Meteorologia di Roma 2012 - Agroscenari

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Meteorologia di Roma 2012 - Agroscenari
- CMA
CRA-CMA Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura
Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura
Meteorologia di Roma 2012
Annata di “anomalie”
a cura di Maria Carmen Beltrano
CRA
ROMA, 2013
CRA-CMA
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura
Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia
applicate all’Agricoltura
Via del Caravita, 7a - 00186 Roma
Tel. 06 695311 – Fax 06 69531215
http://cma.entecra.it
e-mail: [email protected]
Autori:
Dott. Luigi Perini, CRA-CMA, [email protected]
Dott. ssa Maria Carmen Beltrano, CRA-CMA, [email protected]
Dott. ssa Rosanna Di Bartolomei, Sapienza-DIAP
Dott. ssa Francesca Greco, CRA-CMA, [email protected]
Dott. Luigi Iafrate, CRA-CMA, [email protected]
Ing. Riccardo Scano, CRA-CMA, [email protected]
Dott. ssa Maria Cecilia Serra, CRA-ENC, [email protected]
Grafica e impaginazione:
Eleonora Gerardi e Maria Carmen Beltrano
Foto di I e IV di copertina (Torre Calandrelli): foto ed elaborazione grafica
di Eleonora Gerardi
ROMA
Copyright © CRA, 2013
Tutti i diritti riservati
e – ISBN 978-88-97081-38-8
Indice
Pag.
Prefazione di Luigi Perini
1
Il concetto di benessere nell’ambito del paesaggio urbano
Rosanna Di Bartolomei e Luigi Perini
Bisogni e Benessere
Ambiente e Paesaggio
Paesaggio urbano e clima urbano
Conclusioni
Ringraziamenti
Bibliografia
2
2
3
5
11
14
14
La misura della temperatura all’Osservatorio del Collegio
Romano
Maria Carmen Beltrano
Ringraziamenti
Bibliografia
16
La Piccola Età Glaciale nell’Arte:
il 1600 o secolo del “Pessimum Climatico”
Luigi Iafrate
Riferimenti bibliografici essenziali
26
Il monitoraggio meteorologico e aerobiologico al
Collegio Romano
L’Osservatorio Meteorologico
I dati
1. Variabili meteorologiche
2. Rilevamento aerobiologico
39
Le osservazioni meteorologiche del 2012
Gli estremi meteorologici dell’anno 2012
Sintesi meteorologica dell’anno 2012
43
67
68
Elaborazioni meteorologiche del 2012
Luigi Perini e Maria Carmen Beltrano
69
25
25
38
39
40
41
42
Pag.
Commento all’andamento meteorologico del 2012
Maria Carmen Beltrano
Un’ annata di anomalie
La neve di febbraio
Bibliografia
74
Le osservazioni aerobiologiche del 2012
84
Elaborazioni aerobiologiche del 2012
Maria Cecilia Serra e Francesca Greco
85
Commento all’andamento aerobiologico del 2012
Maria Cecilia Serra e Francesca Greco
I pollini
Le spore
Riferimenti bibliografici
92
Il Contacellule digitale: download gratuito
Riccardo Scano, Massimo Scaglione e Francesca Greco
Introduzione
Modalità di funzionamento
Conclusioni
98
74
79
83
92
95
97
98
98
100
Prefazione
Nella società moderna il valore della conoscenza e dell’informazione è
immenso ed aiuta ciascuno di noi a superare i limiti della percezione
soggettiva delle cose. In campo meteo-climatico, poi, diventa fondamentale
avere riferimenti certi per non lasciarsi ingannare dai propri ricordi o dal
giudizio personale che, molto spesso, risultano quasi sempre viziati
dall’impossibilità di guardare a questi fenomeni dalla giusta ”altezza”.
Da quando l’osservazione dei fenomeni meteorici si è potuta avvalere di
strumenti di misurazione oggettivi, “Bollettini”, “Annuari” ed altre
pubblicazioni del genere hanno rappresentato un modo semplice ma
efficace di divulgare l’informazione e conservare la memoria di ciò che è
realmente accaduto, al di là del caldo o del freddo, della pioggia o della
siccità che ricordiamo di aver vissuto in passato.
Nel DNA del CRA-CMA è fortemente radicata la tradizione di condividere
con la città di Roma la conoscenza dei dati raccolti presso l’Osservatorio del
Collegio Romano, così anche quest’anno, superando le solite difficoltà e
qualche altro ostacolo ex novo, abbiamo voluto ancora una volta
confezionare il nostro omaggio alla nostra Città e a tutti gli appassionati e
cultori della materia.
L. Perini
Il concetto di benessere nell’ambito
del paesaggio urbano
Rosanna Di Bartolomei (1) e Luigi Perini
(1) Università “Sapienza”, Dipartimento di Architettura e Progetto (DIAP) – Roma
Bisogni e Benessere
Nel trattato Arie, acque, luoghi, Ippocrate affermava l’esistenza di un legame
forte e determinante fra i fattori climatici, le malattie e la salute
riconoscendo l’impatto che l’ambiente poteva avere sull’Uomo. Ampliando
il concetto oltre a quello strettamente sanitario, il “benessere” può essere
definito come uno stato particolare dell’esistenza umana che, considerata la
natura soggettiva delle percezioni, dipende da molteplici fattori in un certo
equilibrio fra loro. La prima e forse più nota teoria scientifica sul benessere
umano è quella formulata da Abraham Maslow1, in cui le necessità umane,
opportunamente categorizzate all’interno di una struttura gerarchica,
vengono schematicamente rappresentate dalla cosiddetta Piramide dei
Bisogni (Figura 1): a partire dalla base, dove sono collocati i bisogni più
istintivi e primitivi dell’Uomo, si sale man mano fino all’apice dove
figurano i bisogni “emozionali” propri di un pensiero più evoluto. Secondo
la teoria di Maslow, benché il bisogno non rappresenti la motivazione
esclusiva che spinge ad agire, la propulsione a soddisfare le proprie
necessità procede in senso ascendente e, affinché si possano percepire i
bisogni di un livello superiore, è indispensabile che siano soddisfatti, anche
in parte, i bisogni dei livelli sottostanti.
Abraham Harold Maslow (1908-1970), psicologo statunitense, elaborò il concetto
di "Hierarchy of Needs" (gerarchia dei bisogni o necessità) divulgandola nel 1954
attraverso il libro Motivation and Personality. Maslow definisce il bisogno come la
mancanza totale o parziale di uno o più elementi che determinano il benessere
della persona.
1
2
Figura 1 - Piramide dei Bisogni di Maslow. (Fonte:http://www.psicologiadellavoro.org)
Benché la nozione di bisogno sia rapportata alla sfera individuale, il
benessere si realizza quasi sempre in un contesto ambientale più ampio in
cui i bisogni di ciascuno devono necessariamente commisurarsi ai bisogni
della comunità ma, soprattutto, alle caratteristiche ed ai limiti dell’ambiente
fisico circonvicino. In questo caso, i bisogni realizzabili possono
considerarsi anche plausibili ed il benessere si può configurare come un
obbiettivo equo e sostenibile, con ottime possibilità di essere realizzato
anche in maniera durevole. Sembrerebbe pertanto lecito ipotizzare che il
benessere dell’Uomo sia condizionato all’origine dall’ambiente (fisico e
sociale) e che la piramide dei bisogni debba necessariamente poggiare
proprio su tali fondamenta (Figura 2).
Ambiente e Paesaggio
Guardando specificamente all’ambiente fisico, la terminologia formale
definisce
Paesaggio
la
porzione
dell’ambiente
percepita
e
vissuta
dall’individuo. Il Paesaggio, quindi, si identifica con una particolare forma
dell’ambiente ma riassume in sé anche tutte le interrelazioni con l’Uomo.
3
Autorealizzazione
Autostima
Appartenenza
Sicurezza
Bisogni fisiologici
Paesaggio sano
Figura 2 - Piramide dei Bisogni in sinergia ambientale. (Rielaborazione grafica di R. Di
Bartolomei)
Il Paesaggio viene infatti delineato, sia dalle caratteristiche fisiche
dell’ambiente, sia dalle espressioni socio-culturali che scaturiscono dalla
relazione “circolare” con l’Uomo, sancendone anche il senso di
appartenenza. In questo rapporto di reciprocità, la qualità del Paesaggio
assume un duplice significato, culturale e sostanziale in grado di
condizionare la qualità della vita dell’Uomo divenendo, a sua volta,
immagine speculare della sua identità. Solo in un Paesaggio sano espressione di gradevolezza estetica, di benessere psicofisico e di armonia
funzionale tutti gli elementi in esso presenti (case, montagne, strade, campi,
fabbriche, fiumi, alberi, etc.) risultano tra loro in un rapporto di sinergia
ambientale. La stessa Convenzione Europea del Paesaggio ha designato il
Paesaggio come una parte di territorio il cui carattere deriva dall'azione di
fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Nel rapporto
trasformativo che l’uomo instaura con la natura, è necessario che venga
raggiunto un equilibrio che assicuri la soddisfazione dei bisogni attuali e
quelli delle generazioni future. Il mancato raggiungimento di questo
equilibrio crea alterazioni nell’ecosistema ambientale che ricadono
inevitabilmente sullo stato di benessere dell’uomo.
4
Paesaggio urbano e clima urbano
Il Paesaggio, proprio perché luogo dell’Uomo, ha subìto profonde
metamorfosi nel corso della Storia. La spinta a soddisfare bisogni sempre
più elevati ha comportato una continua evoluzione nell’organizzazione
sociale ed economica generando forme di aggregazione umana via via più
numerose e più complesse. Risultato di questo processo evolutivo è stato la
nascita e la crescita degli insediamenti urbani che, al giorno d’oggi, hanno
cambiato la percezione di Paesaggio di gran parte della popolazione
mondiale. A fronte di una percentuale molto piccola di superficie terrestre
occupata dalle città (appena lo 0,2%), circa la metà della popolazione
mondiale vive ormai in centri urbani. In Europa, la percentuale di
popolazione urbanizzata ammonta addirittura a oltre il 70%. Per gran parte
della popolazione mondiale, quindi, il Paesaggio urbano è subentrato al
preesistente Paesaggio rurale/naturale che, in virtù della stessa espansione
urbana, è stato messo in crisi nella sua conformazione fisica, nella sua
identità socio-culturale, nonché svilito da un generale impoverimento,
indifferenziazione, banalizzazione e perdita di biodiversità.
A parte la necessità di salvaguardare l’ambiente naturale ed il suddetto
Paesaggio tradizionale (naturale/rurale), il rilevante numero di persone
che vivono nei centri urbani rende ineluttabile l’esigenza di focalizzare
l’attenzione anche sul nuovo archetipo di Paesaggio rappresentato dalla
città. Una fra le priorità più importanti da considerare, constatate le
notevoli ricadute sul benessere degli individui, è rappresentata dal clima
urbano. Gli aspetti peculiari del clima urbano sono determinati in
prevalenza dagli effetti della cosiddetta "isola di calore urbana" o “Urban
Heat Island” (UHI) che configura l’ambiente urbano come un’isola
bioclimatica in quanto luogo di peculiari eventi meteo-climatici, non solo
termici. L’UHI trae origine da diverse cause concomitanti ma, in particolar
modo, dalla percentuale di albedo espressa dalle superfici urbane, dalle
qualità termiche dei materiali che ricoprono il suolo e le strutture della città
(asfalto, cemento etc.), dalla conformazione e dall’orientamento delle
5
costruzioni in rapporto alla direzione e velocità del vento, dalla riduzione
parziale o totale delle superfici evaporanti (Figura 3). Tutto ciò contribuisce
a formare una sorta di cupola di calore, alta generalmente 150-200 metri
che, soprattutto nei mesi invernali e nelle ore notturne, determina una vera
e propria "inversione termica in quota".
Figura 3 - Immagine fotografica (a sinistra) e immagine termica (a destra) di un centro
densamente urbanizzato (Tokyo). L’immagine termica è stata ripresa nel mese di Ottobre
nel tardo pomeriggio. (Fonte: http://publish.uwo.ca/~javoogt/index.htm)
In generale, il bilancio radiativo ed il bilancio termico di un certo ambiente
sono strettamente correlati tra loro. L’energia radiante emessa dal sole che
raggiunge la superficie della Terra è fondamentalmente costituita da
radiazioni elettromagnetiche ad onda corta. Una parte di essa viene
assorbita e poi riemessa sotto forma di radiazione ad onda lunga
(infrarosso, ovvero termica) nell'atmosfera. L'aria, quindi, viene riscaldata
principalmente dalle emissioni del suolo e non direttamente dal sole.
Il bilancio termico di una superficie naturale, come ad esempio un prato, è
dato dai seguenti elementi
Q+H+E+G=0
6
dove:
Q è radiazione netta in tutte le lunghezze d'onda
H è il calore sensibile, assorbito o trasmesso dall'aria o dalla superficie
del suolo nel corso di una variazione di temperatura
E è il calore latente, rilasciato o assorbito durante un cambiamento di
stato dell’acqua (ad esempio, l’evaporazione comporta assorbimento di
energia, mentre la condensazione comporta un rilascio di energia)
G è il calore trasmesso per conduzione dal terreno
Il bilancio termico di un’area urbana risulta più complesso per la presenza
di edifici e di altre particolari strutture. Il bilancio termico deve pertanto
comprendere un termine (Qp) per considerare gli scambi di calore con le
superfici di strade e muri ed un termine (Qf) che rappresenta il calore di
origine antropica generato dalla combustione di combustibili fossili:
Q + Qp +H + E + Qf = 0
In queste schematizzazioni sono ignorati gli apporti di calore dovuti a
fenomeni di avvezione. Tuttavia, se si assume che una città è piuttosto
uniforme per quanto riguarda tipo ed uso del suolo, allora il fattore
avvettivo è effettivamente trascurabile (Figura 4).
