mercoledì 27 febbraio
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Lunecine interno 08 19-12-2007 16:17 Pagina 1 Lunecine interno 08 19-12-2007 16:17 Pagina 2 LUNEDÌ 14 GENNAIO ACROSS THE UNIVERSE di Julie Taymor Regia Julie Taymor Sceneggiatura Dick Clement, Ian La Frenais Fotografia Bruno Delbonnel Montaggio Françoise Bonnot Musiche Elliot Goldenthal Interpreti Evan Rachel Wood, Jim Sturgess, Joe Anderson, Dana Fuchs, Martin Luther McCoy. Produzione: Revolution Studios Distribuzione: Sony Pictures. STATI UNITI 2007 - 133 minuti Anni ‘60. Jude, un giovane inglese partito per l’America, alla ricerca del padre emigrato tanti anni prima, giunto negli Stati Uniti, s’innamora di Lucy, il cui fratello viene richiamato alle armi ed arruolato per andare a combattere in Vietnam. I due innamorati vivono pienamente il vento di libertà del periodo, lasciandosi coinvolgere con energia dalle proteste di rivolta e dalle lotte pacifiste. La storia viene raccontata attraverso trentatre canzoni dei Beatles, rivisitate e cantate dagli stessi attori protagonisti del film, con l’inserimento di alcuni volti noti della storia del rock, quali Joe Cocker e Bono Vox. “Across the Universe” è un ben singolare musical per come riesce ad amalgamare la storia, privata e sociale degli anni Sessanta/Settanta, attraverso i testi delle memorabili canzoni, che trovano nuovo smalto e dimostrano ancora una volta l’intramontabilità del celebre quartetto, anche grazie agli originali e coinvolgenti arrangiamenti di Elliot Goldenthal. La regista Julie Taymor (un pedigree di tutto rispetto a teatro, e due lungometraggi “Titus” e “Frida”), accantonato il pretesto di voler raccontare una storia d’amore, lascia alla musica, complici gli ottimi arrangiamenti, il compito di guidare l’intero film, illustrando con immagini efficaci i brani di Lennon e McCartney, portando lo spettatore in uno spazio luminescente e caleidoscopico, che si apre di volta in volta alle splendide coreografie di Daniel Ezralow, fondatore dei celebri Momix. Alcune sequenze risaltano tra tutte: la statua della libertà che calpesta e distrugge il territorio del Vietnam, o ancora il reclutamento coatto di adolescenti inesperti e terrorizzati per la guerra del Vietnam, che, sulle note di “I want you” costituisce un riuscito omaggio a “The wall” dei Pink Floyd. Il momento più intenso con “Strawberry fields forever”: un’esplosione visionaria di fragole che cadono sul suolo del Vietnam, spargendo su corpi e su pareti bianche il loro succo rosso che diventa un disperato grido di disperazione e di ribellione. NOTE di Julie Taymor All’inizio mi è stata proposta una traccia, una storia sentimentale “con questo oceano da attraversare”. Poi abbiamo aggiunto di volta in volta elementi diversi, in alcuni casi ciò è persino accaduto per sbaglio. Abbiamo ascoltato quindi le 200 canzoni dei Beatles e a poco a poco le idee che avevamo avuto all’inizio venivano modellate sulla musica. Insomma, i brani hanno effettivamente ispirato la storia così come la vediamo ora, ma una prima bozza era stata scritta prima dell’ascolto delle musiche. Abbiamo deciso di concentrarci sui testi, trovando un nuovo arrangiamento per le musiche. E’ stata una scelta rischiosa anche perché sapevamo che in questa decisione si celava il cuore del film. Per questo le canzoni sono state registrate quasi tutte in presa diretta, per integrare realmente la storia, i dialoghi e le canzoni. Credo che la mia esperienza teatrale mi abbia aiutato molto. Sono stata segnata soprattutto da Shakespeare. Il suo modo di fare teatro mi ha insegnato a dare importanza al testo e ai dialoghi. Nel cinema bisogna trovare un equilibrio tra questi due elementi. JULIE TAYMOR Newton, Massachusetts, 1952 La sua prima regia teatrale risale al 1992 con “Edipo re” di Igor Stravinskij, in seguito porta in scena “Il flauto magico” e “Il Re Leone”, adattamento in musical del film della Disney. Dopo una serie di regie televisive, il suo debutto cinematografico è l’adattamento del Tito Andronico di William Shakespeare intitolato TITUS (2000). Nel 2002 porta sul grande schermo la storia della pittrice Frida Kahlo, dirigendo Salma Hayek in FRIDA tratto dal romanzo “Frida: A Biography of Frida Kahlo”. LUNEDÌ 28 GENNAIO GLI AMORI DI ASTREA E CÉLADON di Eric Rohmer Les amours d’Astrée et de Céladon Regia Eric Rohmer Sceneggiatura Eric Rohmer dal romanzo “L’Astrée” di Honoré d’Urfé. Fotografia Diane Baratier Montaggio Mary Stephen Musiche Jean-Louis Valéro Interpreti Andy Gillet, Stéphanie de Crayencour, Cécile Cassel, Véronique Reymond, Rosette, Jocelyn Quivrin, Mathilde Mosnier, Rodolphe Pauly, Serge Renko, Arthur Dupont, Priscilla Galland. Produzione Compagnie Eric Rohmer, Canal+, Centre National de la Cinématographie Distribuzione: Bim Film. FRANCIA 2007 - 107 minuti 64ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia In Concorso In una foresta meravigliosa, al tempo dei druidi, il pastore Céladon e la pastorella Astrée si amano di un amore puro. Ingannata da un pretendente, Astrée lascia Céladon che, disperato, si butta in un fiume. Lei lo crede morto, ma in realtà il giovane viene segretamente salvato da alcune ninfe. Fedele alla promessa di non riapparire davanti agli occhi della sua bella, Céladon dovrà superare diverse prove per spezzare la maledizione... Eric Rohmer deve aver rinunciato, più o meno consapevolmente, a parlare dei suoi tempi. E allora ecco che, con un abile gioco di prestigio, il venticinquesimo lungometraggio del cineasta francese si colloca in una dimensione definitivamente a-temporale: prende un romanzo di Honoré d’Urfé, “L’Astrée”. scritto nel Diciassettesimo Secolo, ma ambientato nella Gallia dei druidi del Quinto Secolo dopo Cristo, e lo “riadatta” nel senso del romanzo originario e non del contesto storico. Il racconto rimane come sospeso, né Storia né Mito, oscillando fra i due poli, irradiato dall’insondabile forza magnetica dell’amore, specie quello caratterizzato da fiera e indomita passione giovanile. Per il saggio Rohmer un’occasione per riproporre la sua analisi sui temi eterni del rapporto tra i sessi, con la macchina da presa che continua l’implacabile ed elegante discesa negli anfratti della sensualità, filtrando tutto attraverso l’abile gioco della messa in scena della baruffa d’amore. Lontano dal cinema spettacolare così come da quello dell’impegno sociale, Rohmer continua la sua lunga ricerca con una più evidente adesione agli stilemi della fiaba e dell’apologo morale. NOTE di Eric Rohmer Durante tutta la mia carriera non ho mai smesso di assumermi dei rischi, ma dei rischi calcolati, ragionati. In ogni caso la mia filosofia è la seguente: per essere davvero riuscito un film deve trovare nel suo percorso un elemento che gli sia essenziale. Bisogna sempre lasciare un po’ di spazio al caso e all’imprevisto e credere che ci saranno solo casualità felici. Ho già utilizzato questa formula: “Nei miei film, tutto è fortuito tranne il caso”. L’essenziale per me è che il testo sia comprensibile. A proposito dei rischi che mi assumo, so bene che gli spettatori potranno ridere in alcuni passaggi del film, ma la cosa non mi disturba. Anzi, sono persino dalla loro parte contro chi dirà loro di tacere. È già successo con “La marchesa von...” e gli spettatori che ridevano avevano ragione di farlo, perché Kleist è un autore pieno di umorismo. Se la gente riderà guardando questo film, tanto meglio, perché anche in “L’Astrée” c’è molto umorismo... Mi sono formato con il cinema muto alla Cinémathèque e penso che il cinema abbia tutto l’interesse ad attingere alla propria archeologia, come peraltro alla letteratura antica. Solo così possiamo essere pittori moderni e i più moderni sono proprio coloro che utilizzano meglio gli antichi... ERIC ROHMER Nancy, Francia, 1920 2007 LES AMOURS D’ASTRÉE ET DE CÈLADON - 2003 TRIPLE AGENT - 2001 LA NOBILDONNA E IL DUCA - 1998 RACCONTO D’AUTUNNO 1996 UN RAGAZZO... TRE RAGAZZE - 1995 INCONTRI A PARIGI - 1993 L’ALBERO, IL SINDACO E LA MEDIATECA - 1992 RACCONTO D’INVERNO - 1990 RACCONTO DI PRIMAVERA - 1987 L’AMICO DELLA MIA AMICA - 1987 REINETTE ET MIRABELLE - 1986 IL RAGGIO VERDE - 1984 LE NOTTI DELLA LUNA PIENA - 1983 PAULINE ALLA SPIAGGIA - 1982 IL BEL MATRIMONIO 1980 LA MOGLIE DELL’AVIATORE - 1978 PERCEVAL - 1976 LA MARCHESA VON... - 1972 L’AMORE IL POMERIGGIO - 1970 IL GINOCCHIO DI CLAIRE - 1969 LA MIA NOTTE CON MAUD 1967 LA COLLEZIONISTA - 1964 NADJA À PARIS 1959 IL SEGNO DEL LEONE 1956 LA SONATE À KREUTZER. Via Carducci 3 - Como - telefono 031 262 995 - www.einaudi.it LUNEDÌ 21 GENNAIO AI CONFINI DEL PARADISO di Fatih Akin Auf der Anderen Seite - Yasamin Kiyisinda Regia Fatih Akin Sceneggiatura Fatih Akin Fotografia Rainer Klausmann Montaggio Andrei Bird Musiche Shantel Interpreti: Baki Davrak, Nurgül Yesilcay, Patrycia Ziolkowska, Hanna Schygulla, Tuncel Kurtiz, Nursel Köse Produzione Corazón International, Anka Film Distribuzione: Bim Film. GERMANIA/TURCHIA 2007 - 122 minuti 60 °Festival di Cannes 2007 Premio Miglior Sceneggiatura “Ai confini del paradiso” (il titolo distorce il significato dell’originale “Auf der Anderen” Seite, che significa “dall’altro lato”), è il settimo lungometraggio del trentaquattrenne Akin, che riflette la sua doppia cultura, turca e tedesca, con un racconto che intreccia le vite di sei persone sospese fra Amburgo e Brema da una parte e Istanbul dall’altra. Un legame simbolico fra la Germania e la “Porta d’Oriente”, sancito e sottolineato dai legami familiari e passionali che legano fra loro i personaggi, le cui vite si incrociano in percorsi esistenziali volti alla ricerca di perdono, redenzione e riconciliazione. Una sceneggiatura originale e complessa riesce a unificare una molteplicità di temi diversi, non solo il rapporto umano che lega i personaggi, ma anche la difficile situazione politica turca, l’integrazione, la lotta generazionale e quella militante, l’importanza dell’istruzione. Per rendere l’intricata e articolata trama umana e sociale Fatih Akin, già acclamato autore de “La sposa turca”, utilizza uno stile lento, sobrio, con lunghe inquadrature e ampie panoramiche dove anche le città, i due differenti paesi, diventano protagonisti e riflettono gli stati d’animo dei personaggi. La narrazione non è lineare ma circolare, divisa in tre parti: le prime due speculari, caratterizzate da due morti violente e insensate, mentre l’ultima raccoglie i fili della storia e restituisce uno sguardo di fiduciosa speranza. Akin è bravo nel sondare scava l’animo dei protagonisti, scruta il loro dolore e la necessità di pacificazione, regalandoci un film appassionante, toccante ed emozionante. Tornavo in Turchia tutte le estati, con la mia famiglia, da piccolo. Dal momento che sono metà turco e metà tedesco, è normale che anche i miei film siano a metà fra queste due culture... Fare film fa parte della mia vita, ma non è niente rispetto a cose come la nascita, l’amore e la morte. Per crescere veramente, sento di dover fare tre film. Chiamatela pure trilogia, se volete, ma sono tre film legati fra loro, perché tutti e tre parlano di amore, di morte e del Male. “La sposa turca” parlava d’amore. “Ai confini del paradiso” parla di morte. Morte nel senso che ogni morte è una nascita - perché ogni morte ed ogni nascita aprono una porta su altre dimensioni. Sono affascinato dai rapporti umani. Non solo i rapporti di tipo romantico o sessuale - anche quelli tra genitori e figli, per esempio. Tutti i rapporti umani. Credo che tutte le guerre del mondo siano il risultato dell’uso sbagliato che l’umanità fa dell’amore. Credo che il male sia un effetto della pigrizia, è più facile odiare qualcuno che amarlo... FATIH AKIN Amburgo,Germania 1973 Studente di Comunicazione Visuale all’università di Amburgo, dirige il suo primo cortometraggio, nel 1995: Sensin du bist es!, seguito da Getürkt nel 1996. Con il suo primo lungometraggio KURZ UND SCHMERZLOS del 1998, vince il Leopardo di bronzo al Festival di Locarno. Girerà poi nel 1998 SHORT SHARP SHOCK, nel 2001 IN JUL e nel 2002 SOLINO presentati in diversi festival internazionali. Nel 2003 con LA SPOSA TURCA vince l’Orso d’Oro al Festival di Berlino. Nel 2005 racconta in CROSSING THE BRIDGE la varietà del mondo musicale della Turchia contemporanea. AI CONFINI DEL PARADISO è il suo settimo lungometraggio. NOTE di Fatih Akin Ho avuto una formazione turco-tedesca. Sono nato in Germania, ma mi sento diviso fra due culture: ho studiato in Europa, ma sono cresciuto in Turchia con i miei genitori. La cultura turca ha sempre fatto parte della mia vita. LUNEDÌ 4 FEBBRAIO 4 MESI, 3 SETTIMANE E 2 GIORNI di Cristian Mungiu 4 luni, 3 saptamini si 2 zile Regia Cristian Mungiu Sceneggiatura Cristian Mungiu Fotografia Oleg Mutu Montaggio Dana Bunescu Interpreti Anamaria Marinca, Laura Vasiliu, Vlad Ivanov, Alex Potocean, Luminita