Rattle - ezPress

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Rattle - ezPress
FDS 238 ▼
FEDELTÀ DEL SUONO
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EDITORIALE • Andrea Della Sala
3
Senza famiglia
(e senza senso)
P
rendo spunto dal pezzo del
nostro Mauro Bragagna
sulle ultime novità discografiche di rocker sulla settantina
come David Gilmour e Keith Richards per riallacciarmi a un mio
vecchio editoriale in cui temevo
la fine dei giorni gloriosi del
rock.
Beh, quel giorno è arrivato.
Il problema è che certe figure le
avevamo date per scontate, pensando fossero immortali.
Non è solo un fatto anagrafico,
biologico.
Il successo quando arriva è influenzato da un corollario di
eventi anche estranei al valore di
una determinata composizione.
Se, ad esempio, un disco come
Exile On Main Street uscisse ora,
verrebbe lo stesso considerato
epocale?
E Space Oddity, senza la sbornia
avuta per la conquista dello spazio, sarebbe oggi quel che è?
Intendiamoci, nessuno solleva
dubbi sulla qualità artistica di
questi due immensi album.
Un artista è veramente tale
quando interpreta il proprio
tempo, quando sa entrare in sintonia con la propria gente.
Oggi continuiamo ad ascoltare
nuovi dischi di personaggi come
Bruce Springsteen, Bob Dylan,
David Gilmour, David Bowie,
U2, Rolling Stones che, diciamolo, sono almeno vent’anni,
nella migliore delle ipotesi, che
non hanno più nulla da dire, che
producono dischi interessanti
solo per i collezionisti incalliti.
Che vanno avanti solo perché è
troppo dura passare da vivi nel
limbo di quelli che furono
grandi.
Siamo stati distratti dal fatto che
li vediamo ancora in giro, ancora
in studio ma la loro musica, quel
genio creativo che li aveva contraddistinti si è affievolito, sia
perché è naturale vedere le proprie prestazioni diminuire con
l’età sia perché, soprattutto, non
riescono più a cogliere quella
connessione col presente fondamentale per colpire.
Insomma, vedere relegati a macchine da innocuo intrattenimento
serale (scaletta standard e alle
undici tutti a nanna, grazie) decine di capiscuola mi mette un
po’ di freddo nelle ossa.
Forse sarebbe meglio, per tanti di
questi eroi della prima ora, smettere e dedicarsi, se davvero si è
amata la musica come si dice, a
lanciare nuovi talenti, a rimettere
in piedi un’industria discografica
ormai ridotta a mera fotocopiatrice senza più spina dorsale.
Perché poi, finiti anche i carrozzoni da stadio senza senso con
cui ci illudiamo di stare ancora
assistendo agli artisti che furono,
ci sarà davvero il vuoto pneumatico.
E non vorrei ritrovarmi qui a
rimpiangere perfino la proiezione al cinema dello stesso concerto di The Wall che, per quanto
grande, va in giro da trent’anni
senza che all’orizzonte se ne intraveda il degno successore.
[email protected]
Andrea Della Sala
Fedeltà del Suono
@
Sommario
ottobre 2015
4 FDS 238
03
06
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EDITORIALE
IN COPERTINA
DAVID GILMOUR E KEITH RICHARDS
Senza la famiglia
Cioè senza la compagnia delle band più amate del mondo, Keith
Richards e David Gilmour ci provano ancora.
di Mauro Bragagna
Speciale IFA 2015
a cura di Leonardo Ciocca
Le Aziende informano
a cura di Leonardo Ciocca
24
Storia di un Disco
L’uomo che cammina
di Marco Lincetto
IL REGNO DEGLI ASCOLTI
28
Giradischi
PRO-JECT 1 XPRESSION CARBON CLASSIC
Chi ben comincia…
di Giulio Salvioni
38
Diffusori bookshelf
SONUS FABER CHAMELEON B
Sono come tu mi vuoi
di Leonardo Bianchini
48
54
58
da pag. 82
IL CAPPELLO A CILINDRO
20
44
pag. 68
Senza famiglia (e senza senso)
di Andrea Della Sala
CAVI E ACCESSORI
pag
.4
8
pag
. 54
Suite di Cavi
PORTENTO AUDIO REFERENCE, POWER LINK e SPEAKER LINK
Un portento di cavo!
di Leonardo Bianchini
CUFFIE E ACCESSORI
Convertitore Digitale-Analogico
HENRY AUDIO USB DAC 128 MKII
Piccolo grande DAC
di Paolo Dameno
Cuffia
AUDIO TECHNICA ATH-TAD 400
In medio stat virtus
di Leonardo Bianchini
I DECALOGHI
di Lorenzo Zen
pag. 62
Nel nostro sito troverai anche - FDS Navigator - News - Foto Gallery Inedite - Archivio Arretrati - FDS su Facebook...
