel sociale. La comunicazione sociale ha subito una crescita a dir poco tumultuosa. Oggi proliferano campagne di raccolta fondi e di cause related marketing, campagne a favore di iniziative di volontariato, di associazioni non profit e così via. Ma spesso la qualità viene penalizzata: da un’analisi di “Rcs per il sociale” emerge che, nonostante l’ingente ammontare degli spazi gratuiti complessivamente messi a disposizione (circa 70 milioni di euro), a parte quelle di Pubblicità Progresso, solo un numero davvero esiguo di campagne riescono a raggiungere la soglia minima di “pressione pubblicitaria”, cioè l’indice che testimonia che sono state viste da un numero sufficiente di persone per un adeguato periodo di tempo. Un merito indiscusso delle campagne di comunicazione sociali è quello di contribuire a rendere attuale una questione, un tema, un problema sociale, un valore, un comportamento. Portandolo prepotentemente all’attenzione del più vasto pubblico, il tema trattato nella pubblicità sociale assume una nuova salienza nell’agenda dell’opinione pubblica. La diffusa legittimazione e il sensibile gradimento che circonda la pubblicità sociale83 è da 82 Lombardi (2001). 83 I dati emersi a questo proposito dalla ricerca citata sono chiari. Le campagne sociali sono ritenute ad esempio dalla grande maggioranza molto utili (56,3%) e abbastanza utili (37,3%). 220 attribuire alla capacità ad essa riconosciuta di agire sulla consapevolezza che i singoli hanno dei problemi e questioni riguardanti la collettività. In questo senso, la pubblicità ai fini sociali servirebbe a fa scattare grilletti attenzionali, a richiamare, a informare, a sottolineare. “I messaggi sociali rinfrescano cose che tutti sappiamo”, “ti aprono gli occhi”. In quest’ottica, le campagne di comunicazione sociale difficilmente potranno produrre valori, semmai potranno diffonderli e rafforzarli, o ancor di più offrire la loro traduzione in regole di condotta, non potranno rilevare problemi, ma piuttosto influenzare l’ordine in agenda. Ovviamente, quando da queste valutazioni di carattere generale si passa a considerare le singole e specifiche esperienze comunicative, i criteri di giudizio diventano più precisi. Vi sono campagne che hanno avuto successo, altre che non hanno prodotto nessun significativo impatto. Vale la pensa a questo proposito ricordare che le difficoltà che una comunicazione sociale incontra sono davvero numerose. Basti pensare che, a differenza di un qualsiasi spot commerciale, il messaggio sociale non ha una “merce” facile da reclamizzare: idee al servizio della collettività, richieste di sostegno a categorie svantaggiate, divieti e negazioni di comportamenti, abitudini e atteggiamenti consolidati nel tempo, proposte di azioni onerose che devono fare i conti con la pigrizia e le difficoltà delle persone al cambiamento.84 All’interno di questo capitolo dedicato alle campagne di comunicazione sociale, avremo modo di approfondire le campagne finalizzate a promuovere temi di interesse generale e quelle legate alla responsabilità sociale quest’ultime rappresentano esempi di cause related marketing. 10.1 Dall’idea... alla campagna di comunicazione Pubblicità è un termine generico. Il singolo “pezzo” di pubblicità si chiama annuncio se esce sulla stampa periodica e quotidiana, radiocomunicato se viene trasmesso per radio, telecomunicato o spot se sta in Tv o al cinema, manifesto se sta sui muri e ha formato verticale, poster se sta sui muri, ha formato orizzontale ed è grande (sei metri per tre). Più “pezzi di pubblicità” che sviluppano il medesimo discorso fanno una campagna. 84 Gadotti (1998). 221 La campagna di comunicazione è l’insieme delle operazioni attuate da una organizzazione non profit durante un determinato periodo di tempo con lo scopo di far raggiungere un messaggio all’opinione pubblica, ai beneficiari dell’offerta, a possibili soci e volontari, ad eventuali donatori. La finalità che la campagna di comunicazione si propone è scontata; si cerca di comunicare con il mercato sociale perchè si vuole attirare la sua attenzione, convincerlo, conquistarlo; perché si vuole fargli conoscere un’idea, un servizio, un progetto, un’iniziativa, perché si vuole mantenere un costante ed attivo rapporto informativo; nell’attivazione di una campagna il marketing cercherà di influenzare i comportamenti dei vari destinatari cui la campagna è indirizzata. Per questo il contenuto della campagna dovrà essere, chiaro, semplice, identificabile, ricettivo, credibile e rivolto al giusto destinatario. Sarà proprio in funzione degli obiettivi che l’organizzazione non profit potrà sviluppare la sua campagna di comunicazione. E’ necessario a questo punto disporre di uno schema di riferimento per capire quali sono i passaggi necessari per giungere alla realizzazione di una campagna. 222 Figura 1 – Sviluppo di una campagna di comunicazione • Scelta degli obiettivi: si tratta di ben focalizzare gli obiettivi statutari, nonché altri obiettivi generali e particolari che si vogliono raggiungere con la campagna di comunicazione; • Individuazione dei destinatari: le associazioni di volontariato hanno assoluto bisogno di comunicare con l’opinione pubblica in genere, ma in particolare con i loro segmenti-target (beneficiario dell’offerta, volontari, donatori/sostenitori); • Definizione di un budget: sicuramente la campagna di comunicazione 223 chiederà non poche risorse finanziarie, per cui sarà bene disporre di un budget che ne permetta la sua messa in atto; • Definizione del messaggio: si dovrà ben individuare il messaggio che accompagnerà tutta l’azione comunicazionale. A questo proposito esistono tre tipologie di messaggi sulla quale si può puntare per la realizzazione di una campagna: • Messaggi razionali: il loro obiettivo è la trasmissione di informazioni, la soddisfazione dell’interesse personale del pubblico, o entrambe le cose. Cercano di sottolineare che il servizio pubblicizzato produrrà i benefici funzionali che il target si attende. • Messaggi emozionali: mirano a risvegliare emozioni positive o negative che motiveranno successivamente il comportamento desiderato. I responsabili della comunicazione fanno ricorso a emozioni quali la paura, il senso di solpa e la vergogna, soprattutto per indurre le persone a intraprendere azioni che dovrebbero compiere (lavarsi i denti, fare un controllo sanitario...) o a interrompere azioni che non dovrebbero compiere (fumare, mangiare troppo, assumere droghe, bere troppo). I pubblicitari hanno scoperto che il ricorso alla paura funziona fino a un certo punto; se si esagera, il pubblico ignorerà il messaggio. I responsabili della comunicazioni fanno anche ricorso a emozioni positive, come l’amore, l’umorismo, l’orgoglio e la gioia. I riscontri empirici non hanno evidenziato però, che un messaggio umoristico, per esempio, sia necessariamente più efficace della versione realistica del messaggio stesso. • Messaggi morali: sono indirizzati al senso civivo e di giustizia del pubblico. Spesso vengono utilizzati per esortare le persone a sostenere le cause sociali, come un ambiente più pulito, migliori relazioni umane e tra i popoli, eguali diritti per le donne e aiuto ai bisognosi. I messaggi di tipo emozionale e morale sono presenti nella comunicazione sociale e un esempio chiaro sono le campagne di Pubblicità Progresso. • Elaborazione del messaggio. I responsabili creativi della comunicazione delle associazioni di volontariato (sia interni che di un’agenzia pubblicitaria o di pubbliche relazioni) devono risolvere il problema dell’attenzione selettiva, ossia quel fenomeno per il quale prestiamo attenzione a soggetti, tematiche o immagini che ci interessano e ignoriamo tutte le altre. Così, gli anziani si accorgeranno dei messaggi su vacanze prolungate; gli ipocondriaci 224 si soffermeranno sui messaggi che parlano di medicinali e gli uomini d’affari raramente ignorano i messaggi riguardanti argomenti professionali. Chi si occupa dell’elaborazione del messaggio avrà a disposizione numerose variabili per produrre un messaggio efficace che possa giungere al pubblico: lo stile, il tono, le parole, l’ordine e il formato. Affronteremo questi temi nel paragrafo dedicato al linguaggio della pubblicità sociale. Dopo aver definito i temi da sviluppare nel messaggio, si esaminerà l’esposizione delle idee. Tre elementi sono importanti a tal proposito: la conclusione cui si vuole arrivare attraverso il messaggio, l’argomentazione che si intende sviluppare e l’ordine di presentazione. • La prima questione riguarda la parte del messaggio in cui viene formulata la conclusione che si intende proporre al pubblico obiettivo, per esempio il suggerimento di dedicare cinque ore alla settimana al volontariato. Una ricerca sperimentale ha evidenziato come la presenza di una conclusione esplicita renda il messaggio più persuasivo rispetto al messaggio che lascia al pubblico la libertà di trarre una propria conclusione. • La seconda questione riguarda il tipo di argomentazione, nel non profit ci sono molte situazioni in cui il pubblico sa che esiste un lato negativo nel manifestare un certo comportamento: i potenziali donatori di sangue sanno che l’ago fa male e che potranno sentirsi deboli; gli alcolisti, i fumatori e i drogati sanno che smettere o ridurre la quantità, li farà soffrire e richiederà una notevole forza di volontà; i giovani sanno che non bere o non fumare in alcuni casi potrebbe assoggettarli ai commenti ironici degli amici e dei compagni. • La terza questione, nel caso in cui vi siano numero idee da tramettere attraverso il messaggio, è l’ordine di presentazione. Gli esperti di scienze sociali hanno scoperto che, tenute ferme le altre condizioni, le persone tendono a ricordare gli elementi presenti per primi e per ultimi in un messaggio molto lungo. • La scelta del mezzo di comunicazione. Nella scelta vanno considerata diverse variabili: • Abitudini del pubblico al quale si vuole parlare: per esempio, la radio e la televisione sono i mezzi più efficaci per raggiungere il pubblico degli adolescenti; • Prodotto o servizio: la televisione, per esempio, è il media più efficace per dimostrare come funziona un prodotto o un servizio o per la creazione di un effetto emozionale. 225 • Messaggio: un messaggio che faccia appello urgenti per donazioni di sangue richiede il ricorso alla radio, ai quotidiani o a manifesti; un messaggio conetenente una grande quantità di dati tecnici potrebbe richiedere l’impiego di riviste specializzate o di direct mail (invio postale); • Costo: la televisione è un mezzo molto costoso mentre la pubblicità sui quotidiani è più economica. • La pianificazione della campagna: viste le svariate azioni che debbono caratterizzare una campagna, viste le risorse limitate di cui spesso si dispone, diventa quanto mai importante impostare una rigorosa pianificazione; intendiamo riferirci ai tempi d’attuazione degli interventi previsti nella stessa campagna. E’ evidente che la pianificazione dovrà uniformarsi alle esigenze imposte dagli obiettivi che si vogliono raggiungere, nonché dai mezzi a disposizione. La migliore campagna di comunicazione, i migliori mezzi di comunicazione non riusciranno ad ottenere il consenso se non si indirizzeranno “al momento giusto” e con i “giusti interventi” a segmenti-target. Ciò significa che tutti i passaggi che caratterizzano la campagna debbono avere una logica e progressiva successione; visto che si preparano e si mettono in atto tanti interventi, tanti media, bisogna che tutti questi risultino tra loro strategicamente coordinati nel contesto di un piano. Ci sono tre possibili modalità rispetto alla tempistica del messaggio. • Pubblicità d’urto: consiste nel concentrare tutte le esposizioni in un breve lasso di tempo, magari in un giorno; presumibilmente questo attirerà la massima attenzione e il massimo interesse e, se il ricordo è buono, l’effetto durerà a lungo. • Pubblicità continuativa: dove le esposizioni appaiono regolarmente durante il periodo. Questo secondo metodo potrebbe essere molto più efficace quando il pubblico acquista o usa frequentemente il prodotto e necessita di un continuo richiamo • Pubblicità intermittente: caratterizzata da momenti di forte esposizione, intervallati da pause vuote. Consente di creare maggiore attenzione rispetto alla pubblicità continuativa, mantendone alcuni vantaggi in termini di ricordo. 226 10.2 I linguaggi della pubblicità sociale: stile, tono e parole85 Si è spesso osservato che la pubblicità commerciale fa largo uso di un linguaggio iperbolico, di toni sostenuti di messaggi rassicuranti ed inneggianti al lieto fine, mentre la pubblicità sociale tendenzialmente mostra il lato d’ombra e oscuro. Angoscia, malattia, morte escluse nei comunicati commerciali affiorano o vengono tematizzate ed esplicitamente evocate in quelli sociali. L’indubbia drammaticità di molti suoi messaggi rende il tono e le modalità utilizzati di cruciale importanza per i risultati che si vogliono conseguire. Come è noto, le opinioni circa i codici espressivi più opportuni al messaggio sociale non sono concordi. Per alcuni la sobrietà del linguaggio, il rigore formale, i toni smorzati e severi sono da considerarsi elementi connaturati al tipo di messaggio, per altri, anche il messaggio sociale, indipendentemente dal tema trattato, può e deve avvalersi di un format comunicativo più colorito, seducente, sdrammatizzante, esteticamente appealing. Estremamente variabile è anche il giudizio formulato in merito all’approccio formale ritenuto più opportuno per questo genere di messaggio. C’è chi ritiene utile il ricorso a immagini forti e ad un linguaggio diretto, chi al contrario, auspica una comunicazione sociale che faccia ricorso ad informazioni precise e ad argomentazioni razionali. Molto diffuso è, in ogni caso il rifiuto di atteggiamenti o toni percepiti come doveristici, colpevolizzanti, moralistici, patetici. Gli intervistati hanno perlatro confermato l’apprezzamento per una connotazione seria del messaggio sociale. Dove la richiesta di serietà si esprime nel senso di una retorica semplice, chiara, diretta e di una rappresentazione di situazioni verosimili, probabili, di un messaggio che sappia contenere suggerimenti precisi su come agire per mettere in pratica la proposta che contiene. Più netto è il giudizio sulle forme più aggressive di comunicazione. Come è noto, la letteratura sui cosiddetti fear arousing appeal, gli appelli alla paura, non consente di pervenire a conclusioni univoche. Sebbene il “il meccanismo che dovrebbe operare in questi casi è molto semplice: emissione del messaggio ansiogeno; attivarsi di uno stato di tensione emotiva per la ricezione di quelle parti del messaggio che suscitano apprensione, timore o comunque sensazioni sgradevoli; risoluzione della 85 Le indicazioni contenute in questo paragrafo sono tratte da una ricerca sulla pubblicità sociale che si proponeva di far luce sulle opinioni e gli atteggiamenti dei cittadini nei confronti di questo genere comunicativo. Gadotti (1996). 227 tensione con l’adozione delle raccomandazioni contenute nel messaggio che indicano esplicitamente come evitare le temute conseguenze”86, in realtà è sperimentato che non tutti i messaggi che suscitano paura favoriscono l’adozione del comportamento prescritto nella comunicazione. Abbiamo infatti esempi di fallimento nel caso in cui il pubblico tende a rimuovere esperienze traumatizzanti tali da suscitare angoscia e provocare uno stato forte di dissonanza. In particolare da qualche anno a questa parte, all’interno delle pubblicità sociali, si comincia a far leva sull’ironia, l’allusione, il senso dello humour, quasi a voler smorzare con le modalità del trattamento retorico la drammaticità dei temi affrontati. Gli esempi positivi non mancano. Basta lasciarsi scorrere davanti agli occhi le immagini delle più recenti campagne di lotta all’AIDS per cogliere la ricchezza dei toni, colori e registri argomentativi utilizzati. La mostra sull’ AIDS organizzata in occasione del 1° Festival Internazionale della comunicazione sociale a Milano, o quella più recente realizzata dalla Lila in alcune città italiane, hanno evidenziato la tendenza a trattare anche in tono “leggero” il tema della prevenzione al contagio. “Affinché la morte non ci separi”, la frase che suggella il rito dello scambio delle fedi nunziali, potrà essere chiamata a evocare l’impegno di lotta all’AIDS. L’anello è sostituito da un preservativo che una mano femminile porge al partner. “Potete fare tutto tranne gli stupidi” e il pay off che chiude una campagna il cui visual è un preservativo che avvolge una scritta: “fallo”. “Negli sport rischiosi l’attrezzatura è tutto”: bombole di ossigeno, paracaduti, caschi ed infine un profilattico esemplificando in modo efficace e diretto il senso della frase. Ma non è difficile trovare anche in altre aree della comunicazione sociale campagne che con stile “lieve” ci invitano a compiere determinate azioni. Così ad esempio, in una campagna firmata dal Ministero della Sanità, l’invito a donare sangue è rivolto con garbo, senza fare appello al senso del dovere, ma semmai cercando di motivare all’atto mostrandone la semplicità e la gratificazione che ne può derivare. Nella campagna a favore di una guida sicura promossa dal Ministero dei Lavori pubblici, il messaggio trae la sua grande forza di impatto dalla rappresentazione verosimile di situazioni di quotidiana esperienza che possono essere causa di incidenti mortali (un telefonino che squilla men86 Fabris (1996). 