Gheorghiu, Adi Carauleanu Produzione: Mobra Film Distribuzione Lucky Red. ROMANIA 2007 - 113 minuti 60° Festival di Cannes 2007 Palma d’Oro Miglior Film Romania, 1987: gli ultimi mesi di sopravvivenza del comunismo nel paese governato da Ceausescu. Otilia e Gabita sono due studentesse che dividono la stanza di un dormitorio universitario di Bucarest. Gabita è incinta. E ovviamente non ha la possibilità di tenere il bambino: le conseguenze per lei sarebbero devastanti. Le ragazze decidono allora di rivolgersi a un tale, sarcasticamente chiamato Mr. Bebe, esperto in aborti: lo incontrano in un pidocchioso hotel, dove pensano di poter sistemare le cose lontano da occhi indiscreti... Giunto al terzo lungometraggio, il trentanovenne regista rumeno Cristian Mungiu realizza una pellicola difficile e perfetta sul tema dell’aborto. Ma più che interessarsi alla pratica dell’aborto, Mungiu sembra focalizzare la propria attenzione sui suoi effetti, su ciò che tale atto “disperato” trascina con sé e su ciò che provoca nella psiche di chi vi è coinvolto. E poco importa che l’aborto, all’epoca della dittatura di Ceausescu, fosse illegale: il vero fulcro del discorso sembra risiedere altrove, ovvero nell’incapacità da parte della società, democratica e non, di comprendere la vera natura delle cose, impossibilitata come è a scavare negli intimi sentimenti dell’uomo, come se fosse preda di un blocco genetico. Mungiu è riuscito, con rara semplicità ed efficacia stilistica da grande cinema, a dipingere questo ritratto al tempo stesso spietato e penoso. Con la sua macchina a mano inciampa e respira insieme alle due protagoniste, seguendole senza indulgere e senza giudicare, compiendo un atto cinematografico forte e consapevole, assolutamente necessario. NOTE di Cristian Mungiu La sceneggiatura prende spunto dal quel genere di esperienze personali che la gente normalmente non condivide con gli altri. Con coloro che sono entrati in contatto con la mia storia è accaduto qualcosa di inaspettato: una volta ascoltata, avevano una storia personale di questo genere da condividere. All’improvviso tutti avevano qualcosa da dire su questo argomento. Ero sorpreso nello scoprire quanto queste storie siano comuni e tenute nascoste. Non le ho usate nel film, ma mi hanno aiutato a comprendere quanto il fenomeno fosse diffuso. Ho scritto la prima stesura a luglio 2006. Era molto più lunga della versione finale e descriveva con maggiore ricchezza di particolari le mattinate delle ragazze nel dormitorio per studenti. Comprendeva anche la visita del padre di Gabita l’unica scena che è stata girata e poi tagliata in fase di montaggio. Ho deciso di sacrificare una buona scena, con molti suggerimenti relativi all’influenza dei genitori sulle decisioni dei personaggi, in favore di una coerenza narrativa. Durante le riprese ho iniziato a riscrivere soprattutto i dialoghi, ma non solo. Riscrivo sempre le scene quando conosco la location e dopo aver fatto una lettura dei dialoghi con gli attori. Ho continuato ad aggiungere sostanza all’anima del film e ho dato libero sfogo al ritmo mozzafiato della parte finale. CRISTIAN MUNGIU Lasi, Romania, 1968 Ha studiato regia presso l’università del cinema di Bucarest. Dopo essersi laureato nel 1998, ha diretto diversi cortometraggi. Il suo primo lungometraggio, OCCIDENT, proiettato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes nel 2002 e più tardi ha partecipato ad oltre 50 festival nel mondo. Ottima accoglienza ha avuto anche il successivo LOST AND FOUND nel 2004. Nel 2003 è fondatore della sua casa di produzione Mobra Films. Via Adamo del Pero 23 - Como - telefono 031 264 481 Lunecine interno 08 19-12-2007 16:17 Pagina 3 LUNEDÌ 11 FEBBRAIO VIAGGIO IN INDIA SABATO 16 E DOMENICA 17 FEBBRAIO di Mohsen Makhmalbaf Shaere Zobale-ha Scream of the Ants A CRUDE AWAKENING di B. Gelpke, R. McCormack LE VIE DEI FARMACI di M.Mellara, A. Rossi CHINA BLUE di Micha X. Peled 10° CINEMAMBIENTE Regia Mohsen Makhmalbaf Sceneggiatura Mohsen Makhmalbaf Fotografia Bakhshor Montaggio Mohsen Makhmalbaf Musiche tratte da “Sacred Chanting of Devi” di Craig Pruess Interpreti Mahmoud Chokrollahi, Mahnour Shadzi, Karl Maass, Tenzin Choegyal, Bharath K.S, Savitha Iyer. Produzione: Makhmalbaf Film House Distribuzione: Bim Film. IRAN 2006 - 91 minuti Un’avventura alla ricerca del tutto, della completezza del senso, delle risposte ai grandi quesiti dell’esistenza, voltando le spalle alla banalità del sistema di sicurezze e convenzioni occidentali, è questa l’idea di due giovani iraniani ( che rimarranno senza nome ), i quali decidono di andare in viaggio di nozze in India alla ricerca dell’Uomo Perfetto, un guru capace di aiutare la gente, che “collega l’anima al futuro”... È un’esperienza del profondo dello spirito, ma con la mente costantemente a vigilare, la visione di “Scream of the Ants”, letteralmente “L’urlo delle formiche”, in Italia ribattezzato con un più ortodossamente rosselliniano “Viaggio in India”, l’opera di produzione 2006 di Mohsen Makhmalbaf, oggi riconosciuto in ogni festival che conta come uno dei più sensibili autori mondiali. Il film narra un viaggio spirituale all’interno dell’India compiuto da due anime appena congiunte dal matrimonio, e per molti versi opposte: una, quella maschile, è totalmente oppressa da un pessimismo ateo; l’altra, quella femminile, è mossa da curiosità di matrice spirituale e religiosa, e da un’incalzante desiderio di maternità, ovviamente non corrisposta. Dunque ogni incontro, ogni esperienza e ogni oggetto o paesaggio osservati sono attraversati da due punti di vista, che possono coincidere con quelli della volontaria illusione (della donna) e disillusione (dell’uomo). La forza del film è nella possibilità offerta allo spettatore di scegliere il giudizio dei fatti che scorrono nel racconto, e nel lasciar aperta una terza porta, di compromesso o di rifiuto verso i pensieri e le parole dei due protagonisti. Un’opera di ampio respiro, grazie anche alle superbe immagini con le quali la regia “dipinge” gli sfondi naturali. Un film da vedere e rivedere, perché non sembra mai esaurire i suoi sottotesti di natura metafisica, e perché ci chiede di partecipare alla costruzione di questo “senso ulteriore”, affinché il dialogo sia l’ultima cosa a morire in questo strano esistere. LUNEDÌ 18 FEBBRAIO IL GRANDE NORD di Nicolas Vanier Le dernier trappeur Regia Nicolas Vanier Fotografia Thierry Machado Aiuto Registi Philippe Baisadouli Vincent Steiger, Pierre Michaud Montaggio Yves Chaput Musica Originale Krishna Levy Interpreti Norman Winter, May Loo, Alex Van Bibber Produzione Pandora Film Produktion Distribuzione Mikado. FRANCIA / CANADA / SVIZZERA / GERMANIA / ITALIA 2003 - 94 minuti Trento Film Festival 2005 Premio del pubblico Film consigliato partire da 10 anni Norman Winter vive nel cuore delle Montagne Rocciose, insiema a Nebaska, un’indiana Nahanni, e ai suoi cani da slitta. Lontano dalle necessità create dalla società moderna, Norman si nutre dei prodotti della natura, della caccia e della pesca: si fabbrica da solo le racchette, la slitta, la canoa, con il legno fornito dalla foresta e la sua esperienza ed abilità. Una volta all’anno effettua un viaggio fino in città, per barattare le sue pelli con il poco di cui ha bisogno: farina, fiammiferi, candele, pile. Ogni giorno deve fare fronte alle esigenze della sopravvivenza, fra lunghi e avventurosi spostamenti e attacchi di orsi e lupi. Ma la bellezza e le sensazioni che questa natura selvaggia gli dona compensano ampiamente ogni pericolo. Norman Winter è un Jack London dei tempi moderni, un uomo profondamente innamorato della natura. Questo film è stato definito “una storia d’amore fra l’uomo e la natura”. Il regista, Nicolas Vanier, anche lui un esploratore, ha raccontato le sue meravigliose avventure in Siberia, Canada, Lapponia e Alaska in numerosi libri e documentari. NOTE di Nicolas Vanier Proprio mentre giravo “Odissea bianca”, durante un’incredibile traversata in slitta di 8.600 km dall’Alaska al Quebec, ho incontrato l’uomo che mi ha ispirato a girare questo film. Norman Winter è sempre stato un cacciatore, senza necessità delle cose offerte dalla civiltà. Lui e i suoi cani vivono esclusivamente grazie a ciò che ottengono da caccia e pesca. Norman ha costruito la sua slitta, racchette, capanno, e canoa con il legno e le pelli che ha preso nella foresta e che Nebaska, la moglie, ha conciato secondo la tradizione, così come facevano gli indiani Sekani nell’antichità. Per spostarsi Norman usa i suoi cani: con loro è pronto ad agire al LIBRERIA Selezione dal Festival Cinema Ambiente di Torino 2007 NOTE di Mohsen Makhmalbaf E’ da 15 anni che sognavo di fare un film in India. Penso che sia un luogo perfetto per realizzarci un film. Il luogo ideale per affrontare i grandi temi della vita, lasciandoli però aperti alla libera interpretazione dello spettatore, senza dare risposte o indirizzare in alcun modo il pubblico. Pongo l’accento, anzi, sull’importanza dell’angolazione dalla quale si guarda un tema. Dal condizionamento iniziale con il quale si fa una qualsiasi analisi. Se sei ateo credi che ogni evento sia casuale, se sei credente pensi che ogni evento sia un segno divino. Solo nella parte finale del film un tedesco che vive in India da anni dice, allo stesso tempo in modo divertente e molto plausibile, che le religioni non sono altro che un mezzo per controllare e indirizzare le masse, condizionando i popoli. Ma preferisco guardare che giudicare, voglio aiutare a riflettere. Spero in ogni caso di suscitare almeno la curiosità e l’interesse per queste riflessioni. MOHSEN MAKHMALBAF Teheran, Iran, 1957 Esordisce come scrittore per il teatro. Nel 1985 gira il suo primo film, BOYCOTT, che rivela la sua padronanza nell’arte cinematografica. Il suo secondo film L’AMBULANTE (1987) viene presentato in molti festival internazionali. Il suo film successivo, IL CICLISTA (1988) ottiene in Iran un enorme successo di critica e di pubblico. Poi gira MARRIAGE OF THE BLESSED (1989) e successivamente I GIORNI DELL’AMORE (1990) e NIGHTS OF ZAYANDEHROUD (1991). Nel 1992 realizza SALAM CINEMA (1992) presentato al Festival di Cannes. I suoi ultimi film sono PANE E FIORE (1996), IL SILENZIO (1998), VIAGGIO A KANDAHAR (2001), e SESSO E FILOSOFIA (2004). minimo segno di vita, ma sempre affascinato dalla maestosità dei territori che attraversa. È per questo che Norman Winter è un cacciatore. Il Grande Nord è dentro di lui. Norman sa come liberarsi dall’immobilità evocata da questa immensa landa, ma anche come “entrarvi” attraverso la comprensione di ciò che essa è veramente. Comprendere tutto questo significa percepire l’inconfondibile respiro della terra, spiegarsi perché Norman Winter è l’ultimo cacciatore e perché ha voltato le spalle alla vita moderna, che lui paragona ad un pendio lungo il quale scivoliamo ciecamente. Norman è una sorta di filosofo, convinto che la condivisione e lo scambio con la natura siano essenziali all’equilibrio. Questo è quanto il mio film, realizzato in oltre dodici mesi, vuole mostrare. Norman Winter ha accettato di partecipare a questo film come un testimone, per lasciare una traccia meno effimera di quelle che fino ad ora ha così spesso lasciato sulla neve. NICOLAS VANIER Dakar, Senegal, 1962 Esploratore, scrittore e regista protagonista di viaggi straordinari Dal 1982 con la prima spedizione a piedi nelle distese della Lapponia, alle numerose traversate della ragione dei grandi laghi del Québec-Labrador, Nicolas Vanier e il suo team inseguono da sempre la storia dei grandi pionieri del Nord-Ovest: Nel 1993 percorrono 7000 km attraverso le zone più selvagge delle Montagne Rocciose e dell’Alaska, dal Wyoming fino allo Stretto di Behring con 12 cavalli, 24 cani da slitta,una zattera in abete e due canoe indiane. Dell’impresa Vanier realizza tre film di 52 minuti per France 3 e Canal Plus. Da allora ha realizzato numerosi documentari di cinema/esplorazione fino al successo internazionale de IL GRANDE NORD, premiato in numerosissimi festival. CinemAmbiente, nato a Torino nel 1998 con l’ambizione di far crescere attraverso il cinema la cultura dell’ambiente, vuole essere anzitutto festival nel senso di festa, dove vedere i migliori film dell’anno a tematica ambientale, assistere a dibattiti, a momenti di riflessione che proseguano nel territorio o nelle scuole. Nella nostra visione di cinema, i film sull’ambiente non sono solo i documentari in stile televisivo, ma i cartoni animati sull’inquinamento, le inchieste sulla deforestazione, sulle ecomafie, i film sulle guerre, i lavori poetici di famosi registi come De Seta, Quilici, Flaherty e Ivens. Pioniere dei festival a tematica ambientale, CinemAmbiente nel corso delle edizioni è cresciuto fino a diventare la principale manifestazione italiana, organizzando - al di là delle