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MAIEUTICA APPUNTII r i v i s t a p e r i o d i c a d i C e n t r o C o s c i e n z a CINQUE ANNI FA IL CONSIGLIO DELLA CATEGORIA EFFETTIVI PROMOSSE ALCUNI SEMINARI DI FISIONOMIA DIFFERENTE DA QUELLA ABITUALE: PER LA DURATA, PER I CONTENUTI, PER LA COMPOSIZIONE DEI PARTECIPANTI. SI SVOLGEVANO IN UN FINE SETTIMANA, NON ERANO LEGATI A UN CORSO SPECIFICO, MA ACCOGLIEVANO SOCI, DELLA SEDE E DELLE SEZIONI, IMPEGNATI IN ATTIVITÀ DIVERSE. SOMMARIO Critica dellʼedonismo: sul dolore pagina 2 Mamme papà e bambini pagina 4 Un giardinaggio estetico meditativo pagina 5 Il mito del mercato pagina 6 Il giovane che abita case vuote pagina 7 Segnalazioni e bibliografia pagina 8 Contrappunti pagina 8 marzo 2005 numero 9 - 3,00 euro Si creava così uno spazio di incontro e condivisione di esperienze in un ambito più allargato e si favoriva il dialogo e il confronto fra persone che non avevano molte occasioni di scambio, concentrate com’erano nell’impegno nel loro gruppo. Si riscopriva insieme il senso dell’appartenenza a Unione Coscienza, denominatore comune del proprio operare. Con la collaborazione del consiglio aderenti se ne svolsero tre nell’estate del 2000, sul tema “Cooperazione e respon sabilità individuale”; l’anno successivo furono addirittura sei: tre in febbraio, su “Coltivazione interiore e rapporto sociale”, e tre nei mesi estivi, dedicati alla “Creazione di ambiente sociale”. La riflessione in gruppo sui testi proposti era arricchita dai momenti della giornata dedicati ad attività sociali e ricreative. L’adesione fu notevole quantitativamente (91 intervenuti nell’estate 2000, 104 nel febbraio 2001, 114 nell’estate 2001) e qualitativamente: tanto per i soci più anziani quanto per i nuovi fu particolarmente stimolante venire a conoscenza attraverso il contatto con gli altri partecipanti - dei multiformi aspetti delle attività in sede e nelle sezioni. Proprio per questo si avvertì l’importanza di non limitare l’opportunità solo ai soci ma di estenderla ai frequen tatori dei corsi, perché quei due giorni di vita in comune secondo uno stile favorivano un’accelerazione di consapevolezza di che cos’è Coscienza, dei principi su cui si fonda, delle finalità che si prefigge e delle attività che promuove. Si scelsero quindi temi, e testi, idonei allo scopo: “Chi siamo?” utilizzando, ad esempio, il catalo - go della mostra Parole e Immagini - che ricostruiva la storia di Centro Coscienza e ne presentava il patrimonio culturale o la relazione del Presidente all’assemblea generale dei soci. Quest’anno i seminari propongono un’ulteriore apertura: non vincolare la partecipazione all’essere esplicitamente invitati ma far sì che chiunque lo voglia si iscriva, proprio come a un corso; ecco quindi comparire per la prima volta le locandine e i cartoncini illustrativi, che permettono di diffondere la comunica zione. Anche per persone completamente nuove può essere un’occasione privilegiata per incontrare l’ambiente e il metodo di ricerca, tanto più dato l’argomento scelto: “Incontro con il pensiero di Tullio Castellani”. In ognuno dei quattro seminari si lavorerà su brani tratti dai suoi scritti, le “Lettere agli amici”, o la “Critica interiore del fascismo”, così come “L’esperienza umana” oppure “Incontro fra Occidente e Oriente”, la raccolta “Editoriali” o altri ancora. L’intento è di accostare e approfondire insieme i contenuti e le articolazioni dell’opera di Castellani che sempre più rivela la sua attualità. I seminari si svolgono alla Schola di Morosolo dal venerdì sera alle 20.00 alla domenica pomeriggio. Chi desidera partecipare può iscriversi presso la segreteria. Queste le date: dal 15 al 17 aprile; dal 13 al 15 maggio; dal 16 al 18 settembre MARZO 2005 1 APPUNTI R I F L E S S I O N I Critica dell’edonismo: CHE RAPPORTO ABBIAMO CON LA SOFFERENZA? UN ARTICOLO USCITO TEMPO FA SU UN QUOTIDIANO È LO SPUNTO ENTRIAMO nella classe di una scuola di periferia: il professore vorrebbe interrogare un’allieva, due domandine su un racconto di Maupassant letto nella lezione precedente, niente di difficile. Ebbene, la ragazza si rifiuta tassativamente di farsi interrogare, non ci pensa proprio di alzarsi e rispondere. Il professore le chiede il perché di quella decisione: non ha studiato, (...) Come genitori, che cosa possiamo fare? Possiamo darci il compito di “aiutare” i nostri figli a essere felici, nutrendoli dell’illusione di una vita senza scosse, oppure possiamo cambiare punto di vista e immaginare che la “felicità” sia qualcosa che somiglia alla capacità di fare esperienza di ciò che la vita via via ci fa incontrare, qualunque ne sia il contenuto. Possiamo