La vicinanza alla città di poli industriali, soprattutto se di grandi
dimensioni, è fonte di importanti emissioni (ed accumulo) di calore. Gli
impianti siderurgici, ad esempio, irradiano mediamente ogni giorno
nell'atmosfera urbana quattro volte più energia della radiazione solare in
entrata. Allo stesso modo, nei mesi invernali il riscaldamento domestico
emette ulteriore energia nell'atmosfera urbana, mentre la diffusione degli
impianti di climatizzazione aggiunge un altro carico di calore all'aria già
surriscaldata dell’estate.
Non va dimenticato, inoltre, che la maggior parte dei materiali utilizzati
per costruire una città sono caratterizzati da elevata conducibilità termica.
In presenza di un differenziale termico fra l’esterno e l’interno di un
edificio, si instaura un flusso di calore che attraversa lo spessore delle mura
da una superficie all’altra (dall’esterno verso l’interno e/o viceversa).
L’ambiente urbano, quindi, si raffredda più lentamente durante la notte di
7
un’area non urbana. I materiali edili, inoltre, sono caratterizzati anche da
elevata emittanza termica o potere di irraggiamento, ovvero la capacità di
una superficie di accettare o rilasciare calore.
Figura 4 - Bilancio termico in ambiente naturale e in area urbana (rielaborazione
grafica di L. Perini)
Il Paesaggio urbano, oltretutto, è caratterizzato da una conformazione
tridimensionale alquanto complessa creata dall’insieme di edifici e strade
ad essi interposte. Questi particolari elementi, che riproducono un reticolo
di canyon, influenzano in maniera particolare l'assorbimento della
radiazione solare e, quindi, anche della temperatura delle superfici, dei
tassi di evaporazione, della conservazione/irradiazione del calore e della
direzione ed intensità del vento (Figura 5).
L’accostamento del Paesaggio urbano a quello naturale dei canyon non è del
tutto casuale. Le strade delimitate da file di edifici da entrambe le parti
riproducono perfettamente la struttura dei canyon. La quantità di
radiazione solare ricevuta da un canyon urbano nel suo complesso dipende
dall'altezza degli edifici e dall’orientamento della strada. Inoltre, le
proprietà dei materiali utilizzati per la costruzione di edifici e strade sono
importanti, non solo a causa del loro potere di emissione termica, ma anche
in relazione alle loro proprietà di riflettere la radiazione solare (albedo): nel
canyon urbano, così come in quello naturale, si può infatti innescare il
8
cosiddetto fenomeno di “intrappolamento” dell’energia solare (solar
trapping) quando, a causa del reiterato riverbero da una parete all’altra del
canyon, aumenta la frazione di energia assorbita dalle superfici.
Figura 5 - Bryce Canyon National Park- Utah (a sinistra); New York city (a destra).
(Fonte: http://shineyourlight-shineyourlight.blogspot.it; http://www.hdwallpapers3d.com/)
In generale, circa il 60% della radiazione netta viene rilasciato nell'aria sotto
forma di calore sensibile e il 30% è immagazzinato nei muri e strade e
appena il 10% viene utilizzato per i fenomeni di evaporazione dagli
eventuali spazi verdi o specchi d’acqua presenti in città. Queste percentuali
variano ovviamente da città a città e da zona a zona nella città stessa. Le
condizioni degli strati più bassi dell'atmosfera risultano pertanto
drasticamente modificate rispetto a quelle di altri ambienti più o meno
naturali. La presenza umana e le correlate attività, come già accennato,
producono inoltre ulteriori emissioni di calore, di vapore acqueo e di
sostanze inquinanti con conseguente aggravamento degli effetti sulla
qualità dell'aria al di sopra delle città. Su scale leggermente più ampie e in
assenza di adeguati spazi aperti o altre misure di mitigazione, può anche
portare a cambiamenti delle precipitazioni e alterare quasi ogni altro
elemento climatico e meteorologico. Tutti gli studi confermano che l'isola di
calore urbana è più intensa nelle ore notturne, diminuisce all'aumentare
della velocità del vento e della copertura nuvolosa, risulta meno evidente in
estate ed i campi di temperatura sono strettamente collegati alla superficie
e conformazione degli edifici, al tipo di copertura/uso del suolo, alla
presenza di vegetazione (spazi verdi urbani) e all’irraggiamento di calore
9
dovute alle attività antropiche. Ovviamente, al fine di individuare e
studiare le caratteristiche del clima urbano è
necessario operare un
confronto con un sito di riferimento (sito “rurale” o “naturale”), in quanto è
proprio dalla comparazione tra queste due differenti realtà che è possibile
desumere le specificità dell’UHI. Da un’indagine condotta a Roma
(Stazione del Collegio Romano vs Stazione Aeroportuale di Ciampino) e
Milano (Stazione di Brera-Duomo vs Stazione Aeroportuale di Linate) è
stato evidenziato un comportamento delle temperature minime e delle
temperature massime abbastanza dissomigliante (Tabella 1)
Le differenze fra i valori di temperatura minima registrati in ambiente
urbano e in ambiente naturale/rurale tendono leggermente ad attenuarsi
nei mesi più caldi permanendo, tuttavia, in maniera significativa per tutto
l’arco dell’anno. I valori di temperatura massima, invece, risultano
maggiormente correlati e con un andamento quasi coincidente presentando
differenze significative solo in alcuni periodi dell’anno. Le ragioni di questi
comportamenti risiedono nel fatto che le temperature minime derivano da
condizioni termiche espresse dallo strato di atmosfera più prossimo al
suolo, mentre le temperature massime, dipendendo in genere da
riscaldamento per convezione e conseguente rimescolamento di tutta la
massa d’aria sovrastante il suolo, sono rappresentative delle condizioni
termiche della troposfera. Un discorso analogo può essere esteso alle
temperature invernali rispetto a quelle estive per il lento rilascio di calore
dal suolo e da tutte le altre superfici presenti nel tessuto urbano. Anche da
questo specifico caso si può confermare che nelle ore diurne la differenza
tra aree urbane ed extraurbane sia trascurabile per poi aumentare
gradualmente durante le ore serali e notturne.
10
Milano
Roma
(Brera-Duomo vs Linate)
(Coll. Romano vs Ciampino)
Tmax
mesi
r
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
0,91
0,93
0,97
0,96
0,96
0,95
0,92
0,94
0,95
0,96
0,92
0,89
t-Student
p<0.05
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*
Tmin
Tmax
r
t-Student
p<0.05
r
0,79
0,76
0,76
0,79
0,79
0,84
0,83
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0,79
0,87
0,85
0,81
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0,92
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0,95
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0,95
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0,95
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0,95
0,92
t-Student
p<0.05
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Tmin
r
t-Student
p<0.01
0,93
0,92
0,92
0,90
0,88
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0,86
0,83
0,85
0,91
0,91
0,90
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Tabella 1 - Coefficienti di correlazione e significatività (*) delle differenze fra
temperature di siti "urbani" e "rurali" di Milano e Roma (Beltrano e Perini, 1997)
Conclusioni
La struttura urbana e l’architettura degli edifici giocano un ruolo basilare
nel determinare i vari microclimi che si riscontrano nelle diverse zone della
città che, di conseguenza, si riverberano anche sul comfort termico. Altezza
e larghezza degli edifici, ampiezza ed orientamento delle strade, presenza o
meno di verde pubblico sono elementi importantissimi della progettazione
(o riqualificazione) delle aree urbane al fine di migliorare Paesaggio e clima
urbani e, con essi, il benessere degli abitanti. Le temperature mediamente
più elevate che si registrano nell’ambiente urbano rispetto a quelli rurali e
naturali, impongono in ogni caso una riflessione approfondita, sia sulle
conseguenze del surriscaldamento specifico delle città (local warming) sia
sull’ulteriore inasprimento del fenomeno conseguente al surriscaldamento
dell’intero pianeta (global warming).
11
Le particolari condizioni ambientali delle aree urbanizzate esigono
un’attenta riflessione sui meccanismi che legano il Paesaggio urbano al
benessere della popolazione: una massiccia presenza di manti asfaltati,
cementi, laterizi, calcestruzzi e fabbricati alti (effetto canyon), associata ad
una scarsa presenza di aree verdi e di specchi d’acqua, comporta minori
tassi di umidità ed una alterazione sensibile e localizzata delle temperature.
Questi aspetti, oltre ad incidere sulla qualità del clima e del Paesaggio,
condizionano positivamente la percezione di qualità della vita aiutando a
soddisfare il bisogno di vivere in un ambiente sano, pulito ed esteticamente
gradevole (Figura 6).
Figura 6 - Tianjin Eco-city (China). (Fonte: http://www.huffingtonpost.com)
Il Paesaggio urbano, al contrario di quello naturale, non è in grado di
“metabolizzare” i rifiuti e i residui in esso prodotti, anzi esso metabolizza e
rielabora materiali che sono sostanzialmente estranei alla vita all’interno
12
delle città. Prendere spunti dalla natura e ricorrere a elementi di
infrastrutture “naturali” come, ad esempio, parchi ricchi di biodiversità,
spazi verdi, corridoi di aria fresca e specchi d’acqua, possono contribuire
ad attenuare l’effetto “isola di calore” e migliorare il microclima cittadino e
lo stato di benessere. Un esempio concreto di miglioramento del Paesaggio
urbano che si sta diffondendo in molte città è rappresentato dagli orti
urbani che, oltre a ridurre le distanze tra la produzione e la consumazione
di alimenti, incrementano la presenza di aree verdi, esercitano un effetto
positivo sulla riduzione dell’isola di calore, sulla riqualificazione di aree
degradate, sul contenimento di consumo di suolo, sulla riduzione della
diffusione di patologie trasmesse da vettori e, finanche, sull’aggregazione
sociale favorendo lo sviluppo di una micro-economia etica e solidale.
Strumenti
che invece consentono di intervenire direttamente sul local
warming mitigandone gli effetti, sono l’utilizzo di materiali edili a tinte
chiare, la costruzione dei nuovi fabbricati con altezza contenuta, distanziati,
climatizzati naturalmente, con coperture a verde (coolroof), energeticamente
autonomi ed ecocompatibili. Inoltre, lo sfruttamento di energie alternative
in relazione alla locale disponibilità di fonti rinnovabili può attenuare il
generarsi del local warming.
In conclusione, quando finalità non convergenti con il benessere umano
prendono il sopravvento su tutto il resto, anche il Paesaggio ne risentirà
negativamente e sarà necessario adottare misure concrete di pianificazione
(o riqualificazione) paesaggistica per ristabilire il corretto rapporto tra
ambiente e persone. Lo stesso vale per il Paesaggio urbano che, se risulta
sano ed orientato al benessere dei suoi abitanti, può ugualmente giovare ai
singoli individui e alla comunità sul piano fisico, psicologico, emotivo e
socio-economico.
13
Ringraziamenti
Il lavoro è stato realizzato nell’ambito del Corso di Dottorato Interateneo
Sapienza-Tuscia “Progettazione e Gestione dell’Ambiente e del Paesaggio” in
collaborazione con il CRA-CMA. Si ringrazia il Prof. Achille Maria Ippolito
ed il Collegio dei Docenti per gli spunti forniti.
Bibliografia
Beltrano M.C., Perini L., “Comparazione tra le temperature estreme
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heat wave in Italy”, Environmental Research, 98, 3, 2005, pp. 390-399.
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2010, pp. 283-292.
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a hot dry climate: A study in Fez, Morocco”, Building and Environment,
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14
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353.
15
La misura della temperatura
all’Osservatorio del Collegio Romano
Maria Carmen Beltrano
L’Osservatorio del Collegio Romano a Roma è riconosciuto in tutto il
mondo scientifico come uno dei più antichi d'Europa. Esso, sorto come
specola astronomica dello Stato Pontificio alla fine del XVI secolo2, divenne
anche luogo di osservazioni meteorologiche, dapprima irregolari e, a
partire dalla fine del XVIII secolo, sistematiche. Le osservazioni
meteorologiche erano infatti di necessario supporto agli studi astronomici,
ma si rendevano altresì utili per studiare il sensibile raffreddamento
climatico, noto come Piccola Età Glaciale (vedi pag. 26), che da oltre due
secoli interessava anche Roma.
Si deve alla sensibilità e al supporto economico di Papa Pio VI, se nel 1782
si giunse finalmente alla costruzione della torre Calandrelli (dal nome
dell’abate Giuseppe Calandrelli che ne richiese ardentemente
la
costruzione), per dotare Roma di un una sede idonea ad ospitare
l’osservatorio astronomico, in grado di competere con le specole delle
principali capitali europee. La torre si innalza tutt’oggi nell’angolo Sudorientale del complesso monumentale e ospita ancora l’Osservatorio
meteorologico del Collegio Romano la cui attività di monitoraggio risale
alla fine del XVIII secolo. Ancora oggi esso opera come “Osservatorio
meteorologico di Roma”. Attualmente è ubicato al terzo piano della torre;
gli strumenti per la misura della temperatura e dell’umidità dell’aria sono
2
Nel Collegio, istituito da Sant’Ignazio di Loyola dopo la fondazione della Compagnia di
Gesù (1534), la tradizione scientifica è iniziata alla fine del XVI secolo, quando, appena
inaugurato, gli insegnamenti di matematica e astronomia che vi si svolgevano lo resero noto
in tutta Europa. Alla fine del XVI secolo la cattedra di Astronomia era tenuta dal padre
gesuita Cristoforo Clavio (1538-1612), il principale autore della riforma del calendario
voluta da papa Gregorio XIII. Galileo Galilei, grande ammiratore di Clavio, durante una
visita al Collegio nel 1611, con lui discusse delle nuove scoperte fatte con il telescopio.
