La potenza immaginifica di Gioacchino da Fiore

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La potenza immaginifica di Gioacchino da Fiore
La potenza immaginifica di Gioacchino da Fiore, l’Abate eretico che
ispirò Dante…
di Luigi Pandolfi
Presiede il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti il prof Giuseppe Riccardo Succurro. In quest’intervista
spiega l’influenza dell’abate sull’Occidente.
Chi era? Qual è la sua modernità? In cosa consiste il lascito di una delle personalità più interessanti della storia
delle idee?
Un aspetto fondamentale del pensiero di Gioacchino da Fiore è costituito dal suo genio immaginifico per
la creazione di simboli. Gioacchino è un pensatore pittorico, è il poeta delle immagini. Lei è presidente del
Centro di Studi Gioachimiti di San Giovanni in Fiore. Può parlarci brevemente della missione di questa
istituzione?
Il Centro Studi è sorto per promuovere la conoscenza dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore. In trent’anni di
attività – spiega il proessor Giuseppe Riccardo Succurro – il Centro ha celebrato sette congressi internazionali di
studi gioachimiti, ha organizzato oltre 500 seminari in Italia e all’estero e ha pubblicato 60 volumi. Il Centro
Studi ha proceduto alla ricognizione della tradizione manoscritta delle opere di Gioacchino da Fiore sparsa nelle
più importanti biblioteche europee e ne ha microfilmato i codici, ha avviato l’edizione critica degli “Opera
Omnia” dell’abate calabrese e la stampa della loro traduzione in italiano. Il Centro svolge una intensa attività
scientifica ed editoriale, convegnistica e seminariale, spesso in collaborazione con prestigiose università e
istituzioni culturali italiane straniere; promuove attività di formazione e di aggiornamento rivolte anche a docenti
ed alunni delle scuole di ogni ordine e grado. È dotato di un patrimonio librario di grande rarità e svolge un
ruolo di riscoperta e di valorizzazione, ai fini anche turistici, dei beni monumentali e dei luoghi calabresi legati
alla presenza ed all’attività di Gioacchino da Fiore. Il Ministero per i Beni Culturali lo ha annoverato tra gli
Istituti di rilevante interesse nazionale, unico Istituto culturale della Calabria ad aver ottenuto questo
riconoscimento.
Chi era Gioacchino da Fiore ?
Gioacchino da Fiore – fondatore dell’Ordine Florense- è un teologo della storia, un esegeta biblico ed un
riformatore monastico. Nella storia del pensiero cristiano, Gioacchino
emerge all’interno del gruppo di teologi della storia, i quali hanno cercato
di fornire una ricostruzione complessiva dell’intero processo storico
fondandosi sul messaggio biblico. La teologia della storia, fondata da
Gioacchino sull’apocalittica, si caratterizza per tre aspetti.
Vuole spiegarli ai lettori di “Calabria on web”?
Il primo aspetto – ricostruito da Bernard McGinn in L’abate di Fiore nella
storia del pensiero occidentale - è rappresentato dal carattere trinitario
della storia. La intuizione fondamentale, da cui Gioacchino prese le
mosse, consisteva nell’idea che il corso della storia si forma a immagine
del suo creatore e, dal momento che il creatore è un dio in tre persone, il
significato della storia è integralmente trinitario “Il primo stato è attribuito
al Padre, il secondo al Figlio, il terzo allo Spirito Santo … Il primo status
fu quello di legame servile; il secondo di legame filiale; il terzo di libertà…
Il primo fu quello della punizione, il secondo dell’azione, il terzo della
contemplazione. …Il primo dei tre stati – spiega Gioacchino nella
Riccardo Succurro : “ Intervista su Gioacchino da Fiore” ‐ pag. ‐ 1 Expositio in Apocalypsim- si svolse al tempo della legge, quando il popolo del Signore viveva in condizione di
schiavitù sotto gli elementi di questo mondo, non essendo in grado di conoscere la libertà dello Spirito. Il
secondo stato è quello incominciato sotto l’Evangelo e perdura tuttora, in libertà certamente rispetto al passato,
ma non in libertà rispetto al futuro. Il terzo stato avrà inizio verso la fine del mondo, ormai non sotto il velo
della lettera, bensì in piena libertà dello Spirito…”
Per Gioacchino la struttura della storia era comunque nello stesso tempo ternaria e binaria. Nella Concordia egli
scrive: ”Il primo schema è indicato dall’Alpha, che è una figura triangolare. Il secondo è indicato dall’Omega,
nella cui figura un’asta procede alla loro connessione. Entrambi gli schemi sono notevolmente rilevanti per la
fede cattolica”. La figura dell’Alpha designa lo schema dei tre status, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo;
l’Omega dimostra che ci sono soltanto due Testamenti, il Vecchio e il Nuovo.