giornate del festival - eventi cinematografici e giornate a tema anche in altre città. A livello internazionale CinemAmbiente fa parte del Coordinamento Europeo dei Festival Cinematografici ed è promotore dell’ Environmental Film Festival Network, associazione che raggruppa i più importanti festival internazionali a tematica ambientale. Sabato 16 ore 20.30 – Domenica 17 ore 18.15 THE PLANET di Michael Stenberg, Linus Torell, Johan Söderberg Svezia, Norvegia, Danimarca 2006 - 80 minuti Miglior Film Concorso Internazionale Documentari E’ possibile raccontare in modo ironico e accattivante l’emergenza climatica e il conseguente disastroso impatto ambientale, a cui è necessario trovare una soluzione immediata? A questa domanda Torell, Stenberg e Söderberg rispondono con “The Planet” , che, con uno stile fresco e diretto, ricco di materiali esclusivi, riesce nell’intento di informare anche lo spettatore più ingenuo. LUNEDÌ 25 FEBBRAIO IN QUESTO MONDO LIBERO... di Ken Loach It’s a Free World... Regia Ken Loach Sceneggiatura Paul Laverty Fotografia Nigel Willoughby Montaggio Jonathan Morris Musiche George Fenton Interpreti Kierston Wareing, Juliet Ellis, Leslaw Zurek, Colin Caughlin Produzione Bim Film, EMC Produktion, Film4. Distribuzione Bim Film. GRAN BRETAGNA/ITALIA/GERMANIA/SPAGNA 2007 - 96 minuti 64° Mostra del Cinema di Venezia 2006 Miglior Sceneggiatura “Centocinquanta anni di lotte sindacali sono improvvisamente svaniti, spazzati via da un soffio di vento, come se non fossero mai esistiti”. Non sono parole di un sindacalista, né di un addetto ai lavori, ma dello sceneggiatore Paul Laverty, braccio destro di Ken Loach e autore anche dello script di questo suo ultimo film. È il film in cui il grande regista inglese ritorna a quel suo realismo sociale che l’ha reso celebre sin dai tempi di “Riff Raff”. Le cose stavolta sono parecchio diverse: non si tratta di mostrare qualcosa che non conosciamo, o che magari non ci riguarda, spostando il riflettore su una realtà sconosciuta, ma una situazione che invece è sotto gli occhi di tutti. Protagonista del film è Angie, grintosa ragazza madre che lavora in un’agenzia di collocamento, da cui viene licenziata per essersi ribellata a qualche piccola molestia da ufficio. Piena di debiti, Angie rifiuta la situazione e la disoccupazione, reagisce decidendo di aprire un’agenzia tutta sua, tra un cortile e casa propria, con l’aiuto della coinquilina Rose. Le cose non saranno certo alla luce del sole, perché tutto avviene in semiclandestinità, ma soldi, clienti e sottoproletari affamati, quasi sempre stranieri, non tardano ad arrivare. “It’s a free world!”, dice Angie alla collega, che vorrebbe utilizzare i tanti soldi incamerati restituendoli a venti operai che non hanno ricevuto il loro salario per settimane a causa di una bancarotta, toccando il cuore dell’intera vicenda. La cosa straordinaria del film è che Loach, pur mettendo in scena un’antieroina formidabile soprattutto nel pensare a se stessa e alla sua inesauribile sete di denaro, non la giudica mai. La sua volontà è piuttosto di metterne in luce la profonda mancanza di coscienza, derivante da un milieu d’appartenenza degradato e disperato, che trova i natali nella piccola borghesia: disperazione che genera Sabato 16 ore 22.15 - Domenica 17 ore 16.30 A CRUDE AWAKENING di Basil Gelpke, Ray McCormack Svizzera 2006 - 85 minuti Cosa unisce l’intervento militare americano in Iraq, l’escalation delle ambizioni nucleari di Teheran, la nazionalizzazione delle riserve di gas naturale in Russia e la politica populistica di Hugo Chavez in Venezuela? Le riserve petrolifere mondiali, sfruttate intensivamente da più di un secolo, sono destinate a terminare senza che si sia trovata una soluzione a livello internazionale, con il conseguente rischio di una crisi economica tanto improvvisa quanto catastrofica. A Crude Awakening The Oil Crash affronta in maniera diretta e intelligente, avvalendosi del parere di esperti del settore, uno dei problemi più drammatici dei nostri tempi, mostrandone, non solo tutta la potenziale pericolosità, ma le vie d’uscita possibili fin a ora. Sabato 16 ore 18.15 – Domenica 17 ore 20.30 LE VIE DEI FARMACI di Michele Mellara, Alessandro Rossi Italia 2007 - 53 minuti Miglior Film Concorso Documentari Italiani Perché nel Sud del mondo ci sono ogni anno quindici milioni di persone che muoiono a causa di malattie che sarebbero facilmente curabili? Questo è l’interrogativo che muove i due registi Michele Mellara e Alessandro Rossi in un’accurata indagine capace di svelare i meccanismi che si nascondono dietro al vero e proprio monopolio planetario messo in atto da Big Pharma (ovvero il cartello delle cinque più importanti multinazionali produttrici), responsabile, in maniera più o meno diretta, del perdurare di emergenze sanitarie apparentemente irrisolvibili. Mostrando i legami tra WTO, grandi case farmaceutiche e governi dei paesi sviluppati, focalizzando la propria attenzione sul meccanismo trappola dei Trips (brevetti internazionali creati appositamente per salvaguardare gli interessi di Big Pharma). “Le vie dei farmaci” affronta n maniera lucida approfondita un argomento quanto mai attuale. Sabato 16 ore 16.30 – Domenica 17 ore 22.15 CHINA BLUE di Micha X. Peled Stati Uniti 2006 - Menzione speciale della Giuria China Blue è un viaggio all’interno di una fabbrica di jeans in Cina, protagoniste due giovani operaie emigrate dalle campagne in cerca di fortuna: Jasmine e Orchid, filo conduttore la loro esperienza, tra fatiche quotidiane e sogni di evasione. Il film non solo rivela la grave mancanza di diritti in Cina, ma soprattutto denuncia le pressioni che i paesi occidentali compiono su quelli in via di sviluppo: una corsa alla diminuzione dei prezzi con una conseguente degenerazione della competitività. Girato in condizioni di semiclandestinità e continuamente ostacolato dalle autorità cinesi, il film ha ottenuto numerosi riconoscimenti nei festival internazionali più importanti. mostri, come la mancanza di amore per un figlio senza padre, che ci viene presentato dopo oltre mezz’ora di film solo per metterne in luce l’impulsività e la rabbia interiore, le radici primarie dell’attuale rapacità. NOTE di Kenneth Loach Negli anni ‘90 ho girato un documentario sul porto di Liverpool, dal titolo “The Flickering Flame”, in un momento in cui i portuali avevano vissuto un lungo conflitto con il governo per riuscire a preservare l’integrità del loro lavoro contro la più completa ‘occasionalità’ che stava prendendo piede. Il modo in cui la sicurezza del lavoro è scomparsa, favorendo la nascita di agenzie di lavoro temporaneo è, secondo me, un tema molto importante e completamente dimenticato. E’ un fatto che ha cambiato la vita delle persone, il risultato di una decisione politica, che potrebbe essere contrastata. Purtroppo però nessuno si oppone. Tutti i partiti politici, dai laburisti, ai conservatori, ai liberali, sono a favore di questo mercato. Vogliono tutti che sia così. La chiamano ‘modernizzazione’ e la considerano una legge di natura, un fenomeno che deve accadere per forza. Invece io credo che si tratti di una decisione politica che sta facendo gli interessi di un’unica classe, e che la gente comune è stata indotta a credere che questo sia l’unico modo in cui possiamo vivere. Ma non è così. KENNETH LOACH Nuneaton, Gran Bretagna, 1936 2006 IL VENTO CHE ACCAREZZA L’ERBA 2005 UN BACIO APPASSIONATO 2001 THE NAVIGATORS 2000 BREAD AND ROSES 1999 MY NAME IS JOE 1996 LA CANZONE DI CARLA 1995 TERRA E LIBERTÀ 1994 LADYBIRD LADYBIRD 1993 PIOVONO PIETRE 1991 RIFF RAFF 1990 HIDDEN AGENDA 1986 FATHERLAND 1981 LOOKS AND SMILES 1972 FAMILY LIFE 1968 KES 1967 POOR COW. MENTANA Turismo e Viaggi Via Mentana 13 - Como - telefono 031 270 209 - [email protected] Via Giovio 12 (interno corte) - Como - telefono 031 242 893 - fax 031 242 894 [email protected] - www.ganeshviaggi.com Lunecine interno 08 19-12-2007 16:17 Pagina 4 MERCOLEDÌ 27 FEBBRAIO Spettacolo unico ore 21.00 Ingresso libero LO SGUARDO DI ULISSE di Theo Angelopoulos To Vlemma tou Odyssea Regia Theo Angelopoulos Sceneggiatura Theo Angelopoulos, Tonino Guerra, Petros Markaris; Fotografia George Arvanitis Montaggio Giannis Tsitsopoulos Musiche Eleni Karaindrou Interpreti Erland Josephson, Harvey Keitel, Yorgos Michalakopoulos, Maia Morgenstern, Mania Papadimitrioy, Thanassis Vengos, Dora Volanaki. FRANCIA/GERMANIA/GRECIA/ITALIA 1995 181 minuti Festival di Cannes 1995 Gran Premio della Giuria Copia proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale. In collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale. Un regista greco, torna in patria per la prima di un suo film e per cercare tre bobine di un negativo (Le tessitrici) impressionato nel 1905 dai fratelli Maniakas, pionieri del cinema, girovaghi nei Balcani. Il suo viaggio di ricerca attraversa Albania, Macedonia, Bulgaria, Romania e approda alla straziata Sarajevo dove l'attende un anziano cinetecario con il mitico reperto. L’opera misteriosa di tre fratelli greci, è il filo d’arianna attraverso il quale il protagonista, rielabora la propria vita, il proprio passato. I rulli nel corso del secolo passano di mano in mano, senza che nessuno riesca mai a svilupparli. I personaggi si muovono attraverso la guerra, la fame, l’impossibilità di amarsi. La poesia che pervade le immagini, l’intensità dei volti, le inquadrature molto larghe, gli spazi che si aprono intorno ai protagonisti, fanno di questo film un capolavoro, uno struggente lamento di disperazione per le occasioni perdute. Il film è dedicato al grande Gian Maria Volontè, che inizialmente doveva interpretare il ruolo del cinetecario a Sarajevo, ultimo custode dei rulli che muore senza riuscire a vederle. NOTE di Theo Angelopoulos Le sceneggiature sono scritte con le mie esperienze personali, con i miei sentimenti, quello che ho vissuto, letto o sentito. Cose che vengono dalla mia infanzia, dal mio ieri, dal mio adesso, tutto ciò costituisce quello che possiamo chiamare la mia biografia spirituale. Siccome i miei film sono sempre una specie di autobiografia spirituale, la poesia LUNEDÌ 3 MARZO MEDUSE di Shira Geffen e Etgar Keret Meduzot Regia Shira Geffen, Etgar Keret Sceneggiatura Shira Geffen Fotografia Antoine Héberlé Montaggio François Gédigier Musiche Christopher Bowen Interpreti Sarah Adler, Tsipor Aizen, Bruria Albek, Ilanit Ben-Yaakov, Assi Dayan, Miri Fabian, Shosha Goren, Tzahi Grad, Johnathan Gurfinkel, Amir Harel, Tami Harel. Produzione Lama Productions Ltd., Les Films du Poisson. Distribuzione Sacher Film. ISRAELE/FRANCIA 2007 - 78 minuti Festival del Cinema di Cannes 2007 Camera d’Or Premio Miglior Opera Prima Il giorno del suo matrimonio, Keren si rompe una gamba e deve così rinunciare alla sua luna di miele ai Caraibi... Una misteriosa bambina uscita dalle acque del mare cambia la vita di Batya, la giovane donna che la trova e che lei segue come un’ombra... Joy, una domestica immigrata, riesce senza accorgersene a rinforzare il legame tra un’anziana donna e la figlia... In un allegro disordine ognuno cerca il suo posto, l’amore, l’oblio o il ricordo, perché così è la vita a Tel Aviv... “Meduse” è un affresco surreale e poetico su una Tel Aviv affogata dal sole, trasognata da personaggi eccentrici e grotteschi, percorsa da sottili inquietudini il cui minimo comun denominatore è il progressivo accantonamento della parola come mezzo comunicativo privilegiato. Poetico, tristemente dolce, malinconico eppure colorato: il primo film della coppia esordiente Keret-Geffen non può che commuovere e affascinare sin dalle prime inquadrature. L’attenzione per i particolari, i tagli di ripresa, la tavolozza pittorica e le sottili geometrie sono al contempo meticolosi e impressionanti. Mentre si susseguono momenti di vero stupore, viviamo la lirica del silenzio, che lascia spazio ai rumori quotidiani, bellissimi da riscoprire. E’ così che gli occhi di una bambina venuta dal mare, insieme ai suoi sorrisi, risvegliano in noi immagini e (anch'io ho cominciato scrivendo poesie) è il modo attraverso il quale comprendo meglio un fatto o, se si vuole, esprimo meglio un fatto. Questo è il motivo per cui io mi esprimo con la poesia. Esistono cose che sono state dette da altri prima di me e meglio di me, cose che avrei voluto dire io e quando le incontro non ho nessun problema ad inserirle nei miei testi come dialogo. Il rischio dell'uso della parola è che questa possa fiaccare l'immagine. Però la mia sensazione è che la parola poetica in realtà moltiplichi la forza dell'immagine, quasi a creare una specie di "fuga musicale" tra la parola e l'immagine stessa. Questa "fuga musicale" tra la parola e l'immagine può ancora aumentare di tono utilizzando altri mezzi: l'interpretazione degli attori, il modo in cui viene fatta un'inquadratura, con cui