cominciare a pensare che la “felicità” sia proprio la competenza a far funzionare questa “bussola” che ci fa diventare capaci di vivere gioie e sofferenze e in questo processo assumere il ruolo di testimoni che dicono: “è così, c’è anche questo, e io ti posso dire un po’ come si fa, per quel che ne so”. Non credo che facciamo un buon lavoro quando risparmiamo ai figli la sofferenza: diventiamo piuttosto complici di un’illusione, gli raccontiamo una storia che non è vera. Anna Fabbrini, “Quando la vita fa male” non ricorda, pensa di essere più pronta l’indomani? Perché adesso non vuole accettare due domande? La risposta è semplice e chiara: “Non voglio soffrire neanche un minuto: ma nessuno vuole più soffrire, non se ne è accorto professore?”. (...) Ecco la verità centrale della nostra civiltà, ciò che prima l’ha resa straordinaria e ora la rende così fragile. Contro la crudeltà della Natura, contro la violenza degli uomini, contro i sensi di colpa e contro ogni dolore, la nostra civiltà ha trovato mille soluzioni. I nostri padri e i nostri fratelli maggiori hanno inventato l’anestesia, lo stato sociale, il tempo libe ro, il divorzio e l’aborto, le medicine, il cinema e la televisione, i centri anziani e le ferie, i bar e il campionato di calcio, il laicismo e il diritto al piacere: e il mondo è diventato migliore, tanta inutile pena è stata sconfitta. Siamo vissuti a lungo in un tempo che ha quasi realizzato il sogno di una vita più felice, di una rosa quasi senza spine. Certo, la sofferenza non può mai essere debellata totalmente perché le prepotenze sociali restano, perché la morte alla fine arriva, perché la vita comunque è dura. E soprattutto non s i può cancellare la fatica che ognuno deve fare per dare una forma alla propria esistenza. Ognuno sa di avere un destino da compiere, e questo costa un impegno e dunque anche una sofferenza. (...) Insomma, abbiamo costruito un modello di società dove non dobbiamo patire insensatamente: dobbiamo solo cercare di essere felici esprimendo il meglio di noi stessi, e forse possiamo an che farcela. Ma ora questo modello traballa per lo stesso motivo per cui si è imposto. Come ha dichiarato quell’alunna, noi non vogliamo soffrire mai, neppure per un momento, neppure per misurare le nostre forze. Ancora una volta dai ragazzi, avanguardia del tempo, ci arriva il messaggio più nitido, quello che ci costringe Marcel Proust: “il compito del dolore” “Per il corpo, infatti, solo la felicità è salutare; ma è il dolore a sviluppare le forze dello spirito. D’altronde, anche se non ci rivelasse ogni volta una legge, esso ci sarebbe pur sempre indispensabile per rimetterci ogni volta nella verità, per costringerci a prendere le cose sul serio, strappando via ogni volta le male erbe dell’abitudine, dello scetticismo, della leggerezza, dell’indifferenza”. Ecco il compito del dolore che lo affratella all’arte (...) Non solo esso aggredisce e dis- 2 MARZO 2005 solve le incrostazioni che invadono e soffocano la verità della vita di ciascuno, rendendoci appagati e ot tusi, indifferenti, superficiali nelle abitudini senza scosse, ma è capace di rivelare “ogni volta una legge”: infrangendo l’acquiescenza e il pregiudizio, getta come una luce impensabile su ciò che di noi stessi ignoravamo e forse ci rifiutavamo di guardare. Festa di Pasqua 2003, “Marcel Proust. Riflessioni sulla sofferenza”, Quaderni di Maieutica, 2003 sul dolore PER INDAGARE QUALE VALORE E “UTILITÀ” LE ATTRIBUIAMO a riflettere sul centro della fare più nulla, diventiamo questione. La nostra capagrassi e pigri, scontenti cità di sopportare le diffisenza dolore, annoiati in coltà, di raccogliere le tanta fortuna. Diventiamo energie di fronte a una picdeboli, e la sofferenza se ne cola salita, di pretendere accorge e torna in forme qualcosa di più da noi stesnuove a minacciare quanto si grazie a uno sforzo anche esiguo, ormai si sta esaurendo. Andiamo avanti a pasticche che sollevano Sotto il segno del dolore dalla depressione o smorzano l’ansia, beil mondo appare viamo per non sentir“trasformato” nella sua ci inadeguati, abbassiamo ogni giorno gli interezza: in questo obiettivi, ci ritiriamo senso il dolore da ogni confronto, appartiene al genere anche dal confronto con la nostra vita e delle esperienze cruciali con i nostri sogni. poiché esso sottopone (...) Persino la malinconia, sentimento cagli uomini ad una pace di allargare l’atensione che, quando nima per farle accogliere tanta altra vita, non produce distruzione, viene respinta dal noaccresce certamente stro modello imperante. E così questa la percezione. civiltà, che tante batIl dolore ...rompe il ritmo taglie ha combattuto e vinto