Ha spiegato il primo, il secondo aspetto?
Il secondo è un aspetto chiave per la comprensione del
pensiero dell’abate di Fiore; è costituito da una nuova
forma di esegesi, un modo originale di interpretare la
Bibbia. La teoria dell’interpretazione biblica elaborata da
Gioacchino metteva insieme la concordia – cioè il
parallelismo- tra personaggi, avvenimenti ed epoche del
Vecchio e del Nuovo Testamento, e dall’altro una lettura
che sottolineava il continuo progredire nella comprensione
della divina verità attraverso il corso del tempo. L’età del
Padre, cioè il tempo del Vecchio Testamento, aveva
preparato la strada all’età del Figlio, alla rivelazione del
Nuovo Testamento e al tempo dell’attuale Chiesa.
Questi due aspetti connessi fra loro nel programma di Gioacchino da Fiore, la sua teologia trinitaria della storia e
la sua nuova forma di interpretazione spirituale, non erano soltanto fortemente originali, erano anche difficili da
esporre. L’abate di Fiore, oltre a presentarli nei suoi lunghi commentari biblici, crea immagini e fa ricorso al
potere dei simboli per spingere l’immaginazione della mente in direzioni non accessibili a mere descrizioni
concettuali.
Andiamo al terzo aspetto del pensiero di Gioacchino?
E’ appunto quello costituito dal suo genio immaginifico per la creazione di simboli. Gioacchino è un pensatore
pittorico, è il poeta delle immagini della terza età. “Ciò che non riusciamo a dire come si conviene con le
parole, possiamo almeno introdurlo tramite le figure esposte”, scrive l’abate di Fiore nella Concordia. Nelle
figurae sono fissate, in grandi quadri simbolici, le strutture portanti e l’immaginazione caleidoscopica del
pensiero del fondatore dell’ordine florense. Per Marjorie Reeves, la grande studiosa inglese che ha dedicato la
sua vita alle ricerche su Gioacchino, il Liber Figurarum non è una collezione casuale di figure selezionate fra
quelle inserite nei diversi scritti gioachimiti, ma un supplemento deliberatamente compilato. Il Libro delle figure
è infatti una raccolta di immagini non destinate a decorare le pagine come se fossero miniature; nemmeno a
meglio spiegare i concetti scritti, come le tavole dei testi scientifici. Sono disegni che presentano un pensiero
senza bisogno della parola scritta, tranne il caso di qualche breve didascalia; un pensiero teologico detto per
immagini, grazie a una visione di un mondo in cui tutto è collegato e concatenato, senza soluzioni di continuità.
L’universo di Gioacchino è una macchina perfetta, contenuta nella Rivelazione così come nelle sue parti. Le ere
del mondo corrispondono a quelle della vita umana, alle sezioni dell’anno liturgico, alle persone della Trinità,
alla parola e al segno della mano dell’uomo. Pertanto, è opportuno disegnare una figura delle cose dette, da porre
davanti agli occhi della carne, affinché «gli occhi della mente, al di fuori del fango apposto, si aprano alla
conoscenza”.
