quella sensazione di affondare
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quella sensazione di affondare
Da: SAILING TODAY Dic. 2001 pag. 70-74 QUELLA SENSAZIONE DI AFFONDARE ! Cosa succede ad una barca “inaffondabile” quando si riempie d’acqua a molte miglia dalla costa? Ci si può naturalmente aspettare che stia a galla, ma è possibile navigare? Per scoprirlo, Eric Vibart & Jean-Luc Gourmelen hanno aperto le vie a mare di una ETAP 21i in mezzo alla Manica Noi abbiamo aperto le prese a mare di una ETAP 21i in mezzo alla Manica per scoprire che tutti ci spaventiamo alla vista dell’acqua che sgorga e riempie l’abitacolo di una delle poche barche inaffondabili, come quelle del cantiere belga ETAP, che, con il loro doppio scafo con l’intercapedine riempita di poliuretano espanso, sono molto diffuse, e si capisce il perché. Ma cosa succederebbe ad una di ques te barche con una falla quando è al largo? Potrebbe essa navigare ancora? Oppure il movimento della superficie libera dell’acqua all’interno potrebbe renderla incontrollabile? C’era un solo modo per scoprirlo: una bella mattina a bordo di una ETAP 21i inaffondabile – la più piccola della serie del cantiere ETAP – abbiamo fatto rotta da Calais per Dover. Poi, una volta raggiunto l’alto mare, al largo, abbiamo simulato una grave falla mediante l’apertura degli scarichi a mare, lasciando così la barca riempirsi d’acqua. Da quel momento, navigammo in direzione di Dover senza aiuti esterni. Ecco cosa successe e cosa abbiamo appurato. Alcune prove sulle barche inaffondabili erano già state fatte in passato, ed i risultati davano fiducia al nostro progetto. Tuttavia, non ci siamo accinti ad intraprenderlo senza una pianificazione accurata. Non era certo il caso di fare un breve tragitto con vento forza due, in Eccola piena d’acqua, ma chi se ne accorge? quanto non sarebbe stato sufficiente per scoprire come una barca inaffondabile, piena d’acqua, si sarebbe comportata in un mare grosso. Il passaggio da Calais a Dover ci apparve ideale tenendo conto del traffico intenso, le grosse scie provocate dai ferry-boat e la non eccessiva distanza che comportava. Così ci accingemmo all’impresa, informammo le autorità e facemmo in modo da essere accompagnati da Rosabelle, un peschereccio motorizzato con due motori da 175 cavalli che apparteneva ad un amico, Vincent Guilbert. In piedi sul molo di mattina alle sei, eravamo propensi a partire. Il vento era cresciuto a 40 nodi durante la notte, ma aveva cominciato a calare, così che al momento in cui passammo il ponte che sbarrava l’accesso al pontile della barca, era sceso a 20 nodi. A bordo di Rosabelle aspettammo nel bacino esterno del porto fin quasi alla bassa marea. Si decise che io avrei navigato a vela con Jan Van Speybroeck di Etap e saremmo rimasti in contatto mediante VHF con Jean-Luc e Vincent a bordo del Rosabelle. Controllammo di nuovo il nostro equipaggiamento: avevamo il GPS portatile in un sacchetto impermeabile, la bussola di navigazione e quella di rilevamento, la carta nautica a grande scala, un anemometro a mano, due secchi, una sassola, spugne, ed infine l’equipaggiamento di sicurezza secondo le regole del Belgio, in quanto la barca navigava con bandiera Belga. Le sezioni di 1 pagliolato, materassi delle cuccette, fornelli ed altro materiale fragile vennero scaricati in preparazione di questo tentativo senza precedenti. La radio VHF a mano fu protetta in un sacchetto di plastica impermeabile sospeso in alto nel quadrato. Prima di partire, Jan ed io ci infilammo in due tute di sopravvivenza Guy Gotten TPS, nelle quali si rimane ben caldi ed all’asciutto. Ci sentivamo veramente preparati ad ogni eventualità. La mia sola preoccupazione era