Il Neanderthal che c`è in te

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Il Neanderthal che c`è in te
paleoantropologia
Il Neanderthal
che c’è in te
Il quadro delle relazioni tra la nostra specie e quella
neanderthaliana è ancora poco chiaro, ed è complicato
ulteriormente da nuove tecniche di datazione
C
di Anna Meldolesi
inquantamila, quarantamila, trentamila anni fa. È difficile trovare un periodo della storia umana più affascinante della transizione tra Paleolitico medio e superiore, con l’enigma ancora irrisolto delle relazioni
intercorse tra uomini anatomicamente moderni e nean-
derthaliani. Si sono incrociati? Si sono scambiati le rispettive conoscenze? E
se questi scambi genetici e culturali ci sono stati, si è trattato di episodi occasionali o sistematici?
Insomma, in che misura noi europei possiamo dirci neanderthaliani?
In breve
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era considerata la prova più forte della parità cognitiva tra
le due specie e mette in discussione l’ipotesi di estinzione
tardiva dei neanderthaliani in rifugi iberici.
Secondo molti scienziati la genetica chiarirà le relazioni
tra uomini anatomicamente moderni e Neanderthal. Per
ora però risultati delle analisi di DNA nucleare e
mitocondriale neanderthaliano e di popolazioni umane
attuali non forniscono un quadro univoco.
Cortesia Pedro Saura
Nuove tecnologie di datazione al carbonio di reperti
fossili stanno mettendo in discussione la cronologia della
transizione tra Paleolitico medio e superiore, un periodo
della storia umana in cui la nostra specie ha convissuto
con i Neanderthal, forse incrociandosi con loro.
Questa riscrittura della storia sposta sempre più indietro
nel tempo la presenza di Neanderthal e umani
anatomicamente moderni in Europa, coinvolge quella che
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Anna Meldolesi, science writer («Corriere della sera»,
«Nature Biotechnology»). Il suo ultimo libro è Mai nate.
Perché il mondo ha perso 100 milioni di donne,
(Mondadori, 2011).
Se pensate che il quadro sia molto più chiaro di un decennio fa
vi sbagliate. Anzi, forse è vero il contrario. I ricercatori si dividono sull’interpretazione dei dati genetici e sulla stratigrafia dei siti
chiave, mentre le nuove tecnologie per la datazione al carbonio
dei reperti fossili rimettono in discussione l’intera cronologia.
Ci sono migliaia di date sbagliate, relative al periodo in cui gli
uomini anatomicamente moderni sono arrivati in Europa e sono
scomparsi i Neanderthal, sostiene Tom Higham. La nuova stella
dell’archeologia è un neozelandese figlio d’arte, attualmente di
stanza a Oxford. Qui usa un acceleratore di particelle da 3 milioni di euro e un generoso finanziamento del Natural Environment
Research Council per stimare la quantità di carbonio radioattivo
presente nei campioni preistorici. Il suo asso nella manica è il trattamento preliminare a cui sottopone il materiale, per ripulire il collagene dalle contaminazioni che ne truccano l’età al ribasso.
Riscrivere la storia
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Cortesia Francesco d’Errico, Hélène Salomon e Marian Vanhaeren
Simbolismo passato. Manufatti simbolici castelperroniani trovati nella Grotte du Renne, in Francia. Ornamenti personali fatti di denti (1–6,
11), ossa (7–8, 10) e un fossile (9); faccette con colorante rosso (12–14) e nero (15–16) prodotte per abrasione; punteruoli in osso (17–23).
Cortesia Pedro Saura
In cerca d’autore. Pitture rupestri della grotta di El Castillo
(pagine precedenti): le più antiche sono del periodo in cui H. sapiens
arrivò in Europa, ma non si escludono autori neanderthaliani.
«Molti siti sono stati ridatati, in gran parte dal mio gruppo. Su
queste basi si stima che il 90 per cento delle date rappresenti una
sottostima della reale età dei reperti», ci dice Higham facendo l’esempio di El Sidron, nel nord della Spagna. Lì sembrava che le
ossa di 11 Neanderthal risalissero a periodi diversi, tra 10.000 e
40.000 anni fa. «Ma il quadro archeologico diceva chiaramente
che tutti questi Neanderthal dovevano essere morti insieme e che
le date erano errate». Quando Higham ha applicato la nuova tecnica ha trovato una data comune più antica, 49.000-50.000 anni.