Riccardo Succurro : “ Intervista su Gioacchino da Fiore” ‐ pag. ‐ 2 A proposito dell’abate Gioacchino si parla generalmente di “eresia” e di “utopia”. Possiamo spiegare a
cosa ci si riferisce?
Dopo la morte di Gioacchino da Fiore, il IV Concilio Lateranense ne condannò nel 1215 il De unitate seu
essentia Trinitatis, per le sue espressioni polemiche nei confronti del magister e vescovo parigino Pietro
Lombardo e della sua teologia trinitaria. La condanna non riguardò altri scritti di Gioacchino. L’ombra
dell’eresia fu diffusa e strumentalizzata da ambienti ostili al messaggio di Gioacchino che si stava “abbattendo
come un ciclone -scrive Raffaello Morghen- sul XIII secolo”. Papa Onorio III, nella Bolla del 17 dicembre 1220
contro i nemici di Gioacchino e del suo ordine, esortò l’Arcivescovo di Cosenza ed il Vescovo di Bisignano a
difendere pubblicamente la memoria dell’abate: “Riteniamo Gioacchino un autentico cattolico e giudichiamo
salvifico l’Ordine che ha istituito. Vi esortiamo a castigare coloro che insultano a causa della condanna
conciliare l’Ordine Florense, in spregio a tutti gli appelli contrari, con un odio la cui forza è pari solo alla verità
che si conosce … Approfittando del fatto che è stato condannato un libello … insinuano che sia stato considerato
eretico … Nel Monastero di Fiore, di cui Gioacchino è stato il fondatore, la formazione è regolare, la disciplina
salutare, tanto che lo stesso Gioacchino ha deciso di inviarci tutti i suoi scritti per sottometterli al giudizio della
Sede Apostolica in vista dell’approvazione o della correzione accompagnandoli con una lettera, da lui dettata e
sottoscritta di suo pugno, nella quale confessa senza tentennamenti di professare la fede della Chiesa di Roma,
madre e maestra di tutti i fedeli”.
Eretico, veggente, profeta?
Per cogliere il significato trinitario della storia, che si trova nella Bibbia, non bisogna possedere il dono della
veggenza bensì quella che Gioacchino chiama la intelligentia spiritualis, cioè un’intelligenza o una
comprensione spirituale. L’idea di un costante progresso spirituale nella storia della
salvezza e dunque dell’attesa di una nuova rivelazione e dispensazione dello Spirito è
una delle conquiste intellettuali fondamentali dell’abate. La teologia della storia
dell’abate calabrese -scrive il teologo ginevrino H. Mottu in La manifestazione dello
spirito secondo Gioacchino da Fiore- non è una fantasticheria sulla fine del mondo,
ma un sistema mirabilmente organizzato che dà senso, prima di Hegel, all’era dello Spirito. “L’utopia è figlia di
Platone ed è -scrive J. Ratzinger in Escatologia e Utopia- una creazione
dell’Umanesimo rinascimentale. L’ utopia è una questione di ragione che
mette l’immaginazione al suo servizio e cerca un’organizzazione di cittàmodello. La teologia della storia invece nasce dall’escatologia cristiana.
L’escatologia è nel suo principio una questione di fede e attende o
proclama l’avvento di un’età di Dio”. L’abate vedeva negli ultimi anni del
XII secolo l’alba della terza età, l’era della ecclesia contemplantium (la
Chiesa dei contemplativi), durante la quale la consapevolezza mistica di
Dio insita nella intelligentia spiritualis sarebbe stata alla fine riversata
pienamente tanto sui Gentili quanto sugli Ebrei convertiti. Nel De septem
sigillis così l’abate di Fiore descrive quest’era: “Quando sarà cessata la
più grande delle tribolazioni, verrà il tempo della consolazione della
Gerusalemme celeste, e si effonderà in essa una gioia senza fine … Verrà
sicuramente concesso il sabato gaudioso al popolo di Dio, e segneranno
quei giorni giustizia e abbondanza di pace” ; e nella Concordia Novi ac
Veteris Testamenti: “Trascorso questo tempo travagliato, con maggiore
abbondanza si effonderà dall’alto lo Spirito di Dio sopra gli eletti …
Quando saranno completate le generazioni, apparirà manifestamente la
Verità … Sarà cancellata l’iniquità nel popolo di Dio, e sarà instaurata
una giustizia eterna …. Su tutta la terra regnerà la Verità e la pace”.
