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MAIEUTICA
APPUNTII
r i v i s t a
p e r i o d i c a
d i
C e n t r o
C o s c i e n z a
CINQUE ANNI FA IL CONSIGLIO DELLA CATEGORIA EFFETTIVI PROMOSSE ALCUNI
SEMINARI DI FISIONOMIA DIFFERENTE DA QUELLA ABITUALE: PER LA DURATA,
PER I CONTENUTI, PER LA COMPOSIZIONE DEI PARTECIPANTI. SI SVOLGEVANO IN
UN FINE SETTIMANA, NON ERANO LEGATI A UN CORSO SPECIFICO, MA ACCOGLIEVANO SOCI, DELLA SEDE E DELLE SEZIONI, IMPEGNATI IN ATTIVITÀ DIVERSE.
SOMMARIO
Critica dellʼedonismo:
sul dolore
pagina 2
Mamme
papà e bambini
pagina 4
Un giardinaggio
estetico meditativo
pagina 5
Il mito del mercato
pagina 6
Il giovane che abita
case vuote
pagina 7
Segnalazioni e
bibliografia
pagina 8
Contrappunti
pagina 8
marzo 2005
numero 9 - 3,00 euro
Si creava così uno spazio di incontro e
condivisione di esperienze in un ambito
più allargato e si favoriva il dialogo e il
confronto fra persone che non avevano
molte occasioni di scambio, concentrate
com’erano nell’impegno nel loro gruppo. Si riscopriva insieme il senso dell’appartenenza a Unione Coscienza, denominatore comune del proprio operare.
Con la collaborazione del consiglio
aderenti se ne svolsero tre nell’estate del
2000, sul tema “Cooperazione e respon sabilità individuale”; l’anno successivo
furono addirittura sei: tre in febbraio, su
“Coltivazione interiore e rapporto sociale”, e tre nei mesi estivi, dedicati alla
“Creazione di ambiente sociale”. La riflessione in gruppo sui testi proposti era
arricchita dai momenti della giornata
dedicati ad attività sociali e ricreative.
L’adesione fu notevole quantitativamente (91 intervenuti nell’estate 2000, 104
nel febbraio 2001, 114 nell’estate 2001)
e qualitativamente: tanto per i soci più
anziani quanto per i nuovi fu particolarmente stimolante venire a conoscenza attraverso il contatto con gli altri partecipanti - dei multiformi aspetti delle attività in sede e nelle sezioni.
Proprio per questo si avvertì l’importanza di non limitare l’opportunità
solo ai soci ma di estenderla ai frequen tatori dei corsi, perché quei due giorni di
vita in comune secondo uno stile favorivano
un’accelerazione di consapevolezza di che
cos’è Coscienza, dei principi su cui si fonda, delle finalità che si prefigge e delle
attività che promuove. Si scelsero quindi
temi, e testi, idonei allo scopo: “Chi siamo?” utilizzando, ad esempio, il catalo -
go della mostra Parole e Immagini - che
ricostruiva la storia di Centro Coscienza
e ne presentava il patrimonio culturale o la relazione del Presidente all’assemblea generale dei soci.
Quest’anno i seminari propongono
un’ulteriore apertura: non vincolare la
partecipazione all’essere esplicitamente
invitati ma far sì che chiunque lo voglia
si iscriva, proprio come a un corso; ecco
quindi comparire per la prima volta le
locandine e i cartoncini illustrativi, che
permettono di diffondere la comunica zione. Anche per persone completamente
nuove può essere un’occasione privilegiata
per incontrare l’ambiente e il metodo di ricerca, tanto più dato l’argomento scelto:
“Incontro con il pensiero di Tullio Castellani”. In ognuno dei quattro seminari
si lavorerà su brani tratti dai suoi scritti,
le “Lettere agli amici”, o la “Critica interiore del fascismo”, così come “L’esperienza umana” oppure “Incontro fra Occidente e Oriente”, la raccolta “Editoriali” o altri ancora. L’intento è di accostare
e approfondire insieme i contenuti e le
articolazioni dell’opera di Castellani che
sempre più rivela la sua attualità.
I seminari si svolgono alla
Schola di Morosolo dal venerdì
sera alle 20.00 alla domenica
pomeriggio. Chi desidera
partecipare può iscriversi presso
la segreteria. Queste le date:
dal 15 al 17 aprile; dal 13 al 15
maggio; dal 16 al 18 settembre
MARZO 2005 1
APPUNTI R I F L E S S I O N I
Critica dell’edonismo:
CHE RAPPORTO ABBIAMO CON LA SOFFERENZA? UN ARTICOLO USCITO TEMPO FA SU UN QUOTIDIANO È LO SPUNTO
ENTRIAMO nella classe
di una scuola di periferia: il
professore vorrebbe interrogare un’allieva, due domandine su un racconto di
Maupassant letto nella lezione precedente, niente di
difficile. Ebbene, la ragazza
si rifiuta tassativamente di
farsi interrogare, non ci
pensa proprio di alzarsi e
rispondere. Il professore le
chiede il perché di quella
decisione: non ha studiato,
(...) Come genitori, che cosa possiamo fare?
