Le Regie di quartiere

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Le Regie di quartiere
Le Regie di quartiere: un dispositivo di cittadinanza attiva
Giovanni Laino*
Introduzione
Le Regie di Quartiere (RdQ) sono nate in Francia nei primi anni Ottanta1. Una
rappresentazione articolata di sfondo del modello di sviluppo delle città francesi –
che non rientra nell’economia di questo testo – darebbe diverse indicazioni sul perché
un tale dispositivo sorge in questo paese. In Francia infatti vi è uno stato forte e
centralizzato, una nazione obiettivamente più disciplinata di quella italiana e una
consistente presenza di immigrati. Nel paese che è stato una potenza coloniale,
diverse generazioni di immigrati – insieme al ceto operaio francese - sono stati spesso
concentrati in ampi quartieri - “les grands ensembles”2 - localizzati nelle
conurbazioni, costruiti dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, come risposta tutta
quantitativa ad un forte fabbisogno abitativo, con costruzioni di bassa edilizia,
secondo modelli urbani macchinisti e segregazionisti. Anche il termine francese
regia, che potrebbe essere sveltamente inteso nel suo (ricco) significato
cinematografico, o amministrativo (la cabina di regia costituita in Italia come
strumento di razionalizzazione dell’orientamento di alcune politiche), va
contestualizzato: fa riferimento ad un dispositivo promosso da uno o più enti
pubblici, con mandato pubblico che può avere però una gestione autonoma, tesa
all’efficienza amministrativa oltre che all’efficacia.
Si tratta di un dispositivo debole, che spesso può essere interpretato criticamente
come un’organizzazione che consente la riproduzione di condizioni di vita
complessivamente subalterne, offrendo qualche chance ad alcune decine di soggetti
in difficoltà oltre che un servizio di prossimità ad abitanti di quartieri desolati.
L’interesse dell’esperienza è associato al fatto che si tratta di uno dei pochi modelli
con cui si è riusciti realmente a coinvolgere le persone che abitano i quartieri poveri,
realizzando intese partenariali che hanno prodotto – anche se alla piccola scala – esiti
concreti, duraturi. Una delle rare esperienze con cui sono stati realizzati progetti di
connessione fra interventi di welfare, manutenzione del patrimonio di alloggi pubblici
e cura dei beni comuni. Un esempio modesto ma significativamente diffuso in cui il
1 Per un quadro sulle politiche urbane francesi cfr. Donzelot J., Mével C.(2001) Bonaccorsi G.E.(1990), Ion (2000),
Fourcaut A. (2002).
2 In Francia il movimento Habitat Social è stato fondato nel 1889. I primi organismi che si sono occupati di costruzione
di alloggi popolari, sono stati creati nel 1919 ed hanno cominciato a costruire case fra le due guerre. Il parco alloggi
sociali, nei primi anni 2000 è di 3,5 milioni di case pari al 16% delle prime case del paese. E’ gestito da tre tipi di
organizzazioni: Le Società anonime HLM, gli Offices Municipaux et Opac (Office Pubblic d’Amènagemant et de
Construction) e le società cooperative. L’espressione “grand ensemble” appare per la prima volta nel titolo di un
articolo di un urbanista Maurice Rotival nella rivista l’Architecture d’aujourd’hui, del Giugno del 1935, intitolato
appunto “ Les grands ensembles”. Indica sia una forma degli isolati (le barre e le torri), sia la taglia degli insediamenti
da più di 500 fino 1000 alloggi, il finanziamento per la costruzione di alloggi sociali, la localizzazione in banlieue, o nel
territorio della municipalità centrale, ma in rottura con il tessuto antico. Rappresentano bene la risposta quantitativa
dello stato dirigista entro una cornice di crescita economica e modernizzazione del paese, che fra gli anni Cinquanta e
Settanta ha trattato una grande domanda di alloggi a basso prezzo per operai, soprattutto immigrati e “piedi neri”,
rimpatriati dall’Algeria. Nel 1973 una direttiva del Ministero delle politiche abitative stabilisce che non si dovranno più
realizzare forme di urbanizzazione come quelle dei “grands ensembles” espressione e strumento di segregazione sociale
(Fourcaut, 2002).
termine partecipazione è stato declinato nel senso di coinvolgimento (prender parte a)
nell’azione di soggetti a forte rischio di subalternità, esclusione.