Gioacchino da Fiore è dunque il
“cantore della speranza”, non il predicatore di un’utopia.
Riccardo Succurro : “ Intervista su Gioacchino da Fiore” ‐ pag. ‐ 3 Dante e Gioacchino. Di cosa parliamo?
La vivida bellezza coloristica dello splendido albo del Liber Figurarum ed il simbolismo dello Psalterium
decem chordarum di Gioacchino da Fiore hanno ispirato Dante. Il sommo poeta, da giovane, frequentò a
Firenze la scuola del Convento francescano di Santa Croce dove, in quegli anni, insegnava teologia Pietro di
Giovanni Olivi. Con la sua Lectura super Apocalypsim, Pietro di Giovanni Olivi rilanciò e attualizzò il
messaggio della speranza della terza età del nostro abate. Presso i frati di Santa Croce, Dante conobbe anche
Ubertino da Casale, un teologo francescano autore di un’opera, Arbor vitae crucifixae Jesu Christi, nella quale
la lettura apocalittica della storia della Chiesa era ispirata al pensiero di Gioacchino. Ubertino da Casale, uno dei
personaggi principali del romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco, dava voce all’attesa gioachimita di un’era
di pace in cui la Chiesa sarebbe stata guidata dal “Papa angelico”. Questo spirito gioachimita, largamente
diffuso fra i francescani, pervade la Divina Commedia. L’antifona Beatus Ioachim, spiritu dotatus prophetico,
recitata nel Duecento dai monaci florensi sulla tomba dell’abate, fu riportata testualmente da Dante nell’
immortale terzina del dodicesimo canto del Paradiso e lucemi da lato/ il calavrese abate Giovacchino,/ di spirito
profetico dotato. Gli studiosi hanno sottolineato che non a caso Dante fa elogiare Gioacchino da Bonaventura,
cioè da uno che aveva disapprovato il gioachimismo. Attraverso questo gesto di “riparazione”, Dante
sottolinea l’errore delle gerarchie ecclesiastiche che avevano condannato alcuni aspetti delle dottrine dell’abate
di Fiore. E non è nemmeno un caso se Dante riserva un posto in Paradiso a Gioacchino ed un posto all’Inferno a
Bonifacio VIII, il papa in lotta con gli Spirituali. Nel XXXIII Canto del Paradiso Dante contempla le tre
Persone divine e, con una grandiosa raffigurazione, illustra il mistero della Trinità: Nella profonda e chiara
sussistenza/ dell’alto Lume parvermi tre giri/ di tre colori e d’una contenenza;/e l’un da l’altro, come iri da iri,/
parea reflesso, e il terzo parea foco, / che quinci e quindi ugualmente si spiri. “La fede vede questi tre giri, di
tre colori e d’una contenenza, ma la geometria non potrà vederli mai!”, esclamano gli studiosi danteschi
dell’Ottocento e del primo Novecento, commentando l’alto simbolo poetico del mistero trinitario. Invece, dopo il
ritrovamento dei codici a Oxford, Reggio Emilia e Dresda, appare evidente che Dante abbia visto l’immagine
dei tre cerchi tricolori, disegnata da Gioacchino nell’undicesima tavola del Liber figurarum e descritta
dall’abate di Fiore nell’ Expositio in Apocalypsim (tres in ea colores esse perpendimus: unum viridem, alium
caerulum, tertium rubicundum). Questa figura sintetizza i motivi fondamentali della dottrina di Gioacchino. La
storia umana è suddivisa in tre Età, rappresentate dai tre cerchi aventi, secondo la distinzione medievale, i colori
fondamentali dell’ iride. Il primo stato è l’età del Padre; il secondo stato è l’età del Figlio; il terzo stato è l’età