«Questo rende l’idea dell’entità dei problemi», spiega.
Gli organismi viventi incorporano piccole quantità di un isotopo radioattivo del carbonio, il C-14, che nel corso della vita rappresenta una frazione costante del suo carbonio totale. Dopo la
morte, il C-14 decade e il rapporto cambia, funzionando come un
orologio. Sfortuna vuole che nei reperti molto antichi il carbonio
originale vada perso, mentre il collagene agisce come una spugna
assorbendone altro dall’ambiente esterno. «Un campione vecchio
30.000 anni conserva solo il 3 per cento del radiocarbonio rispetto
a un materiale moderno, perciò dobbiamo stare molto attenti a eliminare le contaminazioni». Higham tratta il collagene con sostanze chimiche che sciolgono la sua tripla elica, ripulendola, ma vede
ancora ampi margini di miglioramento. «Stiamo passando a una
nuova tecnica che consente di estrarre singoli amminoacidi dalle
ossa che datiamo, eliminando del tutto i contaminanti. In futuro
metodi come questi ci consentiranno di concentrarci davvero sulle
questioni cruciali di cronologia».
Quanto ai siti ridatati, dal Caucaso all’Italia passando per la
Croazia, è impossibile elencarli tutti: sono più di 70. Questa operazione di riscrittura del Paleolitico sposta indietro il quadro delle
presenze neanderthaliana e anatomicamente moderna in Europa.
Si può dire che la traslazione cronologica non modifichi lo schema nel complesso, ma qualche scossa sismica l’ha assestata.
Per ora basta citare i lavori che hanno fatto più discutere. Numero uno: il gruppo di Oxford ha contestato la stratigrafia di un
sito chiave, la Grotte du Renne, in Francia, respingendo l’associa-
zione tra Neandertaliani e industria castelperroniana, considerata la prova più forte della parità cognitiva tra loro e gli uomini
anatomicamente moderni. Numero due: ha messo in discussione
l’ipotesi di un’estinzione tardiva di Neanderthal nei rifugi iberici,
retrocedendo le date di due siti spagnoli di 10.000 anni. Su questi due punti torneremo, intanto passiamo al numero tre: prima di
Higham, il fossile umano più antico d’Europa era quello di Pestera
cu Oase, in Romania, ma il titolo ormai è passato di mano. Il britannico uomo di Kent è stato ridatato (in via indiretta) a 41.000
anni, ma non mancano le polemiche sulle modalità degli scavi.
I molari della Grotta del Cavallo di Baia di Uluzzo, nel Salento,
avrebbero 43.000-45.000 anni, ammesso che siano davvero appartenuti a un Homo sapiens come ha sostenuto Stefano Benazzi,
dell’Università di Vienna, su «Nature» nel 2011, in base a un confronto morfometrico. Prima si credeva che fossero neanderthaliani, e qualcuno continua a considerarne incerta l’attribuzione. «Da
quando è stata messa in dubbio l’associazione tra Neanderthal e
l’industria litica della Grotta del Cavallo, i riflettori sono accesi sul
Paleolitico italiano. Abbiamo in uscita un lavoro proprio sulla cronologia uluzziana», ci anticipa Higham.
Poi annuncia un’altra spedizione che non mancherà di attirare l’attenzione internazionale. Quest’estate sarà a Denisova, in
Siberia, nella grotta dove, in tempi apparentemente vicini, sembrano essere passati tre distinti tipi umani: uomini anatomicamente
moderni, Neanderthal e denisoviani. Un vero crocevia del Paleolitico. Per i più fantasiosi, l’equivalente preistorico del bar di Guerre
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stellari. A maggio lo zar della paleogenomica, Svante Pääbo, ha
annunciato di aver trovato nel genoma di Denisova prove di un
consistente contributo neanderthaliano e tracce di un altro misterioso tipo umano. «Più che un albero evolutivo, questa è una rete»,
è stato il commento rilasciato a «Science» dal paleogenetista spagnolo Carles Lalueza-Fox.
Quale ruolo per i Neandertaliani?
Proviamo a fare un po’ d’ordine. Negli ultimi vent’anni del Novecento si sono fronteggiate due scuole: il multiregionalismo e
l’origine africana recente. Secondo la prima gli uomini si sarebbero evoluti principalmente da popolazioni arcaiche locali. Per la
seconda discendiamo da una specie che 150.000 o più anni fa è
uscita dall’Africa colonizzando l’Eurasia e portando all’estinzione
gli aborigeni che trovava sul suo cammino, tra cui i Neanderthal.