228 tre si guida; un litigio tra coniugi) senza tuttavia indugiare in particolari macabri o terroristici. Non poche ricerche sembrano indicare, che un messaggio sociale che si voglia efficace non può non considerare il problema delle sue ricadute pratiche. Il messaggio che contenga un’indicazione pratica, una concreta proposta d’azione, che non si limiti a suggerire soltanto un atteggiamento astrattamente desiderabile, ma indichi anche una modalità concreta per realizzarlo, sembra infatti maggiormente in grado di fissarsi nella consapevolezza dei destinatari, se non altro perché la proposta di un’azione positiva, allentando l’ansia o il disagio inevitabilmente prodotti dalla presentazione del problema in questione, riduce il pericolo di rimozione del messaggio stesso. Un messaggio ad esempio che volendo persuadere a non fumare si limitasse ad affermare: “Basta con il fumo: potrebbe nuocerti” non aiuta i fumatori a controllare il desiderio di fumare e a sapere dove cercare aiuto”.87 Il compito del messaggio sociale è infatti quello di “far passare il pubblico dall’intenzione alla azione” dato che spesso “... le persone sanno cosa dovrebbero fare, ma non sanno come agire concretamente”. Non tutte le problematiche sociali però si prestano ad un appello all’azione. Ad esempio la campagna realizzata da Pubblicità Progresso nel 1977 a difesa dell’acqua. In quel caso il messaggio era “l’acqua è un bene di tutti. Facciamo tutti qualcosa per difenderla. Subito” tendeva a richiamare l’attenzione su un problema drammatico del nostro Paese. Tuttavia è noto che la periodica scarsità dell’acqua in Italia solo in minima parte dipende dallo spreco individuale e domestico, piuttosto essa è causata dall’inadeguatezza del piano delle acque e dall’inadempienza in questo settore delle amministrazioni comunali. L’appello all’azione in tale circostanza poteva tradursi 87 Fox, Kotler (1981: 7). 229 nell’ invito ai cittadini a farsi portavoce presso le amministrazioni comunali della necessità di adeguare le strutture di raccolta dell’acqua. Negli annunci pubblicitari invece apparsi sulla stampa, era presente un coupon “tagliando di risposta” da rinviare agli amministratori locali al fine di sollecitare attraverso tale forma di partecipazione la soluzione dei problemi oggetto della comunicazione stessa. In altri annunci si invitava a fare richiesta degli opuscoli appositamente realizzati per approfondire l’argomento trattato nella compagna come nel caso delle campagne “Infortuni domestici” o “Figli si nasce, genitori no”, in altri annunci infine, come nel caso della campagna “Donate il sangue”, si dava una precisa segnalazione di dove e come agire per rispondere al bisogno segnalato. Comunque sia, l’invito all’azione rende in realtà più convincente e persuasiva la comunicazione stessa. C’è un’altra ragione che suggerisce di presentare in modo chiaro l’azione da compiere: la misurabilità dell’impatto del tema trattato. Le sollecitazioni a intraprendere una precisa azione si possono talora tradurre in una valida misura dell’efficacia persuasoria della campagna stessa. In base infatti alle risposte ottenute, ad esempio al numero di coupon tagliandi di risposta inviati, o alle richieste opuscoli e così via è possibile misurare l’impatto della campagna. Non dobbiamo dimenticare che numerosi soggetti (organizzazioni, enti, associazioni) per mancanza di mezzi propri hanno difficoltà a promuovere una campagna a livello nazionale e/o ad accedere agli spazi pubblicitari per farsi conoscere o per diffondere il proprio messaggio di interesse collettivo. In alcuni casi come ad esempio la FIDAM (Federazione Italiana degli Amici dei Musei) con il contributo di Pubblicità Progresso realizzarono una campagna per far conoscere l’opera di sensibilizzazione e cultura che essa svolge da anni “affinché la Cultura del Museo non resti soltanto una cultura da museo”. In questo e in altri casi, l’Istituto Pubblicità Progresso raccoglie di fatto la delega di soggetti che si possono definire “deboli”, almeno dal punto di vista della loro capacità di accesso alla comunicazione persuaso- 230 ria di massa, svolgendo una supplenza comunicativa.88 10.3 Le campagne di cause related marketing In occasione della prima edizione del Festival Internazionale della Comunicazione sociale, fu organizzata una tavola rotonda dal titolo significativo Le imprese e la comunicazione sociale, nella seconda edizione del Festival lo stesso tema venne affrontato nella tavola rotonda Le responsabilità sociali dell’impresa. In ambedue le circostanze i relatori hanno messo a fuoco un cambiamento circa il ruolo dell’impresa nella soluzione dei problemi della collettività. Se in tempi non lontani la responsabilità di impresa era legata principalmente ai metodi produttivi, alla qualità dei prodotti, ai rapporti con i dipendenti, ora la sua area di responsabilità coinvolge sempre più chiaramente e massicciamente le relazioni con la collettività. Le aziende dunque sempre più frequentemente a fronte delle spinte che provengono dal mercato e dal contesto sociale, comunicano non solamente sul proprio ruolo economico ma sulla propria visione del mondo, sui propri valori ed obiettivi. L’impresa non si fa carico solo delle conseguenze della sua attività sulla società e l’ambiente (orientamento sociale) ma estende spontaneamente le proprie responsabilità anche verso problematiche non necessariamente connesse alla propria attività produttiva. Ecco allora le iniziative in partnership con associazioni di volontariato e le campagne di cause related marketing89. Un progetto di Cause related Marketing (CRM) consiste in un sistema di attività facenti perno sulla funzione di marketing, con cui un’impresa persegue i propri obiettivi di natura commerciale fornendo, la tempo stesso, un contributo a una causa sociale. Due sono gli elementi che caratterizzano la definizione di Cause Related Marketing: il contributo fornito a una causa sociale e il perseguimento di obiettivi di natura commerciale. La buona causa può riguardare un ampio spettro di temi: medicina e salute, assistenza ai senza tetto, lotta alla fame, tutela dell’ambiente, emergenze connesse a disastri naturali o comportamenti dannosi dell’uomo, diritto allo studio, promozione di attività lavorative in aree con elevato tasso di disoccupazione o in Paesi in via di sviluppo, e così via. D’altro canto, il contributo alla causa può avvenire secondo modalità dif88 Gadotti in Lombardi (2003: 408-410). Devigli (2004: 19). 89 Molteni, 231 ferenti, riconducibili a due approcci fondamentali: il sostegno fornito ad uno o più enti non profit, la cui missione abbia valenza sociale, o un’azione volta a rispondere direttamente a determinati problemi/bisogni, mobilitando risorse di varia natura (più spesso somme di denaro, ma anche prodotti/servizi, conoscenze, tempo dei propri collaboratori). Nel primo caso, che è anche il più frequente, viene ad instaurarsi una partnership – temporanea o duratura – tra l’impresa e l’azienda non profit. Nel secondo caso l’impresa si dota di un’unità organizzativa in grado di concepire e attuare una campagna sociale, che può contemplare attività di sensibilizzazione, interventi diretti, erogazione di fondi a molteplici soggetti impegnati con la causa prescelta. Il secondo elemento caratterizzante la definizione di CRM è la ricerca di benefici di natura commerciale da parte dell’ impresa. Per l’impresa intraprendere una iniziativa di marketing filantropico o di cause related marketing significa poter differenziare il proprio brand, fidelizzare i consumatori (l’iniziativa sociale permette infatti di creare forti legami con il consumatore), aumentare la capacità di attirare Brand: Il brand rappresenta il dei media, raggiungere nuove nicchie di marchio dell’azienda, il simbolo mercato, creare un legame profondo con di riconoscimento. Attraverso la il territorio, aumentare le vendite...; per grafica deve tradurre visivamenl’organizzazione significa aver accesso a te l’identità, i valori, la mission nuove fonti di finanziamento, raggiunche sono alla base dell’azienda. Il brand permette l’identificazione gere nuovi target di donatori, aumentare dall’azienda da parte dei conl’attenzione del pubblico nei confronti sumatori. della causa trattata, accrescere la visibilità e la notorietà dell’organizzazione non profit, aver contatti con professionisti e strutture di marketing aziendali. Naturalmente esistono, oltre al CRM, altre forme di intervento attraverso le quali un’azienda intraprende un’iniziativa di carattere sociale, come ad esempio donazioni a fondo perduto, sponsorizzazioni, donazioni di materiale, charity promotion (una azienda dona una parte del fatturato di un prodotto, o di una linea di prodotti, a favore di una organizzazione non profit) ed altro ancora. Secondo molti autori sono comunque due i caratteri che contraddistinguono il cause related marketing: la longevity e la pubblicity.90 Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante per l’ottica con cui stiamo esaminan90 Pringle, Thompson (1999: 3). 232 do qui la comunicazione sociale. La fase infatti della comunicazione, che segue alle precedenti di identificazione della causa sociale da promuovere, della scelta del partner non profit e della definizione degli obiettivi, costituisce la fase più delicata per l’impresa. Una campagna di CRM fa parte integrante della strategia di impresa e quindi è pubblicizzata in sinergia con le altre comunicazioni aziendali. Ad essa è affidato il compito di spiegare al consumatore il significato dell’iniziativa intrapresa, di chiarire che cosa comporta la partnership con un’organizzazione non profit, in modo da rendere trasparenti gli obiettivi da raggiungere ed i vantaggi concreti che possono derivare alla causa sostenuta. Il tono e il linguaggio utilizzati saranno allora cruciali ai fini di una accettazione del messaggio stesso. Un tono eccessivamente celebrativo e enfatico certamente non sarebbe il più adatto a tale scopo. Alcuni autori a questo proposito indicano in una “comunicazione discreta” la più indicata per presentare le attività di responsabilità sociale91, per suscitare quindi quella simpatia e consenso senza i quali l’iniziativa sarebbe inefficace se non addirittura controproducente. Da un’analisi svolta sulle campagne di cause related marketing realizzate in Italia sembrano emergere indicazioni interessanti.92 Innanzitutto le aziende manifestano fortemente l’esigenza di giustificare l’intervento nel sociale chiarendone i fini e suggerendo al contempo al consumatore il comportamento che ci si attente da lui. Ciò comporta frequentemente l’uso di materiale informativo in cui si sottolinea più volte che l’iniziativa è finalizzata al “beneficio della collettività”, o si cerca addirittura di dare una definizione di CRM: “Operazioni simili hanno già portato risultati favorevoli a favore della comunità in molti Paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti ed ora stanno iniziando a diffondersi anche in Italia, dimostrando come anche le aziende profit con l’aiuto della collettività possano rendersi concretamente utili alla società“.93 I termini più frequentemente usati nelle campagne di CRM fanno riferimento ad un universo di valori solidaristici e di rispetto della persona umana come: “aiuto/aiutare”, “insieme”, “bontà“, “fare del bene”, “generosità“, “collettività“, “futuro”, “vita”, capaci di evocare immediatamente l’obiettivo altruistico dell’operazione. La comunicazione spesso si rivolge al consumatore attraverso una interpellazione diretta come nella campagna di Salmoiraghi91 Becchimanzi, Rohde (1995: 68). 92 Merelli in Gadotti (1998: 244-245). 93 Così la Henkel-Dixan nella campagna di CRM. 233 Viganò a favore di PIME94. Nel biennio 2002-2003, Salmoiraghi & Viganò ha devoluto a PIME 2,00 € per ogni occhiale da bambino venduto. Così facendo ha adottato a distanza oltre 100 bambini. Da Ottobre a Gennaio 2003, in tutti i punti vendita Salmoiraghi & Viganò era possibile acquistare, con un contributo di 8,00 €, una t-shirt simbolo dell’iniziativa; i soldi raccolti hanno finanziato la costruzione di un ospedale pediatrico in Guinea Bissau. In altri casi, ad esempio nei programmi in cui l’azienda pubblicizza le proprie politiche di intervento nella comunità promettendo di sostenere una organizzazione non profit o una causa, è più frequente incontrare una comunicazione che argomenta e giustifica, rendendo credibile e plausibile, l’impegno dell’azienda a sostegno della causa. Come ad esempio la campagna della Mercedes Benz Aiutare un bambino fa grande un adulto, volta a pubblicizzare l’iniziativa della Mercedes Benz a favore dei bambini malati di AIDS. O come quella di Volkswagen-Legambiente Il nostro futuro è legato a quello del nostro ambiente. Complessivamente dall’analisi delle campagne, emerge che: il tono non è mai aggressivo, il trattamento retorico è semplice e sobrio, raramente si fa uso dell’umorismo, il prodotto non è quasi mai direttamente coinvolto nella comunicazione (nel caso ad esempio della campagna del 1998 della Volkswagen, la macchina è interamente coperta da un telone, mentre l’headline recita: “andate in treno”). Il visual (l’immagine) è quasi sempre rasserenante, prevalgono immagini soft anche quando si rappresentano situazioni di grande impatto emotivo, come ad esempio nel caso delle campagne di sostegno dei bambini malati di AIDS. Insomma, non si riscontrano campagne che fanno ricorso a toni colpevolizzanti o aggressivi, o che utilizzano appelli alla paura, o immagini scioccanti. I temi privilegiati nelle campagne di cause related marketing sono prevalentemente, oltre all’ambiente come abbiamo visto in precedenza: il benessere dei bambini. Nel progetto Regala una giornata alla vita avviato da Wella nel 1997, i par94 Centro di cultura e attività missionaria di Milano www.pimemilano.it 234 rucchieri, che rappresentavano il target primario di clientela, diventano il motore dell’iniziativa, offrendo una giornata del proprio lavoro per il fund raising a favore di Azione Aiuto. Dalla prima edizione Wella ha denominato tutte le sue manifestazioni in campo sociale con un motto comune: La bellezza nasce dal cuore. La comunicazione d’accordo tra Wella e Azione Aiuto si è realizzata con diverse uscite redazionali in riviste di moda (es. Gente, Vogue Italia) e quotidiani (es. Il Mattino, Il Secolo, La Gazzetta di Mantova). Le testate di Marie Claire, Io donna e Sette sono state dedicate al racconto del primo viaggio di alcuni collaboratori di Wella in Malawi. Dal 1997, anno in cui è iniziata la campagna, al 2002 i risultati della comunicazione hanno presentato un trend crescente. Nel ’98 alla stampa sono subentrati televisione e radio. La via più diffusa, però, rimane quella dei quotidiani e delle riviste, dove il record di uscite si è registrato nel ’99. Nell’ultima edizione del 2002 la società ha raggiunto le diverse categorie mediante un mix di strumenti: • Le testate specializzate e le pubblicazioni aziendali per parrucchieri, con il doppio fine di far rinnovare l’adesione a chi già ha preso parte e di coinvolgere nuovi operatori; • Il link del progetto sul sito aziendale www.wella.it • La realizzazione di un kit contenente il materiale per promuovere la Giornata distribuito nei saloni di bellezza e parrucchieri che espongono il marchio wella (il kit conteneva: una cassetta per raccogliere il denaro, locandine, t-shirt, volantini e cartoline, un cartellone e adesivi per la vetrina). La ricerca scientifica sulle malattie come ad esempio la campagna di Autogrill a favore di Telethon. Lo slogan della campagna diceva Prenditi il gusto di alimentare la ricerca, esso compariva sulle t-shirt del personale addetto al servizio ai consumatori e sulle locandine pubblicitarie affisse nei punti vendita. Oltre alla pubblicità nei punti vendita, la campagna di comunicazione dell’iniziativa ha coinvolto: • Radio: sono stati mandati in onda due flight pubblicitari di tre settimane ciascuno, con spot da 15 a 30 secondi sui principali circuiti radiofonici nazionali; 235 • Stampa: sono stati pubblicati annunci su Il corriere della Sera e La Repubblica e organizzate diverse conferenze stampa sia in occasione del lancio dell’iniziativa, sia come strumento di aggiornamento. • Televisione: durante la maratona televisiva sono state effettuate riprese e interviste nei punti vendita Autogrill con testimonial che sostenevano l’operazione; • Internet: sul sito istituzionale di Autogrill è stata data la possibilità di effettuare donazioni online. Più difficile da trovare sono campagne di CRM dedicate a tematiche controverse e spinose come ad esempio la lotta al fumo, alla droga, all’abuso di alcol. Le modalità comunicative più frequenti sono gli appelli al pubblico ed in secondo luogo i messaggi di sensibilizzazione. Meno frequente è la comunicazione educativa, quella comunicazione cioè che suggerisce (al destinatario) un comportamento positivo o lo invita a correggerne uno negativo. Alcune considerazioni in conclusione • Le campagne sociali vengono recepite da persone già di per se sensibilizzate alla questione tematizzata. Questo significa che saranno difficilmente raggiungibili quei segmenti della popolazione maggiormente coinvolti nel problema che si intende affrontare. • Nelle campagne sociali se si toccano le paure, le ansie, le convinzioni più intime dei destinatari della comunicazione, maggiore sarà la loro resistenza e il rifiuto del messaggio stesso. • I benefici legati all’assunzione di un atteggiamento o di un comportamento non sono immediatamenti percepibili agli occhi del destinatario della comunicazione. • La realizzazione di una campagna di comunicazione sociale spesso ha costi che le organizzazioni di volontariato non possono permettersi di affrontare. 