16
posizionati fuori dal terrazzino esposto a Nord, all’interno della capannina
meteorica tipo Stevenson, a 56 metri sul livello della strada.
La sua posizione, nel cuore di Roma, e la lunghissima continua serie di dati,
risalente al 1786, fanno sì che l’osservatorio sia un punto di rilevamento
meteorologico di grande interesse per la città rivestendo anche importanza
scientifica, per lo studio dell’andamento del clima urbano e del
cambiamento climatico in un contesto urbano. Infatti l’assetto urbanistico
circostante non è molto cambiato, rispetto all’anno di costruzione della
torre.
L’Osservatorio, dalla sua fondazione, è sempre rimasto all’interno del
complesso edilizio del Collegio, sebbene gli strumenti per la misura di
pressione, temperatura, umidità e precipitazione abbiano subìto svariati
spostamenti.
Il vecchio Osservatorio del Collegio Romano (Foto di E. Milosevich, 1904)
17
Abbiamo trovato notizie circa la posizione degli strumenti fin dall’inizio
dell’attività di monitoraggio meteorologico. In particolare per quel che
riguarda i termometri, essi subirono piccoli spostamenti da un piano
all’altro all’interno della torre nel periodo tra il 1787 e il 1850 (Ferrari, 1878).
I principali trasferimenti furono due. Il primo è connesso alla realizzazione
del nuovo Osservatorio edificato sulla chiesa di Sant’Ignazio. La sua
costruzione si deve alle insistenti richieste rivolte al Papa da padre Angelo
Secchi, direttore della specola del Collegio Romano dal dicembre del 1849,
il quale aveva più volte dichiarato che la torre Calandrelli era troppo esile e
leggera per sostenere telescopi ad alta definizione e che le scienze
astronomiche in Roma non potevano svilupparsi come si doveva se non si
disponeva di un luogo di osservazione idoneo.
Il nuovo Osservatorio del Collegio Romano (Foto di E. Milosevich, 1904)
L’altro protagonista di questa storia fu Papa Pio IX, la cui sensibilità e
munificenza resero possibile la realizzazione della nuova specola. Il Secchi
aveva ripreso l’idea che era stata già di Ruggero Boscovich (1711-1787):
18
erigere il nuovo Osservatorio sul basamento della cupola mai costruita
della chiesa di Sant’Ignazio; il progetto fu affidato all’ing. Vescovalli.
Il 25 ottobre 1854, dunque, finalmente iniziò a funzionare il nuovo
Osservatorio e numerosi strumenti meteorologici furono spostati dal
“vecchio Osservatorio”, sulla torre Calandrelli, alla sommità della chiesa di
Sant’Ignazio, (“nuovo Osservatorio”), alla distanza di circa 40 metri in linea
d’aria in direzione Nord-Ovest dalla torre, circa 5 metri più in basso, a 58
metri sul livello del mare e 41 sopra il livello della strada.
Nel nuovo Osservatorio inizialmente i termometri erano posizionati sulla
balaustra a nord della cupola mobile dell’osservatorio astronomico, protetti
dai raggi solari dalla cupola stessa. Il 1 febbraio 1855, i termometri furono
spostati nella terrazza posta nell’ala orientale della chiesa, circa 8 metri
sotto la balaustra (48, 37 metri sul livello del mare), protetti dai raggi solari
dell’alba da una persiana di
legno e al tramonto dal
corpo centrale della chiesa
(Eredia, 1912).
L’altro importante spostamento
degli
strumenti
avvenne nel 1942, anno in
cui essi furono riportati al
vecchio Osservatorio, come
testimonia la nota riportata
nella
prima
“Registro
pagina
delle
del
osserva-
zioni” di quell’anno:
“Dall’11 luglio le osservazioni
sono fatte alla torre Calandrelli”.
Il frontespizio del registro delle osservazioni
dell’Osservatorio del Collegio Romano
dell’anno 1942 (Foto di M.C. Beltrano)
19
Disponiamo di numerose
informazioni dirette circa
l’esposizione e le caratteristiche degli strumenti usati nell’Osservatorio tra
il XVIII e il XIX secolo. Esse sono state accuratamente annotate dai direttori
o dagli assistenti (Secchi, 1862; Ferrari, 1878). A partire dal XX secolo le
informazioni circa i cambiamenti della strumentazione in uso si sono
ridotte, anzi sono quasi del tutto assenti, a parte rare brevi note sporadiche
che si possono trovare nelle schede o sui registri dell’osservatorio. Esse
rientrano nella lista dei metadati e, anche se saltuarie e molto sintetiche,
completano il quadro delle informazioni e risultano comunque utili per lo
studio delle serie meteorologiche.
Al Collegio Romano, nel corso degli anni le osservazioni termometriche
sono state eseguite con strumenti via via più moderni e gli orari di
rilevamento sono cambiati diverse volte. Nel tempo sono stati adottati
anche strumenti registratori e strumenti elettronici di nuova concezione,
tuttavia sono ancora in uso anche i classici termometri.
Le osservazione, fino al 1870, venivano eseguite quattro volte al giorno alle
7.00, 12.00, 15.00 e 21.00, tempo medio locale (MLT) che corrisponde all’ora
media solare, in relazione alla culminazione del sole sul meridiano locale
(Camuffo, 2002). I valori di temperatura minima e massima erano dedotti
da quelle osservazioni (la più alta e la più bassa tra le quattro misure
effettuate), anche se a partire dal 1854 erano iniziate regolari osservazioni
con il termometro a minima ad alcol di Six-Bellani e con il termometro a
massima a mercurio (con colonna interrotta) di Negretti e Zambra (Secchi,
1862). Le misure delle temperature minima e massima mediante l’uso di
termometri a liquido in vetro iniziarono regolarmente a partire dal 1862
(Ferrari, 1878).
Al Padre Angelo Secchi si deve anche l’ideazione di un complesso e
raffinato strumento registratore, il meteorografo, un apparecchio sofisticato,
tecnologicamente avanzato per l’epoca, tra i più apprezzabili strumenti
scientifici realizzati in Italia durante il XIX secolo, che può essere definito,
senza presunzione, prototipo delle odierne stazioni meteorologiche
automatiche. La sua realizzazione fu affidata ad alcuni valenti artigiani
specializzati. I singoli dispositivi e le varie parti del meteorografo sono stati
20
dettagliatamente descritti dal padre Secchi nella memoria “Descrizione del
Meteorografo” del 1866. Dal primo modello realizzato nel 1859, il
meteorografo ebbe una costante evoluzione e il papa Pio IX finanziò una
nuova
e
più
completa
versione
dello
strumento
in
occasione
dell’Esposizione Universale di Parigi nel 1867, dove fu mostrato al pubblico
riscuotendo un caloroso successo. Un esemplare dello strumento rimase in
funzione tra il 1859 e il 1880 presso il nuovo Osservatorio del Collegio
Romano3, accanto alla strumentazione tradizionale.
Mi limiterò qui a descrivere il sensore per la temperatura del meteorografo,
che il padre Secchi aveva riprodotto sullo schema del termometrografo
metallico del tipo Karl Kreil (1798-1862), in uso, all’epoca, all’osservatorio
dell’ab-bazia di
Kremsmünster,
e presso l’Istituto Centrale per la
Meteorologia e il Magnetismo di Vienna, di cui Kreil fu il primo direttore.
Disegno del sensore di temperatura del meteorografo, tratto dalla tavola descrittiva dello strumento.
Da “Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del Collegio Romano”, Volume V, Anno V, 1866
Il meteorografo del Collegio Romano è attualmente conservato presso
l’Osservatorio Astronomico di Monte Porzio Catone (RM).
3
21
L’apparato consisteva in un filo di rame lungo 17 metri, sospeso
verticalmente alla parete settentrionale del braccio orientale della chiesa di
Sant’lgnazio. La dilatazione del filo di rame, trasmessa al meteorografo
attraverso un sistema di leve e da un filo di ferro lungo 8 metri, protetto nel
tratto esterno da una copertura di legno, tracciava il grafico della
temperatura sulla carta diagrammata del registratore dello strumento. La
scala termometrica veniva tarata attraverso tre termometri a mercurio
collocati sia agli estremi del lungo filo di rame che al suo centro. Il filo di
rame era protetto dai raggi solari, che al mattino potevano intercettarlo, da
una tela montata come una vela di nave, ancorata a due cavi verticali
paralleli posti ad una breve distanza dal filo di rame stesso.
I cavi di sostegno della vela di protezione
(a sinistra) e il modiglione di ancoraggio del
filo di rame del termometrografo (a destra)
(Foto di M. C. Beltrano)
22
Recentemente, grazie alla minuziosa descrizione che il Secchi aveva fatto
dell’apparato, è stato possibile rintracciare il “modiglione” che teneva in
tensione il filo di rame del termometrografo e individuare, ancora sul
posto, la struttura di cavi che ancorava la tela ombreggiante.
Nel 1874 le direttive suggerite dall’Ufficio di Statistica del Ministero
dell’Agricoltura, Industria e Commercio4 (Cantoni, 1873), fornirono
istruzioni circa la strumentazione da usare, l’unità di misura da adottare e
le modalità di esecuzione delle osservazioni meteorologiche, anche per la
misura della temperatura dell’aria. All’Osservatorio del Collegio Romano
entrarono comunemente in uso il termometro a minima ad alcol e il
termometro a massima a mercurio suddivisi in gradi Celsius. Gli orari di
osservazione furono stabiliti alle 7.00 (da Aprile a Settembre; alle 8.00 negli
altri mesi), 9.00, 12.00, 15.00 e 21.00 MLT (Eredia, 1912). Attualmente le
osservazioni con metodo tradizionale, cioè con l’intervento di un operatore,
vengono effettuate alle 8.00, 14.00 e 19.00 ora solare locale.
Già a partire già dagli inizi del XX secolo si era diffuso l’uso termometri più
moderni, di fabbricazione industriale, con migliori caratteristiche di
accuratezza, realizzati da diverse case costruttrici, tra cui, dagli anni Venti
del XX secolo, la ditta SIAP di Bologna. Allo stesso periodo risale
l’introduzione al Collegio Romano di un registratore termometrico e in
seguito del termoigrografo, costruito dalla stessa ditta SIAP. Tali strumenti
di tanto in tanto sono sostituiti con altri esemplari dello stesso tipo via via
più moderni.
Attualmente la misura della temperatura dell’aria viene rilevata sia
mediante gli strumenti tradizionali della stazione meccanica (termometri a
minima e a massima e termoigrografo) sia dal sensore di temperatura della
stazione automatica. Si tratta di un sensore modello PT100, posizionato
Il Prof. Giovanni Cantoni, primo direttore dell’Ufficio di Statistica del Ministero
dell’Agricoltura, Industria e Commercio (istituito nel 1865 con sede a Firenze), si
preoccupò di unificare i metodi di osservazione meteorologica adottati nei diversi
osservatori (strumenti, orario, norme di osservazione) in accordo con gli standard
internazionali, discussi e accettati durante la Conferenza meteorologica internazionale
tenutasi a Vienna nel Settembre 1873.
4
23
all’interno della stessa capannina meteorica che ospita gli strumenti della
stazione tradizionale. Esso è collegato alla centralina di acquisizione dati,
posta nel locale sottostante al terrazzino sommitale della torre. Il sistema
archivia
le misure istantanee della temperatura rilevate con intervallo
orario e i valori minimo e massimo registrato ogni ora; da questi ultimi,
alla fine della giornata, estrae e archivia i valori estremi registrati nelle 24
ore.
Interno della capannina meteorologica con termometri a massima e a minima,
il termoigrografo e il sensore di temperatura (Foto di E. Gerardi)
24
Ringraziamenti
Un vivo ringraziamento va ad Alessandra Saioni e Simona Sorrenti che mi
hanno
coadiuvato
nella
ricerca
delle
informazioni
storiche
sulla
strumentazione impiegata all’Osservatorio del Collegio Romano.
Bibliografia
Camuffo, D., (2002). Errors in early temperature series arising from changes
in style of measuring time, sampling schedule and number of
observations, Climatic Change, Volume 53, Numbers 1-3, April 2002, pp.
331-352 (22).
Cantoni, G., (1873). Notizie su le osservazioni meteoriche. Meteorologia
Italiana , Serie I, vol. VIII, Anno 1872. Ed. 1874, p. 28-33+ 1 tab.
Eredia, F., (1912). Il clima di Roma. Annali dell’ufficio Centrale di
Meteorologia e Geodinamica Italiano, vol. XXXII, 1910, parte I - 1910,
Tipografia Nazionale Bertero, Roma, 1912.
Ferrari, G. S., (1878). Meteorologia Romana, Tipografia elzeviriana, Roma,
147 pp.
Klein Tank, A.M.G., Zwiers F. W. and X. Zhang, (2009). Guidelines on
Analysis of extremes in a changing climate in support of informed
decisions for adaptation. Climate Data and Monitoring WCDMP-No. 72,
WMO-TD No. 1500, 56 pp.
Secchi, A., (1862-1878). Bullettino meteorologico dell'Osservatorio del
Collegio Romano. Vol. 1., n. 1 (1. mar. 1862) - vol. 17., n. 12 (31 dic. 1878).
Tip. delle scienze matematiche e fisiche, Roma, 1862-1878.
UCM, (1880-1926). Bollettino meteorico giornaliero. Roma.
UCM, UCEA, CRA-CMA (1880-2012). Schede e registri dell’Osservatorio
meteorologico del Collegio Romano. Roma.