A perdere la partita sono stati i multiregionalisti, ma con il
passare del tempo il modello vincitore ha dovuto ammorbidirsi,
facendo spazio per un modesto contributo neanderthaliano alla
nostra specie. Il modello dell’assimilazione si spinge un passo più
in là. Neanderthal e uomini anatomicamente moderni sarebbero
due popolazioni appartenenti a un’unica specie: se i primi sembrano scomparsi è perché si sono integrati nell’ampio pool genico
degli uomini di origine africana. La pensa così João Zilhão, che
all’uomo di Neanderthal assegna un ruolo da coprotagonista, piuttosto che da comparsa, nel film delle nostre origini. Secondo lui, il
Neanderthal non aveva nulla da invidiare agli umani moderni in
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quanto a capacità cognitive, e le due popolazioni si sono meticciate tra loro. Il paleoantropologo dell’Università di Barcellona ci ha
mostrato in anteprima un saggio che sarà pubblicato negli atti della I Conferenza internazionale sulla sostituzione di Neanderthal da
parte degli uomini moderni tenutasi a Tokyo nel novembre 2012.
Qui Zilhão contesta l’interpretazione corrente dei siti di Kent
e Grotta del Cavallo, bollandoli come tassonomicamente ambigui. Inoltre ribalta l’analisi del ricercatore di Oxford sulla Grotte
du Renne. «La disciplina risente ancora inconsciamente di vecchie idee vittoriane che equiparano l’evoluzione al progresso e
condannano gli uomini arcaici alla primitività. Altrimenti non
mi spiego i continui tentativi di negare le prove, chiare anche se numericamente limitate, del comportamento moderno di
Neanderthal che si sono accumulate negli ultimi 15 anni».
Propendere per un’estinzione precoce dei neanderthaliani può
essere funzionale a sostenere che non devono essere attribuiti loro
i primi esempi di cultura materiale simbolica trovati in Europa.
Anticipare l’arrivo degli uomini anatomicamente moderni, d’altro
canto, serve a disporli sulla scena in tempo perché possano essere
stati loro i veri artefici. Mettere in dubbio la stratigrafia dei siti in
cui si trovano ossa neanderthaliane e manufatti sofisticati è un
altro modo per relegare Neanderthal un gradino sotto a Homo sapiens. Ecco perché le nuove datazioni sono alcune delle armi con
cui si combatte la contesa del Paleolitico medio e superiore.
indietro, almeno sulla Grotte du Renne: «Le critiche sono benvenute, è così che procede la scienza. Parte di quelle che ci sono state rivolte erano sbagliate, ma altre erano fondate, e le nuove date
suggeriscono che il sito non sia così disturbato come sembrava
dai nostri risultati. Il problema è che è stato scavato quasi completamente negli anni cinquanta e sessanta, quindi testare gli scenari
alternativi è difficile». Grotte du Renne resta comunque centrale
per il dibattito sulla possibilità che Neanderthal abbia avuto un
comportamento simbolico complesso.
Un altro sito su cui si concentra sempre più l’attenzione è El
Castillo. La grotta spagnola è celebre per le sue pitture rupestri.
Alcune di queste immagini, dischi rossi e impronte di mani, sono
state datate su «Science» un anno fa. Le più antiche risultano coperte di calcite vecchia almeno 41.000 anni: un’epoca che coincide con l’arrivo degli uomini anatomicamente moderni in Europa
occidentale, ma lascia aperta la suggestiva possibilità che siano
opera di artisti neanderthaliani.
La partita si gioca sul filo di lana. Se si chiede a Higham, i
Conchiglie di Spagna. Sopra, valva superiore di Spondylus gaederopus da Cueva de los Aviones e ingrandimento del pigmento; sotto, vista
interna (a sinistra) ed esterna di metà di valva superiore di Pecten maximus, colorata all’esterno, datata circa 37.000 anni fa, da Cueva Antón.