Possiamo darci il compito di “aiutare” i nostri
figli a essere felici, nutrendoli dell’illusione
di una vita senza scosse, oppure possiamo
cambiare punto di vista e immaginare che la
“felicità” sia qualcosa che somiglia alla
capacità di fare esperienza di ciò che la vita
via via ci fa incontrare, qualunque ne sia il
contenuto. Possiamo cominciare a pensare
che la “felicità” sia proprio la competenza a far
funzionare questa “bussola” che ci fa
diventare capaci di vivere gioie e sofferenze e
in questo processo assumere il ruolo
di testimoni che dicono: “è così, c’è anche
questo, e io ti posso dire un po’ come si fa, per
quel che ne so”. Non credo che facciamo un
buon lavoro quando risparmiamo ai figli
la sofferenza: diventiamo piuttosto complici
di un’illusione, gli raccontiamo una storia
che non è vera. Anna Fabbrini, “Quando la vita fa male”
non ricorda, pensa di essere più pronta l’indomani?
Perché adesso non vuole
accettare due domande? La
risposta è semplice e chiara: “Non voglio soffrire
neanche un minuto: ma
nessuno vuole più soffrire,
non se ne è accorto professore?”. (...) Ecco la verità
centrale della nostra civiltà,
ciò che prima l’ha resa
straordinaria e ora la rende
così fragile. Contro la crudeltà della Natura, contro
la violenza degli uomini,
contro i sensi di colpa e
contro ogni dolore, la nostra civiltà ha trovato mille
soluzioni. I nostri padri e i
nostri fratelli maggiori hanno inventato l’anestesia, lo
stato sociale, il tempo libe ro, il divorzio e l’aborto, le
medicine, il cinema e la televisione, i centri anziani e
le ferie, i bar e il campionato di calcio, il laicismo e il
diritto al piacere: e il mondo è diventato migliore,
tanta inutile pena è stata
sconfitta. Siamo vissuti a
lungo in un tempo che ha
quasi realizzato il sogno di
una vita più felice, di una
rosa quasi senza spine. Certo, la sofferenza non può
mai essere debellata totalmente perché le prepotenze sociali restano, perché
la morte alla fine arriva,
perché la vita comunque è
dura. E soprattutto non s i
può cancellare la fatica che
ognuno deve fare per dare
una forma alla propria esistenza. Ognuno sa di avere
un destino da compiere, e
questo costa un impegno e
dunque anche una sofferenza. (...) Insomma, abbiamo costruito un modello di società dove non dobbiamo patire insensatamente: dobbiamo solo cercare di essere felici esprimendo il meglio di noi
stessi, e forse possiamo an che farcela. Ma ora questo
modello traballa per lo
stesso motivo per cui si è
imposto. Come ha dichiarato
quell’alunna, noi non vogliamo soffrire mai, neppure per
un momento, neppure per misurare le nostre forze. Ancora una volta dai ragazzi,
avanguardia del tempo, ci
arriva il messaggio più nitido, quello che ci costringe
Marcel Proust: “il compito del dolore”
“Per il corpo, infatti, solo la felicità è salutare; ma è il
dolore a sviluppare le forze dello spirito. D’altronde,
anche se non ci rivelasse ogni volta una legge, esso ci
sarebbe pur sempre indispensabile per rimetterci
ogni volta nella verità, per costringerci a prendere le
cose sul serio, strappando via ogni volta le male erbe
dell’abitudine, dello scetticismo, della leggerezza,
dell’indifferenza”. Ecco il compito del dolore che lo
affratella all’arte (...) Non solo esso aggredisce e dis-
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solve le incrostazioni che invadono e soffocano la verità della vita di ciascuno, rendendoci appagati e ot tusi, indifferenti, superficiali nelle abitudini senza
scosse, ma è capace di rivelare “ogni volta una legge”: infrangendo l’acquiescenza e il pregiudizio, getta come una luce impensabile su ciò che di noi stessi
ignoravamo e forse ci rifiutavamo di guardare.
Festa di Pasqua 2003, “Marcel Proust. Riflessioni sulla sofferenza”,
Quaderni di Maieutica, 2003
sul dolore
PER INDAGARE QUALE VALORE E “UTILITÀ” LE ATTRIBUIAMO
a riflettere sul centro della
fare più nulla, diventiamo
questione. La nostra capagrassi e pigri, scontenti
cità di sopportare le diffisenza dolore, annoiati in
coltà, di raccogliere le
tanta fortuna. Diventiamo
energie di fronte a una picdeboli, e la sofferenza se ne
cola salita, di pretendere
accorge e torna in forme
qualcosa di più da noi stesnuove a minacciare quanto
si grazie a uno sforzo
anche esiguo, ormai
si sta esaurendo. Andiamo avanti a pasticche che sollevano
Sotto il segno del dolore
dalla depressione o
smorzano l’ansia, beil mondo appare
viamo per non sentir“trasformato” nella sua
ci inadeguati, abbassiamo ogni giorno gli
interezza: in questo
obiettivi, ci ritiriamo
senso il dolore
da ogni confronto,
appartiene al genere
anche dal confronto
con la nostra vita e
delle esperienze cruciali
con i nostri sogni.
poiché esso sottopone
(...) Persino la malinconia, sentimento cagli uomini ad una
pace di allargare l’atensione che, quando
nima per farle accogliere tanta altra vita,
non produce distruzione,
viene respinta dal noaccresce certamente
stro modello imperante. E così questa
la percezione.