25
La Piccola Età Glaciale nell’Arte:
il 1600 o secolo del “Pessimum Climatico”
Luigi Iafrate
Dopo una fase di clima relativamente fresco, subentrata all’Optimum
Climatico Medievale e durata all’incirca tre secoli, il gelo fece la sua
ricomparsa in tutto l’emisfero boreale e fu ovunque accompagnato da una
nuova, vigorosa avanzata dei ghiacciai. Il primo sintomo tangibile della
svolta climatica fu il terribile inverno 1564-1565, consegnato alla storia per
la grande ondata di gelo che cinse d’assedio gran parte del continente
europeo. La nuova fase climatica si estese approssimativamente fino alla
metà dell’Ottocento, ebbe carattere di persistenza e fu contraddistinta da
più di dieci inverni estremamente gelidi. “Piccola Età Glaciale”: così
l’hanno, a ragione, definita gli specialisti di Climatologia Storica (disciplina
di interfaccia tra le scienze naturali e quelle storiche). E non v’è definizione
migliore dal momento che, in Europa e gran parte del mondo, l’estensione
delle nevi e dei ghiacci, sulla terraferma e sui mari, fece, in quei tre secoli,
registrare valori massimi mai raggiunti dopo la fine della glaciazione
würmiana (circa 10-12.000 anni fa)!
Quantunque alcuni climatologi datino l’esordio di questo ciclo climatico al
rigido inverno del 1431 ed altri addirittura agli inizi del XIII secolo, è
tuttavia da rilevare che, pur essendosi, dopo il 1200, verificati inverni assai
rigidi e marcati episodi di gelo, il freddo ed il glacialismo non hanno avuto,
fino alla metà del 1500, né carattere duraturo nel tempo né tantomeno
un’estensione così vasta come avvenne durante la Piccola Età Glaciale vera
e propria. Pertanto, alla luce delle attuali conoscenze, sia storiche che
botaniche e geomorfologiche, la datazione di inizio di quest’ultima,
universalmente accettata, è quella proposta dallo storico francese
Emmanuel Le Roy Ladurie, sulla base dei suoi accurati studi sulla dinamica
26
evolutiva dei ghiacciai alpini e sulle date delle vendemmie: la metà del XVI
secolo.
Di durata plurisecolare, questa fase fredda del clima si caratterizzerà per la
concomitanza dei fatti di seguito evidenziati:
- una diminuzione generale della temperatura media di tutte le stagioni
nella maggior parte delle regioni temperate e di alta latitudine;
- un’accentuazione della variabilità interannuale del clima;
- una generale espansione dei ghiacciai artici e della Groenlandia, nonché
un accrescimento ed una vigorosa avanza degli apparati glaciali
continentali;
- un incremento delle precipitazioni alle latitudini medie e subtropicali, con
conseguente maggior frequenza di inondazioni;
- un generale abbassamento dei limiti polare ed altimetrico delle foreste e
delle colture.
Ma il fattore responsabile della grande espansione glaciale del periodo in
questione non fu tanto la diminuzione della temperatura media invernale
(mediamente di 1-1,5 °C rispetto ai valori attuali), quanto l’abbassamento
sensibile e generalizzato delle temperature primaverili ed estive, con la
conseguente riduzione della fase di ablazione del ghiaccio. Oltre che
fresche, le estati europee di quei secoli si mostravano piuttosto piovose,
specie in alcune annate. Il che arrecò seri danni ai raccolti. Le notizie di
vendemmie tardive ne costituiscono un’indubbia testimonianza. Non era
per niente casuale il fatto che, nelle annate con le vendemmie più tardive,
in molte località dell’Europa Centrale, l’uva venisse raccolta addirittura a
cavallo della prima e della seconda decade di novembre, come, per
esempio, accadde nell’anno 1692.
Sebbene, nel corso della Piccola Età Glaciale, i ghiacciai abbiano accusato
anche periodi di stasi o di regresso e le temperature palesato tendenze
all’aumento di breve periodo (il che è in parte documentato dalle stesse
serie termometriche), è comunque assodato che simili fasi rappresentano
semplicemente fluttuazioni od oscillazioni secondarie rispetto al fatto
primario contrassegnato dall’affermarsi, nello spazio e nel tempo, di un
27
clima assai freddo. Nessuna fase di deglaciazione manifestatasi in quel
periodo può essere, in termini di ampiezza e durata, paragonata a quella
attualmente in atto, il cui inizio è indicativamente riconducibile alla
seconda metà del XIX secolo.
Assai numerose sono oggi le fonti storiche e le evidenze naturalistiche di
cui la Climatologia Storica dispone relativamente al periodo della Piccola
Età Glaciale. A proposito delle prime, in sede di ricostruzione delle
principali vicissitudini di tale fase climatica, un ruolo certo primario deve
essere riconosciuto all’iconografia, cioè a quelle immagini che, nella
fattispecie, possono rappresentare una preziosa fonte documentaria. Di qui
il proposito di circoscrivere questa mia nota al contributo indirettamente
offerto alla Climatologia Storica da celebri pittori fiamminghi ed olandesi
del XVII secolo, attraverso originali dipinti che ben ritraggono la fase
centrale e, per certe regioni d’Europa, anche la peggiore (“pessimum”)
della Piccola Era Glaciale. La raffigurazione della stagione invernale,
quindi, occupa una posizione ragguardevole nella pittura fiamminga ed
olandese del Seicento e gode di una tradizione storica che affonda le
proprie radici nel XV secolo. Le scene di inverni così rigidi da determinare
estese formazioni di ghiaccio sulle acque interne e costiere devono aver
offerto agli artisti specializzati in paesaggi un motivo frequente di
ispirazione. Cosicché, nella rappresentazione delle scene invernali, i pittori
fiamminghi ed olandesi uniscono il loro intento realistico, chiaramente
ispirato alla recrudescenza climatica della loro epoca ed al ciclo delle
stagioni in generale, a sottintesi di carattere allegorico-simbolico. Invero, le
immagini dipinte, pur riproducendo realisticamente luoghi completamente
ghiacciati, in particolare specchi d’acqua e canali sulla cui superficie gelata
si svolgevano intense attività urbane e commerciali alternate a momenti di
gioco e di divertimento, sottendono tuttavia allusioni e risvolti allegorici e
simbolici. Così, ad esempio, le scivolate sul ghiaccio vogliono anche
significare le cadute e gli accidenti imprevisti che possono verificarsi nel
corso della vita; il gioco con i pattini vuole altresì alludere alla precarietà
dell’esistenza umana.
28
Ma torniamo ora a tratteggiare i lineamenti essenziali del clima europeo
dell’ultimo Cinquecento e del secolo XVII, vale a dire del periodo del
cosiddetto “pessimum”, per poi corroborare i fatti illustrati con le evidenze
tratte dalle scene di paesaggio invernale dianzi menzionate.
Il clima dell’ultimo decennio del 1500, oltre che da inverni gelidi, fu
“tormentato” da primavere ed estati alquanto fresche e piovose. Il che
cagionò gravi episodi di carestia. La pioggia cadde incessante su tutta
l’Europa, specie nei quattro anni consecutivi 1594-1597. Il raccolto del 1594
fu cattivo, quello del 1595 addirittura peggiore, nel 1596 fu un disastro vero
e proprio. Ne seguì, inevitabilmente, una grande carestia che si estese a
tutta l’Europa e durò circa tre anni. In Italia, Inghilterra e Germania, i
poveri mangiavano qualunque cosa fosse commestibile: gatti, cani e
persino serpenti. Tra il 1590 e gli inizi del 1600, per di più, i nostri ghiacciai
alpini, al pari della maggior parte degli apparati glaciali dell’emisfero
boreale, conobbero una fase di catastrofico avanzamento, cui fecero seguito
pesanti danni ai molti ettari di terreno coltivato invasi dal ghiaccio e,
dunque, la distruzione, parziale o totale, dei non pochi villaggi interessati.
Dagli inizi del 1600 e fino al 1625, invece, la recrudescenza del clima
europeo, a giudicare da quanto è emerso dallo studio dei ghiacciai alpini,
conobbe verosimilmente una parziale battuta d’arresto, pur conservando il
nostro sistema climatico l’impronta fredda di lunga durata che è propria
delle mini-glaciazioni. Ma, già a partire dal terzo decennio del XVII secolo, i
ghiacciai delle Alpi, analogamente a quelli di molte altre regioni del
mondo, riprenderanno energicamente ad avanzare, fino a raggiungere la
loro espansione massima nell’ultimo quarto dello stesso secolo. Espansione
che, per alcune zone delle nostre Alpi, sarà la più forte di tutta l’età
moderna. L’ultimo decennio del 1600, in effetti, sembra essere stato un vero
e proprio periodo di “pessimum climatico”: l’Europa sperimentò
temperature sensibilmente basse in tutte le stagioni ed una serie di annate
particolarmente umide e piovose. Molte città d’Europa, tra cui Londra e
Parigi, furono colpite dagli inverni più rigidi degli ultimi 900 anni. Molti
corsi d’acqua e bacini lacustri europei, come era già avvenuto altre volte in
29
quel secolo, in concomitanza con le più forti ondate di gelo, ghiacciarono
completamente. Nei terribili inverni 1693-1694 e 1694-1695, il Lago di
Costanza gelò al punto di sorreggere perfino il peso dei carri. E non era
certo la prima volta che uno specchio d’acqua ghiacciato fosse in grado di
sostenere il peso di carri, animali e persone, come indiscutibilmente
documentano alcuni dei capolavori della pittura fiamminga ed olandese di
seguito riprodotti e brevemente commentati.
*****
Lago ghiacciato, di Joost de Momper (Anversa, 1564 – 1635) e Jan Bruegel dei Velluti (Bruxelles,
1568 – Anversa, 1625). Scena invernale raffigurante una superficie lacustre interamente ghiacciata,
probabilmente il Lago dell’Amore (nei pressi di Bruges), databile al primo decennio del 1600.
30
Paesaggio invernale boscoso, un dipinto di Denijs van Alsloot (Bruxelles, prima del
1573 – 1625/26 ca.), probabilmente realizzato nel corso dei primi due decenni del 1600.
Pattinatori sul canale ghiacciato, di Anton Ghiboons (1580 – 1639), pittore olandese
specializzato nel genere dei “paesaggi invernali”. Un dipinto probabilmente riconducibile al periodo a
cavallo del secondo e terzo decennio del secolo XVII.
31
Paesaggio invernale con figure, un quadro del pittore fiammingo Gysbrecht Leytens (Anversa,
prima del 1586 – 1642-57), a lungo noto come “Maestro dei paesaggi invernali”, probabilmente
databile al terzo decennio del ‘600.
Pattinatori sul ghiaccio (Gennaio), di Jan Wildens (Anversa, 1585 ca. – 1653). Il dipinto fa parte
di un ciclo di dodici quadri dedicati dall’Autore ai mesi dell’anno e realizzati, tra il 1613 ed il 1616,
durante il suo soggiorno italiano.
32
Scena invernale. Probabile veduta di Dordrecht durante l’inverno 1643. Ne è autore il paesaggista
olandese Aert van der Neer (Amsterdam, 1603 ca. – 1677).
Paesaggio invernale con pattinatori, un dipinto firmato da Isaack van Ostade (Haarlem, 1621 –
1649) e datato 1641.
33
Paesaggio invernale con figure, un’opera su tela databile al decennio 1661-1670 e parzialmente
firmata da Willem Schellinks (Amsterdam, 1623 – 1678), artista famoso per i suoi disegni topografici
a carboncino.
Canale ghiacciato, un dipinto di Jan van de Cappelle (Amsterdam, 1626 – 1679), il più
importante pittore olandese di “marine” del ‘600. L’anno di realizzazione si legge solo in parte, ma
dovrebbe essere il 1652.
34
Paesaggio con pattinatori davanti alla Torre di Zaltbommel, un quadro su tela realizzato dal
pittore olandese Salomon van Ruysdael (Naarden, 1600-03? – Haarlem, 1670), probabilmente dopo il
1640.
Montelbaanstoren in inverno (Amsterdam), un dipinto di Thomas Heeremans (Haarlem? 1641
ca. – Haarlem?, dopo il 1695) e Abraham Storck (Amsterdam, 1644 – 1708), datato 1685.
35
Balenieri olandesi nell’Artic,: un’opera di Lieve Verschuier (Rotterdam, 1634 ca. – 1686),
probabilmente databile al periodo 1660-1670. Appartiene ad un filone in voga negli ultimi decenni del
Seicento: quello delle scene di caccia alle balene nel Mar Glaciale Artico.
*****
Si tratta, dunque, di scorci di paesaggi invernali che, in maniera alquanto
realistica, riproducono i rigori delle ondate di gelo che, nel corso del 1600, a
più riprese, investivano, unitamente ad altri paesi europei, i territori delle
Fiandre e dei Paesi Bassi, provocando ivi il congelamento di specchi
lacustri e marini e corsi d’acqua in genere (canali e fiumi).
Tuttavia, l’inverno peggiore degli ultimi 500 anni doveva ancora arrivare,
anche in Italia!
Venezia, al pari di molte altre città italiane, assumeva l’aspetto di un vero e
proprio paesaggio nordico. Era l’inverno 1708-09. Il dipinto è di un artista
anonimo e ritrae la laguna completamente ghiacciata.
Anche alcuni inverni successivi non furono da meno, come testimonia il
dipinto ad olio di Giovanni Paolo Pannini (o Panini, Piacenza 1691 circa Roma 1765), che, ispirandosi ai paesaggi invernali fiamminghi e olandesi,
raffigura Roma innevata e ghiacciata nel 1730.