viene usata la parola, il modo in cui uso gli elementi filmici a mia disposizione. Credo che così si realizzi l'espressione, l'idea principale in quel momento. Parola e immagine vengono insieme. Per me non possono separarsi. Molte volte sembra che l'immagine attenda, ci sono immagini che sembrano attese di ricezione della parola da venire, altre volte l'immagine è più in alto e la parola sussurra il suo dispiegarsi. THÈO ANGELOPOULOS Atene, Grecia, 1935 Nel 1970 gira il suo primo film RICOSTRUZIONE DI UN DELITTO, premiato al Festival di Berlino, che lo rivela alla critica internazionale. I tre film successivi costituiscono una triologia sulla Grecia contemporanea: I GIORNI DEL '36 (1972), LA RECITA (1975) Premio della Critica Internazionale al Festival di Cannes, e I CACCIATORI (1977). Nel 1980 è Leone d'Oro alla Mostra del di Venezia con ALESSANDRO IL GRANDE. Nel 1984 collabora per la prima volta con lo sceneggiatore Tonino Guerra per la stesura di VIAGGIO A CITÈRA, Premio per la Migliore Sceneggiatura al Festival di Cannes. Nel 1986 gira L'APICOLTORE e nel 1988 PAESAGGIO NELLA NEBBIA. Successivamente realizza IL PASSO SOSPESO DELLA CICOGNA (1991). Nel 1994, attraverso i Balcani, gira LO SGUARDO DI ULISSE che vince numerosi premi tra i quali il Gran Premio al Festival di Cannes 1995. Nel 1998, il suo film L’ETERNITÀ E UN GIORNO è Palma d'oro al Festival di Cannes. Il suo ultimo lavoro è LA SORGENTE DEL FIUME (2005). ricordi ancestrali, cullati dalla colonna sonora, impalpabile ma sapientemente presente. I due autori tessono le loro trame con rigore e lucida attenzione, arrivando a comunicare un raffinato e toccante afflato poetico. Una pellicola che conserva una freschezza e un’originalità nella narrazione veramente fuori del comune. NOTE di Shira Geffen e Etgar Keret Siamo una coppia di artisti israeliani che ha vissuto per la maggior parte della sua vita a Tel Aviv. Non c’è da stupirsi, quindi, se abbiamo scelto il mare come protagonista del nostro primo film. In questa realtà israeliana così densa, intrisa di violenza, di sospetto e di ideologie estremiste, il mare diventa una sorta di rifugio, di soccorso e di conforto. Territorio autonomo, il mare appare perciò come l’unico luogo in cui l’uomo viene considerato come tale e non più solo come un vago essere la cui esistenza si riassumerebbe alla sua carta d’identità o al suo statuto sociale. In questo film, composto da diverse storie, il mare è l’elemento unificante, una specie d’inconscio collettivo, dove i nostri personaggi possono confrontarsi con loro stessi. Le tre trame narrative del film funzionano dunque come le varie sfaccettature di uno stesso stato d’animo. Uno stato esistenziale fatto di solitudine e di desiderio insoddisfatto di comunicazione e di scambio affettivo. I nostri eroi hanno bisogno di un intermediario per esprimere e trasmettere i loro sentimenti. Si illudono di scegliere il proprio cammino, ma si muovono come meduse senza poter controllare la propria vita. Le correnti sotterranee che li spingono provengono dal passato, da esperienze traumatiche o da stereotipi. Alla fine del film, alcuni personaggi riusciranno a vincerle. Si ritroveranno allora sulla battigia, davanti al mare. E per un momento, potranno stare in piedi, in un posto chiaro e vero. E sperare. ETGAR KERET Tel Aviv, Israele, 1967 Scrittore, autore di fumetti e regista, Keret è in Israele uno degli artisti più popolari della sua generazione, in particolar modo presso il pubblico più giovane, che si riconosce nei suoi racconti divertenti e surreali. Le sue opere sono oggi tradotte in svariate lingue. In Italia, per E/O sono stati pubblicati “Le tette di una diciottenne” (2006), “Pizzeria Kamikaze” (2004), “Io sono lui” (2004), “Papà è scappato col circo” (2003). SHIRA GEFFEN Tel Aviv, Israele, 1971 La sceneggiatrice e co-regista di “Meduse” fa anch’essa parte della schiera di artisti e registi israeliani più creativi ed attivi del momento. E’ inoltre molto apprezzata per i suoi libri per l’infanzia, nonché per le sua attività di registatelevisivo e teatrale. MERCOLEDÌ 12 MARZO CRAJ-DOMANI DAVIDE MARENGO Napoli, Italia, 1972 Autore di cortometraggi, videoclip musicali e spot pubblicitari. Ha lavorato per la televisione in veste di autore e di regista. CRAJ è il suo primo lungometraggio. Nel 2007 ha realizzato il film NOTTURNO BUS. di Davide Marengo Regia Davide Marengo Soggetto e sceneggiatura Teresa de Sio, Davide Marengo, Paola Papa Fotografia Vittorio Omodei Zorini Montaggio Dario Baldi e Davide Marengo Personaggi e interpreti Bimbascione Teresa de Sio, Floridippo Giovanni Lindo Ferretti, Uccio Aloisi, Matteo Salvatore, Antonio Piccininno, Antonio Maccarone. ITALIA 2005 - 81 minuti Il film nasce ispirandosi a l’opera teatral-musicale "Craj", ideata e diretta da Teresa De Sio e scritta in collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti, della quale ricalca la struttura principale. Il film racconta del viaggio del Principe Floridippo (Giovanni Lindo Ferretti) e del suo servo Bimbascione (Teresa De Sio) attraverso la Puglia. Tutto comincia con uno strano sogno fatto dal Principe, nel quale incontra un grande ragno che lo spinge inspiegabilmente verso sud. Il viaggio dal Gargano al Salento è lungo e i due protagonisti, accompagnati dal cavallo Toledo, si fermano tre volte per riposarsi: a Carpino dove pranzano con I Cantori, a Foggia dove conoscono Matteo Salvatore e a Cutrufiano dove ballano con Uccio Aloisi. Ogni tappa diventa per Floridippo e Bimbascione una scoperta culturale e musicale: I Cantori di Carpino, Matteo Salvatore e Uccio Aloisi sono i principali maestri della musica tradizionale pugliese, veri e propri testimoni di antiche tradizioni popolari e musicali. Tradizioni che conosciamo meglio attraverso interviste e immagini di vita quotidiana, alternate al live dei loro concerti. Il viaggio di Floridippo e Bimbascione si conclude nel Salento, la terra del ragno che il Principe ha sognato prima di partire, la “taranta” per il cui veleno le donne pizzicate mentre raccoglievano il grano, erano costrette a ballare per giorni interi. "Craj" è un viaggio nella memoria che vuole restare nel Domani, come una necessità incontrollabile. Una grande, indimenticabile, festa popolare. LUNEDÌ 10 MARZO L’EREDITÀ di Per Fly Arven Regia Per Fly Soggetto e Sceneggiatura Per Fly, Dorte Hoeg, Kim Leona, Mogens Rukov Fotografia Harald Gunnar Paalgard Montaggio Morten Giese Scenografia Soren Gam Costumi Lotte Trolle Musica James Horner Interpreti Ulrich Thomsen, Lisa Werlinder, Ghita Norby, Karina Skands, Lars Brygmann, Diana Axelsen. Produzione Zentropa Film Distribuzione Teodora. DANIMARCA/NORVEGIA/SVEZIA 2004 - 115 minuti Dopo la morte del padre, Christoffer cede alle richieste della madre e si mette alla guida delle acciaierie Borch Moller, proprietà della sua famiglia, a Copenaghen. In realtà lui non se ne è mai interessato e fino a quel momento ha vissuto a Stoccolma con la moglie Marie, attrice svedese, gestendo un ristorante. Una volta a capo dell’azienda, Christoffer è costretto a prendere decisioni drastiche che lo metteranno a confronto non solo con la sua coscienza, ma anche con la sua famiglia... Il film è il secondo episodio di una trilogia di indagine sulla società danese di cui “The Bench” (2002) è il primo capitolo e “Gli innocenti” (2006) il terzo. “L’eredità” è stato giustamente premiato dalla critica sia nazionale che internazionale, ricevendo al Festival di San Sebastian il premio della Giuria per la Migliore Sceneggiatura. Sviluppandosi su una costruzione psicologica sottile e impeccabile, l’evoluzione del dramma si muove nella ricerca di comprensione del personaggio, delle sue motivazioni, del percorso interiore che lo porta all’ineluttabile ma, comunque, personale scelta. Il percorso epico e sventurato di un eroe, di un principe moderno davanti al destino ed il percorso assolutamente psicologico e intimo di un uomo davanti ai suoi obblighi sociali. Il tutto raccontato con parsimonia e pacatezza da una macchina da presa che si limita ad esserci lasciando alla storia, alla splendida MERCOLEDÌ 26 MARZO IL DESTINO di Youssef Chahine Al Massir. Regia: Youssef Chahine Sceneggiatura: Youssef Chahine e Khaled Youssef Fotografia: Mohsen Nasr Montaggio: Rachida Abdel Salam Scenografia: Hamed Hemdane Musica: Kamal El Tawil e Yohia El Mougy Interpreti: Nour El Cherif, Lalila Eloui, Mahmoud Hemeida, Safia El Emary, Mohamed Mounir, Khaled El Naboaoui. EGITTO 1997 - 135 minuti 50° Festival del Cinema di Cannes 1997 Palma d'Oro del cinquantenario Averroè, filosofo arabo nato a Cordoba nel 1126, sostenitore di una concezione religiosa dell'ordine cosmico quale risultato del comprendersi reciproco e dal convergere finalistico delle intelligenze, fu per questa aperta visione del mondo avversato sia dalla Chiesa Cattolica che dall'integralismo islamico. Il film narra il periodo più tormentato della vita di Averroè. Siamo nel 1195. Il giovane Joseph, il cui padre è stato bruciato sul rogo per aver tradotto le opere dell'eretico filosofo, fugge dalla Francia per raggiungere il suo Maestro a Cordoba. Ma anche lì, a causa del nascente integralismo ortodosso, fomentato dai personali interessi dello sceicco Riad, la vita di Averroè, che tiene appassionate lezioni a un numeroso gruppo di discepoli, comincia a farsi difficile. A causa delle accuse degli ortodossi, il califfo Al Mansur ordina che tutti i lavori del filosofo siano dati alle fiamme, costringendolo ad abbandonare Cordoba con la famiglia e i suoi discepoli. Chahine disegna un personaggio attualissimo, campione di tolleranza contro tutti gli integralismi, capace di far confluire nel suo pensiero fede e ragione, intel- interpretazione degli attori, ai preziosi dialoghi il compito di raccontare una vicenda che si fa, si costruisce, si vive istante per istante. Prodotto dalla Zentropa di Lars Von Trier, girato in uno stile severo, controllato, arciclassico, il film aggiorna temi della grande letteratura europea fra le due guerre ai tempi dell’euro e delle grandi fusioni. Il regista e il suo bravissimo protagonista Ulrich Thomsen disegnano con delicata sensibilità, con ricchezza di sfumature e molto non detto, ma suggerito da una regia e un’interpretazione di grande sensibilità, il precipitare di un giovane uomo nella perdita di sé. NOTE di Per Fly Questo è un film sul volere e sulla passione, un film su quello che vuoi e su quello che devi fare. Christoffer è l’erede di questa famiglia di produttori d’acciaio da ben quattro generazioni e c’è qualcosa che deve fare assolutamente: prendere le redini dell’azienda. E’ un problema di dovere. Non è un uomo innamorato del potere e non è ubriaco di denaro perché lo ha sempre avuto, lui ha seguito questo dovere perdendo la passione... Quando ho scritto la sceneggiatura ho trovato molte difficoltà perché io non provengo dall’alta borghesia, ma la mia famiglia era piccolo borghese se non proletaria. Ho chiesto aiuto a Mogens Rukov, sceneggiatore di Festen, e quando gli ho detto:’’questa è la storia di un uomo che perde la donna che ama perché fa quello che deve fare’’, ha aggiunto ‘’no, questa è la storia di un uomo che sceglie di perdere la donna che ama perché fa quello che deve fare’’. Questa è la dimensione tragica del film. PER FLY Copenaghen, Danimarca, 1960 Conseguito il diploma alla Danish National Film School nel 1993, ha diretto diversi film per la televisione, tra cui “The Little Knight/Den Lille Ridder”(1999), e il pluripremiato “Calling Katrine!/Kalder Katrine!”