Marx, La borghesia

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Marx, La borghesia
Marx, La borghesia
Nel Manifesto Marx traccia i lineamenti della borghesia europea dell’Ottocento. La vivacità e la
forza della sintesi marxiana hanno fatto di queste pagine una delle descrizioni piú incisive e potenti
di quella classe sociale. Il fascino della descrizione deriva anche dal fatto che egli si pone a metà
strada fra una palese ammirazione e un severo giudizio critico.
K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista
La moderna società borghese, nata dalla rovina della società feudale, non ha fatto sparire gli
antagonismi di classe. Essa ha solo creato, al posto delle vecchie, nuove classi, nuove condizioni di
oppressione, nuove forme di lotta.
La nostra epoca tuttavia, l’epoca della borghesia, si distingue in quanto ha reso piú semplici tali
antagonismi. Tutta la società si va dividendo sempre piú in due grandi campi nemici, in due grandi
classi direttamente contrapposte tra loro: borghesia e proletariato.
Dai servi della gleba del medioevo nacquero i piccoli borghesi delle prime città; da essi si
svilupparono i primi elementi della borghesia.
La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa offrirono un nuovo terreno alla
nascente borghesia. Il mercato delle Indie Orientali e della Cina, la colonizzazione dell’America, gli
scambi con le colonie, l’incremento dei mezzi di scambio e delle merci in genere, dettero al
commercio, alla navigazione, all’industria un impulso senza precedenti, e di conseguenza permisero
un rapido sviluppo dell’elemento rivoluzionario all’interno della morente società feudale.
Il modo di conduzione dell’industria, fino allora feudale o corporativo, divenne insufficiente per il
fabbisogno, che aumentava con l’estendersi dei nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura.
I maestri artigiani vennero rimpiazzati dal ceto medio industriale; la divisione del lavoro tra le varie
corporazioni sparí dinanzi alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.
I mercati però s’andavano sempre piú estendendo, come costantemente cresceva il fabbisogno.
Anche la manifattura divenne insufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la
produzione industriale. Al posto della manifattura nacque la grande industria moderna, al posto del
ceto medio industriale comparvero gli industriali milionari, i capi di interi eserciti industriali, i
borghesi moderni.
La grande industria ha generato quel mercato mondiale che era stato preparato dalla scoperta
dell’America. Esso ha dato un immenso sviluppo al commercio, alla navigazione, alle
comunicazioni per terra. Questo sviluppo dal canto suo ha influito sulla espansione industriale, e,
nella stessa misura in cui s’accrescevano industria, commercio, navigazione, ferrovia, s’è sviluppata
la borghesia, che ha visto aumentare i propri capitali e ha cacciato in secondo piano tutte le classi
d’origine feudale.
Vediamo perciò come la borghesia moderna sia essa stessa il risultato di un lungo processo di
sviluppo, di una serie di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico.
Ciascuno di questi gradi di sviluppo della borghesia è accompagnato da un corrispondente sviluppo
politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, associazione armata e autonoma nel
Comune, qui repubblica municipale indipendente, lí terzo stato tributario della monarchia, poi
all’epoca della manifattura, nella monarchia controllata degli stati o in quella assoluta contrappeso
alla nobiltà ed elemento basilare delle grandi monarchie in genere, la borghesia infine, una volta
sorti la grande industria e il mercato mondiale, ha raggiunto il dominio politico esclusivo nello
Stato rappresentativo moderno. Il potere politico moderno è solo un comitato che amministra gli
affari comuni dell’intera classe borghese. Nella storia la borghesia ha ricoperto un ruolo
estremamente rivoluzionario.
Dove è giunta al potere, la borghesia ha dissolto ogni condizione feudale, patriarcale, idillica. Ha
distrutto spietatamente ogni piú disparato legame che univa gli uomini al loro superiore naturale,
non lasciando tra uomo e uomo altro legame che il nudo interesse, lo spietato “pagamento in
contanti”. Ha fatto annegare nella gelida acqua del calcolo egoistico i sacri fremiti dell’esaltazione
religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, del sentimentalismo piccolo-borghese. Ha risolto nel valore
di scambio la dignità della persona e ha rimpiazzato le innumerevoli libertà riconosciute e acquisite
con un’unica libertà, quella di un commercio senza freni. In conclusione, al posto dello
sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche ha messo uno sfruttamento aperto, privo di
scrupoli, diretto, arido.
