tercomunale milanese non sente più il bisogno di questo distacco

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tercomunale milanese non sente più il bisogno di questo distacco
tercomunale milanese non sente più il bisogno di questo distacco, anzi
radica la sua proposta nei caratteri geografici e storici che riconosce come
strutturali: afferma una continuità tra antico e nuovo, che è anche la continuità tra città e campagna. Il vuoto della campagna, anche quando è
agricoltura industriale, cioè settore produttivo dotato di autonomia, è
vissuto come spazio aperto, plasmabile, tra le città; è il contesto naturale
della ,crescita e della trasformazione urbana. La città si snoda lungo gli
assi dello schema, giusto complemento della campagna. Non c’è contrapposizione né alterità fra questa struttura urbana, densa e diffusa, variamente articolata intorno alle aste di trasporto, e la campagna: difficile
dire quale delle due si insinui nell’altra, perché l’imponente struttura dello
schema – questo distribuire insediamenti ovunque lungo gli assi storici
tradizionali, anche dove crescita non ci sarà mai negli anni a venire –
comunica il senso di integrazione e di lenta, ma inesorabile, dinamica che
sembra il carattere visivo più forte dell’apparentemente immobile
campagna padana. Per il progetto milanese il vuoto dello spazio padano è
solo l’altra faccia, egualmente operosa, utile, produttiva e saggia, del
pieno urbano.
L’integrazione di vuoto e pieno, di città e campagna, raggiunge il suo
apice negli schemi territoriali del «progetto 80». Un esame di queste carte
dense di «equivalenza urbanistica» quasi toglie il fiato: si giunge a desiderare un angolo vuoto, un’area dimenticata da quest’occupazione sistematica di ogni spazio, dalla pianura più umida alla montagna più alta, da
quest’avanzata quasi inesorabile della razionalizzazione e del riequilibrio.
Il modello milanese viene spogliato di ogni prudenza ambrosiana e portato alle estreme conseguenze. Il vuoto è negato come possibilità, ogni
spazio ha un nome e una funzione, ed è inserito in un meccanismo che
macina, trafora, collega, insedia, razionalizza, ristruttura, recupera e si
muove in ogni direzione immaginabile.
In anni più recenti mancano immagini progettuali estese alla Padania.
Nei primi anni ottanta i tentativi di organizzare MiTo, cioè un collegamento programmatico tra Milano e Torino avviato dai sindaci Tognoli e
Novelli, e al quale altre città chiesero di unirsi, furono rapidamente interrotti dal mutamento della politica socialista e dalla conseguente crisi
delle «giunte rosse».
La pianificazione regionale ha ormai assunto di solito un atteggiamento introverso, rivolto a pianificare all’interno dei confini amministrativi o, in certi casi, ha portato l’attenzione sulle relazioni internazionali scartando quelle con le regioni contermini: è il caso, ad esempio, del
Piemonte, che ha per anni privilegiato la considerazione della direttrice
nord-sud, Genova-Rotterdam, a quella est-ovest; e, più in generale, delle
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altre regioni padane capaci di interagire con regioni d’oltralpe, attraverso
le associazioni Alpe-Adria e Arge-Alp, più che tra di loro. Pesa probabilmente su questa incapacità di svolgere un discorso interregionale sia
l’assenza di qualunque azione di coordinamento dello stato, sia la disaffezione per le azioni di pianificazione maturata nei governi regionali durante gli ultimi dieci, quindici anni.
3. Descrizioni e rappresentazioni
Alla mancanza di immagini progettuali fa riscontro una produzione
ricca di rappresentazioni e immagini descrittive che emerge dalla ricerca
accademica degli anni ottanta e di cui viene dato conto nella rassegna bibliografica citata all'inizio. Tra questo vasto materiale analitico e critico,
due immagini sintetiche appaiono particolarmente significative. Si tratta
di rappresentazioni della rete urbana italiana, estratte dai saggi di
Giuseppe Dematteis (1991), un autore che ha avuto una significativa influenza sugli studi territoriali dell’ultimo decennio (si vedano le figg. 6 e
7). La figura 6, malgrado la qualità non troppo nitida del disegno, consente di cogliere i caratteri essenziali del tessuto urbano dell’Italia settentrionale. Questi caratteri sono resi ancora più espliciti nella figura 7,
dove gerarchie e relazioni tra poli metropolitani e urbani, reticoli e reti a
maglia più larga, «pettini» pedemontani e allineamenti assiali e non, sono
ben evidenziate.
Ciò che più colpisce in queste rappresentazioni è la loro distanza
dalle immagini progettuali di cui disponiamo. La struttura territoriale è
incardinata sulla croce di due grandi assi di sviluppo insediativo che ha il
suo centro in Milano (si veda la fig. 7). L’asse est-ovest, sia pure con pesi
diversi, richiama le immagini progettuali di Bacigalupo (1965) e di
Moroni (1967), ma l’asse che da sud sale da Ancona a Bologna e Milano
per proseguire verso nord, è un asse che le letture geografiche e storiche,
sulle quali erano fondate le immagini progettuali, non avevano considerato né suggerito. Così come il gran vuoto del triangolo compreso
tra Milano, Torino e Genova, che quasi rispecchia il peso della sovrastante conurbazione milanese, nega ogni ipotesi di assi che da Torino si
aprono verso l’Adriatico così come ogni ipotesi di riequilibrio territoriale
e di equivalenza urbanistica. L’ineguale e asimmetrica distribuzione di
funzioni e pesi insediativi appare da altre immagini: dalle gravitazioni e
dall’interazione dei flussi telefonici, dei flussi autostradali e ferroviari,
dalla distribuzione delle densità di popolazione. L’immagine tradizionale di una Padania organizzata intorno all’alveo del fiume e a forte as313
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sialità trasversale risulta deformata da queste rappresentazioni: a sud si
dilata in una grande apertura a ventaglio, mentre a ovest si assottiglia
nella corona pedemontana che da Cuneo risale a Torino e poi si congiunge al milanese.
4. Pieno e vuoto
Un altro dato che emerge dalla rassegna bibliografica citata è la povertà di informazioni sull’uso del suolo. Osservano Astengo e Nucci
(1991), nel presentare l’unica ampia indagine sull’urbanizzazione in
Italia, che malgrado l’infinità di studi condotti mancano «dati sulla quantità di terreno effettivamente assorbito, in differenti e comparabili situazioni locali, dal processo di urbanizzazione». Anche questa constatazione non sorprende: sino a quando lo spazio è stato considerato un
vuoto in cui espandersi si trattava di sapere come riempirlo. Il problema
dell’espansione, della crescita non è mai stato quello di «conoscere» lo
spazio, ma di come costruirlo per appropriarsene; spesso, come quando
sono state tracciate le ferrovie e le autostrade, non era neppure necessario ordinare lo spazio, bastava occuparlo. Negli anni cinquanta le conoscenze del territorio disponibili erano modestissime ripetto a oggi, eppure
era maggiore la capacità progettuale perché eravamo in una fase
espansiva: il sapere progettuale era sufficiente a garantire una crescita che
determinava le modalità di organizzazione dello spazio. Oggi sappiamo
molto di più di quanto non sapessimo venti o trent’anni fa, ma le
accresciute conoscenze ci aiutano poco a districarci tra le spinte contraddittorie che caratterizzano e spesso paralizzano i processi di trasformazione. Anche in mancanza di dati quantitativi e qualitativi certi
non è azzardato affermare, sulla base delle rappresentazioni disponibili,
che lo spazio padano si presenta oggi con densità molto differenziate.
Concentrazioni estese di attività e popolazione si alternano ad aree porose, a tessuti più radi e, infine, a vaste aree dove le attività sono marginali e la popolazione scarsa. Il riconoscimento non autorizza a definire lo
spazio padano come una risorsa nel senso tradizionale del termine, un
vuoto ancora disponibile all’uso come in passato o anche solo, almeno in
certe zone, come un’area di manovra in cui poter operare con un certo
grado di libertà. Una considerazione più attenta del territorio lo propone,
al contrario, come un «pieno» in cui ogni ipotesi di trasformazione deve
essere costruita come un gioco di incastri, sostituzioni e scambi, salvo
produrre contraccolpi paralizzanti, un tempo quasi sconosciuti.
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5. Due conflitti
Questo diverso modo di costituirsi dello spazio al nostro sguardo progettuale ha diverse ragioni, ma due sembrano, ai fini delle argomentazioni
presenti, particolarmente rilevanti. Il rapporto della società con lo spazio è
un rapporto dinamico che si svolge attorno a due polarità complementari
e indispensabili, espansione ed esclusione: da un lato la tensione
schumpeteriana verso la trasformazione e la crescita e dall’altro lato il
freno all’espansione opposto dai diritti di esclusione (su questi temi si vedano Plotkin, 1987; Mazza, 1992). L’espansione, nei suoi impeti di occupazione e trasformazione dello spazio, può essere frenata e ostacolata
dall’esclusione, cioè dalla volontà e dal diritto di opporsi al cambiamento
degli usi del suolo o anche solo delle forme delle strutture fisiche esistenti;
ma a sua volta l’espansione non potrebbe realizzare i profitti ai quali aspira
senza praticare essa stessa l’esclusione, senza garantirsi che non avvengano altre trasformazioni oltre quelle previste nel proprio spazio fisico ed
economico. È l’esclusività dei diritti di trasformazione del suolo la precondizione per volgere tali diritti in valori e profitti.
Sino a non molti anni fa, l’espansione costituiva e rappresentava il processo di modernizzazione: forte di questa rappresentanza, travolgeva i diritti di esclusione quando questi le si opponevano, mentre usava gli stessi
diritti per crescere e riprodursi; poiché oggi la conservazione dell’ambiente
e delle strutture fisiche costituisce molto spesso un valore e un fine, anche
per tale motivo è piuttosto l’esclusione ad avere il sopravvento e a fermare
in molti casi la trasformazione. Lo spazio fisico acquista nuove dimensioni:
ciò che appare vuoto, perché è fisicamente vuoto, è in realtà pieno di diritti
di esclusione. Non si tratta, come potrebbe apparire a prima vista, di un
conflitto tra locale e globale o tra individuale e collettivo, è un conflitto
tra soggetti e a volte interno allo stesso soggetto. Un conflitto che,
secondo l’esperienza delle trasformazioni urbane degli anni sessanta e
settanta, solo il freno e la tensione ideologica di un progetto collettivo
possono, se non sciogliere, almeno controllare.
Sotto il peso di processi inarrestabili di urbanizzazione la cultura urbanistica ha vissuto per decenni il conflitto tra concentrazione e diffusione. La necessità di concentrare certe funzioni e attività è ormai riconosciuta da tutti o quasi tutti – la polemica tra eredi e discepoli della cittàgiardino e appassionati delle tradizionali densità urbane non è sopita, perché nel frattempo sono mutate alcune propensioni alle forme di consumo
urbano. Il problema si pone non nell’alternativa tra concentrazione e diffusione, ma nel riconoscimento dei fattori di concentrazione, nella scelta
dei luoghi di concentrazione e nell’individuazione della soglia oltre la
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quale la concentrazione produce soprattutto congestione e costi, anche
da un punto di vista politico. Non esistono modelli ottimi per la
soluzione di questi problemi, ma l’inesistenza di modelli non cancella
l’urgenza dei problemi e l’utilità di considerare i legami funzionali che
una scelta di concentrazione comporta. La mancanza di modelli ottimi
non impedisce, inoltre, di sospettare che la concentrazione immobiliare
non sia l’unica forma di concentrazione importante. L’ovvietà di queste
considerazioni le renderebbe improponibili, se non fossero da tempo
continuamente smentite dalla pratica di governo. Accade da vent’anni
per l’organizzazione dei servizi aeroportuali dell’Italia settentrionale; da
almeno dieci anni per un’altra struttura importante – non solo per la
Padania – come la Fiera di Milano, ed è possibile, se non probabile, che
debba accadere per i possibili futuri investimenti ferroviari.
Un tempo il modello generale delle scelte di localizzazione che costruivano il territorio e lo ordinavano in senso urbano era la formazione di
una struttura completa che facilitasse la circolazione e l’associazione del
capitale e del lavoro, la produzione e il consumo. Oggi che questa
struttura è formata e si dilata e si perde nel mercato globale, al di là dei
confini sui quali tradizionalmente si estendeva il nostro controllo, una
scelta localizzativa è essenzialmente una scelta riorganizzativa. Da questo
punto di vista, in termini solo formalmente contradditori, una scelta
localizzatíva tende a essere indifferente al luogo, perché determinanti per
la scelta sono le relazioni funzionali nel tempo, e fra esse è ormai rilevante
anche il tempo di realizzazione della decisione di localizzazione. Non
sembra che, soprattutto nel nostro paese, ci sia la capacità di approfittare
di questa libertà di scelta dei luoghi. I freni sono molteplici: le abitudini, le
gerarchie simboliche e soprattutto le forme attuali di organizzazione degli
interessi e di istituzionalizzazione del mercato immobiliare.
Conclusioni
Nessuna delle immagini progettuali e delle descrizioni alle quali abbiamo fatto riferimento restituisce una precisa rappresentazione della
Padania come sistema territoriale che, infatti, non possiamo assumere né
come una struttura «assiale» né come una struttura «a rete». Non esiste
nella realtà un asse forte, e non esiste neppure un tessuto urbano qualificato dalla diffusione e circolarità dello sviluppo: la produttività e dinamicità complessiva della macroregione è il risultato di disomogeneità e
scompensi; la rete padana rivela sia maglie deboli sia vere lacerazioni del
tessuto, vuoti nei quali la rete non si è mai costituita. Del resto la realiz318
zazione di una struttura assiale avrebbe preteso un’autorità e una capacità
di intervento, centralizzata e coordinata, sia a livello nazionale sia a livello
locale, estranee alla nostra tradizione politica e amministrativa. Al
contrario, questa tradizione ha sempre cercato di mantenere un certo, anche paralizzante, equilibrio di poteri fra centro e periferia per evitare contrapposizioni conflittuali, anche perché la mancanza di un coordinamento
gerarchico rendeva più confuse e incerte le responsabilità dei livelli di governo, più discrezionale e meno impegnativa l’attuazione di politiche non
sempre esplicite e verificabili, e più agevole il perseguimento di interessi
anche illeciti, come gli scandali recenti hanno definitivamente mostrato,
dei comitati d’affari costituitisi tra mondo imprenditoriale e mondo politico. Questa tradizione amministrativa non è riuscita e non riesce, al di
fuori di interventi spettacolari ed estemporanei, a sviluppare alcuna politica urbana e tanto meno politiche articolate e progettate sulle differenze
del locale, necessarie per agevolare crescita di un tessuto reticolare. Ma si
deve ricordare che l’insuccesso delle immagini progettuali degli anni
sessanta nel determinare la Padania attuale, oltre che alla mancanza di
politiche urbane e di coordinamento delle attività amministrative e di governo, è anche riconducibile all’incapacità di un modello gerarchico e
centralizzato di pianificazione – in qualche misura vagheggiato dalla cultura della programmazione, non solo negli anni sessanta – di agire in una
società articolata e diffusa che, secondo gli studi territoriali, ha nei modelli
locali di organizzazione una delle risorse più fertili per lo sviluppo. Sulla
base di queste considerazioni, prima di pensare a nuove immagini
progettuali della Padania che definiscano possibili alternative di concentrazione e specializzazione, è forse necessario pensare a nuove forme istituzionali per la produzione e la discussione di queste immagini. Il punto di
equilibrio tra la necessità di una strategia generale che garantisca, sia pure
procedendo da visioni settoriali, un’ipotesi di funzionamento dell’intero
sistema, e la necessità di permettere una sostanziale libertà di proposta e di
flessibilità della partecipazione locale ai processi decisionali, appare
condizionato da alcune sostanziali modificazioni delle procedure attuali
dei processi amministrativi e tecnici. Due possono essere citate a titolo
d’esempio, ma il fatto che siano le prime a essere ricordate sottolinea la
loro importanza. Una trasformazione dovrebbe riguardare il funzionamento del mercato immobiliare, nel tentativo dí sottrarlo alle troppe
forme discrezionali di amministrazione politica che si esercitano vuoi attraverso il controllo del costo del denaro vuoi attraverso le assegnazioni
del diritto di costruire (si veda Curry, 1991 e The Economist, 1991); in
proposito si può notare che, sulla spinta dei progetti di privatizzazione
delle proprietà demaniali, qualcosa si sta muovendo anche in Italia (si
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veda Carrer, 1992). La seconda trasformazione dovrebbe riguardare la
pianificazione urbanistica, nel tentativo di darle la flessibilità che è richiesta dal mercato e che è necessaria per ottenere processi decisionali
più rapidi ed efficaci. Per muovere in questa direzione, sottrarre ai piani
urbanistici la forza di imposizione legale e riconoscerla solo ai diritti di
esclusione riconoscibili nello stato di fatto potrebbe essere un passo per
ricostituire i piani come progetti politici, e per ricostituire quella progettualità collettiva che appare come l’unica capace di ridare senso e aggressività ai processi di trasformazione (si veda Mazza, 1992).
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Acque e rifiuti. Da risorse a fattori limitanti lo sviluppo
nel bacino del Po
Pier Francesco Ghetti
1. I riflessi del «contenzioso ambientale» sullo sviluppo della Padania
La qualità dell’ambiente è una variabile che non viene in genere presa
in considerazione come potenziale vincolo allo sviluppo economico di un
territorio. Anche se negli ultimi anni il termine ambiente si ritrova con
sempre maggior frequenza nelle relazioni economiche, esso viene considerato come una componente non quantificabile e quindi diventa un semplice inciso fra termini quali società e disagio urbano. Nella sostanza le
analisi economiche, oggi come un tempo, non prestano adeguata attenzione al ruolo che le attività produttive hanno avuto nel determinare un
particolare stato di degrado dell’ambiente o il peso che questo degrado
può avere sull’economia. La ragione di ciò va ricercata nella difficoltà di
quantificare il valore economico della qualità di risorse ambientali quali
acqua, aria, suolo, paesaggio, flora e fauna selvatiche e nel livello di percezione sociale di questa qualità, che è ancora troppo basso per meritare
l’attenzione degli analisti economici (Gerelli, 1990).
Il problema delle patologie ambientali, come si configura nelle società
sviluppate, costituisce infatti una novità nel panorama della storia
dell’uomo. Esso è il prodotto della stessa logica dello sviluppo ed è caduto in mezzo a una società e a una cultura che sono state elaborate
prima di conoscere l’esistenza di questo problema. Siamo cresciuti nella
convinzione di un’illimitata capacità di rigenerazione della natura e nella
fede per la scienza dell’innovazione: lungo la strada ci siamo trovati a fare
i conti con gli effetti prodotti dall’accelerazione impressa ai processi di
trasformazione dell’ambiente, dilatata fino all’ordine di grandezza del sistema planetario e con un conseguente problema di patologia dell'innovazione.
Accanto alle preoccupazioni per lo sviluppo economico e sociale si è
quindi aperto un «contenzioso ambientale». Spesso l’opinione pubblica
prova fastidio per il continuo rincorrersi degli allarmi ambientali, per l’insistenza, l’indeterminatezza delle cause, il rilancio continuo degli obiet323
rivi di soluzione, l’improduttività apparente degli investimenti in questo
settore, il senso di impotenza di fronte a eventi definiti irreversibili, mentre poi tutto sembra procedere come prima. E tuttavia questi problemi,
tenuti il più possibile fuori dalla porta, rientrano dalla finestra con una
veemenza e un’urgenza che non consentono sottovalutazioni: mentre la
società agricola era costretta a rispettare l’ambiente per la bassa capacità
di controllo e manipolazione del territorio e della natura, oggi si può scegliere di rispettarlo o meno, ma dell’ambiente siamo diventati responsabili. Indicatori di questo stato di cose sono l’elevato impegno per la gestione delle tecnologie ambientali (ad esempio depuratori, opere idrauliche, opere di risanamento) e l’aumento del «bisogno di natura» determinato dalla sua scarsità. La società agricola, impegnata a risolvere problemi essenziali di sopravvivenza, non aveva mai guardato all’ambiente
come a un’entità da conservare e proteggere così come lo concepiamo attualmente. Nella Padania etruschi, romani, ordini monacali, dinastie e
stato nazionale si sono succeduti nel guidare la lotta dell'uomo per fertilizzare le terre, strapparle alle acque, urbanizzarle, renderle atte alla vita di
relazione, avendo quale unico obiettivo quello di soggiogare la natura
alle esigenze dell’uomo.
In Italia si devono attendere gli anni settanta perché i problemi della
qualità dell’ambiente vengano assunti come elementi della pianificazione
territoriale. Nel frattempo il territorio e le sue risorse hanno subìto un intenso processo di sfruttamento in relazione allo sviluppo industriale, alla
trasformazione delle pratiche agricole, all’affermarsi della società dei consumi (Ghetti, 1992). Rispetto a questi temi il territorio della Padania costituisce un laboratorio esemplare per il ruolo trainante che esso ha sempre avuto nell'economia nazionale.
2. La vertenza «quantità delle acque» nel bacino del Po
2.1. Il territorio del bacino
Dovendo trattare di risorse idriche il riferimento territoriale obbligato
è quello al bacino idrografico come area di studio e di governo. Entro il
bacino l’acqua si muove infatti di un moto unidirezionale e irreversibile,
scendendo a valle attraverso la trama del reticolo idrografico per essere
usata e ripristinata dal continuo scambio di energia fra atmosfera e superfice terrestre.
Il territorio del bacino del Po esiste quindi prima di tutto come entità
idrologica. Il fiume Po drena infatti le acque di ben 141 affluenti di se324
cond’ordine, di cui 95 in sinistra idrografica e 46 in destra. Entro i confini
fisici di un bacino di displuvio dí 70.091 chilometri quadrati il reticolo
idrografico ha modellato il territorio, suggerendo lungo í fondo valle le
vie di comunicazione che portano al piano e quindi al mare. Il Po esiste
in quanto esistono i suoi affluenti che ne dilatano il bacino di dominio,
formano i grandi laghi prealpini (con l’81 per cento del volume d’acqua
complessivo dei laghi italiani), alimentano le centrali idroelettriche e le
attività umane, ricevendone i rifiuti. In questo territorio si insediano
tremilacinquecento comuni, appartenenti principalmente a quattro regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto), marginalmente
ad altre quattro (Valle d’Aosta, Liguria, Trentino-Alto Adige, Toscana) e
con appendici anche fuori d’Italia (due comuni nel Cantone Vallese, 253
nel Canton Ticino, 28 nel Cantone dei Grigioni). Inoltre il Po, verso la
foce, cede parte delle sue acque ai canali artificiali che allargano il suo bacino dí dominio a 79.000 chilometri quadrati, pari al 26 per cento del territorio nazionale.
Il reticolo idrografico disegna quindi i confini di una regione fisica, la
Padania, di cui il Po costituisce l’asse portante e l’elemento principale di
apertura verso il mare.
2.2. Le disponibilità idriche nel bacino del Po
L’idrografia è sostenuta da un apporto medio annuo di precipitazioni
sul bacino di 1.200 mm e da un trasporto torbido di materiali alluvionali
provenienti da una superficie erodibile di circa 41.000 chilometri quadrati
(montagne e colline). Alla sezione idrologica di chiusura del bacino, posta
a 587 chilometri dalla sorgente (Pontelagos curo), il Po ha una portata
media annua di 1.470 metri cubi al secondo (per un volume medio annuo
dei deflussi di circa 47 miliardi di metri cubi), mentre la portata massima
è stata di 11.580 metri cubi al secondo. Il 14 novembre 1951 essa
determinò la rottura degli argini con la drammatica alluvione del
Polesine.
L’ordine di misura complessivo delle disponibilità idriche nel bacino
padano deve essere ricavato dai dati del suo bilancio idrologico. Con riferimento al 1981 (un anno che tuttavia ha avuto affussi e deflussi inferiori alla media) il volume delle acque defluite in superficie dai bacini
montani è stato pari a 34,7 miliardi di metri cubi, mentre quello dalle falde
è stato stimato in 2,4 miliardi (si veda la fig. 1). La quantità di acqua arrivata al suolo della pianura attraverso le precipitazioni è stata di 21,7 miliardi, determinando così un apporto complessivo nel bacino di circa 59
miliardi di metri cubi. Da questo volume è però necessario sottrarre i 15,6
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miliardi che sono stati persi per evaporazione e traspirazione. Sono quindi
defluiti in mare, alla foce, 42,6 miliardi di metri cubi d’acqua, ai quali
vanno aggiunti gli 0,6 miliardi del drenaggio artificiale.
2.3. Gli usi e gli abusi delle acque
Se questo è l’ordine di misura della circolazione complessiva delle acque nel bacino, torna utile conoscere anche i volutili d’acqua che sono
stati prelevati e restituiti per le varie attività, facendo costante riferimento
all’anno 1981 (si vedano la fig. 2 e la tab. 1).
Fra le attività idroesigenti del bacino del Po al primo posto si collocano gli usi agricoli, seguiti dagli usi civili e quindi dagli usi industriali. Gli
usi agricoli, pur prelevando di gran lunga le maggiori quantità d’acqua, ne
restituiscono una grossa parte non direttamente utilizzata, che ritorna alle
acque superficiali o a quelle sotterranee dopo semplice circuitazione nella
rete irrigua. A tale scopo sono stati prelevati dalle acque superficiali 17,6
miliardi e ne sono stati circuitati 8,4 miliardi, mentre dalle acque
sotterranee sono stati prelevati 1,5 miliardi e percolati in falda ben 14
miliardi (irrigazione).
Per gli usi civili le quantità maggiori di acqua sono state prelevate dalle
falde per un ammontare di 2,6 miliardi, mentre dal reticolo superficiale
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2.4. Alla radice dei problemi dell’acqua nel bacino
Tracciata, pur a grandi linee, la dimensione attuale dei principali problemi relativi alla gestione della quantità delle acque nel bacino del Po,
torna utile un riferimento ai tempi e ai modi attraverso i quali si è giunti
alla situazione attuale, al fine di interpretare la dinamica dei processi di
trasformazione del territorio e delle sue risorse.
Nel bacino del Po la popolazione è passata da 14,5 milioni di abitanti
nel 1951 agli oltre 18 milioni nel 1981, con una tendenza per i successivi
decenni a una lieve flessione. Per quanto riguarda la popolazione attiva
impiegata in agricoltura, nell’industria e nel terziario (compresa la pubblica amministrazione), gli andamenti forniscono utili informazioni circa
la natura della trasformazione che questa società ha subìto nell’arco di
soli quarant’anni (si veda la fig. 3). Osserviamo in particolare che la percentuale degli addetti in agricoltura è passata da un valore intorno al 39
per cento della popolazione attiva nel 1951 a circa il 9 per cento nel 1981
e tenderà a scendere fino al 6 nel 2001. Se consideriamo che in questo
periodo la produttività per unità di superficie è sensibilmente aumentata
si può facilmente intuire la dimensione del processo di riconversione di
questo settore, con il ricorso massiccio alla meccanizzazione, alla tra-
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Figura 5. Ricostruzione (1983) e previsione dei volumi annui fluiti per usi industriali nel
bacino del Po (valori dei volumi fluiti in miliardi di m3).
Fonte: elaborazioni dell’autore su dati del Ministero dell’Agricoltura, Consorzio per il Canale
Emiliano- Romagnolo, 1990
1971 un livello massimo di circa 3,6 miliardi di metri cubi, mentre tendono leggermente a ridursi negli anni successivi (si veda la fig. 5) a causa
dell’adozione progressiva di sistemi di produzione a risparmio d’acqua.
I dati sottolineano la particolare intensità e la rapidità dei processi di
trasformazione e di consumo delle risorse di questo territorio e spiegano,
anche se non giustificano, le difficoltà incontrate fino ad ora nell’attuare
un efficace piano di risanamento e di governo delle acque.
3. La vertenza «qualità delle acque» nel bacino del Po
3.1. Gli scarichi liquidi
Dalla figura 2 risulta che una grossa parte dell’acqua prelevata viene
restituita ai corpi idrici dopo essere stata utilizzata per le varie attività. Nel
bacino del Po questa porzione corrisponde a un volume di circa 6,7
miliardi di metri cubi all’anno, di scarichi provenienti dalle attività civili,
industriali e agricole.
Prendendo come dato di riferimento la quantità di acqua defluita nel
1981 a chiusura di bacino, pari a 42,6 miliardi di metri cubi, risulta che un
volume di circa un sesto di quest’acqua è costituito dagli scarichi delle
331
attività. Questa valutazione non tiene conto delle quote depurate, ma
nemmeno degli scarichi inquinanti diffusi, prodotti attraverso il drenaggio dei suoli e il dilavamento dell’atmosfera. Occorre inoltre ricordare
che piccoli volumi di acque di scarico con elevate concentrazioni inquinanti possono alterare la qualità di grossi volumi di acque pulite.
I maggiori carichi inquinanti vengono generati, ovviamente, nelle aree
del bacino a più elevata urbanizzazione e industrializzazione. Il rapporto
tra «popolazione equivalente» industriale e quella residente nel bacino
risulta di 4 a 1, rispetto a un valore medio nazionale stimato in 2,5 a 1, a
riprova della forte industrializzazione di quest’area.
I settori industriali che producono i maggiori carichi inquinanti nell’industria sono nell’ordine le industrie alimentari, quelle chimiche, della
carta e tessili, che rappresentano circa l’80 per cento del carico inquinante
complessivo di origine industriale: il dato non tiene però conto della diversa tossicità delle sostanze contenute negli scarichi e quindi della pericolosità potenziale.
Al carico inquinante derivante dagli usi domestici e dalle attività industriali è da aggiungere quello connesso alle attività zootecniche (allevamenti animali a carattere industriale), pari a circa 50 milioni di «abitanti equivalenti». Secondo questo metodo di misurazione l’inquinamento industriale, agricolo e zootecnico prodotti viene rapportato all’inquinamento civile standard prodotto da un abitante in un giorno. In tal
modo è possibile definire in termini di «abitanti equivalenti» il carico inquinante prodotto entro il territorio di un comune, di una provincia, di
una regione, di un bacino idrografico: per fare un esempio una mucca
inquina come sedici uomini, un maiale come tre, la lavorazione di una
tonnellata di barbabietole inquina come ottantatré uomini e un addetto a
una cartiera come sessanta. Tuttavia, non tutto il carico inquinante generato sul territorio (carico potenziale) riuscirà ad arrivare ai corpi idrici e,
mediante appositi coefficienti, è possibile stimare la quota di carico inquinante effettivamente sversato nei corpi idrici.
In relazione all’importanza che alcune «sostanze nutrienti» rivestono
nel processo di eutrofizzazione dei laghi e del mare, risulta interessante
conoscere i carichi di azoto e di fosforo sversati annualmente nei corpi
idrici dalle diverse fonti di generazione. Per il Po essi ammontano a circa
243.630 tonnellate di azoto e a 23.050 di fosforo (secondo un’altra fonte
il solo carico inquinante per il dilavamento dei suoli coltivati sarebbe di
100.000 tonnellate di azoto e 10.000 di fosforo). Il contributo maggiore
alla formazione di questi carichi inquinanti proviene, per l’azoto, dal drenaggio dei suoli coltivati, mentre per il fosforo dalla popolazione residente.
332
Il carico inquinante complessivo generato entro il bacino risulta di
circa 2,5 milioni di tonnellate di B.O.D. (Domanda Biologica di Ossigeno)
all’anno, mentre quello sversato nei corpi idrici, non considerando l’abbattimento per interventi depurativi, è di 1,5 milioni di tonnellate. Sulla
base dei volumi idrici degli scarichi si avrebbe così una concentrazione
media allo scarico di 214 milligrammi per litro di B.O.D., assimilabile alle
classiche concentrazioni degli scarichi urbani.
Se immaginiamo ora di poter depurare tutte queste acque di scarico,
l’ordine di misura della spesa si aggirerebbe teoricamente intorno ai quindicimila miliardi per la costruzione degli impianti e ai tremila miliardi
all’anno per i costi di gestione. Secondo alcune fonti si sarebbero già
spesi nel territorio del bacino del Po, per la costruzione di impianti dí
depurazione, dai sei ai diecimila miliardi.
Continuando a ipotizzare che sia possibile depurare tutti questi scarichi con una efficienza dell’80 per cento, si avrebbe comunque uno scarico residuo nei corpi idrici di 300.000 tonnellate di B.O.D. all’anno, oltre ai carichi provenienti dall’inquinamento diffuso sul territorio e non
intercettabili per la depurazione.
3.2. I rifiuti solidi
Tutte le attività umane producono rifiuti; in parte essi vengono riutilizzati e quindi riciclati nel processo produttivo, in parte depurati, ma la
quota maggiore viene scaricata nelle acque e nel suolo.
La quantità e la qualità dei rifiuti solidi prodotti è mutata radicalmente
nel volgere dí qualche decennio. Ancora negli anni cinquanta in una città
come Milano i rifiuti solidi venivano smaltiti in una discarica a cumulo
dalla quale si effettuava la cernita a mano dei materiali riutilizzabili.
Analizzando le modificazioni nella composizione merceologica dei rifiuti
di questi ultimi decenni si potrebbe ricostruire la trasformazione economica e produttiva del paese: ad esempio nel 1950 i rifiuti solidi avevano
un peso di 260 chilogrammi per metro cubo, nel 1970 il peso è passato ai
150 per metro cubo ed è attualmente intorno ai 100. Oggi i rifiuti contengono in media solo i140 per cento di sostanza organica, mentre includono il 20 per cento di carta, l’8 di plastiche e gomma, il 6 di metalli, il 6
di vetro, il 2 di legno e il 16 dí altro materiale non classificabile.
La normativa vigente definisce come rifiuti tutte le sostanze derivanti
da attività umane o da cicli naturali, abbandonate o destinate all’abbandono. Dal punto di vista della loro origine si distinguono rifiuti urbani,
industriali e zooagricoli. Dal punto di vista della pericolosità si distinguono rifiuti urbani (Rsu), rifiuti speciali (inerti di origine civile, da au333
todemolizione, ospedalieri, industriali assimilabili ai solidi urbani, inerti di
origine industriale) e tossici e nocivi (Rtn). Sono rifiuti tossici e nocivi i
rifiuti speciali che contengono o sono contaminati da particolari sostanze
in determinate concentrazioni.
I dati sulla produzione di rifiuti nella Padania fanno riferimento al
territorio delle quattro principali regioni – Piemonte, Lombardia, Veneto
ed Emilia-Romagna – per una popolazione residente complessiva di
ventun milioni di abitanti.
Secondo i dati del Ministero dell’Ambiente (1989) la quantità di rifiuti
solidi urbani prodotti in queste regioni è pari al 36,4 per cento di quella
del territorio nazionale, per i rifiuti speciali di origine industriale è pari al
46,5 per cento, per i tossici e nocivi la percentuale è del 49,4; considerando come rifiuti solidi anche le deiezioni prodotte negli allevamenti
industriali di bovini e suini quest’ultima è pari al 63,7 per cento (si veda la
tab. 2). Non esistono invece dati attendibili sulle quantità smaltite in
impianti conformi alla normativa. L’unico dato, peraltro carente, è quello
relativo alla situazione nazionale da cui risulta che solo il 20 per cento
circa di questi rifiuti verrebbe afferita alle aziende preposte allo scopo (si
veda la tab. 3). Si deve quindi presumere che il resto dei rifiuti venga
smaltito in discariche abusive, spesso collocate lungo gli alvei dei corsi
d’acqua.
Per quanto concerne la valutazione dei costi per lo smaltimento risulta
che per i soli Rsu il costo totale per anno (al 1986) nelle quattro regioni sia
dell’ordine di 766 miliardi (si veda la tab. 4). Con la legge 441/87 sono
Tabella 2. Produzione di rifiuti solidi in Piemonte, Lombarda, Veneto ed Emilia-Romagna
rispetto al totale nazionale (valori in tonnellate per anno e quota sul totale in percentuale).
Totale quattro regioni
Totale nazionale
6.431.472
17.686.496
36;4
12.942.059
95.651
791.161
20.166.000
1.799.000
34.374.305
234.646
1.750.349
43.478.000
3.460.000
10.191.311
16.008.900
37,7
40,8
45,2
46,3
49,4
63,7
Rifiuti soldi urbani
Inerti
Ospedalieri
Rottami veicoli
Rifiuti speciali industriali, di cui
tossici nocivi
DDeiezioni di bovini e suini
(sostanza secca)
Fonte dati del Ministero dell’Ambiente, 1989.
334
%
Tabella 3. Stima delle quantità di rifiuti prodotte e capacità di smaltimento con impianti conformi
alla normativa sul territorio nazionale (valori in tonnellate per anno).
Tipo di rifiuto
Quantità prodotta
Capacità smaltimento
17.300.000
80.100.000
1.800.000
34.400.000
200.000
3.000.000
13.400.000
23.500.000
3.800.000
97.400.000
5500.000
n.d.
1.000.000
n.d.
—
compresa in Rsu
Rifiuti urbani
Speciali
autodemolizioni
inerti civili
ospedalieri
industriali assimilabili agli Rsu
inerti industriali
altri industriali non tossici e nocivi
tossici e nocivi
Totale
11.000.000
17.500.000?
Fonte dati del Ministero dell’Ambiente, 1989.
Tabella 4. Stima dei costi annuali per i servizi di raccolta e smaltimento dei Rsu (numero di
abitanti in valore assoluto; valori dei costi in migliaia di lire al 1986).