Dai pionieri alla rete europea delle Regie
Nel 1980 nell’ambito dei progetti di ricostruzione urbana e di recupero degli isolati
insalubri a Roubaix, emerge con forza una rivendicazione degli inquilini, in relazione
all’igiene, alla sicurezza, all’inesistenza dei servizi di prossimità. Gli abitanti
chiedono condizioni di vita decenti e – non sentendosi dei cittadini di seconda
categoria - formulano con l’Atelier populaire d’Urbanisme e la Confederation
syndical du cadre de vie la proposta di effettuare direttamente dei piccoli lavori sul
quartiere. Alcuni studiosi propongono la vicenda della costituzione della regia del
quartiere Alma Gare a Roubaix come avvio della politica dello sviluppo sociale
urbano (DSU) in Francia (Donzelot J., Mével C. 2001).
L’idea di costituire un tale organismo è ripresa nel 1985-86 con la creazione
sperimentale di regie di quartiere a Meaux, Marsiglia3 e Besançon. Si cerca di
concretizzare la connessione fra alcune dimensioni economiche della vita locale,
(l’inserimento lavorativo attraverso la realizzazione di piccoli lavori per la cura del
patrimonio edilizio, la tesorizzazione delle risorse per i consumi locali) e il sociale
(la necessità di costruire opportunità di cura e inserimento delle persone, oltre le
misure amministrative di welfare). L’idea di impresa territoriale nasce con difficoltà
ma, poco a poco, il concetto si precisa: le regie di quartiere sono delle strutture
territorializzate che funzionano come delle imprese e che portano gli individui verso
una qualificazione tecnica e sociale.
La rete nazionale delle Regie di Quartiere in Francia viene creata nel 1988 ma ottiene
la sua vera consacrazione con l’incontro internazionale di Orléans che apporta un
riconoscimento dei media che aprono un proscenio su questi piccoli laboratori. Le
Regie di Quartiere presentano le loro idee ai responsabili politici ed economici:
esistono delle persone che vivono nella precarietà economica e sociale,
nell’isolamento più totale, che hanno realizzato iniziative di sviluppo endogeno e
interrogano le autorità pubbliche sulle necessità di recupero dei quartieri. Con la
giusta solerzia francese ad organizzare in modo ordinato il lavoro militante, la rete
costituisce nel 1988 il comitato nazionale di collegamento4. Nel 1991 il comitato
nazionale ha elaborato una carta di principi strutturata poi nel 1993 in un manifesto
che indica la cornice politico culturale di fondo entro cui le associazioni si
riconoscono. La sottoscrizione del manifesto e l’adesione al comitato nazionale dà
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Il gruppo che diede il primo impulso era composto da ricercatori del gruppo Acadie, insieme ad operatori della
Missione locale del quartiere Alma gare a Roubaix, e attivisti e militanti sindacali. Nell'ambito del seminario "Ricerca,
potere e città" organizzato nella primavera del 1988 da Laino per la cattedra di Geografia politica ed economica
dell'I.U.O. di Napoli, Michel Anselme, ricercatore e agente di sviluppo del Cerfise, presentò l'esperienza di una delle
prime regie che aveva fondato nel quartiere Flamant, nella periferia Nord di Marsiglia.
4 Il CNLRdQ, Comité National de Liaison des Régies de Quartier – simile ad altre reti di collegamento di associazioni
senza scopo di lucro in Francia – fu costituito nel 1988, con rappresentanti elettivi. Charles Bouzools, educatore,
infaticabile imprenditore sociale che per molti anni ha animato la RdQ Collinet Services nella municipalità di Meaux,
nella conurbazione parigina, è stato per diversi anni il presidente del CNLRdQ e principale animatore e conduttore
dell’insieme del processo di costituzione della rete francese e di quella europea.
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diritto alla possibilità di utilizzare la dizione "Regia di Quartiere" che è un marchio
registrato.
La carta riafferma che il progetto Regie di quartiere deve essere la risultante di una
volontà partenariale locale. Una nuova regia proposta da un tavolo sociale locale
(comune, enti proprietari degli alloggi, associazioni locali) elabora la proposta,
costituisce la nuova associazione senza scopo di lucro, elegge un presidente che – a
sua volta – sceglie l’agente di sviluppo professionista che farà il direttore della regia.