dello Spirito Santo. Il cerchio verde, il colore della natura, simboleggia il Padre, creatore della terra; il cerchio
azzurro, il colore del cielo, indica il Figlio, qui de coelo descendit; ed il terzo cerchio, il simbolo dello Spirito
Santo che si manifestò sotto forma di fiamma nella Pentecoste, è rosso, come descritto da Dante: e il terzo parea
foco. Oltre a quella dei tre cerchi trinitari, altre affascinanti immagini ideate dalla fantasia mistica di Gioacchino
sono trasfigurate dalla fantasia lirica di Dante: la figura della candida rosa dell’Empireo nel XXXI Canto del
Paradiso è ispirata dalla tavola XIII del Liber figurarum, il Salterio dalle dieci corde. La profezia del Veltro del
I Canto dell’Inferno si ricollega alla concezione dell’abate silano e al suo messaggio di rinnovamento della
società cristiana; l’enigmatico verso pronunciato da Adamo nel XXVI Canto del Paradiso “I s’appellava in
terra il sommo bene” deriva dalla simbologia gioachimita, la lettera “I” del Tetragramma sacro che designa il
Padre, la sola Persona divina rivelata al primo uomo; la suggestiva visione dantesca dell’ aquila ingigliata del
cielo di Giove nei canti XVIII-XX del Paradiso è ideata dalle splendide miniature delle tavole V e VI del Liber
Figurarum, delle quali Dante riporta anche i dettagli (il rubino delle ali, un occhio solo, una pupilla e un
ciglio, proprio come nelle figure gioachimite) e dalla immagine raffigurata in un’altra opera dell’abate di Fiore,
lo Psalterium decem chordarum, dove l’aquila ha un valore allegorico compatibile con i versi danteschi; la
grande visione dei canti XXIX-XXX del Purgatorio ove Beatrice è immagine e simbolo dell’ Ecclesia
spiritualis, che Gioacchino aveva lasciata come una eredità sacra alla spiritualità del secolo XIII.
Riccardo Succurro : “ Intervista su Gioacchino da Fiore” ‐ pag. ‐ 4 Altre derivazioni dal pensiero di Gioacchino?
Molti autori hanno rilevato come tutto l’ordinamento del Paradiso rifletta il simbolismo musicale dello
Psalterium decem chordarum, una delle principali opere gioachimite. La Commedia in sé –ha scritto Enrico
Malato- è un libro profetico, non già semplicemente un libro che colleziona profezie; lo è nel disegno generale,
come libro allegorico-didascalico che narra l’esperienza salvifica di un uomo; lo è in particolare per gli
ammonimenti che spesso rivolge al lettore; lo è per le frequenti anticipazioni di giudizi che sono nella mente di
Dio. Dante “profeta” è, dunque, profondamente influenzato dall’insegnamento di Gioacchino da Fiore . La
figura di Dante è però fondamentale nella storia della fortuna di Gioacchino da Fiore nell’Ottocento e nel
Novecento. Infatti, un’analisi della presenza del mito di Gioacchino e del gioachimismo nella cultura civile ed
etico-politica italiana, dal Risorgimento alla prima metà del Novecento, trova i suoi luoghi di elezione nei due
fuochi culturali attorno ai quali hanno ruotato i diversi discorsi nazionalitari e rispetto ai quali si sono venute
costruendo e rinsaldando l’identità nazionale contemporanea italiana e la stessa volontà politica che ha sorretto il
moto risorgimentale: la coscienza storica e dunque la storiografia, da una parte, e la lingua letteraria e -in
particolare – il mito di Dante, dall’altra.