che, fra poche ore, qualche solerte capitano di ferry-boat avrebbe avvertito la Guardia Costiera che due tizi che indossavano tute di sopravvivenza si aggiravano a bordo di una piccola barca a vela che navigava stranamente bassa sull’acqua. Finalmente la partenza! Inizialmente rimorchiati da Rosabelle, in quanto privi di motore, lasciammo Calais alle otto e ci dirigemmo direttamente attraverso i banchi esterni al porto, per allontanarci subito dalle rotte dei ferry. Ben presto, “L’acqua spesso raggiunse gli stipetti superiori … Dopo il riempimento, avevamo perso solo mezzo nodo!” 2 navigammo senza alcun aiuto esterno. Issammo subito la randa ed il fiocco N° 2. Il tempo sembrava piuttosto cattivo, il mare grigio agitato e ben presto discese una spessa foschia. Poiché era un po’ difficile controllare la barca, decidemmo quasi subito di prendere una mano di terzaroli, compito assai facile sull’Etap 21i. Di bolina stretta sulla giusta rotta per Dover, navigavamo alla velocità di 5 nodi. Attraverso la VHF, Rosabelle ci informò di tre echi radar a 1,4 miglia. Dopo essere stati in mare un’ora, eravamo ancora circondati da una spessa foschia. Ogni tanto, Jan ed io potevamo udire il suono delle sirene dei cargo in distanza, ma non potevamo vederli: se avessimo aperto le vie a mare in questa situazione, con questo vento e sbattuti da una parte all’altra in un mare agitato, senza alcuna visibilità, sarebbe stato come tentare il destino. “Pronto, Rosabelle? Le condizioni sono troppo cattive. Proponiamo di tentare di eseguire l’operazione al ritorno da Dover”. “Messaggio ricevuto e capito; se continuate così dovreste raggiungere Dover circa alle dodici e mezzo”. Trenta minuti più tardi, la situazione era completamente cambiata: ad un certo momento stavamo navigando attraverso una pesante nuvola di foschia, esattamente un minuto dopo stavamo veleggiando sotto un bel cielo blu, aperto e col sole Prima di aprire le vie d’acqua: l’ETAP 21i è alta sull’acqua. che brillava. Un vero miracolo. Il mare si era alquanto calmato ed il vento era sceso abbastanza da poter togliere la mano di terzaroli. Ci mettemmo subito d’accordo su cosa fare come prossima mossa. “Dai, cominciamo! “. Alle dieci e venti Jan scese in cabina ed aprì le due piccole valvole della toilette, tentando pure di rimuovere il tubo di scarico del lavandino, più largo. Dalla mia posizione nel pozzetto potevo vederlo che lottava senza riuscire. Niente da fare: alla fine dovemmo tagliare il tubo con un coltello. “Salve, Rosabelle? Abbiamo appena aperto le vie d’acqua.”. “E allora ?”. “Diavolo! Non si riempie! “.Mure a sinistra, le aperture erano troppo alte sull’acqua, così dovemmo virare di bordo per abbassarne il livello. Eureka! Ora avevamo l’acqua che sgorgava fuori come una fontana sopra ognuna delle prese a mare, il che probabilmente stava a significare che l’acqua entrava. Demmo un’occhiata al traffico attorno a noi: tre ferry-boat, uno dietro all’altro, ed un catamarano Seacat in avvicinamento, più vicino, infine due navi da carico erano visibili un po’ più distante. Nulla che potesse metterci eccessivamente in allarme. Dentro la barca, un bel rivolo d’acqua trasparente cominciava a riempire i fondi, e noi mantenemmo la barca in navigazione veloce per favorire l’entrata d’acqua. Il nostro piano era quello di forzare l’acqua a superare il livello naturale d’equilibrio, così che l’acqua entrata in eccesso potesse poi rifluire all’esterno, sempre attraverso le vie d’acqua aperte, garantendo così che la barca era veramente riemp ita al massimo. Il livello stava ancora aumentando, lentamente ma inesorabilmente, e l’acqua raggiunse il livello delle cuccette in poco meno di 30 minuti dopo aver aperto