Dopo un periodo di adesione posto sotto osservazione della rete nazionale, la RdQ
ottiene il permesso di utilizzare il marchio, di cui il coordinamento nazionale è
proprietario.
Cos’è, secondo quali principi, come funziona e da chi è fatta una Regia di
quartiere
Una RdQ è una piccola agenzia locale di sviluppo, radicata, orientata alla cura ed alla
crescita del legame (e del capitale) sociale. Un’associazione nata grazie ad un
partenariato fra la municipalità, i gestori di alloggi pubblici5 e le associazioni di
abitanti presenti nella zona interessata.
Anticipando di diversi anni i caratteri che secondo la sensibilità propagandata nei
documenti dell’Unione Europea dovrebbero avere le iniziative di sviluppo locale per
la costruzione dell’Europa sociale, una Regia si propone come strumento di
riproduzione del legame sociale secondo i principi dell’embodied dell’outreach, del
ratting, , l’ enabling, l’ empowerment.
Per chiarire queste indicazioni che – per gli operatori italiani - rischiano di essere
riproposte in termini superficiali e propagandistici, è utile richiamare il fatto che
molti protagonisti e studiosi del modello italiano di stato sociale negli ultimi quindici
anni, partendo da una critica dell’impostazione omologante, universalistica e
amministrativistica delle politiche, associano l’efficacia – e l’equità – delle iniziative
ad un approccio dinamico, fortemente proiettato al territorio, aperto e rivolto alle
persone, selettivo (orientato da un criterio di discriminazione positiva), attento alle
differenze ed alle specificità, nel quale l’universalismo dei diritti sia coniugato alla
pertinenza ed all’adeguatezza locale delle azioni e degli interventi: un’impostazione
delle politiche finalizzata a costituire e/o accrescere le “capacità”, le condizioni di
abilitazione. A partire da una collocazione radicata – o almeno ben ancorata - si
sollecita quindi attività di “capacitazione” (dall’ enabling all’ empowerment : dal
mettere in condizioni di, al dare strumenti per) con la valorizzazione delle risorse
endogene (delle persone, dei gruppi, delle reti, dei luoghi). Tale impostazione non
viene però contrapposta alla necessità di disporre anche di risorse endogene per
fertilizzare e irrorare di risorse ed opportunità i contesti locali. Secondo questa
impostazione quindi le modalità innovative dei dispositivi di welfare sono da riferire
all’orientamento che devono avere le azioni, le organizzazioni, per far tesoro delle
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Gli organismi HLM (Habitation à loyer modéré), per semplicità paragonabili alle nostre strutture di edilizia
economica e popolare. In Francia si tratta di enti privati che hanno la proprietà e la gestione delle case assegnate come
alloggi pubblici. Cfr. nota 2.
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risorse esterne, ribadendo che queste sono comunque necessarie per l’avvio di circoli
virtuosi di emancipazione e sviluppo, ma che possono essere sprecate se il loro
investimento non viene orientato alla costituzione (e/o allo sviluppo e
consolidamento) di beni comuni, cantieri di sviluppo del legame e del protagonismo
sociale, per il rinnovamento e la costruzione delle istituzioni.
Rispetto alla necessità di superare una impostazione burocratica della percezione e
del collegamento con la domanda sociale, vengono quindi proposte modalità di
presenza sul territorio tipiche del lavoro dei ricercatori attivisti, militanti che tendono
ad avere un forte rapporto con l’oggetto di ricerca: l’outreach è una metodologia che
abbassa la soglia, sprona gli operatori ad andare a consultare le persone piuttosto che
aspettare che esse vengano da noi (Sclavi,2002). Alcuni studiosi di politiche dei
servizi sociali, per indicare la necessità di non aspettare le persone agli sportelli,
riferiscono dalla letteratura anglosassone il termine (ratting) usato per indicare la
caccia ai topi, sottolineando così che esistono bisogni che sfuggono alla vista degli
operatori che devono quindi andare a caccia della domanda latente.
Una RdQ cerca di coniugare trattamento dei bisogni degli abitanti – come anche di
altre persone che possono utilizzare servizi localizzati nella zona - necessità di offrire
servizi con la creazione di opportunità di inserimento sociale e lavorativo dei
soggetti deboli che vivono nel quartiere.