La sfida delle grotte
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Cortesia João Zilhão (accanto); cortesia João Zilhão, Francesco d’Errico, Laure Dayet e Floréal Daniel (in alto)
Alla Grotte du Renne, ad Arcy-sur-Cure, nel centro-nord della Francia, è avvenuto uno scontro frontale. Abbiamo chiesto a
Francesco d’Errico, archeologo dell’Università di Bordeaux, di illustrarlo. Le ossa neanderthaliane sono in compagnia di reperti castelperroniani, al di sopra di uno strato musteriano attribuibile ai
neanderthaliani del Paleolitico medio, e sotto uno strato aurignaziano attribuibile agli uomini moderni del Paleolitico superiore. Il
sito, quindi, è ancora la prova più solida del fatto che Neanderthal
sia stato capace di produrre oggetti per così dire moderni.
«Gli scettici hanno sostenuto che i neanderthaliani avessero ottenuto i manufatti castelperroniani da H. sapiens, con uno scambio. Ma l’esistenza di residui di lavorazione dimostra che sono stati prodotti in situ», comincia d’Errico. «Altri hanno sostenuto che
l’associazione tra ossa e oggetti fosse spuria, che gli strati dovevano essersi mescolati». È qui che entra in campo Higham, datando
strumenti e ossa, e facendo un’analisi statistica di tipo bayesiano.
«Se hai un ordine stratigrafico puoi imporre regole di probabilità
per cui se tutte le date sono in un livello, è probabile che anche
un’altra lo sia», spiega d’Errico, noto per le sue ricerche sull’alba
del pensiero simbolico. «Se trovi date spurie, la stratigrafia non
è affidabile». È la stessa conclusione a cui è arrivato Higham sui
«Proceedings of the National Academy of Sciences» nel 2010.
Zilhão e d’Errico hanno ribattuto su «PLoS One», sostenendo che
la contaminazione di alcuni campioni doveva aver prodotto date
sbagliate. «Ci sono molti più ornamenti, pigmenti e strumenti in
osso nello strato castelperroniano che nell’aurignaziano. Secondo
noi l’analisi spaziale non mostra alcun movimento stratigrafico».
Nuove datazioni, stimate da Jean-Jacques Hublin, hanno dato loro
manforte. Ma l’interpretazione di quest’ultimo, ora al Max-PlanckInstitut di Lipsia, si posiziona a metà strada: secondo Hublin sono
stati davvero i neanderthaliani a produrre quegli oggetti 45.00040.000 anni fa, ma anziché inventarli autonomamente li avrebbero
copiati dagli uomini anatomicamente moderni.
Per conto suo, Higham sembra disponibile a compiere un passo
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Neanderthal erano già scomparsi da gran parte dell’Europa 40.000
anni fa, mentre gli uomini anatomicamente moderni erano già
presenti 45.000-44.000 anni fa. Se si chiede a d’Errico, gli ultimi
Neanderthal sono di 32.000 anni fa, i primi Europei anatomicamente moderni di 42.000 anni fa. Facendo la domanda ad altri
studiosi, è probabile che si otterrebbero stime intermedie.
Ma che cosa accadrebbe se le pitture di El Castillo risultassero ancora più vecchie? Dove collochiamo l’asticella temporale
per poterle attribuire ai Neanderthal? Molti si accontenterebbero
di 45.000 anni, i più esigenti ne pretenderebbero 50.000. Sta di
fatto che Alistar Pike, dell’Università di Southampton è di nuovo
al lavoro su strati di calcite più profondi, insieme a Zilhão, e nel
giro di un anno prevede di avere una nuova datazione all’uranio
radioattivo. «Non sarei affatto sorpreso che Neanderthal fosse il
vero artefice. Perché gli stessi uomini che a Grotte du Renne costruivano punte in osso e avorio finemente lavorate, e usavano
pigmenti per molteplici scopi, non dovrebbero essere stati in grado
di tracciare un cerchio colorato su una parete?», rilancia d’Errico.
Per l’archeologo, il problema del dibattito in corso è che mescola evoluzione culturale e biologica, come se dovessero procedere necessariamente di pari passo. «Ci sono momenti in cui le
culture fioriscono, ma possono anche appassire e poi riprendersi,
senza che siano intercorsi cambiamenti biologici». Si tende anche
a dare per scontato che lo scambio culturale sia stato unidirezionale, ma anche Homo sapiens potrebbe aver imparato qualcosa
dai neanderthaliani.