Lungi dall’avere pretese di esaustività nel trattare l’argomento, la mia
esposizione finisce qui!
36
Laguna ghiacciata, opera di anonimo, datata 1708.
Roma sotto la neve, opera di Giovanni Paolo Pannini, 1730.
37
Riferimenti bibliografici essenziali
Cantù V., Alla ricerca di documenti sul clima passato, in “Accademie e
Biblioteche d’Italia”, a. LIII, n. 2, Roma, F.lli Palombi, 1985, pp.103-110.
Iafrate L., Fede e scienza: Un incontro proficuo. Origini e sviluppo della
meteorologia fino agli inizi del ‘900, Roma, Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum, 2008.
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Le Roy Ladurie E., Histoire du climat depuis l'an mil, Paris, Flammarion,
1967.
Masi M., Mariani L., Georgiadis T., No slogan: l’eco-ottimismo ai tempi del
catastrofismo, Cortona, Sangel Edizioni, 2010.
Monterin U., Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica?, Bologna, CNR
- Comitato Nazionale per la Geografia, 1937.
Pinna M., La storia del clima: Variazioni climatiche e rapporto clima –
uomo in età postglaciale, Roma, Società Geografica Italiana, 1984.
Sciolla G. C., Cielo, terra e acque: il paesaggio nella pittura fiamminga e
olandese tra Cinquecento e Seicento / Catalogo della Mostra, tenuta ad
5
Aosta nel 2006-2007, a cura di Gianni Carlo Sciolla, Torino, Elede, 2006 .
5
Si tratta dell’opera da cui le immagini mostrate sono state riprodotte.
38
Il monitoraggio meteorologico e aerobiologico
al Collegio Romano
L’Osservatorio Meteorologico
Situato attualmente in alcuni locali della Torre Calandrelli, l’Osservatorio
meteorologico del Collegio Romano funziona dal 1787.
Nel 2012 hanno collaborato allo svolgimento delle attività dell’Osservatorio
la Dott.ssa Maria Carmen Beltrano e la Dott.ssa Maria Cecilia Serra in
qualità di responsabili rispettivamente dei rilevamenti meteorologici e
aerobiologici, il Dott. Luigi Perini per il trattamento ed elaborazione dei
dati meteorologici, il Sig. Domenico Sansone e la Sig.na Alessandra Saioni
per le misurazioni strumentali meteorologiche e palinologiche, la Dott.ssa
Francesca Greco per le attività di preparazione e analisi dei campioni e
archiviazione dei dati.
---*--Lat. 41°53’ 54’’ N
Long. 12° 28’ 46’’ E di Greenwich
Altezza del pozzetto del
barometro m 61,40 s.l.m.
---*--A destra: la Torre Calandrelli come si
presenta oggi.
Si riconosce la finestra meteorica
(capannina bianca).
In cima alla Torre, sulla destra si vedono il
campionatore pollinico, sulla sinistra il palo
che sorregge la banderuola e il mulinello di
Robinson della stazione automatica; alle sue
spalle si intravede l’anemografo meccanico.
(Foto di M. Scaglione)
39
I dati
I dati meteorologici pubblicati sono rilevati all’Osservatorio del “Collegio
Romano” con strumentazione automatica. La tipologia di sensori e le
modalità di acquisizione delle misure sono conformi ai requisiti standard
raccomandati dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO/OMM)
per le stazioni climatiche e a quelli adottati per le stazioni meteorologiche
della Rete Agrometeorologica Nazionale (RAN)6 (vedi Tabella 1), alla
quale l’Osservatorio del Collegio Romano afferisce.
Tabella 1 – Elenco dei sensori installati nella stazione automatica di Roma Collegio Romano, con
indicazione dell’unità di misura, dell’intervallo di acquisizione, della tipologia di misura e della
modalità di archiviazione.
Sensori installati
Unità di misura
Intervallo
acquisizione
di
Temperatura aria a 57 m(*)
°C
60 min.
Istantanea
si
Precipitazione a 63 m (*)
mm
10 min.
Totale
no
Umidità relativa a 57 m (*)
%
60 min.
Istantanea
si
Velocità del vento a 63 m (*)
m/s
10 min.
Media
no
Direzione del vento a 63 m (*)
gradi
Tipo di misura Massimi e minimi
10 min.
Istantanea
no
Pressione atmosferica a 57 m (*) hPa
60 min.
Istantanea
si
Radiazione globale a 63 m (*)
KJ/m²
60 min.
Totale
no
Eliofania a 63 m
ore
60 min.
Totale
no
Per garantire la massima omogeneità possibile con la serie storica delle
misurazioni effettuate in passato, i sensori sono alloggiati in posizioni
adiacenti alla preesistente strumentazione meccanica, tuttora funzionante.
Nelle tabelle sono pubblicati i dati giornalieri, utilizzati per le successive
elaborazioni delle seguenti variabili meteorologiche: Temperatura,
Eliofania, Radiazione globale, Pressione barometrica, Umidità relativa,
Precipitazione, Vento.
Nei capitoli dedicati alle osservazioni aerobiologiche sono pubblicati i dati
di monitoraggio effettuato mediante un campionatore volumetrico tipo
Hirst e le elaborazioni relative alla concentrazione di polline e spore. Le
Rete di monitoraggio agrometeorologico del territorio nazionale realizzata nell’ambito
del Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN) del Ministero delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali; essa è gestita ed utilizzata dal CRA-CMA per assolvere alle funzioni
di monitoraggio e ricerca nel settore agrometeorologico e agroclimatico.
6
40
procedure adottate nel monitoraggio pollinico seguono pienamente la
norma UNI11108-2004 che rappresenta lo standard metodologico utilizzato
in tutti i Centri di Rilevamento Aerobiologico italiani ed europei e che
descrive i metodi da adottare nelle fasi di campionamento, preparazione,
analisi, elaborazione ed archiviazione dei campioni giornalieri.
1. Variabili meteorologiche
Temperatura
La temperatura è espressa in gradi Celsius (°C). Nelle tabelle sono riportati:
 i valori minimo e massimo giornaliero registrati nelle 24 ore;
 il valore medio giornaliero calcolato sui valori orari istantanei delle 24
ore;
 l’escursione termica della giornata calcolata come differenza tra il
valore massimo e il valore minimo;
 il valore medio nella decade e nel mese.
Eliofania
L’eliofania assoluta è espressa come numero di minuti di sole direttamente
visibile durante il giorno, cioè come tempo di permanenza del sole libero
da nubi. Nelle tabelle sono riportati:
 il totale giornaliero;
 il valore medio nella decade e nel mese.
Radiazione globale
La radiazione globale è espressa in megajoule su metro quadrato (MJ/m2) e
indica la quantità di radiazione solare diretta e indiretta (diffusa
dall’atmosfera e riflessa dalle nubi e dalle superfici) che giunge sull’unità di
superficie orizzontale. Nelle tabelle sono riportati:
 il totale giornaliero;
 il valore medio nella decade e nel mese.
Pressione barometrica
La pressione barometrica è espressa in ettoPascal (hPa) ed i valori sono
corretti rispetto alla temperatura (per convenzione riferita a 0°C) e alla
quota (per convenzione riferita al livello del mare). Nelle tabelle sono
riportati:
 il valore medio giornaliero calcolato a partire dai valori medi orari
delle 24 ore;
41
 il valore medio nella decade e nel mese.
Umidità relativa
L’umidità relativa è espressa in valore percentuale (%). Essa rappresenta il
rapporto percentuale tra la quantità di vapore contenuto da una massa
d'aria e la quantità massima (cioè a saturazione) che il volume d'aria può
contenere nelle stesse condizioni di temperatura e pressione. Nelle tabelle
sono riportati:
 i valori medi giornalieri calcolati a partire dai valori medi orari delle 24
ore;
 il valore medio nella decade e nel mese.
Precipitazione
La precipitazione è espressa in millimetri (mm) ed è intesa come
equivalente in acqua, nel caso di precipitazioni solide (neve, grandine). Un
millimetro di precipitazione equivale ad un litro di acqua versato su una
superficie piana di un metro quadrato. Nelle tabelle sono riportati:
 il totale giornaliero, cioè la quantità totale di pioggia caduta nelle 24
ore;
 la quantità di precipitazione massima caduta in un’ora e l’ora di inizio
dell’evento;
 la quantità di precipitazione totale nella decade e nel mese.
Vento
La velocità del vento è espressa in metri al secondo (m/s). Nelle tabelle
sono riportati:
 il valore di velocità media giornaliera calcolato sui valori medi orari
delle 24 ore;
 il valore di velocità medio nella decade e nel mese;
 la velocità della raffica (massima velocità raggiunta nella giornata);
 la direzione di provenienza prevalente nelle 24 ore.
2. Rilevamento aerobiologico
La presenza di pollini e spore in atmosfera è rilevata mediante un
campionatore tipo Hirst.
L’analisi qualitativa e quantitativa viene
effettuata con microscopio ottico. I dati esprimono la concentrazione di
granuli in un metro cubo d'aria, distinti per famiglia botanica.
42
Le osservazioni meteorologiche del 2012
43
44
45
*
*
*
*
* Neve
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
Gli estremi meteorologici dell’anno 2012
Temperatura dell’aria
Minima assoluta: -2,2 °C il 14 febbraio
Massima assoluta: 36,9 °C il 30 luglio
Massima più bassa: 2,3 °C il 4 febbraio
Minima più alta: 25,4 °C il 18 agosto
Giorno più caldo: T media 30,6 °C il 30 agosto
Giorno più freddo: T media 0,4 °C il 4 febbraio
Minima escursione diurna: 1,7 °C il 15 dicembre (Tn 13,0 °C, Tx 14,7 °C)
Massima escursione diurna: 14,5 °C il 20 giugno (Tn 21,7 °C, Tx 36,2 °C)
Precipitazione
Giorno più piovoso: 29,0 mm il 22 maggio
Intensità massima in un’ora: 16,8 mm il 13 agosto (tra le h 15:00 e le
h 16:00 solare)
Periodo più lungo con precipitazione: 7 giorni, dal 31 gennaio al 6
febbraio
Periodo più lungo senza precipitazioni: 54 giorni, dal 30 maggio al 22
luglio
Umidità relativa
Giorno più umido: U.R. media 95,5% il 15 dicembre
Giorno più secco: U.R. media 28,1 % l’11 marzo
Velocità del vento
Giorno più ventoso: velocità media 6,7 m/s il 14 maggio
Giorno più calmo: velocità media 1,0 m/s il 16 febbraio
Massima raffica: 18,5 m/s l’11 novembre (dalle h 09:00 alle h 10:00)
Soleggiamento e radiazione globale
Eliofania massima: il 17 giugno 870 minuti
Giorni nell’anno con meno di 60 minuti di sole: 37
Radiazione media diurna più bassa: 0,0 MJ/m² , 8-9 giugno e 31
ottobre
Radiazione media diurna più alta: 33,3 MJ/m² il 23 giugno
Pressione atmosferica
Media giornaliera più bassa: 986,0 hPa il 29 novembre
Media giornaliera più alta: 1025,4 hPa il 19 gennaio
67
Sintesi meteorologica dell’anno 2012
Variabile
Unità di misura
Valore
Temperatura minima media
°C
13,6
Temperatura massima media
°C
22,1
Temperatura media
°C
17,8
Escursione termica annua
°C
39,1
Escursione termica media giornaliera
°C
8,6
mm
648,0
Precipitazione totale
Numero giorni piovosi
88
Altezza massima della neve al suolo
cm
Numero giorni con neve
15
4
Pressione media
hPa
1009,1
Eliofania media
minuti
478,5
Eliofania relativa
%
68
63
Elaborazioni meteorologiche del 2012
a cura di Luigi Perini e Maria Carmen Beltrano
Roma - Collegio Romano: TEMPERATURE MASSIME
40,0
°C
Tmax (anno 2012)
Tmax (media 1862-2000)
35,0
"
"
+ 1 dev. st.
"
"
- 1 dev. st.
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
Gen
Feb
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Set
Ott
Nov
Dic
Figura 1 - Temperature massime giornaliere rilevate nel 2012, valori climatici (periodo di
riferimento 1862-2000) e intervallo di normale variabilità climatica
Roma - Collegio Romano: TEMPERATURE MINIME
30,0
°C
Tmin (anno 2012)
Tmin (media 1862-2000)
25,0
"
"
+ 1 dev. st.
"
"
- 1 dev. st.
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
-5,0
Gen
Feb
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Set
Ott
Nov
Dic
Figura 2 - Temperature minime giornaliere rilevate nel 2012, valori climatici (periodo di
riferimento 1862-2000) e intervallo di normale variabilità climatica
69
Roma – Osservatorio del Collegio Romano
Distribuzione delle temperature medie mensili del 2012 e confronto con il clima
Figura 3 – Box plot delle temperature climatiche mensili minime (Tn) e massime (Tx) (periodo
di riferimento 1862-2000) e comparazione con i valori medi mensili del 2012 (indicati con il
simbolo “X”).
Per ciascun mese sono graficamente riassunti i cinque elementi che descrivono la serie climatica
in maniera quantitativamente sintetica. Sono rappresentati la mediana (segmento orizzontale
all’interno del box, dà indicazioni sulla tendenza centrale della serie), il primo e terzo quartile
(basi del box, la cui differenza -indice di dispersione- dà informazioni sulla variabilità della
serie), i valori minimo e massimo (limiti esterni dei segmenti tratteggiati -"baffi"-, danno
informazioni circa i valori estremi della serie).
I pallini esterni alla distribuzione indicano i valori relativi agli “eventi estremi”.