L’attenzione verso Gioacchino da Fiore nella storiografia ottocentesca italiana prende l’avvio dagli studi
danteschi di Ugo Foscolo e si sviluppa nel pensiero di Giuseppe Mazzini. Foscolo, dopo aver pubblicato il suo
Discorso sul testo della Divina Commedia , scrisse una lunga postilla su Gioacchino da Fiore. Questa postilla
testimonia l’ interesse di Foscolo per la figura e per le opere dell’Abate calabrese, in relazione all’interpretazione
profetica della Divina Commedia. Secondo Giuseppe Mazzini, Foscolo “cercò in Dante non solamente il padre
della lingua nostra, ma il profeta della nazione”. Ristampando il Discorso foscoliano, Mazzini pubblicò la lunga
postilla di Foscolo su Gioacchino da Fiore e da questo momento nacque anche in lui un interesse specifico e
diretto per l’abate di Fiore. Un interesse vivificato dal gioachimismo lessinghiano giunto nel Risorgimento
italiano. Lessing, in L’educazione del genere umano, ipotizzava la possibilità di una terza “rivelazioneeducazione” in cui non ci sarebbe stato più bisogno di pensare al premio eterno per compiere il dovere morale:
“Verrà certamente il tempo della perfezione in cui l’uomo farà il bene perché è il bene, non più in funzione di
arbitrarie ricompense . Verrà certamente il tempo di quel nuovo Vangelo eterno. … forse la teoria delle tre età
del mondo non era solo un’illusoria chimera”. Questo paradigma lessinghiano, evocando la visione gioachimita,
sostenne la visione pedagogica e politica di Mazzini.
Il profetismo dantesco di derivazione foscoliana e il gioachimismo lessinghiano si integrarono, nel pensiero
mazziniano, in una visione religioso-politica che aveva al suo centro la missione di Roma o, meglio, la profezia
di una Terza Roma. Questo tema sarebbe rimasto fino alla fine della predicazione mazziniana. Nel periodo
successivo al 1861 e all’Unità d’Italia, Mazzini coltivò un ulteriore interesse per Gioacchino da Fiore: nel
carteggio con Stern apparve la suggestione lessinghiana di Gioacchino come profeta di una terza Religione.
Nella celebrazione del centenario della nascita di Mazzini, Gaetano Salvemini sottolineò l’aspetto religioso del
pensiero mazziniano, ricapitolato nella cifra simbolica di Gioacchino da Fiore: “Queste sono le teorie religiose,
politiche e sociali di Giuseppe Mazzini : una specie d i Evangelo Eterno del calabrese abate Giovacchino di
spirito profetico dotato” .
Si può parlare di influenza di Gioacchino sulla storia del pensiero Occidentale?
Il messaggio di Gioacchino da Fiore ha conosciuto, sin dalla conclusione della sua turbinosa esistenza, una
grande fortuna e ha costituito un punto di riferimento dottrinale sia tra i movimenti pauperistici, millenaristici e
apocalittici del tardo medioevo sia tra gli evangelizzatori del Nuovo Mondo, specialmente tra gli aderenti alla
religio francescana. La figura di Gioacchino da Fiore era familiare a Cristoforo Colombo, che lo cita nel Libro
de las Profecias. La sua opera ha esercitato un fascinoso richiamo in ogni tempo, legata sempre alle attese
escatologiche e messianiche specialmente fra il Cinquecento e il Settecento in Inghilterra come in Germania, nel
Riccardo Succurro : “ Intervista su Gioacchino da Fiore” ‐ pag. ‐ 5 Cile come in Italia, in Spagna come in Francia ma anche, in tempi più vicini a noi, tanto in opere letterarie
quanto in contributi di carattere filosofico e politico: dal romanzo di Georges Sand al racconto di William Buttler
Yeats, all’Ulisse di James Yoice, dall’intelligente intrigo della riproposta letteraria effettuata da Umberto Eco ne
Il nome della Rosa al volume di Eric Voeglin che ritiene che Gioacchino fu all’origine del “complesso di
simboli che dominò l’auto-interpretazione dei movimenti politici moderni”. Alcuni autori, in recenti studi,
hanno svelato come il fascino del pensiero di Gioacchino da Fiore sia giunto fino a Michelangelo e sia stato
determinante nella strutturazione del programma degli affreschi della volta della Cappella Sistina. Michelangelo
conobbe le idee del fondatore dell’ordine florense attraverso la predicazione di Savonarola a Firenze e tramite gli
studi di alcuni teologi vissuti a Roma nel primo Cinquecento, Egidio da Viterbo e Pietro Galatino. Le opere
dell’abate calabrese furono stampate a Venezia, in quel periodo, in edizioni curate dall’agostiniano Silvestro
Meucci su esortazione proprio di Egidio da Viterbo ed ebbero una straordinaria diffusione.