Piemonte, Lombardia, Veneto
ed Emilia-Romagna
Italia
Abitanti
Costo per abitante
21.267.000
56.000.000
36
43,8
Costo totale
765.612.000
2.452.800.000
Fonte-. dati del Ministero dell’Ambiente, 1989.
Tabella 5. Risorse allocate in base alla legge 441/87 per l’adeguamento dei sistemi di smaltimento dei Rsu (valori assoluti in miliardi di lire e valori in percentuale).
Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna
Italia
Fonte: dati del Ministero dell’Ambiente, 1989.
335
Valore risorse
%
460,411
1284,917
35,8
100,0
stati allocati per lo smaltimento dei Rsu nelle quattro regioni 460 miliardi
(si veda la tab. 5). Restano ancora da risolvere gravi problemi per l’organizzazione dei servizi di raccolta, per l’ammodernamento degli impianti
di smaltimento, per la bonifica di discariche abusive e per la ricerca di
tecnologie di smaltimento meno impattanti per l’ambiente, che richiederanno una seria pianificazione degli interventi sul piano organizzativo, finanziario e di educazione della opinione pubblica.
3.3. I principali problemi di qualità delle acque
Le acque superficiali e sotterranee versano in condizioni precarie in
quasi tutta la pianura padana a causa dell’intensità e della varietà delle
cause di inquinamento e per l’insufficiente politica di risanamento. Sul
fiume Po la balneazione è vietata in modo pressoché generalizzato e la
potabilizzazione di queste acque è possibile solo con trattamenti spinti.
Le soglie «di rischio» e di «sicurezza» per la vita acquatica sono superate
in numerosi punti.
L’uso irriguo delle acque è in genere consentito per tutte le colture tolleranti, con qualche problema, in alcune zone, per quelle più esigenti. Lo
stato di qualità degli affluenti del Po, in particolare di quelli che attraversano aree fortemente urbanizzate e che presentano minori portate, è
in genere ancora più scadente. Le falde superficiali della pianura padana
sono nella generalità compromesse per gli usi civili diretti, mentre quelle
profonde manifestano, in ampie zone ad agricoltura intensiva, un progressivo incremento nelle concentrazioni di nitrati e pesticidi. Nelle aree
più industrializzate e urbanizzate si ritrovano in falda tracce di sostanze
tossiche che testimoniano la presenza di pericolose vie di penetrazione
attraverso il filtro del sottosuolo.
Si può quindi affermare che nel bacino del Po il principale fattore limitante per un’utilizzazione ottimale delle acque è oggi costituito dalla
qualità di esse. Nel bilancio idrologico della Padania esiste quindi una
voce anomala costituita da quei volumi di acqua che, per le precarie condizioni di qualità, non sono direttamente disponibili per le attività umane.
E questa anomalia non si risolve all’interno della Padania, ma ha un’appendice di rilievo nell’alto Adriatico con il contributo che il Po fornisce
all’inquinamento delle zone costiere.
3.4. Qualità e quantità delle acque
Un aspetto spesso trascurato nella gestione delle acque è quello delle
relazioni fra quantità e qualità. Il primo grande depuratore delle acque
336
nel bacino è infatti costituito dal fiume, ma le sue capacità autodepurative sono condizionate prima di tutto dalle disponibilità idriche.
Il fiume Po è sempre stato un fiume pericoloso e ha richiesto nei secoli continui interventi dí regolazione delle acque e di consolidamento
degli alvei al fine di. proteggere le popolazioni e le attività. Il complesso
di questi interventi, unito alle massicce derivazioni e alla produzione di
scarichi, ha finito tuttavia per incidere in modo negativo sulle possibilità
di risanamento di queste acque. Anche per questo il bacino del Po costituisce in Italia l’esempio più significativo della complessità del governo
delle acque e la testimonianza nel contempo della necessità di un «progetto integrato» di gestione della quantità e della qualità delle acque a
scala di bacino. Al riguardo basta accennare solo ad alcuni dei molti problemi creati dalla carente gestione delle acque.
La costruzione fino a oggi di oltre duemila chilometri di arginature ha
prodotto un irrigidimento della rete idrica con una riduzione del volume
di invaso e il conseguente aumento dei picchi di piena. Inoltre le grandi
opere di bacinizzazione montana, legate allo sfruttamento idroelettrico
delle acque, le rettificazioni dei torrenti, le grosse derivazioni per uso irriguo hanno esaltato il carattere torrentizio del fiume, accentuando i periodi di magra. Nell’area deltizia la riduzione delle portate favorisce la risalita del cuneo salino e l’intrusione di queste acque nelle falde. Portate
inferiori ai 300 metri cubi al secondo nella sezione di chiusura del bacino
determinano gravi difficoltà alle utenze attuali. Non vi è quindi solo íl rischio delle piene, ma anche quello delle magre.
Sull’intero bacino sono attive 285 centrali per la produzione di energia elettrica 272 delle quali idroelettriche e 11 termico-convenzionali (2
nucleari in fase di riconversione), per un totale di 17.940 MW di potenza
nominale complessiva.
Per quanto riguarda l’agricoltura padana il prelievo complessivo di
acqua per uso irriguo è di circa 20 miliardi di metri cubi all’anno, destinata a una superficie irrigua di pianura di 1.300.000 ettari (3.256.000 secondo altri).
In questi ultimi decenni nella pianura padana è stato progressivamente
adottato un modello anomalo di utilizzo delle acque che, stimolato dal
progressivo degrado della qualità delle acque superficiali, si avvale in
modo sempre più massiccio delle acque sotterranee, con un’utilizzazione
indiscriminata e spesso in conflitto con il mantenimento del necessario
equilibrio idrico e dei naturali livelli di qualità delle stesse. È quindi necessario correggere questa linea di tendenza, risparmiando e selezionando
i vari tipi di acqua a seconda delle esigenze dei consumi e recuperando la
qualità delle acque superficiali.
337
Anche se la Padania è sempre stato un territorio con elevate disponibilità idriche, la compromissione di grossi volumi d’acqua ha aumentato
la conflittualità fra le diverse categorie di utilizzatori; conflittualità che,
invece di trovare risposte razionali in valide motivazioni economicoambientali, continua a favorire protezionismi e sprechi.
4. Altre insidie all'integrità dei fiumi padani
4.2. L’occupazione dei terreni golenali
Tutelare l’integrità dell’ambiente fluviale è la prima condizione per il
suo risanamento. E da oltre mezzo secolo che le golene del Po sono state
delimitate dagli attuali argini maestri, ma è all’interno di questi argini che
si è scatenato negli ultimi decenni uno dei processi più radicali di trasformazione dell'ambiente fluviale.
Per le esigenze della protezione dalle piene, della navigazione, della
escavazione di inerti, delle coltivazioni, si è cercato sempre più di contenere le piene ordinarie del fiume entro l’alveo di magra, mediante imponenti opere arginali. I terreni strappati in questo modo al fiume sono diventati territorio di conquista. I terreni demaniali vengono acquisiti dai
privati mediante aste pubbliche, accessioni, concessioni e occupazione
abusiva. Subito dopo vengono spianati, le lanche vengono colmate con
materiali vari e le superfici occupate in prevalenza da pioppeti. Il resto è
preda dell’urbanizzazione e degli escavatori che asportano milioni di metri cubi di inerti dall’alveo di piena e da quello di magra.
Tutto questo avviene a spese della vegetazione riparia naturale, che un
tempo formava una «zona filtro» essenziale come trappola per í nutrienti
drenati dalle aree coltivate, e a spese della funzione autodepuratrice del
fiume per la riduzione dei tempi e delle superfici di contatto acqua-sedimenti e acqua-aria. Mentre un tempo le acque si distendevano su di un
alveo che raggiungeva spesso un chilometro di ampiezza, aggi al contrario vengono contenute in un alveo di circa 250 metri: questo ha comportato un aumento del potere erosivo delle acque, un continuo abbassamento dell'alveo di magra, un incremento delle punte di piena.
4.2 Le attività di escavazione di inerti dagli alvei
Ancora oggi in Italia buona parte delle attività estrattive sono rappresentate dall’escavazione di materiali litoidi dai greti dei corsi d’acqua.
Se consideriamo che per le cave in aree demaniali le imprese di esca338
vazione pagano allo stato (sui volumi ufficialmente concessi) un canone
di concessione di circa 1.200 lire per ogni metro cubo di ghiaia e di sabbia (prezzo variabile nel tempo e a seconda delle province) e che i prezzi
di vendita al pubblico per metro cubo variano in media da 7.000 lire per
ciottoli grossi a 17.000 lire per sabbia lavata fine (Iva e trasporto esclusi) e
se inoltre si tiene conto dei limitati costi di esercizio e degli scarsi controlli sui volumi effettivamente scavati, si può capire come l’attività
estrattiva sia sempre stata altamente remunerativa e perciò agguerrita.
Se questa attività venisse condotta nel rispetto del bilancio solido del
fiume o si limitasse a ripristinare le condizioni idonee a un normale flusso
delle acque, non produrrebbe grossi impatti. Dal momento però che
l’apertura di una cava di fiume deve essere il più possibile remunerativa,
la tentazione è quella di sfruttare tutto il materiale disponibile, a prescindere dalle esigenze del fiume.
Lungo l’asta del Po, da Piacenza al mare, si contano ben sessanta cantieri di escavazione per una potenzialità dí scavo media giornaliera di 1.500
metri cubi. Considerando una attività dí duecento giorni all’anno, pur a
potenzialità ridotta, essi possono asportare non meno di 18 milioni di
metri cubi all’anno. Facendo un bilancio fra le potenzialità di ripristino da
parte del fiume e l’entità del materiale scavato, si evidenzia un deficit in
grado di determinare un abbassamento dell’alveo di 15 centimetri all’anno:
negli ultimi vent’anni, infatti, l’alveo del fiume si è abbassato di circa tre
metri. Ciò ha provocato la risalita del cuneo salino nella zona del tizia, la
messa in crisi di idrovore che prelevano l’acqua per l’irrigazione, un
minore apporto di sabbie sulle spiagge adriatiche, la compromissione delle
imponenti difese spondali.
La responsabilità di questi dissesti è sicuramente degli escavatori, ma
anche delle istituzioni preposte al controllo, le quali si sono dimostrate
incapaci di regolamentare correttamente la materia e di vigilare adeguatamente.
4.3. La navigazione fluviale
Il sistema idroviario padano-veneto, l’unico sistema idroviario italiano,
può contare su di un capitale di opere già realizzate, e solo parzialmente
sfruttate, di circa ventimila miliardi. Esso comprende i 402 chilometri
dell’asta del Po, da Pavia a Polesine Camerini (navigabili fino a Cremona)
i 20 chilometri del Po di Levante, principale sbocco del Po in Adriatico
(navigabili), i 14 chilometri dell’Idrovia Po-Brondolo, che collega il Po
alla Laguna di Venezia (navigabili), i 70 chilometri dell’Idrovia Ferrarese
che da Pontelagoscuro arriva in Adriatico a Porto Garibaldi (navigabili),
339
i 63 chilometri della Idrovia Milano-Cremona-Po (di cui 15 costruiti), i
139 chilometri della Idrovia Fissero-Tartaro-Canal Bianco che va da
Mantova al canale Po-Brondolo (navigabili i primi 15 chilometri), i 135
chilometri della Idrovia Litoranea Veneta che collega la laguna veneta
con l’Isonzo (navigabili), i 28 chilometri della Idrovia Padova-Venezia (di
cui 15 chilometri costruiti).
La frammentarietà e la scarsa convinzione con cui si è proceduto in
Italia ad attivare un sistema moderno di navigazione fluviale trova una
conferma clamorosa nel grande porto fluviale di Cremona, snodo centrale
per il collegamento con i grandi centri industriali della Padania, che giace
da tempo pressochè inutilizzato. La moderna navigazione fluviale in Italia
ha sofferto e continua a soffrire l’azione combinata di due fattori limitanti:
la scarsa disponibilità di corsi d’acqua naturalmente idonei a un trasporto
idroviario economicamente conveniente e la forte competizione con altri
tipi di utilizzazione dei fiumi.
Le prospettive di sviluppo di questo sistema idroviario devono tener
conto di questi limiti e ritagliarsi un ruolo realisticamente possibile, contribuendo a risolvere i problemi dei fiumi e del territorio più che ad aumentarli, ed evitando di lasciarsi abbagliare da ciò che è avvenuto in altri
paesi, ma in altri tempi e in altri contesti territoriali. Una possibilità è che
la navigazione fluviale italiana si colleghi più strettamente al piccolo
cabotaggio via mare, dal momento che i 7.456 chilometri di coste e la
sessantina di porti costituiscono un punto di partenza concreto. Questo
consentirebbe di allungare le percorrenze dei carichi e di assicurare
maggiori margini di economicità al trasporto via acqua. Ma ciò richiede
anche di modificare la logica fino a ora seguita dando priorità alle opere
di navigazione e alle infrastrutture sui tratti terminali dei corsi d’acqua,
per risalire successivamente e gradualmente verso l’interno. La pianura
padana potrebbe ad esempio collegarsi con la rete idroviaria dei paesi
dell’Est, attraverso l’ex Jugoslavia, proponendosi come tramite tra le aree
più sviluppate d’Europa e i mercati in espansione dell’Est.
Solo in questi termini le prospettive della navigazione fluviale possono assumere qualche interesse, altrimenti le opere per rendere navigabili i corsi d’acqua si riveleranno soltanto interventi impattanti per il
naturale funzionamento dei fiumi. In genere infatti queste opere tendono a irrigidire l’alveo, canalizzando le acque per poter avere un tirante
adeguato alla navigazione per un periodo il più lungo possibile. Questo
comporta la riduzione del divagare delle acque, limitando il ruolo naturale delle aree golenali e della vegetazione rip aria. A queste opere vanno
aggiunti gli sbarramenti e le conche di navigazione, le impermebilizza340
zioni dei canali, la costruzione di porti, l’aumento dei rischi di inquinamento accidentale.
Ancora una volta è quindi necessario che questi piani di trasformazione delle vie d’acqua siano armonizzati con i piani di bacino e di risanamento delle acque, valutando correttamente i costi-benefici delle operazioni e progettando gli interventi nel massimo rispetto per le esigenze
complessive di funzionalità del fiume.
5. Verso un governo integrato delle acque a scala di bacino
5.1. I limiti dell’attuale politica ambientale
Sono tre i fattori che da sempre hanno regolato il rapporto dell’uomo
con l’ambiente: le sue necessità, il suo livello di conoscenza e i valori che
informano la società in cui vive. Ne consegue che una politica ambientale
dovrebbe impegnarsi contemporaneamente e in modo equilibrato su tre
fronti: quello di rispondere alle esigenze dell’uomo e nel contempo di
orientarle, quello di conoscere sempre meglio il funzionamento dell’ambiente e quello dell’affermazione dei valori della qualità della vita e della
qualità dell’ambiente.
Assistiamo invece a una politica ambientale che tende a privilegiare
ora un aspetto ora l’altro. Ai due estremi vi sono coloro che ritengono
che sia solo una questione di soldi e di tecnologie, oppure coloro che
sono convinti che sia sufficiente proteggere qualche specie a rischio di
estinzione per garantire un futuro all’umanità.
In genere si cerca di porre rimedio agli effetti del degrado con provvedimenti tampone, mentre non si riesce a intervenire sulle cause del degrado. Si procede per tentativi e solo quando i problemi ambientali assumono una dimensione non più sopportabile, si manifesta la reazione
dell’opinione pubblica, seguita dalla richiesta di un intervento che non
potrà essere che di emergenza. Non esiste un progetto per l’ambiente e
nessuno si pone il problema di capire in quale ambiente dovremo vivere
fra dieci, venti o cent’anni. Un tempo si aveva la presunzione di costruire
per l’eternità, oggi si costruisce senza un futuro.
L’amministrazione pubblica subisce i problemi ambientali invece di
prevederli e governarli: ne prova fastidio per la continua novità delle situazioni che mal si conciliano con gli schemi mentali della burocrazia e
l’organizzazione degli uffici. I conflitti di competenza si sprecano per la
trasversalità della questione ambientale e l’incapacità di decidere chi,
come, dove e quando operare. Tutto questo è ben lontano da un governo
341
dell’ambiente, che non potrà certo eliminare completamente il rischio,
ma che potrebbe ridurne la probabilità e soprattutto garantire la qualità e
la disponibiltà di risorse in condizioni ordinarie. Se il rischio è parte integrante del vivere quotidiano, la conoscenza, il controllo, la prevenzione,
la manutenzione, la buona amministrazione della cosa pubblica costituiscono un complesso di azioni mirate a impedire al rischio di diventare
una costante.
5.2. I principi e l’organizzazione di un ideale governo delle acque a scala di
bacino
La gestione delle acque in Italia si caratterizza ancora oggi per la frammentarietà delle competenze e la mancanza di un governo coordinato del
ciclo naturale e artificiale dell’acqua a scala di bacino. Mentre nazioni
come l’Inghilterra, la Francia e la Germania hanno attivato ormai da qualche decennio piani organici di gestione delle acque, in Italia si contano
ancora diciassette enti che hanno competenza su aspetti particolari dí
questa gestione.
Le organizzazioni internazionali hanno da tempo indicato alcuni principi su cui si dovrebbe fondare la gestione delle acque, e il primo è che
l’acqua è una risorsa che deve essere usata «economicamente» e nell’interesse collettivo. Questo richiede di:
— dare priorità alla protezione degli ambienti acquatici naturali e all’acqua da utilizzare per usi potabili, nell’ambito del complesso delle varie
utilizzazioni;
— adottare una strategia coordinata per i prelievi, la distribuzione, il
trattamento, l’uso e lo scarico delle acque;
— ridurre gli sprechi e armonizzare le esigenze di quantità e di qualità
nella gestione delle reti idriche;
— coordinare la gestione delle acque superficiali con quella delle acque sotterranee per le strette interrelazioni esistenti. L’acqua di falda dovrebbe essere riservata prioritariamente per gli usi potabili;
— adottare misure adeguate per la protezione dei suoli dall’erosione e
la protezione dalle inondazioni.
Tutto ciò richiede adeguate strutture tecnico-amministrative a livello
di bacino e a livello centrale, in grado di approntare adeguati piani integrati e a lungo termine. Questi piani devono rifarsi al principio dell’uso
ottimale delle risorse idriche, tenendo conto degli impatti degli interventi
sugli ambienti naturali. Dovrà sempre più essere la disponibilità di risorse
342
a orientare i nuovi insediamenti idroesigenti: i piani delle acque devono
integrarsi coni piani territoriali e urbanistici. In particolare í compiti delle
Autorità di bacino dovranno essere quelli di:
— favorire la protezione e il risanamento degli ambienti acquatici e
la qualità di queste acque;
— garantire la fornitura di acqua per i diversi usi in quantità e qualità
adeguate;
— garantire adeguati sistemi di fognatura, di canalizzazione degli scarichi e di trattamento depurativo;
— favorire l’uso ricreativo degli ambienti acquatici;
— attivare sistemi idonei per la conoscenza, la prevenzione e il controllo delle caratteristiche quali-quantitative delle risorse idriche superficiali e sotterranee;
— fornire la supervisione per le opere di drenaggio delle acque, di
difesa dei suoli dall’erosione e di difesa dalle piene, comprese le opere
di difesa dal mare;
— gestire questo complesso di attività potendo contare il più possibile
su una propria autonomia finanziaria derivante dagli introiti per la vendita dell’acqua, per i servizi di fognatura e depurazione e per altri servizi
forniti;
— attivare un sistema di informazione-formazione dell’opinione
pubblica sullo stato delle acque e degli ambienti acquatici e sui modi per
una corretta fruizione.
5.3. L’autorità di bacino del Po
La legge quadro 183/89 sulla difesa del suolo e la protezione delle acque ha costituito il primo tentativo di dare sistemazione organica a una
materia fin qui regolata dai Testi Unici dei primi del Novecento o da interventi legislativi settoriali.
Anche se con notevole ritardo rispetto alla legislazione internazione
essa ha correttamente collocato all’interno dei confini naturali del bacino
idrografico gli ambiti della gestione delle acque, collegando la difesa del
suolo alla difesa dalle acque e delle acque ed estendendola fino agli usi di
esse. In questa legge si introduce una corretta logica programmatoria che
consente di cogliere le priorità di azione, le relazioni causa-effetto degli
interventi e di orientare i finanziamenti attraverso un unico piano amministrativo. Si tenta inoltre di collegare i piani territoriali e urbanistici al
fine di orientare lo sviluppo del territorio compatibilmente con le disponibilità e le esigenze di protezione delle risorse. La legge si propone inoltre di risolvere l’annoso conflitto di competenze, in materia di acque, fra
343
stato centrale e regioni. Si chiarisce infatti l’autonomia regionale nell’ambito dei bacini regionali e interregionali e la loro partecipazione al governo dei bacini di rilievo nazionale (Aa.Vv.,1990).
In particolare, con il Dpcm 203/89 è stata istituita l’Autorità di
Bacino del Po. Essa ha oggi una sede a Parma, un comitato istituzionale,
un comitato tecnico, un segretario generale e una segreteria tecnicooperativa. Il suo compito prioritario è quello di «elaborare e adottare uno
schema previsionale e programmatico ai fini della definizione delle linee
fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento alla difesa del
suolo e della predisposizione del piano di bacino, sulla base dei necessari
atti di indirizzo e coordinamento». Impresa non semplice dovendo prima
di tutto superare i forti conflitti di competenza e la vecchia mentalità
settoriale, con il rischio che essi diventino elemento frenante al punto da
vanificare le migliori intenzioni.
Questa legge si inserisce inoltre in un sistema normativo complesso e
non coordinato a riceverla. Citiamo solo alcuni dei nodi da sciogliere: la
duplice dipendenza a livello centrale dal Ministero dei Lavori pubblici e
dal Ministero dell’Ambiente, il mancato coordinamento con la legge per
«La tutela delle acque dall’inquinamento» (319/76), con la legge urbanistica, con le attuali competenze per la gestione dei servizi acquedottistici,
di fognatura e depurazione, la mancata revisione del principio delle concessioni idriche e così via.
A tre anni di distanza dall’approvazione della legge restano irrisolti
buona parte di questi problemi e l’Autorità di Bacino non sembra ancora
avere gambe proprie per camminare. Un fatto è comunque certo: il successo o l’insuccesso del Piano di bacino del Po, per la sua rilevanza, avrà
un effetto contagioso su tutta la politica di gestione delle acque in Italia.
Riferimenti bibliografici
Aa.V v., La difesa del suolo e la politica delle acque, Milano, Giuffrè, 1990.
Gerelli, E., Ascesa e declino del business ambientale. Dal disinquinamento alle
tecnologie pulite, Bologna, il Mulino, 1990.
Ghetti, P. F., Manuale per la difesa dei fiumi e delle acque interne, Torino,
Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, in corso di stampa.
Ministero dell’Agricoltura, Consorzio per il Canale Emiliano-Romagnolo,
PoAcquAgricolturAmbiente, Bologna, II Mulino, 1990, 12 voll.
Ministero dell’Ambiente, Relazione sullo stato dell’ambiente, Roma, Poligrafico
dello Stato, 1989.
344
Seconda parte
Il contesto europeo
345
346
Parigi-Lione dieci anni fa. Torino-Lione tra dieci anni?
Olivier Klein
Premessa
Si deve costruire un’infrastruttura ferroviaria ad alta velocità tra
Venezia, Milano, Torino e Lione? Che cosa ci si deve attendere da una
tale realizzazione? Quali ne saranno gli effetti? In quale strategia di sviluppo economico può integrarsi questo investimento? A queste domande
si possono dare numerose risposte. Una delle strade d’obbligo per un ricercatore lionese è quella di osservare le esperienze paragonabili che lui
conosce.
L’esperienza francese relativa all’alta velocità e ai suoi effetti socioeconomici, per quanto possa apparire relativamente di lunga data in
Europa, non è, tutto sommato, così consistente. Tenuto conto dell’inerzia delle abitudini, è necessario un lasso di tempo considerevole prima di
poter riscontrare eventuali trasformazioni imputabili all’offerta di un
nuovo tipo di trasporto (a titolo di esempio, il Laboratorio di economia
dei trasporti è attualmente impegnato, per conto del Ministero francese
dei Trasporti, nella realizzazione di inchieste tra quanti viaggiano tra
Parigi e l’ovest della Francia, inchieste destinate a rilevare in dettaglio le
evoluzioni dei motivi di spostamento in occasione dell'entrata in servizio
del Tgv-Atlantique. Secondo una metodologia identica alle ricerche condotte all’inizio degli anni ottanta nel Sudest, un’ondata di inchieste è stata
realizzata nel 1989, proprio prima della trasformazione dell’offerta nel
trasporto. L’ondata a posteriori è prevista per il 1993, cioè dopo quattro
anni di alta velocità). Ciò spiega come i soli risultati accertati non riguardino che le relazioni tra Parigi e il sudest della Francia. In queste condizioni ciò che si è potuto constatare nel nostro paese, in occasione dell’entrata in servizio di servizi ferroviari ad alta velocità, non è evidentemente
riproducibile con identiche modalità e senza distinzioni in un altro contesto. Ciò nondimeno si possono trarre numerosi insegnamenti, che dovrebbero permettere di comprendere meglio ciò che rischia di avvenire
quando linee ferroviarie ad alta velocità valicheranno le Alpi.
347
Il carattere non direttamente riproducibile delle osservazioni che si
sono potute effettuare in Francia impone forti limitazioni alle conclusioni
che possono essere utilizzate per analizzare meglio l’avvenire transalpino.
La prima di queste limitazioni è la complessità. Non ci sono risultati semplici, facilmente trasponibili. È per questa ragione che noi ci soffermeremo a precisare il contesto in cui gli effetti socioeconomici dell’alta velocità hanno potuto manifestarsi. A questo riguardo, una prima parte sarà
destinata a far meglio cogliere la realtà del Tgv tra Parigi e il sudest della
Francia. In effetti non è solo un record di velocità: si tratta di treni che
circolano, con orari, frequenze e qualità di servizio determinati; il Tgv è
anche la gente che lo utilizza, gli scambi che si effettuano per suo tramite.
Queste caratteristiche sono essenziali per affrontare la questione della
conseguenze di questa nuova offerta di trasporto sullo sviluppo socioeconomico di Lione e della sua regione. Non si tratta di tentare un impossibile bilancio definitivo, ma dí mettere in risalto, con l’aiuto dei risultati dei diversi studi che sono stati condotti, i principali punti di evoluzione che si sono constatati. Con l’aiuto di questa esperienza decennale
di alta velocità tra Parigi e Lione cercheremo, dunque, di spingerci avanti
di dieci anni nel futuro, per considerare un’eventuale linea ferroviaria rapida sotto le Alpi.
1. Il Tgv a Lione: quale realtà?
Il Tgv circola ora da più di dieci anni tra Parigi e il sudest della Francia.
Per comprendere meglio quali possano essere le sue conseguenze, e anche
per veder meglio da dove esse provengano, è necessario considerare che
cosa esso realmente sia.
1.1. Un’offerta di trasporto originale
Il Tgv non è un treno molto veloce, è un’offerta di trasporto originale.
La rapidità è effettivamente una delle sue carte vincenti, ma le frequenze
di servizio, l’affidabilità della gestione, il comfort offerto sono ugualmente
determinanti per l’uso che si fa di questo treno. Consideriamo uno a uno
questi differenti aspetti:
— rispetto ai treni che circolavano in precedenza il Tgv ha permesso,
dal momento dell’apertura totale della nuova linea tra Parigi e Lione, di
guadagnare due ore, ciò che rappresenta un dimezzamento dei tempi di
percorrenza tra le due città;
348
— grazie alla possibilità che il Tgv ha di circolare sulle vecchie strade
ferrate, questi guadagni di tempo hanno potuto essere estesi ben oltre
Lione, fino a Nizza e Albertville, ad esempio;
— questa compatibilità del Tgv ha altresì il vantaggio di permettere di
servire i centri città senza costi addizionali o traumi urbani eccessivi: così
il centro di Parigi è più vicino a quello di Lione con il Tgv che con l’aereo. È proprio la nozione di velocità utile che è determinante per l’utente,
quella che tiene conto dell’insieme della catena di trasporto, compresi i
tragitti terminali;
— esaminando gli schemi di servizio messi in opera, se ne incontrano
due tipi differenti. Il primo, il più comune, è organizzato sulla base dí
qualche possibilità di viaggio il mattino, a metà giornata e in serata. Il secondo, tra Parigi e Lione per l’appunto, offre una frequenza di partenze
elevata: venti treni collegano quotidianamente queste due città in entrambe le direzioni. Questi differenti livelli di flessibilità introducono
comportamenti diversificati negli spostamenti;
— in confronto all’aereo il Tgv offre, inoltre, una maggior affidabilità
e un accresciuto comfort. Non si tratta di fare promozione per un tipo dí
trasporto o per un altro. L’importante è sottolineare che questo livello di
qualità permette alle ferrovie di attirare una parte rilevante di una clientela
ad alto livello di responsabilità. Il Tgv è un prodotto di fascia superiore
nei trasporti. La società di gestione può certamente trarre vantaggio da
questa situazione. Qui l’essenziale è mostrare che gli adattamenti
comportamentali potenzialmente determinati dal nuovo mezzo di trasporto rischiano d’essere qualitativamente rilevanti. La modificazione
delle abitudini di dirigenti d’azienda può, ad esempio, avere conseguenze
economiche non trascurabili.
1.2. Una modificazione importante della domanda di trasporto...
L’arrivo del Tgv nel sudest della Francia ha fortemente modificato la
domanda di trasporto, tanto in volume quanto in struttura. In volume la
progressione è spettacolare: il traffico tra Parigi e il sudest della Francia è
passato da 12,2 milioni di viaggiatori nel 1980 ai circa 20 milioni di oggi.
Tra Parigi e Lione il numero dei viaggiatori è stato moltiplicato per 2,5
(sino a raggiungere il totale di 3,7 milioni). Bisogna sottolineare che la
crescita del traffico Tgv continua a lungo dopo la sua entrata in servizio:
da un lato sembra che i fenomeni di induzione di nuova mobilità si distribuiscano su un lungo periodo e, dall’altro, che il Tgv abbia permesso
alle ferrovie di penetrare nei segmenti portanti del mercato dei trasporti
di persone. L’esame degli scarti nei tassi di crescita tra le diverse zone della rete della Sncf è, a questo proposito, istruttivo.
349
Questa notevole progressione del traffico ferroviario può essere analizzata con maggior precisione. Si noterà in particolare che la prima classe
ha visto crescere il suo traffico più della seconda. Il Tgv permette appunto
alla Sncf di impiantarsi su un mercato «ricco». In egual modo gli spostamenti per motivi professionali hanno conosciuto l’aumento più forte, in
particolare tra Parigi e Lione. Un’altra sorgente di indicazioni sulla natura
del nuovo traffico ferroviario è lo studio della sua origine modale: si tratta
di distinguere nel traffico del Tgv i viaggi che, se questo non fosse esistito,
sarebbero stati effettuati con il treno classico da un lato, con l’aereo, in
auto e, infine, i viaggi che non avrebbero avuto luogo (non ci sono linee
regolari di autocorriere tra Parigi, Lione e il sudest della Francia). Si mette
così in evidenza che la crescita di traffico determinata dal Tgv è
attribuibile per la metà al passaggio da un altro mezzo di trasporto al
treno (33% dall’aereo, 18% dalla vettura privata); l’altra metà (49%) è
costituita da traffico indotto, vale a dire da spostamenti che non sarebbero
stati effettuati in assenza del Tgv.
Queste cifre nascondono grandi disparità, segnatamente in funzione
dei rispettivi tempi di percorrenza. Così il Tgv collega Parigi a Lione in
due ore. Su questo collegamento, l’aereo ha perso la metà della sua clientela, che si ritrova sul treno, dove rappresenta circa il 50% del nuovo traffico ferroviario. Tra Parigi e le altre città del sudest della Francia i tempi di
percorrenza del Tgv sono compresi fra le tre e le sei ore. In questa situazione i passeggeri persi dalle compagnie aeree non rappresentano più
che il 25% dei guadagni totali della Sncf.
1.3. … spiegabile con le modificazioni di comportamento negli sposta-
menti
Approfittando delle nuove possibilità di spostamento create dal Tgv,
e di tariffe di gran lunga inferiori a quelle dell’aereo, gli utenti hanno modificato le loro abitudini. La principale conseguenza della nuova offerta di
trasporto è stata la moltiplicazione dei viaggi più corti (in tempo), ma più
frequenti. In concreto, e particolarmente tra Parigi e Lione, numerosi
viaggiatori effettuano ormai l’andata-ritorno in giornata o addirittura nella
mezza giornata; questa evoluzione è stata consentita dalla riduzione dei
tempi di percorrenza. È così possibile, ad esempio per un lionese, tenuto
conto dei tempi dei tragitti terminali, disporre di otto ore e mezza dí
lavoro a Parigi, pur partendo da casa propria il mattino e rientrando. la
sera. Ma l’adozione generalizzata di questo tipo di comportamento poggia parimenti sulla flessibilità nell’organizzazione di una giornata di lavoro, determinata da alte frequenze di servizio.
350
Con partenza da Parigi, i tempi di arrivo alle diverse destinazioni del
Tgv del sudest si distribuiscono su un arco di tempo che va da un’ora e
venticinque minuti a più di sette ore. È stato, dunque, possibile individuare le soglie a partire dalle quali i viaggi andata-ritorno «espresso» sono
giudicati impossibili dall’utente. Si constata, così, che un tempo di percorrenza di due ore è il massimo ammesso per effettuare la rotazione
nella mezza giornata. Il limite per una giornata di lavoro intera si situa
verso le tre ore e mezza. Questi particolari sono più importanti di quanto
non sembri: quando ci si avvicina a una di queste «soglie», i minuti guadagnati o persi non sono privi di conseguenze; in effetti, vista la loro ampiezza, queste fratture nel comportamento degli utenti rischiano spesso
di corrispondere anche a fratture negli effetti socioeconomici di tali progetti di trasporto.
2. Il Tgv a Lione: quale immagine?
Il Tgv ha dato ai trasporti per ferrovia l’occasione per un completo
rinnovamento di immagine. Esso ha acquisito una notorietà pari a quella
dell’aereo, e molto più valorizzante di qualsiasi altro mezzo di trasporto.
In un’ottica di complementarità, lo scarto esistente tra i servizi ferroviari
classici e i servizi ad alta velocità pone, per altro, alcuni problemi. La sua
buona immagine il Tgv la deve ancora, in parte, a prestazioni ancora
poco comuni. Si può, tuttavia, immaginare che queste tendano a divenire
banali. Ma oggi la sua buona immagine deriva anche dall’impiego che se
ne può fare. Senza essere realmente «l’ultimo ritrovo alla moda», il Tgv è
divenuto un luogo di riunioni di lavoro informali, un luogo dove si incontrano i dirigenti lionesi.
Un altro aspetto dell’immagine di questo mezzo di trasporto è il modo
in cui questa è utilizzata da differenti partner, in particolare dalle collettività locali: il Tgv è veicolo di un’immagine globale di competitività, di
efficienza e di elevata prestazione. I vari territori tentano di associarsi a
queste qualità, sovente con la speranza di attirare investitori e imprese:
infatti – ritornerò più tardi sull’argomento – il fenomeno funziona piuttosto per esclusione che per richiamo. Il Tgv diviene poco alla volta il servizio minimo che ogni regione deve poter offrire: quelle che non l’hanno,
o non l’avranno, passano per più arcaiche.
351
3. Gli insegnamenti di dieci anni di esperienza
Malgrado il tempo trascorso siamo ancora parecchio ignoranti sugli
effetti del Tgv. In effetti, se dieci anni sembrano un lungo periodo nella
vita di un uomo, tale arco di tempo non sempre permette ai processi di
modificazione dei tessuti economici di stabilizzarsi.
3.1. La problematica di partenza: regione Rhône-Alpes, capitale Parigi?
La Francia possiede la particolarità di essere un paese ancora molto
centralizzato. Non mi trasformerò in professore di geografia, ma è necessario sapere che per ogni regione del nostro paese le relazioni con
Parigi sono, e di gran lunga, le più importanti; «Région Rhône-Alpes, capitale Paris?» è il titolo, volutamente provocatorio, di un articolo pubblicato nel 1980 da Alain Bonafous, destinato a sottolineare le questioni
che sembravano essere poste dal collegamento ferroviario ad alta velocità tra Parigi e Lione. Le relazioni di quest’ultima con la capitale sono
infatti importanti in volume, in primo luogo, perché la capitale e la sua
regione concentrano circa il 20% della popolazione francese; ma è la dominazione economica a essere la più flagrante: tra i vari indicatori descrittivi della potenza economica di una regione è facile constatare che,
più uno possiede una dimensione qualitativamente importante, più la supremazia parigina è netta. Ad esempio, con il 20% della popolazione
Parigi e la sua regione producono il 27% del Pil e raggruppano il 78%
delle sedi delle cinquecento maggiori imprese francesi. Parigi è un peso
massimo, in Francia e in Europa.
