Carne e ossa - 755082

Transcript

Carne e ossa - 755082
LIBRO
IN
ASSAGGIO
CARNE E OSSA
DI KATHY REICHS
CARNE E OSSA
1
E’ sempre così. Stai per sbaraccare tutto quando qualcuno inciampa nel pezzo forte della
stagione.
Okay. Sto esagerando. Ma somiglia maledettamente a ciò che è successo. E le
conseguenze sono state assai più sgradevoli della scoperta all'ultimo minuto di un frammento
di vaso o di una punta di freccia.
Era il 18 maggio, penultimo giorno del corso pratico di archeologia. Avevo venti studenti
impegnati a scavare un sito a Dewees, isola di barriera a nord di Charleston, South Carolina.
E avevo anche un giornalista. Con il quoziente intellettivo del plancton.
“Sedici corpi?” Plancton tirò fuori un notes a spirale, sentivo che il suo cervello stava già
sfornando ritratti di possibili serial killer. “Vittime identificate?”
“Le tombe sono preistoriche.”
Due occhi si rivolsero al cielo, scomparendo a metà sotto palpebre gonfie. “Vecchi
indiani?”
“Nativi americani.”
“Quindi mi hanno mandato per degli indiani morti?”
Alla faccia del politically correct.
“Mi hanno chi?” Gelida.
“Il "Moultrie News". Giornale locale dell'East Cooper.”
Charleston, come disse Rhett a Rossella, è una città segnata dalla grazia cortese dei tempi
andati. Il cuore è la Penisola, un distretto di edifici costruiti prima della guerra civile, strade
acciottolate e mercati scoperti, delimitato dai fiumi Ashley e Cooper. Gli abitanti definiscono il
territorio cittadino riferendosi a questi due corsi d'acqua.
Così, le località limitrofe sono denominate “West Ashley” o “East Cooper”, quest'ultima
comprende Mount Pleasant e tre isole: Sullivan, la Isle of Palms e Dewees. Il giornale di
Plancton copriva presumibilmente quella zona.
“E lei è...?” domandai.
“Homer Winborne.”
P AG. 2
Con la barba lunga delle cinque, quel tipo sembrava più che altro Homer Simpson.
“Stiamo lavorando, qui, signor Winborne.”
Mi ignorò. “Non è illegale?”
“Abbiamo un'autorizzazione. C'è un progetto di riqualificazione dell'isola, e questo
piccolo appezzamento è destinato a un centro residenziale.”
“Perché fare tanta fatica?” La fronte di Winborne era imperlata di sudore. Quando allungò
la mano per prendere un fazzoletto, notai una zecca che procedeva lentamente sul collo della
sua camicia.
“Sono docente di antropologia alla University of North Carolina di Charlotte. I miei
studenti e io siamo qui su richiesta dello Stato.”
La prima parte era vera, ma il resto era un po' tirato per i capelli. In realtà, era andata
così.
Ogni anno, a maggio, la docente di archeologia del Nuovo Mondo effettua uno scavo con
gli studenti durante la breve sessione prima delle vacanze. A fine marzo, però, la signora
aveva annunciato di voler accettare un posto a Purdue. Tutta presa a mandare curriculum,
durante l'inverno aveva completamente ignorato l'organizzazione del corso pratico. Sayonara.
Niente istruttore. Niente sito.
Anche se la mia specializzazione è antropologia forense e di solito lavoro sui cadaveri
mandati a coroner e medici legali, subito dopo la laurea e agli inizi della mia carriera mi sono
dedicata a morti meno recenti. Per la tesi di dottorato, ho esaminato migliaia di scheletri
preistorici recuperati dai tumuli nordamericani.
Il corso pratico è uno dei più popolari della facoltà e di solito raggiunge il numero
massimo di iscritti. L'inattesa dipartita della mia collega aveva mandato nel panico il direttore
del dipartimento, che mi pregò di prendere il suo posto. Gli studenti ci contavano! Un ritorno
alle origini!