La borghesia ha tolto l’aureola a tutte le attività fino a quel momento rispettate e piamente
considerate. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l’uomo di scienza in salariati da
lei dipendenti.
La borghesia ha stracciato nel rapporto familiare il velo di commovente sentimentalismo
riducendolo a un mero rapporto di denaro.
La borghesia ha fatto vedere come la brutale manifestazione di forza, tipica del medioevo e
ammirata dalla reazione, s’accompagnasse intrinsecamente alla piú oziosa infingardaggine.
Per prima essa ha rivelato il potere dell’attività umana. Ha creato opere ben piú mirabili che
piramidi egizie, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha condotto ben altre spedizioni che le
migrazioni dei popoli e le crociate.
Marx, Opere, Newton Compton, Roma, 1974, pagg. 355-357
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SCHEDA DI SINTESI
“La concezione materialistica della storia”
La concezione materialistica della storia (CMS) o materialismo storico (MS) viene elaborato
da Marx nell’ Ideologia tedesca (1845) e nel Manifesto del Partito comunista (1848), due opere
scritte in collaborazione con Engels.
La posizione di Marx, nel 1845, è di accentuata critica nei confronti di Feuerbach, espressa
nelle 11 Tesi su Feuerbach in cui prende le distanze dal materialismo naturalistico del filosofo
tedesco produttore di un astratto concetto di uomo naturale, per arrivare alla convinta
asserzione dell’uomo come individuo essenzialmente storico.
Marx da un lato riconosce il valore della critica feuerbachiana alla filosofia hegeliana, ma
soprattutto alla religione spiegata antropologicamente come il frutto di un’alienazione che
proietta in una dimensione trascendente tutte quelle perfezioni che appartengono alla specie e
che l’uomo singolo è cosciente di non possedere
(“Il nostro compito è appunto di dimostrare che la distinzione fra divino e umano è illusoria,
cioè che null’altro è se non la distinzione fra l’essenza dell’umanità e l’uomo individuo, e che
per conseguenza anche l’oggetto e il contenuto della religione cristiana sono umani e
nient’altro che umani. (.....) L’essere divino non è altro che l’essere dell’uomo liberato dai limiti
dell’individuo cioè dai limiti della corporeità e della realtà, e oggettivato, ossia contemplato e
adorato come un altro essere da lui distinto [Feuerbach L’essenza del Cristianesimo].), ma
dall’altro critica lo stesso perché non spiega in modo adeguato il problema dell’origine
dell’alienazione religiosa.
Infatti per Marx l’uomo naturale di Feuerbach è soltanto un modello astratto, mentre l’uomo
che esiste in realtà è sempre il risultato di un processo storico che lo ha determinato. Per
questo la causa dell’alienazione religiosa, non va cercata nell’essenza naturale dell’uomo, ma in
una condizione storica che favorisce questo tipo di alienazione. L’uomo concepito da Marx è sì,
come in Feuerbach, colui che fa la religione, ma non è un modello astratto, l’uomo è il mondo
dell’uomo, ovvero l’insieme dei rapporti sociali, lo Stato, i rapporti di produzione, ecc...
L’essenza dell’uomo è sociale, ovvero non esiste l’uomo, ma gli uomini che vivono fra loro,
secondo certi rapporti da loro costruiti ed una certa coscienza del mondo e di sé elaborata
storicamente.
Nella alienazione religiosa l’uomo non proietta la sua essenza, dice Marx, ma la sua miseria.
“La religione è l’oppio dei popoli” perché offre ad una protesta reale, un disagio scaturito dal
contesto sociale, una soluzione che non risolve la causa del disagio, ma offre conforto.
L’emancipazione umana offerta dalla religione propone un paradiso dell’aldilà come soluzione ai
mali terreni, questo per Marx è paragonabile all’effetto dell’oppio che con il suo effetto produce
una paradiso illusorio, artificiale che perdura finché permangono gli effetti della droga.
Dunque, dice Marx, la liberazione della religione deve trasformarsi in liberazione dalla
religione; per fare questo non basta aver scoperto che l’alienazione è il segreto della religione,
ma è necessario rimuovere le cause storiche che producono l’alienazione religiosa. Per
eliminare l’alienazione celeste è dunque necessario eliminare l’alienazione terrena, ovvero le
condizioni che la determinano .