civiltà, che tante batIl dolore ...rompe il ritmo
taglie ha combattuto
e vinto contro ogni
abituale dell’esistenza,
dolore, ora si sta affloproduce quella
sciando. Ogni nobile illusione viene immediadiscontinuità sufficiente
tamente scartata perchè
per gettare nuova luce
prevede una fatica che
sulle cose ed essere
non si desidera più compiere. Anche una seminsieme "patimento e
plice interrogazione o
rivelazione". Salvatore Natoli
un compitino in classe diventano vette impervie da spianare con un
di buono è stato costruito:
rifiuto, in nome di un edo ci scopre vuoti, piccoli, di nismo assoluto. I nostri pasarmati, infelicemente soddri hanno preso a schiaffi
disfatti, e si prepara a rovila sofferenza, noi invece
narci. Marco Lodoli, “Se i nostri
oggi restiamo zitti e buoni,
ragazzi non sanno più soffrire”, la
crediamo che non si debba
Repubblica, 22 novembre 2004
ESPERIENZA
CRUCIALE
338. LA VOLONTÀ DI SOFFRIRE
E I COMPASSIONEVOLI
(...) Ciò di cui soffriamo nel modo più profondo e personale
è incomprensibile e inaccessibile a quasi tutti gli altri: in ciò
restiamo nascosti al prossimo anche se questi mangia con noi
dallo stesso piatto. Ma ovunque venga notata la nostra condizione di sofferenti, il nostro dolore è super ficialmente interpretato; conviene all’essenza dello stato affettivo pietoso spogliare la sofferenza altrui di quel che essa ha di propriamente
personale: i nostri “benefattori” sono, più dei nostri nemici,
coloro che disprezzano il nostro valore e la nostra volontà.
Nella maggior parte dei benefici usati verso gli sventurati, c’è
qualcosa, - nell’intellettuale frivolezza con cui il pietoso recita
a questo punto la parte del destino, - che suscita sdegno: costui non sa nulla di tutta quell’intima sequenza e intreccio
che per me o per te si chiama infelicità! Tutta l’economia della mia anima e il suo equilibrio determinato dall’ “infelicità”,
l’erompere di nuove sorgenti ed esigenze, il rimarginarsi di
antiche piaghe, il fatto che interi periodi del passato siano ricacciati indietro... non preoccupa il buon pietoso: egli vuole
aiutare e non pensa che esista una personale necessità della
sventura (...) No, di questo egli non sa nulla: la “religione della pietà” (ovvero “il cuore”) comanda di aiutare e si crede di
aver aiutato nel modo migliore, se si è prestato aiuto nel modo più rapido! Se voi, seguaci di questa religione, avete realmente anche nei riguardi di voi stessi lo stesso atteggiamento
interiore che nutrite per i vostri simili, se non volete neppure
per un’ora lasciare gravare su di voi la vostra propria sofferenza, e già da lontano continuamente cercate riparo a ogni possibile sventura, se sentite la vostra sofferenza e afflizione come
malvagie, esecrabili, meritevoli di annientamento, come contaminazioni dell’esistenza, ebbene, vuol dire che oltre alla vostra religione della pietà, voi avete in cuore anche un’altra religione, e questa è forse la madre di quella: la religione della vita comoda. Ah! Quanto poco sapete voi della felicità dell’uomo, voi gente pacifica e bonaria! Giacché la felicità e l’infeli cità sono due sorelle, e gemelle, che diventano grandi insieme o, come accade per voi, restano piccole insieme.
(...) Lo so: ci sono cento modi onorevoli e famosi per sviarmi
dalla mia strada, e in verità modi “altamente” morali! (...) Esiste una segreta seduzione perfino in tutto questo risvegliar la
pietà e invocare aiuto: appunto la nostra “propria via” è una
cosa troppo dura ed esigente ed è troppo lontana dall’amore
e dalla gratitudine degli altri - non è affatto a malincuore che
sfuggiamo a essa e alla nostra coscienza più propria, per trovar rifugio sotto la coscienza degli altri e dentro il buon tempio della “religione della pietà”. (...) E, pur tacendo qui alcune cose, non voglio tuttavia passare sotto silenzio la mia morale che mi dice: vivi nascosto affinché tu possa vivere per te
stesso, vivi ignorando ciò che alla tua epoca sembra il più importante! Fra te e l’oggi metti per lo meno la pelle di tre secoli! Anche tu vorrai prestar soccorso: ma soltanto a coloro
di cui comprendi pienamente l’estrema miseria, giacché essi
hanno in comune con te un solo dolore e una sola speranza i tuoi amici; e soltanto in quel modo con cui tu porti aiuto a te
stesso: li voglio fare più coraggiosi, più tetragoni, più semplici, più gioiosi! Voglio insegnar loro quel che oggi son così
pochi a capire, e tanto meno poi quei predicatori del compatire - a congioire!