Due settimane sulla spiaggia! Compenso extra! Pensai che stesse per aggiungere una
Buick.
Proposi Dan Jaffer, bioarcheologo e mio omologo in ambito legale in South Carolina.
Addussi possibili casi presso l'ufficio del medico legale a Charlotte o il Laboratoire de Sciences
Judiciaires et de Médecine Légale di Montréal, i due enti con cui collaboro abitualmente.
Il direttore provò a contattarlo. L'idea giusta al momento sbagliato. Dan Jaffer era in
viaggio per l'Iraq.
Così chiesi consiglio a Jaffer, che mi suggerì Dewees come possibile sede dello scavo. Un
terreno di sepoltura era destinato alla distruzione e lui aveva tentato di prevenire l'arrivo delle
ruspe finché non si fosse accertata l'importanza del sito. Come si poteva facilmente
immaginare, l'immobiliarista di turno stava ignorando le sue richieste.
P AG. 3
Quindi contattai l'ufficio dell'archeologo di Stato e, con la raccomandazione di Dan, la
mia offerta di effettuare qualche scavo di prova venne accettata, con vivo disappunto
dell'immobiliarista.
Ed eccomi qui. Con venti studenti e - al tredicesimo e penultimo giorno - Plancton.
La mia pazienza si stava sfilacciando come una corda logora per il troppo uso.
“Nome?” biascicò con tono annoiato.
Repressi il forte impulso ad andarmene. Dagli quello che chiede, mi dissi. Si leverà di
torno. O, con un po' di fortuna, morirà per il caldo.
“Temperance Brennan.”
“Temperance?” Divertito.
“Sì, Homer.”
Winborne alzò le spalle. “E’ un nome che non si sente spesso.”
“Mi chiamano Tempe.”
“Come la città dello Utah.”
“Arizona.”
“Già. Che genere di indiani?”
“Probabilmente sewee.”
“Come sapeva che qui c'era della roba?”
“Grazie a un collega della University of South Carolina di Columbia.”
“E lui come lo sapeva?”
“Ha notato dei cumuli di terra nel corso di un'indagine, prima dell'inizio dei lavori di
riqualificazione dell'area.”
Winborne impiegò un momento ad annotare il tutto sul suo blocco. O forse stava
prendendo tempo per provare a stupirmi con una domanda acuta. A una certa distanza,
sentivo il chiacchiericcio degli studenti e l'acciottolio dei secchi. In cielo, un gabbiano gracchiò
e un altro gli rispose.
“Cumuli?” Nessuno avrebbe messo questo tizio nella rosa dei candidati al premio Pulitzer.
“Con il tempo sabbia e conchiglie si sono accumulate sopra le tombe.”
“A che scopo tirarli su?”
P AG. 4
Basta. Colpii il piccolo idiota con lo stroncainterviste universale: il gergo professionale.
“Le consuetudini di sepoltura delle popolazioni costiere del Sud-Est sono scarsamente note
e questo sito potrebbe suffragare o confutare le interpretazioni etnostoriche.
Molti antropologi ritengono che i sewee appartenessero al gruppo dei cusabo. Secondo
alcune fonti, le pratiche funerarie dei cusabo prevedevano che il cadavere venisse scarnificato
e le ossa disposte in involti o in cassette. Altre descrivono la collocazione dei corpi su
impalcature, per consentirne la decomposizione prima della sepoltura in fosse comuni.”
“Oh, merda. Che schifo.”
“Più che drenare il sangue da un cadavere e sostituirlo con conservanti chimici, iniettare
cere e profumi, applicare del trucco per simulare la vita e infine seppellire il corpo in bare e
tombe a tenuta d'aria per prevenirne il decadimento?”
Winborne mi guardò come se avessi parlato in sanscrito.
“Chi fa questo?”
“Noi.”
“Insomma, che cosa avete trovato?”
“Ossa.”
“Solamente?” La zecca si stava arrampicando sul collo di Winborne. Dovevo avvisarlo? Al
diavolo. Era terribilmente irritante.