(Tesi su Feuerbach IV e VI)
Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx aveva già trattato il tema
dell’alienazione ed aveva individuato nel rapporto di produzione capitalistico la causa
dell’alienazione. In tale sistema che si basa sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e
sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il lavoratore è alienato rispetto al suo lavoro,
all’oggetto del suo lavoro ed al Wesen, ovvero all’essenza del suo essere uomo. Infatti il
prodotto del suo lavoro appartiene al capitalista che lo ha comprato, così come il lavoro che
esercita gli è estraneo, mentre, rispetto alla sua essenza (Wesen), uomo stesso è alienato in
quanto perde la condizione che lo distingue dagli animali , egli non è più in grado di
trasformare la natura secondo un fine progettuale con il
lavoro inteso come attività
produttiva, perché il lavoro alienato subordina il suo lavoro (l’attività progettuale universale)
ad un bisogno individuale: la sopravvivenza.
Per risolvere il problema dell’alienazione terrena dunque non bastano più le armi della critica,
ovvero la critica filosofica, ma è necessario passare alla critica delle armi, ovvero alla critica
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della società produttrice di alienazione. I filosofi, dice Marx nell’undicesima Tesi su Feuerbach,
fino ad ora “hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, si tratta ora di trasformarlo”
Si tratta dunque, per Marx, di passare al piano della praxis, ovvero della rivoluzione
comunista come mezzo d’emancipazione umana. “Il comunismo per noi non è uno stato di
cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo
comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente “ [I.T]
Marx critica la concezione idealistica della storia, ovvero la storia concepita come il luogo dove
l’Idea, la Ragione, si manifesta come soggetto, motore e scopo di essa, ed in cui gli uomini
appaiono come sue semplici determinazioni particolari.
Non è l’Assoluto, l’infinito che fa la storia, bensì gli uomini; la filosofia di Hegel offre una realtà
mistificata perché fa apparire come reale ciò che in realtà è astratto, ovvero l’Assoluto. Non
basta come ha fatto Feuerbach rovesciare i termini della filosofia hegeliana, spostando il
baricentro dall’infinito al finito (uomo); è necessario concepire l’uomo come il risultato di
rapporti sociali, storicamente determinati. Per questo Marx riconosce la necessità di elaborare
una concezione della storia che tenga conto delle esigenze del materialismo, ed è con questa
intenzione che affronta tale questione nell’Ideologia tedesca.
Il primo presupposto della storia umana è l’esistenza di individui umani viventi . Essi iniziarono
a distinguersi dagli animali quando cominciarono a produrre i propri mezzi di sussistenza. Con
questa produzione gli uomini creano la loro stessa vita materiale.
Marx individua la storia essenzialmente come storia dei modi in cui gli uomini hanno creato la
loro vita materiale. E’ in questo che gli uomini esternano loro stessi, la loro vita, dunque il loro
modo di essere. Ciò che essi sono coincide con la loro produzione, tanto con ciò che
producono, quanto come lo producono.
Ogni epoca della storia umana si contraddistingue essenzialmente in relazione al modo di
produzione in atto in quel periodo.
Altri principali presupposti dell’origine della storia
1) Produzione dei mezzi di sussistenza per soddisfare i propri bisogni.
2) La soddisfazione dei bisogni porta ad altri bisogni da soddisfare.
3) La riproduzione degli uomini che cominciano a fare altri uomini; ovvero il rapporto fra uomo
e donna, la famiglia.
4) La divisione del lavoro. Nasce a seguito dell’origine della coscienza che l’uomo ha
dell’ambiente sensibile che lo circonda; origina dalla divisione del lavoro nell’atto sessuale e poi
dalla spontanea divisione dei compiti che in base alla disposizione naturale (es. la forza fisica)
si viene a determinare nella famiglia e nella società tribale.
5) La divisione del lavoro produce la separazione fra lavoro manuale e intellettuale che per
Marx costituisce uno dei motivi da cui si genera l’ineguaglianza. La divisione del lavoro produce
anche una contrapposizione fra il mio lavoro, il mio interesse singolo, e quello degli altri, della
comunità che si configura come Stato.