La regione Rhône-Alpes, di cui Lione è la capitale, è la seconda regione economica del paese. Tanto per popolazione che per Pil essa rappresenta all’incirca il 9% della Francia; essa gode di uno sviluppo economico relativamente equilibrato, comprendente in particolare una industria pesante diversificata (chimica di base, costruzioni meccaniche e
così via), settori di alta tecnologia (farmacia e chimica d’alto livello, elettronica e informatica e altri ancora), un forte potenziale di ricerca ed
estese attività terziarie. Malgrado ciò Parigi resta un gigante.
Quando si è assodato che il Tgv stava per avvicinarli a questo mostro,
i lionesi hanno tremato all’idea dí essere assorbiti, posti nell’orbita parigina. Questo timore era fondato sull’osservazione che, sempre e ovunque, le difficoltà di comunicazione hanno permesso ai più deboli di resistere ai più forti. Inoltre, all’epoca, il vasto movimento di decentramento
politico e amministrativo, che la Francia ha conosciuto in seguito, non
era iniziato; la costruzione del mercato unico europeb era assai meno
352
avanzata. In breve Parigi era tutto. In questo contesto si comprenderà facilmente come l’impatto socioeconomico del collegamento ad alta velocità sia stato oggetto di studi approfonditi.
3.2. Gli effetti socioeconomici del Tgv: una questione complessa, ma es-
senziale
Non c’è una risposta globale, sintetica, facile e universale alla questione
dei legami tra offerta di trasporto e sviluppo economico. Paradossalmente,
questa ammissione di debolezza è uno dei passi avanti della scienza economica nel corso di questi ultimi vent’anni. In effetti gli uomini politici in
particolare hanno una forte propensione a produrre discorsi «mistici» su
questo tema: quando si tratta di attirare una autostrada, una linea di
metropolitana o un servizio ferroviario, la «rottura dell’isolamento» si
vede allora attribuire virtù divine. Si presume che il nuovo mezzo di trasporto porti automaticamente abbondanza e prosperità; al contrario, se si
auspica il rifiuto di una infrastruttura, ciò provocherebbe immancabilmente
la rovina dell’economia locale. Oggi numerose osservazioni, tra cui quelle
compiute riguardo al Tgv a Lione, permettono di inficiare questa visione
meccanicistica degli effetti di una nuova offerta di trasporto.
La difficoltà nel dare una risposta precisa alla questione deriva anche
dall’impossibilità di separare, nell’evoluzione socioeconomica di una regione, ciò che dipende da una modificazione delle condizioni di trasporto
da ciò che risulta da altre modificazioni del contesto generale. Malgrado
queste riserve, bisogna tener presente che i servizi ad alta velocità possiedono, tramite i settori di attività e le persone cui si rivolgono, un alto
potenziale di trasformazione del tessuto economico di una regione. L’importanza di queste conseguenze può superare di gran lunga le variazioni
di volume dei traffici. Oggi è generalmente ammesso che gli effetti di una
nuova infrastruttura di trasporto non hanno nulla di automatico. Tutto
dipende dalla capacità degli operatori locali di approfittare delle opportunità offerte.
3.3. Uno strumento per l’industria turistica
L’attività turistica è forse il settore che illustra più chiaramente tali conseguenze. L’effetto immediato del Tgv è stato quello di ridurre considerevolmente la durata dei soggiorni per motivi professionali: il settore alberghiero lionese ne ha incontestabilmente sofferto. All’opposto, la rapidità dell’istradamento verso Parigi e il suo costo relativamente poco elevato hanno permesso di prendere in considerazione prodotti totalmente
353
nuovi. Dal lato turismo in uscita si sono potuti sviluppare i soggiorni brevissimi a Parigi (visita di un’esposizione, spettacoli e così via). Quanto al
settore ricettivo, la maggior vicinanza della prima località turistica del
paese (si parla sempre di Parigi) ha facilitato l’accoglienza congressuale e
permesso alle agenzie lionesi di proporre circuiti tematici (ad esempio il
ristorante Bocuse) con andata-ritorno da Parigi e in giornata. Nell’insieme della regione Rhône-Alpes, molte località hanno goduto di una
maggior accessibilità, tanto che si trattasse di monumenti isolati quanto di
complessi più vasti, come le stazioni sciistiche dei dintorni di Albertville.
Tutte queste nuove possibilità avrebbero potuto non concretizzarsi: i
professionisti della regione hanno saputo porle in essere, mostrando
anche di saperle utilizzare per conservare autonomia nell’esercizio
della loro attività.
3.4. Un bersaglio primario: le attività di servizi alle imprese
Il settore detto «terziario superiore», che comprende le attività di studio consulenza e assistenza, è quello la cui reazione al Tgv è stata osservata con la maggior cura. Questa scelta, per nulla casuale, è il risultato di
una duplice considerazione: da una parte questo settore sembra particolarmente strategico per lo sviluppo economico locale, dall’altra si è rivelato rapidamente molto sensibile al nuovo contesto creato dal Tgv.
I lavori, condotti in particolare dal Laboratorio di economia dei trasporti, hanno dapprima permesso di misurare la forte sensibilità del settore all’alta velocità. La quota delle motivazioni «acquisto o vendita di
servizi» nell’insieme degli spostamenti professionali tra Parigi e la regione
lionese è passata dal 18 al 22% tra il 1980 e il 1985. Devo qui insistere sul
fatto che questa evoluzione è direttamente legata alle modificazioni di
comportamento negli spostamenti messe in luce più sopra. In seguito è
comparsa una forte asimmetria tra le relazioni di Parigi verso Lione e le
relazioni in senso inverso. Questa asimmetria non è d’altronde specifica
per le attività di servizi. Essa può, nondimeno, essere illustrata da questo
settore; mentre la crescita degli spostamenti dei lionesi per «acquisto o
vendita di servizi» è stata del 144 %, quella dei parigini è stata «soltanto»
del 52%. Questo fenomeno può essere spiegato da una maggior forza di
attrazione del mercato parigino, punto di passaggio obbligato verso la
Francia e l’Europa.
Infine sono state messe in evidenza le strategie di adattamento dell’organizzazione e del funzionamento delle diverse imprese, secondo il tipo
di servizi che forniscono e le caratteristiche del loro mercato. Si è potuto
distinguere:
354
le imprese locali, poco toccate dal Tgv;
le imprese regionali, indipendenti e specializzate, attive entro un
mercato ristretto, molto localizzato e spesso poco sensibili al Tgv;
— le imprese regionali, indipendenti, ma operanti su mercati meno «appuntiti» e, per questo, più aperti. Il Tgv provoca una intensificazione della
concorrenza. Obbliga, dunque, a dinamizzare le strutture per renderle più
competitive; al tempo stesso permette a queste imprese di valorizzare le
loro competenze su mercati più estesi, segnatamente impiantando agenzie di rappresentanza a Parigi;
— le imprese affiliate a gruppi con sede altrove: la loro attività sembra
poco modificata dall'arrivo del Tgv, anche se i contatti con la loro casa
madre risultano facilitati. Ad ogni modo le strategie dí gruppo, che hanno
spesso già condotto a nuovi insediamenti in Rhône-Alpes, paiono sostanzialmente indipendenti dal Tgv;
— le imprese il cui mercato è senz’altro extra-regionale, che traggono
beneficio dalle possibilità di raggiungere facilmente e a costo contenuto
il più grande mercato di Francia, Parigi: il Tgv può favorire il loro sviluppo.
—
—
La conclusione di queste osservazioni è duplice: da una parte il
Tgv non ha avuto finora effetti negativi sulle attività di servizi lionesi.
Al contrario l’estensione di certe imprese regionali verso il mercato
nazionale testimonia la competitività suscitata dal Tgv. D’altra parte i
mercati parigino e lionese sono ormai più strettamente legati. Ciò
deve permettere ai diversi soggetti che vi operano di avvicinarsi alla
dimensione «europea», quella che metterà in condizione di poter
approfittare dell’apertura delle frontiere nella Cee. All’avvicinarsi di
questa scadenza, questo aspetto è importante per la Francia e, in
particolare, per la regione Rhóne-Alpes.
Una domanda resta, comunque, senza risposta: non si rischia, alla
fine, di assistere a una fuga delle imprese regionali con le migliori
prestazioni? È ancora troppo presto per rispondere, ma ciò significa
già che questo fenomeno non si è ancora verificato; al contrario si
può anche immaginare che questo scenario sarebbe accelerato nel
caso in cui il collegamento ad alta velocità non esistesse.
3.5. La localizzazione delle imprese sempre più indipendente dalle questioni di
trasporto
È una costante della storia economica degli ultimi decenni quella di
vedere diminuire il peso relativo delle spese di trasporto nei consumi delle
355
imprese; inoltre il Tgv è apparso in un contesto di crisi economica grave,
poco favorevole a movimenti spettacolari. In queste condizioni gli effetti
del Tgv in questo campo non potevano che essere ridotti. Se una nuova
infrastruttura di trasporto non è certo più in grado di provocare una
delocalizzazione può in compenso orientarla, attirando nuove attività. In
un contesto in cui le moderne facilità di spostamento sono largamente
diffuse, il Tgv appare come un «bonus». La ridondanza delle possibilità è
per l’utilizzatore una garanzia di flessibilità: per questo – e il fenomeno si
rafforzerà con l’estendersi della rete Tgv – è la non disponibilità di questo
servizio che appare come discriminante. Tuttavia esiste un certo numero
dí attività la localizzazione delle quali è quasi totalmente libera: sono
sufficienti uffici attrezzati per le telecomunicazioni. Per queste «postazioni» molto mobili la presenza del Tgv può essere un elemento determinante. Il rovescio di questa estrema mobilità è che la scelta di una sistemazione non è mai definitiva e può essere rimessa in gioco molto rapidamente. A parte le operazioni di risistem azione delle zone prossime
alle stazioni, che sono abitualmente condotte in occasione dell’arrivo del
Tgv in una località, il mercato immobiliare degli uffici può testimoniare
questo fenomeno: a Lione, negli immediati dintorni della stazione di
Part-Dieu, esiste una domanda molto specifica da parte di imprese
attirate là dal Tgv.
A conclusione di questo rapido bilancio di dieci anni di esperienza
dell’alta velocità, si possono fare numerose osservazioni. La prima concerne la diversità degli effetti che si possono constatare: alcuni settori di
attività possono essere indicati a priori come molto ricettivi alle opportunità offerte da un mezzo di spostamento rapido; tuttavia appare chiaro
che nulla consente di risparmiarsi un esame esauriente dei diversi modi di
utilizzare un servizio di trasporto accelerato. In seguito, conviene concedere particolare attenzione alle trasformazioni strutturali cui i trasporti
ad alta velocità possono prendere parte. Questo ci conduce alla vera conclusione sull’argomento: un servizio ferroviario ad alta velocità è uno
strumento di pianificazione del territorio nella misura in cui si trova ad
appoggiare una strategia più globale. Il modo giusto di affrontare la questione è sempre meno quello di cercare di individuare gli effetti di
un’eventuale nuova offerta di trasporto: oggi bisogna piuttosto esaminare
la misura in cui questa offerta di trasporto permette di avvicinarsi agli
obiettivi strategici che ci si pone.
356
4. Fra Torino e Lione: le potenzialità di un progetto
Il collegamento fra Torino e Lione e i suoi prolungamenti a ovest e a
est presentano sicuramente caratteristiche socioeconomiche ben diverse
dal Tgv fra Parigi e Lione. Tra gli insegnamenti generali che possono, tuttavia, essere tratti da questa esperienza iniziale terremo a mente, in primo
luogo, l’importanza determinante della realtà effettiva dell’offerta di trasporto. Tenuto conto dello stato di avanzamento del progetto per collegare la valle del Rodano alla pianura del Po, va da sé che numerosi parametri possono ancora cambiare. Ma conviene sin d’ora tenere a mente il
ruolo particolare dei tempi di percorrenza.
Molti elementi convergono infatti nel designare í tempi di tragitto
compresi tra due e tre ore come una porzione particolarmente sensibile;
si osserva, ad esempio, che questa durata corrisponde all’adozione da
parte dei potenziali viaggiatori di un tipo di mobilità che privilegia la frequenza di soggiorni di breve durata. Per tempi di percorrenza più lunghi
si viaggia, al contrario, meno sovente, ma si resta più a lungo nel luogo di
destinazione. Due-tre ore di tempo di percorrenza ferroviaria sono anche la zona in cui si invertono i termini della concorrenza con le compagnie aeree. Si può ricordare, in prima approssimazione, che sui collegamenti coperti dal Tgv in tre ore, la quota di mercato della ferrovia equivale a quella dell’aereo (il che, tenuto conto del traffico non libero, «riservato» al treno qualunque cosa avvenga, corrisponde a una posizione
dominante dell’aereo nella fascia di mercato in cui vi è vera concorrenza);
allorché si prende il Tgv per due ore soltanto, la ripartizione tra i mezzi è
in favore della ferrovia in misura dell’80 o 90% del mercato. Queste
modificazioni che accompagnano l’accorciamento dei tempi di percorrenza coincidono con una valorizzazione più intensiva delle opportunità
offerte dai servizi ad alta velocità.
Allo stadio in cui sono gli studi del progetto Lione-Torino sembra
acquisito che, in caso di realizzazione di un’infrastruttura ad alta velocità,
la capitale piemontese si troverà a circa un’ora da Chambéry, un’ora e
mezza dai principali poli del Rhône-Alpes e del Lemano (Lione,
Grenoble e Ginevra) e a due ore da Losanna o da Saint-Etienne. Se si
paragonano queste prestazioni a quelle che sono attualmente realizzabili
(oggi sono necessarie non meno di quattro ore per collegare Torino a
Lione) si misurano i progressi prospettati: le condizioni di spostamento
tra le nostre due regioni alpine di frontiera si troveranno a essere totalmente trasformate. Lo choc rappresentato da questo miglioramento radicale dell’offerta di trasporto metterà forse i diversi operatori economici di queste regioni in condizione di approfittare delle nuove oppor357
tunità messe loro a disposizione. Qualunque cosa succeda, i trasporti di
persone non saranno più l’ostacolo che conosciamo oggi nello sviluppo
degli scambi da una parte e dall’altra delle Alpi occidentali. Poco oltre,
Parigi (a condizione che vi sia una infrastruttura ad alta velocità integrale)
e la regione di Marsiglia si troveranno a tre ore da Torino. Una corretta
valutazione delle modificazioni socioeconomiche che potrebbero intervenire in favore dell’apertura di una linea ad alta velocità attraverso le
Alpi implica che si misurino correttamente le prestazioni attese. Bisogna
dire allora con chiarezza che le condizioni di spostamento verso le due
metropoli francesi non verranno rivoluzionate. Il miglioramento – conseguente – dell’offerta ferroviaria non riguarderà che la metà dei viaggiatori in movimento su questi percorsi, quanto meno se gli andamenti
abituali saranno rispettati (senza voler fornire dati previsivi sul traffico
fra Torino e Lione, tali supposizioni sono avallate dall’osservazione di
altri collegamenti ad alta velocità). La valutazione che si può, allora, dare
su queste trasformazioni non è univoca. Da un lato l’induzione di traffico, rivelatrice dello sviluppo degli scambi umani tra queste regioni, sarà
probabilmente significativa; dall’altro la metà degli spostamenti che continueranno a usare un mezzo di trasporto concorrente non vedranno migliorare le loro condizioni di viaggio. Conviene notare che, da un punto
di vista economico, questa seconda metà, costituita in gran parte da
viaggi per motivi professionali, è senza dubbio portatrice del più forte
potenziale di arricchimento degli scambi.
Fra Torino, da un lato, e Parigi o Marsiglia, dall’altro, ci si può dunque
attendere un miglioramento significativo dell’offerta di trasporto, ma
senza dubbio insufficiente a offrire la possibilità di una modificazione
strutturale di prima grandezza degli scambi economici. Per chiarire il
punto, va precisato che non si tratta di predire se una tale trasformazione
interverrà effettivamente, ma soltanto di mostrare che l’alta velocità ferroviaria non può rispondere che in modo assai parziale all’incremento
complessivo degli scambi.
In partenza da Milano, si può procedere a considerazioni analoghe,
semplicemente aggiungendo un’ora ai tempi di percorrenza indicati in precedenza. La regione Rhône-Alpes è allora accessibile in due o tre ore (due
ore e mezza per Lione). Queste prestazioni corrispondono a quelle della
zona sensibile in cui l’evoluzione delle potenzialità dei servizi ad alta velocità è rapida: ne consegue che il guadagno o la perdita di qualche minuto
rappresenta in questo caso una posta significativa. Non è, poi, meno vero
che le durate dí tragitto prospettate permetteranno alle ferrovie di giocare
un ruolo essenziale negli scambi tra le due regioni. In questa situazione
l'alta velocità è senza dubbio un importante fattore di trasformazione.
358
Tutti i collegamenti che non sono ancora stati menzionati, e che sarebbero coinvolti nella realizzazione di una nuova infrastruttura ferroviaria tra Lione e Torino, manterranno le relative distanze in tempo superiori o uguali a quattro ore. Senza negare l’interesse di guadagnare
tempo nei servizi di trasporto terrestre relativi a tali collegamenti, bisogna
dire senza ambiguità che la portata di questi miglioramenti è, per sua
natura, assai limitata, non foss’altro a causa dello scarto che permane rispetto alle prestazioni del mezzo più rapido. Non c’è rischio che appaia
nessuna nuova attività economica o sociale in conseguenza delle nuove
caratteristiche dell’offerta di trasporto. Su queste distanze una liberalizzazione dei trasporti aerei, in particolare con l’abbassamento dei prezzi
che l’accompagnerebbe, avrebbe senza dubbio un impatto di ben altra
importanza. Diciamolo, dunque, apertamente: dal punto dí vista delle
possibilità di spostamento offerte, una linea ad alta velocità in direzione
di Lione non rappresenta per la Padania né un’apertura verso Bruxelles
né verso Londra e neppure verso Barcellona.
5. Verso lo spazio delle Alpi occidentali?
La prima conclusione che va tratta dall’esame delle caratteristiche
dell’offerta ad alta velocità è che predominano le poste in gioco relative
alle regioni più prossime, da una parte e dall’altra, al massiccio alpino:
Piemonte e Lombardia da un lato, bacino del Lemano e Rhône-Alpes
dall’altro. Al di là delle nuove opportunità, che lo sviluppo di mezzi di
trasporto con maggiori prestazioni potrebbe portare, ci sono numerose
ragioni per pensare che gli scambi attraverso le Alpi dovrebbero intensificarsi. Da questo punto di vistai legami storici e culturali, che uniscono
tali regioni da lunga data, sono senz’altro una buona carta. Senza risalire
al Medioevo, durante il quale Lione era la principale piazza finanziaria dei
banchieri lombardi, senza riandare ai secoli in cui la pianura del Po era
l’obiettivo principale delle guerre che i più aggressivi trai sovrani francesi
condussero, bisogna convenire che oggi le popolazioni delle nostre
regioni conservano l’impronta di mescolanze demografiche e culturali significative. La lingua italiana è diffusa dai bordi del lago di Ginevra fino
alle rive dell’Isère o della Saona, mentre il francese resta lingua parlata sul
versante orientale delle Alpi. A questa identità culturale condivisa si
aggiunge una certa affinità, che aiuta a consolidare i legami.
Ragionando momentaneamente sul solo trinomio Piemonte-LemanoRhône-Alpes c’è, da un punto di vista economico, un particolare interesse a veder incrementati i rapporti. Ciò si deve alle dimensioni degli
359
spazi economici costituiti da ciascuna di queste entità. In effetti ci troviamo qui di fronte a tre grandi regioni economiche, ma senza che nessuna di loro possa paragonarsi ai pesi massimi che dominano l’Europa.
Si tratta di grandi «seconde regioni» alla ricerca di un equilibrio, divise
tra la volontà di padroneggiare il loro proprio destino e la necessità di
restare strettamente inserite in uno spazio dominato da altri. Il RhôneAlpes conosce questo problema nei confronti di Parigi e Ginevra,
Losanna nei confronti della Svizzera tedesca e Torino verso Milano. Ma
questa identità di disegno non basta per costituire un disegno comune.
E anche necessario che ciascuno dei partner abbia l’occasione di lavorare con gli altri. Ciò implica un difficile equilibrio tra settori di attività
comuni, che permettano di ritrovarsi, e settori di attività specifici, in
mancanza dei quali sono i rapporti di concorrenza che prevarrebbero
fatalmente. Sembra che, da questo punto di vista, la situazione delle regioni che consideriamo non sia sfavorevole. Rimangono da trovare vere
complementarità tanto interne (offrire agli altri due partner ciò che non
hanno a casa loro) quanto esterne (offrire insieme una gamma completa
di prodotti e di servizi all’esterno).
6. Quali assi di sviluppo in Europa?
In Francia, dopo che la nostra Délégation à l’Aménagement du
Territoire (Datar) ha pubblicato un atlante che identifica una «mezzaluna fertile», che si estende da Londra a Milano, evitando accuratamente il nostro paese, tutti si affannano nella ricerca di nuovi assi di sviluppo, che verrebbero a riequilibrare questa mostruosa megalopoli. Due
tendenze vengono alla luce: la prima consiste nel far scivolare questa
mezzaluna verso ovest, in modo che estenda i suoi benefici al nostro territorio; a livello di trasporti ciò si traduce in una politica che propone
la costituzione di un asse pesante che segua la via tradizionale da Lille a
Parigi, a Lione e alla valle del Rodano, e che si estenda verso la Gran
Bretagna, il Benelux, la Spagna e l’Italia. Questo asse funzionale attirerebbe una parte significativa dei traffici nord-sud in Europa, evitando
l’asse renano. Una seconda direzione di lavoro dei «creatori di assi» è
quella di immaginare nuovi schemi. È così che si sente parlare di un
«arco atlantico», che corre dall’Irlanda al Portogallo, di un asse lotaringio (Francoforte-Lione-Barcellona), di un arco mediterraneo (lungo
la costa tra Roma, Marsiglia e Barcellona o al contrario, più all’interno,
per Milano e Lione) e, più recentemente, di un asse nord-alpino da
Vienna a Lione. Una parte di queste proposte ha carattere di esercizio
360
di comunicazione, visto che talune regioni approfittano dei servizi dei
media per far parlare dei loro progetti. C’è, tuttavia, qualche illusione
dietro queste immagini. Presso il Laboratorio di economia dei trasporti
del Cnrs abbiamo sviluppato, in Réseaux à grande vitesse et territoires
économiques en Europe, una concezione dell’organizzazione spaziale delle
attività secondo cui i settori dominanti (sorgenti di plusvalore e di
potere) tendono a strutturarsi secondo uno schema detto a «rete connessa»; queste reti sono costituite da nodi di attività distanziati a priori gli
uni dagli altri, ma che mirano a ricreare tra loro una prossimità, fondata
su mezzi di comunicazione di elevate prestazioni, su ritmi di attività e su
pratiche identici. Questa analisi delle evoluzioni attuali contraddice in
larga misura la rappresentazione di uno sviluppo per assi. Da un lato
alcuni nodi, o punti, sono collegati tra di loro, dall’altro c’è una
superficie che viene irrigata dall’asse. Si può, a mo’ di caricatura,
prendere l’esempio della piccola città di frontiera di Modane, che si
trova sull’asse Lione-Torino, ma che non è coinvolta nelle relazioni tra i
due agglomerati. Ecco riunito un certo numero di argomenti che sembrano sottrarre all’alta velocità ferroviaria qualsiasi influenza sulla strutturazione su larga scala dello spazio europeo: non solo essa è inadatta a
favorire lo sviluppo di attività che implichino spostamenti su distanze
molto lunghe, ma il carattere strategico, che il collegamento tra Lione e
Torino traeva dalla sua posizione all’incrocio di un asse nord-sud e di un
arco mediterraneo, sembra svuotato del suo significato. Di fatto conviene relativizzare questa valutazione, precisando quali possano essere
gli obiettivi che una città come Torino può raggiungere in Europa. Per
un’agglomerazione di queste dimensioni, e da un punto di vista economico, l’essenziale è stringere maggiormente i contatti con un certo numero di altri centri di affari, di dimensioni paragonabili o superiori. L’essenziale è inserirsi in queste reti d’innovazione o di decisione, che dominano sempre più il sistema economico. Questo approccio non è più
territoriale. Non si tratta più di avanzare verso il nord, l’est o il mar
Mediterraneo, ma piuttosto di penetrare in una rete, rafforzando le proprie relazioni con quanti ne fanno parte. Per Lione, Ginevra o Milano
possono essere tappe che permettono di esser meglio inclusi nella sfera
finanziaria e, perché no, di rafforzare tramite questa via i propri scambi
con Amsterdam o Francoforte.
Ginevra o Milano sulla via di Amsterdam o di Francoforte? La geografia tradizionale è decisamente messa a soqquadro. Di fatto questi assi,
mezzalune o archi sono senza dubbio immagini facili da trasmettere: ma
sono pericolosi perché traggono in inganno circa le priorità che conviene
fissare per raggiungere certi nodi strategici.
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La conclusione che si può trarre da tutto ciò per le relazioni tra Piemonte-Lombardia, Lemano e Rhône-Alpes è relativamente semplice. Essa
riprende l’idea emersa a conclusione dell’esperienza lionese. Un collegamento ad alta velocità attraverso le Alpi non potrà servire a ridisegnare lo
spazio europeo se non alla sola condizione che i tre partner abbiano strategie convergenti. Per Torino, Lione è sulla strada per Barcellona non a
causa di una distanza chilornetrica minore, ma perché la metropoli rodanoalpina compie ogni sforzo per inserirsi meglio nelle reti di cui fanno parte i
catalani.
362
Reti ad alta velocità e territori economici in Europa
Olivier Klein
1. Effetti strutturanti sull’ambiente globale
Negli anni sessanta e settanta la problematica degli effetti strutturanti
delle infrastrutture di trasporto è stata oggetto di un certo numero di riflessioni nell’ambiente scientifico dell’economia applicata: in Europa era
l’epoca delle grandi dotazioni autostradali. In Francia François Plassard
(1977) ha segnato una tappa di questo dibattito, mostrando che era illusorio ricercare legami di causalità diretti tra la messa in opera di una nuova
offerta di trasporto e lo sviluppo economico di una regione. Il periodo
che è seguito è caratterizzato da una netta diminuzione del ritmo di costruzione di nuove infrastrutture (Salini, 1990) e l’interesse dei ricercatori si è limitato allo studio di casi particolari, che permettessero di affinare la precedente conclusione generale.
Oggi la situazione si è nuovamente rovesciata. Il grande scarto esistente tra i livelli di crescita dell’offerta e dei traffici (Ministeri europei dei
Trasporti, 1988), l’aumento dei problemi di congestione (autostrade,
aeroporti), la messa in cantiere di grandi opere di superamento delle barriere geografiche (tunnel sotto la Manica, istmo scandinavo, attraversamenti alpini), l’apparizione dell’alta velocità ferroviaria sono altrettanti
elementi che hanno riportato al centro delle nostre preoccupazioni la
questione degli effetti delle infrastrutture. La problematica iniziale si è,
tuttavia, modificata sotto una doppia influenza: in primo luogo le conseguenze della crisi economica si sono largamente amplificate e si assiste
ormai alla messa in opera di un’organizzazione della produzione profondamente rinnovata anche nelle sue forme di inserimento nello spazio;
inoltre, assai più di prima, le infrastrutture di trasporto vengono realizzate
«a precise condizioni»; quelle che pesano di più riguardano, da una parte,
la protezione delle condizioni di vita e degli equilibri planetari e, dall’altra, le limitate risorse finanziarie disponibili.
Basandosi sulle conclusioni di quindici anni fa, la concezione odierna
di gran lunga prevalente, e che facciamo nostra, è quella di un sistema
363
di trasporto visto come elemento di un ambiente globale delle attività
economiche, ambiente che pone forti condizionamenti all’organizzazione
del sistema produttivo. Sotto l’azione di questi condizionamenti
l’organizzazione della produzione si evolve considerevolmente, esercita
un’azione di ritorno sul suo ambiente e promuove nuove forme territoriali. A sua volta il sistema di trasporto integra, allora, questi nuovi dati di
fatto, vi si adatta. In un simile schema si vede bene che le relazioni fra i
trasporti e la sfera economica sono, in larga misura, indirette. Si capisce
anche meglio che è spesso impossibile evidenziare legami ben orientati di
causalità tra l’una e l’altra trasformazione. Anche una visione in cui i
rapporti di causalità si esercitino nei due sensi pare difficile da formalizzare. In effetti lo schema di base che abbiamo appena presentato è,
in realtà, utilizzato per interazioni multiple, con ritmi temporali di
adattamento estremamente vari: si va a sfociare in un processo continuo
di evoluzione.
Nell’analisi del ruolo dei trasporti in questo processo ogni semplicismo
deve essere messo, altrettanto, da parte: sono lontani i tempi in cui si
poteva pretendere che i costi diretti degli instradarnenti organizzassero lo
spazio secondo princìpi simili a quelli formalizzati da Von Thünen o
Weber. La fortissima diminuzione del peso relativo delle spese legate al
trasporto di beni toglie, per il momento, a queste teorie qualsiasi valore
pratico per l’analisi. Di converso sarebbe erroneo non attribuire al sistema
di trasporto alcuna influenza sui modi nei quali lo spazio si organizza e i
territori si formano.
Tenteremo di mostrare in breve come le reti di trasporto ad alta velocità siano pienamente partecipi delle evoluzioni contemporanee delle
strutture territoriali. In un primo momento mostreremo come la trama
disegnata poco alla volta dall’offerta di trasporto ad alta velocità è elaborata da una logica che le è propria. Da questi principi emergerà il disegno teorico dí una rete, che sarà immediatamente rimesso in discussione. In effetti una seconda parte spiega come i vincoli imposti dal
mondo reale vengano a distorcere questo disegno finale. In seguito abbandoneremo per un poco il mondo dei trasporti. Preciseremo il contenuto delle evoluzioni che colpiscono il sistema produttivo. Il nostro
obiettivo sarà, allora, quello di precisarne l’inserimento nello spazio.
Analizzeremo, allora, la misura in cui le due strutture descritte precedentemente convergono. Rileveremo anche alcune soluzioni di continuità e tenteremo d’indicare a quali condizioni sí possa affrontare il
problema dell’interconnessione fra le reti ad alta velocità e le reti regionali.
364
2. Logica di sviluppo delle reti ad alta velocità"
La realizzazione di un’offerta di trasporto ad alta velocità è, oggi, uno
degli assi principali di evoluzione del sistema di trasporto. Vedremo a
quali trasformazioni dell’ambiente socioeconomico risponda questo
nuovo prodotto. Vorremmo insistere sul fatto che, tramite questo cambiamento, il sistema di trasporto introduce i suoi specifici condizionamenti. Le reti ad alta velocità che compaiono non possono più, allora, essere analizzate come la sola conseguenza di movimenti esogeni. Le strutture che prendono forma sono plasmate anche da ciò che abbiamo chiamato logica dell’alta velocità.
2.1. Un’evoluzione segnata da soglie
L’attività di trasporto di persone è attualmente in piena evoluzione:
progressi tecnologici, rivolgimenti nelle condizioni di mercato, trasformazioni politiche, diversi elementi concorrono a creare questa situazione. In materia di ristrutturazione delle reti di trasporto, le tendenze
attuali paiono riassumibili nelle caratteristiche dell’accelerazione dei
flussi, della loro massificazione e della limitazione dei punti di ingresso
nelle varie reti. L’accelerazione dei flussi è un fenomeno di antica data,
ma il suo processo non è continuo, è segnato da soglie e tappe particolari; queste soglie sono determinate dai progressi materiali delle condizioni di spostamento, ma anche dall’organizzazione economica di questa attività, come pure dai bisogni che le strutture sociali di ogni epoca
creano. Una di queste tappe è consistita nel rendere possibile gli spostamenti in giornata: sono state necessarie le grandi realizzazioni stradali
del XVII secolo, l’aumento della produttività agricola, che lasciava eccedenze per gli scambi e, infine, l’accresciuta potenza – ancora molto
relativa – di una borghesia mercantile perché questa tappa venisse raggiunta a livello regionale. Lo sviluppo e il perfezionamento delle ferrovie non hanno ridotto la Francia alle proporzioni di un viaggio dí ventiquattr’ore se non alla fine del XIX secolo. Si è dovuta attendere la generalizzazione dei voli a largo raggio perché anche il mondo fosse ricondotto a questa dimensione.
Oggi una nuova tappa è all’ordine del giorno: si tratta di rendere possibili spostamenti andata-ritorno in giornata, senza sconfinare nel tempo
di lavoro disponibile a destinazione. Questa esigenza, assai diffusa nel
mondo professionale, si presenta sotto una forma molto simile per í
viaggi per motivi personali. In effetti si assiste, anche in quest’ambito,
all’emergere di una domanda legata alla possibilità di inserire uno spo365
stamento quasi impercettibile rispetto alle attività della giornata.
Allorché, nel 1983, il Tgv ha offerto questa possibilità tra Parigi e Lione,
la risposta della clientela – tanto per affari quanto per turismo – è stata
significativa, confermando con ciò che un bisogno simile fa parte del nostro modo di vivere.
A livello di spostamenti urbani questo stadio di evoluzione è superato
da gran tempo; a livello regionale l’automezzo privato permette già
questo tipo di mobilità. L’offrire, invece, possibilità di spostamento contenuto nella giornata sta al centro delle attuali riflessioni sul divenire dei
trasporti collettivi a media distanza. L’allungamento della distanza squalifica definitivamente i trasporti stradali. L’aereo, su percorsi compresi tra
cinquecento e duemila chilometri, possiede le qualità richieste perché tali
andate-ritorno siano effettuabili. È, piuttosto, la struttura delle reti di
servizio che determina le possibilità effettive e queste reti sono attualmente in rapida evoluzione. A un livello pressoché equivalente, i treni
ad alta velocità si posizionano con decisione su questo fronte, che l’esperienza del Tgv tra Parigi e Lione ha contribuito ad aprire. Gli spostamenti
intercontinentali, infine, senza l’introduzione di un numero significativo
di aerei supersonici, ristagnano attualmente alla tappa precedente. Le
principali evoluzioni si collocano, dunque, con sufficiente chiarezza su
due anelli della catena: gli spostamenti regionali da una parte e gli
spostamenti nazionali o intra-europei dall’altra. La connessione delle reti
di questi due livelli di trasporto con quelle che le completano per i
tragitti terminali deve, dunque, essere oggetto di particolare cura.
2.2. Reti fortemente gerarchizzate
La massificazione dei flussi e la limitazione dei punti di ingresso nelle
reti hanno pesanti conseguenze sulla struttura di queste ultime. Che si
consideri la rete ferroviaria ad alta velocità, poco alla volta attivata in
Europa, oppure i servizi aerei interni alla Comunità, le conseguenze
sono molto simili. Le esamineremo alla luce dell’esperienza francese: in
effetti da una parte questa è abbastanza lunga, in materia di servizi con il
Tgv, perché si possa trarne insegnamento, dall'altra le distanze in gioco
sono del medesimo ordine di quelle che si incontrano correntemente
nella Comunità.
Si constata che Air Inter, come la Sncf per il Tgv, utilizza due grandi
tipi di schemi gestionali distinti. Nel primo tipo di configurazione la domanda di trasporto è sufficientemente forte da consentire una frequenza
dí servizio molto elevata, vale a dire tra le quindici e le venti andate-ritorno quotidiane. È la situazione che prevale tra Parigi e Lione in treno
366
e, in aereo, tra Parigi e Tolosa, ad esempio. Il secondo tipo di schema riguarda i collegamenti per i quali il volume della domanda è più scarso:
consiste nell’organizzazione di un servizio che permetta di viaggiare sia di
mattina, sia a metà giornata, sia di sera con, ogni volta, una o due possibilità soltanto. Questi due modelli di schema di gestione possono, allora, essere messi in rapporto a diversi tipi di agglomerato urbano interessati dall’alta velocità, distinguendo fra agglomerati di tipo 1 (Parigi) di
tipo 2 (Lione e, per estensione, i principali agglomerati urbani francesi che
superino il mezzo milione di abitanti) e di tipo 3 (Digione, Grenoble,
Montpellier e così via, vale a dire le altre grandi città). In base a tale distinzione, si possono poi esaminare gli schemi di servizio realistici:
collegamento tra tipo 1 e tipo 2: secondo il modello di ciò che avviene
tra Parigi e Lione, questi collegamenti sono assicurati servendosi di
una frequenza molto elevata;
collegamento tra tipo 1 e tipo 3: siamo di fronte al caso di un collegamento organizzato sulla base di tre possibilità distinte di viaggio nella
giornata;
collegamento tra due città di tipo 2: il servizio per questo tipo di interrelazione deve a priori esser fatto secondo il modello a tre possibilità ma,
a seconda dell’area di attrazione di ciascuno dei due poli, un’intensificazione della frequenza non è irrealistica;
collegamenti tra tipo 2 e tipo 3 o tra tipo 3: salvo casi particolari, collegamenti ad alta velocità, tanto aerei quanto ferroviari, su tratte di questo
calibro sono poco probabili.
Muniti di queste coordinate, è abbastanza agevole intravvedere le
grandi linee del sistema di trasporti interni della Cee: una sorta di «super-rete» collega ad alta velocità e con alta frequenza le principali capitali politiche ed economiche del continente; questa rete fondamentale
prolunga alcuni dei suoi rami verso le second cities, gli agglomerati che
contano da mezzo milione a un milione e mezzo di abitanti; è un’offerta
di trasporto rapido minimale, che collega queste città tra di loro; questa
offerta minimale serve anche a inserire gli agglomerati più piccoli nel
cuore del sistema. Questa struttura di rete mette in evidenza una fortissima gerarchizzazione dei diversi nodi: non solo le funzioni assicurate da
ciascuno di essi sono fortemente differenziate ma l’entrata in funzione di
servizi ad alta velocità appare per numerosi collegamenti illusoria e ampie parti del territorio resteranno escluse da questa rete.