contro ogni abituale dell’esistenza, dolore, ora si sta affloproduce quella sciando. Ogni nobile illusione viene immediadiscontinuità sufficiente tamente scartata perchè per gettare nuova luce prevede una fatica che sulle cose ed essere non si desidera più compiere. Anche una seminsieme "patimento e plice interrogazione o rivelazione". Salvatore Natoli un compitino in classe diventano vette impervie da spianare con un di buono è stato costruito: rifiuto, in nome di un edo ci scopre vuoti, piccoli, di nismo assoluto. I nostri pasarmati, infelicemente soddri hanno preso a schiaffi disfatti, e si prepara a rovila sofferenza, noi invece narci. Marco Lodoli, “Se i nostri oggi restiamo zitti e buoni, ragazzi non sanno più soffrire”, la crediamo che non si debba Repubblica, 22 novembre 2004 ESPERIENZA CRUCIALE 338. LA VOLONTÀ DI SOFFRIRE E I COMPASSIONEVOLI (...) Ciò di cui soffriamo nel modo più profondo e personale è incomprensibile e inaccessibile a quasi tutti gli altri: in ciò restiamo nascosti al prossimo anche se questi mangia con noi dallo stesso piatto. Ma ovunque venga notata la nostra condizione di sofferenti, il nostro dolore è super ficialmente interpretato; conviene all’essenza dello stato affettivo pietoso spogliare la sofferenza altrui di quel che essa ha di propriamente personale: i nostri “benefattori” sono, più dei nostri nemici, coloro che disprezzano il nostro valore e la nostra volontà. Nella maggior parte dei benefici usati verso gli sventurati, c’è qualcosa, - nell’intellettuale frivolezza con cui il pietoso recita a questo punto la parte del destino, - che suscita sdegno: costui non sa nulla di tutta quell’intima sequenza e intreccio che per me o per te si chiama infelicità! Tutta l’economia della mia anima e il suo equilibrio determinato dall’ “infelicità”, l’erompere di nuove sorgenti ed esigenze, il rimarginarsi di antiche piaghe, il fatto che interi periodi del passato siano ricacciati indietro... non preoccupa il buon pietoso: egli vuole aiutare e non pensa che esista una personale necessità della sventura (...) No, di questo egli non sa nulla: la “religione della pietà” (ovvero “il cuore”) comanda di aiutare e si crede di aver aiutato nel modo migliore, se si è prestato aiuto nel modo più rapido! Se voi, seguaci di questa religione, avete realmente anche nei riguardi di voi stessi lo stesso atteggiamento interiore che nutrite per i vostri simili, se non volete neppure per un’ora lasciare gravare su di voi la vostra propria sofferenza, e già da lontano continuamente cercate riparo a ogni possibile sventura, se sentite la vostra sofferenza e afflizione come malvagie, esecrabili, meritevoli di annientamento, come contaminazioni dell’esistenza, ebbene, vuol dire che oltre alla vostra religione della pietà, voi avete in cuore anche un’altra religione, e questa è forse la madre di quella: la religione della vita comoda. Ah! Quanto poco sapete voi della felicità dell’uomo, voi gente pacifica e bonaria! Giacché la felicità e l’infeli cità sono due sorelle, e gemelle, che diventano grandi insieme o, come accade per voi, restano piccole insieme. (...) Lo so: ci sono cento modi onorevoli e famosi per sviarmi dalla mia strada, e in verità modi “altamente” morali! (...) Esiste una segreta seduzione perfino in tutto questo risvegliar la pietà e invocare aiuto: appunto la nostra “propria via” è una cosa troppo dura ed esigente ed è troppo lontana dall’amore e dalla gratitudine degli altri - non è affatto a malincuore che sfuggiamo a essa e alla nostra coscienza più propria, per trovar rifugio sotto la coscienza degli altri e dentro il buon tempio della “religione della pietà”. (...) E, pur tacendo qui alcune cose, non voglio tuttavia passare sotto silenzio la mia morale che mi dice: vivi nascosto affinché tu possa vivere per te stesso, vivi ignorando ciò che alla tua epoca sembra il più importante! Fra te e l’oggi metti per lo meno la pelle di tre secoli! Anche tu vorrai prestar soccorso: ma soltanto a coloro di cui comprendi pienamente l’estrema miseria, giacché essi hanno in comune con te un solo dolore e una sola speranza i tuoi amici; e soltanto in quel modo con cui tu porti aiuto a te stesso: li voglio fare più coraggiosi, più tetragoni, più semplici, più gioiosi! Voglio insegnar loro quel che oggi son così pochi a capire, e tanto meno poi quei predicatori del compatire - a congioire! Friedrich Nietzsche MARZO 2005 3 APPUNTI P R O G E T T I L’ESIGENZA DI UN GRUPPO DI GIOVANI SOCI: RIATTINGERE, DAL PROFONDO, ALLA RADICE CHE HA ALIMENTATO LA RICERCA EDUCATIVA. UN LAVORO INTENSO DI PREPARAZIONE E FORMAZIONE ALL’ASCOLTO EDUCATIVO. ORA UN PRIMO CORSO SPERIMENTALE - A INVITI - PER COPPIE DI GENITORI CON BAMBINI FINO A CINQUE ANNI DI ETÀ “ La sua casa sa di liquirizia antica. Cesarina ci accoglie sempre abbracciandoci e ci invita a sederci nel suo salottino, che sem bra composto ogni volta per noi, con le sedie vici ne. Noi entriamo con il pensiero dei bimbi affidati a papà, nonne, nidi, ma appena cominciamo a lavorare sentiamo che i bambini non sono mai stati così presenti a noi come ora. Ci andiamo piene di aspettative: ricordi, libri, disegni, fotocopie… Cesarina ci sembrava una biblioteca alessandrina da salvare. Poi abbiamo scoperto che non da lì sar emmo partiti. Anzi che lì non saremmo mai approdati se non a dosi omeopatiche. Ci incontriamo prima una volta alla settimana, poi ogni due. Il dialogo sembra sempre partire da un respiro profondo, da un augurio di toccare le risorse più vere di cui disponiamo, per costruire una grotta di silenzio e di ascolto. Solo una volta “scavata”, 4 MARZO 2005 scopro, questa grotta, questo grembo può diventare fucina di sentimenti nuovi; da far scorrere non solo fra noi e i bambini ma an che tra noi adulti che for miamo il loro ambiente di crescita. A volte l’occasione è un avvenimento, a volte un momento particolare dell’anno, un’altra un “tema” che torna e ritorna sotto forma di problema. L’esercizio è sempre quello di fermarsi ad ascoltare, prima di progettare o prima, anche, di stare fermi. Lì, in quel cerchietto di sedie, le nostre parole ci ritraggono “da fuori”: muoverci insieme ai bambini con le nostre impazienze, le nostre titubanze, i nostri formalismi. Senza che da questo guardare vengano tratte conclusioni lapidarie o definitive. Cercando di volta in volta uno spunto concreto - una fiaba, un gioco, un’esperienza - che ci accompagni fuori dalle secche. Interiori prima che pratiche. Quel “ Mamme papà e bambini tanto da farci sentire una volta di più che nell’imparare a diventare mamme (a diventare papà), oltre all’amore - alla fatica, alla precarietà, alla tenerezza c’è in gioco qualcosa di immenso. Creare uno spazio, libero e articolato al tempo stesso, in cui possa esprimersi la pienezza di una possibilità umana, che è un bene non mio, né nostro, ma di tutti. Pappe, nanne, feste si trasformano sotto i nostri occhi in piccole, misteriose incognite da elaborare, perché il rapporto rimanga all’altezza delle nostre aspirazioni. Davanti a un attimo di scoramento ho percepito una specie di ondata di comprensione mentre Cesarina diceva con i suoi occhietti raggianti e umidi, stringendo le mani: “Abbraccia il tuo patimento… le hai tentate tutte, ma forse non l’ultima… un attimo rigenerante, tu e lei…” Adesso si tratta di allargare il cerchietto di se die. Di provare a rifondare un nucleo dalle radici antiche; di approfondire, proponendo a coppie di genitori il filo di una tradizione di ricerca che non tenta di placare la nostra ansia di sciogliere i problemi, ma che domanda al cuore di allargarsi, di ospitare ciò che appare dapprima inospitabile, di alzare gli occhi anche oltre l’amore materno e paterno per captare il respiro di una vita a cui pur dobbiamo questo dono grande. Inutile dire che vorremmo Cesarina (e altre “colonne” dell’educativo!) con noi, inutile dire che lei non ci sarà. Le è cara l’immagine della rondine, che imbocca i rondinini per un po’. Poi si ferma, e aspetta. Il corso non si propone di risolvere problemi, ma di creare uno spazio di ascolto di noi e del bambino che ci consenta di accompagnarne la crescita. Intende proporre un lavoro che metta in moto la creatività di ciascuno a partire dal sentimento d’amore per il bimbo. I temi: Lo spazio della maternità-paternità: quale nido? Lo spazio della maternità-paternità: condizioni per un dialogo. Strumenti del rapporto educativo: creatività e meraviglia. Il nutrimento: sguardo sul momento dei pasti. L’incontro con la notte: accompagnare al sonno. Strumenti del rapporto educativo: la natura e il mito della crescita. I sei incontri si svolgeranno il venerdì sera alle 19.00 a partire dall’8 aprile. Sono programmate inoltre 2 domeniche di sperimentazione con i bambini Un giardinaggio estetico meditativo MOROSOLO: UN PATRIMONIO NON SOLO SPIRITUALE, MA ANCHE MATERIALE CHE STIMOLA CONTINUAMENTE I SOCI AD ATTIVITÀ DI GRUPPO PER CONSERVARLO E QUALIFICARLO DI QUESTO PATRIMONIO fa parte il territorio dove sorgono gli edifici della Schola e dove si svolgono i nostri seminari. Malgrado sia oggetto delle continue attenzioni di un gruppo di soci che si dedicano da anni anche a preservare gli edifici e gli arredi, una parte del terreno è stata lasciata all’invadenza della vegetazione. Alla fine delle balze che movimentano il terreno, un piccolo rivo perenne