237 11. LE PUBBLICHE RELAZIONI E L’ORGANIZZAZIONE DI EVENTI di Elisabetta Gazzola 11.1 Le relazioni Pubbliche come strumento di comunicazione dell’associazione di volontariato Numerose sono le definizioni delle relazioni pubbliche95 (Pr), talvolta identificate anche come relazioni esterne96, che sono il frutto di un processo dinamico di sviluppo della disciplina e della professione negli ultimi cento anni. Per le associazioni di volontariato si può utilmente adottare la definizione che parla di attività svolta in maniera sistematica e organizzata, finalizzata alla creazione, allo sviluppo e alla gestione di sistemi di relazione con i pubblici influenti per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dall’organizzazione. L’associazione dovrebbe agire in un’ottica di Pr e pertanto disporre di questo valido supporto. Le Pr si propongono di creare un ambiente favorevole per l’associazione e per la sua immagine; un’associazione loro tramite ha la possibilità d’instaurare in maniera continuativa buoni rapporti con l’opinione pubblica in genere, in particolare con istituzioni pubbliche, enti erogatori, media, organismi vari nazionali ed internazionali, amministratori pubblici, associati, volontari, donatori/sostenitori (singoli individui, imprese). Le relazioni pubbliche, quale complesso di attività rivolte alla cura della reputazione di un’organizzazione, mantenendo una corretta, continua e coerente forma di comunicazione, intesa come dialogo tra un’organizza- Basti pensare alle innumerevoli definizioni che gli stessi responsabili della funzione di relazioni pubbliche danno del proprio lavoro: relazioni esterne; comunicazione corporate; ufficio stampa e relazioni esterne; comunicazione e relazioni istituzionali; marketing communications; ufficio stampa; comunicazione e pubbliche relazioni; comunicazione e corporate identità; public relations... (Muzi Falconi, studioso e past president di FERPI, sul sito www.ferpi.it) 96 I due termini non sarebbero proprio sinonimi. Secondo Fiorentini: “Le relazioni esterne, oltre ai contenuti delle relazioni pubbliche, hanno in sé tutta la gestione degli eventi di massa, gli eventi speciali, le campagne nel momento operativo della diffusione e degli incentivi“ (Fiorentini 1997). 95 238 zione e i suoi pubblici, ed influenzando opinioni e comportamenti, sono un valido aiuto per ogni associazione di volontariato che voglia essere un’istituzione al servizio della società e del suo sviluppo97. Per essere scelti e preferiti rispetto al altre associazioni di volontariato, le vostre associazioni devono esistere nella mente dei potenziali target. Ciò che non è visibile agli occhi del “pubblico”, infatti, non rientra nell’ambito delle alternative che egli considera suscettibili di soddisfare un suo specifico bisogno e, pertanto, è come se non esistesse. Contribuendo a consolidare nel pubblico l’identità’ di una determinata associazione, le relazioni pubbliche favoriscono il processo di fidelizzazione. L’attività’ di relazioni pubbliche secondo una indagine condotta su 500 organizzazioni che si occupano di arte98, sarebbe, in termini di efficacia il terzo strumento di marketing dopo la pubblicità diretta per corrispondenza e la pubblicità in generale. Una delle armi principali delle relazioni pubbliche è la comunicazione istituzionale che serve a promuovere un servizio o la mission dell’associazione sui media senza che, per fare ciò, debbano essere sostenuti costi. I comunicati e le conferenze stampa, i discorsi e le presentazioni, i redazionali su radio e telvision ed in generale qualunque forma di copertura sui media sono tutti esempi di relazioni pubbliche. Nell’ambito della comunicazione le relazioni pubbliche sono una delle discipline insieme alla pubblicità, alle promozioni, al direct marketing. Poiché a seconda dell’obiettivo che ci si pone viene individuato lo strumento più efficace ed efficiente, si parla più generalmente di “comunicazione integrata” nel senso proprio di integrare le diverse discipline per sviluppare sinergie che consentano di raggiungere meglio i risultati sperati. 11.2 Che differenze esistono fra pubblicità e relazioni pubbliche? Semplificando un pò le cose, possiamo dire che, mentre la pubblicità riguarda essenzialmente la presentazione positiva dei prodotti, l’invito 97 “La professione di relazioni pubbliche è costituita da un’insieme di attività il cui obiettivo generale è di comunicare per informare e per influenzare l’opinione pubblica e i pubblici influenti al fine di creare benevolenza, in un clima di comprensione reciproca tra l’organizzazione e i suoi pubblici”. (Invernizzi 2001) 98 Si tratta di una ricerca svolta negli Stati Uniti, Association of Performing Arts Presenters 1991-1992. 239 suggestivo a desiderarli e a comperarli, le relazioni pubbliche riguardano più direttamente l’impresa/l’organizzazione nel nostro caso. Dell’impresa, infatti, essere mirano a dare un’immagine convincente, mettendo in evidenza la sua attività, la serietà, l’utilità’ e l’efficienza. Tutto questo si ripercuote sul prodotto; può addirittura partire dal prodotto, ma ha come suo cuore l’impresa. IL CASO: BARILLA E MULINO BIANCO La Barilla, nel 1975, creò la linea Mulino Bianco, per commercializzare biscotti e merendine. La pubblicità di questi prodotti – lo slogan recitava: Quando i mulini erano bianchi – mostrava una fattoria in cui i prodotti venivano realizzati in modo naturale. Un ambiente sano anche moralmente che trasmetteva la sua immagine positiva sull’azienda e sul prodotto. Tutto andava bene, sennonché alcuni alimentaristi criticarono fortemente il prodotto, giudicandolo non adatto all’alimentazione infantile, perché troppo ricco di grassi scadenti. Le critiche dei nutrizionisti risuonavano nei congressi medici, negli ambienti qualificati, fra le altre imprese. E attraverso la stampa, avrebbero finito per influenzare negativamente lo stesso pubblico di acquirenti. L’uso della pubblicità, in questo caso, non serviva, perché non avrebbe raggiunto coloro che avevano ingaggiato la campagna contraria a Mulino Bianco, e certamente non li convinceva. Sicura di fare ottimi prodotti e con grassi vegetali di prima qualità, la Barilla allora iniziò una campagna di relazioni pubbliche. Mise a punto, cioè, un sistema di comunicazione con alimentaristi, studiosi, giornalisti specializzati, mostrando loro – con i metodi e una documentazione adeguati – come le materie prime venissero selezionate con cura e come tutti i prodotti fossero controllati scientificamente. L’azienda commissionò inoltre alcune ricerche in questo campo alimentare proprio agli alimentaristi più critici, perché potessero costatare di persona la bontà dei prodotti. 240 ILCASO: AI. BI. (ASSOCIAZIONE AMICI DEI BAMBINI) Industree, agenzia di comunicazione d’impresa, ha realizzato il progetto OperaBuona, in partnership con Ai.Bi. (associazione Amici dei Bambini), organizzazione umanitaria per la tutela dei diritti dei minori operante in 17 paesi. Il progetto era finalizzato alla ristrutturazione dell’impianto idraulico dell’ospedale pediatrico Chisinau (capitale della Repubblica Moldava), dove il reddito mensile pro-capite è così ridotto da non consentire il ricovero ospedaliero. Facendo leva sulle competenze aziendali, si è realizzata una mostra collettiva che ha coinvolto i 30 migliori giovani artisti di Artegiovane, una delle più importanti gallerie online italiane (www.artegiovane.it), ideata e gestita da Industree. L’evento espositivo si è svolto a Reggio Emilia dal 25 maggio al 9 giugno 2002 all’interno degli antichi Chiostri Benedettini di S. Pietro. Alcune delle 73 opere esposte sono state donate dagli artisti e i proventi della vendita sono stati interamente destinati a sostenere la ristrutturazione dell’ospedale. Quello sopra citato rappresenta un esempio di come le pubbliche relazioni possono essere utilizzate per realizzare una campagna di cause Related Marketing. Perché azioni di questo tipo sono considerate pertinenti alle relazioni pubbliche e non alla pubblicità? Perché esse non sono basate su un messaggio elementare e convincente, rivolto al pubblico consumatore, bensì su un insieme di argomentazioni complesse e documentate, rivolte ai leader d’opinione; perché fondate su relazioni umane, rapporti diretti, spiegazioni dettagliate, organizzazione di eventi, presentazione di ricerche. L’effetto delle pubbliche relazioni è globale ed è quindi importante considerare un insieme di fattori, che forse da soli sembrano di scarsa importanza, e che comprendono la qualità dei biglietti da visita e della carta da lettere intestata, del centralino e della reception, delle brochures, dell’aspetto delle persone, e così via. Pensiamo ad una associazione che conosciamo, una che ha una forte immagine e di cui abbiamo un ottimo giudizio. Pensiamo poi al perché la pensiamo così. A meno che non abbiamo un’esperienza diretta, ciò può essere determinato solo da quanto questa associazione racconta di se stessa. Le grandi associazioni investono molto per la loro “immagine”. Ma, grande o piccola, che sia l’immagine della nostra associazione è importante. Ogni cosa è importante, dal marchio (o logo) alle brochures. 241 Le pubbliche relazioni rappresentano un tentativo pianificato voluto e prolungato nel tempo per promuovere la comprensione tra un’associazione e il suo pubblico. In effetti, esse promuovono non solo la comprensione, ma un interesse positivo nei confronti della propria causa sociale, che stimola la voglia di ottenere maggiori informazioni, incita le risposte, rivitalizza i contatti sopiti e rafforza l’immagine nei confronti dei propri donatori (cittadini o imprese). L’attività’ di pubbliche relazioni non è solo potenzialmente una potente arma nell’arsenale promozionale. Ma c’è un però. Ci vuole tempo! E, forse in modo particolare per le piccole associazioni, il tempo è certamente poco, e in troppo organizzazioni le pubbliche relazioni vengono tralasciate in quanto il personale (dipendenti, membri del consiglio di amministrazione, volontari) è occupato, o perfino stressato, perdendo così buone opportunità. Le relazioni con la stampa99 ad esempio sono una forma specifica di pubbliche relazioni che può rivelarsi molto utile, anche se, diversamente dalla pubblicità, non c’è nessuna garanzia su quanto sta per essere detto. Il contatto personale diretto con i giornalisti è importante, e molto può essere raggiunto attraverso i comunicati stampa. A seconda dell’indirizzo le Pr assolveranno compiti diversi: 99 Per svolgere l’attività’ di portavoce dell’associazione; far conoscere e divulgare la mission e le attività di un’associazione; promuovere l’associazione e le sue attività; creare collegamenti con media, organismi pubblici, organismi nazionali e internazionali e imprese; stabilire validi canali di comunicazione ascendenti e discendenti; in pratica l’associazione oltreché farsi ascoltare, ha modo di ascoltare il pubblico e raccogliere utili opinioni ed informazioni; comunicare una buona immagine dell’associazione e della sua azione sociale; ottenere riscontri positivi ed amplificati presso gli organi di stampa; organizzare eventi speciali; realizzare campagne comunicazionali e di fund raising; un approfondimento delle relazioni con i media vedi capitolo 3. 242 - ricercare sponsorizzazioni; reclutare volontari; favorire visite alla struttura dell’associazione da parte dei responsabili di organismi pubblici e d’imprese, e di giornalisti, di volontari, di donatori, ecc. al fine di suscitare delle relazioni favorevoli; Gli obiettivi più diffusi dell’attività’ di relazioni pubbliche in una associazione possono essere: - Tessere relazioni istituzionali a fronte di erogazioni di servizi di pubblica utilità; - Creare le condizioni favorevoli di rapporto per la raccolta fondi per le normali attività o per nuove iniziative con tutti i possibili donatori (le associazioni non possono basarsi sull’affermazione che i nobili motivi che le animano e il buon lavoro che svolgono non hanno alcun bisogno d’essere reclamizzati, nemmeno agli occhi di coloro che contribuiscono finanziariamente alle loro attività. Forse è necessario fare una distinzione fra l’attività una tantum di ricerca fondi e l’onesto e continuo scambio di informazioni che è presupposto dell’azione di ricerca di fonti di finanziamento); - Sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo alla promozione e al mantenimento delle cause sociali. 11.3 Scegliere gli strumenti Gli strumenti che una associazione può utilizzare per la realizzazione delle attività di pubbliche relazioni sono: - Materiale scritto. Per comunicare con i propri pubblici, il mezzo più diffusamente utilizzato è la produzione di materiale scritto. Cataloghi, bollettini diretti ai soci e ai dipendenti, manifesti e volantini. - Materiale audiovisivo: e cioè film, diapositive, cassette audio e video, è sempre più frequentemente utilizzato come strumento di comunicazione. - L’identità’ dell’organizzazione: In genere, i diversi mezzi utilizzati (materiale su carta o audiovisivi) mancano di uniformità e ciò non soltanto crea confusione ma equivale alla perdita di un’opportunità per creare e consolidare l’identità’ dell’organizzazione. In una società come quella attuale sommersa dalle informazioni, le associazioni competono per conquistare l’attenzione di potenziali donatori: 243 - - - devono crearsi un’identità’ d’immagine specifica, immediatamente riconoscibile agli occhi del pubblico. Tale identità viene comunicata attraverso il logo, l’immagine grafica coordinata per carta intestata e modulistica, brochure, targhe, insegne e pubblicità, uniformi del personale, veicoli aziendali ecc. Le notizie. Uno dei compiti più importanti delle Pr è quello di individuare o creare notizie favorevoli all’immagine dell’organizzazione e di proporle ai media più adeguati. Per molte associazioni il lato interessante delle notizie è che esse equivalgono a una “pubblicità gratuita”: un modo per farsi conoscere a costo zero. Non è tuttavia esatto affermare che questa pubblicità sia a costo zero, perché la stesura dei redazionali e dei comunicati implica competenze specifiche. E i buoni giornalisti costano. Interviste e conferenze. Un veicolo di pubblicità che spesso si rivela di grande efficacia è rappresentato dalle interviste. Spesso gli ospiti che intervengono nel corso di un notiziario non sono personaggi celebri. Gli eventi. 11.4 Gli eventi: una definizione Un evento speciale è quella forma di fund raising che rafforza l’immagine dell’associazione nella comunità, coinvolgendo e reclutando nuovi volontari e raccogliendo denaro e amici.100 Un evento rappresenta un ottimo programma di marketing e fund raising che permette ai potenziali sostenitori di riunirsi ed essere informati sulle attività dell’associazione. Gli eventi possono consistere in quaEvento: L’evento è un contenitore lunque tipo di manifestazione pubvasto con confini non delimitati, dove blica: momenti di riconoscimento possono trovare collocazione iniziatipubblico, colazioni, cene o ricevimenti, manifestazioni espositive, sfive diverse una dall’altra, con un solo late, inaugurazioni, congressi, condenominatore comune: la necessità di vegni, conferenze, meeting, semiun organizzatore che sappia amalganari, tavole rotonde, una maratona mare alcuni ingredienti. di 10 Km, una vendita di ortensie, 100 Rosso (1991). 