Friedrich Nietzsche
MARZO 2005 3
APPUNTI P R O G E T T I
L’ESIGENZA DI UN GRUPPO DI GIOVANI SOCI:
RIATTINGERE, DAL PROFONDO, ALLA RADICE CHE
HA ALIMENTATO LA RICERCA EDUCATIVA. UN
LAVORO INTENSO DI PREPARAZIONE E FORMAZIONE
ALL’ASCOLTO EDUCATIVO. ORA UN PRIMO CORSO
SPERIMENTALE
- A INVITI - PER COPPIE DI GENITORI
CON BAMBINI FINO A CINQUE ANNI DI ETÀ
“
La sua casa sa di liquirizia antica. Cesarina ci accoglie sempre abbracciandoci e ci invita a sederci
nel suo salottino, che sem bra composto ogni volta
per noi, con le sedie vici ne. Noi entriamo con il
pensiero dei bimbi affidati
a papà, nonne, nidi, ma
appena cominciamo a lavorare sentiamo che i bambini non sono mai stati così presenti a noi come ora.
Ci andiamo piene di aspettative: ricordi, libri, disegni, fotocopie… Cesarina ci sembrava una biblioteca alessandrina da salvare.
Poi abbiamo scoperto
che non da lì sar emmo
partiti. Anzi che lì non saremmo mai approdati se
non a dosi omeopatiche.
Ci incontriamo prima una
volta alla settimana, poi
ogni due. Il dialogo sembra sempre partire da un
respiro profondo, da un
augurio di toccare le risorse più vere di cui disponiamo, per costruire una grotta di silenzio e di ascolto.
Solo una volta “scavata”,
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scopro, questa grotta, questo grembo può diventare
fucina di sentimenti nuovi;
da far scorrere non solo
fra noi e i bambini ma an che tra noi adulti che for miamo il loro ambiente di
crescita.
A volte l’occasione è
un avvenimento, a volte
un momento particolare
dell’anno, un’altra un “tema” che torna e ritorna
sotto forma di problema.
L’esercizio è sempre quello di fermarsi ad ascoltare,
prima di progettare o prima, anche, di stare fermi.
Lì, in quel cerchietto
di sedie, le nostre parole ci
ritraggono “da fuori”:
muoverci insieme ai bambini con le nostre impazienze, le nostre titubanze,
i nostri formalismi. Senza
che da questo guardare
vengano tratte conclusioni
lapidarie o definitive. Cercando di volta in volta uno
spunto concreto - una fiaba, un gioco, un’esperienza - che ci accompagni fuori dalle secche. Interiori
prima che pratiche. Quel
“
Mamme
papà
e bambini
tanto da farci sentire una
volta di più che nell’imparare a diventare mamme
(a diventare papà), oltre
all’amore - alla fatica, alla
precarietà, alla tenerezza c’è in gioco qualcosa di
immenso. Creare uno spazio, libero e articolato al
tempo stesso, in cui possa
esprimersi la pienezza di
una possibilità umana, che
è un bene non mio, né nostro, ma di tutti. Pappe,
nanne, feste si trasformano
sotto i nostri occhi in piccole,
misteriose incognite da elaborare, perché il rapporto
rimanga all’altezza delle
nostre aspirazioni.
Davanti a un attimo di
scoramento ho percepito
una specie di ondata di
comprensione mentre Cesarina diceva con i suoi occhietti raggianti e umidi,
stringendo le mani: “Abbraccia il tuo patimento…
le hai tentate tutte, ma forse non l’ultima… un attimo rigenerante, tu e lei…”
Adesso si tratta di allargare il cerchietto di se die. Di provare a rifondare
un nucleo dalle radici antiche; di approfondire, proponendo a coppie di genitori il filo di una tradizione di ricerca che non tenta di placare la nostra ansia di sciogliere i problemi,
ma che domanda al cuore
di allargarsi, di ospitare ciò
che appare dapprima inospitabile, di alzare gli occhi anche oltre l’amore
materno e paterno per
captare il respiro di una vita a cui pur dobbiamo
questo dono grande. Inutile dire che vorremmo Cesarina (e altre “colonne”
dell’educativo!) con noi,
inutile dire che lei non ci
sarà. Le è cara l’immagine
della rondine, che imbocca i rondinini per un po’.
Poi si ferma, e aspetta.
Il corso non si
propone di risolvere
problemi, ma di
creare uno spazio di
ascolto di noi e del
bambino che ci
consenta di
accompagnarne la
crescita. Intende
proporre un lavoro
che metta in moto la
creatività di ciascuno
a partire dal
sentimento d’amore
per il bimbo.
I temi: Lo spazio della
maternità-paternità:
quale nido?
Lo spazio della
maternità-paternità:
condizioni per un
dialogo.
Strumenti del rapporto
educativo: creatività
e meraviglia.
Il nutrimento: sguardo
sul momento dei pasti.
L’incontro con la
notte: accompagnare
al sonno.
Strumenti del rapporto
educativo: la natura
e il mito della crescita.
I sei incontri si
svolgeranno il venerdì
sera alle 19.00
a partire dall’8 aprile.
Sono programmate
inoltre 2 domeniche
di sperimentazione
con i bambini
Un giardinaggio
estetico meditativo
MOROSOLO: UN PATRIMONIO NON SOLO SPIRITUALE, MA ANCHE MATERIALE
CHE STIMOLA CONTINUAMENTE I SOCI AD ATTIVITÀ DI GRUPPO PER CONSERVARLO E QUALIFICARLO
DI QUESTO PATRIMONIO fa
parte il territorio dove sorgono gli edifici della Schola e dove si svolgono i
nostri seminari. Malgrado sia oggetto
delle continue attenzioni di un gruppo di soci che si dedicano da anni anche a preservare gli edifici e gli arredi,
una parte del terreno è stata lasciata
all’invadenza della vegetazione. Alla fine delle balze che movimentano il terreno,
un piccolo rivo perenne scorre sotto le
chiome di grandi alberi e separa per un
centinaio di metri il territorio della comunità dalla strada di accesso. Nessu no ha modo di godere di quel corso
d’acqua, una fitta barriera di rovi e di
malerbe lo impedisce: abbiamo pensato di raccordarlo con il viale d’ingres so creando un sentiero dove passeg giare; un sentiero può permettere a
tutti di vivere maggiormente il giardino della Schola di cui si gode durante
i seminari solo nel lavoro mattutino
dedicato alla natura.