pag. 84
HI-END MAGAZINE®
62
Diffusori da pavimento
MOREL SOLAN WHITE
La qualità è la costante dell’equazione
di Alberto Guerrini
68
Preamplificatore valvolare
MCINTOSH C2500
Il segreto del successo
di Andrea Della Sala
74
76
82
84
85
86
88
96
97
www.fedeltadelsuono.net 5
pag. 38
L’AUDIOTA
Perché le vecchie casse erano meglio
di Diego Nardi
IL CLUB BLU PRESS
Accessori – Modulo Iscrizione e Abbonamenti
LA BACCHETTA MAGICA
CLASSICA DISCHI di Violetta Valéry
DISCO DEL MESE di Mauro Bragagna
COMPILATION LUNATIK a cura della Redazione
ROCK E I SUOI FRATELLI AUDIOFILI di Mauro Bragagna
APPUNTAMENTI D’ASCOLTO a cura della Redazione
JAZZ DISCHI di Francesco Peluso
IL MERCATO DELL’USATO
a cura della Redazione
pag. 6
da pag. 82
pag. 28
pag. 44
In Copertina • di Mauro Bragagna
Senza la famiglia
6
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Cioè senza la compagnia delle band
più amate del mondo, Keith Richards
e David Gilmour ci
provano ancora.
Hanno scelto la stessa data, il 18 settembre, per pubblicare i loro nuovi album
solo. Keith Richards non ne realizzava uno dal 1993, l’anno del debutto del Late
Show di David Letterman sulla CBS, mentre Gilmour ci ha fatto aspettare
“soltanto” nove anni. Ci siamo appena occupati dei Rolling Stones con la
ristampa del magnifico Sticky Fingers, mentre il numero scorso abbiamo dato
spazio ad Amused to Death di Roger Waters, il più riuscito ed ambizioso album
dei Pink Floyd senza il logo dei Pink Floyd.
A
vremmo preferito che Rattle
That Lock e Crosseyed Heart
uscissero un po’ più in là, per
non inflazionare queste pagine a forza di Stones e di Floyd. Abbiamo deciso di presentarveli insieme perché
quando c’era l’inflazione non stavamo
peggio di adesso, e poi la storia non
si scrive con i desideri. “Ci farai aspettare altri ventitré anni, per il prossimo?”, hanno chiesto a Keith Richards.
“Non ne ho altri ventitré”, ha risposto
serio. Accidenti, forse non è immortale. E allora facciamoli girare adesso,
i loro dischi, del doman non v’è certezza.
David Gilmour “Rattle That Lock”
Pare che il dittatore nordcoreano Kim
Jong-un abbia giustiziato il numero
due del regime facendolo sbranare da
centoventi cani, tenuti affamati gior-
ni e giorni per prepararli al grande
evento. Una ferocia simile ha accolto
Rattle That Lock, il singolo che ha anticipato l’omonimo album di David
Gilmour, colpevole di essere soltanto
un pezzo pop. E lo è, effettivamente,
con un pizzico di dance che rimanda
ai Roxy Music degli Anni Ottanta, a
Brian Ferry. Potrebbe essere anche un
complimento, non trovate? Non è
memorabile, ma nella sua immedia-
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In Copertina • DAVID GILMOUR & KEITH RICHARDS
tezza è un invito a liberarci dalle catene di ogni tipo, intellettuali e materiali. Emancipatevi dalla schiavitù
mentale, cantava Bob Marley in Redemption Song. Con meno poesia e
meno bellezza David fa altrettanto, nel
testo la sua compagna/collaboratrice
Polly Samson si è ispirata al “Paradiso Perduto” di John Milton, nientemeno. Peccato che la sua voce sia diventata fragile come quella di Roger
Waters, ma in questo caso la forma è
meno importante del messaggio, come
conferma la presenza del Liberty
Choir di Londra, i cui componenti nel
tempo libero insegnano canto ai carcerati. E poi un pezzo ritmato dà un
po’ di creatina ad un disco che non è
sognante e seppiato come On an Island, ma rimane sostanzialmente malinconico. È preceduto da una miniatura squisitamente floydiana, 5 A.M.,
con l’orchestra di Zbigniew Preisner
(i musicisti sono praticamente gli
stessi dell’album precedente) e la
Fender Stratocaster luminosa come
sempre, quando prova a reinventare
le note di Shine On You Crazy Diamond. Chissà se Gilmour ricordava
una vecchia composizione di Waters,
4:30 A.M., chissà se si sveglia davvero alle cinque di mattina. L’album è un
concept che raccoglie i pensieri che accompagnano una persona lungo l’arco di una giornata. Sembra dirci: questo sono io, l’amico d’infanzia di Syd
Barrett con la testa a posto, quello che
amate, ma questa volta ho voluto
provare a fare qualcosa di diverso. Ed
ecco partire Rattle That Lock, la cui
energia ci introduce al cuore più profondo dell’album. Faces of Stone ha
un profumo francese, parte cameristica e poi si sviluppa con l’incedere
di una giostra lenta. È resa singolare
da uno strumento come il Calliope, un
organo a vapore dell’Ottocento chiamato così in omaggio alla Musa della Poesia. Una macchina fiabesca e desueta che ci saremmo aspettati di
ascoltare in un album di Vinicio Capossela, più che in quello di un Floyd.