244 di arance o della uova di Pasqua nella piazza della città, un’asta, o una combinazione di varie iniziative. Chi organizza un evento è come un cuoco che deve dare vita a un pranzo importante e mette insieme una serie di materiali diversi in tanti contenitori, dai quali di volta in volta attinge, nella costruzione del proprio lavoro. Tra gli specifici eventi, ci preme in particolare sottolineare la molteplicità dei potenziali soggetti coinvolgibili e la molteplicità di azioni possibili. Tra i soggetti coinvolgibili sono: - volontari, soci, familiari e amici dei soci e dei volontari, soggetti destinatari delle attività e loro familiari, aziende private presenti sul territorio, enti privati (chiese, fondazioni,..), enti pubblici. Tra le azioni possibili sono: - invio di comunicazioni specifiche, contatti diretti e/o telefonici, realizzazioni di eventi quali concerti benefici, rassegne d’arte o altro, pubblicazione di libri, opuscoli, campagne promozionali sui media. In questi anni diverse associazioni di volontariato (come Airc, WWF, Unicef, Lega del Filo d’Oro, Cesvi) hanno mobilitato i propri volontari e i grandi mezzi di comunicazione per la realizzazione di “grandi eventi”. Si deve sottolineare come questo strumento sia alla portata di ogni associazione e non solo di quelle nazionali, di grandi dimensioni. I successi ottenuti, per esempio, dall’Istituto oncologico romagnolo dimostrano come anche realtà di medie dimensioni abbiano l’opportunità di realizzare “grandi eventi” di forte impatto e che garantiscono importanti risultati. Precondizione per l’efficace realizzazione è esclusivamente la presenza di una buona organizzazione dei volontari e di una direzione capace e creativa. Sia gli organi direttivi dell’organizzazione sia il personale retribuito spesso si domandano se l’evento speciale valga il tempo speso nell’organizzarlo e attuarlo. A conti fatti molte volte se si raggiunge un pareggio fra costi e ricavi è quasi un miracolo! In realtà, quando sono ben gestiti gli eventi speciali possono raggiungere buoni risultati economici. Ma quando sono mal gestiti possono diventare un autentico salasso. A questo proposito, da alcuni viene fatto presente che le donazioni che ricevono in cambio dell’evento, molte volte potrebbero essere ottenute anche in altri modi meno costosi. E’ vero. Ma il punto più importante è che un evento crea un contatto personale che né il mailing né il telemarketing possono creare. Il bisogno di socializzare è qualcosa che da i suoi 245 frutti nel lungo periodo. Ecco perché ogni tanto è necessario incontrarsi e trascorrere del tempo insieme. 11.5 L’organizzazione dell’evento Raccogliere fondi, catturare nuovi soci e migliorare l’immagine pubblica: per raggiungere questi obiettivi occorre scegliere la manifestazione giusta e rispettare alcune regole fondamentali della comunicazione. Dalla scelta dei testimonial, alla “lista” degli invitati, ai rapporti con la stampa. Lo schema che segue ci può aiutare a comprender meglio quali sono i passaggi necessari per l’organizzazione di un evento. Figura 1 schema organizzazione dell’evento101 101 Ambrosio, Bonaccina (2000: 98-99). 246 La pianificazione dell’evento dovrà contenere precise indicazioni almeno sui seguenti punti: - scopi dell’evento, - budget - tempificazione - risorse necessarie per la realizzazione, - lista degli ospiti - lista dei potenziali sponsor - lista dei giornalisti da contattare - potenziali testimonial. Il documento di pianificazione dovrà essere scritto e una volta realizzato sottoposto al Consiglio d’Amministrazione dell’associazione che non solo deve approvarlo, ma deve anche attivarsi per la gestione delle aree critiche di sua competenza (ricerca di potenziali sponsor e dei testimonial, avvicinamento dei giornalisti e delle personalità da invitare). Approvato il documento, iniziano le riunioni per il training dei volontari coinvolti e la progettazione della campagna pubblicitaria: definizione del messaggio pubblicitario, stesura e invio degli inviti, organizzazione delle presenze promozionali e pubblicitarie sui media. 11.6 Così l’evento diventa speciale E’ fondamentale predisporre una vera e propria “tabella di marcia”, che preveda tutto quello che si deve fare e il tempo necessario per farlo, per identificare le priorità e l’ordine cronologico delle azioni. Una volta concluse queste operazioni il responsabile deve dedicarsi con attenzione alla definizione: - del programma definitivo dell’evento; - del materiale promozionale da realizzare (giornalino, magliette, adesivi...) - delle “cose da fare” prima dell’evento (affitto/acquisto delle attrezzature necessarie, richieste di licenze, di permessi, di spazi, sottoscrizioni di assicurazioni...); - delle “cose da fare” durante l’evento; - delle “cose da fare” dopo l’evento. E’ importante definire che obiettivo avrà il nostro evento. L’obiettivo della maggior parte degli eventi specifici è quello di raccogliere denaro 247 per l’organizzazione; tuttavia, questo non deve essere il solo scopo. Il punto più importante è che un evento crea un contatto personale che nessun altro strumento di fund raising può creare. Gli eventi se pianificati con creatività, possono essere utili a spiegare il lavoro dell’associazione facendo informazione, molte volte in un ambiente rilassato e divertente. Se la raccolta di denaro è certamente il motivo prioritario per cui si realizza un evento, è bene non scordare che almeno altri sei obiettivi si dovrebbero raggiungere per avere un buon evento, ossia: far conoscere la mission dell’associazione; motivare volontari e dirigenti alla raccolta di fondi; reclutare nuovi volontari; espandere la rete di relazioni; fare un’azione di marketing dell’organizzazione e, infine, invitare a sostenere l’organizzazione.102 11.7 L’ideazione dell’evento Gli eventi speciali dovrebbero riflettere e accrescere l’immagine dell’associazione. Un aperitivo presso un circolo culturale per presentare le attività della nostra organizzazione, può svolgere la stessa funzione di una maratona televisiva per finanziare la ricerca scientifica. E’ fondamentale pensare costantemente al target dell’evento. Ogni evento ha un proprio filo conduttore che costituisce l’argomento caratterizzante da cui prendono spunto tutti gli aspetti di contorno. Se l’argomento di un evento è ad esempio il carcere è fondamentale pensare a un luogo adatto dove collocare i lavori (ad esempio la sala congressi dell’Università, uno spazio particolare in città), scegliere i relatori che sappiano trattare l’argomento filo conduttore (volontari che operano in carcere, giornalisti che si sono occupati di questo tema, rappresentanti di altre realtà di volontariato che lavorano sul tema del carcere o che portano avanti progetti particolari) e costituire la platea più vasta. E’ necessario dotare l’evento di materiali di contorno come video, musiche, partecipazioni speciali di ospiti a sorpresa, per far sì che il contesto si arricchisca di momenti di coinvolgimento per tutti i partecipanti. Ideare un evento significa trovare un “oggetto” interessante, vestirlo con un contorno che lo valorizzi per poi passare alla sua preparazione pratica. A seconda del tipo di evento, sia uno spettacolo, una pièce teatrale, una trasmissione televisiva, una mostra fotografica, un dibattito, una cena di 102 Wendroff (1999: 7-11). 248 gala, ecc., si massimizzeranno alcuni vantaggi ascrivibili a questo tipo di manifestazione, come la capacità di fund raising, di attrarre nuovi soci, di fidelizzare i donatori, di migliorare l’immagine dell’istituzione o di sensibilizzare l’opinione pubblica. Va anche considerato che l’evento speciale porta con sé una certa assunzione di rischi. Questi possono essere di tipo economico, dal momento che in genere è richiesto un esborso iniziale per l’organizzazione, a fronte di un ritorno non certo e non quantificabile a priori. Altri rischi sono riconducibili al fatto che non è sempre facile stabilire quali saranno gli elementi di successo dell’iniziativa. Organizzando in maniera diretta o collaborando indirettamente ad incontri pubblici ed eventi speciali, l’associazione ha modo di comunicare il suo messaggio e far conoscere le sue iniziative attraverso: • Manifestazioni varie (manifestazioni culturali, spettacoli artistici, musicali, sportivi): sono ben viste tutte quelle manifestazioni che favoriscono un contatto diretto e qualificato con il pubblico in genere o particolari segmenti (giovani, donne, professionisti, ecc.); in queste occasioni si offre ad un’associazione l’opportunità’ di comunicare messaggi, progetti sociali, evidenziare qualche aspetto particolare che sta a cuore all’associazione, infine perfezionarne la stessa immagine. 249 IL CASO: UN EVENTO IN PIAZZA EMERGENCY DAY Dal 1997 “LIVE - Quando le stelle non stanno a guardare”, la manifestazione benefica a favore di Emergency ha il suo apice nel mese di maggio con Emergency Day, una grande festa di piazza che coinvolge centinaia di volontari dell’associazione e oltre 70.000 persone. In Piazza Navona a Roma e nell’isola pedonale di via Dante, Piazza Cordusio e via Mercanti a Milano numerosi personaggi dello spettacolo, della musica e dello sport diventano ‘commessi per un giorno’ ai banchetti di Emergency offrendo al pubblico t-shirt, libri, piantine, fiori, oggetti di artigianato dei paesi nei quali è presente l’associazione, e molti altri prodotti gentilmente offerti dalle aziende sostenitrici. I luoghi di Emergency Day sono inoltre animati dalle performance di tanti giovani artisti provenienti dalle principali realtà culturali (Conservatori, scuole civiche di musica e teatro) e da professionisti di tutte le arti (gruppi di musica popolare e folk, burattinai, mimi, clown). Ogni angolo di strada è tramutato in un piccolo palcoscenico e tutti gli artisti famosi e non, contribuiscono con la loro opera alla raccolta di fondi a favore di Emergency.103 IL CASO: UN LIBRO PER LA VITA Dal 1996 Un libro per la vita, evento realizzato a favore dell’Associazione Studio Malformazioni, percorre l’Italia con le sue mostre mercato di libri: delle vere e proprie librerie, in spazi coperti di 150/200 mq, sono allestite nelle più centrali piazze delle città italiane e offrono al pubblico libri a prezzo di copertina di argomenti vari, spaziando dall’arte ai libri per bambini, dalla cucina alla fantascienza, dai classici ai dizionari, dalla narrativa alla saggistica. • Dibattiti e tavole rotonde: sono incontri che prevedono la partecipazione di esperti su uno specifico problema sociale (occupazione, tutela diritti, pari opportunità, assistenza, carcere...); il pubblico presente ha un ruolo semplicemente d’ascolto; l’associazione ha modo di sostenere le sue tesi e quindi di farsi conoscere. • Convegni: l’incontro prevede la partecipazione di esperti a dibat103 Tratto da www.aragorn.it 250 tere un tema specifico; ogni relatore presenta la sua relazione che normalmente si contrappone o s’integra alle altre; il pubblico partecipa attivamente con interventi; a un moderatore è affidata la conduzione e la conclusione; la durata di un convegno normalmente è di uno o due giornate di lavoro. • Feste di associazioni: normalmente sono frequentate da associati, volontari, donatori e simpatizzanti; tuttavia se vengono previsti spettacoli o dibattiti di un certo rilievo vengono frequentati anche dal pubblico normalmente residente nell’area geografica in cui avvengono. 11.8 La scelta della sede e del periodo La sede dell’evento è uno degli elementi più importanti nella fase preparatoria. I criteri di scelta fanno si che l’evento avvenga nel giusto contenitore e che quindi la comunicazione tra l’associazione e i vari target di riferimento si trasmetta nel modo giusto. Nella scelta bisogna tener conto di alcuni criteri guida tipo: - Che tipologia di evento si deve organizzare? - Quali target vengono coinvolti? - Quante persone parteciperanno? - In quale periodo avviene l’evento? Proprio in ragione di queste variabili bisogna procedere ad alcune verifiche. Prima di tutto bisogna sapere di che spazio si ha bisogno e quante persone può contenere. Occorre verificare i costi della location. E’ bene prevedere un’area fisica che permetta l’incontro fra l’organizzazione e l’ospite invitato. E’ importante dare la possibilità di incontrare l’associazione nei volti e negli operatori che la rendono viva. Ad esempio, durante il momento che precede l’evento principale (sia esso una cena di gala, una lettura di poesie, un’asta o uno spettacolo teatrale), dovrebbe essere predisposto un banco in cui i volontari e chi dirige l’organizzazione possano presentare il proprio lavoro. Il banco dovrebbe attrarre l’attenzione, con fotografie, video o filmati, o poster e materiale vario sull’organizzazione. Quest’area di incontro dovrebbe essere ben fornita di copie della mission dell’organizzazione, del Documento Buona Causa, di notiziari e brochure generalmente inviati per posta ai potenziali sostenitori. 251 11.9 Il target di riferimento La scelta, la comunicazione e la promozione di un evento sono strettamente legati ed influenzati dal Target di riferimento (chi inviteremo nell’ambito dei media, della pubblica amministrazione, delle istituzioni, delle scuole e delle imprese). IL CASO: VIDAS Ad esempio il profilo del sostenitore di VIDAS - associazione che offre assistenza domiciliare gratuita agli inguaribili di cancro – è: - età medio-alta - cultura medio-alta Da qui la scelta della tipologia di eventi più in sintonia con le caratteristiche dei fruitori: - concerti di musica classica - Seminari - Convegni - Serate di Poesia - Tavole rotonde - Aste. Un evento si può riferire sia ad un pubblico generico, ossia attirare più partecipanti possibili, sia per un pubblico specifico, come i potenziali e gli attuali donatori. Spesso è importante avere personaggi noti (politici, industriali, sportivi...) che fanno notizia sui media. Una volta identificato il target da invitare è necessario creare un indirizzario che sarà utile per la spedizione degli inviti. Per creare l’indirizzario è necessario consultare le liste delle Camere di Commercio, delle Associazioni Industriali, per raccogliere i nominativi delle aziende, ma anche raccogliere presso i soci e sostenitori nominativi di amici e colleghi. 11.10 Il budget Per la realizzazione di un evento occorre assumere degli impegni finanziari, pertanto è importante assicurarsi di poterli soddisfare. E’ necessario definire un budget e quindi pianificare i costi e i ricavi prima di lanciare l’evento. 252 La sezione più importante del budget dell’evento riguarda le Quante persone parteciperanno? L’affluenza possibili fonti di entrate, che ottimale ad un evento può essere semplicemente determinata conoscendo la capienza provengono dalla vendita dei dei locali in cui si svolgerà l’evento. Tuttavia biglietti, dalla pubblicità sulla newsletter, dalle donazioni in esistono metodi per calcolare la stima attennatura, dalle sponsorizzazioni dibile dei potenziali partecipanti. Non esiste che coprono alcuni dei costi che una corrispondenza 1:1 tra il numero degli concorrono alle spese sostenuinviti spediti e le risposte positive ricevute te per l’evento. Le spese vanno ma, per calcolare l’affluenza in modo attensempre tenute presenti e, nel dibile, occorre comunque tenere conto di fatpianificare un evento non se tori come l’importanza della persona intorno ne può realizzare una stima a cui si svolge l’evento, la straordinarietà attendibile fino a quando non dell’evento, la sua risonanza, nonché la repusi calcola il numero probabile tazione della organizzazione non profit che dei partecipanti all’evento. lo ha organizzato. E’ consigliabile calcolare L’evento è sicuramente uno come minimo un rapporto di 5:1 tra gli inviti strumento importante a dispospediti e i potenziali partecipanti all’evento: sizione dell’associazione per pertanto, se vengono spediti 2.000 inviti, si coinvolgere potenziali aziende dovrà considerare un’affluenza potenziale di come sponsor. Per l’azienda che 400 persone. sponsorizza l’evento rappresenta un ottimo strumento di comunicazione aziendale. I vantaggi che l’impresa può trarre dalla sponChe cosa possiamo offrire allo sponsor in occasione dell’evento? - Il diritto di utilizzare la dicitura “sponsor ufficiale” all’interno delle comunicazioni promozionali; - La presenza del marchio aziendale e/o di prodotto su tutti gli stampati prodotti (manifesti, locandine, cataloghi, biglietti, carta intestata, depliant), sulla pubblicità tabellare, radiofonica e televisiva, sui pannelli, striscioni; - Il ringraziamento pubblico durante la manifestazione (prima, dopo e durante); - La citazione su tutti i comunicati stampa che parlano dell’evento; - La possibilità di distribuire materiale pubblicitario durante l’evento sponsoriz- zato; Targhe di ringraziamento; La possibilità di essere fisicamente presenti durante lo svolgersi dell’evento sponsorizzato (con stand, auto,...). 