Dibattito sul metodo
Il ciclone Higham ha entusiasmato la stampa scientifica, portando a volte anche a qualche sovrainterpretazione. La retrodazione della grotta di Mezmaiskaya, nel nord del Caucaso, pubblicata sui «Proceedings of the National Academy of Sciences» nel
2011, ha spinto «Nature» a titolare: Gli Europei non hanno mai
avuto dei vicini neandertaliani. Poi nel 2013 è stata la volta dei
due siti iberici, Jarama vicino a Madrid e Cueva del Boquete de
Zafarraya, nella Spagna meridionale, retrocessi a 45.000-50.000
anni fa. Il lavoro, pubblicato ancora una volta sui «Proceedings
of the National Academy of Sciences» insieme a Rachel Wood,
dell’Australian National University di Canberra, è intitolato: La
datazione al radiocarbonio mette in dubbio la cronologia tarda della transizione del Paleolitico da medio a superiore nel sud della
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Cortesia João Zilhão (accanto); da Possible Interbreeding in Late Italian Neanderthals? New Data from the
Mezzena Jaw (Monti Lessini, Verona, Italy) di Condemi S. e altri, im «PLoS ONE», Vol. 8, e59781, 2013 (sotto).
anche mentre gli uomini moderni facevano l’uluzziano». E qui c’è
una postilla di estrema rilevanza da annotare: nulla ci autorizza a
dare per scontato che l’intreccio tra le storie dei due tipi umani si
sia svolto con le stesse modalità in tutta Europa. Anzi.
«Sarebbe folle aspettarsi che la stessa modellizzazione valga per
centinaia di migliaia di chilometri quadrati», ragiona Longo. Un
altro dei rari fossili che esibiscono caratteristiche ibride è la scapola di Vindija, in Croazia, descritta da Giorgio Manzi sul «Journal
of Human Evolution» nel 2012. Manzi pensa però che siamo di
fronte a due specie distinte, preferisce parlare di ibridazione che
di meticciamento e ritiene che questi incroci siano avvenuti solo
in Medio Oriente, prima che gli uomini moderni giungessero in
Europa. «Per quanto ne sappiamo la speciazione di Homo sapiens
è avvenuta in Africa orientale circa 200.000 anni fa. Nell’arco di
100.000 anni c’è un’espansione di areale che raggiunge il Vicino
Oriente. Qui si verifica, per un certo periodo, la sovrapposizione
con i lembi meridionali dell’areale di Homo neanderthalensis», riTra Neanderthal e sapiens. Conchiglie perforate di 50.000 anni
fa da Cueva de los Aviones: (1) Acanthocardia tuberculata; (2–3)
Glycymeris insubrica. Sotto, viste della mandibola neanderthaliana di
Mezzena, la cui morfologia indicherebbe un incrocio con H. sapiens.
Penisola Iberica. I critici osservano però che Wood e Higham hanno tentato vanamente di datare altri siti spagnoli e che confutare
un modello sulla base di un paio di risultati positivi tra dozzine di
negativi è una bella pretesa. Zilhão, in particolare, rileva che la
parte più interessante del lavoro è proprio nelle difficoltà metodologiche, tanto che avrebbero fatto meglio a titolarlo: Il radiocarbonio è inutile per datare i tardi Neanderthal in Spagna.
Come risponde Higham? «Penso che il nostro lavoro in Spagna riveli la problematicità delle vecchie datazioni. Dimostra che
metodologie meno rigorose possono dare risultati del tutto sbagliati, a causa della cattiva conservazione del materiale e della
mancanza di collagene in buono stato da datare», premette lo studioso. Poi però rilancia proponendo un terzo possibile titolo: Le
vecchie date al radiocarbonio dei Neanderthal tardivi in Spagna
sono quasi certamente sottostime delle età reali. E aggiunge che
le nuove date mettono certamente in dubbio i precedenti modelli
secondo cui i Neanderthal avrebbero resistito più a lungo nei rifugi meridionali.
Vista dall’Italia
Un giro di consultazioni presso gli specialisti italiani restituisce
una varietà di opinioni. Laura Longo, dei Musei Civici Fiorentini,
è convinta della coesistenza tra uomini anatomicamente moderni e Neanderthal. Basta pensare ai Monti Lessini, in Veneto, dove
ci sono tre siti. «Mezzena, con l’unico reperto fossile umano, un
Neanderthal tardivo e geneticamente tipizzato. Riparo Tagliente, con le sue testimonianze del Paleolitico medio e superiore. E
poi Fumane. Grazie alla datazione di Higham, possiamo dire che
qui l’uomo anatomicamente moderno c’è da 40.000 anni. Il tutto
compreso nel raggio di 15 chilometri», dice Longo.