(Elaborazioni a cura di Simona Sorrenti)
70
mm
mm
Roma - Collegio Romano: PRECIPITAZIONI
(totale cum ulato)
anno 2012
Valore Normale (1862-2000)
totale cumulato 2012
totale cumulato normale
100
90
900
800
80
700
70
600
60
500
50
400
40
300
30
200
20
100
10
0
0
I
II
III
G
I
II
III
F
I
II
III
M
I
II
A
III
I
II
M
III
I
II
III
I
G
II
L
III
I
II
III
A
I
II
S
III
I
II
O
III
I
II
III
I
N
II
D
Figura 4 - Precipitazioni decadali e cumulate rilevate nel 2012 e valori climatici
(periodo di riferimento 1862-2000)
Roma - Osservatorio del Collegio Romano - Anno 2012
Numero di giorni piovosi
14
12
10
n. giorni
8
6
4
2
0
gen
feb
mar
apr
mag
giu
2012
lug
m esi
ago
set
ott
nov
dic
1862-2000
Figura 5 - Numero dei giorni piovosi per mese del 2012 e confronto con il periodo di
riferimento 1862-2000
71
III
Roma - Osservatorio del Collegio Romano. Numero di giorni piovosi del 2012 per classi di
precipitazione cumulata nelle 24 ore
35
30
25
20
15
10
5
0
≤ 1.0 mm
1.1 - 5.0 mm
5.1 - 10.0 mm
10.1 - 20.0 mm
2012
20.1 - 60.0 mm
60.1 - 70.0 mm
> 70.0 mm
1862-2000
Figura 6 - Frequenza dei giorni piovosi del 2012 in relazione alla quantità di
precipitazione nelle 24 ore e confronto con la frequenza media di giorni piovosi nel
periodo di riferimento 1862-2000.
più freddo
più piovoso
più caldo
più piovoso
più freddo
meno piovoso
più caldo
meno piovoso
Figura 7 – Il grafico sintetizza l’andamento delle variabili temperatura media e pioggia
totale registrate nei mesi del 2012 e lo confronta con i valori climatici (periodo di
riferimento 1862-2000). Gli scarti ΔT, in gradi Celsius, e ΔP, in millimetri,
rappresentano rispettivamente l’anomalia termica e la differenza delle precipitazioni di
ciascun mese rispetto al clima.
72
Figura 8 - Durata media del soleggiamento giornaliero teorico (eliofania astronomica) e
del soleggiamento giornaliero effettivo (eliofania assoluta) nel 2012.
Figura 9 - Frequenza della presenza di sole nel 2012 rispetto all'eliofania astronomica
73
Commento all’andamento meteorologico del 2012
Maria Carmen Beltrano
Un’annata di anomalie
Il 2012 sarà ricordato in Italia per le anomalie climatiche e gli eventi estremi
che hanno interessato l’intero territorio nazionale. In un quadro più
generale, l’andamento meteo del 2012 ha avuto come protagonisti numerosi
eventi estremi e anomalie che hanno causato danni ingentissimi in ogni
parte del globo. Negli USA gli uragani Sandy e Isaac hanno provocato
danni e vittime, i tornado hanno imperversato nelle Great Polains, in Texas
e nella valle dell'Ohio, le temperature superiori alla media hanno fatto
segnare nuovi record in ben 19 Stati (fonte NOAA). In Gran Bretagna
l’estate 2012 è stata la più piovosa da oltre un secolo; al contrario,
sull’Europa sud orientale e sul bacino del Mediterraneo le piogge sono state
scarsissime mentre le temperature massime hanno raggiunto valori record.
L’autunno ha fatto registrare alluvioni in Spagna a settembre, in Centro
Italia a metà novembre, in Gran Bretagna in dicembre.
L’intensa ondata di freddo e gelo e le copiose nevicate che hanno
interessato buona parte dell’Europa in febbraio hanno interessato anche il
territorio nazionale da Nord a Sud. Si sono avuti apporti nevosi di oltre tre
metri sull’Appennino Tosco-Romagnolo e nelle Marche e di oltre un metro
in pianura Padana, con conseguenti black-out, paesi isolati, disagi
fortissimi ed enormi danni all’economia: un Paese in ginocchio.
Dopo il freddo della prima metà di febbraio, le temperature si sono rialzate
e, a partire da marzo, sono rimaste al di sopra della norma pressoché
ovunque e per buona parte dell’anno. aprile e maggio sono trascorsi in
parte all’insegna dell’instabilità molto accentuata, giungendo nell’ultima
decade di maggio a condizioni tipiche di una precoce stagione estiva. La
situazione meteorologica ha favorito le operazioni di soccorso avviate
subito dopo l’evento sismico dell'Emilia del 20 maggio, un terremoto
devastante, con perdite umane e danni gravissimi, avvertito fino in
Lombardia e Veneto, ma anche in un'area molto più vasta comprendente
74
tutta l'Italia Centro-Settentrionale e parte della Svizzera, della Slovenia,
della Croazia, dell'Austria, della Francia sud-orientale e della Germania
meridionale. L’estate si è presentata siccitosa e davvero bollente, con
temperature quasi sempre al di sopra dei valori medi e vere e proprie
ondate di calore, anche più intense di quelle registrate nello storico 2003,
che hanno interessato un po’ tutto il territorio nazionale, ma soprattutto le
regioni meridionali.
Sono poi da ricordare le precipitazioni abbondanti di novembre; la
gravissima alluvione che il 12 ha colpito una vasta area tra la Toscana
meridionale, il Viterbese e l’Umbria occidentale, causando sei vittime e
apportando danni ingentissimi all’economia e in particolare al settore
agricolo. Non possiamo infine dimenticare le diverse trombe d’aria che
hanno colpito alcune località italiane, tra le quali l’episodio di Venezia del
12 giugno, fortunatamente senza vittime e il vero e proprio tornado
(classificato come F3) che si è abbattuto su Taranto il 28 novembre,
travolgendo lo stabilimento dell’ILVA e alcuni comuni limitrofi, causando
una vittima e danni per milioni di euro.
Anche a Roma nel 2012 sono stati registrati fenomeni estremi e anomalie
meteorologiche.
La temperatura media annua è stata di 17,9 °C, di ben 2,0 °C superiore alla
media (15,9 °C) del periodo di osservazioni preso in esame (1862-2000): si
tratta del valore più alto in assoluto dall’inizio della serie; esso esprime
sinteticamente l’esistenza dell’anomalia positiva che ha caratterizzato il
regime termico di Roma nel 2012.
Se guardiamo nel dettaglio, nel corso dell’anno le temperature hanno avuto
un’evoluzione davvero capricciosa. Le Figure 1 e 2 mostrano l’andamento
rispettivamente delle temperature massime e minime giornaliere,
in
confronto con i valori medi climatici e con l’intervallo di normale variabilità
climatica. Sia per le minime che per le massime, oscillazioni di rilievo
alternano sequenze di giorni con valori generalmente al di sopra della
media ed esterni alla soglia massima di normale variabilità, a brevi periodi
con temperature molto più basse dei valori medi e a volte esterni al limite
75
inferiore dell’intervallo di variabilità. È ben evidente che il 2012 è stato
caratterizzato soprattutto da anomalie termiche positive, come mostra la
marcata predominanza di valori al di sopra della media sia per le massime
che per le minime.
In Figura 3, i box plot danno un’indicazione dell’entità dell’anomalia
termica dei mesi del 2012 rispetto ai valori climatici. Quanto più i valori
del 2012 si discostano dai limiti dei box, tanto più essi sono considerati
“rari”. febbraio è l’unico mese in cui i valori medi sia per le massime che
per le minime sono inferiori alla mediana, situati, tra l’altro, al di sotto del
primo quartile, indicando così un evento raro. Tutti gli altri mesi
presentano scostamenti positivi, eccezionale quello di marzo (20,0 °C) che
supera di 4,7 °C quello climatico e si pone al di fuori dei “baffi” della
distribuzione. Nel mese le temperature massime sono state sempre alte e
per ben 14 giorni i valori sono stati superiori alla media del mese (15,3 °C).
aprile è stato caratterizzato da un’anomalia termica positiva, meno
persistente di quella di marzo, ma che ha determinato tra il 27 e 30
l’occorrenza di 3 giorni con temperature massime superiori a 25°C, valore
soglia che definisce il giorno estivo, secondo quanto indicato dall’ Expert
Team on Climate Change Detection and Indices (ETCCDI) (WMO, 2009).
L’andamento termico di aprile ha dato l’avvio alla calda estate romana del
2012. Una breve interruzione nell’innalzamento termico si è verificato nella
prima e seconda decade di maggio, in cui il tempo è stato variabile e le
precipitazioni non sono mancate, per effetto sia di depressioni atlanticomediterranee sia per le infiltrazioni di aria fredda in discesa dal nord
Europa verso i Balcani.
Nella seconda metà del mese, lo stabilizzarsi dell’anticiclone africano sul
bacino del Mediterraneo centrale ha determinato un flusso di correnti
meridionali che hanno portato aria calda su tutta l’Italia. Con qualche
occasionale momento di respiro, l’estate è proseguita fino alla fine di
settembre, protraendosi, saltuariamente, anche in ottobre. L’anomalia
positiva delle temperature minime nei mesi estivi è stata davvero
eccezionale. Durante il periodo 1 giugno – 30 settembre, la soglia di 20 °C,
76
indicata dall’ ETCCDI per definire le notti tropicali, è stata superata ben 85
volte, cioè nel 71% circa delle notti; inoltre, tra il 17 giugno e il 1 settembre,
e cioè per 75 giorni consecutivi, le temperature notturne non sono mai scese
al di sotto di questa soglia. Dal 15 giugno al 30 agosto, poi, le temperature
massime sono state sempre superiori ai 30°C, con il solo intervallo di tre
giorni tra il 23 e il 25 luglio. Si può, a ragione, affermare che l’estate
romana è stata caratterizzata da un clima tropicale.
Anche ottobre e novembre hanno manifestato una leggera anomalia
termica positiva sia per i valori minimi che per quelli massimi. dicembre è
rientrato perfettamente nella norma.
Il
regime
pluviometrico
del
2012
ha
anch’esso
presentato
forti
caratteristiche di discontinuità, registrando in totale 648,0 mm distribuiti in
complessivi 88 giorni (giorni in cui è stata registrata una precipitazione
≥ 0,2 mm), contro un valore medio climatico di 766,4 mm in 102 giorni
(Beltrano M.C. et al, 2012). I giorni con precipitazione ≥ 1,0 mm, definiti dal
WMO come giorni piovosi, nel 2012 sono stati complessivamente 69.
L’andamento delle precipitazioni è descritto nel grafico di Figura 4, in cui
sono rappresentati anche i valori climatici del periodo 1862-2000. I dati
sono stati aggregati in totali decadali (istogramma) cui è sovrapposta la
curva spezzata che rappresenta la precipitazione totale cumulata a partire
dalla prima decade dell’anno. La costante del 2012 è il deficit
pluviometrico, temporaneamente colmato solo nelle prime due decadi di
febbraio. In quattro decadi gli apporti sono stati molto superiori rispetto
alla media climatica, il doppio e anche il triplo di quanto normalmente
atteso, ma comunque insufficienti a tamponare il deficit pluviometrico. Se
si considera che il numero dei giorni piovosi non si discosta molto dal
valore medio si comprende quanto siano stati mediamente scarsi i singoli
apporti del 2012 (Figura 5). La precipitazione giornaliera più abbondante è
stata di 29,0 mm e si è verificata il 22 maggio. Il 2012 mostra una
caratteristica sempre più frequente nelle precipitazioni: la discontinuità
degli eventi e l’aumento dei casi con apporti superiori ai 10 mm. Nell’anno
analizzato il numero di questi ultimi è raddoppiato rispetto alla norma
77
(Figura 6); tuttavia, non sono stati registrati fenomeni particolarmente
intensi, infatti le precipitazioni superiori ai 20 mm sono circa la metà di
quelle climaticamente attese. Anche gli apporti orari, che danno
un’indicazione riguardo l’intensità dei singoli eventi, sono piuttosto scarsi e
la massima oraria registrata è di 16,8 mm il 13 agosto, durante un classico
temporale estivo.
Il periodo più lungo con precipitazioni ≥ 1,00 mm è stato di 7 giorni, dal 31
gennaio al 6 febbraio, periodo durante il quale si sono verificate anche le
nevicate (vedi paragrafo seguente). Il periodo secco (con precipitazioni ≤0,2
mm) più lungo è stato di 55 giorni, dal 29 maggio al 22 luglio.
Dopo le abbondanti precipitazioni nevose di febbraio, in cui sono caduti
ben 109,2 mm, poco meno del doppio di quanto cade normalmente nel
mese, marzo è stato davvero siccitoso (4,2 mm), alla stregua dei mesi estivi
giugno (0,0 mm) e luglio (6,0 mm). I mesi più perturbati sono stati aprile e
maggio.
Ad aprile il tempo è stato piuttosto instabile. Una vasta anomalia barica
negativa che si era formata su tutta l’Europa occidentale aveva determinato
una profonda saccatura atlantica che è penetrata nel Mediterraneo in
diverse occasioni, portando ripetuti impulsi perturbati sull’Italia. Su Roma
le precipitazioni si sono concentrate soprattutto nella seconda decade del
mese. In 7 giorni è piovuto più di quanto mediamente piove nel mese (69,2
mm contro una media mensile di 62,7 mm), con apporti superiori ai 10 mm
in tre giornate non successive. Un secondo periodo perturbato si è
concentrato nella seconda metà di maggio, quando in 4 giorni sono caduti
44,0 mm, pochi millimetri meno di quanto piove mediamente nel mese
(51,0 mm).