L’assemblea elegge un presidente che è preferibilmente un abitante, rappresentante di
una delle associazioni locali. Il presidente – fiduciariamente – sceglie il direttore che
deve essere una sorta di manager sociale della regia (procura, sceglie e organizza il
lavoro, seleziona il personale, cura le relazioni esterne, si preoccupa della tenuta del
bilancio, sia secondo i tradizionali criteri di buona amministrazione sia con le valenze
che dovrebbe avere il bilancio sociale di una organizzazione). I lavoratori tipo sono
animatori, attivisti, chef di progetto, tecnici artigiani e/o esperti di altri servizi, con
l’inclusione - come operai a tempo determinato - di persone (normalmente giovani)
in difficoltà.
Le attività tipo sono la manutenzione del patrimonio edilizio, di spazi comuni, aperti
o chiusi, l’offerta di servizi di prossimità, di mediazione sociale, la gestione di
piccole caffetterie. I principali clienti per una regia sono quindi gli enti proprietari
degli alloggi di edilizia sociale, il Comune e gli abitanti per le attività di servizio e
manutenzione, il Dipartimento (assimilabile all’ente provincia in Italia) e lo Stato per
la gestione di misure di inserimento socio lavorativo.
I lavori più comuni affidati ad un piccolo gruppo di apprendisti guidati da un
artigiano formatore sono quelli della manutenzione ordinaria degli impianti, la
riattazione degli appartamenti, la sistemazione degli infissi, ma anche la gestione di
servizi comuni (pulizia di immobili, gestione di parcheggi, manutenzione del verde e
di piccoli parchi gioco, sino ad attività più innovative come gestione di piccoli
alberghi, di caffetterie, botteghe). Nei casi più interessanti la regia – che può essere
quindi un vero e proprio vivaio, incubatore, di progetti per lo sviluppo locale - si
inventa delle opportunità a cavallo fra autorganizzazione sociale e individuazione di
nicchie di servizi nel mercato del lavoro locale: nasce così la corrispondente di scala
4
per l’organizzazione di alcune attività nei condomini, il guardiano notturno, la
persona addetta alla manutenzione, la donna coadiuvante nella ludoteca o quella che
gestisce la caffetteria locale. E’ importante ricordare che si tratta di contesti –
soprattutto quello francese - ove esiste una più ampia ed efficace gamma di interventi
di assistenza sociale per le persone sotto la soglia di povertà e/o comunque in
difficoltà6. Quindi il lavoro in una RdQ, per gli abitanti coinvolti come lavoratori,
non è l’unica fonte di reddito di sussistenza. D’altra parte va anche ribadito che
spesso si tratta di persone che vivono in quartieri – in paesi – ove il genere di
convivenza civile, il grado di disciplina sociale, determinano un rischio di esclusione
molto forte, con minore possibilità di accesso a pratiche informali.
Un dispositivo contro l'esclusione
Una RdQ è un’organizzazione che esprime un “approccio pluralistico all’economia”
(Laville 1999), favorendo ibridazioni tra risorse direttamente o indirettamente
economiche, interne o esterne al mercato, economia e dono, attenzione ai vincoli di
gestione e cura delle persone che possono mettere in tensione i criteri di efficienza di
un’organizzazione economica che li accoglie. Evidentemente questa dialettica non è
immune da rischi: trattare a basso costo problemi che il mercato, i gestori di alloggi o
le municipalità tendono a trascurare, può portare a narcotizzare con sussidi e piccole
opportunità il potenziale conflitto sociale determinato dal cumulo prolungato di
fattori di esclusione. 7
Pur non arrivando ai livelli di alcune città dell’Italia meridionale, anche in molti
grands ensembles francesi la disoccupazione è molto diffusa. E’ evidente quindi che
una Rdq si confronta con il tema delle possibili forme d’inserimento di giovani,
donne, soggetti in difficoltà, nel mercato del lavoro.
Nelle attività di una regia gli attori coinvolti sono abitanti del quartiere e, in modo
particolare, tra loro, quelli che sono maggiormente in difficoltà rispetto al mercato del
lavoro (cosiddetti Rmisites – quelli cioè che percepiscono un sussidio detto RMI 8
reddito minimo d'inserimento - disoccupati di lunga durata, donne sole).