Mi lanciai nel mio discorsetto standard per coroner e poliziotti. “Lo scheletro racconta la
storia dell'individuo.
Sesso. Età. Altezza. Antenati. In certi casi, storia clinica e causa del decesso. Guardando
volutamente l'orologio, proseguii con il mio pezzo archeologico: “Le ossa antiche sono una
fonte d'informazione sui popoli estinti.
Come vivevano, come morivano, che cosa mangiavano, di quali malattie soffrivano...”
Lo sguardo di Winborne vagava oltre le mie spalle. Mi voltai.
Topher Burgess si stava avvicinando, con varie forme di materia organica e inorganica
appiccicate al torace bruciato dal sole. Basso e grassoccio, con un berretto fatto a maglia,
occhiali dalla montatura di metallo e basette alla Elvis, il ragazzo mi ricordava un Nostromo
Spugna in versione studente universitario.
“Intruso insolito nella tre-est.”
Attesi che Topher elaborasse, ma invano. Non c'era da stupirsi. Anche agli esami, i suoi
scritti contenevano spesso risposte di una sola frase. Esempi compresi.
P AG. 5
“Insolito?” lo incoraggiai.
“E’ articolato.”
Una frase intera. Gratificante, ma non illuminante.
Con le dita gli feci segno di andare avanti.
“Pensiamo a un elemento intrusivo.” Topher spostò il peso del corpo da un piede nudo
all'altro. Era parecchio da spostare.
“Vengo a vedere tra un minuto.”
Il ragazzo annuì, si voltò, e tornò incespicando allo scavo.
“Che significa articolato?” La zecca aveva raggiunto l'orecchio di Winborne e ora
sembrava intenta a considerare i percorsi alternativi.
“Correttamente allineato dal punto di vista anatomico.
E’ insolito nei casi di sepoltura secondaria, cadaveri messi sottoterra dopo la perdita della
carne. In genere, le ossa sono alla rinfusa, talvolta in mucchi. Ma, occasionalmente, in queste
fosse comuni si trovano uno o due scheletri articolati.”
“Perché?”
"Possono esserci molte ragioni. Magari qualcuno è morto subito prima della chiusura della
fossa comune.
Magari il gruppo si stava spostando e non aveva il tempo di attendere la
decomposizione.”
Dieci secondi buoni di appunti, durante i quali la zecca scomparve dalla mia vista.
“Intrusivo. Che vuol dire?”
“Un corpo introdotto nella tomba più tardi. Le andrebbe un'occhiata da vicino?”
“Non chiedo di meglio.” Portandosi il fazzoletto alla fronte, Winborne sospirç in una
tragica posa teatrale.
Cedetti. “Ha una zecca sul colletto.”
Winborne si mosse più in fretta di quel che avrei creduto possibile per un uomo della sua
stazza, slacciando il colletto, piegandosi in avanti e battendosi il collo in un solo, convulso
movimento. La zecca fece un volo sulla sabbia e si rimise in piedi, evidentemente abituata a
essere respinta.
P AG. 6
Mi avviai, evitando i ciuffi di avena marina con le spighe immobili nell'aria pesante. Era
solo maggio e già la colonnina di mercurio rasentava i trentadue gradi. Amo il Lowcountry, ma
ero contenta di non trovarmi lì a scavare d'estate.
Avanzavo rapidamente, sapendo che Winborne avrebbe faticato a tenermi dietro.
Apposta? Sì. Non avevo tempo da sprecare con un reporter ottuso.
E avevo la coscienza a posto per la zecca.
Lo stereo portatile di Topher suonava a tutto volume un pezzo che non riconobbi, di un
gruppo di cui non conoscevo il nome e che non avrei ricordato se anche me l'avessero detto.
Avrei preferito gabbiani e rumore di onde, ma la selezione del giorno era comunque migliore
dell'heavy metal che i ragazzi ascoltavano di solito.
Mentre aspettavo Winborne, contemplai i lavori. Avevamo già scavato e poi riempito due
buche. Nella prima c'era solo terra. La seconda aveva prodotto ossa umane, dimostrando
già che i sospetti di Jaffer erano fondati.