Malcolm Bull
spiega, in The Iconography of the Sistine Chapel Ceiling , l’influsso che la Concordia Novi ac Veteris
Testamenti esercitò su Michelangelo Buonarroti. Lo studioso inglese, teorico dell’arte e della filosofia della
storia, coglie la familiarità tra gli affreschi di Michelangelo ed il patrimonio di idee di Gioacchino da Fiore.
“Nessuno come Michelangelo, in tutta l’arte cristiana figurativa, ha mai rappresentato in modo così ampio e
particolareggiato, stirpe per stirpe, gli antenati di Gesù. In nessun testo della letteratura cristiana la successione
genealogica degli antenati di Gesù gioca un ruolo così importante come nella Concordia di Gioacchino da Fiore.
È merito di Malcolm Bull – scrive Pfeiffer- aver fatto notare questo nesso”. Paola Guerrini, in Il ricordo del
futuro- Gioacchino da Fiore e il Gioachimismo attraverso la storia, dimostra che gli affreschi di Michelangelo
sono in relazione con le tavole III e IV, VII e VIII, XVIIIa e XVIIIb del Codice Reggiano del Liber Figurarum.
Gioacchino, in queste tavole, rappresenta le immagini sinottiche della Concordia Veteris Testamenti et Novi con
il succedersi delle generazioni dell’umanità, le Concordanze di personaggi del primo e del secondo stato, la
sinossi della Concordia di personaggi biblici e di persecuzioni storiche e I Tempi della storia. La giovane
studiosa italiana elenca doviziosamente i parallelismi e le numerose relazioni fra le figure gioachimite e quelle
della volta della Sistina. Heinrich W. Pfeiffer, in La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, raffronta i
dipinti di Michelangelo con i testi letterari di Gioacchino che ne hanno costituito la fonte originaria di
ispirazione. Le storie di Ester, di Giuditta, di Betsabea dipinte da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina
sono precise illustrazioni di passi della Concordia e seguono fin nei minimi dettagli le corrispettive pagine del
libro dell’abate calabrese. Gioacchino suddivide la storia in epoche e ripartisce gli antenati di Gesù in base alla
loro relazione con queste epoche. Così gli antenati di Gesù sono stati dipinti negli spicchi delle arcate della volta
e nelle arcate della volta ad essi relative. In alcuni Congressi internazionali di studi gioachimiti, il Centro studi
ha scandagliato l’eredità di Gioacchino da Fiore nei secoli, ne ha ricostruito la posterità spirituale ed analizzato
l’influenza sulla storia del pensiero occidentale. Le relazioni degli studiosi sono state pubblicate nei seguenti
volumi: Gioacchino da Fiore nella cultura contemporanea. Atti del 6°Congresso internazionale di studi
gioachimiti, San Giovanni in Fiore, 23-25 settembre 2004. A cura di Gian Luca Potestà, Viella, Roma 2005;
Storia e figure dell’Apocalisse fra ‘500 e ‘600. Atti del 4° Congresso internazionale di studi gioachimiti, San
Giovanni in Fiore, 14-17 settembre 1994. A cura di Roberto Rusconi. Viella, Roma 1996 Il profetismo
gioachimita tra ‘400 e ‘500. Atti del 3° Congresso Internazionale di Studi Gioachimiti, San Giovanni in
Fiore,17-21 settembre 1989. A cura di Gian Luca Potestà. Marietti, Genova 1991.
Riccardo Succurro : “ Intervista su Gioacchino da Fiore” ‐ pag. ‐ 6