La Figura 7 sintetizza l’andamento termo-pluviometrico dell’intero anno.
Una nota speciale merita l’evento alluvionale che ha colpito le aree
settentrionali della capitale tra il 13 e il 15 novembre, legato alle abbondanti precipitazioni che avevano interessato nei giorni precedenti l’area del
bacino del Tevere a nord di Roma, soprattutto dell’affluente Paglia,
compreso tra l’Umbria e l’alto Lazio. L’ingrossamento dei corsi d‘acqua che
78
ne è derivato ha prodotto allagamenti e straripamenti nella zona di Orte.
L’apertura della diga di Corbara, per permettere il deflusso di così tanta
acqua, poi, ha fatto sì che l’onda di piena raggiungesse Roma. Numerose
sono state le esondazioni di canali e fognature (tecnicamente noti con il
termine «rigurgiti») provocate dalla pressione della piena del fiume. Anche
l'Aniene è uscito dagli argini, non riuscendo a riversare tutte le sue acque
nel Tevere. Il picco di piena si è avuto nella notte tra il 14 e il 15 Novembre,
facendo registrare alla stazione di Ripetta lungo il Tevere un livello
idrometrico di 13,49 m. La portata corrispondente, uguale a circa 1933
m3/s, è il valore massimo registrato dall’entrata in esercizio della diga di
Corbara. I danni all’agricoltura, alle infrastrutture e alle popolazioni sono
stati ancora una volta ingentissimi.
Infine, ricordiamo la grandinata che il 5 dicembre ha imbiancato il centro di
Roma, annotata sulla scheda dell’osservatorio: “Dalle 10,20 grandine”.
La presenza di sole sulla Capitale è stata mediamente elevata in ogni
periodo dell’anno (Figure 8 e 9). Il mese con il minor numero di ore di sole
rispetto all’atteso climatico è novembre, seguito da dicembre e aprile. I mesi
estivi, come è noto sono, i più soleggiati, ma nel 2012 agosto lo è stato più
di giugno.
La neve di febbraio
Tutti ricorderanno il febbraio del 2012 per il periodo di freddo intenso e le
nevicate che hanno imbiancato la capitale in due riprese, a distanza di una
settimana esatta l’una dall’altra. L’episodio più intenso è stato il primo,
quello che si è verificato tra il 3 e 4 febbraio, collegato ad un’intensa
perturbazione di origine artica che stava già interessando l’Europa e tutta la
penisola. Tutto il mese di gennaio e, più in generale, l’inverno, fino ad
allora si era mostrato mite e senza precipitazioni di rilievo sulla Capitale,
così come su gran parte dell’Italia. Il quadro meteorologico alla fine del
mese di gennaio ha cominciato a modificarsi con un cambiamento che ha
caratterizzato poi la prima quindicina di febbraio. Le correnti occidentali,
che fino ad allora avevano prevalso, hanno lasciato il posto ad un’irruzione
79
di aria artica continentale che si è andata espandendo sull’Europa
occidentale,
mentre
Mediterraneo,
una
profonda
depressione
si
è
formata
sul
spingendo verso nord l’anticiclone delle Azzorre. L’aria
fredda ha trovato una via di discesa verso le medie e basse latitudini
giungendo fino al Mediterraneo, dove, scontrandosi con masse d’aria più
miti, ha dato luogo alla formazione di diversi nuclei di bassa pressione. In
un quadro così complicato, sull’Italia si è assistito ad un continuo flusso
perturbato gelido, che ha portato a più riprese nevicate abbondanti su tutto
il territorio. Anche Roma, dopo 26 anni7 (Mangianti e Beltrano, 1991), è
stata ricoperta da una rispettabile coltre bianca.
Neve al Collegio Romano (Foto di M. Scaglione)
Nei quartieri collinari e nelle periferie settentrionali, lo spessore ha
superato i 20-30 cm, a Monte Mario e all’Olgiata ha superato i 50 cm; nel
settore meridionale della capitale gli apporti sono stati meno abbondanti; in
alcuni punti della città gli accumuli nevosi hanno raggiunto altezze più
cospicue, dovute anche all’effetto del vento. Sui rilievi che cingono Roma
7
L’ultimo rilevante evento nevoso registrato a Roma risaliva al 1986.
80
Cristalli di neve osservati durante le nevicate dell’inverno 1878-1879 dal prof. Ciro Chistoni (18521927) all’Osservatorio di Pavia (Chistoni, 1879). I disegni furono realizzati dallo stesso Chistoni
esaminando i cristalli di neve che si depositavano sopra un panno nero a pelo lungo esposto all’aria.
Su tale superficie, a differenza di altre da lui sperimentate, il “bricciolo di neve” si manteneva
inalterato per circa 2 minuti ed era possibile disegnarlo dettagliatamente, grazie ad un microscopio
semplice applicato sull’occhio.
Chistoni scrive riguardo alle stellette di neve: “…[hanno] tendenza a costituire un prisma retto a
base esagona ….[Dimostrano] come corpi chimicamente identici possano essere fisicamente
diversi;...”; annota che le condizioni che regolano la formazione dei cristalli sono temperatura,
pressione, “forse il vento”, che la temperatura della neve appena caduta è sempre maggiore di quella
dell’aria e asserisce che la causa sia l’attrito fra questa e la neve cadente, come testimoniano gli
“spigoli dei cristalli …. arrotondati”, ipotizzando anche che la neve si aggreghi in strati
dell’atmosfera in cui la temperatura è molto inferiore a quella misurata al suolo. Infine osserva che
i fiocchi che cadono contemporaneamente sono di aspetto molto simile tra loro, mentre le forme di
una nevicata differiscono molto da quelle di un’altra.
81
nei settori settentrionali ed orientali, la neve è caduta molto abbondante e
ha superato anche il metro.
Venerdì 3 febbraio, già nelle prime ore del mattino la neve aveva fatto la
sua comparsa nei quartieri settentrionali; all’Osservatorio del Collegio
Romano, alle 9,00 del mattino sul pluviogramma è stato annotato “neve
mista ad acqua”. La neve è arrivata ad affacciarsi copiosa sul centro della
città dalle 12,00, quando ha iniziato ad attaccare sui tetti. I disagi non si
sono fatti attendere: dopo due ore il traffico era in tilt, gli autobus erano
bloccati e Roma paralizzata. Alle 19,00 all’Osservatorio venivano registrati
3 cm di coltre bianca. Ha continuato a nevicare durante la notte e ha smesso
solo nelle prime ore del giorno dopo. Il mattino di sabato 4 febbraio, il
centro di Roma è apparso magicamente immacolato e silenzioso come non
accadeva dal 1986, anche se sono stati purtroppo registrati danni, causati
soprattutto dal peso della neve che ha schiantato i rami di molti pini e
alberature cittadine. Complessivamente, durante questo primo episodio, al
Collegio Romano sono stati misurati 18,0 cm di neve, di cui 15,0 caduti
durante la notte tra venerdì 3 e sabato 4.
Il freddo intenso dei giorni successivi ha fatto sì che la neve permanesse al
suolo per diversi giorni. Quando, il 10 febbraio, la neve si è riaffacciata,
lungo le strade e in alcune aree verdi, specie nei parchi, erano ancora
presenti le tracce dell’episodio precedente.
Visti i pesanti disagi dovuti alle nevicate della settimana prima, in
previsione del nuovo evento, il Sindaco aveva ordinato che venerdì 10
febbraio rimanessero chiusi gli uffici e le scuole. La grande paura di nuovi
disagi è stata però smentita dalle meteore: la neve ha cominciato a cadere
verso le 14,00, mista a pioggia; gli apporti sono stati meno abbondanti
rispetto alla settimana precedente (3,0 cm al suolo registrati al Collegio
Romano) anche se nel pomeriggio-sera di venerdì la nevicata ha avuto
caratteristiche di vero e proprio rovescio. Il sabato mattina il sole splendeva
su una Roma imbiancata e gelata. Le temperature minime si sono
82
mantenute inferiori allo zero anche nei giorni successivi, fino al 15 febbraio,
conservando la neve al suolo per diversi giorni.
Senza alcun dubbio, il febbraio 2012 merita di entrare nella storia delle
nevicate romane da ricordare!
Piazza San Marco (P.zza Venezia) il 4 febbraio (Foto di D. Sansone)
Bibliografia
Beltrano M.C., et al., 2012, Meteorologia di Roma Anno 2011,
http://cma.entecra.it/pubblicazioni/Bollettino_2011.html
Capecchi V., et al., 2007, Individuazione dei segnali di cambiamento climatico a
scala locale e regionale, in Clima e cambiamenti climatici-le attività del CNR, Roma,
CNR-Dip Terra e Ambiente, 385-388
Chistoni C., 1879, Forme di neve osservate in Pavia nell’inverno 1878-79-riflessi
del Dottor Ciro Chistoni. Meteorologia italiana - Memorie e notizie – Anno
1878, Fascicolo V, 35-39
Effemeridi dell’anno 2012 per Roma: http://www.marcomenichelli.it/sole.asp
Mangianti F., Beltrano M.C:, 1991, La neve a Roma dal 1741 al 1990, MAF-UCEA,
pp. 55
WMO, 2009, Guidelines on Analysis of extremes in a changing climate in support
of informed decisions for adaptation
83
Le osservazioni aerobiologiche del 2012
ANNO 2012
FAMIGLIE BOTANICHE
GEN
FEB
MAR
APR
MAG
SET
OTT
NOV
DIC
n
%
n
%
n
%
n
n
%
n
%
n
%
n
%
n
%
n
%
n
%
0,3
423,3
47,8
415,2
46,9
27,6
3,1
3,1
0,3
13,0 1,5
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
CHENO/AMARANTHACEAE
0,3
0,1
0,0
0,0
1,4
0,5
5,5
1,8
30,0
9,9
137,8 45,6
28,3
9,4
31,4
10,4
45,4
15,0
19,8
6,6
2,0
0,7
0,0
0,0
COMPOSITAE
0,0
0,0
0,0
0,0
4,4
3,7
3,1
2,6
8,9
7,4
16,0 13,4
19,4
16,2
41,3
34,5
16,7
14,0
6,8
5,7
3,1
2,6
0,0
0,0
CORYLACEAE
191,4
13,1 197,2
667,3
45,7
374,6 25,6
26,3
1,8
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
4,4
0,3
CUPRESSACEAE/
TAXACEAE
251,4
1,9 1910,0 14,4
10612,2 80,1
260,3 2,0
101,7
0,8
38,2 0,3
7,2
0,1
3,1
0,0
10,2
0,1
9,2
0,1
16,4
0,1
35,1
0,3
0,3
0,0
GRAMINAE
0,7
OLEACEAE
9,2
PINACEAE
%
AGO
2,7
FAGACEAE
n
LUG
BETULACEAE
13,5
%
GIU
0,0
0,0
218,3
2,8
1034,3 13,2
5815,3 74,4
628,7 8,0
115,0
1,5
8,2
0,1
0,3
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,7
0,0
0,0
2,4
0,1
42,3
2,1
285,9 14,2
959,6 47,6
483,0 24,0
114,3
5,7
58,7
2,9
31,4
1,6
30,7
1,5
4,8
0,2
0,3
0,0
0,7
15,7
1,1
98,2
6,9
123,1 8,7
744,7 52,7
392,0 27,7
29,7
2,1
1,7
0,1
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
3,8
0,3
2,7
0,2
79,1
6,9
148,4 13,0
590,8 51,6
157,3 13,7
19,1
1,7
9,6
0,8
5,5
0,5
32,4
2,8
88,7
7,8
6,8
0,6
PLANTAGINACEAE
0,0
0,0
0,0
0,0
4,4
3,2
11,6
8,4
18,1
13,1
75,7 54,8
11,3
8,1
4,8
3,5
10,9
7,9
1,0
0,7
0,3
0,2
0,0
0,0
PLATANACEAE
0,0
0,0
0,0
0,0
4998,9 80,5
1209,3 19,5
3,4
0,1
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
SALICACEAE
0,0
0,0
3,1
0,4
819,7
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
ULMACEAE
1,7
0,1
901,6
39,4
1380,9 60,3
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
URTICACEAE
23,5
0,8
63,5
2,0
680,6
21,7
456,4 14,6
549,6 17,6
636,5 20,3
107,8
3,4
105,8
3,4
77,8
2,5
86,3
2,8
140,5
4,5
200,9
6,4
ALTRE
5,8
0,8
9,2
1,3
113,9
16
194,4 27,5
111,2 15,7
89,4 12,6
33,8
4,8
36,5
5,2
18,4
2,6
27,7
3,9
37,5
5,3
28,0
4,0
97,4
18,8
2,2
4,8
0,2
Tabella 1: somma e composizione percentuale del polline aerodisperso rilevato all’Osservatorio del Collegio Romano per mese e per
famiglia botanica nel 2012
84
Elaborazioni aerobiologiche del 2012
a cura di Maria Cecilia Serra e Francesca Greco
Figura 1 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Concentrazione pollinica totale (spezzata marrone) e precipitazione giornaliera
(istogramma celeste) rilevate nell’anno 2012
85
Figura 2 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Corylaceae
Figura 3 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Cupressaceae/Taxaceae
86
Figura 4 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Platanaceae
Figura 5 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Urticaceae
87
Figura 6 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Fagaceae
Figura 7 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Gramineae
88
Figura 8 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Oleaceae
Figura 9 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Pinaceae
89
Figura 10 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Alternaria
Figura 11 –Roma – Osservatorio del Collegio Romano- Diffusione delle spore nel 2012
90
Figura 12 – Roma – Osservatorio del Collegio Romano- 2012: Numero totale di spore
rilevate per specie
Figura 13 – Roma – Osservatorio del Collegio Romano- 2012: Particolare - numero totale
di spore rilevato nelle specie minori
91
Commento all’andamento aerobiologico del 2012
Maria Cecilia Serra e Francesca Greco
I pollini
I grafici e le figure delle pagine precedenti riportano i risultati del
monitoraggio aerobiologico effettuato al Collegio Romano nel 2012.