scorre sotto le chiome di grandi alberi e separa per un centinaio di metri il territorio della comunità dalla strada di accesso. Nessu no ha modo di godere di quel corso d’acqua, una fitta barriera di rovi e di malerbe lo impedisce: abbiamo pensato di raccordarlo con il viale d’ingres so creando un sentiero dove passeg giare; un sentiero può permettere a tutti di vivere maggiormente il giardino della Schola di cui si gode durante i seminari solo nel lavoro mattutino dedicato alla natura. E, invece, quali occasioni offre un giardino per favorire la meditazione, la tessitura dei fili della fantasia, la concentrazione degli stati d’animo; per concedersi momenti di riposo e di quiete. Quali possibilità dona di restituire all’orecchio abilità perdute, di ri- pristinare contatti divenuti inusuali, di aprire l’udito a fruscii e sibili. Quante forme del pensiero un giardino permette di esercitare: il pensiero pratico, legato alle incombenze del dissodamento, della potatura, della cernita, della raccolta; il pensiero contemplativo che si dispiega sul bello; il pensiero scientifico impegnato a scoprire le regolarità della nascita e della morte, a generalizzare ipotesi sul senso del mondo; il pensiero poetico; magico; quello geometrico, poiché la disposi zione delle piante, i viali, i loro intrecci pensati, educano a ordinare, a dispor re in gerarchie; il pen siero simbolico: ogni giardino è metafora generale del vivere, della crescita e del declino. Il progetto è ancora solo abbozza to: una breve galleria di archi leggeri ricoperti da rampicanti fa da invito al sentiero, che accompagnerà a percorrere il perime tro del territorio. Lungo e inevitabilmente sinuoso per vincere la pendenza del terreno, soprattutto nella parte più prossima al viale d’ingresso, potrebbe essere ombreggiato qua e là da un pergolato (di glicini? magari anche bianchi e rosa, da collezione) sotto il quale trovare riposo e frescura nelle giornate estive, seduti su una bella panca o, per- L’ORTO DI UN PERDIGIORNO A fermarsi e degnarlo di uno sguardo, ogni getto di rovo ha un suo incanto struggente: il disegno minuzioso delle foglie, l'eleganza della spina appena ricurva, la tavolozza di rossi verdi e bruni. Il ragazzo di bottega d'un pittore d'altri tempi se ché no, intorno a un piccolo tavolo. Vari arbusti si potrebbero alternare a piante già sviluppate e altre ancora piccole, in modo da creare sin dall’inizio un gioco di volumi e di ombre. Una sorta di corrimano in legno a cui appoggiarsi potrebbe seguire tutto il percorso consentendo anche di sporgersi per godere del rivolo che scorre in fondo. Ci piacerebbe tenere conto di quanto avveniva nel XVIII e all’inizio del XIX secolo, allorché i giardini venivano sovente divisi in tre settori riservati alle passeggiate mattutine, meridiane e serali. Ognuno degli itinerari doveva tener conto delle particolarità di luce e ombra, degli aromi, dei riflessi nell’acqua, della direzione dei raggi solari al mattino, durante il giorno e di sera... INVITO AI SOCI Sono molte le energie, l’accanimento, la generosità e la pazienza necessarie per poter armoniosamente comporre elementi e materiali, distribuire sole e ombra, valorizzare sempre più quel parco. Sarebbe bello se potessimo concorrervi tutti. Vi aspettiamo alla Schola domenica 8 maggio alle 9.30 per dare avvio al ne sarebbe servito, di quella carrettata di more estirpate, per progetto. Potete portare una macerarci il nero di rovo, uno dei neri più belli, opaco e buio e pianta o partecipare al suo fuligginoso. (…) Che pena non aver attenzione bastante per il acquisto (un elenco sarà rigoglio di vita racchiusa in un piccolo spazio di terra. Pia Pera a disposizione in segreteria) MARZO 2005 5 APPUNTI S E Z I O N I Il mito del mercato ANTEFATTO, CONTENUTI ED ESPERIENZA COMPIUTA NELL’INCONTRO CON ACHILLE ROSSI ORGANIZZATO DALLA SEZIONE DI BOLZANO SUL TEMA “SIAMO OGGETTO O SOGGETTO DEL SISTEMA ECONOMICO DOMINANTE ?” L’ANTEFATTO: “Don Achille l’ho incontrato nell’ottobre del 2000 al Centro Missionario Diocesano di Bolzano. Il suo intervento riguardava la formazione di un gruppo di persone per un’esperienza di viaggio e lavoro in una missione, ed era incentrato sulle potenzialità e i rischi di un incontro tra culture diverse. Ricordo bene la straordinaria capacità e serenità con cui esprimeva e sviluppava concetti complessi. Ero digiuno di tali problematiche e ascoltavo con attenzione e curiosità in un silenzio che poneva le basi alla comune aspirazione del folto gruppo. Esordì dicendo: “Il villaggio globale non esiste. Esistono tanti villaggi quante sono le culture umane e ognuna di esse ha qualcosa da dire. Dobbiamo provarci a essere