E, invece, quali occasioni offre un
giardino per favorire la meditazione,
la tessitura dei fili della fantasia, la
concentrazione degli stati d’animo;
per concedersi momenti di riposo e di
quiete. Quali possibilità dona di restituire all’orecchio abilità perdute, di ri-
pristinare contatti divenuti inusuali, di
aprire l’udito a fruscii e sibili. Quante
forme del pensiero un giardino permette di esercitare: il pensiero pratico,
legato alle incombenze del dissodamento, della potatura, della cernita,
della raccolta; il pensiero contemplativo che si dispiega sul bello; il pensiero
scientifico impegnato a scoprire le regolarità della nascita e della morte, a
generalizzare ipotesi sul senso del
mondo; il pensiero poetico; magico;
quello geometrico, poiché la disposi zione delle piante, i viali, i loro intrecci
pensati, educano a ordinare, a dispor re in gerarchie; il pen siero simbolico:
ogni giardino è metafora generale del
vivere, della crescita e del declino.
Il progetto è ancora solo abbozza to: una breve galleria di archi leggeri ricoperti da rampicanti fa da invito al sentiero,
che accompagnerà a percorrere il perime tro del territorio. Lungo e inevitabilmente sinuoso per vincere la pendenza del
terreno, soprattutto nella parte più
prossima al viale d’ingresso, potrebbe
essere ombreggiato qua e là da un pergolato (di glicini? magari anche bianchi e rosa, da collezione) sotto il quale
trovare riposo e frescura nelle giornate
estive, seduti su una bella panca o, per-
L’ORTO DI UN PERDIGIORNO
A fermarsi e degnarlo di uno sguardo, ogni getto di rovo ha
un suo incanto struggente: il disegno minuzioso delle foglie,
l'eleganza della spina appena ricurva, la tavolozza di rossi
verdi e bruni. Il ragazzo di bottega d'un pittore d'altri tempi se
ché no, intorno a un piccolo tavolo.
Vari arbusti si potrebbero alternare a piante
già sviluppate e altre ancora piccole, in modo da creare sin dall’inizio un gioco di volumi e di ombre. Una sorta di corrimano
in legno a cui appoggiarsi potrebbe seguire tutto il percorso consentendo
anche di sporgersi per godere del rivolo che scorre in fondo. Ci piacerebbe
tenere conto di quanto avveniva nel
XVIII e all’inizio del XIX secolo, allorché i giardini venivano sovente divisi in
tre settori riservati alle passeggiate
mattutine, meridiane e serali. Ognuno
degli itinerari doveva tener conto delle
particolarità di luce e ombra, degli aromi, dei riflessi nell’acqua, della direzione dei raggi solari al mattino, durante
il giorno e di sera...
INVITO AI SOCI
Sono molte le energie,
l’accanimento, la generosità e
la pazienza necessarie per
poter armoniosamente
comporre elementi e materiali,
distribuire sole e ombra,
valorizzare sempre più quel
parco. Sarebbe bello se
potessimo concorrervi tutti.
Vi aspettiamo alla Schola
domenica 8 maggio
alle 9.30 per dare avvio al
ne sarebbe servito, di quella carrettata di more estirpate, per
progetto. Potete portare una
macerarci il nero di rovo, uno dei neri più belli, opaco e buio e
pianta o partecipare al suo
fuligginoso. (…) Che pena non aver attenzione bastante per il
acquisto (un elenco sarà
rigoglio di vita racchiusa in un piccolo spazio di terra.
Pia Pera
a disposizione in segreteria)
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APPUNTI S E Z I O N I
Il mito del mercato
ANTEFATTO, CONTENUTI ED ESPERIENZA COMPIUTA NELL’INCONTRO CON ACHILLE ROSSI ORGANIZZATO DALLA
SEZIONE DI BOLZANO SUL TEMA “SIAMO OGGETTO O SOGGETTO DEL SISTEMA ECONOMICO DOMINANTE ?”
L’ANTEFATTO: “Don Achille l’ho incontrato nell’ottobre del 2000 al Centro
Missionario Diocesano di Bolzano. Il suo intervento riguardava la formazione di un
gruppo di persone per un’esperienza di viaggio e lavoro in una missione, ed era incentrato sulle potenzialità e i rischi di un incontro tra culture diverse. Ricordo bene
la straordinaria capacità e serenità con cui esprimeva e sviluppava concetti complessi. Ero digiuno di tali problematiche e ascoltavo con attenzione e curiosità in
un silenzio che poneva le basi alla comune aspirazione del folto gruppo. Esordì dicendo: “Il villaggio globale non esiste. Esistono tanti villaggi quante sono le culture
umane e ognuna di esse ha qualcosa da dire. Dobbiamo provarci a essere pellegrini
e pontefici. Il nostro compito è quello di farci ponte tra i diversi villaggi e le culture diverse. È l’altra identità che mi mette in discussione poiché vede il mo ndo in altro
modo e chiama Dio in altro modo”. Poi, citando P . Tillich disse: “Dobbiamo saper
camminare sulle linee di confine”. Al termine della giornata mi sentivo carico di responsabilità ma anche fiducioso di riuscire a svolgere un compito sociale e umano.