I contratti di lavoro proposti da una Regia sono quelli normali, più spesso a
tempo determinato e parziale, per favorire il reinserimento progressivo nel mondo del
lavoro. Privilegiando la qualificazione, la Regia prepara le persone alla mobilità
professionale, che – per milioni di persone, in Europa - è una prospettiva comunque
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Si vedano le Associazioni di prevenzione specializzata, che hanno visto negli anni settanta le prime esperienze
organizzate degli educatori di strada, le Missioni locali, i Foyer che hanno organizzato servizi interni per
l’orientamento e l’inserimento al lavoro dei giovani.
7 E’ singolare la possibilità di constatare che in Francia anche il conflitto urbano segue una sorta di disciplina: dopo
anni di sopportazione, periodicamente si realizzano giornate di conflitto evidente e violento che per alcuni giorni genera
focolai di rivolta, (blocchi stradali, incendio di autovetture, scontri con la polizia), per tornare poi, per un altro lungo
periodo, alla normalità.
8 Il Reddito Minimo d’inserimento è stato introdotto in Francia nel Dicembre del 1988 ed è realizzato secondo una
logica di workfare: il beneficiario infatti è tenuto ad accettare eventuali proposte di percorsi formativi o di inserimenti in
aziende. Per una prima analisi della sperimentazione in Italia cfr. il numero speciale 13-15 della rivista Prospettive
dell’IRS di Milano, Luglio- Settembre 2002.
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migliore di quella della cronicizzazione della disoccupazione sostenuta solo da
assistenza e/o redditi precari da lavoro sommerso.
Il ricorso ai dispositivi di trattamento sociale della disoccupazione delle singole
persone s'inscrive nel quadro di un percorso individuale d'inserimento professionale
all'interno della Regie o verso l'esterno.
L'azione di una Regia si esercita su un territorio definito in funzione di un sentimento
di appartenenza degli abitanti e delle loro relazioni con la città o la comunità urbana a
cui appartengono.
In una RdQ convivono – e sono più o meno influenti secondo l’orientamento dei
responsabili e le opportunità di contesto - due linee d’azione: quella propriamente
economico imprenditoriale (che cura il reperimento delle commesse, la realizzazione
dei servizi, i rapporti con i clienti) e quella (delle regie sociali) di sviluppo sociale e
comunitario che, pur ponendo comunque molta attenzione alla prima dimensione,
opera nella convinzione che l’inserimento socio lavorativo delle persone e la
partecipazione degli abitanti siano gli elementi costitutivi della mission di una regia.
Le regie si propongono di essere considerate imprese nel senso pieno del termine e si
collocano anche nel campo della produzione commerciale. I servizi di prossimità che
offrono rispondono alle aspettative degli abitanti e mirano ad uno sviluppo conviviale
e alla riqualificazione del quadro di vita, piuttosto che ad una mera redditività
economica.
Il partenariato con tutti gli attori della vita di un quartiere è uno dei fondamenti
dell'identità del progetto Regia di Quartiere. Dalla mobilitazione e dal
coinvolgimento di questi attori dipende il dinamismo di una Regia.
Per la ricostruzione dei reciproci diritti, l'intervento delle Regie aiuta a ricostruire la
base del legame sociale, il legame civile ordinario. La pratica delle regie di quartiere
parte da tre priorità:
• un intervento territorializzato che mira a migliorare la gestione del patrimonio
urbano (alla scala di quartiere) mettendo in sinergia tale gestione con pratiche sociali
che favoriscano la partecipazione diretta degli abitanti come salariati e, nel senso più
ampio, come attori;
• la preoccupazione, su questo territorio, per l’inserimento delle persone che sono in
difficoltà. Le regie di quartiere sono quindi uno dei dispositivi per l’inserimento fatto
a partire dall'avviamento in attività economiche;
• la ri/creazione di un legame sociale nel territorio, una dimensione di sviluppo
sociale che miri a ricostruire nuove forme di democrazia nella gestione del locale a
partire da una logica comunitaria.
Il manifesto sottolinea la mobilitazione e il coinvolgimento degli abitanti:
primo postulato chiave è che gli abitanti-salariati di ogni regia sono rappresentati nel
consiglio d’amministrazione.
Posti questi principi realizzati dalle regie, emergono continue domande con il
crescere delle attività e il passare degli anni: si avvia una lotta di potere, di influenza,
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qualche volta nell’ambito degli stessi consigli di amministrazione, tra l’ente locatario,
la municipalità e le associazioni.