. Il suo primo lungometraggio è stato THE BENCH, premiato al Festival di Lubecca nel 2000. Ha inoltre diretto PROP & BERTHA un film di animazione realizzato nel 2001. L’EREDITA’ è il terzo lungometraggio di Per Fly. Attualmente il regista è impegnato nella stesura del terzo ed ultimo capitolo della trilogia sulle classi sociali, THE KILLING, riguardante la media borghesia. LIBRACCIO Via Giulini 10 - Como - telefono 031 272 458 - www.libraccio.it Viale F.lli Rosselli 13 - Como - telefono 031 570 445 - www.unipolcomo.it Lunecine interno 08 19-12-2007 16:17 Pagina 5 letto ed esperienza, rigore morale e afflato umano e lo racconta con una maestria e una disinvoltura stilistica capace di unire i più disparati generi cinematografici, dal kolossal storico al musical, dal melodramma al western. "Nello stesso giorno, può capitarmi di piangere, ridere, ballare e cantare, persino di essere rinchiuso in cella. Un film dovrebbe contenere tutti questi elementi. Quello che importa è lo stile e il ritmo". YOUSSEF CHAHINE Alessandria, Egitto 1926 “Il destino” è il primo film di Chahine distribuito in Italia, un vero evento per un regista autore di 35 lungometraggi e 24 cortometraggi realizzati fra il 1945 e il 1997. Nel 1951 ottiene la Camera d'Or alla sua prima partecipazione al Festival di Cannes con LE FILS DU NIL. Già nel 1970 ottiene al Festival del Cinema di Cartagine il Gran Premio per l'insieme della sua opera. Nel 1979 Orso d'Argento al Festival di Berlino per il film ALEXANDRIE POURQUOI? Nel 1996 è premiato al Festival di Locarno che ha dedicato al regista un'ampia e illuminante retrospettiva. MERCOLEDÌ 16 APRILE WEST BEYROUTH di Ziad Doueiri Beyrouth Al Gharbiyya Regia Ziad Doueiri Soggetto e sceneggiatura Ziad Doueiri Fotografia Robert Gale Montaggio David Marcombe Musiche Steve Copeland Interpreti Ram Doueiri, Mohammad Chamas, Rola Alamin, Carmen Lebbos, Joseph Bou Nassar, Lialiane Nemri. LIBANO/FRANCIA/BELGIO 1998 - 107 minuti 13 Aprile 1975, primo giorno ufficiale della guerra civile libanese che dilanierà il Paese per otto anni. La capitale viene divisa in due parti: una sotto il controllo dei mussulmani, l'altra sotto il controllo dei cristiani. Tarek e Omar, due adolescenti, non possono più frequentare il loro liceo che si trova nella parte est, occupata dalle milizie cristiane. Per i due cominceranno, così, lunghe giornate passate a girovagare per Beyrouth, in compagnia della loro amica (cristiana) Mary. La guerra rappresenterà per loro motivo per crescere e scoprire la realtà della loro martoriata città. I due ragazzi oppongono alla tragedia la propria voglia di vivere, traversano il primo anno di guerra nell'incoscienza, scoprono le pulsioni della sessualità nascente. Finché la violenza afferma le proprie ragioni, più forti di quelle dell'innocenza. “West Beyrouth” è un primo film largamente autobiografico. Lo ha diretto Ziad Doueiri, che all'epoca aveva dodici anni e viveva nella città, prima di emigrare in America, dove ha studiato all'università di San Diego ed è diventato assistente alla fotografia per tutti i film di Quentin Tarantino. Nessun tarantinismo, però, nel suo esordio come regista. Il racconto d'iniziazione di Tarek (interpretato da Rami Doueiri, fratello di Ziad) e Omar adotta una chiave rappresentativa decisamente realistica, anche se unita a un senso beffardo e complice dell’incoscienza adolescenziale. Eppure, per quanto lasci parlare le cose senza imporre effetti drammatici a ciò che mostra, Doueiri rende perfettamente l'assurdità autodistruttiva della guerra civile mentre segue, con la macchina da presa a spalla o la steadycam, le peregrinazioni dei suoi protagonisti. Però lo fa ricostruendo quei giorni tremendi con istintivo pudore e non indulge alla tentazione di commentare fatti tanto espliciti di per sé, convinto come ha dichiarato che "ciò che una persona esprime apertamente non lascia spazio all'interpretazione; ciò che vediamo è tutto quel che c'è da vedere". ZIAD DOUEIRI Beirut, Libano, 1963 Studia cinema a San Francisco e alla U.C.L.A., inizia quindi un lungo sodalizio con Quentin Tarantino per cui lavora come primo assistente alla camera nei film da lui diretti Reservoir Dogs (1992), Pulp Fiction (1994) e Jackie Brown (1997). BEYROUTH AL GHARBIYYA è il suo primo film. Nel 2004 ha girato LILA DIT ÇA. MERCOLEDÌ 30 APRILE UN TOCCO DI ZENZERO di Tassos Boulmetis Politiki Kouzina Regia e sceneggiatura Tassos Boulmetis Fotografia Takis Zervoulakos Montaggio George Mavropsaridis Scenografia Olga Leontiadou Musiche Evanthia Reboutsika Interpreti George Corraface, Tassos Bandis, Basak Köklükaya, Ieroklis Michailidis, Renia Louizidou, Stelios Mainas, Markos Osse, Tamer Karadagli. GRECIA/TURCHIA 2003 - 108 minuti scenza delle spezie, dell’arte culinaria e dell’astronomia, passioni che trasmette con trasporto al giovane Fanis. All’inizio degli anni ’60, Fanis e la sua famiglia, composta prevalentemente da greci, vengono costretti a lasciare Istanbul e a trasferirsi ad Atene, lasciando il nonno. Il ragazzo trova difficoltà nell’ambientarsi ad Atene. Spera di poter cucinare per il nonno e per la sua amica Saime, quando verranno a trovarlo... La storia è in gran parte autobiografica per il regista e sceneggiatore Tassos Boulmetis, anch’egli cacciato nel 1964 da Istanbul, quando le tensioni politiche tra Grecia e Turchia per il possesso di Cipro toccarono il culmine; tensioni politiche che tuttora faticano a risolversi tra i due paesi. Un tale peso della storia e della politica, però, non viene illustrato in maniera pedante in “Un tocco di zenzero”, ma si avverte nel piccolo della quotidianità dei personaggi, o in alcuni brevi scambi di dialogo; tali eventi hanno strappato via un pezzo di vita ai protagonisti e ne hanno compromesso il resto, ma in maniera anche nascosta. È uno dei tanti meriti della sceneggiatura, un buon lavoro pieno di rimandi interni al testo e piccoli tocchi di commedia e grottesco quanto basta: come un piatto in cui le spezie sono dosate a puntino. Un pezzetto di vita che si snoda con piacere, senza profondità ma con molta umanità. Record d’incassi greci, atmosfera da idillio collettivo tra cibi e pianeti. TASSOS BOULMETIS Istanbul, Turchia, 1957 Ha studiato Física alla Università di Atene, Produzione e Direzione Cinematografica alla Università di California (UCLA). Comincia la sua carriera in Grecia come direttore di programmi televisivi sui canali nazionali. Coproduce, dirige e scrive il suo primo film DREAM FACTORY nel 1995. La pellicola gli valse il Golden Awards al Festival del Cinema di Houston. Si è specializzato in Effetti speciali e cinema digitale presso il Centre Film di Parigi. “Un tocco di zenzero” è la storia di un viaggio, il viaggio geografico che il protagonista, Fanis Iakovidis, compie nella Istanbul di oggi e allo stesso tempo un viaggio dell’anima nella Istanbul degli anni ’50, dove egli ha trascorso la sua infanzia. Ad Istanbul lo vediamo ricevere le sue prime lezioni, all’età di 7 anni circa, dal suo mentore e nonno, che possiede un meraviglioso dono, quello di saper interpretare gli eventi della vita con delle parabole e di saper usare le spezie per descrivere i fenomeni naturali e i rapporti umani. Nonno Vassilis è anche proprietario di un piccolo negozio di spezie, la sua filosofia di vita del è legata all’amore e alla cono- LUNEDÌ 17 MARZO TIDELAND di Terry Gilliam Regia: Terry Gilliam Sceneggiatura: Terry Gilliam, Tony Grisoni Fotografia: Nicola Pecorini Montaggio: Leslie Walker Scenografie: Jasna Stefanovic Musiche: Jeff Danna, Michael Danna Interpreti: Jodelle Ferland, Jeff Bridges, Janet McTeer, Brendan Fletcher, Jennifer Tilly Produzione: Recorded Picture Company, Capri Films Distribuzione: Officine Ubu. STATI UNITI 2005 - 122 minuti Jeliza-Rose è la figlia di una coppia di tossicodipendenti incalliti, il padre è una vecchia gloria del rock e Jeliza gli prepara tutti i giorni le dosi per le sue piccole “vacanze”. Dopo la morte della madre per overdose, i due partono alla volta della vecchia casa della nonna, sperduta nella campagna, coltivando l’antico sogno di partire alla volta dell’Europa del Nord. Qui Jeliza-Rose incontra gli abitanti del mondo reale, dagli scoiattoli ai vicini di casa, e Gilliam ce li mostra secondo la sua visione. “Il Mondo Capovolto” è un pendolo che oscilla tra la più cruda realtà e il sogno, mettendo in azione una lettura profonda sulla prima adolescenza, attraverso la lente del surreale. Insomma per dirla alla Gilliam, “Tideland” è l’incontro tra “Alice del Paese delle Meraviglie” e “Psycho”. Il mondo di Jeliza è un elogio del fantastico che, con il suo potere immaginifico, riesce a superare le tragedie più strazianti. Il regista Terry Gilliam sentendosi un po’ bambino nell’animo, ha deciso di trasformare il racconto di Mitch Cullin in film per rispondere all’isteria collettiva che domina i mezzi della comunicazione a proposito dei bambini e commenta dicendo “Sono stanco della visione distorta che i media ci propinano, così ho deciso di fornire la mia... visione disorta”. Attraverso l’uso prezioso della tecnica cinematografica, nonostante le grandi limitazioni economiche, Gilliam riesce a catapultare lo spettatore in questo “mondo alternativo” dai colori visivamente eccitanti, facendolo cadere nella tana del “bian-coniglio” di “Alice nel Paese delle Meraviglie”. LIBRERIA Via V. Emanuele II 71 - Como NOTE di Terry Gilliam Mi ha sempre affascinato la visione distorta dei bambini. E’ una qualità che perdiamo negli anni. Io per fortuna la ritrovo quando faccio un film. Il romanzo di Mitch Cullin era fottutamente divertente, toccante e disturbante nello stesso tempo. Mi affascinava l’idea di contrastare l’immagine veicolata dai media riguardo ai bambini. Vengono ritratti solo come vittime indifese dai giornali e dalle televisioni, mentre sono convinto che siano pieni di risorse, capaci di prendere in mano le situazioni e cavarsela da ogni tipo d’impiccio. Abbiamo cercato di rimanere il più fedele possibile al romanzo. Rispetto al lavoro di Cullin abbiamo aggiunto più riferimenti ad “Alice nel Paese delle meraviglie”. Siamo intervenuti poi sulla voce narrante. Il romanzo è in prima persona, è la bambina che racconta, nel film abbiamo optato invece per la terza persona. Da un punto di vista iconografico ci siamo accostati a “Tideland” come se fosse un western: il quadro predominante è quello di un orizzonte piatto in cui si muovono acune figurine. Il nostro modello è stato “Christina’s World”, un famoso dipinto di Andrew Wyeth di una casa di legno in lontananza e una ragazzina che sembra trascinarsi verso di lei. Nicola Pecorini, il direttore della fotografia, lo ha reso se possibile ancora più bello, infondendogli un calore umano sconosciuto al suo referente pittorico. TERRY GILLIAM Minneapolis, Minnesota, 1940 Regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico. Dopo essersi trasferito in Inghilterra nel 1967, ed essere diventato uno dei membri dei Monty Python, Gilliam è diventato in seguito un regista cinematografico. Il suo primo film da regista è stato MONTY PYTHON E IL SACRO GRAAL, a cui è subito seguito JABBERWOCKY. Nel 1981 gira BANDITI DEL TEMPO, e nel 1985 realizza quello che molti considerano il suo capovaloro, BRAZIL, nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Il ritorno alla regia arriva nel 1988, con il film fantastico LE AVVENTURE DEL BARONE DI MUNCHAUSEN, seguito da LA LEGGENDA DEL RE PESCATORE (1990) Leone d’Argento al Festival di Venezia. Nel 1995 dirige il film di fantascienza L’ESERCITO DELLE DODICI SCIMMIE. Nel 1998 partecipa in concorso al Festival di Cannes con PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS adattamento del libro di Hunter S. Thompson. LUNEDÌ 31 MARZO NELLA VALLE DI ELAH di Paul Haggis In the Valley of Elah Regia Paul Haggis Sceneggiatura Paul Haggis Fotografia Roger Deakins Montaggio Jo Francis Musiche Mark Isham Interpreti Tommy Lee Jones, Charlize Theron, Susan Sarandon, James Franco, Jason Patrick Produzione Samuels Media, Summit Entertainment, NALA Films Distribuzione Mikado. STATI UNITI 2007 - 119 minuti 64ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia In Concorso Nella Valle di Elah racconta la storia di un veterano di guerra, Hank Deerfield, di sua moglie e della ricerca del loro figlio, un soldato scomparso misteriosamente appena rientrato dall’Iraq. Hank Deerfield si fa due giorni di viaggio per recarsi alla base militare dov’è di stanza il figlio, che non si è presentato all’appello. L’intenzione sarebbe quella di ritrovarlo e riportarlo sulla retta via. Giunto alla meta scopre non solo che il figlio è stato brutalmente assassinato, scoprirà anche i terribili risvolti umani che si celano dietro alla terribile esperienza della guerra in Iraq... Con “Nella valle di Elah” Paul Haggis si aggiunge alla (per ora) corta lista di quelli che in terra americana stanno tentando di riflettere lucidamente sull’inafferrabile tragedia che è il secondo conflitto iracheno. Haggis utilizza un calibratissimo e perfetto stile classico, da buona tradizione del cinema liberal hollywoodiano, per descrivere la dolorosa presa di consapevolezza di un padre che capisce di aver mandato a morire il figlio in una guerra assurda. Ma non solo, lentamente e terribilmente affiora nell’animo di Hank Deerfield, a cui dona un volto un monumentale Tommy Lee Jones, tutta la dolente costernazione che può dare la scoperta di aver fatto riferimento ad un errato sistema di valori per tutta una vita. Piano piano si fa strada in lui un tarlo odioso. E la sua immagine eroica e fasulla da ex soldato si incrina, si stropiccia e si distorce in un cupo incubo. Questo fa di “Nella valle di Elah” un film capace di ritrarre a pieno il declino dei valori fondanti la democrazia americana, e fa ben capire perché sia stato ignorato dal pubblico di casa: i padri sono convinti di aver mandato i figli in guerra per una buona causa, e quando vengono smentiti il loro orrore e dolore si moltiplica. NOTE di Paul Haggis Ho ricevuto per posta un articolo scritto da Mark Boal intitolato “Morte e disonore”. Leggendolo mi sono veramente commosso. L’articolo raccontava una