Ho assunto il primo gruppo che si è recato in Africa e successivamente abbiamo
fondato un gruppo in Sezione che, attraverso una formazione pratica e spirituale,
ha realizzato un nuovo viaggio nel 2004 e si accinge ad accogliere le richieste di al tri amici e soci. Certo la stima e l’amicizia con Don Achille Rossi credo sia stata l’occasione che ha aperto la via all’evento di quest’anno, che ha consentito la prima,
vera presentazione alla cittadinanza di Bolzano della nostra associazione. La numerosa partecipazione ci ha gratificati e responsabilizzati a procedere.”
I CONTENUTI: Il potere delle
idee nella vita sociale” - tema propo sto quest’anno dalla ricerca sociale si è trasformato per la Sezione di Bolzano in un’esperienza che ha integrato il piano teorico con quello pratico:
l’incontro con don Achille Rossi,
aperto alla cittadinanza, tenutosi il 7
gennaio. Tutto è nato da una propo sta che il Consiglio Promotore ha accolto: il gruppo di ricerca sociale se
ne è assunta la realizzazione, proprio
per dare concretezza alle sollecitazioni culturali e ha coinvolto tutti i soci
che si sono attivati per diffondere l’evento. L’incontro si è svolto a dialogo
sul testo “Il mito del mercato” di cui
riportiamo alcuni stralci in relazione
alle domande poste all’autore:
Uno dei capitoli del suo libro è intitolato
“Economia come mito”. È inconsueto abbinare queste due parole, come mai usa il
termine mito? “L’economia si è identificata con la realtà: non c’è altro all’infuori di essa. Quando affermo che
esercita un ruolo mitico, voglio dire
che il funzionamento del sistema è
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diventato un mito in senso proprio.
Non si dovrebbe confondere il mito,
come avviene spesso nel linguaggio
corrente, con il racconto mitico o
con una stagione superata dell’umanità. Il mito è ciò che crediamo senza
nemmeno esserne coscienti, è quella
specie di utero che definisce per noi i
confini della realtà... l’economia è diventata il mito fondatore della nostra
realtà occidentale; non c’è altro al di
là di essa, perché al di fuori della
realtà non ci può essere altro.”
Ma allora, su di noi che viviamo in questa
società, che effetti produce tale mito?
“L’uomo creato da questo funzionamento del mito è una creatura superficiale e senza profondità, come se
avesse perduto l’orizzonte interiore,
quello che gli antichi chiamavano
l’asse cielo-terra. Un uomo impegnato in compiti molto specialistici, par cellizzati, eppure alla fine futili, sempre più competente in cose sempre
meno importanti; disperso e “disperato nel finito”, avrebbe detto Kierkegaard nel suo espressivo linguaggio.”
Quando ci vediamo all’interno e fagocitati
dal mito ci pare di non poter fare nulla. È
possibile uscire da questa situazione? Il
mito si può - come lei dice - “svelare”?
“Bisognerebbe fare un’apologia dei
gesti più semplici e banali per ritrovarne tutto lo spessore... mangiare...
camminare... parlare... persino respirare... riposare... Tornare a coniugare
in modo pienamente umano questi
verbi del quotidiano mi sembra un atteggiamento profondamente innovativo e alla portata di ogni persona.
Ognuno può essere attore di un cambiamento radicale che comincia dai
gesti su cui ha effettivamente potere.”
L’ESPERIENZA: Al termine di
una serata intensa, in cui don Achille
con semplicità ha sollecitato tutti a
uscire dal mito del mercato ripensando il quotidiano, le piccole azioni e
riattivando l’ascolto della dimensione
“simbolico - spirituale”, ci siamo resi
conto che il vero risultato del nostro
impegno non è stato l’affluenza del
numeroso quasi inaspettato pubblico,
bensì che ciascuno di noi abbia potuto conoscere un potenziale di sé e di
Centro Coscienza, riconoscere il potere di un’idea coltivata e condivisa
con responsabilità e fiducia, sperimentarsi nell’azione concreta sostenuta da un valore che necessariamente deve prendere forma nella realtà
in cui viviamo.
Se è vero che viviamo immersi
nel mito del mercato e a fatica stiamo
prendendo consapevolezza del nostro lasciarci essere oggetti del sistema economico dominante; se è vero
che solo lentamente riusciamo a promuovere piccole “riflessioni - azioni”
che ci rendono soggetti, pure abbiamo dimostrato a noi stessi che lì dove
siamo, con il nostro modo di essere e
i nostri gesti possiamo scegliere di fare la differenza “creando pazientemente un tessuto sociale diverso”.