Oggi, le regie di quartiere costituite in una solida rete, lavorano sullo sviluppo
“comunitario” dei quartieri cercando di offrire a migliaia di persone opportunità per
attraversare “percorsi passerella” per l’inserimento socio lavorativo. Sottolineando
che l’abitare non è solo utilizzare come dormitorio una casa, che un quartiere è teatro
di diverse altre rilevanti occasioni di vita, nella convinzione che i quartieri considerati
“difficili” hanno (oltre a problemi molto gravi e strutturali) delle risorse da mobilitare
e da trasformare, le regie coinvolgono le persone e gli enti in servizi di prossimità,
aiutano lo sviluppo del commercio nei quartieri che ne sono sovente sprovvisti.
Dalla partecipazione delle opinioni al coinvolgimento nelle azioni
Per l'andamento dei processi di urbanizzazione, per la rilevanza dell'immigrazione,
l'estensione del patrimonio pubblico di alloggi popolari, in Francia le condizioni di
vita nelle periferie sono obiettivamente pauperizzate rispetto ai livelli della media
nazionale del tenore di vita.
Sebbene in tutta l'Europa gran parte della popolazione abita in città, in realtà buona
parte di questa maggioranza vive in quartieri degradati soprattutto per la qualità
dell’abitare che offrono, per l'inesistenza di servizi diffusi, di opportunità per la
socializzazione e l’inserimento economico. Non poche volte si tratta di insediamenti
che per quantità di alloggi ed abitanti hanno la consistenza demografica delle piccole
città, costruite spesso negli anni Sessanta e Settanta, di fatto periferiche, luogo di
residenza di una grande quantità di comunità di immigrati di seconda, terza e quarta
generazione che, anche quando lo sono giuridicamente, non si sentono Francesi.
A seguito di conflitti sociali che con una certa puntualità in Francia si ripetono
periodicamente e grazie alla militanza di alcuni piccoli gruppi di educatori, animatori
e ricercatori sociali, nei primi anni Ottanta sono state avviate le prime regie che
considerate bene nelle loro dimensioni, costituiscono uno strumento di
riqualificazione sociale integrata dei quartieri in difficoltà.
Alla fine del 2002, in Europa sono attive oltre 180 regie9, gran parte delle quali in
Francia (oltre 130). Il baricentro ideologico delle Regie di Quartiere è la democrazia
locale intesa come fonte di risorse unica ed essenziale per la cittadinanza attiva.
Dalla metà degli anni Ottanta sono stati avviati dei rapporti fra Regie di Quartiere
francesi ed organismi molto simili di altri Paesi europei. A seguito dell’incontro
europeo realizzato ad Orleans nel 1994, il Comitato Nazionale di coordinamento
delle Regie francesi e alcune Regie operanti in Belgio, in Olanda e in Italia, hanno
costituito l’Associazione Europea che, oltre a favorire gli scambi di esperienze, si
propone di diffondere la conoscenza del dispositivo, anche in cooperazione con
alcune iniziative dell’Unione Europea.
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Secondo i dati dell’Associazione Europea Regie di Quartiere, nel 2002 esistono 130 regie in Francia, 28 in Belgio, 26
nei Paesi Bassi, 4 in Germania. Per l’Italia l’Associazione Quartieri Spagnoli di Napoli che è membro fondatore
dell’Associazione Europea delle Regie di Quartiere, intrattiene rapporti di confronto e scambio con diverse regie oltre
che con il coordinamento della rete.
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L’interesse per queste esperienze è fondato sulla convinzione che – senza credere di
poter importare un dispositivo che si connota fra l’altro proprio per la sua forte
territorializzazione – il modello Regia di Quartiere può essere un riferimento molto
fertile per iniziative di cui vi è grande necessità in mille quartieri delle città italiane.
Il confronto con queste realizzazioni porterà a riflettere sulla diversa natura del
rapporto fra stato e cittadini nei diversi paesi europei, sulla diversa condizione
dell’economia informale, sul ruolo differente giocato dagli organismi proprietari
degli alloggi pubblici, sul differente successo ottenuto dalle istanze di partecipazione
dei cittadini alla gestione dei quartieri, sulla diversità sostanziale fra emarginazione
sopportata dagli immigrati in Francia o in altri paesi europei e quella vissuta dai
cittadini delle periferie italiane.