L’archeologa è convinta anche che il meticciamento sia avvenuto, e ne ravvisa l’impronta nel mento pronunciato del
Neanderthal di Mezzena, che potrebbe avere tra 40.000 e 33.000
anni e che ha descritto a marzo su «PLoS One». «Per quanto riguarda la cultura neanderthaliana, però, i nostri siti suggeriscono
che Neanderthal abbia continuato con la sua industria musteriana
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assume il paleoantropologo della «Sapienza» di Roma. «Poi, circa
60.000 anni fa, c’è una nuova spinta all’espansione verso l’Europa. Questo secondo processo di diffusione non sembra aver dato
origine a ibridi, altrimenti ne avremmo le prove almeno sul fronte
dei dati genetici», spiega Manzi.
Le carte della genetica
Secondo molti studiosi sarà il DNA a fornirci il bandolo della
matassa. Eppure il quadro disegnato dalle sequenze antiche e moderne non è così univoco come ci si potrebbe augurare, almeno per
ora. Pääbo ha trovato che popolazioni non africane attuali (francesi, Han e Papua) hanno un tasso di somiglianza con Neanderthal
superiore dell’1-4 per cento a quello degli africani.
«Fin qui non ci piove, poi cominciano le interpretazioni», esordisce Guido Barbujani dell’Università di Ferrara. «Pääbo ne ha
concluso che c’è stata un’ibridazione e deve essere avvenuta prima della separazione fra europei, asiatici e oceanici, dunque in
Palestina, diciamo 60.000-50.000 anni fa», spiega il genetista illustrando la versione per cui propende la maggior parte della comunità scientifica. «Ma Andrea Manica di Cambridge ha dimostrato
sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” che c’è
un’altra possibilità: Neanderthal e uomini moderni non africani
derivano probabilmente da antenati del Nord Africa, e quindi possono somigliarsi perché hanno avuto antenati comuni più recenti
rispetto a quelli condivisi da Neanderthal con gli africani».
Una delle incongruenze è l’assenza di DNA mitocondriale
neanderthaliano negli eurasiatici moderni. I mitocondri si ereditano per via materna: dobbiamo dedurne che la presunta ibridazione
sia avvenuta tra maschi di Neanderthal e femmine anatomicamente moderne e non viceversa? «Certo, sembra strano», concorda David Caramelli dell’Università di Firenze, che ha tipizzato geneticamente il Neanderthal di Mezzena noto per i capelli rossi e il mento
pronunciato. Era figlio di una coppia mista? «Non sappiamo se sia
la prima generazione o se l’incrocio sia avvenuto più in profondità
nella sua genealogia. Il meticciamento può essere successo molte
volte, oppure può trattarsi di casi isolati», ragiona Caramelli. Fatto
sta che i dati di paleogenetica neandertaliana sono pochi: i DNA
mitocondriali studiati per intero sono meno di dieci, i genomi nucleari tre. E non è l’unico problema: «Anche le popolazioni africane
studiate sono poche, chissà che proseguendo non si trovino anche
lì gli alleli neanderthaliani presenti nelle altre popolazioni contemporanee». Altre informazioni potrebbero arrivare dallo studio di
neanderthaliani vissuti prima del presunto incrocio: «Dovrebbero
mostrare differenze maggiori con gli uomini moderni rispetto ai
Neanderthal tardivi», ipotizza l’antropologo molecolare.
Il dibattito è ad alto tasso tecnico: i genetisti discutono di analisi statistiche della condivisione degli alleli e gli archeologi di significatività della quantità di collagene, ma dietro ci incalzano
questioni di ampio respiro. A cominciare dalla più importante di
tutte: la definizione di essere umano.
n
per approfondire
More Genomes from Denisova Cave Show Mixing of Early Human Groups.
Pennisi E., in «Science», Vol. 340, p. 799, 17 maggio 2013.
Neandertal-Modern Human Contact in Western Eurasia: Issues of Dating,
Taxonomy, and Cultural Associations. Zilhão J., in Proceedings of the Replacement
of Neandertals by Modern Humans Conference (RNMH 2012), in stampa.
Date with History. Callaway E., in «Nature», Vol. 485, pp. 27-29, 3 maggio 2012.
Sito web della School of Archaeology dell’Università di Oxford: http://www.arch.ox.
ac.uk.
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