C I N E M A APPUNTI
Il giovane che abita
case vuote
DOPO “PRIMAVERA, ESTATE,
AUTUNNO, INVERNO... E ANCORA
PRIMAVERA”, IL REGISTA COREANO
KIM KI-DUK PRESENTA COME
“FILM SORPRESA” ALLA 61a
MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE
CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA
“FERRO 3 - LA CASA VUOTA”
LA STORIA oscilla tra cronaca e
fantasia e contiene quel tanto di sogno e quel tanto di realtà da diventare poetica, forse anche simbolica. Ciò
che più colpisce in “Ferro 3 - la casa
vuota” è la quasi totale assenza di dialoghi; le immagini parlano da sole,
conducono lo spettatore in una storia
che inizialmente ha una parvenza
realistica, dato il contesto urbano nel
quale è ambientata, poi però diventa
sempre più strana, priva delle coordinate logico-comportamentali che ci
aspetteremmo da personaggi reali: il
nostro giovane non parla mai, abita le
case altrui, si prende a cuore la vicenda di una giovane donna che viene
maltrattata dal marito, seppellisce
con le dovute cure un uomo che trova morto, ma che non conosce. Le immagini con il loro potenziale evocativo e
la recitazione accattivante ci spingono in
un mondo tra sogno e realtà: il regista ripropone questa dicotomia sotto forma di riflessione alla fine del film.
Tae-suk, il giovane che abita le case vuote, contravviene al diritto di
proprietà, sacro per noi occidentali;
tuttavia lo guardiamo con una certa
benevolenza mentre si prende cura
dei luoghi che abita, aggiusta ciò che
trova rotto, fa il bucato! Prende qual cosa, ma dà anche qualcosa contravvenendo e oltrepassando la legge e la
logica comportamentale delle società
sviluppate. Altrettanto magica la relazione che si crea fra Tae-suk e Sunhwa: lui la difende dal marito ossessivo e violento; ciò introduce la problematica del «fare giustizia». Durante il
suo peregrinare, la coppia viene a
contatto con l’intimità propria di
ogni casa: l’arredamento e gli oggetti
parlano della personalità di chi ci vi ve. Tra le tante abitazioni s’introducono nella «casa del tè», accogliente,
elegante, dove i proprietari hanno lasciato un tavolino apparecchiato per
prendere il tè. In quella casa serena si
consuma il loro bacio appassionato;
qui Sun-hwa tornerà quando lui sarà
in carcere e Tae-suk andrà dopo essere diventato invisibile, solo per riposarsi sull’amato divano.
La coppia viene forzatamente divisa perché denunciata: la grave imputazione - aver assassinato l’uomo
che aveva sepolto - di cui è accusato il
giovane si rivela falsa, in ogni caso deve rispondere di violazione di domicilio. Lei è costretta a tornare dal mari to, lui viene arrestato. Le passioni sullo schermo sono forti: gelosia, ven detta, corruzione; rappresentate però
senza melodramma, con quel tipico
distacco orientale che ce le fa conoscere come parti dell’intera vicenda
umana. Il golf diventa ironicamente
uno strumento per esercitare violenza: il film inizia infatti con l’inquietante rumore prodotto dalla pallina
da golf lanciata contro una rete di
plastica, poi Tae-suk punisce il marito
usando il Ferro 3 con la violenza di
un giustiziere, il marito a sua volta restituisce il trattamento e infine il giovane, uscito di prigione, punisce il ca po della polizia per essersi lasciato
corrompere. Tutte azioni violente?
C’è una qualche traccia di giustizia
nella restituzione del torto subito?
Posto in cella d’isolamento il giovane si prende gioco della guardia
carceraria, compie una serie di esercizi per diventare invisibile; interessanti
le inquadrature della macchina da presa che diventa essa stessa l’occhio della
guardia che Tae-suk si è dipinto sul palmo
della mano per allenarsi: scruta la cella,
come l’occhio del carceriere, e non
trova nulla; Tae-suk ce l’ha fatta, è di ventato invisibile. Nel finale Sun-hwa
supera il disprezzo per il marito e gli
dice di amarlo, e poi bacia Tae-suk
che, presente/assente, gli sta alle spalle; i due giovani si ritrovano nel sogno
che hanno in comune, fatto di silenzi
e sguardi. E quando salgono insieme
su una bilancia pesano 0 grammi. Sono diventati angeli?
Nel dilemma tra legalità/illegalità, giusto/sbagliato, amore/odio il
regista ci tiene sospesi, mostrando come il mondo, comunque lo si guardi,
realtà o sogno che sia, può essere occasione di «elevati esercizi».
SCHEDA: I FILM PIÙ RECENTI
“Ferro 3 - La casa vuota” (Corea del Sud, 2004) di Kim Ki-duk,
con Hee Jae, Seung-yeon Lee.
“Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera”
(Corea del Sud/Germania, 2003) di Kim Ki-duk, con Oh Yeongsu, Kim Ki-duk, Kim Young-min, Seo Jae-kyeong.
“Indirizzo sconosciuto” (Corea del Sud, 2001) di Kim Ki-duk, con
Yang Dong-kun, Kim Young-min, Ban Min-jung, Bang Eun-jin
“L'isola - Seom” (Corea del Sud, 2000) di Kim Ki-duk, con Jung
Suh, Kim Yoosuk, Park Sung-hee, Jo Jae-hyeon, Jang Hang-seon
MARZO 2005 7
APPUNTI O T T A V A
segnalazioni
Mostre in corso
22 ottobre 2004 - 28
marzo 2005
Nell'occhio di Escher
Palazzo Caffarelli, Roma.