storia molto tragica e ho capito subito che sarebbe stato quello il mio prossimo film. Era da tempo che cercavamo il materiale giusto, mi sono sentito immediatamente vicino alla storia perché racconta qualcosa di molto forte. Leggendo l’articolo, si capiva subito che sarebbe stato il punto di partenza ideale per affrontare un argomento in grado di suscitare l’interesse di chiunque. Quale è la cosa giusta da fare quando si tenta di fare giustizia? Che cosa facciamo per prenderci cura di noi stessi? Che cosa facciamo per prenderci cura delle nostre famiglie? L’articolo di Boal raccontava nei dettagli l’omicidio di un giovane soldato appena rientrato dall’Iraq di stanza a Ft. Benning, Georgia, l’indagine organizzata dal padre a seguito della sua scomparsa e in che maniera la guerra ha cambiato per sempre i tre soldati accusati dell’omicidio del loro commilitone. Più facevo ricerche e più la storia cresceva. Alla fine mi sono trovato a metterla insieme ad un’altra storia vera e ho poi inventato il personale viaggio di Hank, che lo porterà alla scoperta della verità. Indipendentemente dalle opinioni che ognuno di noi ha sulla guerra, ho sentito la necessità di parlare di quello che succede a quegli uomini e a quelle donne che stiamo mandando laggiù. Volevo raccontare la storia di tante brave persone che sono costrette a prendere delle decisioni terribili. PAUL HAGGIS London, Canada, 1951 Haggis ha scritto due film che hanno vinto l’Oscar per il Miglior Film: MILLION DOLLAR BABY (2004) di Clint Eastwood, e CRASH (2005), suo film d’esordio come regista, film vincitore dell’Oscar per il Miglior Film e per la Migliore Sceneggiatura. Nel 2006 Haggis ha scritto le sceneggiature dei due film diretti da Clint Eastwood FLAGS OF OUR FATHERS e LETTERE DA IWO JIMA, la seconda delle quali gli è valsa la terza candidatura all’Oscar. MERONI telefono 031 262 560 www.libreriameroni.it Via Milano 16 - Como - telefono 031 267 344 - fax 031 260 246 [email protected] Lunecine interno 08 19-12-2007 16:17 Pagina 6 LUNEDÌ 7 APRILE L’ETÀ BARBARICA LUNEDÌ 14 APRILE You, the Living L’alchimia è di quelle di ordinaria e contagiosa follia, una serie di mini sketch di sogni e incubi contemporanei, gente che soffre, suona, beve, impreca e prega fino all’arrivo di rombanti ed inquietanti aerei che metteranno probabilmente fine a vite ormai perdute. Regia Denys Arcand Sceneggiatura Denys Arcand Fotografia Guy Dufaux Montaggio Isabelle Dedieu Musiche Philippe Miller Interpreti Marc Labrèche, Diane Kruger, Sylvie Léonard, Caroline Néron, Rufus Wainwright, Macha Grenon, Emma de Caunes, Didier Lucien, Rosalie Julien, Jean-René Ouellet, André Robitaille. Produzione Cinémaginaire Inc., Mon Voisin Productions Distribuzione Bim Film. Canada 2007 - 110 min. 60 °Festival del Cinema di Cannes 2007 In concorso Regia Roy Andersson Sceneggiatura Roy Andersson Fotografia Gustav Danielsson Montaggio Anna Märta Waern Musiche Benny Andersson Interpreti Håkan Angser, Eric Bäckman, Patrik Anders Edgren, Björn Englund, Lennart Eriksson, Pär Fredriksson, Elisabeth Helander, Gunnar Ivarsson, Leif Larsson, Jessika Lundberg. Produzione Posthus Teatret, Produksjon 4 1/2, Roy Andersson Filmproduktion AB. Distribuzione Lady Film. Svezia/Francia 2007 - 95 minuti NOTE di Roy Andersson In una raccolta di vecchie poesie islandesi chiamata “The Poetic Edda” c’è un proverbio che dice: “L’uomo è la delizia dell’uomo.” Mi piace l’idea che l’uomo non sia solo sulla terra, ma che dipenda dagli altri. Tuttavia, se l’essere umano è la gioia degli altri, è anche la fonte dei suoi problemi e dolori. L’uomo affascina l’uomo: è così che ho interpretato questo conciso pezzo di saggezza millenaria e l’ho adottato come elemento nel film. Il mio film è composto da una serie di tableaux che illutrano la condizione umana. I personaggi rappresentano diverse sfaccettature dell’esistenza. Affrontano problemi piccoli e grandi che riguardano questioni della sopravvivenza quotidiana, ma anche grandi temi filosofici. Spero che “You, the Living” dia al pubblico la possibilità di poter guardare ai momenti della propria esistenza. È mia intenzione sviluppare un linguaggio cinematografico che sia meno prevedibile. Il mio film rompe gli schemi della narrativa classica per raccontare la storia attraverso un mosaico di destini umani. I tableaux mostrano gli equivoci ed errori commessi da persone che si incontrano, ma mai realmente. Il film narra delle vite delle persone, del loro lavoro, di come si comportano in società, dei loro pensieri, delle preoccupazioni, dei sogni, dei dolori, delle gioie e dell’insaziabile bisogno d’amore. Questi fenomeni hanno tante variazioni quanti sono gli individui sul nostro pianeta. Per questo “l’uomo è la delizia dell’uomo”. di Denys Arcand L’age des ténèbres di Roy Andersson Du Levande Nei suoi sogni, Jean-Marc è un cavaliere dall’armatura scintillante, una star del palcoscenico e dello schermo, e un autore di successo: le donne cadono ai suoi piedi e finiscono regolarmente nel suo letto. In realtà è un uomo qualsiasi, impiegato statale, marito insignificante, padre fallito e fumatore clandestino. Ma Jean-Marc resiste alle tentazioni del suo mondo di sogno e decide di darsi ancora una chance nel mondo reale... Con “L’età barbarica” (questo il titolo dato a “L’age des ténèbress” dai distributori italiani, in un grottesco tentativo di recuperare la memoria di “Le invasioni barbnariche”) Arcand riesuma la vecchia traccia drammaturgica del travet che per sfuggire al grigiore della routine si rifugia in una ridda di fantasiosi sogni seriali, popolati di avventure cavalleresche e di una onnipresente bellezza femminile. Lo fa, come sempre nei suoi film per parlare dell’entropia morale e persino fisica della società occidentale, tema che da “Il declino dell’Impero Americano” in poi sembra letteralmente ossessionare il cineasta canadese, ma lo fa con un sorriso amaro sulle labbra, senza sentenziare e soprattutto senza prendersi troppo sul serio. Sono le pagine migliori del suo cinema, che oscillano fra tragedia e farsa, che spezzano la sapiente sceneggiatura con tocchi da racconto popolare. E da questo punto di vista, “L’età barbarica” è forse il film meno intelettuale e più divertente film di Arcand, ma dentro racchiude una morale amarissima: è proprio rifugiandosi nei sogni che l’uomo contemporaneo dimostra di non essere neanche più in grado di sognare. NOTE di Denys Arcand Grazie al successo de “Le Invasioni Barbariche” ho trascorso un anno in giro per il mondo a rilasciare interviste. Dopo tre mesi di questa vita ho pensato: “C’è qualcuno al mondo che vorrebbe stare al mio posto?” E così ho cominciato ad immaginare un individuo che non è mai apparso in TV, a cui nessuno ha mai messo un microfono davanti alla bocca, che sogna di essere intervistato, di incontrare star del cinema e di dire la sua sulla società. Ho scritto il ruolo pensando a Marc Labrèche, un comico famosissimo in Quebec. Abbiamo passato un giorno insieme per parlare di un altro progetto, proprio prima che io cominciassi a scrivere “L’età barbarica”, e mi sono reso conto che ridevamo delle stesse cose, che eravamo esattamente sulla stessa lunghezza d’onda. La sfida per me era quella di capire come questo individuo ordinario potesse riuscire a fare qualcosa della sua vita. Che soluzioni potevo trovare per lui?... Non è che io non abbia niente da dire sul mondo in cui viviamo, è che posso dirlo solo sotto forma di una storia. Ma è una storia con aspetti simbolici, questo sì. Non potrei mai fare un dramma a tutto tondo, così come non potrei mai realizzare novanta minuti di pura commedia. I miei film oscillano sempre tra commedia, tragedia, farsa, melodramma... E’ per questo che faccio il regista e non l’attivista politico, perché tendo a vedere sempre i due lati di ogni problema. DENYS ARCAND Deschambault, Québec, Canada, 1941 Ha girato il suo primo film nel 1971 DIRTY MONEY selezionato per la Settimana della Critica al festival di Cannes. Nel 1973 RÉJANNE PADOVANI è stato selezionato per la Quinzaine de Réalisateurs e per il New York Film Festival. A questi hanno fatto seguito GINA (1978), COMFORT AND INDIFFERENCE (1980), MURDER IN THE FAMILY (1984). Nel 1987, ha realizzato IL DECLINO DELL’IMPERO AMERICANO, suo primo vero successo internazionale. Nel 1989 ha diretto JESUS OF MONTREAL che ha vinto due premi a Cannes. Nel 1996 ha girato il suo primo film in inglese LA NATURA AMBIGUA DELL’AMORE e nel 2000 STARDOM che è stato presentato fuori concorso a Cannes. Nel 2003 ha scritto e diretto LE INVASIONI BARBARICHE che ha vinto il premio Oscar come Miglior Film. LUNEDÌ 21 APRILE PARANOID PARK incalza cercando di destarlo dal suo “calcolato” torpore. Proprio come un antieroe dostoevskijano, Alex intraprende un lungo viaggio nella propria coscienza, decidendo però di “non scegliere”, lasciando che sia il silenzio a determinare il suo destino. di Gus Van Sant Regia Gus Van Sant Sceneggiatura Gus Van Sant tratto dal romanzo omonimo di Blake Nelson Fotografia Christopher Doyle, Kathy Li Montaggio Gus Van Sant Interpreti Gabe Nevins, Daniel Liu, Taylor Momsen, Jake Miller, Lauren McKinney, Winfield Jackson, Joe Schweitzer, Grace Carter, Scott Patrick Green, John Michael Burrowes, Gus Van Sant Produzione MK2 Productions Distribuzione Lucky Red STATI UNITI 2007 - 90 minuti 60 °Festival del Cinema di Cannes 2007 In concorso Il suo regista l’ha definito “una specie di Delitto e castigo ambientato al liceo”, ma senza dubbio sembra innanzitutto la continuazione di un discorso che Gus Van Sant ha iniziato coi suoi primi film “Mala Noche” e “Drugstore Cowboy” e che è proseguito coi film successivi. Ancora una volta ragazzi, adolescenti, e ancora una volta “belli e dannati”. Dopo la cosiddetta “trilogia del pedinamento”, Van Sant ha tratto la sua nuova pellicola dal romanzo dello scrittore Blake Nelson (nato e residente a Portland, proprio come Van Sant). “Paranoid Park” è una storia di colpa ed espiazione fra gli skaters di Portland. Il protagonista di Van Sant è Alex, un sedicenne biondo ed efebico, che reca con sé un senso di colpa che lo lacera, l’uccisione di un agente di sorveglianza, colpito dal ragazzo con il suo skateboard durante un inseguimento, colpo che ha spedito l’uomo direttamente sotto un treno merci in transito uccidendolo sul colpo. Il conflitto fra coscienza e istinto di autoconservazione induce Alex da un lato al silenzio, dall’altro all’isolamento, negandosi tanto alle attenzioni degli amici (i sodali skaters con cui condivide una sorta di mutua assistenza) quanto a quelle della sua ragazza (con la quale inscena una maldestra “prima volta” che simbolicamente approda a uno scacco) e di un’altra coetanea che lo provoca e lo NOTE di Gus Van Sant Ho deciso di adattare il romanzo di Blake Nelson innanzitutto perché la storia si svolgeva a Portland, una città che ho sempre amato. E poi era la storia di un giovane skater, per di più in una situazione difficile e molto soffocante, caratteristiche per me molto interessanti. Ho giocato molto con la struttura del romanzo. Ci sono poche cose del libro che non sono nel film, ma strutturalmente tutto è stato molto manipolato. Ho scelto di girare sia in super 8 che in 35 mm perché il supporto dei film su skate è il super 8, o anche il digitale, e poiché nel film vengono utilizzate queste immagini, abbiamo deciso di girare qualche sequenza supplementare sullo stakeboard in super 8. È decisamente più difficile tenere una macchina da presa più grande tenendosi in equilibrio su una plancia. Il 35 mm, inoltre, è troppo costoso perché possa essere utilizzato normalmente da coloro che realizzano filmati sugli skateboard. In ogni caso, tutto il resto del film è girato in 35 mm, che rimane a mio avviso il supporto migliore. GUS VAN SANT Louisville, Kentucky, 1948 Gus Van Sant è diventato famoso con il suo primo lungometraggio, MALA NOCHE (1985), premiato nel 1987 per la categoria Miglior Film Indipendente dal Los Angeles Film Critics. I suoi film segnano profondamente il cinema americano indipendente degli anni ‘90, in particolare DRUGSTORE COWBOY (1989), BELLI E DANNATI (1991) e COWGIRLS (1993). La sua commedia nera, DA MORIRE (1995), con Nicole Kidman, è stata presentata al Festival di Cannes e al Festival di Toronto. WILL HUNTING (1997), nominato nove volte agli Oscar, ha fatto ottenere a Gus Van Sant una nomination per la categoria Miglior Regista. Dopo il remake di PSYCHO (1998), gira SCOPRENDO FORRESTER (2000), e GERRY (2002). Nel 2003 realizza ELEPHANT, Palma d’oro per il Miglior Film. Nel 2005 è nuovamente presente al Festival di Cannes nella selezione ufficiale in concorso con LAST DAYS. “Gioisci dunque, o vivente! di questo posto riscaldato dall’amore prima che il fatale Lete bagni il tuo piede fugace!”