È il richiamo ad un passato color
seppia, ideale per accompagnare il ricordo di una passeggiata con la madre in un parco, negli Anni Settanta,
quando era già affetta da una grave
forma di demenza. A Boat Lies Waiting è una gemma altrettanto struggente che richiama nel titolo l’amore
di Richard Wright per le barche. La
vita in mare è anche la grande passione di David Crosby, che con l’immancabile Graham Nash dipinge le
parti vocali di una canzone sulla morte di un amico (senza di te vado alla deriva a bordo di questa triste barcarola),
così intensa da non lasciarci neanche
un’ombra di sconforto nel cuore,
come quando ascoltiamo il Requiem
di un grande compositore.
“Sento la sua mancanza con molto
dolore, come amico, ma mi manca
molto anche quella intesa musicale.
Il pezzo è come una pausa nel viaggio, un momento per riflettere e
pensare a Rick”. (David Gilmour)
Dancing Right in Front of Me è invece dedicata al tempo che passa, al
bilancio di una vita e di un rapporto,
ma l’incantesimo non si ripete: parte
citando Michelle dei Beatles e procede stancamente nonostante un bel
solo di piano firmato dallo stesso
Gilmour, messo a metà di un pezzo
che dura sei minuti, decisamente
troppi. In Any Tongue è una traccia
molto floydiana (parente non troppo
lontana, ma meno riuscita, di Comfortably Numb), con l’esordio del figlio Gabriel al pianoforte ed il testo pacifista che ci ricorda come la parola
“mama” sia uguale in tutte le lingue.
Un po’ ingenua? Non osiamo immaginare la smorfia di Waters (ok, non lo
citiamo più, promesso) quando la
ascolterà… Dopo tante canzoni arriva Beauty, uno strumentale che invita a meditare sulla gioia di vivere, senza la profondità ed il fascino delle migliori tracce di The Endless River, sottovalutato capitolo finale della saga
Pink Floyd. Convince di più, se non altro per l’effetto sorpresa, The Girl in
the Yellow Dress, un brano jazzato
che evoca le atmosfere dei locali fumosi e glamour di una volta: piacerà
sicuramente a Sting. In tutto l’album
Gilmour mostra il suo eclettismo di
polistrumentista, ma in questo caso si
limita a suonare la chitarra lasciando
spazio alla cornetta di Robert Wyatt,
al sax di Colin Stetson e al piano di Jools Holand. Today ci invita a chiudere gli occhi, ma la musica non è da sogno. Nasce da un’idea di Phil Manzanera, che ha invitato Gilmour a
mettere insieme tre brani scartati in
precedenza per farne qualcosa di
nuovo. Canzoni come A Day in the
Life (che fondeva due composizioni
distinte di John Lennon e Paul McCartney) quando riescono bene finiscono
nelle enciclopedie alla voce “meraviglia”, ma non è questo il caso. Si conclude con And Then…, che riprende
il tema iniziale con una strumentazione più ricca, e ci fa ascoltare anche
la Martin D 35 immortalata in Wish
You Were Here. Un finale accattivante
ma non proprio memorabile per un album decisamente discontinuo, che
alterna brani di ottimo livello e riem-
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10 FDS 238 ▼
In Copertina • DAVID GILMOUR & KEITH RICHARDS
pitivi che abbassano il piacere d’ascolto, ed il giudizio finale. Dal punto di
vista tecnico annotiamo che nonostante i quasi cinquantadue minuti di
musica si sia deciso di pubblicarlo su
un vinile singolo, anziché sull’ormai
abituale doppio inciso su tre o quattro facciate, ma la qualità audio è comunque superba. Banda passante
completa, macro e micro contrasto
molto buoni, dinamica finalmente rispettata anche – udite, udite!- sul cd,
che suona bene quasi quanto il suo cugino da 180 grammi. L’esemplare che
abbiamo ascoltato non si è rivelato silenzioso come The Endless River, ma
qualche rumorino imprevisto non ha
limitato il piacere d’ascolto. Da sottolineare la confezione curatissima
ed il prezzo scaccia crisi.