253 sorizzazione di un evento non possono essere circoscritti solo alla notorietà e all’immagine. L’impresa che utilizza tale strumento potrà rilevare un miglioramento nei rapporti con i vari pubblici di riferimento, potrà creare un rapporto di maggiore fiducia con la comunità locale e in generale essa avrà saputo diversificare i suoi investimenti in comunicazione. 11.11 La campagna promozionale A seconda della portata dell’evento, e della notorietà dell’associazione, i media dedicheranno più o meno risalto alla notizia dell’evento. Occorre notare che non sempre è possibile o vantaggioso comprare spazi pubblicitari per annunciare l’evento, e la migliore pubblicità è quella degli articoli, dei servizi televisivi o radio, della pagina news dei vari siti Internet. Nelle settimane precedenti l’evento, devono essere predisposti messaggi pubblicitari. In questo momento diventano di fondamentale importanza, ai fini della buona riuscita dell’evento, le relazioni con la stampa e gli altri media. Il sito web dell’associazione offre un’ulteriore occasione per promuovere l’evento. Innanzitutto, se l’organizzazione dispone di un proprio sito, la home page deve presentare tutte le informazioni sull’evento (luogo, ora, data, modalità di partecipazione). In secondo luogo, se l’associazione è dotata di un webmaster (spesso è un volontario che si occupa del sito), questi dovrebbe dedicare una pagina apposita all’evento. Nella pagina web occorre offrire le informazioni essenziali sull’evento oltre che il logo dell’azienda che ha sponsorizzato l’evento. Lo sponsor può apporre un banner nel proprio sito web recante le informazioni fondamentali sull’evento. Il sito web può fornire un collegamento a una pagina nella quale le persone interessate possono prenotare i posti a sedere ad esempio se si tratta di un concerto, di una cena di gala, dell’anteprima di un film al cinema, scaricare le locandine ed erogare le donazioni a favore dell’evento speciale. 11.12 Schema di lavoro per l’organizzazione di un evento Riteniamo utile presentare uno schema di lavoro che può essere di aiuto quando ci si accinge per la prima volta ad organizzare un evento. E’ uno schema che non vuole essere un qualcosa da seguire tassativamente, ma un possibile strumento di lavoro per chi non ha molta espe- 254 rienza nell’utilizzo di questi mezzi. Finalità dell’evento Un evento può essere organizzato per diversi scopi ad esempio: 1. IMMAGINE: L’immagine è un patrimonio difficilmente quantificabile e valutabile economicamente che non si può acquistare e che vale moltissimo; • L’immagine che si propone durante gli eventi deve rispecchiare correttamente lo spirito dell’associazione; • Più un evento è rilevante più i media ne daranno risonanza. Una buona immagine è di incoraggiamento ai donatori che si sentono parte di un progetto “vincente”. 2. RACCOLTA FONDI 3. SENSIBILIZZAZIONE (gli eventi sono anche un efficace strumento per sensibilizzare il pubblico circa la mission dell’associazione, ad esempio tavole rotonde, seminari, convegni aiutano a focalizzare l’attenzione del pubblico su tematiche specifiche di cui si occupa l’associazione). Definire il target dell’evento Definire il pubblico di riferimento è importantissimo, significa avere le idee ben chiare su chi si desidera invitare. L’intera creazione dell’evento sarà infatti costruita a misura del pubblico di riferimento. Stabilire la tipologia dell’evento scelto e il periodo in cui si svolgerà Dopo aver definito il target dei partecipanti è di fondamentale importanza scegliere il tema dell’evento stesso: • Manifestazioni in piazza; • Mostra; • Evento sportivo; • Cena; • Concerto; • Spettacolo teatrale. 255 Il Periodo dell’evento • Quale stagione • Quale mese • Quale giorno della settimana • Tener conto di altri eventi simili organizzati da altre associazioni non profit. L’organizzazione dell’evento La Pianificazione • Ricerca dell’artista/compagnia teatrale/relatore e disponibilità della sala/teatro • Data dell’evento... non ogni momento è quello giusto • Scelta del programma dell’evento • Preparazione del programma di sala: • Cv artista che interverrà’ • Biografia autori (se si tratta di un seminario/tavola rotonda/convegno...) • Note sull’associazione • Ringraziamento sponsor • Locandine e materiale promozionale Il Budget • Valutazione analitica dei costi diretti • Quantificazione dei costi indiretti • Definizione del prezzo dei biglietti (se l’evento prevede la vendita di biglietti) INCASSO NETTO ATTESO RITORNO DI IMMAGINE ATTESO Lo Sponsor • La ricerca dello sponsor • La quota di sponsorizzazione • I vantaggi per le aziende • Le aziende diventano dei soggetti “socialmente attivi” rispondendo a valori e bisogni sentiti dalla gente 256 • Miglioramento del clima aziendale (genericamente i dipendenti si sentono gratificati dal fatto che la loro azienda partecipa ad un programma di utilità sociale) • Aumento della considerazione da parte degli opinion leader • Visibilità e divulgazione dell’evento, possibilità di distribuire materiale promozionale dell’azienda durante l’evento stesso Permessi, adempimenti fiscali • • • • SIAE Imposta sugli spettacoli Diritti d’autore Procedure (richiesta apertura, pagamento deposito, chiusura spettacolo) Normativa (ONLUS) • Permessi Comunali • Agibilità dei localiv v La Comunicazione e la promozione dell’evento Strumenti di Promozione e Comunicazione L’evento viene fatto conoscere al pubblico attraverso: • Stampa, TV, radio in telegiornali, servizi attraverso: note informative, comunicato stampa e interviste; • Locandine, affissioni su mezzi semoventi e in luoghi pubblici (scuole, biblioteche) • Pubblicità sui giornali, radio e televisioni • Mailing (invio tramite posta o e-mail) ai soci, Cral, Circoli, alberghi, aziende • Sito Internet dell’Associazione • Notiziario dell’associazione • Programma del teatro 257 Rapporti con i Media • Conferenza stampa • Spazi pubblicitari per far conoscere l’iniziativa • Presentazione dell’evento di solito attraverso intervista all’artista Il giorno dell’evento E’ importante che l’evento sia stato organizzato in modo scrupoloso...ci penseranno già gli imprevisti a costringervi ad improvvisare!!! • Verificare la logistica del teatro/auditorium...in cui si terrà l’evento (banco per promozione con depliants, cartelline stampa per i giornalisti, predisporre uno spazio per le riprese televisive, fotografo, distribuzione del programma di sala) • Coordinamento dei volontari • Rapporti con i giornalisti • Rapporti con i Big donors e con invitati-potenziali sostenitori • Ringraziamenti a sponsor 259 12. AL DI LÀ DELLA CONSUETUDINE: VECCHI MEZZI RIVISITATI di Andrea Volterrani Gli strumenti di cui parleremo in questo capitolo caratterizzano l’azione di tutte le associazioni di volontariato, senza distinzione di dimensione o ambito di operatività. Tuttavia il fatto di essere molto “leggeri” (anche solo da un punto di vista economico) li rende particolarmente adatti alle piccole associazioni. Un elenco, che non pretende di essere esaustivo, potrebbe comporsi di: 1. 2. 3. 4. 5. Banche dati Mailing Fax Telefono Volantini e manifesti Tutte queste modalità comunicative sono usate spesso in maniera automatica, senza forse riflettere sulla loro intrinseca importanza e sulla possibilità di migliorarne efficienza ed efficacia. 12.1 Alla base: con chi parliamo? L’atto preliminare di ogni iniziativa comunicativa dovrebbe essere la conoscenza del proprio interlocutore. La caratteristica principale della comunicazione è proprio la possibilità di mettere in relazione due soggetti; relazione che ovviamente presuppone quantomeno una conoscenza tra i due. Una comunicazione a ventaglio, che indiscriminatamente raggiunge tutti gli interlocutori possibili, ben raramente raggiunge i suoi obiettivi; è inoltre poco conveniente anche dal punto di vista economico. Sapere a chi ci si rivolge costa poco e rende molto. La creazione di una banca dati è quindi di importanza fondamentale. Ovviamente la complessità e la grandezza della banca dati è direttamente proporzionale alla complessità dell’associazione. Anche il mezzo di immagazzinamento dei dati può variare, anche se un supporto di tipo informatico è ormai alla portata di tutte le associazioni (senza contare il fatto che anche nell’ipotesi in cui l’associazione non abbia un computer, sicuramente vi sarà qualche membro dell’associazione che ne sarà in possesso). Comunque, anche nel caso di mancanza totale di supporti infor- 260 matici, si possono tranquillamente segmentare gli interlocutori: i soci, con particolare attenzione ai simpatizzanti; le associazioni presenti nel territorio; le istituzioni o le organizzazioni ed agenzie istituzionali con i quali si viene in contatto; le persone che in un modo o nell’altro hanno manifestato interesse nei confronti dell’associazione (ad esempio tramite donazioni in denaro ma più spesso in natura). Anche una piccolissima associazione, per quanto limitata sia la sua sfera d’azione, si troverà comunque ad avere una serie di interlocutori ognuno con delle caratteristiche proprie. L’aumento del livello e della complessità dell’associazione richiede necessariamente un supporto informatico, che può essere anche rappresentato da un semplice file di videoscrittura (Word, tanto per fare un esempio), che consente l’immissione di dati in tabelle costituite da campi (o celle). I pubblici si moltiplicano, la conoscenza del territorio deve andare di pari passo con la crescita dell’associazione: imprese, associazioni di volontariato, enti ed istituzioni con chiara indicazione dei referenti interni, partecipanti ad iniziative ed eventi dell’associazione. Livelli ulteriori di complessità richiedono programmi più complessi, come Excel o anche Access, programmi di immagazzinamento dati per grossi numeri e che consentono ricerche incrociate e filtraggio dei dati stessi. Un’organizzazione che viene a contatto con numerosi pubblici in una serie molteplice di attività (iniziative, incontri, corsi di formazione, riunioni) deve avere la possibilità di individuare la persona contattata, magari anche attraverso la predisposizione di schede di rilevazione che consentano di avere dati univoci e basati su campi (nome, indirizzo, telefono, associazione di appartenenza..) costruiti a priori. Inoltre, la possibilità di interrogare i dati consente di avere raggruppamenti di informazioni che garantiscono un livello approfondito di conoscenza del territorio. Ad esempio, supponendo un’associazione che agisca a livello provinciale, un semplice programma Access, anch’esso (lo dice il nome) accessibile a molte associazioni, permette di avere dati che riguardano un tipo particolare di pubblico (ipotizziamo i simpatizzanti) suddividendolo ad esempio per comune, o ancora per gruppi di comuni, o ancora per tipo di impiego e così via. In tal modo, si possono impostare campagne informative mirate ad una zona, o a delle categorie lavorative, che ancora non sono state raggiunte dall’associazione, o che lo sono state ma in maniera marginale. 12.2 Mailing, Fax, Telefono Questi mezzi sono stati, forzando un pò, messi insieme in uno stesso 261 gruppo. La predisposizione della banca dati è propedeutica al raggiungimento dell’interlocutore da effettuare principalmente in queste modalità, che comunque differiscono molto tra di loro. Il mailing, vale a dire l’invio di materiale cartaceo tramite posta, risponde a numerose esigenze: fidelizzare il simpatizzante, tramite l’invio di materiale informativo sulle attività dell’associazione; chiamare a raccolta, specie nel caso di associazioni medie, altre organizzazioni magari per assemblee o per conferenze o giornate di studio. Per ultimo, anche la possibilità di fare raccolta fondi, tramite l’invio di bollettini postali. Una modalità di azione che però, soprattutto in quest’ultimo caso, non sempre è indicata: il ritorno è spesso scarso, in media tre risposte ogni cento lettere sono già considerate un successo, e il tutto raramente giustifica la spesa effettuata. Inoltre, si denota sempre più una certa stanchezza del cittadino nei confronti di invii massicci di materiale tramite posta, che si confonde spesso e volentieri con le tonnellate di carta provenienti da imprese, case editrici e così via. Il telefono è un mezzo comunicativo più caldo rispetto alla mailing, ma proprio per questo da utilizzare in modo meno pressante. La telefonata diretta nella casa dell’interlocutore prescelto, può avere un doppio effetto; da un parte interessarlo e coinvolgerlo maggiormente, facendolo sentire importante; dall’altra, può trattarsi di una vistosa e fastidiosa ingerenza nella vita privata che può dar luogo a reazioni seccate. Nel caso di ambiti locali di azione, rimane invece il più semplice ed utilizzato mezzo di comunicazione, soprattutto nei confronti di soci e simpatizzanti in occasioni particolari (feste, incontri, rappresentazioni). Da non dimenticare, il fatto che il telefono consente la comunicazione dal cittadino all’associazione; da qui la creazione, nei casi di strutture medio grandi, di numeri verdi, tramite i quali l’associazione svolge non solo attività di informazione, ma anche consulenza e di orientamento. Il fax è invece una figura intermedia tra le due analizzate sopra. Tramite cavo telefonico, si possono inviare documenti e materiale informativo, tipici di una spedizione postale. Molto usato come mezzo di lavoro, il fax sembra resistere alle pressioni della posta elettronica, che garantisce l’invio di materiale in tempi nettamente inferiori per quantità molto superiori. Una diffusa incapacità di utilizzo dei mezzi telematici fa ritenere che il fax abbia ancora un lungo futuro davanti a sé. Il fax potrebbe superare le problematiche di telefono e mail; non affolla la cassetta della posta e non è intrusivo come il telefono. Da qui l’invio di News, tramite appunto fax, generalmente inviate ai referenti prossimi dell’associazione o a target 262 specifici che possono anche mutare a seconda degli argomenti trattati. Chiaramente, l’uso del fax taglia fuori dal processo comunicativo tutte quelle associazioni, e non sono poche, che non hanno a disposizione tale mezzo, per cui è spesso associato al mailing come mezzo integrativo. 12.3 Volantini e manifesti Volantinaggio e manifesti si diffondono a largo raggio, senza essere inviati a destinatari specifici. Ciò non vuol dire che non abbiano un destinatario, ma semplicemente che questo non è rintracciabile tramite un indirizzo postale o un numero di telefono. Il destinatario (o i destinatari) è nel testo, nelle parole, nelle immagini che spesso, anche al di là delle intenzioni, si rivolgono ad interlocutori specifici. Anche il luogo dove effettuare il volantinaggio, o attaccare il manifesto, non deve essere casuale, ma sempre funzionale alla ricerca dell’interlocutore. Un’associazione che intende sensibilizzare la popolazione giovanile di una determinata zona, effettuerà volantinaggio e attaccherà manifesti in zone da questi frequentate, utilizzando un linguaggio ed immagini che possano rispondere all’immaginario giovanile. I due mezzi comunque differiscono tra loro, permettendo il volantino uno sviluppo dell’argomento non consentito al manifesto; da qui la maggiore importanza nei manifesti delle parole chiave e delle immagini. 265 13. VERSO UNA NUOVA DEFINIZIONE DI COMUNICAZIONE SOCIALE di Barbara Mazza 13.1 Comunicazione e sociale: un binomio imprescindibile Molti studiosi si sono cimentati nel tentativo di definire e sistematizzare operativamente la comunicazione sociale104. L’impresa è sicuramente ardua per l’ampiezza del fenomeno comunicativo considerato. Basti pensare che il connubio tra la comunicazione e il sociale ingloba ogni atto di scambio tra attori, intenti a costruire e a condividere significati, esperienze e valori che connotano il contesto culturale e relazionale nel quale vivono. Non si tratta dunque di uno dei segmenti in cui la comunicazione si è specializzata, coerentemente ai fabbisogni emersi nel tempo, ma viene a coincidere con la comunicazione tout court, costituita da quell’insieme di processi relazionali che l’essere umano intrattiene quotidianamente per definire il senso della sua esistenza e collocare la sua identità nell’ambiente in cui vive. Essa rappresenta, per questo, il dinamismo stesso della società, fatto di problematiche, trasformazioni e processi di assestamento che rendono la comunicazione sociale essenzialmente proattiva e intrinsecamente funzionale alle esigenze collettive degli individui. È attraverso la comunicazione sociale che si definiscono e si rinnovano prassi, regole e valori fondanti, alla ricerca delle formule che meglio rappresentano la condizione umana in un determinato arco temporale. In questo senso, la sua funzione principale è quella di innescare meccanismi di riflessione, di azione e di innovazione. Processi comunicativi, dunque, come attivatori di relazioni di socialità, di solidarietà, di senso tra soggetti, al di là delle forme e dei generi specialistici della comunicazione. Mentre questi ultimi muovono da finalità istituzionali ed economiche ben definite, la comunicazione sociale si rivela decisiva ad alimentare il confronto, a supportare la diffusione del capitale sociale, ad estendere in maniera diffusa e pervasiva la relazionalità e a generare spazi proattivi di promozione sociale, di sostegno alle reti di socialità e di solidarietà, in cui il dire e il fare trovano la loro massima espressione di ricomposizione. Essa funge così da stimolo primario per 104 Riprendiamo qui i termini della prima definizione di comunicazione sociale articolata nel 2003 dall’Osservatorio Terza.com grazie all’attività del Laboratorio di comunicazione sociale Social Media Lab diretto da chi scrive e da Marco Binotto. 