La presa di parola di gruppi di abitanti ha consentito di mettere a fuoco che la qualità
abitativa di un quartiere è strettamente dipendente dalle condizioni di vivibilità
connesse al tipo e all’efficacia di servizi realmente esigibili per la popolazione del
posto.
La stessa tensione ha posto l’accento sulla necessità di superare la concezione
burocratico amministrativa dei servizi che, da un lato, confonde (e limita) la risposta
alla domanda di opportunità con la costruzione di contenitori edilizi destinati ai
servizi stessi, e d’altro lato non supera la considerazione delle persone come clienti di
prestazioni standard offerte a prescindere dal contesto, dalle traiettorie di vita, dalla
necessaria discriminazione positiva utile per rendere efficaci le offerte realizzate per
diversi gruppi sociali.
L’insieme delle iniziative realizzate per la riqualificazione dei quartieri, in molte città
europee, negli anni Novanta, ha visto spesso una particolare attenzione al
coinvolgimento diretto della popolazione locale, secondo una rinnovata attenzione
alla partecipazione: “La conoscenza dei fenomeni, la capacità di ascolto delle
potenzialità, la valorizzazione delle risorse umane, fisiche, ambientali dei luoghi, la
valutazione delle intuizioni che emergono dal confronto con chi vive e si riconosce in
un determinato contesto, possono offrire utilissimi terreni di indirizzo e verifica di
previsioni generalmente inadeguate” (D’Innocenzo A. 2001).
L’esperienza delle Rdq, che nelle sue radici è fortemente ancorata alla cultura della
democrazia diretta secondo cui la presa di parola e d’iniziativa degli abitanti sono
condizioni essenziali per un processo di reale riqualificazione ed innovazione sociale,
dimostra anche i limiti di questo approccio se viene inteso in termini generici, quando
cioé al centro viene posto - innanzitutto o solo - il confronto fra opinioni e non la
costituzione di occasioni concrete per scambiare risorse, fare sintesi fra interessi
costruendo risposte a bisogni radicali. La stessa costituzione di una sorta di agenzia
locale di sviluppo fa intravvedere bene la prospettiva del necessario superamento di
un approccio semplificante alla partecipazione.
Secondo una impostazione che già P.Geddes considerava essenziale nel produrre
occasioni di coinvolgimento della popolazione a partire dal trattamento molto
concreto di problemi locali con il coinvolgimento diretto delle persone (e non solo
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delle loro opinioni) (Ferraro,1998), la mobilitazione di animatori, attivisti,
professionisti della mediazione sociale, agenti di sviluppo, dotati di risorse aggiuntive
a quelle reperibili nel contesto, può consentire di montare progetti con tangibili esiti
per il miglioramento delle condizioni di vita. E’ evidente che tale approccio si
differenzia da quello (degli architetti o degli urbanisti) che punta innanzitutto al
confronto su questioni di riuso (nel senso del ridisegno) di risorse spaziali,
Gli esperti di processi di riqualificazione territoriale di tipo integrato sono
consapevoli che la questione dell’inserimento socio lavorativo si è imposta come
centrale per tutte le progettualità che intendono porre attenzione all’apertura dei
processi decisionali con attivazione di forme di (più o meno rinnovata) partecipazione
diretta da parte degli abitanti nei quartieri in crisi. Pur scontando la strutturalità del
problema della disoccupazione, in molte esperienze (poco diffuse in Italia) sono stati
avviati progetti per offrire opportunità, sostegno alle persone in difficoltà, per il
passaggio da condizione di inoccupazione, forte precariato, rischio di esclusione, ad
attività di gruppo con forme di presalario, confronto formativo su ritmi, mansioni,
cooperazione per attività lavorative non simulate.
Il modello RdQ – diversamente da altri dispositivi simili sperimentati soprattutto in
Francia – costituisce una tipologia che, coniugando bene misure di welfare e
politiche attive del lavoro, si propone di far tesoro delle opportunità che la cura del
territorio (come patrimonio edilizio, spazi comuni, servizi) può offrire.