Restavano aperti altri tre scavi, dove gli studenti lavoravano di paletta, sollevavano secchi
e setacciavano la terra con vagli poggiati su cavalletti.
Topher stava fotografando la fossa più a est. Il resto della sua squadra sedeva a gambe
incrociate, fissando l'oggetto del suo interesse.
Winborne mi raggiunse in cima, sbuffando e ansimando.
Si tamponò la fronte, cercando di riprendere fiato.
“Giornata calda” dissi.
Annuì, il volto del colore di un sorbetto alla fragola.
“Tutto okay?”
“Magnificamente.”
Feci per raggiungere Topher quando la voce di Winborne mi bloccò.
“Abbiamo compagnia.”
Voltandomi, vidi un uomo in polo rosa e pantaloni cachi che procedeva a passo spedito
sopra le dune, anziché girarci intorno. Era piccolo, quasi della statura di un bambino, con
capelli grigi rasati corti. Lo riconobbi subito. Richard L. “Dickie” Dupree, imprenditore,
immobiliarista e marcio fin nel midollo.
Lo accompagnava un bassotto con la lingua e la pancia che toccavano praticamente terra.
Prima il giornalista, ora Dupree. Decisamente, questa giornata si avviava a grandi passi
verso il bidone della spazzatura.
P AG. 7
Ignorando Winborne, Dupree si avventò su di me con la determinazione da depositario
della verità di un mullah talebano. Il bassotto restò indietro ad annaffiare un cespuglio di
avene marine.
Tutti sappiamo cos'è lo spazio personale, quel niente di cui abbiamo bisogno tra noi stessi
e gli altri. Per me il limite è a quarantacinque centimetri. Superatelo e divento nervosa.
A volte un estraneo può avvicinarsi troppo semplicemente perchè ci sente o ci vede male.
Oppure perché proviene da una cultura con usanze diverse. Dickie no.
Lui era convinto che la vicinanza gli desse maggiore autorità. Fermandosi a trenta
centimetri dalla mia faccia, incrociò le braccia e mi guardò negli occhi, socchiudendo i suoi.
“Voialtri finite domani, giusto?” Più un'affermazione che una domanda.
“Sì.” Arretrai di qualche passo.
“E poi?” Dupree aveva una faccia da uccello, ossa appuntite sotto una pelle rosea,
trasparente.
“Presenterò un rapporto preliminare all'ufficio dell'archeologo di Stato la prossima
settimana.”
Il bassotto venne verso di noi e cominciò ad annusarmi la gamba. Sembrava avere almeno
ottant'anni.
“Colonel, non dar fastidio a questa signorinetta.” A me.
“Colonel è molto vecchio. Dimentica le buone maniere.”
La signorinetta fece un grattino a Colonel dietro l'orecchio rognoso.
“E’ una vergogna deludere la gente solo per un mucchio di vecchi indiani.” Dupree mi
rivolse quello che, senza dubbio, considerava il suo sorriso da gentiluomo del Sud.
Probabilmente faceva pratica davanti allo specchio mentre si spuntava i peletti del naso.
“Molti considerano prezioso il patrimonio culturale di questo Paese” dissi.
“Ma non possiamo permettere che queste cose arrestino il progresso, vero?”
Non risposi.
“Lei capisce la mia posizione, signora?”
“Sì, signore.”
Detestavo ciò che faceva quell'uomo. Il suo unico fine erano i soldi, guadagnati con
qualsiasi mezzo gli permettesse di non venire incriminato. Distruggere la foresta pluviale, le
paludi, il litorale, le dune, la cultura che era qui quando arrivarono gli inglesi. Dickie Dupree
P AG. 8
avrebbe raso al suolo il Tempio di Artemide, se fosse sorto nel punto in cui voleva tirar su dei
condomini.
Dietro di noi, Winborne era ammutolito. Sapevo che stava ascoltando.