367
3. Dalla teoria alla pratica dell’alta velocità
Posti questi principi generali, molte realtà vengono a distorcere il disegno teorico della rete che abbiamo appena descritto, primo fra tutti il
problema delle conseguenze dell’esistenza di frontiere che attraversano
l’Europa.
3.1. Reti ad alta velocità e frontiere
Una letteratura insistente, se non abbondante, è apparsa recentemente
a proposito dei «collegamenti mancanti» in Europa. La Comunità tende a
presentare la loro sparizione come una parte consistente del suo
intervento nella pianificazione e nel finanziamento delle infrastrutture dei
trasporti. Di che cosa si tratta esattamente? Si osserva che le moderne reti
di trasporto terrestre hanno una netta tendenza a svilupparsi all’interno
delle frontiere di stato. I collegamenti tra le diverse reti nazionali sono
attrezzati relativamente meno bene e, spesso, con ritardo, come dimostra l’esempio della rete autostradale: le relazioni fra Italia e Francia
sono ancora testimoni di questo sotto-equipaggiamento.
La rete di linee ferroviarie ad alta velocità che, a poco a poco, prende
forma in Europa sembra, per parte sua, accentuare ancor più la differenza
tra collegamenti interni a un paese e collegamenti internazionali. L’Italia,
come la Francia, la Germania o la Spagna, costruisce infrastrutture concepite innanzi tutto per assicurare gli spostamenti interni. Solo la zona
compresa tra Colonia, Londra e Parigi si presta a opere transfrontaliere,
malgrado tutto con parecchie difficoltà. Questa refrattarietà ad affrancarsi
dai limiti nazionali può trovare numerose spiegazioni: nessuna è sufficiente, ma ciascuna reca la sua parte di verità.
Debolezza dei traffici internazionali. La relativa debolezza dei traffici
internazionali sembra la più determinante. In effetti, a parità di ogni altra
condizione, gli scambi tra due città situate dalle due parti di una frontiera
sono più scarsi di quelli che avvengono quando le due città appartengono
allo stesso paese: questa semplice realtà, benché perfettamente intuibile
da chiunque, si rivela, tuttavia, delicata da quantificare con precisione.
Conseguenza ne è che le evoluzioni future di questo fenomeno sono
difficili da discernere con precisione, non sapendosi identificare i fattori
che le determinano (qualche tentativo di quantificazione è stato,
malgrado tutto, compiuto: si veda Nüsser, 1989). Resta il fatto che, sempre a livello intuitivo, tutti «sentono» bene che elementi quali, ad esempio, l’edificazione dell’Europa, una certa armonizzazione dei nostri si368
stemi di vita, lo sviluppo di un fondo culturale comune rendono fortemente probabile un innalzamento del livello degli scambi internazionali
rispetto a quello attuale. Il problema sta tutto nel sapere a quale ritmo e
fino a quale punto si effettuerà il recupero.
Se si ragiona per motivi di spostamento, si possono avanzare alcune
ipotesi: si può così giudicare che l’evoluzione dei viaggi a vocazione turistica o di svago continuerà senza grandi cambiamenti, secondo la tendenza di crescita regolare osservata da molti anni; parimenti ci sono valide ragioni per scommettere che gli spostamenti per motivi personali e
familiari non conosceranno una crescita sensibilmente più forte di quella
della mobilità generale, fintanto che non interverranno eventuali mescolanze di popolazione. La vera posta pare attualmente concentrata piuttosto attorno agli scambi economici. Misurata sul lungo periodo, la crescita dei traffici di persone e di beni tra i paesi della Cee è già più elevata
di quella della circolazione all’interno di ciascuno di essi; tuttavia i traffici
internazionali restano a un livello ben inferiore a quello dei loro omologhi nazionali. Questo movimento di recupero è, forse, suscettibile di
un’accelerazione, ma affermare che sarà così con il pretesto dell’atto
unico europeo nel 1993 sa più di incantesimo che di previsione basata su
dati oggettivi. In effetti l’apertura delle frontiere sembra già sin d’ora
ampiamente anticipata dagli operatori e, soprattutto, essa si inserisce in
un movimento assai più ampio di internazionalizzazione delle economie.
Quanto a sapere se questo recupero sarà totale o se i traffici transfrontalieri si manterranno a livelli inferiori ai traffici nazionali (o ancora se,
perché no, li supereranno), pochi elementi permettono di orientare la risposta.
Traiamo intanto da queste considerazioni l’idea che i traffici transfrontalieri sono in genere più deboli dei traffici nazionali e che, malgrado
una crescita più rapida, permane una grande incertezza sulla loro futura
evoluzione. La conseguenza diretta di questo risultato è che la redditività
dei progetti internazionali, sia essa finanziaria o economica e sociale, è
spesso più scarsa di quella dei progetti circoscritti a un paese.
La politica europea in difetto. Un altro insieme di spiegazioni può chiarire questi problemi di superamento di frontiere. Esso si colloca questa
volta su un registro molto più politico. Eppure è, per lo più, affrontato
sotto un’angolazione strettamente tecnologica, quella dell’armonizzazione delle norme tecniche sui materiali.
Non svilupperò questo aspetto particolare, limitandomi a sottolineare
che le sole soluzioni prospettabili a breve e medio termine, per permettere a treni ad alta velocità di superare le frontiere e di circolare su reti
369
con caratteristiche tecniche differenti, sono molto rudimentali: consistono in gran parte nel moltiplicare sui materiali a vocazione internazionale la sovrabbondanza di equipaggiamenti conformi alle diverse normative. La conseguenza di questa situazione è, evidentemente, quella di
far aumentare i prezzi e i costi di gestione dei suddetti materiali, dal che
deriva, nuovamente, un indebolimento delle prestazioni economiche dei
corrispondenti servizi transfrontalieri. A più lungo termine, le reti ferroviarie e la commissione della Comunità europea insistono sullo sviluppo di sistemi compatibili (soprattutto in materia di dispositivi di sicurezza) da parte dell’insieme dei costruttori. Si tocca così il cuore del
problema: manca una strategia industriale europea in materia di costruzione di materiale e di attrezzature ferroviarie e il seguito non è che un
epifenomeno. Tuttavia questa delicata questione non è affrontata che raramente. La posta in gioco è di grande importanza, poiché si tratta della
sopravvivenza di alcuni dei gruppi industriali operanti in questo campo.
Ma è resa più complessa dal valore simbolico che è generalmente associato alle industrie ferroviarie nazionali, che assicuravano in ciascuno dei
nostri paesi la totalità dei bisogni delle reti, mentre erano in competizione
all’esterno. Il modello Airbus è trasferibile al caso dell’alta velocità? Oggi
si possono ancora distinguere nel settore non meno di cinque complessi
industriali operanti in maniera largamente indipendente in Europa: Abb,
Gec-Alsthom, il canadese Bombardier, ben presente nella Cee, un polo
tedesco, di cui Siemens pare essere la capofila e, infine, un polo italiano,
attorno al quale si concentra buona parte delle poste in gioco del
momento.
Un’altra carenza della politica europea si situa a livello della gestione
dei servizi internazionali. All’interno di ogni paese è di solito lo stato che
definisce una politica dei trasporti e determina le priorità sulle quali sceglie di far convergere i suoi sforzi. Le compagnie ferroviarie, in gran parte
dipendenti da questo potente tutore, sono uno dei mezzi privilegiati per
mettere in opera il concetto di servizio pubblico che ne risulta. A livello
europeo nessuna autorità politica è oggi in grado di svolgere questo ruolo
«di autorità organizzatrice» dei trasporti europei ad alta velocità. La situazione è largamente incompatibile con le decisioni già prese o gli auspici espressi: ad esempio armonizzare le caratteristiche dell’offerta internazionale ad alta velocità implicherà una rottura con le abitudini di
operatori da lungo tempo confinati al loro territorio. Al tempo stesso diviene necessario mettere in atto strategie adeguate per resistere ai megaoperatori americani (le attuali compagnie aeree), che potrebbero approfittare dell'attuale rilassatezza per aggiudicarsi i collegamenti più favorevoli e «scremare» così il mercato degli spostamenti intraeuropei. Altre
370
priorità dichiarate, la realizzazione degli «anelli mancanti» o il servizio
delle zone periferiche, non consentono di fare affidamento sulle sole
forze di mercato. Bisognerà che un’istanza politica con competenza
comunitaria definisca le «regole del gioco», precisi chi paga che cosa, a
quali condizioni una impresa può operare su un certo collegamento e
così via. I servizi di trasporto transfrontalieri ad alta velocità mancano
di una vera dinamica politica europea.
3.2. Alta velocità e trama urbana
Dopo l’esistenza di frontiere amministrative, l’altro insieme di elementi che viene a disturbare il disegno teorico della rete ad alta velocità
che abbiamo tratteggiato è più legato alle particolarità geografiche
dell’una o dell’altra regione. La caratteristica essenziale è, allora, la densità
della trama urbana. La «super-rete» di collegamenti rapidi, che evocavamo più sopra, si riferisce implicitamente a una situazione in cui le
distanze che separano gli agglomerati serviti si collocano nella zona di
massima efficacia dell’alta velocità ferroviaria. Questa zona corrisponde
ai tragitti sui quali l’automobile non è più in grado di permettere di inserire gli spostamenti senza disturbare sensibilmente le attività della gior
nata. La concorrenza diviene, allora, una questione fra il treno e l’aereo.
È evidente che le regioni d’Europa in cui le grandi città sono a distanze
inferiori ai tre o quattrocento chilometri sono numerose, a cominciare
dalla Padania.
In relazione allo schema descritto in precedenza, le conseguenze di
una simile situazione sono molteplici. Riguardo ai trasporti di persone, la
più importante pare il fatto che un eventuale collegamento rapido spartisce allora il suo traffico con il vettore automobile e non più con l’aereo.
Non è qui questione di porsi da un punto di vista commerciale per constatare che il concorrente della compagnia ferroviaria è più ostico. L’essenziale è che queste nuove condizioni di concorrenza corrispondono ad
abitudini di spostamento diverse e a una nuova ripartizione delle funzioni
assicurate da ciascuno dei mezzi di trasporto presenti. Così, per i collegamenti inferiori ai duecento chilometri circa, la frequenza dei viaggi si
accresce sensibilmente e compaiono nuove motivazioni, quali gli spostamenti pendolari casa-lavoro. Al tempo stesso la vettura privata si accaparra in larghissima misura gli spostamenti per motivi professionali.
Divenendo più massiccia la domanda di trasporto, il bell’ordinamento
teorico, che mettevamo sopra in evidenza, si trova certamente scompigliato. Le scelte di quanti utilizzano la rete di trasporto pubblica si orientano allora, come è più naturale, verso un’offerta che privilegi le fre371
quenze piuttosto che le velocità di servizio. È questo orientamento che si
traduce in modo particolarmente chiaro nel programma svizzero «Rail
2000» o nella politica adottata dai poteri pubblici in Olanda. Del pari, in
Germania, la rete Intercity ha come caratteristica principale quella di essere
un sistema di servizi cadenzati. L’esempio tedesco è interessante nella
misura in cui mette in evidenza i vantaggi e gli inconvenienti della soluzione scelta. Da un canto la rete di trasporto così costituita sembra meno
rigidamente gerarchizzata rispetto al caso esemplificativo che descrivevamo più sopra. Certo le stazioni cardine dove i treni si incrociano, offrendo un gioco elaborato di coincidenze, hanno un ruolo privilegiato,
ma città di importanza mediocre continuano a essere (molto) ben servite.
D’altro canto gli aspetti meno positivi appaiono allorché ci si interessa
alle prestazioni dell’offerta di trasporto a lunga distanza messa in funzione nel quadro della rete Intercity: si osserva, allora, che i tempi di percorrenza necessari per collegare agglomerati relativamente distanti sono
oberati dall’elevato numero di soste intermedie. L’efficacia del trasporto
ad alta velocità per tali collegamenti (inserire il proprio spostamento in
una giornata di attività senza disturbarla) rimane allora riservata a quanti
utilizzano l’aereo (le previsioni di traffico ferroviario a lungo raggio mettono chiaramente in evidenza la validità, sotto questo punto di vista, delle
opzioni scelte in Francia per la rete Tgv. Uno studio realizzato per conto
della Datar mostra che il carico potenziale dei tronchi con traffico a
lungo raggio è nettamente correlato alle prestazioni consentite su ciascun
itinerario; si veda Bouf e Klein, 1989). Non c’è in materia un modello infallibile né un dogma da seguire ciecamente. In Francia, non avendo saputo conciliare alta velocità e trasporto regionale, la Sncf si scontra, in
particolare nella valle del Rodano, con l’incomprensione di popolazioni
che rifiutano una struttura di cui ritengono di non poter approfittare. In
Germania i poteri locali sono ancora più presenti e hanno senza alcun
dubbio pesantemente influito sulle scelte che sono state fatte fino ad ora
di privilegiare relativamente il servizio delle città di media grandezza.
Tuttavia, per il servizio di Berlino, ma anche per il collegamento essenziale tra Francoforte sul Meno e la Rhur, è prevista l’entrata in funzione
di linee ad alta velocità «alla francese».
Anche senza assunti a priori, non può che risultare abbastanza logico
che, nelle regioni a più bassa densità urbana, le velocità praticate siano
superiori a quelle delle regioni dove le città sono molto vicine le une alle
altre. Questa tendenza resterà una realtà dell’alta velocità ferroviaria in
Europa. Non è, però, così «naturale» come sembra e un rapido colpo
d’occhio all’indietro la fa persino apparire come un anacronismo storico.
In effetti è raro che un nuovo mezzo di trasporto, si sviluppi sulla base di
372
prestazioni differenziate a seconda delle regioni che serve. I treni del secolo scorso, le reti stradali degli anni venti o le reti autostradali offrivano
dei livelli di servizio assai simili, quale che fosse l’itinerario preso. Inoltre,
se vi era una differenziazione, essa era sempre a favore delle zone a maggior densità. Oggi l’autostrada, congestionata nelle regioni molto popolate, e i treni ad alta velocità sembrano offrire, per ragioni in ultima analisi
assai simili, velocità di spostamento più sostenute negli spazi meno saturi.
Si può allora, forse, ipotizzare un’omogeneizzazione delle distanze in
Europa. Non si tratta, beninteso, delle distanze fisiche tra i differenti
agglomerati, ma delle distanze in tempo, relative ai minuti che saranno
necessari per andare dall’uno all’altro di due punti. Questo riequilibrio
avverrebbe, allora, a vantaggio di un’Europa latina, che ritroverebbe vicinanze che gli abitanti delle pianure del nord del continente hanno saputo creare da lungo tempo.
4. L’informazione al centro del sistema produttivo
Poiché rifiutiamo di accreditare l’esistenza di legami semplici, che uniscano sistema di trasporto e attività economiche, dimentichiamo per un
istante le reti per spostamenti accelerati e consideriamo i problemi che
travagliano il sistema produttivo, senza preoccuparci oltre del Tgv. Sarà
solo dopo aver precisato le forme di organizzazione spaziale delle attività
economiche che osserveremo la maniera in cui ciascun elemento agisce
sull’altro.
E una tendenza corrente degli economisti e di altri «prospettivisti»
quella di predire l’avvento di una società dell’informazione. Tuttavia, di
fronte allo scacco subito da quanti quindici o vent’anni fa promettevano,
ad esempio, la diminuzione della mobilità grazie ai progressi nelle telecomunicazioni, la maggior parte di noi diffida oggi dei meccanismi troppo
tecnicistici e preferisce accordare la priorità ai fenomeni socioeconomici
nell’analisi delle future evoluzioni.
L’accresciuta importanza dei processi di acquisizione e scambio di
informazioni è, in primo luogo, una conseguenza dell’accelerazione del
mondo economico. La teoria microeconomica insegna che il valore aggiunto si concentra sui prodotti il cui grado di differenziazione è maggiore, in rapporto ai prodotti concorrenti. Allorché una tecnica di produzione si diffonde, il mercato diventa più competitivo e la pressione sui
prezzi si accentua, a detrimento dei margini di utile. Orbene, oggi si constata che i cicli dei prodotti si accorciano. Le imprese che ne hanno la possibilità sono obbligate, per rimanere in posizione dominante sui merca373
ti, a innovare costantemente. I processi di innovazione, in essenza di produzione e di trattamento del sapere e dell’informazione, giocano dunque
un ruolo strategico per la competitività delle imprese. Si scorge a questo
livello una prima conseguenza dell’accresciuta importanza delle operazioni di trattamento dell’informazione: la crescita delle attività di servizio
corrispondenti. La seconda conseguenza può essere introdotta partendo
dalla necessità per gli operatori economici di reagire il più rapidamente
possibile alle sollecitazioni esterne. Ciò implica, in particolare per le
strutture più grandi, una sensibile modificazione della loro organizzazione. In effetti quest’ultima era tradizionalmente concepita per una ottimizzazione del funzionamento basata su lunghi periodi. Oggi si tratta di
porre la circolazione efficace dell’informazione al centro delle preoccupazioni della produzione: alcuni autori fanno persino dell’informazione
« la risorsa primordiale, più ancora dei tradizionali fattori di produzione
[capitale e lavoro]» (Lanvin, 1986).
4.1. La crescita dei servizi
Conviene non lasciarsi trarre in inganno dalle statistiche: la forte crescita del settore terziario, che si rileva da parecchi decenni, è in parte imputabile a un movimento di estromissione di attività periferiche dal settore secondario; allo stesso modo le difficoltà che sí incontrano, quando
si vuole quantificare la produzione di servizi, invitano a relativizzare le
conclusioni che si potrebbero trarre dalla lettura di una tabella di dati. Per
il nostro scopo, l’essenziale non risiede in ciò, ma queste precauzioni
preliminari ci obbligano a precisare di quali attività dí servizi noi ci occupiamo. Il complesso problema può essere affrontato analizzando le caratteristiche dell’oggetto immateriale – l’informazione su cui esse fanno
leva. Jacques Bonnet e Louis Reboud (1991) in un recente articolo fanno
un parallelo tra l’informazione e la moneta; essi descrivono, a somiglianza
della monetarizzazione di una società, il processo di «informazionalizzazione» come una funzione del suo sviluppo economico e sociale: ogni situazione elabora le informazioni specifiche e i propri mezzi di trasmissione e di scambio. Ma gli autori fanno anche dell’informazione un bene
economico dalle caratteristiche particolari: «essa non è direttamente un
bene produttivo, né di consumo (...) Come la moneta, l’informazione
può presentarsi sotto diverse forme, circolare più o meno velocemente,
avere una durata di vita più o meno lunga» (Bonnet e Reboud, 1991, 12).
Continuando nel loro ragionamento, essi insistono sull’importanza dei
circuiti dí trasmissione che l’informazione utilizza e mettono in evidenza
un «settore informazione» con un ruolo paragonabile al settore «banche
374
e assicurazioni». In questo contesto, l’importanza delle attività di servizio
legate al trattamento dell’informazione supera di gran lunga la parte che
esse occupano nell’impiego o nel valore aggiunto; sono uno strumento di
competitività e divengono anche una posta della competizione; sono,
inoltre, un fattore di riorganizzazione del sistema produttivo. Torneremo
su quest’ultimo punto, ma esso ci dà qui l’occasione per precisare la posizione di queste attività in rapporto a quelle più «tradizionali».
La funzione di trattamento dell’informazione riguarda simultaneamente gli scambi interni all’impresa e i suoi scambi con l’esterno. Ma
l’aspetto importante da sottolineare è che un consumo rilevante di servizi
esterni (ricorso a società di servizi) si accompagna a un’importante
struttura interna di gestione dell’informazione. Quest’attività, strategica
per sviluppare le capacità di reazione e d’innovazione dei soggetti economici, trascende in qualche modo le frontiere settoriali, ma anche quelle
delle imprese. La nostra società non è quella della fine dell’industria, ma
quella in cui le attività di servizio rappresentano una posta per la vita economica nel suo insieme.
4.2. L’integrazione organizzativa
Abbiamo già menzionato il fatto che le forme tradizionali di organizzazione delle imprese erano inadatte a gestire rapidamente le esigenze del
breve termine. Difatti la crisi del taylorismo si sviluppa a diversi livelli (titolo e argomentazioni del paragrafo devono molto a Rowe e Veltz, 1991).
C’è, in primo luogo, uno scarto crescente tra «le forme sociali del lavoro»
e i sistemi di vita. Inoltre l’utilizzazione della produttività del lavoro diretto
come criterio esclusivo di gestione ha raggiunto i suoi limiti. Da un lato i
fattori il cui peso non è direttamente legato al lavoro vedono crescere la
loro importanza; dall’altro si assiste a un’ampia diversificazione degli
obiettivi della produzione, che tende a porre in primo piano la nozione di
flessibilità. La crisi del taylorismo traduce, infine, l’impossibilità per questo
tipo di organizzazione di rispondere alle necessità attuali del mondo
economico. In effetti le strutture tradizionali di gestione delle imprese
consideravano una a una ogni tappa o funzione del processo di produzione. L’ottimizzazione globale si riduceva, allora, all’ottimizzazione di
ciascuna delle unità così sezionate. A rendere coerenti gli obiettivi specifici di ogni unità si provvedeva con andate-ritorno successive e aggiustamenti a margine. Il tutto era, evidentemente, basato sulla stabilità degli
obiettivi globali, necessaria per dare agli aggiustamenti il tempo di
compiersi.
La necessaria stabilità è oggi chiaramente scomparsa, impedendo al
375
bell’edificio di funzionare. Ma il tempo non è la sola variabile rimessa
in discussione. La suddivisione del processo di produzione in
differenti funzioni specializzate non resiste più alle attuali evoluzioni.
Per adattarsi al rapido ritmo dei cambiamenti, la capacità di flessibilità
diviene una qualità essenziale. Orbene, si può ammettere, in prima
analisi, che la flessibilità di un’organizzazione non dipenda dalla
somma delle flessibilità di ciascuna delle sue unità, ma piuttosto dalla
flessibilità della più «rigida» tra di esse. Ecco, dunque, un primo
argomento in favore di un «modello sistemico», secondo la
definizione di Pierre Veltz (Rowe e Veltz, 1991); si tratta di adattarsi ai
mutamenti. Il secondo discende dalla posizione ormai strategica che
occupano i processi di innovazione nelle strutture di produzione.
Innovare a tutti i livelli della produzione, mobilitare verso questo
obiettivo l’insieme delle risorse di una impresa, di un gruppo o di una
associazione di produttori con legami meno stretti è sempre più indispensabile. I problemi sono pressapoco gli stessi che si hanno per la
flessibilità, ma qui si tratta di saper provocare i mutamenti.
Come si vede, tutto spinge a un’integrazione più forte tra le diverse
fasi della produzione, ma questa integrazione non poggia su una struttura
a piramide di tipo gerarchico. Si tratta, piuttosto, di favorire la circolazione e il trattamento dell’informazione: a livello di ciascuna funzione
ciò implica una forte autonomia, in maniera da liberarsi degli appesantimenti inerenti alle strutture ipertrofiche; tra di esse è proprio la nozione
di integrazione, di armonizzazione, di globalità che è in questione. La
struttura di potere interna all’impresa segue un cammino parallelo: il controllo a priori degli atti tende a essere abbandonato (autonomia) e rimpiazzato da un controllo a priori degli uomini (integrazione). Il movimento decentramento/integrazione può sembrare contraddittorio. Di
fatto si tratta semplicemente di due scale differenti di una stessa visione: da
un lato sono considerate l’unità, lo strutturale, dall’altro la totalità.
5. Una nuova forma di organizzazione: la «rete connessa»
L’inserimento nel territorio di queste nuove tendenze dell’organizzazione delle attività produttive non può esser letto in modo semplice, senza
considerare la localizzazione fisica degli stabilimenti in uno spazio che si
rappresenterebbe, allora, come omogeneo. Certo numerosi elementi difendono la causa di un alleggerimento dei condizionamenti fisici che pesano su queste localizzazioni. Senza ritornare sui progressi tecnologici in
materia di trasporto o di telecomunicazione, si può soffermarsi un attimo
su alcuni aspetti legati all’importanza dell’informazione nei processi di
376
produzione. La crescita della quota delle produzioni non materiali nel valore aggiunto è, tra di essi, quello di più antica data. Diversi stabilimenti,
sempre più autonomi, possono assicurare l’armonizzazione della loro attività grazie a scambi che si affranchino agevolmente dalle distanze. Le
imprese con localizzazioni disperse sono oggi numerose. Attenersi a queste riflessioni torna a trasmettere un’immagine dí telecomunicazioni che
sarebbero divenute capaci di reggere l’insieme dei legami sociali, che la
vicinanza permette generalmente di tessere. Sarebbe come prospettare
una perfetta intercambiabilità del faccia a faccia e della comunicazione
elettronica. È ora accertato che, in luogo della semplice sostituzione di un
mezzo di comunicazione con un altro, c’è un mutuo arricchimento, una
complementarità. Approfittare delle opportunità offerte da uno di essi induce nuovi bisogni nell’altro (Caisse, 1983). La recente apparizione di
forme di organizzazione produttive concentrate nello spazio e fortemente
ancorate alloro territorio è sufficiente a dimostrare che la vicinanza fisica è
ancora un elemento da tenere in considerazione. Si può, così, pensare ai
poli industriali della «Terza Italia». Se si analizzano le questioni di localizzazione delle attività economiche ragionando settore per settore, ovvero a livello di ciascun gruppo industriale – in qualche modo secondo
una divisione verticale – si scorgono schemi assai diversi. Concentrazione
o, al contrario, dispersione spaziale: nessuna di queste opzioni sembra
prendere il sopravvento sull’altra o, piuttosto, entrambe si impongono a
turno.
5.1. Funzioni privilegiate che si riuniscono
La nostra ipotesi è che un’analisi «orizzontale», in cui si distinguono
le funzioni, permetta di evidenziare strutture più nette per certune tra di
esse. Una simile divisione mette in evidenza attività per le quali gli
scambi di informazioni tra imprese occupano una posizione essenziale
e attività per le quali contano soprattutto le comunicazioni interne, vedasi la riduzione dei costi diretti di produzione. Per queste ultime i condizionamenti di localizzazione appaiono indipendenti dal loro ambiente
e determinati, piuttosto, dalla storia e dalla strategia delle diverse imprese. Il discorso è certamente del tutto diverso per le attività con sviluppato interscambio con l’esterno. Per funzionare efficacemente esse
hanno il bisogno imperativo di essere immerse in un ambiente particolare, capace di alimentarle, quanto a sapere e prestazioni, e anche capace
di ricevere. L’identificazione di queste attività è abbastanza facile. Si può
circoscriverle a due funzioni principali: la prima, centrata sulla direzione
e la gestione strategica delle imprese, abbraccia le attività finanziarie,
377
giuridiche e di consulenza varia (expertise, revisione, comunicazione e
così via); la seconda è direttamente legata alle alte tecnologie (ricerca e
sviluppo e attività di produzione a valore aggiunto molto alto). Appare
così una gerarchia molto netta. Le attività che abbiamo appena citato occupano evidentemente la parte superiore del paniere, sono quelle in cui
si concentrano potere e ricchezza. Sono anche quelle che, nella ricerca
dell’ambiente che è loro favorevole, si concentrano più spontaneamente
nello spazio.
Se il principio di autonomia spiega in larga misura il fatto che certe
funzioni abbiano una logica propria di concentrazione, le esigenze di integrazione non sono da meno. Esse si articolano secondo due direzioni:
da una parte, verso valle, le funzioni di «comando» devono essere in
stretta relazione con le attività che dominano; dall’altra esse funzionano
in seno a un vasto insieme di interrelazioni, che si estende su scala planetaria.
5.2. Rete, un’immagine comoda
La rappresentazione dello spazio, che si può trarre da questo insieme
di considerazioni, può essere visualizzata più facilmente utilizzando l’immagine di una rete; o forse è un cedimento a un effetto di moda? La nostra rete è costituita dapprima da un insieme di attività privilegiate, nelle
quali si concentra un notevole potere decisionale e un alto potenziale di
valore aggiunto; infine esse si riuniscono in alcuni luoghi, per questo
stesso fatto essi pure privilegiati. Queste attività tessono tra questi ultimi
legami molto stretti: esse seguono gli stessi ritmi e mettono in funzione
un intero arsenale per «cancellare» la distanza che separa le loro diverse
localizzazioni (telecomunicazione in tempo reale, trasporti rapidi, ma anche banalizzazione dei diversi luoghi grazie all’impiego della stessa lingua,
alla fornitura di servizi indifferenziati e, persino, a un’architettura di
«quartieri d’affari»). Parleremo, dunque, di «rete connessa» (qui intesa
come libera estensione del concetto topografico; si veda Dupuy, 1985),
dominata da un «nucleo centrale» molto coerente. Tutt’attorno un insieme di legami più tenui unisce questo nucleo alle attività le cui funzioni
esecutive sono più marcate e le cui localizzazioni sono, come abbiamo
visto, più diversificate.
Evidentemente la descrizione di questa rete è qui molto schematica. Si
potrebbe senza dubbio precisarne il disegno, distinguere sottoinsiemi
geografici in quello che chiamiamo nucleo centrale, discernere sotto-reti
specializzate entro certe funzioni di direzione o di ricerca e sviluppo.
Dovrebbe altresì essere abbastanza semplice mettere in evidenza, tra que378
ste attività «di fascia superiore», le funzioni essenziali, che selezionerebbero solo alcuni agglomerati come, ad esempio, Tokyo, New York o
Parigi. Resta il fatto che l’identificazione del gruppo di città europee che
fanno parte del cuore di questa rete connessa è in larga misura possibile,
anche se la nettezza del perimetro di tale insieme resta problematica
(Bonafous e Buisson, 1991).
5.3. Strutture spaziali sempre più complesse
Un errore che non commetteremo è quello di considerare ormai lo
spazio solo attraverso il prisma deformante di questo schema. Preferiamo
rappresentare il territorio come una giustapposizione, in uno stesso punto
geografico, di differenti attività, molto generalmente esercitate in rapporto
con altri luoghi. Distinguiamo, allora, due vecchie forme di organizzazione e di inserimento nello spazio dí queste attività. Legata a uno
spazio «banale», omogeneo, una prima forma di organizzazione è fondata
sulla contiguità: sono interessate da questa strutturazione le attività che si
svolgono in prossimità delle aree di mercato, dei bacini di occupazione o
delle zone di approvvigionamento diffuse. Si può poi individuare una
seconda forma, che poggia su di uno spazio disgiunto, un insieme di
luoghi differenziati non solo geograficamente, ma anche da un punto di
vista funzionale. Nella storia, il commercio triangolare tra l’Europa, le coste dell’Africa e l’America rappresenta l’archetipo di questa organizzazione; ciascuno dei vertici del triangolo possiede una funzione e una logica
interna che gli sono peculiari.
Queste due forme di organizzazione spaziale sono ancora largamente
rappresentate. La struttura di rete connessa viene a sovrapporsi alle altre
e non a sostituirle (si veda Cnrs-Gdr, 1991). Le strutture del territorio
tendono, allora, a divenire più complesse in maniera intensiva. Da un lato
le interazioni, gli scambi di informazioni tra differenti unità economiche
si rinforzano quantitativamente e qualitativamente. Dall’altro le forme
più «informazionalizzate» sono portatrici di una forte gerarchizzazione
del ruolo dei diversi agglomerati urbani. Esse sono risultato della congiunzione di un numero elevato di potenzialità, che devono presentare al
tempo stesso sufficienti ridondanze e diversità, perché possano apparire
forme complesse di organizzazione (per un riferimento al concetto di rumore auto-organizzante, si veda Atlan, 1979).
379
6. Connessione e alta velocità: un felice incontro
Le forme e le strutture di organizzazione spaziale delle attività economiche o di rete di trasporto ad alta velocità si accumulano pericolosamente: è forse il momento di fare il punto. Ricordiamo che l’offerta di trasporto ad alta velocità è, quasi per natura, selettiva. Con grave danno dei
responsabili locali, numerose zone ne saranno private. Ecco ciò che ci
permette di chiederci a quale posta economica sia legato lo sviluppo dei
trasporti ad alta velocità. Per rispondere a questa domanda, cercheremo di
riunire in uno stesso discorso le analisi relative ai mutamenti del sistema
produttivo e quelle relative alla strutturazione delle reti di servizi di
trasporto rapidi.
6.1. Una coincidenza che non è fortuita
Tutti avranno notato che la «super-rete» ad alta velocità, appena descritta, assomiglia straordinariamente al «nucleo centrale» delle reti connesse di attività di gestione e trattamento dell’informazione, di cui si è discusso più sopra. Questa somiglianza non è certo dovuta al caso: al di là
delle distorsioni – involontarie – che avremmo potuto inserire per meglio
giustificare le nostre affermazioni, essa si inserisce nella rappresentazione
di un sistema di trasporto come elemento di un ambiente globale. L’alta
velocità e i servizi del terziario superiore sono, in effetti, fortemente legati.
Le osservazioni realizzate a proposito del collegamento Tgv tra Parigi e
Lione hanno messo in evidenza che gli spostamenti professionali, per
motivi concernenti gli scambi di servizi o la trasmissione interna di
informazioni, hanno presentato i tassi di crescita più elevati; quelle osservazioni hanno anche mostrato che le imprese di servizi ad alto contenuto di informazione sono meglio posizionate per trarre profitto dalle
nuove opportunità di sviluppo suscitate da un’offerta di trasporto più rapido (Bonafous, 1987; Buisson, 1985). In effetti queste reti di attività
hanno bisogno, nella loro ricerca di connessione (cancellazione della distanza che separa i punti della rete, funzionamento con logiche e ritmi simili), dí salvaguardare le loro capacità di contatti diretti. In materia di
trasporto di beni, la logistica del just in time, in particolare quella organizzata attorno al «salto di notte» (spedizione delle merci in serata e ricevimento il mattino) risponde ai bisogni che scaturiscono da questa evoluzione. Per gli spostamenti di persone, la soglia corrispondente alla possibilità di effettuare un’andata-ritorno in giornata, senza incidere sulla
propria giornata di lavoro, si inserisce appieno in questo movimento.
L’alta velocità offre la possibilità di contatti diretti più semplici da organizzare, che si inseriscono meglio nei ritmi professionali degli uni e degli
380
altri, persino meno onerosi. Non stupisce, in tali condizioni, che questi
contatti si facciano più frequenti e più diversificati (ad esempio non riguardino più soltanto i quadri dirigenti delle imprese).
In questo quadro si possono addurre alcuni elementi per spiegare
come, in seno alle relazioni tra le principali città internazionali del mondo,
acquisti una sua autonomia un sottoinsieme europeo: su scala planetaria i
funzionamenti del tipo «reti connesse» poggiano in larga misura sulle
possibilità di contatti e di scambio consentite dalle telecomunicazioni moderne. Orbene, lo spostamento di persone rimane portatore di potenzialità di guadagni nella qualità degli scambi. È, allora, un fattore attivo dí
differenziazione; i legami tra i principali centri decisionali in Europa sono
così più stretti: incorporano attività che non possono adattarsi alle condizioni degli spostamenti intercontinentali, e riguardano anche località che
non sono inserite in reti più vaste.
Il territorio mantiene la sua complessità. Sarebbe sbagliato scartare a
priori altre forme d’organizzazione delle evoluzioni del settore dei trasporti. Si può, così, analizzare il passaggio della soglia dell’andata-ritorno
in giornata: da una parte è la conseguenza della ricerca di aumenti di produttività da parte delle attività.strutturate sul modello dello «spazio disgiunto»; da un’altra è uno degli elementi che hanno permesso la messa
in opera di funzionamenti a «reti connesse»; lo sviluppo di quest’ultimo
tipo di organizzazione, infine, contribuisce a sua volta a rinforzare le offerte di trasporto, che permettono tali spostamenti. Difficile, alla fine, sapere se è venuta prima la gallina o l’uovo.
6.2. Un problema di margine
La struttura di rete connessa è abbastanza ben individuabile, ma l’imprecisione dei suol margini è grande. In effetti le organizzazioni territoriali delle differenti attività «di informazione» si sovrappongono in larga
misura ma, di certo, le loro frontiere non coincidono esattamente. Un insieme di agglomerati di media grandezza si ritrova in una posizione... media. Essi sono inseriti nelle reti di qualche attività di comando o high-tech,
ma restano al di fuori di numerose altre. Il loro ruolo in queste reti è talora essenziale, spesso sbiadito: tuttavia la prosperità di queste città passa
anche attraverso la capacità che avranno di conservare o rinforzare le
loro posizioni negli ingranaggi dominanti della nostra economia.
Di fronte a questi margini sfumati, i trasporti ad alta velocità ostentano una forte rigidità. Abbiamo visto che, al di fuori della «super-rete», il
servizio di trasporto si riduce rapidamente a una sola destinazione. Le
sfumature che abbiamo introdotto, a partire da questa visione teorica iniziale, non riducono per nulla questa rigidità: al contrario esse sono piut381
tosto il risultato dí nuove costrizioni, che bisognerà ugualmente superare.