Numerose incisioni che
raffigurano il paesaggio
italiano, eseguite
dallʼartista nei
suoi frequenti viaggi
in Italia e, per la prima
volta, una serie di opere
grafiche dedicate a
Roma, dove lʼartista
soggiornò per lunghi anni
Orario di apertura:
da martedì a domenica,
dalle 9.00 alle 20.00
Chiuso il lunedì
La biglietteria chiude
alle ore 19.00
Luoghi
Per unʼesperienza
di intensa spiritualità:
Subiaco. Il Monastero del
Sacro Speco. A 78 Km
da Roma. Orario delle
visite: 9.00 -12.30;
15.00 -18.30. Indirizzo:
PP. Benedettini,
Monastero S. Speco,
00028 SUBIACO (Roma)
Telefono: 0774/85039
www.benedettini-subiaco.it
Letture
Tiziano Scarpa,
“Venezia è un pesce.
Una guida”
Feltrinelli, 2004
“Ti propongo questo
esercizio spirituale:
MAIEUTICA
APPUNTI
Appunti di Maieutica
periodico di Centro
Coscienza. C.so di Porta
Nuova 16, Milano.
Autorizzazione Tribunale
di Milano n. 59
del 8/2/2003;
Direttore Responsabile:
Cristina Strata.
Stampato da Arte Grafica,
via dei Cybo 3, Milano.
8 MARZO 2005
P A G I N A
diventa piede”: è lʼinvito
ai lettori che vogliano
intraprendere un itinerario
tra le esperienze fisiche
ed emotive possibili
nella città lagunare,
suggerite in nove capitoli
che danno ascolto agli
organi del corpo:
i piedi - appunto -, le
gambe, il cuore, le mani,
il volto, le orecchie, la
bocca, il naso, gli occhi
bibliografia
Anna Fabbrini, Quando
la vita fa male, Quaderni
di Maieutica, 2002
Friedrich Nietzsche,
La gaia scienza e Idilli
di Messina, Piccola
Biblioteca Adelphi, 1977
Festa di Pasqua 2003,
Marcel Proust. Riflessioni
sulla sofferenza, Quaderni
di Maieutica, 2003
Achille Rossi,
Il mito del mercato,
Città aperta,
Lʼaltra pagina, 2002
Salvatore Natoli,
Lʼesperienza del dolore,
Saggi Feltrinelli, 1986
Pia Pera, Lʼorto di un
perdigiorno,
Ponte alle Grazie, 2003
contrappunticontrappunti
329. Agi e ozio. C’è una selvatichezza tutta indiana, tipica del sangue
pellerossa, nel modo con cui gli americani anelano all’oro; e il
loro furibondo lavoro senza respiro - il vizio peculiare del nuovo mondo
- comincia già per contagio a inselvatichire la vecchia Europa e a
estendere su di essa una prodigiosa assenza di spiritualità. Ci si vergogna
già oggi del riposo, il lungo meditare crea quasi rimorsi di coscienza.
Si pensa con l’orologio alla mano, come si mangia a mezzogiorno
appuntando l’occhio sul bollettino di Borsa; si vive come uno che
continuamente “potrebbe farsi sfuggire” qualche cosa. “Meglio fare una
qualsiasi cosa che nulla” - anche questo principio è una regola per dare il
colpo di grazia a ogni educazione e ogni gusto superiore. E come tutte le
forme vanno visibilmente in rovina in questa fretta di chi lavora, così anche
il senso stesso della forma, l’orecchio e l’occhio per i movimenti, vanno
in rovina. La prova di ciò sta nella grossolana chiarezza oggi pretesa
ovunque, in tutte le situazioni in cui l’uomo vuole essere onesto con l’uomo,
nei rapporti con amici, donne, parenti, bambini, insegnanti, scolari,
condottieri e principi; non si ha più tempo né energia per il cerimoniale,
per i giri tortuosi della cortesia, per ogni esprit nella conversazione,
e soprattutto per ogni otium. Poiché la vita a caccia di guadagno costringe
continuamente a prodigarsi fino all’esaurimento in un costante fingere,
abbindolare o prevenire: la virtù vera è ora fare qualcosa in minor tempo di
un altro e così ci sono molto raramente ore di consentita onestà; in queste
tuttavia si è stanchi e non ci si vorrebbe soltanto lasciare andare, ma
buttare distesi pesantemente in lungo e in largo. (...) Che vergogna questa
parsimonia della “gioia” nei nostri uomini colti e non colti. Oh, che
vergogna questo crescente venire in sospetto di ogni gioia! Il lavoro ha
sempre di più dalla sua la buona coscienza: l’inclinazione alla gioia si
chiama già “bisogno di ricreazione” e comincia a vergognarsi di se stessa.
(...) Anzi, si potrebbe ben presto andare così lontano da non cedere
a una inclinazione alla vita contemplativa (vale a dire andare a passeggio
con pensieri e amici), senza disprezzare se stessi e senza cattiva
coscienza. Ebbene! Una volta era tutto il contrario: era il lavoro ad avere
su di sé la cattiva coscienza. (...) “La nobiltà e l’onore sono soltanto
nell’otium e nel bellum”, così suonava la voce dell’antico pregiudizio.
Friedrich Nietzsche, 1882, “La gaia scienza”