. Johann Wolfgang von Goethe - Elegie Romane L’essere umano è sempre in bilico tra la grandezza e il baratro della miseria, tra la gioia e la tristezza, tra la fiducia in sé stesso e la paura di non farcela. Nell’alternanza tra il riso e il pianto, la vita è una commedia con un finale tragico o una tragedia piena di avvenimenti comici. Il film dell’originalissimo svedese Roy Andersson mischia la gioia di vivere, espressa da un umorismo burlesco, a una visione piuttosto disperata dell’essere umano e del mondo contemporaneo. Nel film - il quarto in 37 anni di carriera del regista/produttore vincitore a Cannes nel 2000 del Premio della Giuria con “Songs From The Second Floor” - Roy Andersson eccelle nel suo stile caratteristico fatto di artifici tecnici, di brillante composizione teatrale e di atmosfere suggestive. La narrazione è composta da una cinquantina di scene di vita quotidiana di abitanti di una grande città, a creare un geniale puzzle sul destino, un’opera degna di nota per le qualità stilistiche fuori dal comune del regista e la moltitudine di temi profondi e universali abbordati con umorismo bizzarro e sconvolgente. Andersson mescola storie buffe, disperate e grottesche in un’idea di cinema originale che confina con Lars Von Trier e col nichilismo di Kaurismaki. LUNEDÌ 28 APRILE LA PROMESSA DELL’ASSASSINO di David Cronenberg Eastern Promises Regia David Cronenberg Sceneggiatura Steven Knight Fotografia Peter Suschitzky Montaggio Ronald Sanders Musiche Howard Shore Interpreti Viggo Mortensen, Naomi Watts, Vincent Cassel, Armin Mueller-Stahl, Sinéad Cusack, Jerzy Skolimowski Produzione Serendipity Point Films, BBC Films Distribuzione Eagle. CANADA/GRAN BRETAGNA 2007 - 100 minuti In una Londra notturna e piovosa si compiono due differenti destini. Un omicidio rituale apre le danze di una guerra tra opposte fazioni di immigrati dell’Est-Europa, mentre una ragazza, poco più che adolescente e priva di documenti di identità, muore dando alla luce una bambina. L’ostetrica Anna Khitrova dopoaver trovato il diario della giovane, inizia le sue incaute indagini, volte a rintracciare i parenti prossimi della vittima. Il diario è però scritto in cirillico, e l’unico indizio comprensibile è il biglietto da visita di un ristorante tradizionale russo… Con “Eastern Promises” (“La promessa dell’Est”, titolo decisamente più appropriato di quello italiano), David Cronenberg realizza forse il suo film più aderente ai canoni del thriller urbano con annesso sottomondo mafioso. Se la precedente pellicola di Cronenberg ci offriva una limpida parabola sulla violenza tout court, con “Eastern Promises” moltiplica le chiavi di lettura, la complessità delle riflessioni, abilmente incastonate tra le pieghe del racconto, ponendo al centro del suo discorso il tema del sacrificio. La sceneggiatura, opera di Steve Knight, è solida e lineare, il thriller ha un’andatura tesa e implacabile, e la resa realistica della violenza cattura lo spettatore in una morsa, mentre lo stile inappuntabile della regia ci regala momenti di intenso piacere visivo, amplificato da uno humour tagliente che sottolinea le mille sfaccettature dell’animo umano. ROY ANDERSSON Gothenburg, Svezia, 1943. Il suo primo lungometraggio, A SWEDISH LOVE STORY, si aggiudica il premio alla Berlinale IFF 1970. GILIAP, il suo secondo film, viene presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes nel 1976. Nel 1981 fonda lo Studio 24 per poter produrre e realizzare i propri film in tutta libertà. Dopo Something Happened (1987) e World of Glory (1991), due corti che si sono aggiudicati i premi più prestigiosi, gira SONGS FROM THE SECOND FLOOR vincendo il Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 2000. YOU, THE LIVING è il suo quarto lungometraggio. penso che in alcuni casi la gente debba vedere per capire che cosa è veramente la violenza. Forse non è politicamente corretto, ma non ho mai apprezzato il politicamente corretto, che spesso è un grosso limite per l’espressione artistica. Il film comunque non è ovviamente solo questo. E’ un intreccio di drammi famigliari in una subcultura all’interno di una cultura molto forte, con tutte le evidenti contraddizioni. E’ questo il cuore del film. DAVID CRONENBERG Toronto, Canada, 1943 Nel 1963 si iscrive all'Università di Toronto, ma durante il primo anno di studi ha lasciato le scienze naturali per specializzarsi in lingua e letteratura inglese. In quel periodo noleggia una cinepresa 16 mm e realizza due brevi film, Transfer (1966) e From the Drain (1967). Negli anni seguenti, dirige alcuni programmi per la televisione canadese, e nel 1975 realizza IL DEMONE SOTTO LA PELLE. Dopo SETE DI SANGUE (1977) e BROOD (1979) dirige SCANNERS (1981), seguito da VIDEODROME (1983) e da LA ZONA MORTA (1983). Nel 1986 realizza LA MOSCA. Due anni dopo, esce INSEPARABILI (1988), con Jeremy Irons. Negli anni Novanta, David Cronenberg dirige IL PASTO NUDO (1991), M. BUTTERFLY (1993), CRASH (1996), ed EXISTENZ (1999). Nel 2002 presenta SPIDER e nel 2005 A HISTORY OF VIOLENCE. NOTE di David Cronenberg Mi ha attratto l’idea di una cultura esportata da emigrati che ripropone in un altro paese lo stile di vita della patria di origine, creando una società chiusa, quasi impermeabile al costume e alle regole del paese che li ospita. Non a caso nel film non si vedono i pub o gli scorci più conosciuti di Londra… Essendo un film sulla mafia russa i personaggi fanno della violenza una professione, dovevo mostrarla, era inevitabile. Il problema è sempre lo stesso: è giusto mostrare la violenza? Io TABORELLI ANGELO s.a.s. SOLUZIONI PER L’UFFICIO Via I° Maggio 3 - 22070 Montano Lucino (Como) - telefono 031 471 666 - fax 031 471 688 www.taborelli.it Via L. da Vinci 6 - Cantù telefono 031 730 172 LAVORI IN CORSO PROGETTAZIONE EDIZIONE IMMAGINI CAVALLASCA Lunecine interno 08 19-12-2007 16:17 Pagina 7 LUNEDÌ 5 MAGGIO tale limite in una ricchezza espressiva senza pari. Spettacolo unico ore 21.00 Alla proiezione sarà presente il regista Giorgio Diritti IL VENTO FA IL SUO GIRO di Giorgio Diritti E l’aura fai son vir Regia Giorgio Diritti Sceneggiatura Giorgio Diritti, Fredo Valla Fotografia Roberto Cimatti Montaggio Edu Crespo, Giorgio Diritti Musiche Marco Biscarini, Daniele Furlati Interpreti Thierry Toscan, Alessandra Agosti, Dario Anghilante, Giovanni Foresti, Caterina Damiano, Giacomo Allais, Daniele Mattalia, Ines Cavalcanti, Kevin Chiampo, Frédérique Chiampo. Produzione AranciaFilm, Imago Orbis Audiovisivi Distribuzione Lab 80 ITALIA 2005 - 110 minuti 16° Bergamo Film Meeting 2005 Rosa Camuna d’Oro Premio del pubblico Nel contesto montano delle Alpi occitane italiane, Chersogno é un piccolo villaggio la cui sopravvivenza é legata ad alcune persone anziane ed a un fugace turismo estivo. In questa piccola comunità arriva un pastore francese, accompagnato dalla sua giovane famiglia, le sue capre e la sua piccola attività da imprenditore formaggiaio. Ben accolto, se pur non a braccia aperte, il suo arrivo diventa la dimostrazione di una possibile rinascita del paese. Ma, un po’ alla volta, le condizioni di vita divengono sempre più difficili, tra incomprensioni, rigidezze e un pizzico di invidia... Primo lungometraggio di Giorgio Diritti, esemplare sempre più raro di filmaker a trecentosessanta gradi che si è formato uno sguardo e uno stile lavorando per anni all’ombra di grandi maestri, il film riunisce in sé il meglio di tutte le vocazioni “testimoniali” che gravitano intorno al cinema italiano. C’è il senso del paesaggio di Franco Piavoli, l’attenzione ai particolari espressivi del corpo umano di Olmi, la concretezza del racconto di De Seta; il tutto tenuto insieme da un lirismo che scaturisce quasi spontaneamente dalle singole verità che ciascun personaggio e ciascuno scorcio di paesaggio reca con sé. Per realizzare “Il vento fa il suo giro” (che esce nelle sale dopo due anni ed è stato realizzato grazie alla tassazione volontaria di tutti i componenti della troupe), Diritti gira con uno stile volutamente e al tempo stesso “necessariamente” povero, ma riesce a trasformare NOTE di Giorgio Diritti La storia si svolge nelle valli occitane del Piemonte. Protagonista è un ex professore francese, alla ricerca di un’esistenza secondo i tempi della natura per sé e la sua famiglia. L’uomo si è fatto contadino-pastore e viene a insediarsi a Chersogno. Uomo e natura: un equilibrio difficile in relazione in particolare allo sviluppo, ma anche un richiamo forte che accomuna molte persone scontente della loro vita ed alla ricerca delle sensazioni primordiali dell’esistere. Tra i temi posti in sottotraccia vi è certamente il rapporto di soddisfazione ed insoddisfazione che hanno i vari personaggi nei confronti della vita. Le loro scelte e i loro umori sono lo specchio di queste sensazioni. Non si cerca quindi di proporre riflessioni sull’ecologismo, c’è al contrario l’osservazione di uomini che cercano un’identità che gli corrisponda, credono di poterla gestire, costruire, o di altri che non la identificano più, avendo fatto proprio il ruolo che gli schemi della società o le amarezze della vita gli hanno costruito attorno. La “diversità” come disagio o arricchimento a seconda delle posizioni dei diversi protagonisti. La “diversità” è l’elemento scatenante del conflitto, che mette in discussione le certezze, le convinzioni, condiziona gli eventi, le scelte, trasforma le persone, ne ribalta il ruolo. Senza contatto, scambio di valori e accoglienza, non può esserci sviluppo umano e qualità dell’esistere e sembra inevitabile che solo la dimensione tragica possa risvegliare nell’uomo una coscienza, da cui possa germogliare una dimensione di speranza e di fiducia. GIORGIO DIRITTI Ha sviluppato la sua formazione prestando la sua opera in diversi film di autori italiani, ed in particolare con Pupi Avati. Ha anche realizzato vari casting per film in Emilia Romagna, tra cui “La Voce della Luna” di Federico Fellini. Ha partecipato all’attività di Ipotesi Cinema, istituto per la formazione coordinato da Ermanno Olmi. Come autore e regista ha realizzato numerosi documentari, produzioni editoriali e televisive. E IL VENTO FA IL SUO GIRO è il suo primo lungometraggio. LUNEDÌ 12 MAGGIO spettacolo unico ore 21.00 Alla proiezione sarà presente il regista Marina Spada COME L’OMBRA di Marina Spada Regia Marina Spada Sceneggiatura Daniele Maggioni Fotografia Sabina Bologna, Giorgio Carella Immagini Gabriele Basilico Montaggio Carlotta Cristiani Musiche Tommaso Leddi Interpreti Anita Kravos, Parolina Dafne, Paolo Pierobon, Patrizia Oliati, Loris Carraio, Graziella Comana, Lorenzo Lastrucci, Cristina Corradi, Alessandro Codaglio, Alessandro Stellucci. Produzione Ombre Film, Film Kairòs. Distribuzione Istituto Luce. ITALIA 2006 - 87 minuti Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo Come vuole la carne separarsi dall’anima Così adesso io voglio essere scordata (Anna Achmatova, “A molti”, 1922) Il racconto ruota intorno alla storia di due donne: la trentenne Claudia e Olga, una ragazza ucraina un po’ più giovane. Claudia lavora in un’agenzia di viaggi e la sera studia russo. La sua vita si svolge con una continuità abitudinaria cui lei non oppone resistenza; solo piccole manie compulsive fanno da contrappunto alla routine quotidiana. Una sera al corso di russo si presenta un nuovo insegnante di origine ucraina, Boris, un quarantenne di bell’aspetto e dall’aria intelligente. Tra Boris e Claudia nasce poco a poco un’attrazione. Una sera di fine luglio torna a farsi vivo Boris: deve trovare un posto dove sistemare una “cugina” venuta dall’Ucraina a cercare fortuna. Nella vita di Claudia arriva così Olga: tra le due si stabilisce, dopo la diffidenza iniziale, un rapporto di complicità e Claudia riconsidera la propria esistenza, stimolata dalla naturalezza con cui Olga agisce... Ritratto elegante e poetico di una città invisibile e dello sguardo di una donna, la costruzione dell’immagine è molto accurata nel rispecchiare la personalità della protagonista, “Come l’ombra” è un film non convenzionale: nei tagli, nelle inquadrature, nei colori con cui la fotografia di Gabriele Basilico ritrae una Milano estiva quasi disabitata. Porta alla luce una Milano nascosta. Le vite di Claudia e della sua famiglia, come quelle di molti altri, scorrono lente e malinconiche, tra gli edifici enormi delle periferie. Marina Spada si muove tra i palazzi e i ritrovi degli immigrati, e tra le loro abitazioni fatiscenti, entra in modo delicato, nell’altro mondo della metropoli, quello desolato, abbandonato a se stesso, per confrontarsi e indagarlo con discrezione e partecipazione. NOTE di Marina Spada Protagonista è una ragazza sui 30 anni che fa una vita apparentemente bella, gratificante, ma in verità fruga in una solitudine assoluta e soprattutto spera sempre d’incontrare qualcosa o qualcuno che gli cambierà l’esistenza. E nel frattempo aspetta, non