Tuttavia è percepibile un margine di manovra, che permetterebbe di fluidificare questi limiti troppo marcati. Esso si situa nel servizio delle città
che abbiamo classificato nel tipo 2, quelle che non sono completamente
inserite nel cuore del sistema ad alta velocità e, senza dubbio, nemmeno
nel cuore delle reti connesse. Rafforzarvi il loro ancoraggio è fondamentale. Per riuscirvi questi agglomerati hanno bisogno dell’appoggio della
regione che le circonda. Hanno bisogno di drenare i traffici a lunga distanza che quest’ultima genera. Così possono sperare di rinforzare l’offerta ad alta velocità di cui dispongono. Al piano sottostante le città medie, che sono loro vicine, sono sicure di non ottenere collegamenti diretti
ad alta velocità se non con la capitale economica che le domina. Per sviluppare la loro autonomia, rafforzando al tempo stesso i loro legami con
il «nucleo centrale», una soluzione può essere ricercata presso la metropoli regionale vicina. Con buone condizioni di accessibilità, le città più
piccole potrebbero trovare li l’offerta di trasporto a lunga distanza di qualità che manca loro, mentre la grande metropoli vedrebbe rafforzato il
suo peso. Ciò implica una rete di trasporto regionale «intercittà» con
buone prestazioni.
Si ha qui un esempio in cui una politica regionale di trasporto può congiungersi con una politica di sviluppo economico. Lungi dai luoghi comuni, troppo spesso ascoltati, sulle infrastrutture di trasporto apportatrici
di ricchezza, lungi anche dalla reazione inversa, che nega loro qualsiasi
effetto economico, un quadro di analisi, che ricollochi ogni elemento in
un ambiente globale, potrebbe permettere di orientare meglio gli sforzi.
Una soluzione paragonabile a quella qui sopra evocata richiede evidentemente arbitraggi talora delicati, la cui utilità apparirebbe allora, forse,
più chiaramente.
Conclusioni
Non è che un problema di margini? Agglomerati di media grandezza,
che potrebbero inserire alcune delle loro attività nelle reti connesse, possono effettivamente patire l’isolamento dalle reti di servizi di trasporto
rapidi. Da un altro punto di vista, c’è un interesse potenziale considerevole nel vedere queste reti portatrici di forti capacità di direzione, di anticipazione sull’avvenire, di creazione di ricchezza raggiungere un'estensione massimale a casa propria.
Ma porre le poste in gioco in questi termini significa tornare a considerare queste nuove forme di organizzazione spaziale in modo isolato.
Eppure abbiamo insistito sul fatto che il territorio diviene più complesso,
382
che le nuove forme si sovrappongono alle strutture più classiche senza
farle scomparire. Non abbiamo, invece, mostrato abbastanza come queste reti connesse, supporto di dominazioni, siano anche vettori di evoluzione, ovvero di progresso, per l’insieme delle attività che sovrastano. In
quest’ottica l’essenziale è forse di analizzare con maggior precisione le relazioni tra attività strutturate in modo differente; l’essenziale è, forse, di
mostrare a quali condizioni queste forme, questi ritmi e queste logiche
diversificati coesistano. Un’altra maniera di arrecare chiarezza ai dibattiti sulla «società a due velocità» da cui i trasporti non sono assenti.
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383
384
Randstad Holland: sviluppo e pianificazione di una metropoli
complessivamente concorrenziale
Ilaria Bramezza e Leo van den Berg*
Premessa
Il centro di gravità urbano dell’Olanda è il «Randstad Holland», una
zona costituita da quattro grandi città (Amsterdam, Rotterdam, L’Aia e
Utrecht) e da una moltitudine di centri di piccole e medie dimensioni
circondati da ampie aree verdi. Questi spazi aperti sono per lo più situati
nel cuore della regione, che per questo motivo è stato chiamato green
heart (cuore verde).
Il Randstad è l’area più inurbata d’Olanda. Dei quattordici milioni e
mezzo di abitanti che conta il paese sei risiedono nel Randstad, che occupa soltanto un quarto del territorio olandese. La densità di popolazione
è quindi molto alta: in media, più di mille abitanti per chilometro quadrato (si veda la tab. 1). Il Randstad è anche la regione in cui si concentra
circa il 50% dell’occupazione. In quanto centro amministrativo e di affari
della nazione ospita il 70% delle sedi delle maggiori società olandesi, il
65% delle attività di ricerca e sviluppo e delle aziende a tecnologia
avanzata, il 93% dei servizi per l’estero e l’80% delle imprese commerciali straniere.
Il suo sistema di infrastrutture dispone di importanti collegamenti con
altri centri economici del paese: il porto di Rotterdam, il più grande del
mondo, e l’aeroporto di Amsterdam, il quarto in Europa in quanto a dimensioni, ne sono i nodi principali (si veda la fig. 1). Benché la struttura
originaria sia stata concepita soltanto tra il 1920 e il 1930, il Randstad
oggi uno degli agglomerati più concorrenziali a livello mondiale. Questo
saggio si propone di descriverne la struttura e di indicare come un’area
metropolitana insolita, cioè non dominata interamente da una metropoli,
può essere concorrenziale su scala internazionale nel contesto europeo
(Borg, Bramezza e Costa, 1991).
* Il saggio è stato scritto da Ilaria Bramezza con la supervisione di Leo vari den Berg.
385
386
principale nodo di comunicazione e centro di cultura internazionale.
L’ultimo paragrafo riassume i lati deboli, i punti di forza e le prospettive
di sviluppo del Randstad.
1. L’organizzazione del territorio
L’esposizione sintetica dell’evoluzione nell’organizzazione territoriale
del Randstad dalle origini sino agli anni ottanta si propone di illustrare
cambiamenti occorsi sul piano demografico e su quello delle strutture
residenziali ed economiche. L’analisi del passato sarà d’aiuto per comprendere meglio l’attuale organizzazione del territorio.
1.1. La geografia
Situato sulla costa e sotto il livello del mare, il Randstad ha sempre dovuto lottare contro l’acqua. Opere di avanzata ingegneria idraulica hanno
reso questa regione un luogo abitabile. In un primo tempo la crescita sociale ed economica fu consentita da una fitta rete di canali che si insinuavano nell’entroterra per diversi chilometri. Questa stessa rete venne
perfezionata con la costruzione di canali navigabili, opere di bonifica e di
difesa dal mare e, in tempi più recenti, dí dighe, come lo sbarramento del
Zuider Zee e le Delta Works.
A differenza della maggior parte delle aree metropolitane europee, in
cui la metropoli domina la regione circostante, il Randstad è una metropoli polinucleare composta da quattro grandi città – Amsterdam,
Rotterdam, L’Aia e Utrecht – e numerosi centri di piccole e medie dimensioni quali Zaanstad, Haarlem, Leiden, Delft, Schiedam, Dordrecht,
Gouda, Woerden e Hilversum. Un ampio sistema di infrastrutture collega
tutti i nuclei urbani, che sono circondate da vasti spazi aperti, terreni
agricoli e campagne (si veda la fig. 2). La traduzione letterale di Randstad è
«città sul bordo», a significare che tutti gli insediamenti del Randstad si
trovano al limite dello spazio aperto centrale. Fu Albert Plesman, fondatore delle Royal Dutch Airlines, a dare questo nome alla regione: sorvolandola, riconobbe per primo le potenzialità di questa struttura urbana
(Gammen, 1988). Le tradizionali funzioni di una metropoli non sono
concentrate in un’unica città: nel Randstad ogni polo ha il suo ruolo specifico. In particolare, le funzioni governative e diplomatiche hanno sede
all’Aia, mentre il porto e le industrie pesanti si trovano a Rotterdam, come
pure le attività commerciali. Ad Amsterdam, capitale del paese benché
non sede del governo, si concentrano le funzioni relative alla finanza, alla
cultura e al trasporto aereo.
387
388
1.2. La struttura polinucleare: origini del Randstad
Le città situate nell’area che oggi chiamiamo Randstad sono state fondate nel Basso Medioevo. Il processo di urbanizzazione assunse una
forma definita tra il XVI e il XVII secolo. Nel corso del XVII secolo la
popolazione aumentò molto rapidamente, raggiungendo i 675.000 abitanti
all’inizio del Settecento, contro i 175.000 di un secolo prima. Malgrado
l’incremento demografico, le città rimasero di piccole dimensioni.
Soltanto Amsterdam superava i centomila abitanti; gli altri centri non ne
contavano più di settantamila.
La crescita del Randstad era stata favorita da una serie di fattori specifici. Nel 1585 la supremazia di Antwerpen era ridotta ai minimi termini,
e Amsterdam le subentrò, diventando il nuovo centro commerciale e finanziario. Rotterdam, che inizialmente era il porto di Delft, e Dordrecht
si specializzarono come porti commerciali. L’area del Randstad divenne il
più importante centro economico e commerciale in Europa. Accanto ai
principali centri del commercio fiorirono città industriali come Leiden,
Haarlem, Gouda e Delft. Lo sviluppo generale fu accompagnato da
un’enorme accumulazione di capitale e, di conseguenza, da nuovi investimenti in opere di idraulica che a loro volta procurarono altri terreni
all’agricoltura.
Nel secolo XVIII i Paesi Bassi conobbero un periodo di decadenza. Il
paese non aveva un forte governo centrale come la Francia o la Gran
Bretagna, ciò che determinò la perdita delle colonie. L’esagerata attenzione rivolta all’agricoltura e alle colonie, la mancanza di materie prime,
l’eccessiva importanza attribuita al commercio e i collegamenti stradali
relativamente scarsi rispetto a quelli dei paesi confinanti ostacolarono
l’avvio della rivoluzione industriale, che interessò l’Olanda qualche tempo
dopo gli altri paesi europei.
La vera crescita delle città olandesi ebbe luogo nel XIX secolo in seguito alla rivoluzione commerciale e industriale. In seguito all’unificazione, la Germania aveva avviato la costruzione di un vero e proprio impero, e la Ruhr divenne la più grande area industriale europea; in questo
contesto il Reno assunse un’importanza capitale in quanto maggiore arteria commerciale dell’Europa occidentale. Poiché la sua foce è in territorio olandese, quando la Germania divenne una potenza industriale
l’Olanda divenne una potenza commerciale.
Ferrovie, strade e opere di idraulica furono perfezionate. La popolazione delle città aumentò di più del quadruplo durante la seconda metà
del XIX secolo (si veda la tab. 2). Le città dovettero espandersi per poter
ospitare un maggior numero di abitanti, dando inizio al processo che
389
portò alla nascita dei sobborghi. Attorno ai vecchi centri del commercio
furono costruiti nuovi quartieri che, a causa della speculazione edilizia,
inizialmente erano costituiti da abitazioni di qualità scadente. In seguito
a una serie di iniziative sociali, tuttavia, nel 1901 venne promulgata la
«Legge sull’edilizia abitativa» che, affidando al governo il controllo sulla
progettazione materiale, elevò la qualità delle abitazioni costruite.
Tabella 1. Numero di abitanti nelle quattro maggiori città e nelle Regioni urbane funzionali (Ruf)
del Randstad, 1989 (valori assoluti).
Amsterdam
città
regione (Ruf)
Rotterdam
L’Aia
694.661
576.232
443.845
1.038.382
1.039566
683.631
Utrecht
230.634
525.989
Fonte: National Physics Planning Agency, 1990.
Tabella 2. Crescita della popolazione nelle città del Randstad, 1650-1990 (valori assoluti in
migliaia).
1650
1796
1850
1913
1938
1970
1980
1985
1988
1990
Amsterdam 100
Rotterdam 32
L’Aia
Leiden
70
Haarlem
40
Utrecht
-
217
53
41
31
21
32
224
90
72
36
26
48
588
448
295
59
70
123
788
606
490
76
135
163
830
679
538
100
173
278
717
579
457
103
158
237
676
571
443
105
151
230
692
574
445
108
149
230
695
579
442
110
149
230
Durante la seconda guerra mondiale l’intera nazione subì danni ingenti. L’interruzione delle relazioni con la Germania e la perdita delle colonie più ricche determinarono il crollo delle attività commerciali. La ripresa postbellica fu coordinata e favorita dal governo, che si impegnò in
una politica di industrializzazione i cui due obiettivi principali erano la
creazione di nuove strutture produttive e un massiccio programma edilizio. Per via del ritardato avvento della rivoluzione industriale la distruzione di capitali fu relativamente limitata, facilitando in qualche modo la
ricostruzione. Inoltre, le strutture spaziali già esistenti nell’area favorirono
il processo di reindustrializzazione. Il porto di Amsterdam e quello di
Rotterdam e le industrie siderurgiche situate sulla costa erano un conveniente punto d’accesso delle materie prime importate: questo spiega
meglio di altri fattori la concentrazione dello sviluppo economico nel
390
Randstad. Accanto alle industrie tradizionali, nei principali centri si svilupparono nuove attività: ad Amsterdam la navigazione, l’industria chimica e metallurgica e il commercio del vetro, mentre Schiphol divenne
un aeroporto internazionale; a Rotterdam la cantieristica navale, l’industria metallurgica e petrolchimica; all’Aia, in quanto capitale governativa
sede di istituzioni internazionali e diplomatiche, sono riuniti gli uffici centrali di banche, multinazionali e industrie petrolifere; a Utrecht, in rapido
sviluppo grazie soprattutto alla centralità della sua posizione geografica, si
concentrano le principali compagnie di assicurazioni e le sedi delle maggiori aziende di stato, quali le ferrovie olandesi.
Come la struttura produttiva, anche la funzione residenziale nell’area
seguì un processo di dislocamento. Vennero creati nuovi e più ampi agglomerati. La struttura del Randstad veniva così rafforzata. Il motivo principale della costruzione di nuovi agglomerati era innanzitutto la carenza di
abitazioni. Un numero sempre più alto di lavoratori delle città del centro
era costretto ad abitare nei dormitori costruiti per l’occasione intorno ai
nuclei urbani. In seguito, la decisione di lasciare le città dipese da fattori
diversi dalla carenza di abitazioni, e fu una scelta più libera: era soprattutto
il ceto medio a trasferirsi nei dintorni delle città in cerca di una soluzione
abitativa migliore e più a contatto con la natura. Il dislocamento delle
attività produttive e della popolazione non avvenne senza conseguenze sul piano economico e sociale, principalmente per la non-neutralità del processo di emigrazione. Furono soprattutto le famiglie appartenenti al ceto medio e le attività industriali ad allontanarsi dalle città.
Con il calo della popolazione e la perdita delle attività economiche, la
base della città andava rapidamente assottigliandosi (Berg, 1987).
Come conseguenza del processo di decentramento, la circolazione
all’interno del Randstad e verso il Randstad aumentò. Si rese necessaria
la costruzione di nuovi collegamenti stradali, che facilitarono la circolazione da e verso i piccoli e grandi centri.
Durante gli anni settanta il Randstad accusò l’effetto delle due crisi
del petrolio per via delle sue industrie ad alto consumo energetico.
Tuttavia, fu soltanto dopo la seconda crisi del 1978 che il processo di
decentramento rallentò sensibilmente a causa dell’aumento del prezzo
del petrolio e della recessione nel settore edilizio.
2. Fattori di concorrenzialità nel Randstad
Il citato saggio di Borg, Bramezza e Costa (1991) contiene un’indagine dei fattori che possono rendere concorrenziale un sistema urbano.
In generale, la concorrenzialità di un settore urbano consiste nella capa391
cità di reagire prontamente di fronte ai cambiamenti che provengono
dall’esterno, adattando strutture e funzioni nel modo più opportuno. È in
questo modo che un sistema urbano può attrarre a sé abitanti e attività
produttive, la presenza dei quali – degli uni e delle altre – contribuisce,
accompagnata da un’efficiente politica urbanistica, al benessere sociale ed
economico del sistema urbano nel suo insieme.
Il saggio giunge alla conclusione che vi sono due categorie di fattori
determinanti la concorrenzialità dí un sistema urbano. La prima riguarda
le caratteristiche fisiche e comprende i seguenti fattori: efficienza del sistema di infrastrutture, adeguata dotazione di servizi urbani strategici,
alto livello di qualità dell’ambiente urbano ed efficienza della politica di
pianificazione.
La seconda categoria comprende le funzioni specifiche che ogni sistema urbano dovrebbe svolgere. In base a queste, l’efficienza e la concorrenzialità di un centro urbano dipendono dal fatto che esso sia nel
contempo centro di gravità o di distribuzione delle merci prodotte all’interno dell’area o provenienti dall’esterno, vetrina internazionale peri produttori dell’area circostante e rampa dí lancio dei loro prodotti attraverso
le reti commerciali internazionali, centro organizzativo di attività innovative, nodo principale di un’efficiente rete di informazione e comunicazione e centro di una rete di scambi culturali internazionali.
La distinzione tra le due categorie è tutt’altro che netta. La prima comprende condizioni necessarie ma non sufficienti a rendere concorrenziale
un sistema urbano; per la seconda, i fattori funzionali devono soddisfare
una serie di condizioni. In altre parole, un’area può trarre profitto dai fattori funzionali soltanto quando le componenti strutturali siano state precedentemente realizzate.
Non è semplice, tuttavia, ottenere un sistema urbano «completo»: sovente accade che un agglomerato urbano sia concorrenziale soltanto rispetto a una o poche funzioni. Ed è qui che va colto il grande vantaggio
presentato dal Randstad, agglomerato urbano complesso con più di un
centro. Come si vedrà più avanti, ogni città ha una sua peculiare specializzazione, diversa da quella delle altre, e nel contempo ogni città dipende
dalle altre. La concorrenzialità di ogni centro del Randstad dipende dalla
sua specializzazione in fattori di grande importanza. Considerato nell’insieme, questo sistema urbano ha la forza necessaria per imporre la propria solidità sul piano internazionale.
392
2.1. Fattori strutturali
L’analisi del Randstad interesserà tutte le componenti di rilievo, a partire dai fattori strutturali che lo caratterizzano dal punto di vista fisico. Il
Randstad verrà dunque descritto in termini di infrastrutture, servizi, condizioni ambientali e organizzazione politica.
Il sistema di infrastrutture. Come risulterà dall’esposizione dei fattori
funzionali (si veda oltre «Servizi urbani strategici»), la distribuzione è un
punto di forza del Randstad; ciò è dovuto agli ottimi collegamenti stradali e ferroviari e delle rotte aeree, marittime e fluviali su scala nazionale
e internazionale.
Il livello della qualità del sistema di infrastrutture è elevato. Il sistema
stradale, che in prossimità delle città più grandi spesso offre tre o anche
quattro corsie, collega efficacemente i maggiori centri del Randstad, permettendo di spostarsi da uno agli altri in tempi ragionevoli. Ad esempio,
il tratto Rotterdam – L’Aia richiede soltanto venti minuti, come indicato
nella tabella 3. Facilità di accesso e manutenzione dei collegamenti con
l’hinterland sono aspetti di importanza vitale per una metropoli come il
Randstad (si veda la fig. 3).
Tabella 3. Distanze tra le città del Randstad (tempi di percorrenza per un’automobile
a 90km/h in minuti).
Amsterdam
L’Aia
Rotterdam
Utrecht
Amsterdam
L'Aia
Rotterdam
Utrecht
–
38
51
26
38
–
18
41
51
18
–
39
26
41
39
–
Anche i collegamenti con le altre città europee sono abbastanza buoni.
Parigi e Francoforte, ad esempio, si raggiungono in meno di cinque ore di
treno (si veda la tab. 4). Particolare attenzione è stata posta al potenziamento dell’efficienza di questi collegamenti. Punti di forza del sistema
dei trasporti sono soprattutto l’area della Ruhr, con la sua economia rinnovata, la Germania meridionale, i paesi scandinavi e le città francesi e
belghe sedi di attività economiche, oltre al tunnel sotto la Manica.
Recentemente le amministrazioni locali hanno raddoppiato gli sforzi
per eliminare intasamenti in prossimità di ponti e gallerie. La nuova soluzione consiste nell’utilizzo di canali navigabili. Lo scopo è quello di fa
393
Figura 3. Principali linee di collegamento viario del Randstad, 1990.
Fonte: Ministerie van Volkhusvesting, Ruimtelijke Ordening Milieubeheer (Ministero
dell’Edilizia abita- riva, della programmazione territoriale e dell’ambiente) 1990.
394
Tabella 4. Tempi di percorrenza aerei e ferroviari, attuali e futuri, tra Amsterdam e alcune
città europee (tempi di percorrenza in ore).
Randstad
città
europee
Parigi
Londra
Bruxelles
Francoforte
Milano
Copenaghen
Barcellona
Lisbona
Venezia
Aereo2
treno
al presente
in futuro1
450
6.00
2.00
4.40
11.00
1020
15.00
31.20
13.15
3.00
5.10
130
3.05
7.45
8.35
7.35
14.15
10.15
1.00
1.00
0.40
1.05
1.35
1.15
2.00
250
1.45
Fonti: 1 Comrnunity of European Railways, 1991; 2 Orario della Klm, 1991.
cilitare il trasporto delle merci e migliorare qualitativamente i collegamenti intercomunali a vantaggio sia del traffico commerciale sia dei pendolari.
In quanto al sistema ferroviario, esistono alcuni progetti che interessano soprattutto le merci (si veda la fig. 4a). Nell’insieme, il trasporto delle
merci su rotaia ha un’importanza secondaria: soltanto il 5% contro il 50%
della Germania. Le ferrovie olandesi hanno proposto di sviluppare quattro nuovi servizi specifici di spedizione delle merci (Corporate Location
Europe, 1991) per piccole quantità, per clienti che richiedono di disporre
di un intero convoglio, per tutti i tipi di trasporto combinato e per clienti
con necessità di operazioni di carico/scarico fisso che desiderano un servizio completo di trasporto.
La politica dei trasporti prevede inoltre la riorganizzazione strutturale
del servizio merci delle ferrovie olandesi in tre unità commerciali, ciascuna con esigenze specifiche nelle operazioni dí scarico: chimica, combinata e di trasporto generico. Lo scopo comune è quello di ottimizzare
l’efficienza del servizio.
Le innovazioni riguardano anche il servizio passeggeri; sia Rotterdam
che Amsterdam saranno collegate alle linee Tgv, che potrebbero ridurre
il tempo di percorrenza del tragitto Parigi-Antwerpen-RotterdamSchiphol-Amsterdam da cinque a tre ore. Una linea ad alta velocità collegherà Amsterdam con Colonia via Utrecht. Altri treni ad alta velocità
effettueranno collegamenti tra il Randstad e la Germania, l’Austria, la
Svizzera e l’Italia settentrionale (si veda la fig. 4b).
395
396
397
piuttosto che ad Amsterdam. Soltanto Roma è stata superata da
Schiphol in quanto a tasso di crescita. La tabella 6 ci permette di
osservare che, malgrado l’aeroporto di Amsterdam segua quelli di
Francoforte, Londra e Parigi nelle spedizioni, il tasso di crescita è
piuttosto alto (si veda anche la fig. 5).
Tabella 5. Movimento passeggeri e tasso annuale di crescita negli aeroporti di alcune città
europee, 1986 (valori in milioni di passeggeri),
Londra*
Parigi*
Francoforte
Roma*
Amsterdam
Madrid
Stoccolma
Copenaghen
Atene
Palma di Maiorca
Movimento passeggeri
(transito escluso)
48,7
33,5
20,5
13,3
12,0
11,2
10,6
10,3
10,1
9,9
Crescita media
1974-86
1,91
1,35
0,69
0,31
0,37
0,28
0,52
0,19
0,42
0,29
* città con più di un aeroporto; il valore indicato si riferisce al totale dei movimenti delle
spedizioni. Fonte: Berg, 1988.
Tabella 6. Numero di spedizioni e tasso annuale di crescita negli aeroporti di alcune città
europee (valori assoluti in migliaia di tonnellate; crescita media in percentuale per migliaia di
tonnellate).
Spedizioni
1986
Francoforte
Londra*
Parigi*
Amsterdam
Zurigo
Roma*
Bruxelles
Madrid
Atene
Milano*
48,7
33,5
20,5
13,3
12,0
11,2
10,6
10,3
10,1
9,9
Crescita media annuale
1974-86
1,91
135
0,69
0,31
0,37
0,28
0,52
0,19
0,42
0,29
* città con più di un aeroporto; il valore indicato si riferisce al totale dei movimenti delle
spedizioni. Fonte: Berg, 1988.
398
Secondo le ultime previsioni, schematizzate nella tabella 7, la sua
capacità sarà raddoppiata prima della fine del secolo.
Tabella 7. Numero di spedizioni europee e intercontinentali per l’aeroporto di Schiphol (valori
assoluti in tonnellate; valori in percentuale in parentesi).
Cargo
Totale
in Europa
Intercontinentali
1985
436.062
82.435 (19)
353.627 (81)
1986
1987
1988
1989
1990
2000
451.354
513.711
575294
582552
884.000
1.250.000
91565 (20)
102.023 (20)
113.033 (20)
111.723 (19)
–
–
359.789 (80)
411.688 (80)
462261 (80)
470.829 (81)
–
–
Fonte: National Physics Planning Agency, 1990.
La tabella 7 ha chiaramente messo in risalto il ruolo dell’aeroporto di
Schiphol come porta d’accesso all’Europa. Circa l’80% dei cargo per
Schiphol proviene da altri continenti, mentre soltanto il 20% parte da
paesi europei.
Il più grande porto del mondo dista cinquanta chilometri da Schiphol.
Uno degli obiettivi prioritari della ricostruzione postbellica fu il ripristino
del porto di Rotterdam, che nel 1962 superò New York diventando il
maggior porto del mondo in quanto a tonnellaggio. Il continuo ammodernamento del porto di Rotterdam serve a fame uno scalo di importanza
capitale, che sia cioè punto d’intersezione del flusso del commercio e del
trasporto da e verso l’Europa. Ingenti somme di denaro sono state investite nelle infrastrutture, ma anche nella specializzazione della gestione
manageriale dei flussi di trasporto.
Il sistema delle telecomunicazioni è molto avanzato. Le società e gli
uffici di Rotterdam comunicano mediante una sofisticata rete in fibra di
vetro. L’Intis, ad esempio, è una rete informatica ideata per monitorare i
cargo nel porto. La distribuzione è in continuo miglioramento: il Rotterdam
Distripark (un centro di distribuzione nei pressi dei principali punti di
raccolta di container) e il nuovo European Combined Terminal per il traffico dei container alla foce del fiume Maas sono due esempi di questa politica. Come diretta conseguenza, Rotterdam è diventata una sede otti399
male per il commercio internazionale, la distribuzione e le compagnie di
trasporti. L’area è allettante anche per le industrie interessate alle funzioni
di distribuzione svolte da Rotterdam, come le ditte di assemblaggio:
Unilever, Lobeco, Shell e altre compagnie hanno scelto questa zona per
stabilire le loro sedi centrali.
Servizi urbani strategici. In generale, i servizi offerti da un sistema urbano
possono essere divisi in due categorie principali: servizi comuni e servizi
eccezionali. I servizi eccezionali sono prodotti specifici, offerti da aree
particolari, che possono essere considerati strategici in quanto creano un
monopolio relativo. Possono anche essere classificati come servizi dí
prim’ordine. I servizi urbani strategici possono essere identificati, ad
esempio, nelle attività a tecnologia avanzata, nel marketing, nelle agenzie
dí pubbliche relazioni, nei sistemi avanzati di telecomunicazione e di trasporto, nelle società innovative e nei servizi culturali. Tutti questi servizi
contribuiscono a sviluppare e a facilitare il funzionamento di sistemi innovativi di produzione. Quelli che seguono sono alcuni esempi della
gamma di servizi eccezionali che il Randstad offre agli operatori del mercato interno ed estero.
Il nuovo parco industriale noto come Amsterdam Teleport sta rapidamente assumendo la forma di un efficiente centro di servizi di prim’ordine, benché inizialmente siano state avanzate riserve circa la sua funzionalità. I «teleport» fungono da crocevia utilizzando le infrastrutture
del servizio postale e delle reti di comunicazione e telecomunicazioni già
esistenti. Questo centro d’affari di massimo rilievo, situato sulla circonvallazione ovest di Amsterdam, è la risposta alla domanda di servizi di
alta qualità; è inoltre facilmente raggiungibile con mezzi pubblici e privati, trovandosi nei pressi della stazione ferroviaria di Sloterdijk e non
distante dall’autostrada. Amsterdam Teleport dispone del più avanzato
sistema di telecomunicazioni e di tutti i servizi necessari alla sua funzionalità. Qui ha sede la Société Internationale de Télécommunication
Aéronautique, un centro computerizzato che collega altre stazioni ad
alto livello dislocate in tutto il mondo. Amsterdam può offrire una serie
ancora più ampia di servizi urbani strategici concentrati in zone specifiche della città. Nella zona sud, a sette chilometri da Schiphol, si trova il
World Trade Centre; in quella ovest vi sono il World Fashion Centre, il
già nominato Teleport e il Riekerpolder, un centro d’affari per le società
aeroportuali.
Il progetto più recente è il piano di rivalorizzazione della zona del
porto (IJ-oever), approvato nel gennaio 1990, che riaprirà lo storico porto
400
di Amsterdam al pubblico. Il progetto di ristrutturazione sarà realizzato
congiuntamente dal comune e dal settore privato. Prevede la costruzione
di alloggi per tremila famiglie, di uffici per quattrocentomila metri quadri
e di un centro commerciale al di sopra dei binari della stazione centrale.
Quest’ultima sarà il punto focale dell’intero progetto. Verranno inoltre
realizzati due darsene per gli yacht, diversi piazzali e centri di interesse
pubblico. Una nuova rete tramviaria ad alta velocità collegherà i diversi
mezzi pubblici (treno, autobus, tram e metropolitana) avendo come
centro la stazione. Quando il progetto riguardante il Tgv, per altro già
approvato, sarà portato a termine, l’arrivo dei trains à grande vitesse alla
stazione centrale di Amsterdam sancirà il completamento della rete di
trasporti della città.
A Rotterdam e nell’area circostante molte aziende del settore commerciale, della distribuzione e dei servizi commerciali dí prim’ordine
hanno posto le rispettive direzioni generali nel centro della città e nelle
vicinanze della stazione centrale. Le zone nord-occidentale e orientale di
Rotterdam pullulano di iniziative in via di realizzazione: Brainpark per
uffici e società di servizi ad alto livello e Distripark nell’area dei dock per
le società della rete di distribuzione. Tuttavia il progetto di maggiore rilievo è il Kop van Zuid, nella regione a sud di Rotterdam, sulla Mosa e
nelle vicinanze del centro. La zona occupa circa 125 ettari ed è suddivisa
in due aree. Quella situata lungo il fiume destinerà 365.000 m2 a uffici,
35.000 alle aziende, 70.000 a parcheggi e 31.000 a strutture per attività
ricreative. Verranno inoltre costruiti millecinquecento appartamenti,
mentre l’altra area ne ospiterà tremila. In quanto alle vie d’accesso all’intera zona, un ponte di nuova costruzione collegherà il Kop van Zuid e il
quartiere sud della città con la periferia nord, dove è situato l’aeroporto
di Rotterdam. Saranno inoltre effettuate alcune modifiche alla rete autostradale e verrà realizzata una nuova stazione della metropolitana. Anche
questo progetto verrà portato a termine congiuntamente dal settore
pubblico e quello privato.
Le tabelle 8 e 9 illustrano le caratteristiche salienti dei principali progetti del Randstad. Come si potrà notare, esse contribuiscono in modo
determinante a fare del Randstad un polo d’attrazione sia per i nuclei familiari che per le attività economiche. La tabella 8 espone i più importanti
progetti che interessano le quattro metropoli del Randstad: l’IJ-oever ad
Amsterdam, il Kop van Zuid a Rotterdam, il Nieuw Centrum all’Aia e il
City Project a Utrecht. La tabella 9 riguarda due progetti di sviluppo
urbano, due di sviluppo degli scali principali, tre progetti spaziali e quattro progetti per il potenziamento delle infrastrutture.
401
Tabella 8. Progetti integrali nel Randstad (costo di realizzazione in miliardi di fiorini; numero di abitanti in migliaia).
Costo
Fine lavori
4,6
2015
IJ-oever
(Amsterdam)
Kop vari '
Zuid
(Rotterdam)
43
2010
Nieuw
Centrum
(L’Aia)
2,7
2000
City
Project
(Utrecht)
1,5-2
dopo il
2000
Caratteristiche
Abitanti: 3.375.
Uffici: 423.000 m2.
Strutture di uso pubblico e negozi: 124.000 m2.
Strutture per convegni: 15.500 m2.
Abitanti: 5.100.
Uffici: 376.000 m2.
Affari: 51.000 m2.
Strutture per lo svago e negozi: 53.500 m2.
Infrastrutture: ponte, stazione metro,
stazione tram, parcheggio (3.600 mg.
Abitanti: 1.400.
Uffici: 250.000 m2.
Affari: 51.000 m2.
Strutture per lo svago e negozi: 160.000 m2.
Infrastrutture: ampliamento della stazione
centrale, tunnel tramviario sotto la Grote
Markstraat.
Abitanti: 650.
Uffici: 240.000 m2.
Negozi: 20.000 m2.
Tempo libero: Centro della musica e casinò
Infrastrutture: stazione degli autobus,
ampliamento della rete tramviaria CS.
Fonte: Nederlands Economish Instituut, 1991.
402
Tabella 9. Altri progetti nel Randstad (costo di realizzazione in miliardi di fiorini; numero di
abitanti in migliaia).
Sviluppo urbano
1. Piano integrale
Noordrand
(Rotterdam)
2. Kustlokatie
(Hoek van
Holland —
Scheveningen)
Costo
Disponibilità
Caratteristiche
3,8
Intorno al
2015
Nuova area urbana:
8.000 abitanti,
350.000 m2, uffici,
300 ha. per gli affari.
Nuova autostrada e ampliamento
dell’aeroporto.
2
–
Residenza elettiva:
abitazioni sull’acqua,
uffici, brainpark, world
trade center su 2000 ha.
Sviluppo degli scali
1. Schiphol
(Amsterdam)
22,7
fino al
2015
Nuova torre di controllo,
ampliamento del molo B,
della stazione ferroviaria e
delle piste, parcheggi e così via.
Europort
(Rotterdam)
3,5
dopo il
2000
Realizzazione del «Delta Mega
Hub Center» sulla Mosa,
pazi per la distribuzion
migliorie.
2
dopo il
2000
Area di residenza elettiva con
oltre 400.000 m2 per uffici.
1
1995
Uffici situati in grattacieli
ubicati in centro
(due strade).
1
inizio lavori
1995 -2000
2.
Progetti spaziali
1. Amsterdam
sud-ovest
2. Weena e
Coolsingel
(Rotterdarn)
3.
Ouderijn
Residenza di tipo C
per uffici, 550.000 m2,
collegamento con treni rapidi.
Progetti di infrastrutture
1. Rijksweg A15
–
2. Tunnel
_
3. Hoge Snelheids Lijn
(treno ad alta velocità)
4. Linea ferroviaria
del Randstad
3,2
1994
dopo il 1994
1996
Potenziamento e
miglioramento.
intorno al
2000
Fonte: Nederlancls Econornish Instituut, 1991.
403
Qualità della vita urbana. Dare priorità assoluta al miglioramento delle
condizioni dell’ambiente abitativo è una scelta che contribuisce alla crescita economica e sociale del sistema urbano. In generale, è necessario che
le città adottino una nuova politica per diventare poli d’attrazione di
imprese innovative e delle fasce sociali ad alto reddito. Tale politica dovrebbe aumentare il potenziale economico della regione concedendo
spazi adeguati per l’insediamento di industrie, esercitando un controllo sui
prezzi e sugli affitti dei terreni e migliorando le vie d’accesso alle strutture.
Dovrebbe inoltre aumentare il potenziale del mercato del lavoro attirando
soprattutto personale specializzato, e conseguentemente elevando la
qualità dell’ambiente abitativo (Berg, 1987).
L’immediato miglioramento del sistema economico di una città è
un’operazione spesso difficile; generalmente risulta più semplice intervenire sull’aspetto residenziale e della qualità della vita, tuttavia è possibile agire attraverso un meccanismo indiretto. È necessario impegnarsi
a fondo per rivitalizzare una città rimasta a lungo in balia di una crescita
incontrollata. Una città che torni ad avere fiorenti attività economiche
aumenterà il potenziale di scambi da e verso l’esterno, attirando nuove
imprese. Di conseguenza, otterrà una diminuzione della disoccupazione
e un innalzamento del livello di benessere. L’ipotesi di stabilirsi in città,
quindi, risulterà ancora più allettante.
Le pubbliche amministrazione del Randstad sembrano aver compreso
questo meccanismo, e negli ultimi tempi si sono impegnati a fondo perché la qualità tornasse ad attestarsi su un livello elevato. Molte città della
regione hanno i numeri per invogliare a risiedervi o a trovarvi un’occupazione. Nell’esposizione dei fattori funzionali non sarà sfuggita l’importanza dell’effetto del turismo nel Randstad: nel corso degli ultimi anni
anche Rotterdam ha cercato di cambiare aspetto. Nel centro, ma anche
negli altri quartieri, non si costruiscono soltanto palazzi per uffici, ma anche appartamenti di lusso, negozi e strutture per attività culturali. Un
esempio è Waterstad (Città sull’acqua), una zona situata tra il centro di
Rotterdam e il fiume e attrezzata per il turismo e il tempo libero. Vi si
trovano una piscina tropicale, il teatro Imax, un albergo, un museo del
mare, il vecchio porto ricco di birrerie e ristoranti: queste dotazioni e altri
progetti ancora contribuiscono in modo determinante a modificare
l’aspetto della città.