Keith Richards “Crosseyed Heart”
L’ultimo album in studio l’ha pubblicato nel 1992, dopo l’uscita di Bill Wyman dai Rolling Stones. Ci ha sempre
tenuto così tanto, alla sua band, che
Keef non ha mai voluto disturbarne
l’attività, nemmeno quando Mick accettava a fatica le sue musiche da purista e, soprattutto, la sua voce. Quando la ascoltate in un album degli Stones, statene certi, state entrando in
un’oasi di suoni roots. Jagger è molto
attento alle mode musicali, ma a Keith
non interessano. Preferisce il blues con
i suoi derivati, il country più sporco e
creativo, alla Gram Parsons, il folk più
coraggioso, il rock’n’roll degli albori
(Chuck Berry, Buddy Holly, Bo Diddley...). Il reggae degli inizi, quando si
mescolava ancora con l’errebì. I musicisti giamaicani, come ricorda chi ha
letto “Life”, una delle autobiografie
più sincere mai pubblicate, lo hanno
accettato come uno dei loro… Questa
è la sua musica, lo è sempre stata e
sempre lo sarà. In un momento di pausa dagli Stones si è incontrato con
l’ineffabile Steve Jordan, che lo ha invitato a registrare con lui qualcosa di
nuovo, seguendo il procedimento già
utilizzato da Richards quando ha
scritto pezzi come Jumpin’ Jack Flash
e Street Fightin Man: da solo, in studio, con Charlie Watts. Chitarra e
batteria, il sangue e le ossa del rock.
Crosseyed Heart è quindi un album
dei Rolling Stones senza le strizzate
d’occhio commerciali e la voce di
quel Mick Jagger che, ci piace ricordarlo, è coetaneo del professor Mario
Monti. La vita sesso droga e rock’n’roll fa bene alla salute, se non ti uccide prima. E Keith è il più resistente
di tutti. Non stiamo qui a ricordare le
sue peripezie, pare che adesso vada
addirittura in chiesa la domenica, ma
la mattina continua a fare colazione
con un bel cannone, forse per questo
i giamaicani lo amano tanto. Ma come
si fa a non amarlo? Ascolti il brano
d’apertura, che sembra arrivare dai dischi di Robert Johnson ma è registrato benissimo, e ti viene voglia di
scendere in strada per comprare una
chitarra: non la suona bene come Ry
Cooder, o tattile come John Lee Hooker, ma nelle dita ha qualcosa di magico e di forte, un’idea di suono che ti
accompagna tutta la vita. Speriamo
che Keef ci regali un unplugged, prima o poi. Dopo un minuto e 52 secondi arriva Heartstopper (lei è vegetariana ed io amo la carne), e ci chiediamo come sarebbe con la voce di
Mick. Migliore, dai!, è un rock’n’roll
con i controfiocchi, di quelli antichi che
capita di ascoltare in album di Bob Dylan come Tempest, duri e crudi al di
là del loro sapore letterario. Richards
non usa tante metafore ma racconta
bene il distacco, lo stordimento, la fine
di un amore e la nostalgia. Con un senso virile che ricorda il Clint Eastwood
della maturità, che può soffrire ma
senza far cadere una lacrima. È da cinquantatré anni negli Stones e quindi
sotto i riflettori, ma di lui in realtà non
sappiamo molto, forse niente, come ci
suggerisce in Nothing on Me.
“Il blues è l’amore della mia vita, più
attraente del sesso, delle droghe, delle donne. È la lingua che parlo meglio
e quella in cui meglio mi esprimo.
(Keith Richards)
Almeno i suoi gusti li conosciamo.
L’amore per Otis Redding ed il suono
della Stax, ad esempio, che fa rivivere in Lover’s Plea, con il sax del dell’indimenticabile compagno di bagordi Bobby Keys, che ascoltiamo
anche nell’irresistibile Amnesia, bella come una canzone dei Los Lobos se
fossero cresciuti a Londra, con i riff che
ti si appiccicano dappertutto. La passione per le canzoni d’amore che sanno di vita e non di sit-com, come dimostra il duetto tutta sostanza e niente lustrini di Illusion – cos’è quell’illusione che leggo nei tuoi occhi? - con una
Norah Jones asciutta come una modella di Armani. L’amore per gli eroi
degli Anni Trenta come Leadbelly, di
cui riprende la celebre Goodnight, Irene (1933), in una versione così sobria
che sarebbe piaciuta a Sparta e con il
testo non censurato: “prendo la morfina e poi muoio”… Love Overdue è un
reggae firmato Gregory Isaacs, dal fascino inattuale e per niente radiofonico. Reggae che non ti fa venire voglia di ballare, ma di sognare. Come
il country di Robbed Blind, che ci ri-