capendo che la tua vita te la salvi tu. Lei spera di riempire il suo vuoto con un amore, in verità lo riempie con un’altra persona, e poi succedono delle cose per cui la sua posizione rispetto alla vita sarà un’altra. Si tratta di quelle cose quotidiane che tu pensi non ti succedano mai, ma in verità succedono, e lì devi prendere una posizione. Lei lo fa... E’ come i miei precedenti lavori: perché parla di Milano, perché non è consolatorio, perché c’è la poesia, questa volta di Anna Akmatova, che è una grande poetessa russa morta all’inizio degli anni ‘60. Ha scritto prima, durante e dopo la Rivoluzione. Durante lo Stalinismo, come Pasternak è rimasta vicina al suo popolo, ha scelto di restare a vivere nel proprio paese... MARINA SPADA Ha iniziato l’attività professionale nel ‘79 come assistente alla regia in Rai. Negli anni ‘80 ha collaborato con le principali case di produzione pubblicitarie e diretto numerosi documentari e servizi televisivi. Da metà degli anni ‘90 alterna il lavoro di docente presso la Scuola di Cinema di Milano con l’attività di regista. Tra i suoi lavori i videoritratti di Arnaldo Pomodoro, Fernanda Pivano, Francesco Leonetti, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Mario De Biasi, il cortometraggio “L’astice” con cui ha vinto numerosi premi e il lungometraggio FORZA CANI, una delle prime esperienze di produzione indipendente e digitale realizzate in Italia. SABATO 11 E DOMENICA 12 MAGGIO Orari e titoli da definire ReSpiri(ti)(c) Primo Festival del Cinema Invisibile di Como Il Primo Festival dedicato al cinema invisibile di Como si propone di valorizzare e promuovere la diffusione, la conoscenza e la fruizione del cinema indipendente italiano, favorendo lo scambio e il confronto tra espressioni artistiche diverse e incoraggiando i giovani alle professioni dello spettacolo. ReSpiri(ti) perché tutto il tessuto della cinematografia indipendente italiana costituisce il fulcro della nostra espressione artistica, la speranza di un nuovo rilancio della settima arte nel nostro paese, la certezza di avere, appunto, dei nuovi “Respiri” per credere e sperare in una rinascita della nostra cinematografia. “Spiriti” perché questi film sono, purtroppo, prodotti invisibili, soffocati da un sistema distributivo e produttivo che non ne valorizza le potenzialità, molto spesso però questi “fantasmi” hanno una dignità e una ragion d’essere che supera abbondantemente il valore medio dei prodotti cinematografici distribuiti canonicamente. Sono spiriti regali, invisibili nel manifestare silenziosamente la loro nobiltà: sono i nostri “Re Spiriti”. MERCOLEDÌ 14 MAGGIO BANDITI A ORGOSOLO di Vittorio De Seta Regia Vittorio De Seta Soggetto e sceneggiatura Vera Gherarducci e Vittorio De Seta Fotografia Elio Balletti e Luciano Tovoli Montaggio Vittorio De Seta e Fernanda Papa Musica Valentino Bucchi Interpreti principali Michele Cossu, Peppeddu Cuccu e Vittorina Pisano. Produzione Titanus. ITALIA 1961 - 98 minuti Copia proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale. In collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale. … De Seta era una figura leggendaria e misteriosa. Aveva realizzato solo tre film negli anni Sessanta (il primo dei quali, “Banditi a Orgosolo”, un capolavoro indiscusso) per poi scivolare, insieme ai suoi film, in una sorta di oblio. Ricordo distintamente di aver assistito alla proiezione di “Banditi” al New York Film Festival all’inizio degli anni Sessanta. Uno dei film più insoliti e straordinari che avessi mai visto. La storia è semplice: un pastore, ingiustamente accusato di un crimine che non ha commesso è braccato in un paesaggio arido e silenzioso. Il suo gregge muore di fame e lui, ormai ridotto alla miseria, è costretto a diventare un bandito. Ma il film è anche la storia di un’isola e della sua gente. Ambientato sulle montagne della Barbagia, in Sardegna, il film rivela un mondo arcaico, incontaminato, dove la gente si esprime in un dialetto antico e vive secondo le regole di una volta, considerando il mondo moderno estraneo e ostile. In loro, De Seta riscopre le vestigia di una società antica attraverso la quale risplende una nobiltà perduta. Lo stile del film mi colpì profondamente. Il neorealismo era stato condotto su un altro livello, in cui il regista partecipava completamente alla narrazione, in cui la linea di demarcazione tra forma e contenuto era stata annullata e in cui erano gli eventi a dettare la forma. Il senso del ritmo di De Seta, il suo uso della macchina da presa, la sua straordinaria abilità nel fondere i personaggi con l’ambiente circostante, furono per me una completa rivelazione. De Seta era un antropologo che si esprimeva con la voce di un poeta. Da dove veniva questa voce? L’inquietudine, il senso di spiazzamento, mi hanno accolto dalle prime immagini, mi sentivo impreparato di fronte a ciò che stavo vedendo. Sono stato sopraffatto da un’emozione intensa, come se avessi oltrepassato lo schermo e mi fossi ritrovato in un mondo che non avevo mai conosciuto, ma che improvvisamente riconoscevo. Un mondo crepuscolare. Quella che stavo guardando era la mia cultura ancestrale che volgeva alla sua fine, a un passo dal suo ingresso nella sfera del mito. Di cosa era composta questa alchimia? Era il cinema nella sua essenza, in cui il regista non registra la realtà, ma la vive in prima persona. Un cinema che aveva il potere dell’evocazione religiosa. Era il cinema nella sua espressione migliore, capace di trasformare, che mi aveva permesso di capire cose mai capite prima d’ora e di vivere emozioni a me sconosciute. Mi sembrava di aver fatto un viaggio in un paradiso perduto. Martin Scorsese su “Banditi a Orgosolo” Testo scritto appositamente in occasione della presentazione della versione restaurata alla Mostra d'arte cinematografica di Venezia 2005. VITTORIO DE SETA Palermo, Italia, 1923 Nel 1941 si iscrive a Roma alla facoltà di Architettura. Nel 1945, riprende a studiare e comincia a occuparsi di cinema e fotografia. A partire dalla metà degli anni Cinquanta De Seta dirige una serie di documentari che gli frutteranno numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero. Nel 1961 vince alla Mostra del cinema di Venezia il Premio Opera Prima per il lungometraggio BANDITI A ORGOSOLO. Regista di pochi e calibrati film, dagli anni Settanta lavora per la RAI, firmando documentari-inchiesta di successo. De Seta torna al cinema con i documentari “In Calabria” (1993) e “Dedicato ad Antonino Uccello” (2002). Il suo ultimo lungometraggio a soggetto è LETTERE DAL SAHARA (2006), racconto del viaggio di un immigrato clandestino nell’Italia di oggi. Filmografia 1961 BANDITI A ORGOSOLO - 1966 UN UOMO A METÀ - 1970 L’INVITATA - 1973 DIARIO DI UN MAESTRO - 2006 LETTERE DAL SAHARA. LUNEDÌ 19 MAGGIO Spettacolo unico ore 21.00 COUS COUS di Abdel Kechiche La graine et le mulet Regia Abdellatif Kechiche Sceneggiatura Abdellatif Kechiche Fotografia Lubomir Bakchev Montaggio Ghalia Lacroix Scenografia Benoit Barouh Costumi Maria Beloso Interpreti Habib Boufares, Marzouk Bouraouïa, Faridah Benkhetache, Sabrina Ouazani, Alice Houri, Olivier Loustau, Bruno Lochet, Carole Franck. Produzione Pathe Films Distribuzione Lucky Red. FRANCIA 2007 – 151 minuti 64° Mostra del Cinema di Venezia 2006 Gran Premio della Giuria Slimani, 60 anni, lavoratore del porto di Sète, si trascina stancamente sul cantiere navale per un lavoro che, con l’età, è diventato insostenibile. Padre di famiglia, divorziato, continua a restare vicino alla sua ex moglie e ai figli, nonostante una storia familiare fatta di rotture e tensioni che le difficoltà finanziarie non fanno che acuire. Slimani attraversa un periodo delicato e tutto contribuisce a far crescere in lui un sentimento di inutilità. Una sensazione che vorrebbe scrollarsi di dosso realizzando un sogno: un ristorante di sua proprietà. Impresa alquanto improbabile, che non gli impedisce di sognare e di parlarne, soprattutto in famiglia. Una famiglia che pian piano si unisce intorno al progetto, diventato per tutti il simbolo della ricerca di una vita migliore... Il film Leone virtuale dell’ultimo festival di Venezia, quello che tutti aspettavano come vincitore. “La graine et le mulet”, il film del franco-tunisino Abdellatif Kechiche, colpisce al cuore. La "ricetta" del cinema di Kechiche è sapiente e saporita. Con il suo piglio documentaristico, sostenuto dalla macchina da presa incollata ai corpi, ai movimenti e alle espressioni dei protagonisti e dalla nutrita partecipazione di un gruppo di comprimari non professionisti, Kechiche inscena un racconto corale, tra commedia e neo-realismo, toccando temi come il razzismo nascosto dei francesi, le contraddizioni e le invidie dentro la comunità tunisina, le relazioni uomodonna e quelle generazionali. Un respiro ampio e profondo, fatto di un rigoroso lavoro con gli attori. Il suo metodo risente della sua provenienza teatrale e dunque punta molto al lavoro sul set, mettendo in campo una veridicità di dialoghi e una giustezza di volti e di gesti davvero ammirevole e impressionante. Un racconto così semplice superficialmente ma così denso di significati simbolici in un film fino all'ultimo respiro che ci consegna momenti di autentico grande cinema. NOTE di Abdellatif Kechiche L'intento era quello di raccontare un ambiente, in questo caso una famiglia maghrebina emigrata in Francia. Ed erano due le dimensioni che ero interessato a esplorare. L'ambiente familiare intorno al quale creare cose ordinarie e quotidiane con un piglio romanzesco. Conferire a questa famiglia naturalezza, senza cadere nei clichè ed evitando spettacolarizzazioni e allo stesso tempo creare una dimensione contemplativa in cui i personaggi vivono, piangono, si disperano, in poche parole volevo cogliere l'istante vitale di un gruppo di persone. La vita stessa. Non volevo raccontare di Slimane in quanto operaio o immigrato, ma come essere umano con le sue difficoltà, i suoi silenzi, i suoi problemi sessuali, i suoi fantasmi. Non so dire se questo sia un film sugli emarginati. Non amo le categorizzazioni, io mescolo molte varianti. Una volta che comincio a girare so già cosa devo fare alla perfezione, proprio grazie al gran numero di prove svolte precedentemente. Qui la mia formazione teatrale emerge perentoriamente. Poi con la cinepresa mi prefiggo il compito di cogliere l’essenza di ciò che filmo, e la magia della storia e dei personaggi che racconto ABDELLATIF KECHICHE Tunisi, Tunisia, 1960 Si trasferisce a Nizza nel 1966 e a metà degli anni Ottanta si fa conoscere recitando per autori come André Téchiné e Abdelkrim Bahloul. Nel 2000 esordisce alla regia con TUTTA COLPA DI VOLTAIRE che riceve il premio Miglior Opera Prima al festival di Venezia. Ma la vera consacrazione arriva con LA SCHIVATA, vincitore di due premi Cèsar, tra cui quello di Miglior film francese del 2003. Lunecine interno 08 19-12-2007 16:17 Pagina 8 LUNEDÌ 14 GENNAIO ACROSS THE UNIVERSE di Julie Taymor spettacolo unico ore 21,00 MERCOLEDÌ 12 MARZO CRAJ di Davide Marengo 21 GENNAIO AI CONFINI DEL PARADISO di Fatih Akin 17 MARZO TIDELAND di Terry Gilliam 28 GENNAIO GLI AMORI DI ASTREA E CÉLADON di Eric Rohmer spettacolo unico ore 21,00 MERCOLEDÌ 26 MARZO IL DESTINO di Youssef Chahine 4 FEBBRAIO 4 MESI, 3 SETTIMANE E 2 GIORNI di Cristian Mungiu 31 MARZO NELLA VALLE DI ELAH di Paul Haggis 11 FEBBRAIO VIAGGIO IN INDIA 7 APRILE L'ETÀ DELL'IGNORANZA di Mohsen Makhmalbaf di Denys Arcand SABATO 16 E DOMENICA 17 FEBBRAIO CINEMAMBIENTE Selezione dal Festival Cinema Ambiente di Torino 14 APRILE YOU, THE LIVING di Roy Andersson SABATO 16 ORE 20.30 DOMENICA 17 ORE 18.15 THE PLANET di Michael Stenberg, Linus Torell, Johan Söderberg SABATO 16 ORE 22.15 DOMENICA 17 ORE 16.30 A CRUDE AWAKENING spettacolo unico ore 21,00 MERCOLEDÌ 16 APRILE WEST BEIRUT di Ziad Doueiri 21 APRILE PARANOID PARK di Gus Van Sant di Basil Gelpke, Ray McCormack SABATO 16 ORE 18.15 DOMENICA 17 ORE 20.30 LE VIE DEI FARMACI di Michele Mellara, Alessandro Rossi SABATO 16 ORE 16.30 DOMENICA 17 ORE 22.15 CHINA BLUE di Micha X. Peled 28 APRILE LA PROMESSA DELL'ASSASSINO di David Cronenberg spettacolo unico ore 21,00 MERCOLEDÌ 30 APRILE UN TOCCO DI ZENZERO di Tassos Boulmetis 5 MAGGIO IL VENTO FA IL SUO GIRO di Giorgio Diritti 18 FEBBRAIO IL GRANDE NORD di Nicolas Vanier 25 FEBBRAIO IN QUESTO MONDO LIBERO di Ken Loach spettacolo unico ore 21,00 VENERDÌ 9 - SABATO 10 - DOMENICA 11 MAGGIO CINEMA ITALIANO INDIPENDENTE 12 MAGGIO COME L'OMBRA di Marina Spada MERCOLEDÌ 27 FEBBRAIO ingresso libero LO SGUARDO DI ULISSE di Théo Angelopoulos spettacolo unico ore 21,00 MERCOLEDÌ 14 MAGGIO BANDITI A ORGOSOLO di Vittorio De Seta 3 MARZO MEDUSE di Etgar Keret e Shira Geffen spettacolo unico ore 21.00 19 MAGGIO COUS COUS di Abdel Kechiche 10 MARZO L'EREDITÀ di Per Fly 26 MAGGIO/2 GIUGNO FILM DA DEFINIRE