Le altre città si stanno muovendo nella stessa direzione. Il centro
dell’Aia, ad esempio, è interessato da progetti quali il New Centre, il
Beatrixkwattier e lo Schenk, per i quali il comune si è impegnato a realizzare costruzioni di alto livello qualitativo e progetti culturali. Inoltre,
404
l’ex-area industriale è destinata a ospitare l’Istituto di istruzione superiore
dell’Aia, mentre lungo la costa verrà attuato il rinnovamento delle
località turistiche e della marina di Scheveningen. Sempre lungo la costa,
il prodotto di un’altra località turistica dell’Aia, Kijkduin, sarà consolidato con la costruzione di un nuovo centro per congressi di alto livello.
Politica urbanistica. Dal punto di vista fisico, l’Olanda ha una forte tradizione in fatto di pianificazione. La cultura del controllo pubblico del
territorio è molto diffusa, e dall’inizio del secolo si è estesa alla pianificazione urbanistica delle grandi città. La politica urbanistica consiste nella capacità consumatori intervenendo e gestendo il territorio con anticipo adeguato.
Questa capacità fondamentale è assolutamente necessaria ai fini dell’efficacia della politica urbanistica. Vi sono sistemi urbani che apparentemente possiedono tutti i requisiti per essere concorrenziali, e tuttavia mancano l’obiettivo perché la loro politica urbanistica non è sufficientemente
concorrenziale. L’organizzazione della strategia dev’essere chiara per tutti,
flessibile e sollecita. Le strategie devono essere attuate al momento opportuno e le nuove iniziative vanno incoraggiate. La gestione urbanistica
deve sviluppare una strategia integrata e diventare parte del sistema urbano; deve inoltre sapersi adattare ai cambiamenti che occorrono all’interno e all’esterno del sistema urbano. È importante che questa strategia
prenda in considerazione la pianificazione di abitazioni, uffici, industrie,
servizi, centri commerciali, infrastrutture e così via. L’amministrazione locale deve creare quelle basi che ne facilitano la costruzione. L’organico
delle amministrazioni dovrebbe essere strutturato in modo tale da consentire una politica integrata con la partecipazione di partner privati.
La maggior parte dei progetti illustrati sopra (si veda oltre «Servizi urbani strategici») prevede la collaborazione dei settori pubblico e privato.
Senza la partecipazione di quest’ultimo a partire dalla fase iniziale, non
sarebbe valsa la pena nemmeno di tentare di avviare progetti dí tale complessità.
Rotterdam offre un esempio illuminante di come il mercato urbano
possa contribuire alla strategia globale finalizzata alla rivalorizzazione
della città, la cui impostazione coinvolge l’intera regione. L’obiettivo generale è quello di promuovere gli interessi correlati delle parti che operano
in città. Realismo ed efficienza è la parola d’ordine del nuovo approccio.
Scopo ultimo di questa politica è quello di creare maggiore prosperità e
benessere nella regione attraverso il conseguimento di due obiettivi:
primo, lotta alla disoccupazione e crescita dell’occupazione; secondo,
rivitalizzare la città. Parole chiave del raggiungimento di queste due mete
sono qualità, concorrenzialità e collaborazione. Tuttavia, per una poli405
406
Un gran numero di progetti di ristrutturazione di vasta portata riguardanti Rotterdam, L’Aia e Amsterdam sono stati avviati con la cooperazione e il coordinamento dei settori pubblico e privato, le amministrazioni da un lato e il commercio e l’industria dall’altro. Tutte le parti
interessate hanno sottoscritto accordi per realizzare questi programmi di
rinnovamento.
La cooperazione dovrebbe essere presente anche tra i comuni, all’interno di una politica amministrativa fondata su obiettivi più generali. In
Olanda le municipalità dei capoluoghi e quelle suburbane sono ancora
autonome. Di conseguenza, la cooperazione tra i comuni appartenenti
allo stesso territorio amministrativo non è sufficientemente incisiva. La
convinzione che le autorità locali debbano collaborare in tempi brevi su
questioni quali la politica dell’edilizia abitativa e dei trasporti pubblici, la
pianificazione dei servizi sociali e culturali, il progetto per l’ambiente e
via discorrendo, è più largamente diffusa (Berg, Klaassen, Meer, 1990).
I vantaggi della collaborazione tra i settori pubblico e privato da un
lato e le municipalità dall’altro sono evidenti. Se le parti coinvolte nel
progetto prendono accordi sin dal principio, è più facile evitare i contrasti dell’«ultimo momento» che spesso ostacolano il raggiungimento
dell’obiettivo.
«Bestuur op niveau» è il nome dato a una proposta di legge presentata
nel 1991 dal governo olandese. In essa si sottolinea la necessità di
un’autorità amministrativa in grado di governare la regione nel suo insieme. Le regioni urbane sono generalmente costituite da capoluogo e da
altre città minori situate intorno al centro principale; appartenendo alla
stessa regione, tutti questi comuni sono in stretta relazione l’uno con l’altro. Di fatto la collaborazione delle municipalità facenti capo alla stessa
regione sta diventando un imperativo categorico. Tutti í centri devono lavorare insieme per poter ottimizzare l’efficienza della politica urbanistica
e potenziare i punti di forza della regione. Nel 1993 la legge sarà operativa e le regioni urbane di Amsterdam, Rotterdam, L’Aia e Utrecht (per
quanto attiene al Randstad) saranno tenute a stabilire nel giro di tre mesi i
termini di legge: la prima valutazione della cooperazione avverrà dopo
due anni. In base ai risultati ottenuti il governo continuerà ad agire nella
stessa direzione oppure modificherà í termini di legge.
L’estrema importanza della disposizione risiede nell’avere formalizzato la collaborazione tra le municipalità della regione urbana. La fase
decisionale sarà facilitata dalla convergenza negli obiettivi da raggiungere: ciò contribuirà inoltre ad aumentare la concorrenzialità della regione urbana, che, operando unitariamente, risulterà più forte.
«Bestuur op níveau» è il risultato di una lunga esperienza del governo
407
olandese nel settore della pianificazione del territorio. Recentemente il
governo ha presentato la «Quarta relazione sulla pianificazione territoriale». La prima relazione di questo genere, il «Rapporto sulla zona occidentale dell’Olanda», venne rese pubblica già nel secondo dopoguerra: da
allora i governi che si sono succeduti stendono una relazione ogni dieci
anni circa.
In Olanda le responsabilità della pianificazione sono generalmente ripartite su tre, talvolta quattro, diversi livelli governativi. La massima autorità
è la Commissione nazionale per la pianificazione del Ministero dell’Edilizia
abitativa, della pianificazione territoriale e dell’ambiente, la quale ha l’ultima
parola in materia di pianificazione. La stessa Commissione orienta la
politica da attuare a livello nazionale attraverso relazioni e studi strutturali
preliminari. Il secondo livello è quello delle province, che redigono
(autonomamente o con la supervisione degli organismi preposti) piani
regionali a integrazione delle proposte del governo e delineano gli
ambiti della pianificazione nelle municipalità.
A questo punto spetta ai comuni preparare due tipi di piani: strutturali
(terzo livello) e normativi (quarto livello). I primi sono maggiormente
diffusi nelle aree più densamente abitate e riguardano in generale l’utilizzo del territorio, i secondi sono più dettagliati in quanto si riferiscono a
zone specifiche e piani regolatori, e devono avere l’approvazione della
provincia (Harding, 1991).
Le più importanti relazioni in tema di pianificazione redatte tra il 1958
e il 1991 sono sintetizzate nella tabella 10. Di ciascuna relazione sono riportati i punti salienti. La Quarta relazione è particolarmente importante
per il fatto di avere per la prima volta prestato grande attenzione alle conseguenze dell’internazionalizzazione dell’economia olandese: può dunque
essere considerato il primo documento che abbia delineato i tratti essenziali dello sviluppo regionale in una futura Europa senza frontiere
(Ministero dell’Edilizia abitativa, della pianificazione territoriale e dell’ambiente).
La Quarta relazione sulla pianificazione territoriale contiene una strategia di sviluppo del Randstad ed è centrata sull’ulteriore sviluppo
dell’ambiente urbano internazionale nella parte occidentale della regione:
più precisamente, lo scopo del governo olandese è continuare a esercitare
restrizioni edilizie nel green heart, determinando una penuria di aree edificabili e conseguentemente potenziando la forza d’attrazione dei siti urbani.
Portare a termine questo progetto richiede un grosso sforzo. Come è
già stato detto, è in atto una stretta collaborazione tra le amministrazioni
comunali e i settori del mercato coinvolti. La collaborazione è una con408
409
dizione necessaria. Tutte le parti interessate hanno compreso che questa
strategia può essere attuata soltanto se le basi sono definite. L’unità di intenti e l’accordo sulle modalità operative, specialmente in una regione
come il Randstad, sono dunque requisiti indispensabili perché il progetto
abbia successo. I punti cardine della Quarta relazione sono stati sottoscritti da tutte le parti interessate, che perseguono le seguenti finalità:
— mantenere intatto il green heart. L’urbanizzazione sarà spinta il più
possibile nelle zone urbane per conservare le caratteristiche che rendono
il green heart unico nel Randstad;
— creare strutture ad alto livello per uffici e un ambiente abitativo di
ottima qualità nelle città;
— stimolare un’ulteriore concentrazione di servizi necessari agli ambienti internazionali presenti ad Amsterdam, Rotterdam e all’Aia, particolarmente nei settori scolastico, culturale e della ricerca;
— prestare particolare attenzione alle vie d’accesso al Randstad e ai
collegamenti con l’hinterland. Concretamente ciò significa che il Randstad
sarà collegato alla rete europea mediante treni ad alta velocità (si veda la
fig. 7);
— attuare una politica ambientale che sia attenta alla qualità dell’ambiente di vita, di lavoro e di svago al presente e in futuro.
2.2. Fattori funzionali
Come già anticipato (si. veda sopra «Qualità della vita urbana»), esiste
un secondo gruppo di fattori che determinano la concorrenzialità di un
sistema urbano, i quali individuano le cinque funzioni che il sistema
urbano dovrebbe esplicare: essere il centro di distribuzione delle merci
prodotte all’interno e all’esterno della regione; funzionare come vetrina
internazionale per i produttori dell’area circostante e come rampa di lancio dei loro prodotti attraverso le reti commerciali internazionali; essere il
centro organizzativo di attività innovative; essere il nodo principale di
un’efficiente rete di informazione e comunicazione e il centro di una rete
di scambi culturali internazionali.
Abbiamo anche detto che non è facile, per un sistema urbano, possedere tutti i requisiti richiesti sia dai fattori strutturali sia da quelli funzionali.
I primi sono condizioni necessarie allo sviluppo urbano; per quanto
riguarda i secondi, un agglomerato urbano può indirizzare la sua politica e
diventare concorrenziale solo rispetto a una o poche funzioni. Il Randstad
è un’area policentrica con quattro centri importanti, ognuno dei quali è
specializzato in un settore particolare e pertanto contemporaneamente
410
411
dipendente dagli altri. Questo fa sì che ogni sistema urbano appartenente
al Randstad possa essere concorrenziale in quanto specializzato in fattori
di grande importanza. Inoltre, l’intera regione dispone di tutte le forze
necessarie per imporsi in quanto a solidità a livello internazionale. Per ciò
che riguarda l’interpretazione di questi fattori, ci sembra di poter affermare che ogni fattore funzionale è riconducibile a un settore specifico di
attività economiche: la corrispondenza permette di tradurre concetti
astratti in attività ponderabili, consentendo di valutare la presenza di ciascuna funzione in ogni sistema urbano, in questo caso nel Randstad.
Il Randstad come centro di distribuzione e di gravità. La prima funzione si
riferisce esplicitamente all’organizzazione e alla struttura dell’economia
della regione. Occorre chiedersi se la regione sta funzionando come
centro di gravità di tutte le merci prodotte all’interno dell’area o provenienti dall’esterno, se cioè sia centro di distribuzione e punto di riferimento delle esportazioni o delle importazioni. Prima di dare una risposta, è opportuno descrivere in generale la struttura delle attività economiche della regione.
A causa dell’influenza degli sviluppi ciclici e strutturali dell’economia, la
struttura economica di una regione non è mai fissa, ma si modifica nel
corso del tempo. I cambiamenti comportano la nascita e la morte di nuove
e vecchie aziende operanti sul territorio. I recenti cambiamenti tecnologici
hanno contribuito a incrementare la prosperità e conseguentemente
l’espansione delle aziende e il processo di internazionalizzazione. Questa
evoluzione è stata positiva per stati di piccole dimensioni come l’Olanda, la
cui funzione principale è quella di centro di distribuzione delle merci
importate ed esportate.
Il progresso tecnologico ha consentito di aumentare le esportazioni
impiegando meno forza-lavoro, ciò che ha comportato la riduzione
dell’occupazione nei settori agricolo e manifatturiero: di conseguenza, la
produttività ha registrato una crescita sostanziale. Nonostante ciò, il tasso
di occupazione nel terziario è aumentato, come è illustrato dalla tabella
11, che mostra l’andamento dell’occupazione complessiva ripartita per
settori e zone dal 1960 al 1983. Nella tabella il paese è stato diviso in tre
regioni: il Randstad, con le aree metropolitane, urbane e rurali che esso
comprende, l’area intermedia e la periferia (per la divisione geografica del
Randstad si veda la fig. 8) (Boeckhout e Verster, 1986). Dalla tabella
risulta che fra il 1969 e il 1983 si è verificato un evidente cambiamento
nella composizione dell’occupazione complessiva: la quota dell’area intermedia è aumentata (+ 2,2%) a spese della periferia (-2,6%); in quanto
al Randstad, la quota si è mantenuta stabile su una media del 47,5 %.
412
Tabella 11. Andamento delle quote di occupazione complessiva per settori e zone in Olanda,
1960-83 (valori in percentuale; valori assoluti del totale in migliaia).
Industria
1960
Randstad
1. Metropoli
2. Zona urbana
3. Zona rurale
Area intermedia
Area periferica
Totale
43,6
1970
42,6
1980
39,0
Commercio
1983
1960
39,3
54,2
20,3 17,5 15,0
14,6
17,2 16,6 17,2
17,4
6,1
6,5
6,8
7,3
31,7 33,3 33,8
33,7
24,7 26,1 27,2
27,0
1.345 1.366 1.135 1.047
31,6
15,8
6,8
23,7
22,1
790
Trasporti
1970
1980
53,7
51,8
1983
50,7
29,3 24,3 21,2
16,8 17,7 18,7
7,6
9,8 10,8
25,1 27,2 28,6
21,2 21,0 20,7
894 885
845
Servizi
1960
1970
1980
1983
1960
1970
1980
1983
Randstad
68,0
65,9
63,0
62,9
58,2
55,8
53,0
52,3
Metropoli
Zona urbana
3. Zona rurale
Area intermedia
Area periferica
49,5
10,5
8,0
15,4
16,6
44,3
12,7
8,9
17,3
16,8
36,8
15,0
11,2
20,2
16,8
36,9
14,8
11,2
20,4
16,7
34,8
18,2
5,28
23,1
18,7
32,3
17,7
5,8
24,9
19,3
28,3
17,9
6,8
26,8
20,2
27,0
18,0
27,2
27,2
20,5
Totale
285
294
298
297
857 1.239 1.651
1.805
Solo servizi per gli affari
1975 1980 1983
Randstad
64,2
61,5
61,0
1. Metropoli
2. Zona urbana
3. Zona rurale
Area intermedia
Area periferica
Totale
43,2
15,8
5,2
13,9
26,1
327
39,2
16,2
6,1
15,1
27,2
420
38,1
16,3
6,6
15,2
27,0
418
Fonte: Boeckhour e Vester, 1986.
413
1960
47,5
Totale occupazione
1970 1980
1983
48,1
47,4
47,9
25,0 24,5
15,6 16,3
6,9
7,3
27,1 28,1
25,4 23,8
4.225 4.633
22,1
17,0
8,3
29,3
23,3
4.676
21,6
17,5
8,8
29,3
22,8
4583
414
415
nanziari. Amsterdam è la sede della più importante Borsa di cambio a livello europeo, come pure della più antica Borsa valori del mondo, dell’European Option Exchange e di altri istituti finanziari. Amsterdam si
trova così a ospitare, come diretta conseguenza, trentacinque banche
estere, di cui soltanto quindici sono di paesi europei, e sessantasei compagnie di assicurazioni di altri paesi (si veda la tab. 13). Oltre al commercio e alla distribuzione, settori che devono la loro forza anche al fatto che
la città possiede il più grande porto del mondo, la regione di Rotterdam è
più orientata verso i trasporti e le comunicazioni. Molte società straniere
che operano in questi settori hanno trovato in Rotterdam una collocazione vantaggiosa, favorendo la nascita, anche qui, di numerosi istituti finanziari: ventiquattro banche estere, di cui venti di paesi europei, e
venti compagnie di assicurazioni straniere. L’Aia, infine, per tradizione
detiene il primato nel settore dei servizi. Le alte percentuali riscontrate
(41,4% in «altri servizi» e 20,1% in «servizi commerciali») dipendono
dalla sua funzione di centro politico e amministrativo della nazione.
Tabella 13. Distribuzione degli istituti finanziari esteri nelle principali città europee (valori
assoluti).
Banche estere
Francoforte
Ginevra
Amsterdam
Milano
Barcellona
Stoccarda
Birmingham
Rotterdam
Manchester
Lione
Liegi
Glasgow
Tolosa
Lille
Torino
Strasburgo
Grenoble
Banche europee
237
77
35
32
30
33
22
24
22
18
16
11
10
9
6
6
5
123
n.d.
15
13
13
26
n.d.
20
n.d.
n.d.
14
4
9
7
4
5
4
Fonte: Datar, 1991
416
Compagie assicurative
estere
37
6
66
27
20
n.d.
n.d.
20
10
20
10
n.d.
10
10
14
10
9
417
418
Considerando la struttura economica del paese, è possibile suddividere
l’Olanda in tre aeree diverse sulla base dell’orientamento del mercato.
L’area meridionale del paese è più rivolta verso il mercato europeo, quella
centrale verso il mercato nazionale e quella circostante i due scali
principali ha una funzione di distribuzione più generale. Il Randstad sta
sempre più diventando un centro dí servizi e anche all’interno della regione si assiste a una divisione del lavoro: Amsterdam è specializzata nei
servizi finanziari, Rotterdam nei trasporti, L’Aia in servizi di consulenza e
per gli affari e Utrecht nel software. La propizia posizione di mercato del
Randstad come centro di distribuzione e di servizi invoglia le imprese
americane e giapponesi a stabilirvi le proprie sedi centrali, anche per il
favorevole sistema tributario olandese: possibilità di dedurre le perdite
dalle imposte, accordi vantaggiosi in materia fiscale stipulati con altri paesi
ed esenzione dalla tassa sui dividendi per le sedi centrali rendono il
Randstad relativamente conveniente. In quanto alle spese di gestione
(spese di costruzione, costo del lavoro, spese di energia e di trasporto),
l’Olanda è decisamente concorrenziale. L’edilizia ha costi relativamente
bassi, il costo del lavoro è inferiore del 10% a quello di Francia e
Germania, le tariffe postali e dei servizi di telecomunicazione sono le più
convenienti.
Possiamo dunque concludere dicendo che il Randstad è indubbiamente il centro di gravità delle merci provenienti dall’interno e dall’esterno
del suo raggio d’azione, soprattutto per via della sua efficace funzione di
distribuzione e della presenza di molte sedi centrali.
Il Randstad come vetrina internazionale. La seconda funzione considera il
sistema urbano come luogo d’esposizione internazionale peri produttori dell’area circostante e come rampa di lancio dei loro prodotti attraverso le reti commerciali internazionali.
In pratica ciò significa che il sistema urbano deve funzionare come mostra commerciale ed essere dotato di un efficiente sistema di distribuzione.
Le strutture atte a promuovere e a distribuire i beni sono dunque la condizione necessaria allo svolgimento di questa funzione. Generalmente questo compito è assolto da città caratterizzate dall’essere dei poli d’attrazione
dotati dí grande dinamismo. Nel panorama europeo, ciò accade per Parigi,
Londra, Milano e poche altre città. La capacità di assumere questa funzione non sempre dipende dalla città stessa, il che rende difficile lo svolgimento dei compiti a essa inerenti. La disponibilità di strutture per la promozione e la distribuzione dei prodotti è indispensabile, ma in Europa sovente accade che la funzione di vetrina sia appannaggio di città che hanno
avuto un ruolo storico significativo e prestigioso nel contesto generale.
419
Tuttavia, ciò non significa che una città che non possieda questi requisiti non possa candidarsi a centro di promozione e distribuzione dei
prodotti. La collocazione strategica di un sistema urbano in un ambito
più generale, dal punto di vista territoriale, può essere d’aiuto per farne
un polo d’attrazione: proprio in virtù della sua posizione centrale, il
Randstad, «porta d’accesso all’Europa», potrebbe essere una vetrina internazionale di prodotti nazionali ed esteri; d’altro canto, prendendo in
esame l’offerta di strutture adeguate alla promozione delle merci e dei
servizi, si deve constatarne la scarsità.
Nel Randstad, l’unica città che sia in grado di svolgere opportunamente questa funzione è Amsterdam, benché sul piano nazionale piuttosto che internazionale. L’Aia potrebbe essere un’importante vetrina internazionale, grazie al fatto di essere animata dal movimento di una considerevole popolazione internazionale. L’Aia è sede del governo, del parlamento, dei ministeri e delle istituzioni diplomatiche internazionali; l’assenza di strutture adeguate alla promozione e alla distribuzione delle
merci indubbiamente è un grosso ostacolo alla possibilità di trarre vantaggio da questa interessante funzione potenziale.
Il Randstad come centro organizzativo di attività innovative. Il terzo fattore
funzionale prevede che il sistema urbano debba anche essere un centro
organizzativo delle attività innovative. Università, scuole di formazione
professionale, master ín amministrazione aziendale, corsi di management, biblioteche: tutte queste strutture contribuiscono a elevare il livello di preparazione della forza-lavoro.
Nel Randstad vi sono sei grandi università, ossia quasi la metà di
quante ne conta l’intero paese, così distribuite: a Leiden (Rul) si trovano
le facoltà di teologia, giurisprudenza, medicina, matematica e scienze naturali, letteratura e lingue, sociologia, filosofia e storia; a Utrecht (Ruu)
sono ubicate le facoltà di teologia, giurisprudenza, medicina, matematica
e informatica, scienze sociali e astronomia, chimica, geologia e geofisica,
biologia, farmacia, letteratura e lingue, sociologia, veterinaria, filosofia e
scienze spaziali; a Rotterdam (Eur) hanno sede le facoltà di giurisprudenza, medicina, economia, sociologia, storia, arte, filosofia e amministrazione aziendale; ad Amsterdam (Uva) si tengono corsi di laurea in teologia, giurisprudenza, medicina, odontoiatria, matematica e informatica,
astronomia, chimica, biologia, letteratura e lingue, economia, scienze politiche, psicologia e pedagogia, filosofia e scienze spaziali, oltre all’accademia; ad Amsterdam (Vua) in teologia, giurisprudenza, medicina, odontoiatria, matematica e informatica, scienze naturali e astronomia, chimica,
biologia, economia ed econometria, scienze sociali e culturali, scienze
420
geologiche, scienze politiche, psicologia, pedagogia e filosofia; a Delft
(Tud) vi sono le facoltà di scienze tecniche e filosofiche, informatica, tecnologia civile, geodesia, architettura, ingegneria meccanica e tecnologia
marittima, tecnologia chimica e scienze dei materiali, aviazione e tecnologia dei trasporti, fisica. Come si vede, nel Randstad l’offerta di istruzione superiore può essere considerata più che soddisfacente. Queste
università sono conosciute a livello internazionale e molti studenti
stranieri sono iscritti ai loro corsi.
Le tabelle 16 e 17 mostrano che gli investimenti nell’organico e nelle
attrezzature per le università si concentrano nel Randstad piuttosto che
in altre regioni. La tabella 16 presenta gli investimenti nell’organico in
unità di lavoro standard nell’arco di tempo compreso tra il 1983 e il 1987.
Le sole università del Randstad a registrare un incremento negli investimenti in personale sono quelle di Rotterdam e Delft, mentre nelle altre si
riscontra una tendenza al ribasso. Osservando i dati delle due ultime righe, si può notare come il totale annuale degli investimenti nelle università del Randstad sia di molto superiore a quello delle altre università
olandesi.
Altro importante elemento dell’analisi è quello che tiene conto dei redditi provenienti dai contratti dí ricerca stipulati tra le università e altri enti
pubblici e privati (si veda la tab. 18). Anche in questo caso, rispetto alle
altre università, quelle situate nei quattro maggiori centri del Randstad
hanno registrato, nel periodo 1983-87, molte più entrate derivanti da contratti stipulati con altri istituti, e queste somme sono aumentate anno dopo
anno. Si tratta di un segno evidente dell’effetto che la ricerca universitaria
può determinare sulla società nel suo insieme; a questo proposito, le
università del Randstad sembrano essere molto attive.
Oltre alle università, nel Randstad vi sono altri importanti istituti di
istruzione superiore, che offrono la possibilità di acquisire un master in
alternativa o in aggiunta al diploma di laurea. Uno degli esempi di più recente istituzione è l’Urban Management Centre, il cui scopo è quello di
contribuire allo sviluppo di strategie di gestione che siano innovative e in
grado di incidere sui mutamenti del sistema urbano. Il centro è stato realizzato dall’Erasmus University di Rotterdam in collaborazione con
l’Istituto di studi per l’edilizia e lo sviluppo urbano. Altri esempi sono il
diploma post-universitario in contabilità, il programma esecutivo di sviluppo Rochester-Erasmus (Mba), il master in business informatics e
Tinbergen Institute per dottori di ricerca.
Da parte loro, anche le biblioteche contribuiscono a innalzare il livello
culturale. Migliorando la preparazione culturale della popolazione, auto421
Tabella 16. Investimenti nell’organica delle università del Randstad, 1983-87 (valori in
unità di lavoro standard).
1983
Leiden (Rul)
Utrecht (Ruu)
Rotterdam (Eur)
Amsterdam (Uva)
Amsterdam (Vua)
Delft (Tud)
Totale
Altre università
303.042
443583
155.882
360597
243.642
302586
1.809.332
1.131.646
1984
284.802
422545
152.176
343.245
235.748
294.875
1.733.391
1.111.827
1985
283.847
424.716
167.243
348277
236236
288.954
1.669286
1.217.158
1986
292.847
421.225
174.953
357.261
235.036
285526
1.766.875
1.166.732
1987
298538
412.893
174.319
346.091
236248
315.982
1.784.071
1.222.139
Fonte: Ministerie van Onderwijs en Wetenschappen (Ministero della Cultura e dell’educazione), 1989.
Tabella 17 . Investimenti in attrezzature nelle università di Randstad, 1983-87 (valori in migliaia
di fiorini).
1983
Leiden (Rul)
Utrecht (Ruu)
Rotterdam (Eur)
Amsterdam (Uva)
Amsterdam (Vua)
Delft (Tud)
Totale
Altre università
108.955
177.364
66389
129.136
91.208
129.325
702.377
428.144
1984
1985
1986
1987
111.675
181.095
73.145
135.523
96.723
148.486
746.647
454325
123.923
198.346
76.129
142.202
105.183
156.902
802.685
474.667
123.953
191.146
83.455
141.163
107.390
174.571
821.678
501.124
118.765
184.055
85.351
137.490
108.384
173.645
806.690
546.434
Fonte: Ministerie van Onderwijs en Wetenschappen (Ministero della Cultura e dell’educazione), 1989.
Tabella 18. Reddito da contratti stipulati dalle università con enti esterni, 1983-87 (valori in
migliaia di fiorini).
Leiden (Rul)
Utrecht (Ruu)
Rotterdam (Eur)
Amsterdam (Uva)
Amsterdam (Vua)
Delft (Tud)
Totale
Altre università
1983
1984
1985
1986
1987
30.732
47.232
8.879
15.399
23525
16.887
142.654
92.507
27.399
38.144
14.457
18.475
22.048
17.945
138.468
98.682
38.651
48.773
19596
20.875
24564
21.910
174.269
121.717
38.945
56.624
19.355
26.351
31.177
26.145
198.597
171.441
52.302
56.285
23.906
32.340
38.578
29.677
233.088
188.875
Fonte: Ministerie van Onderwijs en Wetenschappen (Ministero della Cultura e dell'educazione), 1989.
422
maticarriente incidono sul livello di preparazione della forza-lavoro. Le
tabelle 19 e 20 riportano, per i quattro maggiori sistemi urbani del
Randstad, i dati relativi all’offerta di biblioteche ripartiti per dimensioni
delle città, per agglomerati e semplicemente per città.
La tabella 19 evidenzia che il numero di utenti tesserati è aumentato
nel periodo preso in considerazione, benché dalla proporzione tra la percentuale di tessere e il totale dei residenti nel Randstad emerga un calo
dello 0,7%. In quanto alla tendenza riscontrata nelle percentuali, tenendo
presenti le dimensioni delle città, osserviamo che in media le percentuali
sono più alte nei centri in crescita che nei grossi e medi centri della regione. Utrecht conta il più alto numero di utenti tesserati, e lo stesso si
può dire per l’agglomerato che fa capo a questa città.
La tabella 20 riporta la quantità di testi disponibili ogni mille abitanti e
ogni mille utenti tesserati. I dati rivelano una positiva tendenza generale.
Osservando il numero di testi disponibili nel primo raggruppamento
territoriale della regione si nota che i valori più alti vengono registrati nei
centri di medie dimensioni. L’Aia è invece al primo posto nella suddivisione in quattro agglomerati principali. A breve distanza seguono nell’orTabella 19. Numero e quota degli utenti tesserati delle biblioteche del Randstad, 1980, 1985 e
1987 (valori assoluti in migliaia e valori in percentuale sulla popolazione).
V.a.
%
1980
1985
1987
1.512
454
1.592
505
1.650
445
Città di medie dimensioni
Centri in crescita
Altri centri urbani
Amsterdam (regione)
335
169
554
239
295
212
580
231
Rotterdam (regione)
L’Aia (regione)
Utrecbt (regione)
Amsterdam
248
165
131
165
Rotterdam
L’Aia
Utrecht
126
98
66
Randstad
Grandi città
1985
1987
29,4
22,8
27,8
26,3
28,7
23,1
295
231
679
239
28,4
36,8
23,5
22,8
25,6
33,6
24,1
23,1
25,5
34,2
27,8
23,5
320
168
135
152
256
178
155
156
25,1
24,4
27,2
23,0
31,2
24,9
26,8
22,6
24,8
26,3
30,0
22,8
202
94
56
132
97
61
21,8
35,4
21,2
24,5
23,0
21,7
26,6
Fonte: Stedelijke Netwerken, 1989.
423
1980
21,4
27,7
Tabella 20. Testi disponibili nel Randstad ogni mille abitanti e ogni mille utenti tesserati, 1980,
1985 e 1987 (valori assoluti in migliaia e valori in percentuale sulla popolazione).
Randstad
Grandi città
Città di medie dimensioni
Centri in crescita
Altri centri urbani
Amsterdam (regione)
Rotterdam (regione)
L’Aia (regione)
Utrecht (regione)
Amsterdam
Rotterdam
L’Aia
Utrecht
1980
V.a
1985
1987
1.923
2.016
2.324
2.417
2.415
2.457
7.004
8.822
2.463
2.104
1.366
1.629
1.911
2.215
2.164
1.638
2.939
2.234
1.725
1.955
2.290
2.749
2.570
1.989
2.980
2.354
1.928
2.008
2.370
2.875
2.542
2.058
8.666 11.478 11.672
5.824 6.656 6.878
5.811 7.163 6.932
7.119 8.447 8.542
7.627 7.319 9.547
9.089 11.019 10.937
7.961 9.570 8.474
7.107 8.814 9.030
1.962
2.335
2.677
2.448
2.688
3.075
2.551
2.691
2.956
8.990 6.918 11.089
10.938 12.712 12.395
9.671 12.537 11.133
1980
%
1985
1987
8.625 8.696
9.595 10.658
Fonte Stedefijke Netwetken, 1989.
dine le regioni urbane di Utrecht, Rotterdam e Amsterdam per quanto
riguarda l’indagine ogni mille abitanti mentre, in quella che considera la
quantità di testi disponibili ogni mille utenti tesserati, l’agglomerato
dell’Aia è seguito da quelli di Rotterdam, Amsterdam e Utrecht. Infine,
rispetto alle aree urbane vere e proprie L’Aia, Utrecht e Rotterdam dispongono dí un maggior numero di testi in confronto ad Amsterdam.
In conclusione, la maggior-parte delle strutture necessarie per creare
un efficiente supporto organizzativo alle attività innovative è ancora una
volta concentrata nel Randstad. Inoltre, la qualità di queste strutture è
all’altezza degli attuali standard internazionali.
Il Randstad come nodo principale di una rete di informazione e comunicazione. La
quarta funzione che un sistema urbano dovrebbe assumere è quella di
nodo principale di una rete di informazione e telecomunicazione. Per il
Randstad, disporre di tutte le attività necessarie allo svolgimento di
questa funzione significa avere raggiunto un buon livello di efficienza
delle infrastrutture concernenti i settori dei trasporti, della distribuzione,
dell’informazione, delle comunicazioni e delle telecomunicazioni.
424
Grazie alla sua posizione geografica, unica in Europa, gran parte dei
paesi stranieri sono facilmente raggiungibili dal Randstad, che può contare su due porti altamente specializzati, due aeroporti ben attrezzati, canali comodamente navigabili, ferrovie e strade. Tutte queste infrastrutture creano una fitta rete di collegamenti con i paesi europei (si veda sopra «Il Randstad come centro di distribuzione e di gravità»). Inoltre, la
lunga tradizione nel trasporto internazionale di merci ha creato una
grande esperienza nel trasporto internazionale e nella distribuzione.
Questi sono i punti forti che hanno valso al Randstad il ruolo determinante di «porta d’accesso» all’Europa.
Le attività del settore dell’informazione e della telecomunicazione
sono fondamentali per la concorrenzialità di una regione urbana. Nella
valutazione dell’idoneità di un centro ad accogliere una data azienda, indubbiamente la disponibilità di un efficiente sistema di informazione e
telecomunicazione è un fattore decisivo.
La qualità del sistema dí infrastrutture di base ha giocato un ruolo fondamentale nella decisione di dislocare nel Randstad le sedi centrali di diverse aziende. La Ptt Telecom, l’azienda nazionale di telecomunicazioni,
offre una vasta gamma di servizi eccezionali (strategici), ma anche infrastrutture di base e servizi di supporto di alto livello qualitativo. Da un recente rapporto dell’Oecd risulta che nel paniere delle tariffe telefoniche
europee soltanto la Danimarca e l’Islanda praticano prezzi inferiori a
quelli in vigore in Olanda (Corporate Location, Europe, febbraio 1991).
La domanda di servizi per le telecomunicazioni internazionali cresce di
pari passo con l’aumentare dell’importanza degli affari e del commercio
internazionali. Per rispondere a questa esigenza sempre più diffusa la Ptt
Telecom sta sviluppando nuovi servizi strategici internazionali. Nel 1989,
per esempio, l’azienda di stato ha avviato assieme alla Germania e alla
Francia un servizio elettronico di interscambio di dati per i trasporti industriali. Un altro esempio è la creazione di un one-stop shopping da offrire
alle aziende interessate a sviluppare una rete europea attraverso accordi di
collaborazione con altre aziende europee di telecomunicazioni,
La Ptt Telecom Post, che gestisce il servizio postale nazionale, è altrettanto efficiente. Soprattutto a questa efficienza si deve il fatto che
l’Olanda sia la porta attraverso cui le riviste americane si diffondono in
Europa. Grazie alla collaborazione tra il servizio postale e le telecomunicazioni, le riviste americane (ad esempio Time) trasmettono via satellite le
pagine che saranno stampate in Olanda e da qui distribuite dalla Ptt Post
in una serie di paesi europei (Corporate Location, Europe, febbraio
1991). Questo è uno dei vari esempi del prestigio della Ptt Post nella vendita di servizi eccezionali. Inoltre, il sistema dispone di una serie di ser425
vizi postali di base di ottimo livello: consegna di piccoli colli sei giorni alla
settimana, consegna in giornata a ciclo continuo e servizio effettuato anche nelle ore notturne sono soltanto alcuni esempi dell’alto livello qualitativo delle modalità di consegna.
Il Randstad come centro di una rete di scambi culturali internazionali.
Come è stato sottolineato in precedenza, la qualità dell’ambiente abitativo è una condizione necessaria al benessere economico e sociale di un
sistema urbano. Perciò, ai fini della concorrenzialità, è importante che il
sistema urbano sia il centro di una rete di scambi culturali. È precisamente l’offerta di attività culturali e ricreative che contribuisce ad aumentare la forza d’attrazione esercitata da un sistema urbano.