pellegrini e pontefici. Il nostro compito è quello di farci ponte tra i diversi villaggi e le culture diverse. È l’altra identità che mi mette in discussione poiché vede il mo ndo in altro modo e chiama Dio in altro modo”. Poi, citando P . Tillich disse: “Dobbiamo saper camminare sulle linee di confine”. Al termine della giornata mi sentivo carico di responsabilità ma anche fiducioso di riuscire a svolgere un compito sociale e umano. Ho assunto il primo gruppo che si è recato in Africa e successivamente abbiamo fondato un gruppo in Sezione che, attraverso una formazione pratica e spirituale, ha realizzato un nuovo viaggio nel 2004 e si accinge ad accogliere le richieste di al tri amici e soci. Certo la stima e l’amicizia con Don Achille Rossi credo sia stata l’occasione che ha aperto la via all’evento di quest’anno, che ha consentito la prima, vera presentazione alla cittadinanza di Bolzano della nostra associazione. La numerosa partecipazione ci ha gratificati e responsabilizzati a procedere.” I CONTENUTI: Il potere delle idee nella vita sociale” - tema propo sto quest’anno dalla ricerca sociale si è trasformato per la Sezione di Bolzano in un’esperienza che ha integrato il piano teorico con quello pratico: l’incontro con don Achille Rossi, aperto alla cittadinanza, tenutosi il 7 gennaio. Tutto è nato da una propo sta che il Consiglio Promotore ha accolto: il gruppo di ricerca sociale se ne è assunta la realizzazione, proprio per dare concretezza alle sollecitazioni culturali e ha coinvolto tutti i soci che si sono attivati per diffondere l’evento. L’incontro si è svolto a dialogo sul testo “Il mito del mercato” di cui riportiamo alcuni stralci in relazione alle domande poste all’autore: Uno dei capitoli del suo libro è intitolato “Economia come mito”. È inconsueto abbinare queste due parole, come mai usa il termine mito? “L’economia si è identificata con la realtà: non c’è altro all’infuori di essa. Quando affermo che esercita un ruolo mitico, voglio dire che il funzionamento del sistema è 6 MARZO 2005 diventato un mito in senso proprio. Non si dovrebbe confondere il mito, come avviene spesso nel linguaggio corrente, con il racconto mitico o con una stagione superata dell’umanità. Il mito è ciò che crediamo senza nemmeno esserne coscienti, è quella specie di utero che definisce per noi i confini della realtà... l’economia è diventata il mito fondatore della nostra realtà occidentale; non c’è altro al di là di essa, perché al di fuori della realtà non ci può essere altro.” Ma allora, su di noi che viviamo in questa società, che effetti produce tale mito? “L’uomo creato da questo funzionamento del mito è una creatura superficiale e senza profondità, come se avesse perduto l’orizzonte interiore, quello che gli antichi chiamavano l’asse cielo-terra. Un uomo impegnato in compiti molto specialistici, par cellizzati, eppure alla fine futili, sempre più competente in cose sempre meno importanti; disperso e “disperato nel finito”, avrebbe detto Kierkegaard nel suo espressivo linguaggio.” Quando ci vediamo all’interno e fagocitati dal mito ci pare di non poter fare nulla. È possibile uscire da questa situazione? Il mito si può - come lei dice - “svelare”? “Bisognerebbe fare un’apologia dei gesti più semplici e banali per ritrovarne tutto lo spessore... mangiare... camminare... parlare... persino respirare... riposare... Tornare a coniugare in modo pienamente umano questi verbi del quotidiano mi sembra un atteggiamento profondamente innovativo e alla portata di ogni persona. Ognuno può essere attore di un cambiamento radicale che comincia dai gesti su cui ha effettivamente potere.” L’ESPERIENZA: Al termine di una serata intensa, in cui don Achille con semplicità ha sollecitato tutti a uscire dal mito del mercato ripensando il quotidiano, le piccole azioni e riattivando l’ascolto della dimensione “simbolico - spirituale”, ci siamo resi conto che il vero risultato del nostro impegno non è stato l’affluenza del numeroso quasi inaspettato pubblico, bensì che ciascuno di noi abbia potuto conoscere un potenziale di sé e di Centro Coscienza, riconoscere il potere di un’idea coltivata e condivisa con responsabilità e fiducia, sperimentarsi nell’azione concreta sostenuta da un valore che necessariamente deve prendere forma nella realtà in cui viviamo. Se è vero che viviamo immersi nel mito del mercato e a fatica stiamo prendendo consapevolezza del nostro lasciarci essere oggetti del sistema economico dominante; se è vero che solo lentamente riusciamo a promuovere piccole “riflessioni - azioni” che ci rendono soggetti, pure abbiamo dimostrato a noi stessi che lì dove siamo, con il nostro modo di essere e