266 attivare un processo individuale e sociale di riflessione, apprendimento e trasformazione che si propaga generando un effetto onda relazionale, fino a interconnettere gli individui alla collettività nella piena condivisione di valori fondanti, prassi, conoscenze, bisogni, mediante un processo di identificazione e contaminazione. Non è un caso che la comunicazione sociale abbia sempre accompagnato l’uomo, assumendo configurazioni che rappresentano l’intero scenario di un’epoca e incidendo profondamente sulla possibilità di cambiare la vita delle persone, allargarne l’esistenza, di apportare componenti di autoconoscenza e comprensione del mondo, di valorizzazione e rivendicazione delle identità, oltre ad individuare punti di contatto ed elementi di visibilità e accettazione collettiva. Nei momenti critici e di maggior dinamismo, il ruolo della comunicazione sociale è divenuto particolarmente centrale. Nell’era contemporanea, nello specifico, l’esigenza di comunicazione sociale permea l’intera vita collettiva: individui, associazioni e movimenti assurgono così al consesso degli attori che concorrono ad incidere sul divenire. Essi manifestano dichiaratamente la loro intenzione di assumere un ruolo da protagonista del mutamento in corso, innescando una circolazione di capitale sociale che va ben al di là della tradizionali forme di strumentalizzazione, manipolazione e propaganda a cui la comunicazione si è troppo spesso prestata nelle sue differenti articolazioni. Proprio nell’epoca mediatica per eccellenza, l’individuo intende riappropriarsi della comunicazione nella sua modalità più spontanea, ribellandosi ad ogni forma di eterodirezionalità esasperata per partecipare, negli spazi proattivi, alla significazione del suo tempo. Nel passaggio dall’uso effimero dei media ad una comunicazione che punta sul sostanziale, si esplicita una rivendicazione volontaria e consapevole per pretendere una diversa attenzione rispetto alla parità di aspettative, desideri, bisogni di realizzazione e di emancipazione individuale e collettiva. La partecipazione attiva a manifestazioni spontanee, come la proliferazione di blog, sono solo alcune tra le forme più evidenti ed eclatanti di un bisogno di espressione, condivisione e azione che sta naturalmente dilagando ed esprime chiaramente la centralità che la comunicazione sociale assume nei meccanismi di interpretazione, valutazione e trasformazione della società. La comunicazione diviene, dunque, un terreno di cambiamento, un elemento in grado di allearsi con tutte le situazioni di mutamento, come del resto è anche storicamente provato dall’analisi dell’industria culturale e dei sistemi di comunicazione. Ma c’è di più. Proprio dalla rilettura della storia dei media si evidenzia nettamente come nessun’altra forma di 267 comunicazione riesca a mantenere il passo con il mutamento così come la comunicazione che si irradia direttamente dalla società. La comunicazione pubblica e quella aziendale, come la comunicazione commerciale e quella pubblicitaria - tanto per considerare le principali – adottano e perpetuano assetti, stili e funzioni socialmente riconosciuti. Talora, svolgono il compito di annunciare eventuali variazioni secondo logiche prevalenti e modelli dominanti, ma difficilmente innescano meccanismi partecipatori nella genesi morfologica al momento della configurazione. È solo negli interstizi della comunicazione sociale, invece, che il sentire, l’esprimere e l’esperire di individui e gruppi sociali si intrecciano, si amalgamano e si fondono nella rielaborazione stessa del senso collettivo, fino a modificarlo indelebilmente ma coerentemente con attese ed esigenze realmente condivise. In sintesi, potremmo evidenziare i tratti principali della comunicazione sociale, considerandola come quella dimensione della comunicazione che esprime una particolare socialità, volta al benessere collettivo e costituita da trame di relazioni significative e solidali. Il suo tratto distintivo è l’essere emanazione di pratiche di significazione interpretative e condivise, proprie di quelle collettività emerse nello spazio intermedio tra Stato e individuo, tra istituzioni e settori produttivi, tra agenzie e identità sociali. Ma più in generale, si sviluppa in quegli spazi proattivi in cui si genera e si alimenta la relazionalità diffusa. Intersoggettività e attivismo si rivelano strumenti indispensabili per la circolazione del capitale sociale, come nelle pratiche significazionali che determinano comportamenti consapevoli e responsabili. Lo stretto legame tra comunicazione e spazi proattivi coniuga indissolubilmente mezzi e fini ma anche l’esprimere, il sentire e l’esperire, rendendola naturalmente etica e naturalmente partecipativa. In questo modo, essa è tesa a costruire collettività intorno a valori, prassi, conoscenze e bisogni. 13.2 Una questione di assetto La pertinenza e l’incisività della comunicazione sociale, quando si creano le condizioni, risultano sovrastanti e capaci di determinare cambiamenti anche nella gestione delle altre forme di comunicazione. Quando un meccanismo si alimenta dall’interno della società e si propaga, diventa infatti conveniente, oltre che necessario, assecondarlo. Per questo, i media, ma anche enti, istituzioni e partiti, tendono ad attingere sempre più dai fenomeni comunicativi che si sviluppano nella società 268 fino ad appropriarsene, così da garantire elevati livelli di rispondenza e consenso. Una situazione che evidenzia quanto la comunicazione sociale stia affermando nettamente la sua azione, come mai accaduto in precedenza, salvo nei casi di vera e propria rivoluzione. Del resto, anche lo stretto legame tra comunicazione sociale e comunicazione pubblica è stato ampiamente sottolineato da alcuni studiosi che tendono ad inglobare la comunicazione sociale nel più ampio ombrello di quella “pubblica”105. La comunicazione pubblica, tradizionalmente contrapposta a quella di mercato, viene ripartita in istituzionale, politica e sociale, proprio per delimitare gli ambiti di intervento e di azione nella gestione della collettività in relazione alle logiche gestionali e decisionali che regolano il vivere sociale e il miglioramento della condizione individuale e collettiva. Alla comunicazione sociale spetta il compito di affrontare temi socialmente utili, di interesse generale, ma con un carattere relativamente controverso, a differenza di quanto avviene nella comunicazione politica106. Argomenti dunque ampiamente condivisi, soprattutto per il riferimento costante a una moralità prevalentemente accettata, attraverso i quali è possibile promuovere un’idea o un valore a garanzia del perseguimento del bene collettivo, anche supportando l’erogazione di servizi di pubblica utilità. Uno schema definitorio che riflette un impianto oramai consolidato relativo alla suddivisione dei ruoli nell’ambito della comunicazione. Quella espressa è un’ottica di inclusione che limita la funzione della comunicazione sociale alle azioni di cooperazione e solidarietà attivate da istituzioni pubbliche e private versus la collettività, senza considerare la forza e l’incisività che la comunicazione assume quando dilaga tra gli individui nella società. Inclusione dunque come epocale sforzo di contenimento delle aspirazioni comunicative della maggior parte della popolazione. Il problema alla base è inerente alla qualità della comunicazione stessa, così come la conoscono, la vivono e la patiscono i soggetti sociali: la comunicazione che si muove secondo regole di governo e di mercato e che è per buona parte il terreno privilegiato su cui si è ampiamente sviluppata. A ciò si aggiunga il ruolo assolto dai grandi apparati mediatici 105 Per Franca Faccioli (2000) la comunicazione sociale rientra nella sfera della comunicazione pubblica, distinguendo però tra “comunicazione sociale” attuata da soggetti pubblici e “comunicazione di solidarietà sociale” propria dei soggetti privati dell’area non profit. 106 Paolo Mancini (1996) fa una distinzione tra temi e valori in quanto “è possibile che la comunicazione sociale affronti temi che, almeno in parte, presentano un certo livello di controversialità ma sottintenda valori a proposito dei quali sono ben poche le posizioni discordanti”. 269 nella gestione della produzione culturale di massa che hanno tessuto il filo conduttore del cambiamento e della rappresentazione sociale fino ai giorni nostri, ma che oggi si pongono in una prospettiva di maggiore dialettica nei confronti delle sollecitazioni provenienti dalla collettività. Forse per la prima volta, si innesca concretamente un meccanismo dove i flussi comunicativi assumono efficacemente un’estesa conformazione circolare, basata sulla reciprocità delle relazioni e sugli scambi effettivi per delineare scenari innovativi e futuribili. Stiamo finalmente entrando in una fase di maturità nella gestione sociale della comunicazione. I rapporti tra media, enti pubblici, associazionismo e mondo imprenditoriale sono, infatti, in questa fase storica, al centro di una profonda trasformazione che li vede coinvolti nella ridefinizione dei processi di costruzione di significati condivisi, come anche nella riprogettazione di architetture comunicative intorno alle quali modellare stili espressivi capaci di mettere in risalto problematiche emergenti. Diviene così possibile inserire nell’agenda comunicativa di un’intera collettività i temi al centro del dibattito sociale, evidenziando l’efficacia con la quale gli individui traducono le loro esigenze all’interno di uno spazio comune e condiviso, anche al di là dell’influenza derivante dalle tradizionali dinamiche relazionali. Non si tratta solo di trovare punti di incontro ma di ridefinire gli stessi processi organizzativi e relazionali per ottimizzare l’impegno di tutti verso scopi collettivi. D’altronde, questo processo si rende indispensabile perché conseguenza anche di una più profonda ed estesa trasformazione degli assetti sociali e culturali che investono il Paese – e il mondo in generale - ormai da oltre un decennio; un’evoluzione che muove dall’esigenza di porre al centro le dinamiche comunicative per dar voce a tensioni, ma anche a proposizioni che mirano a ridefinire sostanzialmente i processi di gestione e di sviluppo nel contesto nazionale e internazionale. In seguito alla crisi degli apparati politici e del sistema post-tangentopoli – nel caso italiano-, all’accelerazione dei flussi comunicativi post-rivoluzione telematica, alle difficoltà economiche e agli scossoni finanziari a livello globale, l’esigenza di un cambiamento radicale si è diffuso, ma l’aspetto più interessante è che il mutamento in atto è frutto di urgenze emerse e sollecitate all’interno della società prima ancora che negli ambiti politico-istituzionali. In questo scenario, le tecnologie dell’informazione e i canali mediatici assumono sempre di più il ruolo di agenti attivi nella veicolazione e nella diffusione dei processi di cambiamento in atto. In tal senso, essi hanno il compito di dare spazio a tutte le voci: dal cittadino/utente alle associazioni di volontariato, dagli enti pubblici alle imprese. Si tratta, dunque, di ampliare le opportunità di accesso allo spazio pubblico nel quale individuare meccanismi 270 e contenuti capaci di rappresentare le tensioni attuali, di sistematizzarle e di contribuire così ad una radicale trasformazione degli assetti decisionali e delle logiche comunicative. L’alleanza strategica con la comunicazione sociale e l’estendersi di un ruolo di apertura dei media ai bisogni della collettività possono determinare una svolta decisiva nella gestione della res publica. In questo rinnovamento, i mezzi di comunicazione mantengono la loro efficacia se assumono, rigenerandosi, la capacità di esprimere il sentire di categorie partecipanti che esigono una rivisitazione nelle forme, nei modi e nei contenuti; i media possono, dunque, riattivare il processo di costruzione delle identità collettive, rompendo l’omologazione commerciale e le retoriticità tradizionali. 13.3 Tentativi di contestualizzazione Le strade sinora intraprese nel tentativo di sistematizzare e delimitare i confini della comunicazione sociale hanno affrontato il cammino sequenziale dell’esclusione, finalizzato a delineare gli ambiti di intervento, oppure hanno percorso l’impervio tragitto volto alla ricerca di obiettivi e finalità tipiche, individuando caratteristiche di fondo, ma senza procedere verso una formalizzazione delle modalità specifiche di azione e delle strategie che la connotano. Anzi, troppo spesso le tecniche adottate risultano mutuate e sovrapposte a quella adottate da altre forme di comunicazione, oltre che nel marketing e nella pubblicità. La comunicazione sociale, in sintesi, si contrappone nettamente a tutti i processi comunicativi di stampo commerciale orientati al profitto. È dunque non profit, non commercial, non product. Nonostante ciò, si rivela talmente indispensabile da essere realizzata da soggetti differenti: dagli enti pubblici alle imprese private, dalle associazioni ai singoli individui. L’obiettivo infatti è comune a tutti gli attori in quanto ha per oggetto tematiche di interesse sociale ampiamente condivise107 sulle quali creare e ampliare l’area del consenso per favorire comportamenti conseguenti, nell’interesse collettivo108. Un interesse che viene associato al concetto di utilità sociale e che si esplica fondamentalmente nell’attuazione di pratiche solidaristiche e partecipative, in cui la condivisione non si fonda solo su tematiche di rilevanza sociale, ma anche su valori e significati comunemente accettati. Un’omogeneità di idee e intenti che pone le basi su una 107 Vedi 108 Vedi Gadotti (2001). Zanacchi (1999). 271 condivisione spontanea piuttosto che su vecchi schemi di trasmissione e su forme alternative di razionalizzazione dei processi. Ciò che accomuna identità e principi diversi è frutto, in sostanza, di una socializzazione al nuovo che ricerca volutamente modelli comportamentali e di sviluppo sociale più rappresentativi delle istanze collettive. In questo senso, la comunicazione che si genera nella società si differenzia nettamente dalla comunicazione istituzionale: se quest’ultima tende a concentrare i suoi sforzi su un interesse collettivo finalizzato alla gestione della vita di una determinata società in un definito periodo storico e punta principalmente a risolvere questioni controverse per garantire il benessere sociale, la comunicazione sociale ricerca il benessere al di là delle esigenze specifiche, ed esplora soluzioni che fanno riferimento a orientamenti culturali e a universi valoriali sovrastanti e ampiamente condivisi. In questo senso, non può limitarsi ad una dialettica che si sviluppa prevalentemente dall’alto, ma deve essere frutto di una cooperazione negoziale fra i diversi attori sociali. Gli spazi proattivi vengono quindi a coincidere con interstizi intermedi che si formano nell’interazione tra Stato e individuo, tra istituzioni e settori produttivi, tra agenzie e identità sociali. In questi spazi si sviluppa una mediazione di natura significazionale ed interpretativa che coinvolge la società in qualità di sistema costituito da individui, movimenti e istituzioni a confronto e si fonda su meccanismi di attivismo liberatorio109 e di relazionalità diffusa. Negli spazi intermedi, associazioni e movimenti spontanei assumono un ruolo decisivo per alimentare e guidare il confronto, in quanto diventano punti di raccordo preziosi alla ricerca di una significazione condivisa orientate al benessere della collettività. IlTerzo Settore, con le sue organizzazioni e associazioni, è un nucleo fondante del processo in qualità di promoter. E’ riuscito, infatti, ad innescare una rete di canali con le istituzioni socio-politiche e, almeno in parte, con quelle mediatiche, generando una particolare sensibilizzazione nei confronti delle dinamiche comunicative. Ma in generale, sono i movimenti spontanei più che le organizzazioni, i flussi informativi svincolati dal potere delle fonti istituzionali o collegati a fonti non necessariamente rappresentate nei canali tradizionali che diventano oggi ambiti alternativi capaci di anticipare e promuovere istanze prima che esse accedano all’arena pubblica. Eppure, tale circolarità diffusa ha dimostrato, in alcune circostanze, una forza comunicativa che abbatte schematismi classici e che risulta talmente consapevole da attivare 109 Vedi Touraine (1998). 