Tutte le città del Randstad hanno i requisiti per essere concorrenziali
in quest’ambito, e benché le singole città non dispongano dello stesso
potenziale di Parigi, Londra, Roma o Venezia, sicuramente il Randstad
nel suo insieme esercita un certo richiamo. La regione è infatti ricca di attrattive nell’ambito musicale, delle arti figurative e dell’architettura. La
particolare conformazione fisica del Randstad offre un’ampia varietà di
aree in grado di soddisfare le diverse richieste dei suoi abitanti e anche
quelle dei turisti.
La tabella 21 offre alcuni dati circa la quantità di turisti, di musei e di
esposizioni in alcune città europee (Datar, 1991), tra le quali risalta l’importanza di Amsterdam e Rotterdam come centri culturali.
Essendo la capitale d’Olanda, Amsterdam è il maggiore centro culturale del paese. L’antica tradizione culturale non è riflessa soltanto dalla
presenza di molti edifici storici, ma anche da realizzazioni dí architettura
moderna. Lungo i suoi famosi canali concentrici sorgono settemila edifici
dichiarati monumento nazionale, mentre il centro è disseminato di musei,
gallerie d’arte e teatri che programmano opere tradizionali e d’avanguardia.
Alcuni motivi di richiamo di fama internazionale per la loro valenza
culturale sono la Concertgebouw Orchestra e l’Orchestra of the
Eíghteenth Century; il Rijksmuseum, lo Stedelijk Museum e il museo Van
Gogh. Ogni anno la città è meta di vacanze per circa 1,7 milioni di turisti,
mentre il turismo giornaliero si aggira sui 10 milioni di unità, per un giro
d’affari complessivo di 1,7 miliardi di fiorini olandesi. Il turismo è dunque
un’importante attività economica per una città come Amsterdam. Il
settore culturale impiega dodicimila lavoratori. Nel 1989 il giro d’affari si
aggirava sul mezzo miliardo di fiorini, mentre l’Istituto universitario per le
ricerche in campo economico di Amsterdam ha valutato il contributo
dell’arte a livello professionale intorno al milione di fiorini (Inta, 1990). Il
ruolo fondamentale dí turismo e cultura per il benessere economico di
426
Tabella 21. Numero di visitatori di mostre e musei in alcune città europee, 1990 (valori assoluti).
Musei
Visitatori
(all’anno)
Germania
Francoforte
Stoccarda
Belgio
Liegi
Olanda
Amsterdam
Rotterdam
Gran Bretagna
Glasgow
Manchester
Francia
Lille
Lione
Strasburgo
Tolosa
Spagna
Barcellona
Visitatori
dei musei
Mostre
1.637.000
2.200.000
40
27
300.000
600.000
82.000
23
30.000
6500.000
3.600.000
40
16
1.050.000
n.d.
2.165.000
1.850.000
13
29
1.041.000
500.000
330.000
962.000
280.000
100.000
6
10
10
14
75.000
316.000
76.000
50.000
>4
1500.000
26
345.000
95
42
150
50
11
300?
Fonte Datar, 1991.
Amsterdam in particolare giustifica l’attenzione prestata alle proposte
in questi ambiti. Nel 1989 sono stati stanziati centodieci milioni di fiorini
per l’arte, trentadue milioni per la costruzione di strutture per le attività
culturali e venticinque-trenta milioni per musei e spettacolo. Le varie
spese relative alla manutenzione di monumenti ed edifici di interesse
storico, al servizio sanitario municipale in alta stagione, alla pulizia dei
canali e alla costruzione di ponti non possono essere direttamente
definite. La valutazione delle spese effettuate per il settore artistico e il
turismo ad Amsterdam si aggira sui trenta milioni di fiorini. Queste uscite
sono controbilanciate dalle tassa sul turismo, grazie alla quale le amministrazioni locali ricavano circa quindici milioni di fiorini all’anno
(Krimpen, 1990).
427
Ma il Randstad non è solo Amsterdam: ogni città offre un articolato
programma di proposte culturali. Il Nederlands Danstheatre e il Royal
Theatre dell’Aia ospitano regolarmente gli spettacoli delle principali compagnie olandesi. A questi vanno aggiunti il Residency Orchestra e numerosi musei, tra i quali spicca il Gemeentemuseum, progettato dall’architetto Hendrik Pieter Berlage, che espone la più vasta collezione di
Mondriaan nel mondo. Infine, la marina di Scheveningen attrae un turismo internazionale grazie ai suoi numerosi negozi, nightclub, alberghi,
ristoranti, caffè e anche un casinò.
Utrecht richiama l’interesse dei turisti soprattutto per il suo caratteristico centro storico; la città ospita inoltre il Vredenburg Music Centre e
diversi musei.
Rotterdam è nota per le sue moderne strutture architettoniche: soprattutto nel corso degli ultimi anni il centro della città ha assunto un aspetto
particolare grazie alla costruzione di numerosi grattacieli, sede di uffici e di
residence ad alto livello. A Rotterdam si trovano anche la Philarmonic
Orchestra, di fama internazionale, l’Istituto nazionale di architettura, la più
grande accademia di danza in Europa e alcuni musei interessanti, tra cui il
Boymans. Non vanno dimenticati l’Eutomast, lo zoo e, naturalmente, il
porto, per il quale vengono organizzate visite di un giorno.
Proposte interessanti per lo svago e la vita all’aria aperta provengono
anche dalle città minori del Randstad: Leiden, Delft e altri centri di piccole dimensioni attraggono i turisti per le loro ricche tradizioni e i caratteristici centri storici. Delft è rinomata per la ceramica blu, Gouda per il
formaggio, il Keukenhof per i vivai, Kinderdijk per i mulini a vento e
Volendam per la pesca. Altre località interessanti sono la zona dei laghi,
le dighe lungo la costa, l’IJsselmeer e le Delta Works.
Conclusioni
Considerando i fattori di concorrenzialità, si cercherà innanzitutto di
accertare la presenza nel. Randtsad di quelli strutturali, evidenziando, per
ciascuno di essi, pregi e difetti. In seguito si cercherà di individuare i fattori strutturali presenti e assenti nel Randstad, allo scopo di considerare le
potenzialità e le debolezze del sistema urbano ai fini della concorrenzialità (si vedano le figg. 9 e 10).
Malgrado l’assenza di un’autorità amministrativa ufficiale, il Randstad
Holland è una vera e propria conurbazione. Con 5.800 chilometri quadrati, 16 città e circa 170 paesi disposti intorno a uno spazio aperto, il
green heart, la regione può essere paragonata per molti aspetti alla Greater
428
429
430
London o all’area metropolitana di Parigi. Le uniche differenze sono
che, essendo un sistema urbano polinucleare, il Randstad non ha un vero
centro, come Parigi o Londra, e che la massima distanza tra le aree urbane
non supera i quindici chilometri.
Fattori strutturali. L’analisi dei fattori strutturali ha evidenziato che il
Randstad possiede effettivamente molti dei requisiti che contribuiscono
a renderlo complessivamente concorrenziale. Ciò è fondamentale in
quanto i fattori strutturali sono la condizione necessaria alla concorrenzialità di un sistema urbano. Ognuno di questi fattori è presente, e benché talvolta non raggiunga il livello ottimale, la qualità dei servizi di base
è relativamente alta.
I collegamenti tra i centri urbani avvengono mediante un efficiente sistema di infrastrutture a livello nazionale e internazionale, per quanto
quest’ultimo sia meglio sviluppato. Il Randstad può contare sul più grande
porto del mondo, collegato all’hinterland tramite una rete di canali, linee
ferroviarie e strade, e su un aeroporto internazionale che sarà ulteriormente
ampliato. I collegamenti stradali saranno perfezionati attraverso la
riorganizzazione della rete già esistente, mentre il trasporto ferroviario
verrà integrato dalle linee Tgv. Malgrado ciò, l’analisi ha messo in evidenza
alcuni punti deboli del sistema ferroviario, che non ha mai ottenuto molta
attenzione soprattutto per quanto riguarda il trasporto delle merci.
Conseguenza di questa negligenza è stato l’aumento del flusso clí
pendolari, tema che compare frequentemente negli ultimi dibattiti. Un
quotidiano olandese («Nrc Handelsblad», 26 ottobre 1991) ha recentemente pubblicato un articolo che dimostrava, con l’aiuto di tre piantine,
l’inadeguatezza della rete ferroviaria del Randstad confrontandola con
quelle dell’Ile-de-France e della Greater London. La regione metropolitana di Parigi, la Greater London e il Randstad hanno pressapoco le stesse
dimensioni e lo stesso numero di abitanti, ma la differenza è considerevole e degna di nota: confrontata con le aree metropolitane di Parigi e
Londra, l’estensione del sistema ferroviario del Randstad lascia scoperte
ampie zone della regione, che conseguentemente sembra essere «vuota»
(si veda la fig. 11). Il Randstad non è una città, ma un sistema di città al cui
interno è facile spostarsi con treni intercity che collegano efficacemente
tutti i principali centri della regione. Il collegamento tra Rotterdam e
Amsterdam, ad esempio, è effettuato da treni intercity che partono ogni
mezz’ora. Negli intervalli viaggiano treni locali che fermano anche in centri minori. Si è detto diverse volte che la struttura polinucleare del
Randstad è caratterizzata dalla presenza di una moltitudine di centri urbani di medie e piccole dimensioni disseminati in tutto il territorio.
431
432
Malgrado ciò, vi sono soltanto una o due linee ferroviarie che non coprono tutto il territorio della regione. I collegamenti tra i centri più importanti sono molto frequenti ed efficienti, e avvengono su quattro o cinque assi principali.
Ogni centro urbano è specializzato in un settore specifico e l’offerta di
diversi servizi urbani strategici aumenta il potere d’attrazione della regione
nei confronti delle attività economiche: ad esempio, l’Olanda è l’unico
paese europeo a disporre di due teleporti, entrambi dislocati nel Randstad,
e precisamente ad Amsterdam e a Rotterdam. La Commissione europea
dell’Associazione mondiale dei teleporti ha decretato che le attività svolte
da quelli olandesi hanno un livello qualitativo relativamente superiore
rispetto agli equivalenti nel resto d’Europa.
La qualità dell’ambiente abitativo risulta essere superiore a quella di
molte altre aree metropolitane che non si trovano in prossimità di uno
spazio aperto come il green heart. Le proposte per il tempo libero sono
molte, a partire da luoghi caratteristici quali la lunga duna sulla fascia costiera e una varietà di paesaggi d’acqua. Gli amministratori locali si stanno
impegnando a migliorare la qualità dell’ambiente abitativo attraverso la
realizzazione di progetti che invoglino a scegliere le città come luogo di
residenza e di lavoro.
L’ultimo fattore strutturale è probabilmente il più difficile da verificare.
In effetti, l’efficacia della politica urbanistica è valutabile solo in base ai
risultati (si veda sopra «Politica urbanistica»). Mettendo a confronto le
realizzazioni olandesi con quelle di molte altre regioni metropolitane
europee, ci sembra di poter affermare che il sistema di pianificazione olandese funziona molto meglio; tuttavia, i fatti dimostrano anche che il sistema politico del paese non ha ancora raggiunto la perfezione.
L’elemento più problematico del Randstad è a livello regionale. Innanzitutto manca un’autorità amministrativa. Le città appartenenti alla
regione sono disseminate in tre province, quattro se si considerano le
nuove città di Almere e Lelystad. L’attuale ripartizione del territorio in
province si basa su presupposti storici anziché su moderni criteri di relazioni funzionali: di conseguenza, il Randstad inteso come sistema urbano
è piuttosto sconosciuto sia ai paesi europei che agli stessi olandesi. La ristrutturazione delle province è stata proposta nel Terzo comunicato sulla
pianificazione territoriale del 1973, che però non ha avuto seguito. L’ultima relazione sulla pianificazione territoriale del 1988 non fa alcun riferimento a modificazioni dell’assetto amministrativo. Questo porta a pensare che l’istituzione di un’autorità specifica per il Randstad debba restare
un’utopia, almeno per i prossimi anni. Il ruolo delle autorità provinciali è
sempre stato piuttosto limitato, al contrario di quello delle amministrazioni delle quattro città principali della regione, che hanno avuto
433
un peso molto più determinante. La concentrazione di potere nei centri
principali ha avuto come conseguenza una mancanza di collaborazione a
livello regionale fra i centri stessi. In una regione come il Randstad, la collaborazione tra le città avrebbe l’effetto di rafforzare la concorrenzialità
della regione su scala internazionale.
Tra il 1964 e il 1985 si è tentato di strutturare una collaborazione intermunicipale all’interno del Randstad. La Pubblica autorità del Rijnmond,
pur impegnandosi a fondo, non ebbe potere e mezzi sufficienti a
governare la regione: la politica adottata non si discostava da quella delle
province, e nel 1985 questo organismo venne abolito poiché si era dimostrato incapace di fronteggiare il potere del consiglio municipale di
Rotterdam.
Tuttavia, di fatto esistono alcune istituzioni regionali che funzionano
come organi consultivi, anche se non esecutivi. Nella zona di Rotterdam è
stata istituita la Oor (Commissione consultiva di Rotterdam) e altre operano
nell’area dell’Aia, di Utrecht (Commissione consultiva regionale di Utrecht)
e di Amsterdam (Commissione consultiva regionale di Amsterdam, Roa).
Questi organismi si occupano soprattutto di infrastrutture e trasporti
pubblici all’interno delle rispettive aree. In aggiunta a ciò va segnalata
l’esistenza di alcuni enti privati che operano a livello regionale.
La necessità di un’amministrazione regionale sta diventando un imperativo categorico. Grazie al nuovo progetto frutto di un lavoro di
gruppo a livello regionale con la supervisione del sindaco di Riddekerk, e
redatto qualche mese fa, Rotterdam potrà finalmente cambiare la sua
struttura amministrativa e diventare una regione. In previsione, dunque,
c’è l’abolizione della municipalità di Rotterdam, che sarà probabilmente
ripartita in distretti e, assieme alle municipalità che in passato formavano
la regione del Rijnmond, andrà a costituire quella che verrà chiamata regione di Rotterdam. Le rimanenti municipalità della vecchia provincia
dell’Olanda meridionale formeranno la nuova provincia. In questo modo
le competenze territoriali delle due autorità verranno separate: per fare
soltanto un esempio, il porto di Rotterdam non dipenderà dalla municipalità dí Rotterdam, ma sarà gestito da un’autorità regionale, e lo stesso
varrà per altre aree strategiche dipendenti dalla stessa municipalità. Gli
ambiti di competenza della regione di Rotterdam saranno più vasti di
quelli della provincia dell’Olanda meridionale. Il piano sarà sottoposto a
tutte le municipalità coinvolte, alla provincia dell’Olanda meridionale e al
governo centrale. Amsterdam si sta muovendo nella stessa direzione.
Fattori funzionali. L’analisi dei fattori funzionali ha evidenziato che il
Randstad è un sistema urbano concorrenziale in diversi ambiti. Grazie
all’orientamento internazionale del suo sistema di infrastrutture, il
434
Randstad assolve la funzione di «porta d’accesso all’Europa». La conseguenza principale è che il sistema ha un livello di funzionamento soddisfacente in quanto centro di gravità e di distribuzione delle merci prodotte
nella regione o provenienti dall’esterno. Si è visto che le caratteristiche del
Randstad hanno invogliato diverse multinazionali e aziende con più di uno
stabilimento a stabilirvi le proprie sedi centrali. Da qualsiasi punto del
Randstad esse possono controllare le loro unità di produzione. Altrettanto
soddisfacente è l’offerta di servizi nel campo dell’istruzione, grazie ai quali
è possibile elevare il livello di preparazione della forza-lavoro. L’alto numero di università e di istituti d’istruzione superiore fa si che il Randstad
possa operare come centro organizzativo di attività innovative che, in base
all’analisi della struttura economica della regione, risultano essere molto
numerose su tutto il territorio. Dal canto loro, le reti di informazione, comunicazione e telecomunicazione permettono di disporre di efficienti sistemi essenziali e di importanti servizi strategici, ai quali devono la loro
concorrenzialità. Laddove le proposte in ambito culturale non sono ancora
abbastanza allettanti, stanno sorgendo iniziative volte a sollecitarne
l’offerta. Tuttavia, va ricordato che la maggior parte delle città appartenenti
all’intero sistema urbano sono tutt’altro che prive di attrattive dal punto di
vista culturale.
In conclusione, dall’analisi dei fattori strutturali e funzionali risulta che il
Randstad è senz’altro un sistema urbano metropolitano concorrenziale. Il
livello di efficienza che contraddistingue la regione nell’assolvimento di
tutte queste funzioni non è riscontrabile in molti altri sistemi urbani
europei. In quanto ai lati deboli, si sta facendo tutto il possibile per
trasformarli in punti di forza.
Nonostante tutto, naturalmente esistono settori che possono essere ulteriormente potenziati. La parte finale di questo saggio non ha preso in
esame la seconda funzione in quanto il Randstad non si propone come vetrina internazionale per i produttori della regione né funge da rampa di
lancio dei loro prodotti attraverso le reti commerciali internazionali (si veda
sopra «Il Randtsad come vetrina internazionale»). Questo dato di fatto può
essere inteso sia come lato debole sia come potenzialità da sviluppare.
In queste pagine si è spesso ripetuto che, per essere concorrenziale,
un sistema urbano non deve necessariamente svolgere tutte e cinque le
funzioni, e quindi non si deve ritenere che la mancanza di questa in particolare costituisca una debolezza: il Randstad può contare su altri punti
di forza, localizzati in altre funzioni di rilievo, che ne fanno un’area concorrenziale. Ma è un peccato che il Randstad non cerchi di guadagnare
una concorrenzialità a livello internazionale anche in quest’ambito, potendo già disporre di infrastrutture avanzate sul piano internazionale.
435
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437
438
La regione Reno-Ruhr: la metropoli flessibile
Klaus R. Kunzmann
1. La regione Reno-Ruhr: un modello di anti-metropoli?
Si può affermare che la regione urbana policentrica del Reno-Ruhr,
nel cuore del Nordrhein-Westfalia, popolata da più di otto milioni di
persone, costituisca un modello di anti-metropoli (si veda la fig. 1). A
eccezione degli agglomerati urbani di Londra e Parigi, non esiste in Europa
occidentale né in Europa orientale un’altra area urbana paragonabile a
questa in termini di popolazione e di potenza economica. Tuttavia la
regione più densamente popolata della Germania non è né una città
globale, né una metropoli. Considerata da una prospettiva esterna, essa si
caratterizza piuttosto come un’area altamente urbanizzata in cui ognuno dei
centri urbani principali possiede un’identità più o meno distinta: la regione
comprende Bonn, ex capitale della Germania occidentale, Colonia e
Düsseldorf sulle rive del Reno, Essen, Bochum e Dortumund nella Ruhr, e
infine Duisburg e Wuppertal, anelli di collegamento tra due sub regioni
accomunate più dalle differenze che dalle analogie.
Soltanto agli occhi dei geografi, dunque, la regione costituisce un’entità
geografica vera e propria. Cittadini, politici e amministratori urbani sono
invece ben decisi a difendere strenuamente i propri territori da ogni
tentativo che miri a costruire un’unità funzionale regionale, o qualsiasi
altra entità che possa con l’andare del tempo evolversi in «metropoli». Far
parte di un’anonima metropoli globale è l’ultima delle aspirazioni di questi
cittadini, i quali preferiscono di gran lunga appartenere a uno dei centri
maggiori o minori della regione. Ciò non toglie che tutti apprezzano gli
effetti positivi della vicinanza con le altre città della regione, e le molte
opportunità che ciò comporta. Nelle altre città si può talvolta ottenere un
impiego migliore, acquistare una casa a prezzi più convenienti o reperire
merci non disponibili nella propria città; gli appartenenti alla borghesia
consumatrice di cultura, infine, hanno a disposizione una scelta di
strutture e occasioni culturali che non ha eguali in Germania.
Questa regione policentrica manca tuttavia di una caratteristica
439
Figura 1. La regione Reno-Ruhr.
440
delle metropoli: i grattacieli. Tutte le maggiori città della regione hanno
naturalmente gradevoli paesaggi urbani e zone centrali di grande vitalità.
In nessuna, tuttavia, esiste o è in progettazione un agglomerato di grattacieli simile a quello in costruzione a Francoforte, o a quelli già esistenti a
Houston, Pittsburgh o San Francisco. Tutto ciò ha una sola spiegazione:
nessuna città della regione, presa singolarmente, riscuote sufficiente interesse da parte degli investitori. Di conseguenza, i costi dei terreni sono
ancora relativamente moderati, le aree edificabili nelle zone centrali sono
sufficienti e ancora disponibili sul mercato, e i piani regolatori rendono
difficoltosa la concessione di permessi per la costruzione di edifici a molti
piani. Questa è soltanto una delle ragioni più evidenti che differenziano
la regione urbana policentrica (che resterà probabilmente un raggruppamento di grandi centri) dalla metropoli tradizionale. Vi sono ovviamente altre ragioni, meno evidenti, che cercheremo di analizzare nei prossimi capitoli di questo saggio. Nelle pagine conclusive presenteremo infine un progetto di «metropoli alternativa», ovvero la metropoli a raggruppamento flessibile, la quale potrebbe offrire un valido modello di
sviluppo urbano per il XXI secolo, un esempio di migliore organizzazione dello spazio metropolitano nelle aree ad alta densità di popolazione.
2. Città e cittadini: dati e cifre
In teoria, la regione Reno-Ruhr come entità omogenea è a tutt’oggi
una chimera. Non vi sono dati statistici coerenti per l’intera regione. I
rapporti sullo sviluppo della federazione tedesca o del Land non ne
fanno menzione. La regione Reno-Ruhr non esiste neppure per la
Comunità europea; essa dunque non è un’entità politica né un’unità amministrativa, né tanto meno un ambito di pianificazione. E tuttavia sette
delle quindici maggiori città della Germania si trovano nella regione
Reno-Ruhr: Düsseldorf (574.000 abitanti), Colonia (946.280), Essen
(624.445), Dortmund (594.000), Wuppertal (378.300), Bochum
(393.000) e Duisburg (532.100); nessun altro Land tedesco riunisce un
numero così elevato di grandi città.
La popolazione della regione Reno-Ruhr è in crescita costante: se nel
1970 gli abitanti del Land Nordrhein-Westfalia che vivevano nella regione
erano il 10 per cento nel 1987 la percentuale era salita al 50 per cento e,
a quanto pare, la crescita non si è ancora arrestata. Lo sviluppo
demografico della regione presenta due caratteristiche degne di nota:
441
Le città e le contee che si trovano alla periferia della regione crescono a spese delle città e delle contee centrali: questo è il risultato dei
consueti processi di suburbanizzazione riscontrabili in tutti i grandi agglomerati, ai quali si contrappone una assai meno rilevante tendenza alla
riurbanizzazione;
— le città e le contee lungo la valle del Reno crescono più rapidamente
di quelle della Ruhr, in conseguenza di un più ampio processo di ristrutturazione economica che privilegia il settore terziario a scapito dell’industria.
—
Nel complesso, le tendenze demografiche riscontrabili nella regione
non si discostano da quelle in atto nel Land Nordrhein-Westfalia o in
tutta la Germania occidentale. Anche qui si manifestano, ad esempio, tre
fenomeni politicamente rilevanti quali l’invecchiamento della popolazione, la diffusione delle famiglie mononucleari o monoparentali e l’incremento della popolazione straniera.
Da oltre un decennio la disoccupazione costituisce un problema rilevante sia su scala regionale sia per le singole città. Nella regione, il tasso di
disoccupazione è assai più elevato rispetto alla media della Germania
occidentale (pari al 6,8 per cento nel febbraio 1992) o del NordrheinWestfalia (7,9 per cento). Come è ovvio, i centri industriali della regione
(Dortmund, Gelsenkirchen e Oberhausen, ma anche Colonia) registrano
tassi di disoccupazione superiori a quelli delle città dove maggiore è lo
sviluppo del settore terziario (ad esempio Düsseldorf, Bonn e Mülheim).
3. Amministrare la metropoli policentrica: chi fa che cosa?
La mappa amministrativa della regione mostra un raggruppamento di
città e di contee suburbanizzate appartenenti a tre diverse unità amministrative di livello inferiore, o distretti amministrativi (Regierungsbezirke, o
regioni Nut 2). Per una serie di ragioni storiche, socioculturali e politiche,
non esiste una istituzione pubblica o sernipubblica che rappresenti
l’intera regione urbana presso il governo del Land, né esiste (per ora?) alcuna organizzazione che svolga per suo conto funzioni di lobby a livello
nazionale o internazionale. L’attuale struttura amministrativa della regione urbana è il risultato della più recente riforma funzionale del Land,
avvenuta alla metà degli anni settanta. Tale riforma, assai criticata sul
piano politico, sacrificò centinaia di enti locali minori per creare unità
amministrative più grandi ed efficienti. Persino alcuni centri con oltre
cinquantamila abitanti (come Wattenscheid e Wanne-Eickel) dovettero
442
rinunciare alle loro amministrazioni locali autonome. Un ulteriore tentativo di modificare i confini urbani sarebbe certamente destinato al fallimento: pertanto, il confronto politico verte attualmente su altre forme di
cooperazione intercomunale.
Tanto la concorrenza interna tra le diverse città, con i relativi ambiti
locali, quanto il manifestarsi di sospetti e gelosie da parte degli stessi «hinterland» nei confronti delle città e delle regioni delle quali fanno parte,
rendono dunque inattuabile sul piano politico qualsiasi progetto comune.
Non vi sono entità politiche intermedie tra il Land del NordrheinWestfalia e le singole città. L’unica associazione intercomunale esistente
(il Kommunalverband Ruhrgebiet) raggruppa i centri a tradizione industriale
della Ruhr, e ha competenze piuttosto limitate. Neppure l’intensificarsi
della concorrenza tra le maggiori città europee alla vigilia del mercato
unico europeo ha dato luogo a iniziative, per quanto modeste, di cooperazione tra grandi città e centri minori.
Il governo del Land, con i suoi ministeri, è in effetti l’unica entità politico-amministrativa che rappresenti la regione Reno-Ruhr o parti di
essa. I vari enti e istituzioni si limitano a svolgere le mansioni e i servizi di
loro competenza, si tratti di energia elettrica o di risorse idriche, di edilizia
stradale o di sanità. Vista dall’esterno, ma anche dal di dentro, la suddivisione dei compiti risulta piuttosto oscura. Le potenti camere di commercio, dal canto loro, sono organizzate in base a unità regionali; ancora
diversa è la ripartizione in circoscrizioni del partito socialdemocratico,
che detiene una solida maggioranza in molte delle principali città della
regione.
I Regierungsbezirke (distretti amministrativi) di Düsseldorf, Colonia,
Arnsberg e Münster sono gli organi regionali del governo del Land per
quanto riguarda l’amministrazione e la pianificazione materiale. È importante notare come lo sviluppo regionale della Ruhr sia governato e
controllato da burocrazie che risiedono al di fuori della regione (ossia ad
Arnsberg, a Münster e a Düsseldorf). Motivi di carattere essenzialmente
politico hanno finora reso vano ogni tentativo di creare un distretto governativo per la Ruhr: in effetti, date le tradizioni politiche della regione,
un simile organismo incontrerebbe enormi difficoltà nel contrastare le
spinte favorevoli alla conservazione delle tradizionali alleanze economiche. Il peso politico delle autorità regionali è piuttosto scarso. Esistono
in genere forti legami di «amicizia» tra le maggiori città della regione e i
vari funzionari politici che operano nei ministeri del Land: sono questi
ultimi, in effetti, a stabilire gli ambiti del potere normativo ed esecutivo
delle burocrazie.
443
Il governo del Land ha recentemente varato un’iniziativa per il decentramento della politica regionale in ambito economico. A tale scopo,
il Land è stato suddiviso in «regioni Zin» (Zin sta per Zukunftsinitiative
Nordrhein-Westfalen, ossia «Iniziativa per il futuro del NordrheinWestfalla») corrispondenti ai distretti delle varie camere di commercio
regionali: all’interno di queste unità territoriali vengono identificati i progetti volti all’innovazione e allo sviluppo economico della regione.
Vi è infine un ultimo fenomeno degna di nota: a partire dalla metà degli anni ottanta si è verificata, per varie ragioni, una rapidissima espansione delle organizzazioni non governative, semipubbliche o intermedie,
e delle associazioni per lo sviluppo. Ciò va ricondotto in parte a una generale tendenza alla liberalizzazione, e in parte a una sorta di insoddisfazione nei confronti della scarsa efficienza e dell’apatia delle burocrazie
pubbliche, specialmente a livello locale. Un’altra interpretazione del fenomeno potrebbe poi individuarne le origini nella diffusione di un nuovo
spirito imprenditoriale, nato da un mutamento di valori all’interno di una
nuova generazione di soggetti che operano nella regione.
4. Economia: la divisione non pianificata del lavoro
L’economia della regione Reno-Ruhr è basata su una molteplicità di
tradizioni economiche che talvolta (è il caso di Colonia) affondano le radici ín duemila anni di storia, oppure sono legate all’esistenza di risorse (ad
esempio il carbone nella Ruhr) che da oltre un secolo costituiscono la
base principale dell’economia. Bonn e Düsseldorf, a loro volta, svolgono
da sempre la funzione di sedi e centri amministrativi rappresentando, a
seconda dei contesti politici, hinterland di varie dimensioni.
Il grado di sviluppo dell’industria e del settore terziario varia dall’una
all’altra città. La tendenza generalizzata alla sostituzione delle produzioni
industriali con attività terziarie interessa naturalmente anche questa regione: la trasformazione è stata tuttavia meno drastica che in molte altre
regioni urbane europee. Sebbene alcune città (ad esempio Düsseldorf,
Essen o Colonia) registrino percentuali di occupazione nel settore terziario superiori al 60 per cento (che toccano addirittura il 79,4 per cento a
Bonn), in altri centri della regione (ad esempio Duisburg, Wuppertal o
Gelsenkirchen) la quota di occupati nel settore industriale è tuttora superiore al 50 per cento, con una media di occupati nel terziario pari al 55
per cento circa (si veda la tab. 1). Ad eccezione di Essen le città della Ruhr
sono ancor oggi assai più industrializzate dei centri che sorgono lungo la
444
Tabella 1. Distribuzione della popolazione al 1990, degli occupati al 1989 e dei disoccupati al 1991
per le principali città della regione Reno-Ruhr (valori assoluti e in percentuale).
Occupati al 1989
Popolazione
al 1990
Colonia
Essen
Dortmund
Düsseldorf
Duisburg
Bochum
Wuppertal
Gelsenkirchen
Bonn
Krefeld
Oberhausen
Hagen
946.280
624.445
594.058
574.022
532.152
393.053
378.312
289.791
287.117
240.208
222.419
212.460
Totale
VA.
423.979
217.809
204.916
343.681
185.821
134.493
143.643
92.729
125.323
96.311
63.168
77.681
Industria
%
Servizi
%
34,0
36,6
41,1
30,8
52,0
47,5
50,8
55,2
20,3
54,0
49,6
48,0
65,7
62,9
58,4
69,0
47,6
52,1
48,8
44,3
79,4
45,4
49,7
51,7
Quota
disoccupati
al 1991
9,9
10,8
11,3
8,8
11,4
10,4
7,0
11,5
6,5
9,1
10,5
8,1
Fonte Ufficio federale del lavoro, Lds Nw, anni indicati.
valle del Reno; in questi ultimi, peraltro, i servizi alle imprese sono assai
più sviluppati che nelle città industriali.
La tabella 2 fornisce un quadro esauriente della suddivisione funzionale tra le città della regione Reno-Ruhr: essa contiene in forma schematica alcune notizie circa le principali funzioni delle varie città e la loro
base economica dominante. La colonna intitolata «profilo e immagine»
dimostra invece come la base economica di una città non sia sempre coerente con la sua immagine interregionale.
La regione Reno-Ruhr ospita inoltre almeno otto dei venticinque maggiori complessi industriali della Germania. Nel 1990, le sedi centrali di
questi gruppi gestivano un fatturato complessivo di 232,2 miliardi di marchi e una forza-lavoro pari a 937.200 persone. Düsseldorf ha una lunga
tradizione come sede centrale di complessi industriali, e ospita attualmente le sedi della Veba e della Mannesmann; i quartieri generali della
Rwe (energia), della Ruhrkohle (carbone) e della Krupp (acciaio) si trovano invece a Essen. Lo schema della distribuzione geografica dei complessi industriali nella regione è infine completato dalla Bayer (prodotti
chimici), con sede a Leverkusen, e dalla Thyssen (acciaio), con sede a
Duisburg; la Hoesch (acciaio e tecnologie) manterrà fino alla fine del 1992
la sua sede centrale a Dortmund.
445
446
5. Le conseguenze della mobilità naturale: il problema dei trasporti
Situata come è nel cuore dell’Europa, la regione Reno-Ruhr è ottimamente collegata al resto del continente. Essa possiede infatti due grandi
aeroporti internazionali (Colonia-Bonn e Düsseldorf) che occupano rispettivamente il secondo e il quinto posto per importanza nazionale. Vi
sono inoltre sue scali aerei minori a Dortmund e a Essen, nei quali tuttavia il numero dei passeggeri e dei voli è in costante aumento. Mentre
Düsseldorf ha raggiunto il limite delle sue capacità (un progetto di espansione è stato bloccato per motivi di protezione ambientale), l’aeroporto
di Colonia è sottoutilizzato anche se la sua importanza come scalo merci
è in aumento. I vari progetti per il collegamento dei due principali aeroporti della regione tramite una linea ferroviaria ad alta velocità hanno
scarse possibilità di realizzazione. Le autorità stanno cercando per il momento di migliorare le connessioni tra i due scali aerei e la rete ferroviaria nazionale: anche in questo caso, tuttavia, il completamento dei progetti non potrà essere immediato.
Tutti i centri della regione sono collegati alla rete ferroviaria nazionale.
A quasi tutte le ore della giornata è possibile raggiungere le principali città
della Germania. Al momento, la regione non è servita né attraversata da
linee Intercity ad alta velocità; la costruzione di un nuovo collegamento
ad alta velocità tra Colonia e Francoforte non sarà ultimata prima della
fine del secolo. È improbabile inoltre che la linea del Tgv francese che
dovrebbe collegare Parigi (e Londra) a Colonia via Bruxelles sia ultimata
nel 1998 come originariamente stabilito. Nel migliore dei casi, si tratterà
di un normale collegamento e non di una vera e propria linea ad alta velocità, dal momento che i necessari adeguamenti tecnici sembrano tuttora fermi alle fasi iniziali della progettazione.
L’intera area è servita da una densa rete regionale di ferrovia urbana
(S-Bahn) e da altri sistemi di trasporto pubblico (reti metropolitane sotterranee, tramvie e autobus). La gestione dei trasporti pubblici nella regione è affidata a due enti intercomunali (il Verkehrsverbund Rhein-Ruhr e
il Verkehrsverbund Rhein-Sieg). Gli abitanti della regione hanno modo di
spostarsi facilmente da una città all’altra: notevoli miglioramenti sul
piano organizzativo e una politica tariffaria volta a incentivare l’utenza
potenziale hanno favorito negli ultimi due o tre anni una straordinaria
crescita dei servizi di trasporto pubblico, ora peraltro ostacolata da problemi di capacità.
La regione dispone inoltre di una fitta rete di vie di navigazione interne con relativi porti: quello di di Duísburg è il secondo del mondo per
importanza. Anche i porti fluviali di Colonia, Neuss e Dortmund hanno
447
una certa importanza all’interno della regione. Le numerose vie interne
vengono utilizzate in misura crescente per la navigazione da diporto:
questo spiega il recente sviluppo dell’attività edilizia (abitazioni di lusso e
uffici) nelle zone portuali.
Il sistema autostradale della regione risponde in gran parte a uno
schema a griglia sviluppato a partire dagli anni sessanta. Per motivi ambientali, alcune sezioni della griglia non sono ancora state realizzate.
Questi «anelli mancanti» della rete di trasporti regionale causano ogni
giorno considerevoli ingorghi in corrispondenza di alcune strettoie eternamente sovraccariche di traffico; la maggior parte dei raccordi autostradali mancanti sarebbe oggi realizzabile soltanto in tunnel o con l’impiego di barriere antirumore, quindi a costi estremamente elevati.
La diffusione del trasporto di merci in tutta Europa legata all’utilizzo
di nuove tecniche di produzione (quali ad esempio il «just-in-time») e
alla creazione di nuove catene logistiche ha messo a dura prova la rete
stradale della regione. Un ulteriore problema è rappresentato dai nuovi
centri di smistamento sorti in varie località al margine esterno del grande
agglomerato (ad esempio a Unna/Kamen, a Dinslaken, a Düren o a
Mönchengladbach).
Nel corso dell’ultimo decennio sono state adottate misure volte a limitare il traffico urbano nei quartieri residenziali (Verkehrsberuhigung) e a
rallentare il traffico di transito lungo le arterie urbane. Altre iniziative
per la gestione del traffico nei centri urbani hanno portato all’ampliamento delle aree pedonali, alla costruzione di autorimesse pubbliche e,
ultimamente, al blocco della costruzione di nuovi parcheggi nelle zone
centrali ad alta densità di uffici. Malgrado tutto ciò, il congestionamento
del traffico nelle città continua a preoccupare tanto l’opinione pubblica
quanto gli ambienti politici. Va peraltro detto che, in confronto aí problemi e alla difficoltà di gestione del traffico che si incontrano nelle aree
metropolitane monocentriche, la situazione nella regione policentrica
Reno-Ruhr appare assai meno grave.