i nostri gesti possiamo scegliere di fare la differenza “creando pazientemente un tessuto sociale diverso”. C I N E M A APPUNTI Il giovane che abita case vuote DOPO “PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO, INVERNO... E ANCORA PRIMAVERA”, IL REGISTA COREANO KIM KI-DUK PRESENTA COME “FILM SORPRESA” ALLA 61a MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA “FERRO 3 - LA CASA VUOTA” LA STORIA oscilla tra cronaca e fantasia e contiene quel tanto di sogno e quel tanto di realtà da diventare poetica, forse anche simbolica. Ciò che più colpisce in “Ferro 3 - la casa vuota” è la quasi totale assenza di dialoghi; le immagini parlano da sole, conducono lo spettatore in una storia che inizialmente ha una parvenza realistica, dato il contesto urbano nel quale è ambientata, poi però diventa sempre più strana, priva delle coordinate logico-comportamentali che ci aspetteremmo da personaggi reali: il nostro giovane non parla mai, abita le case altrui, si prende a cuore la vicenda di una giovane donna che viene maltrattata dal marito, seppellisce con le dovute cure un uomo che trova morto, ma che non conosce. Le immagini con il loro potenziale evocativo e la recitazione accattivante ci spingono in un mondo tra sogno e realtà: il regista ripropone questa dicotomia sotto forma di riflessione alla fine del film. Tae-suk, il giovane che abita le case vuote, contravviene al diritto di proprietà, sacro per noi occidentali; tuttavia lo guardiamo con una certa benevolenza mentre si prende cura dei luoghi che abita, aggiusta ciò che trova rotto, fa il bucato! Prende qual cosa, ma dà anche qualcosa contravvenendo e oltrepassando la legge e la logica comportamentale delle società sviluppate. Altrettanto magica la relazione che si crea fra Tae-suk e Sunhwa: lui la difende dal marito ossessivo e violento; ciò introduce la problematica del «fare giustizia». Durante il suo peregrinare, la coppia viene a contatto con l’intimità propria di ogni casa: l’arredamento e gli oggetti parlano della personalità di chi ci vi ve. Tra le tante abitazioni s’introducono nella «casa del tè», accogliente, elegante, dove i proprietari hanno lasciato un tavolino apparecchiato per prendere il tè. In quella casa serena si consuma il loro bacio appassionato; qui Sun-hwa tornerà quando lui sarà in carcere e Tae-suk andrà dopo essere diventato invisibile, solo per riposarsi sull’amato divano. La coppia viene forzatamente divisa perché denunciata: la grave imputazione - aver assassinato l’uomo che aveva sepolto - di cui è accusato il giovane si rivela falsa, in ogni caso deve rispondere di violazione di domicilio. Lei è costretta a tornare dal mari to, lui viene arrestato. Le passioni sullo schermo sono forti: gelosia, ven detta, corruzione; rappresentate però senza melodramma, con quel tipico distacco orientale che ce le fa conoscere come parti dell’intera vicenda umana. Il golf diventa ironicamente uno strumento per esercitare violenza: il film inizia infatti con l’inquietante rumore prodotto dalla pallina da golf lanciata contro una rete di plastica, poi Tae-suk punisce il marito usando il Ferro 3 con la violenza di un giustiziere, il marito a sua volta restituisce il trattamento e infine il giovane, uscito di prigione, punisce il ca po della polizia per essersi lasciato corrompere. Tutte azioni violente? C’è una qualche traccia di giustizia nella restituzione del torto subito? Posto in cella d’isolamento il giovane si prende gioco della guardia carceraria, compie una serie di esercizi per diventare invisibile; interessanti le inquadrature della macchina da presa che diventa essa stessa l’occhio della guardia che Tae-suk si è dipinto sul palmo della mano per allenarsi: scruta la cella, come l’occhio del carceriere, e non trova nulla; Tae-suk ce l’ha fatta, è di ventato invisibile. Nel finale Sun-hwa supera il disprezzo per il marito e gli dice di amarlo, e poi bacia Tae-suk che, presente/assente, gli sta alle spalle; i due giovani si ritrovano nel sogno che hanno in comune, fatto di silenzi e sguardi. E quando salgono insieme su una bilancia pesano 0 grammi. Sono diventati angeli? Nel dilemma tra legalità/illegalità, giusto/sbagliato, amore/odio il regista ci tiene sospesi, mostrando come il mondo, comunque lo si guardi, realtà o sogno che sia, può essere occasione di «elevati esercizi». SCHEDA: I FILM PIÙ RECENTI “Ferro 3 - La casa vuota” (Corea del Sud, 2004) di Kim Ki-duk, con Hee Jae, Seung-yeon Lee. “Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera” (Corea del Sud/Germania, 2003) di Kim Ki-duk, con Oh Yeongsu, Kim Ki-duk, Kim Young-min, Seo Jae-kyeong. “Indirizzo sconosciuto” (Corea del Sud, 2001) di