272 forme di comunicazione diffusa a propagazione. Il consolidamento di tale processo si evince nel valore della condivisione che, quando raggiunge la visibilità, acquisisce un peso stabile all’interno della società e garantisce la costruzione di una coscienza e di una cultura civica. Si instaura così un intreccio relazionale in cui si generano e si propagano processi significazionali volti a superare le barriere e i vincoli di natura istituzionale, politica, ideologica e di appartenenza. Essi consentono al singolo individuo di partecipare e di esprimere esigenze, attese e aspettative in modo dichiarato e spontaneo. Una sorta di sfogo liberatorio, non fine a sé stesso, ma inserito in un’ottica di confronto e ascolto da cui la dialettica sociale trae ampio beneficio. Il risultato è un’operazione di confronto, raccordo e mediazione tra espressioni monadiche, con il risultato di comporre un’opinione collettiva in cui si supera anche la tradizionale delimitazione imposta da uniformità e conformismo e si sviluppa, al contrario, una sorta di riappropriazione della rousseauniana volontè generale. Non si tratta solo della formazione di senso comune, ma si attua la costruzione di un’interpretazione del reale sentita e definita in base allo scambio consapevole e partecipato. La relazionalità diffusa si fonda, infatti, sull’intersoggettività, quale azione empatica atta a sollecitare comportamenti consapevoli – e potremmo dire dunque responsabili - a partire dalle esigenze e dalle sollecitazioni proprie di un contesto sociale e culturale. Tali relazioni diventano così determinanti perché si basano non solo su componenti razionali, ma anche su fattori affettivi ed emotivi che necessitano di trasparenza, chiarezza e spontaneità del sentire proprio per favorire la massima empatia. I singoli individui sviluppano nell’intersoggettività soprattutto atti coscienziali di natura interpretativa che inevitabilmente producono effetti profondi ed evidenti sull’agire collettivo. La loro propagazione a livello sociale determina un’interpenetrazione tra gli attori degli spazi intermedi, fino ad investire l’intera società110. Ecco dunque che la comunicazione sociale trova nella relazionalità diffusa il suo strumento principe di diffusione, pronta ad anticipare la pervasività dei processi mediatici e istituzionali della comunicazione, oltre ad alimentarli. L’impatto trasversale della comunicazione sociale impone oramai di ragionare secondo una logica reticolare in cui i confini tra dimensioni La relazionalità diffusa si costruisce dunque in base all’instaurazione di relazioni reciproche, di una condivisione comunicativa di messaggi, ma anche di interazioni ripetute che fondano una soggettività comune (oggettività intersoggettiva). Vedi Schutz, Luckmann (1973). 110 273 macro e micro e tra generi della comunicazione si confondono, ma è certo che l’interpenetrazione generata risulta efficace quando si dimostra atta a fondere e coniugare istanze diverse, inglobandole in un apparato significazionale e valoriale capace di rappresentarle e operativizzarle nella loro complessità. 275 14. ALLA RICERCA DELLA RELAZIONALITÀ DIFFUSA. QUALI SPAZI FRA CAPITALE SOCIALE, COMPETENZE RELAZIONALI E COMUNICAZIONE SOCIALE di Barbara Mazza e Andrea Volterrani 14.1 Relazioni significative e responsabilità diffusa Individualismo e aggregazionismo appaiono come due facce di un’unica medaglia, la cui rotazione porta a far prevalere talora un lato sull’altro in un gioco continuo di altalenarsi. Quello che è certo in questo eterno avvicendamento è che l’uomo, in quanto essere sociale, ricerca perennemente forme e modi per conoscersi e riconoscersi nell’interazione con gli altri. E non è un caso che, nell’era dei dualismi universali, la tensione verso la relazionalità cerchi nuovi spazi e differenti architetture per ridefinirsi. Ecco dunque diffondersi l’esigenza di sostanziare la relazione, di dotarla di senso, riconoscendo i meccanismi della discorsivizzazione e della narrazione che la connotano. Del resto, l’interazione è proprio l’esperienza intersoggettiva di sé e dell’altro e si dota di sostanza quando - come direbbe George Simmel - non si limita alla sociabilità dell’atto, ma punta alla sociazione111, per ricercare un’attribuzione di senso, condiviso perché generato nella comunanza. Esso si legittima nello scambio basato sulla solidarietà, sulla convergenza verso l’intento e sulla fiducia che si genera nell’apertura. Lo stesso evento relazionale assume valore in questa prospettiva, in quanto determina la qualità dell’incontro e del confronto. Relazioni significative dunque per costruire insieme competenze comuni e complementari, conoscenze scambiabili ed esperienze condivise. L’incisività e la pervasività di tali relazioni deriva dal loro carattere libero, spontaneo e liberatorio che intensifica la disponibilità allo scambio e innesca interazioni altamente flessibili ed eterogenee a seconda delle esigenze e delle sollecitazioni che provengono dagli attori e dall’ambiente. A livello sociale si vengono così a generare spazi proattivi di dialogo e confronto, intermedi e trasversali rispetto alle tradizionali arene comunicative. È in questi interstizi tra pubblico e privato che si alimenta la circolazione di capitale sociale. E proprio per il carattere spontaneo, la sua diffusione 111 La sociabilità riguarda la forma dell’interazione, priva di finalità pratiche ma modellata sulla personalità dei partecipanti, mentre la sociazione rappresenta l’associazione cosciente di esseri in cui ciascun soggetto accantona parte della sua individualità in favore del processo ermeneutica che sviluppa con l’altro. 276 avviene spesso in maniera latente tra singoli gruppi, aggregazioni occasionali, e tra queste e le istituzioni. Ma ciò che conta è il flusso di cognizioni condivise che si alimenta e si propaga, fino ad emergere e consolidarsi a livello collettivo, senza alcuna limitazione culturale. Il senso civile può generarsi e rigenerarsi senza dover dipendere da altri mezzi simbolici e materiali, nonché dai loro codici culturali e operativi [Colozzi, Donati 2002: 23]. Nell’esperire la relazionalità l’individuo assume la percezione del valore significativo dell’atto comunicativo a tal punto da recuperare quella capacità di autoriflessione e mediazione resa un pò atrofica dalla comunicazione imposta, fino ad assumere atteggiamenti e comportamenti responsabili. La relazionalità si diffonde dunque, e permea l’intera società con il valore aggiunto della responsabilità, fino a dar luogo a una cultura relazionale, frutto della confluenza collettiva introno a idee e valori condivisi, sui quali si organizza il dibattito sociale e si esplicita la significazione partecipata. Si attiva, in sostanza, un vero e proprio meccanismo di sense making, in cui confronto, mediazione e creatività dinamica conciliano e compongono esperienze culturali differenti fino a ridefinire costantemente la dimensione valoriale comune. Il vantaggio evidente di questo processo è, non solo il rafforzamento del sistema valoriale esistente, ma anche e soprattutto una maggiore disponibilità e continuità alla condivisione e alla con-partecipazione nelle fasi di mutamento ed evoluzione della società. 14.2 Fra capitale sociale, vulnerabilità e relazionalità diffusa A sostanziare la relazionalità è quindi il capitale sociale; un concetto classico, ma ritornato centrale nelle ultime riflessioni sociologiche e non solo112. Il suo valore è dettato dall’essere costituito da l’insieme di quegli elementi dell’organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della 112 Per un approfondimento del concetto si vedano i classici Bourdieu (1983), Coleman (2005), Putnam (2004). Per una sguardo relazionale vedi Lin (2001). Sul capitale sociale come fattore per lo sviluppo locale vedi Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia (2001). Infine per una visione critica vedi Field (2004). 277 società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui (Putnam 1993). Questo insieme si sostanzia di beni concreti che orientano effettivamente gli esseri umani intorno a bisogni, alla ricerca di soluzioni comuni e condivise. Come riferisce Hanifan (1916), infatti, si tratta di quei beni tangibili che contano maggiormente nella vita quotidiana delle persone: vale a dire, buona volontà, amicizia, solidarietà, rapporti sociali fra individui e famiglie che costituiscono un’unità sociale. L’individuo, se lasciato a se stesso, è socialmente indifeso. Se viene in contatto con i suoi vicini e questi con altri vicini si accumulerà capitale sociale che può soddisfare immediatamente i suoi bisogni sociali e mostrare una potenzialità sufficiente al miglioramento sostanziale delle condizioni di vita dell’intera comunità. Relazionalità diffusa, dunque, come espressione dell’esigenza di superare il senso di isolamento dell’uomo contemporaneo, in difficoltà nella risoluzioni di situazioni critiche, ma non solo. Siamo di fronte a forme di comunanza che travalicano interessi personalistici e che aprono la strada verso un processo più esteso di cultura civile e relazionale che si origina proprio all’interno della circolazione del capitale sociale. Come ha recentemente sostenuto Lin (2005: 27) si tratta di un investimento nelle relazioni sociali con aspettative di guadagni” ma “le risorse embedded nelle reti sociali accrescono i risultati delle azioni. L’efficacia del meccanimo è comunque frutto dell’interazione continua ed estesa che rende la società una rete dinamica il cui continuo e incessante divenire è espressione della convergenza di attese e competenze in atto. La disponibilità delle relazioni per un individuo, una organizzazione, una istituzione, un territorio diventa così la base per lo sviluppo di nuove relazionalità, ma anche per lo sviluppo delle capabilities individuali (Sen 2003) e, aggiungiamo, collettive-organizzative e territoriali. Ma esistono differenze fra le varie tipologie di capitale sociale, o per meglio dire, fra modi e forme attraverso cui si manifesta la sua trasmissione: il capitale sociale che chiude assicura reciprocità specifica pur mobilitando solidarietà, mentre il capitale sociale che apre, garantisce reciprocità generalizzata, costruisce legami verso l’esterno e, soprattutto, accetta e accoglie la diversità indivi- 278 duale e collettiva.113 La chiusura dunque è la prima forme che si costituisce all’interno di gruppi strutturati e coesi, mentre quella più interessante e di maggior effetto sociale prevede la massima apertura possibile a tutti i soggetti sociali man mano che vengono coinvolti nel processo. Il capitale sociale che apre getta ponti, è, come dice Woolcock (2001), un capitale sociale che mette in relazione (linking) che riguarda i legami tra persone diverse, in contesti sociali diversificati: le relazioni con persone di comunità diverse, grazie a cui si può accedere a un ambito di risorse più esteso rispetto a quello della comunità di appartenenza. L’apertura, per essere soddisfatta a pieno, implica alcuni aspetti fondamentali quali l’accessibilità del capitale sociale, i buchi strutturali e la vulnerabilità sociale114. La prima, intesa come accessibilità alle risorse e alle reti, dipende sia dalle posizioni individuali nella struttura sociale sia dalle risorse collettive e comunitarie. Una varietà di potenziale che accresce anche la presenza di tipologie diverse di relazionalità all’interno di un contesto territoriale e una disponibilità variabile in contesi territoriali diversi.115 Il secondo aspetto riguarda l’esistenza all’interno delle comunità dei cosiddetti “buchi strutturali” che secondo Burt (1992) sono i vuoti relazionali tra gruppi diversi di individui e/o di reticoli relazionali. Gli individui che creano ponti relazionali intorno a questi buchi hanno un vantaggio competitivo rispetto agli altri. Mentre Burt aveva in mente i buchi del mercato e i potenziali vantaggi economici per chi riusciva a “coprirli”, nelle comunità i buchi possono rappresentare le aree della vulnerabilità sociale e dell’esclusione sociale. Secondo il sociologo francese Manuel Castels (1995) la vulnerabilità è il percorso di impoverimento di un potenziale soggetto può avvenire transitando nel corso della vita tra l’area dell’integrazione, inserimento stabile in circuiti occupazionali e disponibilità di solidi rapporti relazionali, specialmente familiari a l’area della disaffiliazione, in cui versano i soggetti di povertà estrema caratterizzata da processi di decomposizione e abbandono del sé, l’incapacità di controllo dello spazio fisico, profonda 113 Field (2004: 55-58). 114 Lin (2001). 115 Elemento che può consentire di valutare meglio la diffusione e la forza della comunicazione sociale in contesti territoriali o in organizzazioni specifiche. 279 rottura dei legami sociali; perdita della capacità di trasformare i beni in opportunità di vita. La vulnerabilità tocca tutte le sfere della vita: il reddito, il lavoro, la famiglia, l’istruzione, la formazione, la salute, le relazioni sociali, le relazioni culturali. Non si diventa vulnerabili solo se si ha meno reddito. Perché se una persona ha buone relazioni parentali e sociali, partecipa ad associazioni di volontariato, se è persona che in termini di relazioni culturali riesce a percepire e a comprendere più aspetti rispetto a quelle del proprio contesto territoriale, se ha una situazione familiare stabile (indipendentemente dalla tipologia di famiglia), se ha una buona salute, non è necessariamente vulnerabile perché soprattutto la sua “aura relazionale” è molto più ampia e significativa della posizione economica e reddituale. Il ruolo della comunicazione sociale, come delle formazioni sociali intermedie, può essere particolarmente importante se non la si valuta unicamente come fonte di azioni e prodotti di comunicazione specifica, ma ne si estende il potenziale in maniera trasversale o pervasiva. 14.3 Quale contributo alla comunicazione sociale? Quali rapporti ci sono fra relazioni, capitale sociale e comunicazione sociale? Le ipotesi di partenza delineatesi sinora evidenziano come la comunicazione sociale riguardi anche le relazioni informali e formali e come la relazionalità nasca, si sviluppi e si rigeneri attraverso le relazioni stesse (siano esse istituzionali, delle formazioni sociali intermedie o delle singole individualità che si muovono e agiscono sui territori). Allo stesso modo, è emerso che le relazioni sono importanti come risorsa individuale e collettiva e come modalità operativa per circondare e sostenere relazionalmente i buchi strutturali della vulnerabilità e dell’esclusione sociale e per promuovere solidarietà diffusa. Dal quadro così congetturato si sollevano due questioni che richiedono un’attenta esplorazione almeno su due dimensioni cardine: chi/che cosa può innescare questo meccanismo anche attraverso la comunicazione sociale e come si possono accrescere le relazioni per poter mantenere un livello adeguato di relazionalità diffusa nei territori localmente definiti e nell’immaginario collettivo116. 280 14.3.1 La nascita della relazionalità diffusa In questa sede si intende stabilire come nasce la relazionalità diffusa. Porsi questo problema significa individuare situazioni e contesti ideal tipici utili all’analisi della comunicazione sociale. Proviamo a fare qualche esempio. Quando le persone si incontrano in un luogo aperto instaurano una relazionalità diffusa debole temporanea che solo eccezionalmente produce solidarietà o, all’altro estremo, conflitto. Non è necessario, quindi, uno spazio negoziale per poter condividere o ricomporre, secondo il caso, la relazionalità. Altro esempio, quando le persone si incontrano in un non luogo possono sviluppare sia una relazionalità diffusa debole temporanea, ma anche una relazionalità diffusa forte temporanea eccezionale. E ancora, quando le persone si incontrano dove già ci sono stati e sono in corso altri incontri possono sviluppare una relazionalità diffusa debole temporanea, ma anche una relazionalità forte temporanea, oppure possono anche entrare a far parte di un ambito relazionale diffuso stabile esistente o crearne uno nuovo. Da questi casi emerge come la relazionalità diffusa nasca più facilmente in contesti già ricchi. Allora chi è ricco di relazionalità diffusa? Territori storicamente e culturalmente ad alta densità relazionale e comunicativa, ma anche alcune organizzazioni delTerzo Settore, alcuni enti locali, alcune scuole e alcune Università dove si costruiscono e si privilegiano luoghi, situazioni e campi capaci di generare relazionalità. Quando le persone si incontrano dentro a contesti organizzativi ed istituzionali di questo tipo, probabilmente la relazionalità diffusa stabile è presente in quantità e qualità più alte. Questa stabilità ha, però, uno statuto ambiguo soprattutto in tempi nei quali da più parti si fa riferimento al ritorno della comunità (Bauman 2001; Berti 2005) a scapito dell’individuo. E’, infatti, in ambito comunitario che la densità relazionale è più alta, anche se non necessariamente è il luogo dove si sviluppa la relazionalità diffusa, più leggera, meno impegnativa, ma con uno spettro di impegno più vasto.117 E’ invece probabile che siano le persone ad essere il luogo della nascita della relazionalità 116 Entrambi gli aspetti sono importanti perchè in un contesto di relazioni che travalica la località, diventano centrali le relazioni comunicative mediali che operano prevalentemente a livello simbolico. 