le vie d’acqua. Mantenendo la barca veloce, si stava riempiendo molto più rapidamente di quanto avevamo esperimentato durante prove statiche. Alla barra, il comportamento dell’Etap 21i stava cambiando: aveva smesso di schiaffeggiare le onde con la prua; non si alzava più al sopraggiungere di un’onda e, dopo, con la barca completamente piena, avevamo la sensazione che lo scafo fosse incollato al mare. Quando attraversammo la scia di un ferry che ci era passato vicino, la coperta rimase asciutta ed il movimento dell’acqua all’interno assai limitato. Quando il livello dell’acqua smise di salire, virammo di bordo per riprendere la giusta rotta per proseguire in direzione di Dover. La sensazione alla barra era molto più dura, ma la barca avanzava senza alcun inconveniente, a parte il fatto che le correzioni alla barra richiedevano più anticipo e movimenti più lenti. Per onor del vero, nel mare grosso che ci accompagnò, io rimasi deluso, in quanto non soffrimmo alcuna delle imbardate o straorzate che ci aspettavamo, causate dal movimento dell’acqua dentro lo scafo. Prima dell’inizio dell’esperimento, deve esserci stata circa una tonnellata e più d’acqua dentro l’Etap, all’incirca tanto quanto è il peso della barca! Io avevo pensato che un simile volume d’acqua in moto all’interno avrebbe causato i problemi maggiori. Prevedevo che la barca sarebbe rimasta in un perenne stato di disequilibrio, causato dal movimento dell’acqua all’interno. Pensavo che l’acqua si sarebbe mossa verso prua, colpendo le parti interne a prua con na violenza tale che l’intera barca ne sarebbe stata squassata, con la giunzione coperta-scafo che avrebbe minacciato di aprirsi come una scarpa vecchia. Le prove statiche non avevano per nulla dato adito a questi timori, ma sicuramente sarebbe stato diverso in alto mare, no? In questa situazione reale, ero stupito dal comportamento di questo scafo pieno d’acqua, sulla cui superficie galleggiavano secchi, cerate e stivali. Spesso l’acqua raggiunse gli armadietti, ma non causò alcun disequilibrio visibile dell’Etap 21i, che stava navigando a circa cinque nodi. Dopo aver riempito la barca d’acqua, avevamo perso solo mezzo nodo di velocità! La conclusione credo sia che l’area fra la cucina, le due cuccette laterali ed il letto di prua e la poppa era 3 sufficientemente suddivisa, ed includeva diversi livelli, da limitare e frenare il mo vimento dell’acqua. L’acqua in quegli spazi sciabordava moderatamente, mentre i coperchi incernierati dei gavoni sottostanti le cuccette laterali si aprivano e richiudevano con le onde, spalancandosi come ostriche. L’acqua era anche salita ad un livello di circa 13 cm dentro i gavoni del pozzetto. Jan correttamente fece notare: “Se il vento fosse leggermente più forte, ed il mare più agitato, dovremmo prendere una mano di terzaroli”. Infatti, in una situazione del genere, il peggio che possa accadere sarebbe di rischiare di perdere l’albero, e non sarebbe troppo difficile, in quanto albero ed attrezzatura sono dimensionati sulla base del dislocamento della barca. In quel momento, con una velocità del vento di 15 nodi, tutto stava assieme senza il minimo segnale di eccessiva sollecitazione. Avevamo navigato ormai più di un’ora in quelle condizioni. Per di più, coloro che stavano a bordo di Rosabelle non riuscivano a credere che fossimo pieni al massimo, specialmente considerando il fatto che le linee d’acqua erano solo circa 25 cm sotto il normale, una differenza difficile da percepire. Se noi non avessimo indossato tute di sopravvivenza, gli equipaggi di qualunque nave di passaggio ci avrebbe del tutto ignorato. Nel pozzetto mai i nostri piedi furono ricoperti d’acqua. Se io fossi stato bendato, mai avrei