Si tratta di una visione articolata ed approfondita della riqualificazione territoriale, a
scala locale, che eviti i limiti di una concezione semplificata e riduttiva della
partecipazione, tutta fondata sullo scambio verbale di opinioni, con strumenti e
metodologie sostanzialmente occasionali. Le tante esperienze italiane che intercettano
l’immaginario dei bambini, o intervistano gruppi di abitanti per raccogliere le loro
opinioni sulle condizioni di vita e le possibili trasformazioni urbane, sono legittime,
fertili, in diversi casi offrono contributi significativi, cercano giustamente di
contaminare il sapere esperto con quello comune. Generalmente però sono esperienze
che tralasciano la dimensione concreta della mobilitazione sociale, preferendo
l’organizzazione (con varie metodologie) di occasioni di ascolto, attivazione del
dialogo e del confronto sociale, al trattamento diretto di alcuni problemi di
convivenza e/o alla costruzione di concrete occasioni di servizi, lavoro, anche perché
si tratta quasi sempre di iniziative a termine, realizzate da professionisti non ancorati
nei territori di riferimento. Le Regie di Quartiere, che pure danno tanta importanza al
confronto fra e con gli abitanti, costituiscono una proposta più promettente perché
suppongono innanzitutto un radicamento duraturo nel territorio di riferimento,
un’implicazione partenariale con un significativo scambio di risorse, la costituzione
di occasioni concrete – di lavoro – per coinvolgere le persone non tanto in riunioni
e/o assemblee, ma in pratiche concrete di vita, con la cura delle condizioni e delle
relazioni personali. Si tratta di esperienze di grande interesse nella prospettiva che
cerca di affermare la rilevanza del nesso fra grado di apertura dei processi decisionali
ed efficacia delle politiche di riqualificazione, superando la contrapposizione fra
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bottom up e top down, per riconoscere un ruolo essenziale di soggetti intermedi che,
con più forza, possono condizionare le forme e il senso della riproduzione sociale.
L’esperienza delle RdQ negli ultimi anni in Francia sembra sia diventata interna al
paesaggio dei tanti dispositivi di “politique de la ville” che pur enfatizzando
l’approccio integrato e partenariale, l’importanza della dinamizzazione sociale
attraverso i servizi e il coinvolgimento della popolazione, sembra relegato entro una
retorica superata, nei fatti, dall’approccio più diffuso che massimizza gli interventi
sulla trasformazione fisica dei quartieri e di interi settori urbani, con demolizioni e
ricostruzioni. Secondo alcuni attenti osservatori è ormai passata la fase dei pionieri,
quando le regie di quartiere sono state cantieri di cittadinanza attiva, laboratorio per
la ridefinizione di forme di democrazia diretta nella gestione di alcuni problemi dei
quartieri in difficoltà, passando invece a più diffuse pratiche di gestione di problemi
ordinari. Proprio per interrogarsi criticamente sul reale ruolo innovatore che può
avere un approccio non fisicista10 alla riqualificazione del territorio alla scala dei
quartieri, l’esperienza delle RdQ costituisce un riferimento importante per chi intende
ragionare su forme concrete (vissute) di sviluppo locale, radicate nei territori,
socialmente orientate, attente alla vita quotidiana delle persone. E’ ancor più evidente
che il confronto con esperienze maturate in altri contesti necessita dell’attenzione a
situare le pratiche di partecipazione e/o apertura dei processi decisionali: l’acritico
riferimento a modelli (con le relative metodologie, tecniche) maturati in paesi diversi
per senso civico diffuso, ruolo dello stato e degli enti locali, dimensioni e tipi di
politiche di welfare, rischia di generare errori ed inutili tentativi di clonazione.
L’agente di sviluppo che radicato in una realtà territoriale ha scambiato informazioni,
esperienze e sentimenti con altri colleghi di molti cantieri dell’Europa sociale, sa che
è sempre saggio praticare la pedagogia del viaggio: vedere con empatia altrove cosa
capita, cercare di comprenderne criticamente condizioni e risvolti, per riflettere sul
proprio contesto, rinnovando lo sguardo, evitando le scorciatoie (praticate spesso)
dell’importazione a basso costo delle idee.
Giovanni Laino è docente di politiche urbane presso la Facoltà di Architettura dell’Università di
Napoli Federico II e vicepresidente dell’Associazione Europea Regie di Quartiere.
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In merito alla critica al predominio dell’approccio fisicista che tende ad affidare alla sola trasformazione fisica il
complesso dell’efficacia delle politiche di riqualificazione urbana, cfr. anche Laino (1995). Una riflessione critica
sull’approccio alla partecipazione tutto fondato sullo scambio di opinioni è già proposto in Laino(1996)
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