Kim Ki-duk, con Yang Dong-kun, Kim Young-min, Ban Min-jung, Bang Eun-jin “L'isola - Seom” (Corea del Sud, 2000) di Kim Ki-duk, con Jung Suh, Kim Yoosuk, Park Sung-hee, Jo Jae-hyeon, Jang Hang-seon MARZO 2005 7 APPUNTI O T T A V A segnalazioni Mostre in corso 22 ottobre 2004 - 28 marzo 2005 Nell'occhio di Escher Palazzo Caffarelli, Roma. Numerose incisioni che raffigurano il paesaggio italiano, eseguite dallʼartista nei suoi frequenti viaggi in Italia e, per la prima volta, una serie di opere grafiche dedicate a Roma, dove lʼartista soggiornò per lunghi anni Orario di apertura: da martedì a domenica, dalle 9.00 alle 20.00 Chiuso il lunedì La biglietteria chiude alle ore 19.00 Luoghi Per unʼesperienza di intensa spiritualità: Subiaco. Il Monastero del Sacro Speco. A 78 Km da Roma. Orario delle visite: 9.00 -12.30; 15.00 -18.30. Indirizzo: PP. Benedettini, Monastero S. Speco, 00028 SUBIACO (Roma) Telefono: 0774/85039 www.benedettini-subiaco.it Letture Tiziano Scarpa, “Venezia è un pesce. Una guida” Feltrinelli, 2004 “Ti propongo questo esercizio spirituale: MAIEUTICA APPUNTI Appunti di Maieutica periodico di Centro Coscienza. C.so di Porta Nuova 16, Milano. Autorizzazione Tribunale di Milano n. 59 del 8/2/2003; Direttore Responsabile: Cristina Strata. Stampato da Arte Grafica, via dei Cybo 3, Milano. 8 MARZO 2005 P A G I N A diventa piede”: è lʼinvito ai lettori che vogliano intraprendere un itinerario tra le esperienze fisiche ed emotive possibili nella città lagunare, suggerite in nove capitoli che danno ascolto agli organi del corpo: i piedi - appunto -, le gambe, il cuore, le mani, il volto, le orecchie, la bocca, il naso, gli occhi bibliografia Anna Fabbrini, Quando la vita fa male, Quaderni di Maieutica, 2002 Friedrich Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, Piccola Biblioteca Adelphi, 1977 Festa di Pasqua 2003, Marcel Proust. Riflessioni sulla sofferenza, Quaderni di Maieutica, 2003 Achille Rossi, Il mito del mercato, Città aperta, Lʼaltra pagina, 2002 Salvatore Natoli, Lʼesperienza del dolore, Saggi Feltrinelli, 1986 Pia Pera, Lʼorto di un perdigiorno, Ponte alle Grazie, 2003 contrappunticontrappunti 329. Agi e ozio. C’è una selvatichezza tutta indiana, tipica del sangue pellerossa, nel modo con cui gli americani anelano all’oro; e il loro furibondo lavoro senza respiro - il vizio peculiare del nuovo mondo - comincia già per contagio a inselvatichire la vecchia Europa e a estendere su di essa una prodigiosa assenza di spiritualità. Ci si vergogna già oggi del riposo, il lungo meditare crea quasi rimorsi di coscienza. Si pensa con l’orologio alla mano, come si mangia a mezzogiorno appuntando l’occhio sul bollettino di Borsa; si vive come uno che continuamente “potrebbe farsi sfuggire” qualche cosa. “Meglio fare una qualsiasi cosa che nulla” - anche questo principio è una regola per dare il colpo di grazia a ogni educazione e ogni gusto superiore. E come tutte le forme vanno visibilmente in rovina in questa fretta di chi lavora, così anche il senso stesso della forma, l’orecchio e l’occhio per i movimenti, vanno in rovina. La prova di ciò sta nella grossolana chiarezza oggi pretesa ovunque, in tutte le situazioni in cui l’uomo vuole essere onesto con l’uomo, nei rapporti con amici, donne, parenti, bambini, insegnanti, scolari, condottieri e principi; non si ha più tempo né energia per il cerimoniale, per i giri tortuosi della cortesia, per ogni esprit nella conversazione, e soprattutto per ogni otium. Poiché la vita a caccia di guadagno costringe continuamente a prodigarsi fino all’esaurimento in un costante fingere, abbindolare o prevenire: la virtù vera è ora fare qualcosa in minor tempo di un altro e così ci sono molto raramente ore di consentita onestà; in queste tuttavia si è stanchi e non ci si vorrebbe soltanto lasciare andare, ma buttare distesi pesantemente in lungo e in largo. (...) Che vergogna questa parsimonia della “gioia” nei nostri uomini colti e non colti. Oh, che vergogna questo crescente venire in sospetto di ogni gioia! Il lavoro ha sempre di più dalla sua la buona coscienza: l’inclinazione alla gioia si chiama già “bisogno di ricreazione” e comincia a vergognarsi di se stessa. (...) Anzi, si potrebbe ben presto andare così lontano da non cedere a una inclinazione alla vita contemplativa (vale a dire andare a passeggio con pensieri e amici), senza disprezzare se stessi e senza cattiva coscienza. Ebbene! Una volta era tutto il contrario: era il lavoro ad avere su di sé la cattiva coscienza. (...) “La nobiltà e l’onore sono soltanto nell’otium e nel bellum”, così suonava la voce dell’antico pregiudizio. Friedrich Nietzsche, 1882, “La gaia scienza”