117 La partecipazione e l’impegno nelTerzo Settore (escluso l’impegno lavorativo) difficilmente è esclusivo in una sola organizzazione ed è sempre meno totalizzante. 281 diffusa in grado di costituire un substrato importante per lo sviluppo di una nuova cultura civile o per la rigenerazione di quella attuale. La comunicazione sociale118 nasce e cresce in un contesto di relazionalità diffusa stabile, ma non necessariamente comunitaria e ne rappresenta la coltura, interagendo con l’aura relazionale delle persone e dei contesti sociali e territoriali a livelli differenziali di coinvolgimento emotivo e di spazio nell’immaginario simbolico individuale e collettivo. 14.4 Lo sviluppo della relazionalità diffusa La comunicazione sociale non può sviluppare relazionalità diffusa in modo autonomo né tantomeno è pensabile che ci possa essere un processo di autoriproduzione. Viceversa sono presupponibili alcune modalità di azione che facilitano lo sviluppo. Alcune dimostrazioni possono aiutare a chiarire il ragionamento. In primo luogo è importante aumentare gli spazi reali di confronto, nelle istituzioni pubbliche, nelle organizzazioni delTerzo Settore, nei luoghi del consumo, negli spazi della vita quotidiana tenendo conto che si possono sviluppare tipologie diverse di relazionalità, non tutte generatrici di socialità, solidarietà e cultura civile. Un secondo percorso possibile è l’alimentazione della memoria collettiva come risorsa per il futuro lavorando sulla condivisione del presente e del passato pur mantenendo punti di vista diversi. In questo modo oltre a far percepire un’identità a livello territoriale è possibile sia che si instaurino relazioni di conoscenza e di solidarietà fra le generazioni (Cioni 1999) sia nuovi spazi per l’azione solidale delle organizzazioni delTerzo Settore. Il terzo ambito di esplorazione è la costruzione di relazioni non asimmetriche con le vecchie e le nuove soggettività organizzative, ponendo attenzione a diminuire la valenza delle relazioni di potere e ad agire per cambiare la loro configurazione. In questo percorso è, inoltre, fondamentale attribuire valore paritetico a tutte le soggettività, indipendentemente dalla loro collocazione territoriale e culturale, da valori, dimensioni, ambiti di intervento e visioni del mondo che entrano in gioco. Anche nel mondo dei volontariati, ad esempio, rispetto a questi fattori, esiste una gerarchia costruita e accettata che non sempre consente lo sviluppo di relazioni non 118 Nella definizione proposta dal laboratorio sulla comunicazione sociale della Sapienza di Roma. 282 asimettriche. Il quarto percorso è lo sviluppo di progetti e processi nelle aree di qualità, con pari attenzione sia allo sviluppo del percorso sia agli obbiettivi nonché alla costruzione di mappe di orientamento. Spesso in termini di relazionalità diffusa è più importante porre attenzione a ciò che stiamo facendo insieme agli altri piuttosto che agli obiettivi da raggiungere. Il quinto ambito possibile è relativo alla sperimentazione di laboratori territoriali di progettualità e partecipazione per sviluppare nuove opinioni pubbliche e nuove cittadinanze aldilà delle forti appartenenze identitarie territoriali, religiose o ideologiche. Infine, l’ultimo percorso attiene all’aumento in quantità e in qualità delle narrazioni condivise e di segno positivo sul territorio, sui soggetti, sulla vulnerabilità e sull’esclusione sociale: raccontandosi e raccontando quello che le persone, le organizzazioni, le nuove soggettività, i luoghi stessi fanno, ma anche esprimendo quello che altri stanno facendo o pensando di fare. Le narrazioni, infatti, sono esse stesse luoghi di costruzione di relazionalità, perché “è l’atto con cui, in una determinata situazione, qualcuno racconta qualcosa a un altro” (Jedlowski 2000: 13). Saper costruire relazioni nei luoghi e nei non luoghi, saper utilizzare la memoria condivisa, saper riprodurre relazioni paritarie a partire dai contesti del lavoro sociale, saper costruire progettualità sociale ampia e condivisa, saper promuovere percorsi di partecipazione alla comunità e, infine, saper narrare il sociale e la socialità nei territori, nelle organizzazioni e nelle comunità, potrebbero essere i capisaldi sui quali costruire e ricostruire una chiara e forte identificabilità delle azioni collegate e collegabili alla comunicazione sociale. 285 15. QUATTRO IDEE PICCOLE PER PENSARE IL FUTURO DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE di Andrea Volterrani Narrazioni, relazionalità, competenze pratiche e tecniche comunicative. Per il volontariato stare dentro alla comunicazione sociale significa porsi interrogativi che riguardano direttamente anche il suo ruolo, le sue azioni, le sue prospettive future. Per concludere il percorso di questo testo mi pare potrebbe essere interessante proporre quattro idee. La prima idea, apparentemente datata, ripropone la socievolezza, “la forma ludica della sociazione” (Simmel 1997: 43) come forma e sostanza di una visione prospettica per la comunicazione del volontariato. L’apparente superficialità della socievolezza e la non sistematicità delle relazioni costruite ed esperite dalle persone, diventano risorsa all’interno di un contesto a-relazionale, marginalizzante e profondamente legato all’individuo “non persona”. La comunicazione sociale pensata ed organizzata può giocare con la socievolezza non solo per tentare di accrescerla, ma, soprattutto, per rappresentarne la gioiosità e la freschezza. La seconda idea fa riferimento all’idea di valutazione partecipata (Palombo) nei territori e nelle comunità. La comunicazione sociale in questo ambito ha e potrebbe avere un ruolo particolarmente importante sia per promuovere che sottolineare percorsi e modelli di intervento innovativi. Nello specifico, la diffusione di una cultura della valutazione partecipata fra le organizzazioni di volontariato, può alimentare un effetto domino di miglioramento della qualità e della sensatezza degli interventi sui territori. La terza idea è collegata all’idea proposta da Rheingold (2003) di smart mobs. Secondo questa ottica le nuove tecnologie permettono alle persone di collegarsi con molteplici contesti sociali, con minima partecipazione ad ognuno di essi e con un diminuito controllo sociale da parte dei vari singoli contesti. Se il volontariato e la comunicazione sociale si appropria di questi strumenti e, soprattutto, si inserisce nelle molteplicità delle opzioni individuali, può riuscire ad ottenere risultati interessanti nell’ambito dello sviluppo della relazionalità diffusa. La quarta e ultima idea è quella di società civile come “una membrana della vita sociale, espressione di alcuni tratti tipici dell’agire umano, elemento essenziale per rendere possibile la transazione tra la sfera soggettiva e quella istituzionale” (Magatti, 2005: 70-71) La comunicazione sociale è, allo stesso tempo, la membrana e l’ambiente dove si realizzano le relazioni fra l’individuo e 286 le varie istituzioni (stato, mercato, sistema mediale e sistema socio-asssitenziale). Per svolgere questo ruolo non può essere confinata all’interno delle pur importanti attività routinarie della associazioni, ma dovrebbe, piuttosto, ampliare il proprio raggio di azione fino a coinvolgere individui e comunità lontane geograficamente, culturalmente e socialmente. E’ la prospettiva forse più interessante da perseguire per far crescere i processi di partecipazione e di democrazia diffusa nel contesto delle società occidentali. La comunicazione sociale nelle sue varie articolazioni può essere il collante di questi aspetti e può contribuire a far fare un salto di qualità al volontariato nei prossimi anni. Alcune associazioni hanno intrapreso decisamente questa strada, altre sono in procinto di prenderla, altre ancora non si sentono pronte o non percepiscono la valenza innovativa e dirompente dei concetti e delle situazioni esposte precedentemente. Ma la forza del volontariato era ed è proprio questa: la differenza come risorsa e come pratica di azione che accresce l’emblematicità delle quattro idee. Infine, nella speranza di essere stati utili ai lettori e alle associazioni, li ringraziamo della pazienza e dell’attenzione per averci seguito fino a qui. 289 16. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AA.VV. 1999 Cause Related Marketing: solidarietà e affari “buoni”, Atti del convegno Sodalitas, Milano 25 marzo, disponibile online su http://www.sodalitas.it 1999 CNEL. 2° Rapporto sulla comunicazione d’impresa, Documenti Cnel, Roma. 1998 Fund raising. Gli strumenti per la raccolta, Dispensa Sodalitas, Milano. 1998 Il fund raising per le piccole associazioni, Dispensa Sodalitas, Milano. 1998 Imprese, marketing e cause sociali, Atti del convegno Sodalitas, Milano 17 novembre, disponibile online su http://www.sodalitas.it 1998 CNEL. 1° Rapporto sulla comunicazione d’impresa, Documenti Cnel, Roma. 1997 I contatti con i media. 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Attualmente coordina un’Indagine sull’uso degli strumenti di comunicazione nelle organizzazioni di Terzo Settore. Elisabetta Gazzola responsabile di iniziative di marketing e comunicazione per organizzazioni non profit e aziende, gestisce e organizza iniziative di raccolta fondi e si occupa di progetti di cause related markteting. Dal 2000 svolge attività di consulenza e di docenza per conto di diversi centri di servizio per il volontariato sui temi della comunicazione e marketing sociale. E’ socio attivo dell’Associazione Italiana Fund Raiser. Barbara Mazza è ricercatrice presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo, dove insegna comunicazione di massa e istituzionale. Da anni svolge attività di ricerca nel campo della comunicazione sociale in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Comunicazione de “La Sapienza” e con il Forum del Terzo Settore. Coordina l’Osservatorio sulla Comunicazione Sociale Terza.com. Gaia Peruzzi è assegnista di ricerca presso l’Ateneo di Sassari. Insegna Sociologia della Comunicazione all’Università di Pisa. Ha realizzato numerose attività di progettazione, ricerca e formazione per enti pubblici e privati nel settore della cultura e della comunicazione. Roberta Scarfì si è Laureata in Scienze della Comunicazione all’Università la Sapienza di Roma, lavora presso l’Arci Servizio Civile della stessa città come responsabile comunicazione e collabora con la Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università La Sapienza, in un progetto di ricerca sulla comunicazione sociale nel Terzo Settore. Nel 2003 è stata volontaria in servizio civile presso l’UISP (Unione Italiana Sport Per tutti) nell’ufficio comunicazione. L’esperienza è stata poi ripresa 312 ed approfondita nella tesi di laurea Comunicando il non profit: la scommessa dell’Uisp. Andrea Volterrani è docente di teoria della pianificazione sociale alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Siena e di sociologia della comunicazione alla Facoltà di Psicologia di Firenze, si occupa di comunicazione sociale di ricerca sulTerzo Settore con particolare attenzione ai temi della qualità e della valutazione e di ricerche a supporto della programmazione delle politiche sociali. INDICE 315 Premessa Cristiana Guccinelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Istruzioni per l’uso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1. Introduzione Andrea Volterrani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 2. Perché raccontare il volontariato Andrea Volterrani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 3. Storie in cerca di autori. Dal volontariato al pubblico, attraverso i grandi media (e il teatro) Gaia Peruzzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 4. Farsi fonti. Come entrare nel circuito degli avvenimenti Marco Binotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 5. Dentro l’associazione: la comunicazione interna e organizzativa Andrea Volterrani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 6. Volontari nella rete Marco Binotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 7. Persi nella rete: breve glossario per i neo internauti Andrea Volterrani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 8. Farsi voce: l’editoria del volontariato Roberta Scarfì . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 9. Un nuovo approccio per la raccolta fondi Elisabetta Gazzola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197 10. Le campagne di comunicazione sociale Elisabetta Gazzola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 11. Le pubbliche relazioni e l’organizzazione di eventi Elisabetta Gazzola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237 12. Al di là della consuetudine: vecchi mezzi rivisitati Andrea Volterrani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 259 13. Verso una nuova definizione di comunicazione sociale Barbara Mazza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265 14. La relazionalità diffusa nella comunicazione Barbara Mazza/Andrea Volterrani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 275 15. Quattro idee piccole per pensare il futuro della comunicazione sociale Andrea Volterrani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 285 16. Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289 17. Gli autori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311 317 Della Collana “I Quaderni” del CESVOT sono pubblicati: 1 Lo stato di attuazione del D.M. 21/11/91 e successive modifiche Relazione assemblea del seminario 2 Volontari e politiche sociali: La Legge regionale 72/97 Atti del Convegno 3 Gli strumenti della programmazione nella raccolta del sangue e del plasma Cristiana Guccinelli - Regina Podestà 4 Terzo settore, Europa e nuova legislazione italiana sulle Onlus Cristiana Guccinelli - Regina Podestà 5 Privacy e volontariato Regina Podestà 6 La comunicazione per il volontariato Andrea Volterrani 7 Identità e bisogni del volontariato in Toscana Andrea Salvini 8 Le domande e i dubbi delle organizzazioni di volontariato Gisella Seghettini 9 La popolazione anziana: servizi e bisogni - la realtà aretina Roberto Barbieri - Marco La Mastra 10 Raccolta normativa commentata - Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 11 Oltre il disagio - Identità territoriale e condizione giovanile in Valdera Giovanni Bechelloni - Felicita Gabellieri 12 Dare credito all’economia sociale Strumenti del credito per i soggetti non profit Atti del convegno 13 Volontariato e Beni Culturali Atti Conferenza Regionale 318 14 I centri di documentazione in area sociale, sanitaria e sociosanitaria: storia, identità, caratteristiche, prospettive di sviluppo Centro Nazionale del volontariato, Fondazione Istituto Andrea Devoto 15 L’uso responsabile del denaro Le organizzazioni pubbliche e private nella promozione dell’economia civile in toscana Atti del convegno 16 Raccolta normativa commentata- Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 17 Le Domande e i Dubbi delle Organizzazioni di Volontariato Stefano Ragghianti - Gisella Seghettini 18 Accessibilità dell’informazione Abbattere le barriere fisiche e virtuali nelle biblioteche e nei centri di documentazione Francesca Giovagnoli 19 Servizi alla persona e volontariato nell’Europa sociale in costruzione Mauro Pellegrino 20 Le dichiarazioni fiscali degli Enti non Profit Stefano Ragghianti 21 Le buone prassi di bilancio sociale nel volontariato Maurizio Catalano 22 Raccolta fondi per le Associazioni di Volontariato. Criteri ed opportunità Sabrina Lemmetti 23 Le opportunità “finanziare e reali“ per le associazioni di volontariato toscane Riccardo Bemi 24 Il cittadino e l’Amministrazione di sostegno Un nuovo diritto per i malati di mente (e non solo) Gemma Brandi 319 25 Viaggio nella sostenibilità locale: concetti, metodi, progetti realizzati in Toscana Marina Marengo 26 Raccolta normativa commentata. Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 27 Le trasformazioni del volontariato in Toscana 2° rapporto di indagine. Andrea Salvini e Dania Cordaz 28 La tutela dei minori: esperienza e ricerca Fondazione Il Forteto onlus. Nicola Casanova e Luigi Goffredi Progetto grafico , Pontedera