La Tabella 1 riporta il totale e la composizione percentuale dello spettro
pollinico rilevato mensilmente per famiglia botanica.
In Figura 1, la spezzata rappresenta la concentrazione pollinica totale
giornaliera (granuli/m3), l’istogramma il valore della precipitazione
giornaliera (mm) rilevati nel sito.
L’insorgenza di fenomeni di precipitazione riduce la concentrazione
pollinica in aria.
La composizione floristica dell’ambiente monitorato determina due
stagioni polliniche principali, in inverno e primavera, ed una terza in
autunno.
La prima è caratterizzata dalla fioritura di cipressi e in piccole percentuali
di ontani ed olmi.
Le basse temperature di febbraio, le precipitazioni ed il permanere della
neve hanno determinato un ritardo di circa 10 giorni ed una scarsa quantità
di pollini rilevati. Nel 2012, la concentrazione pollinica ha raggiunto il picco
principale il 10 marzo (1455 granuli/m3).
La seconda stagione, formata da granuli di querce, graminacee, ornielli,
olivi, carpini, pini, ortiche e altre specie minori, ha rispettato le date
previste dal calendario pollinico del sito con il picco secondario registrato il
10 maggio (899
granuli/m3); anche il monitoraggio primaverile si è
contraddistinto per la scarsità di polline rilevato.
Concentrazioni polliniche più basse della media sono state rilevate ancora
nella stagione autunnale a causa delle frequenti precipitazioni.
Le piante a fioritura autunnale sono alcune erbacee come la lanciola, il
farinaccio, l’amaranto, la parietaria, l’artemisia e piante arbustive o arboree
come edere, casuarine e cedri.
92
L’Ambrosia, fortemente allergenica, sebbene in espansione in Italia, è stata
scarsamente rilevata nella stazione del Collegio Romano nel 2012.
Le Figure da 2 a 9 riportano la stagione pollinica 2012 delle principali
famiglie botaniche rilevate nel sito: Corylaceae, Cupressaceae, Platanaceae,
Pinaceae, Fagaceae, Gramineae, Oleaceae e Urticaceae; la linea spezzata
esprime la concentrazione pollinica giornaliera della famiglia nel 2012,
l’area grigia riproduce l’andamento medio annuale della concentrazione
nel periodo 2001-2011.
La determinazione della stagione pollinica è una delle questioni più
dibattute in aerobiologia. Le date di inizio, del picco, della fine e la durata
del periodo, variano notevolmente a seconda dei criteri proposti dagli
autori.
In questa sede si prendono in considerazione i metodi di Jäger e di
Leuschner.
Jäger et al. (1996)
La stagione pollinica di un taxa comincia il primo giorno in cui il totale
giornaliero di granuli sia superiore all’1% dell’indice pollinico stagionale
(SPI), presupponendo che non seguano 6 giorni successivi senza pollini.
La stagione pollinica finisce quando è stato raggiunto il 95% del polline
totale annuale
Lejoly-Gabriel and Leuschner (1983)
La stagione pollinica comincia nel giorno in cui la percentuale di polline
emesso è superiore all’1% e la somma della percentuale giornaliera di
polline rilasciato in un anno dal taxa raggiunge il 5%.
La stagione pollinica ha termine nell’ultimo giorno in cui la somma della
percentuale giornaliera rilasciata dal taxa sia maggiore dell’1% e la somma
della percentuale di quel giorno e la somma della percentuale dei due
giorni precedenti è più alta o uguale al 3%.
I metodi esaminati per la definizione della stagione pollinica si basano sullo
SPI, indice pollinico stagionale che viene determinato a fine anno; ciò
93
comporta che la data di inizio della stagione pollinica e le date successive
possono essere determinate a posteriori, quando il ciclo di pollinazione si è
ormai concluso.
Secondo gli autori citati sopra, le date di inizio, picco e fine, delle principali
famiglie nel 2012 sono state le seguenti.
CORYLACEAE
Inizio
picco
fine
durata
SPI
21
87
120
100
1461,1
CUPRESSACEAE
Inizio
picco
fine
durata
SPI
PLATANACEAE
Inizio
Picco
Fine
Durata
SPI
53
70
85
33
13255
80
84
98
17
6211.6
PINACEAE
Inizio
picco
fine
durata
SPI
84
124
316
233
1144.2
FAGACEAE
Inizio
picco
fine
durata
SPI
108
131
169
62
7821.1
Jäger
21.01
27.03
29.04
Jäger
22.02
10.03
25.03
Jäger
20.03
24.03
07.04
20.1
87.3
46.1
442.8
1225.3
40.9
78.5
1031.6
68.6
21
87
120
100
1461,1
53
70
82
30
13255
82
84
99
19
6211.6
Jäger
24.03
03.05
11.11
13.0
83.6
20.5
99
124
316
218
1144,2
Jäger
17.04
10.05
17.06
113.6
742
22.5
108
131
148
41
7821.1
94
Leuschner
21.01
20.1
27.03
87.3
29.04
46.1
Leuschner
22.02
442.8
10.03
1225.3
22.03
209.5
Leuschner
22.03
791.4
24.03
62.4
08.04
1031.6
Leuschner
08.04
21.8
03.05
83.6
11.11
20.5
Leuschner
17.04
113.6
10.05
742.87
27.05
GRAMINEAE
Inizio
picco
fine
durata
SPI
OLEACEAE
Inizio
picco
fine
durata
SPI
91
146
169
79
1414.3
URTICACEAE
Inizio
picco
fine
durata
SPI
Corylaceae
Cupressaceae
Platanaceae
Urticaceae
Fagaceae
Granineae
Oleaceae
Pinaceae
117
145
223
107
2014
61
169
351
291
3129.2
Jäger
26.04
24.05
10.08
37.5
88.4
3.4
117
145
169
53
2014
Jäger
31.03
25.05
17.06
20.1
163.4
17.1
91
146
169
79
1414.3
Jäger
01.03
17.06
16.12
37.5
67.9
13.0
64
169
169
106
3129.2
n gg concentrazione
alta
media
6
23
28
13
20
19
0
51
35
19
23
30
12
38
3
20
Leuschner
26.04
37.5
24.05
88.4
17.06
32.7
Leuschner
31.03
20.1
25.05
163.4
17.06
17.1
Leuschner
04.03
32.1
67.9
17.06
17.06
67.9
Periodo persistenza
dal 24.03 al 2.04
dal 21.02 al 25.03
dal 20.03 all’8.04 19
dal 17 al 25 marzo
dal 26 .04 al 27.05
Dal 10.05 al 27.05
Dal 19.05 al 27.05
Dal 10.05 al 17.05
Le spore
Il rilevamento delle spore è rappresentato nelle Figure da 10 a 13.
L’Alternaria è una spora allergenica e viene monitorata obbligatoriamente
(Norma UNI 11108-2004). In Figura 10 è rappresentata la concentrazione
giornaliera del 2012 vs il valore medio del periodo 2002 – 2011.
La stagione dell’Alternaria nel 2012 ha avuto lo stesso decorso dell’anno
precedente: da fine maggio a fine ottobre, per circa 154 giorni. Il picco si è
avuto l’11 settembre, due mesi più tardivo rispetto al 2011.
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Secondo Jäger e Leuschner , le date di inizio, picco e fine, della
concentrazione di spore di Alternaria nel 2012 sono state le seguenti.
ALTERNARIA
Inizio
picco
fine
durata
SPI
145
255
298
154
8512,6
Jäger
24.05
11.09
24.10
96,9
196,2
9,6
145
255
255
111
Leuschner
24.05
96,9
11.09
196,2
11.09
196.2
In Figura 11, Alternaria, Epicoccum e Stemphylium sono le spore rilevate
con maggiore frequenza (11.000,
1.000 e 1.700 unità);
in ALTRE è
sintetizzato il contributo di: Torula, Pleospora, Pitomyces, Peronospora,
Periconia,
Oidium,
Helminthosporium,
Curvularia,
Chaetomium,
Arthrinium, Agrocybe e Polythrincium. Queste sono rilevate in quantità
modeste, (Figure 12 e 13) da 150 unità (Periconia) alle poche decine di
Spegazzina e Bipolaris.
Oidium e Peronospora, spore di interesse agrario, si collocano in posizione
intermedia, con 50 e 75 unità rispettivamente.
La stagionalità delle spore, contrariamente a quella dei pollini, è
prevalentemente estiva (Figura 11).
Immagine al microscopio di un
campione giornaliero del Collegio
Romano (polline di Cupressaceae
e particolato)
96
Riferimenti bibliografici
Andersen T.B.: 1991, A model to predict the beginning of the pollen season,
Grana 30, 269-275.
Galan C., Emberlin JC, Dominguez E., Bryant R.H. and Villamandos F.:
1995, A comparative analysis of daily variations in the Gramineae pollen
counts at Còrdoba, Spain and London, UK, Grana 34, 189-198.
Giorato M., Lorenzoni F., Bordin A., De Biasi G., Gemignani C., Schiappoli
M. and Marcer G.: 2000, Airborne allergenic pollens in Padua: 1991-1996,
Aerobiologia 16, 453-454.
Iato V., Rodriguez-Rajo F.J., Alcàzar P., De Nuntiis P., Galan C. &
Mandrioli P.: 2006, May the definition of pollen season influence
aerobiological results?, Aerobiologia 22: 13-35.
Jäger S., Nilsson S., Berggren B., Pessi A.M., Helander M. and Ramfjord H.:
1996, Trends of some airborne tree pollen in the Nordic countries and
Austria, 1980-1993. A comparison between Stockolm, Trondheim, Turku
and Vienna, Grana, 35, 171-178 - Taylor & Francis
Lejolj-Gabriel and Leuschner: 1983, Comparison of air-borne pollen at
Louvain-Neuve (Belgium) and Basel (Switzerland) during 1979 and
1980, Grana 22, 59-64.
Nilsson S. and Persson S.: 1981, Tree pollen spectra in the Stockholm region
(Sweden) 1973-1980, Grana 20, 179-182.
Spieksma FTM, Emberlin JC, Hjelmroos M, Jäger S & Leuschner RM.:1995,
Atmospheric birch (Betula) pollen in Europe: Trends and fluctuations in
annual quantities and the starting dates of the seasons, Grana 34, Taylor
& Francis
97
Il Contacellule digitale: download gratuito
Riccardo Scano, Massimo Scaglione e Francesca Greco
Introduzione
L'attività di monitoraggio aerobiologico svolta presso il CRA-CMA prevede
l'analisi qualitativa e quantitativa di numerose particelle aerodisperse, tra
cui i pollini ritenuti maggiormente allergenici e numerosi organi di
diffusione di funghi. I campioni giornalieri sono analizzati al microscopio
ottico secondo la metodologia standard dettata dalla norma UNI11108-2004
che prevede il riconoscimento e il conteggio di ogni singola specie
osservata su non meno del 20% della superficie del vetrino.
Il contatore meccanico da 8 tasti, risultava insufficiente per il numero di
specie normalmente indagato; pertanto, anziché acquistare ulteriori costosi
apparati che non permettono la registrazione dei conteggi, si è pensato di
sviluppare un'applicazione, tra l’altro utilizzabile con un corredo hardware
e software di computer dalle scarse prestazioni, già esistenti presso la
struttura e considerati obsoleti per altre attività.
Modalità di funzionamento
Si tratta, in sostanza, di un foglio elettronico in cui il contatore è
rappresentato dalla tastiera del computer.
Ad ogni lettera della tastiera è associata una particella aerodispersa che a
sua volta corrisponde ad una casella del foglio elettronico; la pressione del
tasto aumenta di una unità il conteggio associato alla lettera che si è
premuta.
I dati vengono registrati alla fine di ogni sessione di conta con la data e
l’ora e possono essere prelevati successivamente per eventuali report,
bollettini o per le analisi statistiche. L'eventuale interruzione o chiusura
delle applicazioni non compromette il lavoro già svolto; infatti, la conta dei
dati registrati può essere salvata e ripresa in momenti successivi.
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La schermata di inserimento dati
La schermata di salvataggio dati
Inoltre, vista la versatilità dei fogli elettronici, è possibile aggiungere fattori
di conversione specifici, qualora il conteggio si riferisca ad un campione e
sia necessario riportare i dati a valori relativi (camere contaglobuli di
Bürker).
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Conclusioni
Il personale del CRA-CMA, che utilizza quotidianamente, sin dalle versioni
di prototipo, il Contacellule digitale per la stesura del bollettino
aerobiologico pubblicato sul sito http://www.cra-cma.it/pollini.htm, ha
proposto di renderlo disponibile per il download a chiunque possa
ritenerlo utile.
In attesa di versioni più complesse, che renderanno immediatamente
utilizzabili i dati per grafici e statistiche, si può richiedere gratuitamente,
all'indirizzo
http://cma.entecra.it/download/,
l'attuale
versione
per
Microsoft Office XP e l'APP per ANDROID con licenza creative common
(CC BY-NC-ND 3.0) per la quale è possibile “esporla in pubblico ed
eseguire quest'opera, alla condizione di attribuirne la paternità”.
Riteniamo infatti che il software realizzato, seppur elementare, possa essere
utile a laboratori di indagine aerobiologica ed ai laboratori dove è ancora
necessaria la conta manuale di cellule, colonie e individui di altri
organismi.
APP per ANDROID
100
http://cma.entecra.it