pensato che ci fosse qualcosa d’anormale, a parte la barra che era divenuta costantemente dura. Quando Rosabelle si affiancò a noi, Jean-Luc saltò a bordo per scattare alcune fotografie, e l’Etap sopportò il peso aggiuntivo senza lamentarsene. Persino noi ci muovemmo da una es tremità all’altra della barca senza alterarne l’equilibrio. Mentre la barca si riempiva, Jean-Luc e Vincent avevano visto un enorme tronco d’albero che galleggiava ad una breve distanza alla nostra prua.. Per un momento pensarono che forse non avremmo affatto avuto bisogno di aprire noi le vie d’acqua. Questo era anche un modo di ricordarci lo scopo della nostra prova. Una barca inaffondabile non è pensata per navigare ore ed ore piena d’acqua, con l’equipaggio che sta lì a far niente, come noi. L’intento è quello di permettere un margine di sicurezza, così che l’equipaggio abbia il tempo di cercare la via d’acqua, chiuderla in qualche modo, di rimuovere l’acqua entrata e di riprendere la rotta, di nuovo. Oramai le bianche falesie di Dover erano in vista e decidemmo di continuare l’esperimento, chiudere le valvole delle vie d’acqua e rimuovere l’acqua dall’interno. Uno di noi utilizzava il secchio, l’altro agiva sulla pompa di sentina fissa. Chi otteneva il miglior risultato? Poiché la pompa a mano è posizionata molto in basso, non sarei sorpreso se ci fosse un gruppo di fisioterapisti che avesse azioni dell’azienda che fabbrica la pompa stessa. Dopo una cinquantina di pomp ate sei condannato, al momento in cui ti rialzi, ad avere mal di schiena. D’altra parte, Jan continuò imperterrito a svuotare in mare un secchio dopo l’altro. Alla barra ma allo stesso tempo addetto anche alla pompa, spesso sostituito da Jean-Luc, confesso che ben presto smisi di contare le pompate. Tuttavia, combinando l’azione della pompa e del secchio, riuscimmo a svuotare l’Etap 21i in meno di 20 minuti. La barca riprese presto ad essere quello che era prima, uno yacht leggero, che naviga con un movimento vivace ed allegro sollevandosi sulle onde. Siamo rientrati a Dover alle 13.15. Missione compiuta. Dopo un’ora ripartimmo, ed arrivammo dopo sole quattro ore a Calais, con un attraversamento eccellente. Allora, come si è comportata la barca ? Una via d’acqua per una barca inaffondabile è solo un inconveniente minore, come dimostrato dal nostro esperimento. Noi abbiamo solo perso mezzo nodo di velocità e, nonostante una barra del timone un po’ dura, la barca rimase ben bilanciata con albero ed attrezzatura che non mostrarono segni di sforzo eccessivo, in un vento vero di 15 nodi. Ad un certo momento, tre di noi poterono muoversi liberamente a bordo senza alcun timore di causare uno sbilanciamento. Dopo essersi riempita d’acqua a questo modo, il riempimento di poliuretano della barca puo’ forse necessitare di essere asciugato ed essiccato, in quanto l’acqua può essere entrata fra lo scafo esterno ed interno attraverso aperture e guaine come quelle per i cavi elettrici. Ne deriverebbe la necessità, dopo che la barca è stata asciugata ed essiccata, di usare un trapano a mano per ricavare dei piccoli fori nello scafo interno, nei punti più bassi, per drenare acqua eventualmente rimasta intrappolata. Dopo aver asciugato l’Etap 21i a Dover con una spugna, abbiamo finito, durante il ritorno a Calais, con il raccogliere ancora una quantità equivalente ad un secchio d’acqua. I forellini trapanati possono poi venire riempiti con stucco poliestere. Questa è una splendida barca per le crociere costiere o per una occasionale traversata in mare aperto, come per esempio il passaggio da Dover a Calais. L’Etap 21i è veloce e facile da manovrare; il nostro esperimento ne ha ampiamente dimostrato l’assoluta sicurezza. 4