“E in questo bel rapporto che cosa potrebbe esserci scritto?” Altro sorriso da sceriffo di
Mayberry.
“Che il suolo sottostante all'area è occupato da un terreno di sepoltura di epoca
precolombiana.”
Il sorriso vacillò, ma tenne. Forse fiutando la tensione, o forse semplicemente annoiato,
Colonel mi abbandonò per Winborne. Mi fregai la mano sugli shorts, che avevo ricavato
sforbiciando un paio di calzoni lunghi.
“Lo sa anche lei come sono quelli di Columbia. Un rapporto del genere mi farebbe
chiudere per un pezzo.
E quel ritardo mi costerebbe caro.”
“Un sito archeologico è una risorsa culturale non rinnovabile. Una volta distrutto, è perduto
per sempre. Non posso in coscienza consentire che le sue necessità influenzino i miei risultati,
signor Dupree.”
Il sorriso si dissolse e Dupree mi fissò con freddezza.
“Staremo a vedere.” La parlata strascicata del Lowcountry non contribuiva molto ad
attenuare la velata minaccia.
“Sì, signore. Staremo a vedere.”
Togliendosi di tasca un pacchetto di Kools, Dupree ne accese una facendo schermo con la
mano. Scosse il fiammifero, tirò una profonda boccata, annuì e si riavviò verso le dune, con
Colonel che gli zampettava dondolando alle calcagna.
“Signor Dupree” gli gridai dietro.
Si fermò, ma senza voltarsi.
“Camminare sulle dune è un comportamento irresponsabile dal punto di vista ambientale.”
Con un rapido cenno di saluto, continuò per la sua strada.
Avvertii un moto di rabbia e di disgusto.
“Dickie non è il suo candidato ideale come Uomo dell'anno! “
Mi girai. Winborne stava scartando una Juicy Fruit. Lo guardai mettersi in bocca la
gomma, sfidandolo con gli occhi a buttare per terra la carta, come Dupree aveva gettato il
fiammifero. Messaggio ricevuto.
P AG. 9
Senza una parola, ruotai di centottanta gradi e mi diressi alla tre-est. Sentivo Winborne
che si arrampicava dietro di me.
Al mio arrivo, gli studenti ammutolirono di colpo.
Quattro paia di occhi mi seguirono mentre saltavo nella buca. Topher mi passò un
asciugamano. Mi accovacciai e subito mi avvolse l'odore della terra rivoltata da poco. E di
qualcos'altro. Dolce. Fetido. Lieve, ma innegabile. Un odore che non avrebbe dovuto esserci.
Mi si chiuse lo stomaco.
Buttandomi a quattro zampe, esaminai l'”intruso insolito“ di Topher, un segmento di
colonna vertebrale che si curvava verso l'esterno dalla metà della parete occidentale.
Sopra di me, gli studenti elargivano spiegazioni.
“Stavamo ripulendo i lati, sa, per fare delle foto della stratigrafia.”
“Abbiamo notato che il terreno era macchiato.”
Topher aggiunse qualche breve dettaglio. Io non ascoltavo. Ero troppo occupata a
raschiare con la paletta, ricavando una vista di profilo della sepoltura, situata a ovest della
buca. Più terra grattavo via, più, con crescente apprensione, salivo verso nord. Trenta minuti di
raschiamento rivelarono una colonna vertebrale e il contorno superiore di un bacino. Mi misi
seduta e un fremito di paura mi percorse il cuoio capelluto. Le ossa erano collegate da muscoli
e legamenti. Mentre guardavo, entrò ronzando la prima mosca, il sole iridescente sul suo
corpo verde smeraldo.
Buon Dio.
Alzandomi, mi spazzolai via la terra dalle ginocchia. Dovevo arrivare a un telefono.
Altro che gli antichi sewee. Ora Dickie Dupree aveva molto più di cui preoccuparsi.
© by Kathy Reichs
© 2006, RCS Libri S.p.A.
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
su licenza RCS Libri S.p.A.
www.mondolibri.it
P AG. 1 0