A dispetto di una collocazione geografica assai favorevole, la regione
Reno-Ruhr potrebbe in futuro trovarsi impreparata a fronteggiare la
concorrenza internazionale. Tra i molteplici fattori che potrebbero
svantaggiare la regione rispetto alle sue omologhe europee citeremo la
maggiore sensibilità ecologica della popolazione, la priorità assegnata dal
Land Nordrhein-Westfalia alle procedure decisionali dal basso o la
mancanza di una programmazione spaziale a lungo termine. Per giunta,
l’aeroporto di Düsseldorf sembra sul punto di perdere lo status di scalo
internazionale, altre città della Germania saranno presto collegate alla
rete Tgv francese e i quotidiani ingorghi stradali intralciano gravemente
l’attività del settore privato.
448
Naturalmente, ognuno di questi fattori ha una propria ragione d’essere (ad esempio rispetto delle regole e delle procedure democratiche,
principi di carattere sociale, attenzione per l’ambiente e la qualità della
vita); ciò non toglie tuttavia che tali fattori abbiano effetti controproducenti sulla competitività della regione urbana nel contesto internazionale.
6. Il potenziale di creatività della regione: istruzione superiore e cultura
Un agglomerato urbano a forte tradizione industriale ha bisogno di un
contesto innovativo e creativo che lo aiuti a superare i problemi strutturali e a gestire adeguatamente le diverse implicazioni urbanistiche e logistiche del progresso tecnologico e materiale. Il grado di innovatività di
questo contesto, ovvero il suo potenziale di creatività, dipende innanzitutto dalla qualità delle istituzioni scolastiche (soprattutto per quanto riguarda l’istruzione superiore), dall’identità culturale della regione, dalle
caratteristiche dei mass media che utilizzano i canali editoriali, audio e
audiovisivi, e non in ultimo dalla cultura politica della regione e dall’apertura alle critiche dimostrata dai suoi ambienti politici. Cercheremo ora di
comprendere come la regione Reno-Ruhr si collochi per questo insieme
di aspetti.
1) L’elevata densità di istituti di istruzione superiore è raramente eguagliata in altre regioni: quasi tutte le città comprese nell’agglomerato urbano
ospitano infatti un’università. Un forte impegno politico in questo senso
ha condotto negli anni sessanta alla creazione di cinque nuove università
in altrettanti centri della Ruhr che ne erano rimasti privi per decenni.
Attualmente gli iscritti alle università della regione, alle Fachhochschulen
(istituti superiori di istruzione tecnica) e alle varie scuole superiori in
campo artistico e musicale sono più dí trecentocinquantamila. Le
università, e le Fachbochschulen in particolare, sono tradizionalmente ben
inserite nei rispettivi contesti sociali ed economici. Di norma, i rapporti
diretti tra aziende locali e università sono ottimi: un valido contributo in
questo senso proviene dai poli tecnologici e dalle varie istituzioni che
promuovono il trasferimento delle nuove tecnologie. Tutto ciò dà luogo a
un intenso scambio di esperienze e incrementa la domanda di neolaureati:
questi ultimi, a loro volta, si fanno promotori del trasferimento nella realtà
regionale delle innovazioni tecniche e sociali.
2) Il profilo culturale della regione è nel complesso eccellente: la tradizione tedesca di decentramento delle funzioni culturali fa sì che le città
della regione Reno-Ruhr offrano una varietà di occasioni culturali pro449
babilmente unica al mondo. La regione ospita un numero impressionante
di teatri municipali e musei, svariate strutture socioculturali e una quantità
crescente di eventi culturali sia «alti» sia «bassi». Questa condizione può
essere validamente descritta con un esempio: quasi ogni sera gli oltre otto
milioni di abitanti della regione hanno una possibilità (teorica) di scelta
tra varie rappresentazioni operistiche, in uno spazio colmabile con un
tragitto automobilistico di un’ora al massimo. Le città di Düsseldorf (in
società con Duisburg), Colonia, Bonn, Dortmund, Essen, Wuppertal e
Hagen possiedono teatri dell’opera e orchestre cittadine, corpi di ballo e
cori stabili, corredati di tutto il necessario personale tecnico e dirigenziale.
Ciascuna città offre in media duecento rappresentazioni operistiche
all’anno. Queste infrastrutture culturali sono generosamente sostenute
dagli enti locali e assiduamente frequentate. Poche sono tuttavia le
persone che si spostano dalla propria città a un centro vicino per assistere
a una rappresentazione operistica: in sostanza, il pubblico tende a
privilegiare le manifestazioni che avvengono nella propria città. Alcuni
potrebbero obiettare che la molteplicità degli eventi e delle strutture
culturali non ne garantisce automaticamente la qualità. Per quanto le
occasioni culturali offerte dalla regione Reno-Ruhr siano talvolta meno
straordinarie di quelle disponibili a New York, a Vienna, a Parigi o a
Londra, è innegabile che gli abitanti della regione più propensi a spostarsi
da una città all’altra abbiano quotidianamente a disposizione una scelta
assai vasta di eventi culturali di qualità, certamente superiore alle loro
possibilità di fruizione.
3) La regione Reno-Ruhr ha una solida tradizione nel campo dei
mass-media. Colonia, che ospita le sedi centrali della Wdr (Westdeutsche
Rundfunk) e della Rtl, è indubbiamente uno dei maggiori centri di diffusione radiofonica e televisiva dell’intera nazione. Diversi quotidiani regionali con precisi interessi territoriali e fortemente radicati nelle tradizioni locali coprono sezioni ben distinte dell’agglomerato urbano.
Citeremo tra gli altri la «Waz» («Westfälische Allgemeine Zeitung», con le
tre edizioni locali di Essen, Bochum e Dortmund), la « Westfälische
Rundschau» di Dortmund, il «Generalanzeiger» di Bonn e la «Rheinische
Posi» di Düsseldorf. Non esiste tuttavia un quotidiano che rappresenti
l’intera regione; d’altro canto, nessuno dei vari quotidiani locali ha vasta
risonanza come accade invece per altre testate regionali quali la
«Süddeutsche Zeitung» o la «Frankfurter Allgemeine». Nessuna di queste
pubblicazioni, inoltre, si propone come libera tribuna per lo scambio di
idee e informazioni in ambito nazionale. In definitiva, questi quotidiani
non sono che strumenti di informazione a più o meno ampia diffusione
regionale, diretti a un pubblico locale che desidera essere informato in
450
modo esauriente sulle realtà della regione. Non esiste, per il momento,
un quotidiano che sia riconosciuto a Londra, a Milano, a Parigi o ad
Amsterdam come organo di informazione internazionale della regione
Reno -Ruhr.
4) Ben poco si può dire in questa sede a proposito del contesto politico regionale. In effetti la mancanza di un’identità, di una qualche forma
di cooperazione e addirittura di un dialogo regionali ostacola la nascita di
un vero e proprio contesto politico regionale. In luogo di quest’ultimo
esistono invece molteplici contesti locali di tipo settoriale, nei quali operano i ben noti meccanismi del favoritismo campanilistico, del clientelismo e del nepotismo. Le funzioni di formazione delle opinioni e di orientamento dei processi decisionali vengono svolte dai sindaci e dai rappresentanti dei partiti di maggioranza nei consigli comunali: il loro parere
favorevole è determinante per l’attuazione di qualsiasi progetto di interesse locale. Come accade anche in altre zone dell’Europa, le scadenze
elettorali hanno grande influenza sul dibattito politico. La mancanza di
una forte opposizione locale rende tuttavia assai difficile un’effettiva valutazione dei comportamenti politici delle maggioranze. Salvo rare eccezioni, l’ambiente politico della regione urbana è quindi scarsamente innovativo. Personalità individuali e sinergie locali hanno dunque un ruolo cruciale nel determinare la vittoria dei meccanismi particolaristici di gestione
quotidiana del potere o dei programmi di più ampio respiro.
Nel complesso, il potenziale di creatività della regione è indubbiamente elevato: l’effettivo impiego di questo potenziale ai fini di un costante rinnovamento dipende in gran parte dagli interessi e dalle alleanze
politiche dei singoli attori che operano sulla scena regionale.
7. L’ambiente in pericolo: smaltimento dei rifiuti, traffico e sfruttamento
del territorio
Quattro sono i principali ambiti di interesse delle strategie e delle politiche ambientaliste della regione urbana: lo sfruttamento del territorio,
l’inquinamento causato dal traffico, la contaminazione del suolo e lo
smaltimento dei rifiuti.
Per decenni, l’efficacia e il consenso politico riscosso da una serie di
meccanismi di controllo (in ambito locale e subregionale) del territorio
hanno limitato l’espansione delle città a danno delle aree urbane ancora
non sfruttate. Le politiche territoriali locali e regionali hanno inoltre assegnato un ruolo di primo piano alle politiche di insediamento negli spazi
disponibili e al recupero dei terreni urbani abbandonati: tutto ciò ha per451
messo di evitare tanto la disordinata espansione delle città quanto il loro
sviluppo per fasce. Come è noto, il calo generalizzato della popolazione
urbana e la fase di stagnazione economica subentrata a partire dal 1977
hanno ridimensionato le spinte espansionistiche provenienti sia dal settore privato sia dall’edilizia abitativa pubblica, che durante questa fase
non ha certo avuto problemi di carenza di alloggi. Dall’inizio degli anni
novanta, tuttavia, la situazione si è modificata, tanto che oggi la scarsa disponibilità di terreni urbanizzati o urbanizzabili è un problema assai sentito in tutti gli ambienti politici. Da questa situazione si delinea un conflitto assai complesso, in parte riducibile al tradizionale antagonismo tra
economia ed ecologia, in parte esempio della crescente contrapposizione fra certe istanze di carattere ambientale e talune istanze sociali (quali
ad esempio la disponibilità di spazi per le famiglie più povere, per le attività commerciali tradizionali o per le piccole industrie, allontanate dalle
zone centrali in seguito all’esplosione dei mercati fondiari): a lungo andare,
l’ambiente urbano sembra destinato a uscire sconfitto da questo confronto.
L’inquinamento atmosferico e acustico causato dal traffico (aeroporti,
autostrade e linee ferroviarie ad alta velocità) è un altro ambito di intensa
discussione politica a livello locale e regionale. Mal tollerati dai gruppi di
interesse economico, i dibattiti politici e le procedure formali che ne derivano (sotto forma di analisi dell’impatto ambientale) rallentano i processi decisionali e ritardano l’attuazione dei necessari programmi di costruzione o espansione delle infrastrutture per il trasporto. Un’argomentazione utilizzata piuttosto spesso in questi dibattiti da quanti vorrebbero
boicottare le politiche troppo sensibili al degrado ambientale, è quella secondo cui la Germania rischierebbe di perdere interesse agli occhi degli
investitori. Mediante una complessa serie di strumenti di controllo e incentivi, le autorità del Land si sforzano di ridurre gli eventuali attriti. A
livello locale, si cerca di affrontare questi problemi non tanto con programmi, leggi o ordinanze, quanto piuttosto con le armi della trattativa e
del compromesso.
La contaminazione del suolo è un problema di grande importanza
nelle aree industrializzate della regione. Inquinati da decenni di sconsiderata espansione produttiva, i terreni industriali sono ormai contaminati
al punto di renderne estremamente pericoloso qualsiasi altro impiego, a
meno di ricorrere a costosi procedimenti di purificazione o rinnovamento. Alcune città della regione, in particolar modo quelle della Ruhr,
hanno dato prova di grande coraggio pubblicando mappe che indicavano
come sospette di contaminazione buona parte delle aree urbane edificate.
Tale situazione rende piuttosto improbabile il reinserimento nel mercato
fondiario delle aree industriali abbandonate.
452
Lo smaltimento dei rifiuti è infine la questione più controversa sulla
scena politica della regione Reno-Ruhr. Urbanisti e politici incontrano
sempre maggiori difficoltà nell’identificare all’interno della regione zone
idonee dal punto di vista organizzativo e politico all’installazione di inceneritori. L’opportunismo che impedisce ogni identificazione oggettiva
dei siti più opportuni ha trasformato il problema dello smaltimento dei
rifiuti in un oggetto di contrattazione politica a livello locale e regionale;
si è cercato pertanto di incoraggiare attivamente al riciclaggio, poiché
soltanto una considerevole riduzione degli scarti industriali e domestici
potrebbe in futuro evitare la degenerazione del problema.
Nel corso dell’ultimo decennio, la questione ambientale è stata oggetto di grande attenzione da parte dell’opinione pubblica in tutta la
Germania. Alla radice del problema vi è tuttavia un profondo dilemma: è
stato infatti dimostrato come lo sviluppo economico della regione RenoRuhr porti con sé, come conseguenza inevitabile, un maggiore inquinamento ambientale. La riduzione dell’impatto negativo dell’inquinamento
richiederebbe a sua volta un impiego più consistente di fondi pubblici
che potrebbero non essere disponibili, oppure reperibili soltanto a scapito di altre funzioni sociali dí competenza del settore pubblico. Siamo
dunque di fronte a un circolo vizioso di non facile soluzione, né nella regione Reno-Ruhr né altrove.
8. Il tribalismo urbano: i centri urbani della regione tra complementarità e antagonismo
L’agglomerato urbano Reno-Ruhr non offre un buon esempio di
complementarità urbana. L’effettiva cooperazione tra i vari centri è assai
scarsa: al contrario, le tensioni esistenti fanno pensare a una sorta di tribalismo urbano. Le varie città sembrano avere una concezione assai rigida dei propri confini e delle rispettive esigenze, e paiono piuttosto restie a sottoscrivere accordi formali dí divisione regionale del lavoro. Una
così scarsa disponibilità alla cooperazione viene solitamente giustificata
con le conseguenze finanziarie che tali programmi potrebbero avere sul
gettito fiscale proveniente dall’industria, sull’immagine delle singole città
e sulla loro capacità di attrarre investimenti. Nella regione prevalgono
dunque attaccamento alle tradizioni locali e gelosie più o meno esplicite,
con una sola eccezione: qualora un nemico esterno (ad esempio un governo federale di orientamento conservatore) minacci la regione nel suo
complesso, le città sono immediatamente pronte a formulare e proclamare a gran voce (più frequentemente nella Ruhr che non lungo la valle
del Reno) strategie difensive comuni.
453
9. Preparare il futuro: politiche, programmi e progetti
Cercheremo ora di descrivere brevemente quattro delle più interessanti iniziative varate nella regione Reno-Ruhr: l’iniziativa per il rilancio
delle regioni minerarie (Zukunftsinitiative Montanregionen), il centro
scientifico di Dortmund, il centro di iniziativa per la Ruhr (Initiativkreis
Ruhrgebiet) e l’esposizione internazionale «Emscher-Park».
L’iniziativa per il rilancio delle regioni minerarie. Per contrastare la crisi che
aveva colpito la regione, il Land Nordrhein-Westfalia avviò nel 1987 una
nuova iniziativa dal nome altisonante di Zukunftsinitiative Montanregionen o
Zim. Traendo insegnamento dalla scarsa riuscita di analoghi programmi
attuati in precedenza, il governo del Land rinunciò a imporre dall’alto
un ennesimo programma di sviluppo regionale definito nei minimi
particolari. Questa volta, infatti, il Ministero statale dell’Economia invitò
le forze che operavano nella regione a elaborare progetti di interesse locale
che favorissero, mediante l’innovazione, la ripresa economica delle aree
colpite dalla crisi. Caratteristica saliente dell’iniziativa è il fatto che il
governo del Land si sia astenuto, per la prima volta in assoluto, dal
definire iniziative a sostegno della tradizionale base industriale della Ruhr.
Ciò fa del programma Zim un caso particolare non soltanto per le aree
considerate, ma anche per il metodo di attuazione. Gli enti locali, le altre
istituzioni pubbliche o semipubbliche che agiscono nell’ambito regionale
(ad esempio università e camere di commercio) e le imprese private sono
state invitate a collaborare nell’attuazione di progetti innovativi basati sulle
risorse e sul potenziale endogeno della regione, sottoponendo al governo
del Land le loro domande di finanziamento.
Nel complesso, l’iniziativa per il rilancio delle regioni minerarie può
dirsi riuscita: molti dei progetti presentati sono già stati realizzati o sono
in corso di attuazione, e la tradizionale immobilità degli enti locali della
Ruhr sembra essere stata finalmente scossa.
Il Centro scientifico di Dortmund. Il polo tecnologico (TechnologieZentrum
Dortmund) inaugurato nel 1985 e il centro scientifico (Dortmund Science
Park) rappresentano due risultati spettacolari del nuovo spirito di
cooperazione che anima la regione. Il primo polo tecnologico della Ruhr
fu concepito in ambito non strettamente universitario: a esso parteciparono infatti alcuni funzionari del Ministero per lo Sviluppo economico locale. Nell’arco di poche settimane il progetto raccolse l’adesione
dei principali amministratori cittadini, della camera di commercio e del
consiglio di amministrazione dell’università. Nella primavera del 1984 la
454
città di Dortmund e il Ministero statale dell’Economia, media industria e
trasporti avevano già dato il loro assenso finanziario al progetto.
Il polo tecnologico, che ha subìto nell’arco di cinque anni ben due ampliamenti, ospita attività di ricerca e sviluppo svolte da imprese sia locali
sia di altre città, in collaborazione con ricercatori provenienti dall’università. I principali ambiti di cooperazione sono la meccanica dei flussi, la
logistica, le tecnologie dei materiali e i sistemi di movimentazione dei
materiali; il polo ospita inoltre progetti di ricerca e sviluppo nel campo
dell’informatica e del software, e società di consulenza alle imprese: tra
queste ve ne è una specializzata nel fornire capitali di rischio per i progetti
più promettenti.
La creazione del polo tecnologico è stata finanziata dalla città di
Dortmund, dal Ministero dell’Economia e media industria, e dal Fondo
regionale europeo. Il polo è gestito da una società a responsabilità limitata (GmbH) alla quale partecipano la città di Dortmund, la camera di
commercio, alcune banche locali tra cui la potente Stadtsparkasse (Cassa
di risparmio cittadina) e un consorzio di imprese private. Il polo tecnologico costituisce dunque un ottimo esempio di cooperazione tra pubblico e privato. Alle strategie di sviluppo economico locale si affiancano
due progetti di pianificazione ambientale promossi dall'assessorato cittadino all’urbanistica:
— Un’area industriale di 18 ettari nelle vicinanze dell’università è stata
destinata all’insediamento di aziende ad alta tecnologia.
— gli ampi spazi all’interno del campus verranno trasformati in un
«polo paesaggistico» nel quale le tematiche ecologiche avranno un ruolo
dominante: una sezione verrà ad esempio utilizzata per un progetto pilota nel campo delle eco-tecnologie finalizzato alla sperimentazione
«perma-colture».
Le prime aziende ad alta tecnologia si sono stabilite nel campus a partire dal 1986. Nel frattempo, le imprese che avevano iniziato a operare
all’interno del polo tecnologico hanno allestito propri stabilimenti nelle vicinanze. Il polo tecnologico, oggi (1990) al completo, ha dunque contribuito
alla creazione di millecinquecento nuovi posti di lavoro nel settore della ricerca e sviluppo, e radicalmente modificato l’immagine della città.
L’esposizione internazionale «Emscher-Park». Tenendo presenti i problemi
presenti e futuri che il bacino del fiume Ems si trovava ad affrontare,
nonché l’incapacità dei singoli comuni di affrontarli adeguatamente, il
governo del Nordrhein-Westfalia, ispirandosi all’esperienza della fiera
455
di Berlino, decise di allestire l’esposizione internazionale «Emscher-Park»
(Internationale Bauausstellung Emscher-Park, o Iba-Emscher). È bene
precisare tuttavia che il nome del progetto è alquanto fuorviante: l’esposizione non vuol essere un evento internazionale analogo all’esposizione
universale di Siviglia o alle molte fiere commerciali cittadine allestite in
Giappone, né ambisce a mettere in mostra una serie di eleganti edifici industriali, nuovi o restaurati che siano; piuttosto, come ha ufficialmente
dichiarato il primo ministro del Land Nordrhein-Westfalia, l’esposizione
«offrirà alle aziende e ai professionisti l’opportunità di partecipare a un
programma di ampio respiro per il rinnovamento del bacino della Ems
(...) contribuendo al progresso della regione». Con il progetto IbaEmscher il governo del Land «si è assunto il compito di trasformare le
zone industriali, ricostituendo le aree verdi e ponendo nuove basi per Io
sviluppo economico della regione».
L’ambizioso progetto si svilupperà nell’arco di dieci anni. Dopo la
fase di elaborazione e stesura dei progetti di ristrutturazione (fase avviata
nel 1989 e conclusa l’anno successivo), la presentazione internazionale
del programma ha avuto luogo nell’aprile del 1991. I progetti saranno
quindi realizzati e presentati in due successive manifestazioni, nel 1994 e
nel 1995. Il progetto verrà quindi ultimato entro il 1999, un anno prima
dello scadere del secolo e avrà effetti positivi sull’intera area della Ruhr.
Esso contribuirà a rilanciare l’immagine di una regione troppo a lungo
trascurata e senza dubbio attirerà l’interesse internazionale su questa «appendice» della Ruhr, conferendole una nuova identità e incoraggiando i
cittadini a riconoscersi nella regione policentrica di cui sono parte. Nel
complesso, il progetto Iba-Emscher dovrebbe dunque dare un notevole
contributo al restauro e al rinverdimento di un paesaggio industriale assai
degradato. I progetti realizzati nell’ambito dell’esposizione fisseranno i
canoni estetici, ambientali e socioculturali per il futuro sviluppo della
regione, migliorando aspetto esteriore e accessibilità di un paesaggio regionale gravemente danneggiato dallo sprofondamento del suolo connesso all’attività mineraria, dall’agricoltura intensiva e dall’abbandono
degli insediamenti industriali.
Il gruppo di iniziativa per la Ruhr. «Wir an der Ruhr, gemeinsam voran» (Noi della Ruhr procediamo uniti) è lo slogan di una recente iniziativa privata modellata o quanto meno ispirata alla famosa associazione
Alleghenny per lo sviluppo della comunità di Pittsburgh (Accd). Nel
1988, su iniziativa del direttore dell’associazione dei comuni della Ruhr e
del vescovo cattolico della diocesi di Essen, alcuni dirigenti dei maggiori gruppi industriali tedeschi, di istituti di credito e di altre aziende
456
hanno fondato il cosiddetto «gruppo di iniziativa per la Ruhr»
(Initiativkreis Ruhrgebiet). Si tratta in pratica di un’associazione privata, i
cui aderenti si impegnano a sostenere la regione della Ruhr, a favorirne
il rilancio economico e culturale, e a contribuire al buon esito della riconversione economica.
Nel 1988 il gruppo contava trentacinque membri fondatori, ognuno
dei quali aveva versato una «tassa di iscrizione» di 1,5 milioni di marchi
(pagabili in cinque rate annuali di trecentomila marchi) entrando a far
parte di un fondo di sviluppo che si proponeva di investire nel futuro
della Ruhr. I membri del gruppo, saliti a quarantotto nel settembre del
1990, provengono dai maggiori gruppi industriali della regione, da istituti di credito regionali e nazionali, da aziende commerciali e da organizzazioni culturali. I loro suggerimenti, la loro opera di mediazione e di
promozione caratterizzano l’attività del gruppo di iniziativa.
La nascita e il successo dell’Initiativkreis Rubrgebiet sono per tutti motivo di ottimismo: l’iniziativa, che rappresenta la logica risposta alla sempre più evidente incapacità del settore pubblico a soddisfare le esigenze
delle società opulente e delle città postmoderne dell’era post-industriale,
è un primo esempio del rinato interesse per la regione da parte dell’economia privata.
Le iniziative popolari. A fianco di quelle finora descritte sono molte altre
le iniziative (forse meno ambiziose) che andrebbero ricordate, a cominciare dai gruppi informali di azione civica che danno un contributo
essenziale, anche se spesso trascurato, al miglioramento della qualità della
vita nella regione. I sogni di oggi di questi cittadini saranno probabilmente
le realtà di domani.
10. Prospettive: la regione nel contesto di un’Europa senza barriere
Da alcuni anni, le banane riscuotono un interesse inaspettato agli occhi dei geografi, dei pianificatori, degli urbanisti, dei giornalisti e delle
sempre più folte schiere di geopolitici europei: si tratta della famosa «banana blu» del programma Datar, da cui sono germogliate le molte controversie circa le tendenze attuali e future dello sviluppo spaziale ed economico dell’Europa. La caduta del muro di Berlino sembra delineare i
contorni di una nuova «banana» europea (questa volta verde?) che si
estende da Parigi all’Est europeo passando attraverso Berlino. La regione
Reno-Ruhr si trova esattamente al crocevia di queste due aree fortemente
urbanizzate, e potrebbe quindi trarre beneficio dalla polarizzazione eco457
nomica di entrambi questi corridoi. Le zone occidentali e settentrionali
della regione Reno-Ruhr potrebbero inoltre avvantaggiarsi dell’apertura
dei confini con il Belgio e l’Olanda, allargando l’hinterland della regione
urbanizzata fino a raggiungere le nazioni vicine.
Come entità regionale, l’agglomerato urbano Reno-Ruhr non ha
un’identità esterna né un’immagine propria. Le singole città conservano
tuttora una propria impronta autonoma rispetto al contesto regionale:
Colonia è rinomata per la sua attività nel mondo delle arti e dei mass media; Düsseldorf per le banche, per i disegnatori di moda e i «mostri» delle
pubbliche relazioni; Essen è la città giusta per chi opera nel settore
dell’energia o del carbone; Dortmund è nota a quanti si occupano di acciaio, di birra o di logistica, e così via. Sarà necessario parecchio tempo,
tuttavia, perché la regione Reno-Ruhr acquisisca una propria identità e
un’immagine internazionale; per raggiungere questo traguardo, la regione
dovrà adottare una precisa strategia che le consenta di fronteggiare la
concorrenza di altri e più estesi agglomerati urbani europei.
11. Il policentrismo urbano: la metropoli flessibile
Abbiamo dunque dimostrato come la regione Reno-Ruhr non sia
per il momento un’entità politica; a dire il vero, essa non è neppure
(per ora?) una regione né esistono progetti per la sua trasformazione
in entità regionale unitaria. Le spinte particolaristiche che agiscono in
tutta l’area sembrano ostacolare ogni tentativo in questo senso. In
effetti, opporsi alla creazione di un’entità regionale potrebbe anche
non essere sbagliato: la regione non potrà mai diventare una
metropoli di tipo tradizionale. In ogni caso, tentar non nuoce. A
nostro parere, la regione Reno-Ruhr potrebbe infatti rispecchiare un
modello avanzato di metropoli moderna, democratica e socialmente
flessibile, in contrasto con la tradizionale metropoli monocentrica a
struttura gerarchica. Questa conclusione è basata sulle seguenti
argomentazioni:
— la regione non ha un unico nucleo: le attività centrali sono distribuite
in una serie di punti nodali, il che le rende più accessibili e meno esposte
alla speculazione fondiaria, con tutte le implicazioni economiche, logistiche e sociali che ciò comporta;
— il carattere policentrico della regione richiede un diverso tipo di
cooperazione intraregionale non gerarchica, simile alle forme di cooperazione attuate nei moderni complessi industriali: coordinazione orizzontale e approvazione collegiale dei programmi, in luogo di processi decisionali verticali;
458
— la policentricità dell’organizzazione spaziale della regione RenoRuhr consente una maggiore partecipazione democratica allo sviluppo
urbano, e lascia spazio ai processi decisionali che muovono dal basso
verso l’alto piuttosto che viceversa;
— la cultura e le tradizioni locali hanno maggiori probabilità di sopravvivere al processo di internazionalizzazione, che tende in ultima analisi a cancellare le differenze culturali facendo combaciare i paesaggi urbani delle metropoli di tutta Europa;
— un agglomerato urbano policentrico potrebbe ridurre le disparità
sociali. In una struttura di questo tipo, il controllo sociale è solitamente
maggiore e lo spirito comunitario si sviluppa più facilmente: tutto ciò potrebbe scongiurare la radicalizzazione delle disparità sociali. Infine, vi è
motivo di credere che, ferme restando le tradizioni e le caratteristiche di
un sistema democratico, un modello urbano policentrico potrebbe facilitare il controllo e la protezione dell’ambiente naturale;
— una struttura urbana policentrica potrebbe infine consentire un
continuo e più facile adattamento del sistema alle esigenze future.
La regione Reno-Ruhr sembra dunque in grado di avvalorare le ipotesi fin qui formulate. Ulteriori esperimenti e verifiche in questo senso
potranno forse dar luogo a una nuova teoria dello sviluppo metropolitano; ancora non sappiamo, tuttavia, se l’esperienza dell’agglomerato urbano policentrico Reno-Ruhr potrà essere trasferita ad altri contesti.
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Nota sugli autori
Alberto Bramanti è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze economiche alla Facoltà di Economia e commercio dell’Università degli studi di Bergamo.
Lanfranco Senn è ordinario di Economia regionale presso il Dipartimento
di Economia politica dell’Istituto di Economia politica «E. Bocconi», presso
l’Università commerciale Luigi Bocconi dí Milano.
Sergio Alessandrini insegna Economia politica presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano ed è professore ordinario di Economia politica
della Facoltà di Giurisprudenza, presso l'Università degli studi di Parma.
Il Centro Studi sui Sistemi di Trasporto (Csst) è un centro privato di ricerca
e consulenza sui temi delle reti di trasporto e della viabilità; ha sedi a Torino,
Mestre e Napoli.
Pier Francesco Ghetti è ordinario di Ecologia applicata presso il Dipartimento di Scienze ambientali della Facoltà di Scienze naturali, presso
l’Università degli studi di Venezia.
Luigi Mazza è ordinario di Urbanistica presso il Dipartimento di Scienze regionali alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.
Roberto P. Camagni è professore straordinario di Economia politica e finanziaria presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Padova e docente di Economia politica presso l’Università commerciale Luigi
Bocconi. È inoltre presidente dell’Associazione italiana di scienze regionali
(Aisre).
Olivier Klein svolge attività di ricerca presso il Laboratorio di Economia dei
trasporti all’Università di Lyon II.
Ilaria Bramezza svolge attività di ricerca presso l’European Institute for
Comparative Urban Research (Euricur) dell’Università Erasmus di Rotterdam.
Leo van den Berg è direttore dell’European Institute for Comparative
Urban Research (Eurícur) dell’Università Erasmus di Rotterdam.
Klaus R. Kunzmann è geografo e territorialista presso l’Istituto di pianificazione spaziale (Irpud) dell’Università di Dortmund.
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1992 93 94 95 96 97
0123456789
Finito di stampare il 30 novembre 1992
dalla Tipolito Subalpina s.r.l. in Torino
Grafica copertina Image + Communication, Torino
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Quaderni della Fondazione
Volumi già pubblicati:
Vicente Giancotti (a cura di), La bibliografia della letteratura italiana in America
Latina.
Alice Kelikian, Pierre Milza, Falk Pingel, L’immagine dell’Italia nei manuali di
storia negli Stati Uniti, in Francia e in Germania.
Adelin Fiorato, Laura Lepschy, Hermann Neurneister et al., L’insegnamento
della lingua italiana all’estero. Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Canada,
Stati Uniti, Argentina, Brasile e Australia.
Francesco Silva, Marco Gambaro, Giovanni Cesare Bianco, Indagine sull’editoria. Il libro come bene economico e culturale.
Mariano D’Antonio (a cura di), Lavoro e disoccupazione nel Mezzogiorno.
Maria Pia Bertolucci e Ivo Colozzi (a cura di), Il volontariato dei beni culturali in
Italia.
Alberto Bramanti e Lanfranco Senn, Sergio Alessandrini et al., La Padania,
una regione italiana in Europa.
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Studi e ricerche
Volumi già pubblicati:
Abitare il pianeta. Futuro demografico, migrazioni e tensioni etniche.
Volume I, Mareello Pacini, Aristide R. Zolberg, Antonio Golini et al., Il
Mondo Arabo, l’Italia e l’Europa.
Volume II, Thomas Espenshade, S. Philip Morgan, Gian Carlo Blangiardo et
al., Usa, Urss e aree asiatica e australe.
Vincenzo Cesareo (a cura di), L’icona tecnologica. Immagini del progresso, struttura
sociale e diffusione delle innovazioni in Italia.
Valori, scienza e trascendenza.
Volume I, Achille Ardigò e Franco Garelli, Una ricerca empirica sulla dimensione
etica e religiosa fra gli scienziati italiani.
Volume II, Evandro Agazzi, Sebastiano Maffettone, Gerard Radnitzky et al.
Un dibattito sulla dimensione etica e religiosa nella comunità scientifica
internazionale.
Fondazione Giovanni Agnelli, Il futuro degli italiani. Demografia, economia e
società verso il nuovo secolo.
Claus-Dieter Rath, Howard Davis, François Gareon, Gianfranco Bettetini e
Aldo Grasso (a cura di), Le televisioni in Europa.
Volume I, Storia e prospettive della televisione in Germania, Gran Bretagna, Francia e
Italia.
Volume II, I programmi di quarant’anni di televisione in Germania, Gran Bretagna,
Francia e Italia.
Fondazione Giovanni Agnelli, Manuale per la difesa del mare e della costa.
Institute of Southeast Asian Studies (a cura di), Il Sud-est asiatico nell’anno del
serpente. Rapporto 1989 sulla situazione sociale, politica ed economica dell’area.
466
Sergio Conti e Giorgio Spriano (a cura di), Effetto città. Sistemi urbani e innovazione: prospettive per l’Europa degli anni novanta.
Albert Bastenier e Felice Dassetto, John Rex et al., Italia, Europa e nuove immigrazioni.
Erminio Borlenghi (a cura di), Città e industria verso gli anni novanta. Sistemi
urbani e impresa a Torino, Genova, Verona, Bologna, Firenze, Napoli, Bari,
Catania, Milano e Roma.
Isaiah Berlin, Amartya Sen, Vittorio Mathieu, Gianni Vattimo e Salvatore
Veca, La dimensione etica nelle società contemporanee.
Vincenzo Cesareo (a cura di), La cultura dell’Italia contemporanea. Trasformazione
dei modelli di comportamento e identità sociale.
Maria Luisa Bianco, Federico D’Agostino e Marco Lombardi, Il sapere tecnologico. Diffusione delle nuove tecnologie e atteggiamenti verso l’innovazione a Torino,
Napoli e Milano.
Giancarlo Rovati, Un ritratto dei dirigenti italiani.
Giuliano Urbani, Norberto Bobbio, Gian Maria Capuani e Giannino Piana et
al., L’anziano attivo. Proposte e riflessioni per la terza e la quarta età.
Václav Bělohradsky, Pierre Kende e Jacques Rupnick (a cura di), Democrazie
da inventare. Cultura politica e stato in Ungheria e Cecoslovacchia.
Antonio Golini, Alain Monnier, Olivia Ekert-Jaffé et al., Famiglia, figli e società
in Europa. Crisi della natalità e politiche per la popolazione.
Giorgio Brosio e Walter Santagata, Rapporto sull’economia delle arti e dello
spettacolo in Italia.
Danièle Hervieu-Léger, Franco Garelli, Salvador Giner e Sebastián Sarasa et
al., La religione degli europei. Fede, cultura religiosa e modernità in Francia, Italia,
Spagna, Gran Bretagna, Germania e Ungheria.
467
Popolazioni e culture italiane nel mondo
Volumi già pubblicati:
Euroamericani.
Volume I, Marcello Pacini, «Introduzione a “Euroamericani”», Betty
Boyd Caroli, Piero Gastaldo, Francis A. J. Ianni et al., La popolazione di
origine italiana negli Stati Uniti.
Volume II, Francis Korn, Isidoro J. Ruiz Morena, Ezequiel Gallo et al.,
La popolazione di origine italiana in Argentina.
Volume III, Luis A. De Boni e Rovílio Costa, Lucy Maffei Hutter et al.,
La popolazione di origine italiana in Brasile.
Graziano Battistella (a cura di), Gli italoamericani negli anni ottanta. Un profilo
sociodemografico.
Rovilio Costa e Luis A. De Boni (a cura di), La presenza italiana nella storia e
nella cultura del Brasile.
Jean-Jacques Marchand (a cura di), La letteratura dell’emigrazione. Gli scrittori di
lingua italiana nel mondo.
Stephen Castles, Caroline Alcorso, Gaetano Rando ed Ellie Vasta (a cura di),
Italo-australiani. La popolazione di origine italiana in Australia.
Inoltre la Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli pubblica la rivista
semestrale ALTREITALIE. Rivista internazionale di studi sulle popolazioni di
origine italiana nel mondo.
468
Cosmopolis
Volumi già pubblicati:
Masao Maruyama, Le radici dell’espansionismo. Ideologie del Giappone moderno.
Prefazione di Shuichi Katō.
Ashis Nandy, Ravinder Kumar, Rajni Kothary et al., Cultura e società in India.
Shuichi Katō, Arte e società in Giappone.
Institute of Southeast Asian Studies (a cura di), Islam e finanza. Religione musulmana e sistema bancario nel Sud-est asiatico.
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Guide agli studi di scienze sociali in Italia
Volumi già pubblicati:
Leonardo Morlino (a cura di), Scienza politica.
Luigi Bonanate (a cura di), Studi internazionali.
Pasquale Coppola, Berardo Cori, Giacomo Corna Pellegrini et al., Geografia.
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CDLXXI