Lo Stato, definito da Marx nella Questione ebraica, come il mediatore fra l’uomo e la libertà
dell’uomo, viene concepito come una organizzazione politica che non risolve il problema
dell’ineguaglianza fra gli uomini. Infatti se da un lato “sopprime a suo modo le differenze di
nascita , condizione, educazione, occupazione, dichiarando che esse non sono differenze
politiche, proclamando ciascun membro del popolo partecipe della sovranità popolare, senza
riguardo a differenze. Nondimeno lascia che la proprietà privata, l’educazione, l’occupazione
operino nel loro modo, e facciano valere la loro particolare essenza. Ben lungi dal sopprimere
queste differenze di fatto, lo Stato esiste piuttosto in quanto le presuppone, sente se stesso
come stato politico, e fa valere la propria universalità solo in opposizione a questi elementi.
[...] Tutti i presupposti di questa vita egoistica continuano a sussistere al di fuori della sfera
dello Stato, nella società civile, ma come caratteristiche della società civile.. [...] L’uomo
conduce nella realtà, nella vita, una doppia vita, una celeste ed una terrena, la vita nella
comunità politica in cui si afferma come comunità, e la vita nella società civile in cui agisce
come uomo privato, che considera gli altri come mezzo, degrada se stesso a mezzo e diviene
trastullo di forze estranee”. Con queste parole Marx introduce il discorso sul conflitto in cui si
viene a trovare l’uomo come individuo (bourgeois) della società civile e come membro
(citoyen) della comunità politica.
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L’emancipazione umana non coincide con l’emancipazione politica; questa è soltanto il primo
passo verso la libertà; solo la rivoluzione comunista, per Marx, è in grado di condurre l’uomo
alla propria emancipazione.
Lo Stato, dunque, non è che un’illusoria forma di comunità; esso, infatti, non è altro che il
risultato della conflittualità fra le varie classi sociali espressa nella società civile. La classe
dirigente non fa altro che salvaguardare gli interessi della classe dominante. Marx definisce
ideologia la cultura della classe dominante: “Le idee della classe dominante sono in ogni
epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in
pari tempo la sua potenza spirituale dominante.[...]Le idee dominanti non sono altro che
l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti presi come idee: sono l’espressione dei
rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo
dominio ”[I T p. 248-249]
Per questo il materialismo storico si presenta come una forma di critica all’ideologia; il suo
compito consiste nell’attuare lo smascheramento di quell’illusione (l’idealismo storico) che
considera la storia e l’agire umano come il frutto dell’Idea. In realtà quest’atteggiamento non
fa altro che giustificare lo stato di cose esistenti e, dunque, gli interessi del gruppo dominante.
Le idee hanno le loro radici nelle motivazioni materiali, nascono nella praxis e dunque solo in
essa possono essere ritrovate le radici che ne hanno determinato l’origine. La separazione
delle idee dalla praxis è spiegata da Marx come un effetto della divisione del lavoro
intellettuale dal lavoro materiale.
Per mutare la storia, dunque, è necessario agire a livello non delle idee ma delle condizioni
materiali che le hanno determinate; e questo è possibile fare soltanto attraverso la rivoluzione
proletaria.
Ogni epoca storica è caratterizzata da un determinato rapporto di produzione ed un certo
sviluppo delle forze produttive; nel rapporto di produzione vengono configurati i conflitti sociali
(es. liberi-schiavi, proprietari e contadini; feudatari e borghesi, capitalisti -proletari) frutto di
contrapposti interessi. Nel Manifesto del Partito comunista, Marx individua la storia come
storia di lotta di classi, mettendo in evidenza la polarizzazione che si viene a determinare.
Nell’epoca presente la lotta avviene fra borghesia capitalistica e proletariato e non potrà non
concludersi che con la rivoluzione proletaria. Questa instaurerà un nuovo tipo di rapporto
sociale in cui non sarà presente la proprietà privata.
Marx interpreta le condizioni della rivoluzione nella contraddizione stessa che caratterizza la
società capitalistica : la contraddizione fra rapporto di produzione e forze produttive.
Quando i rapporti di produzione, risultato dello sviluppo delle forze produttive, diventeranno un
ostacolo per l’ulteriore sviluppo delle forze produttive stesse, ecco che si verranno a creare
quelle condizioni favorevoli affinché si attui la mutazione sociale.
Dopo una prima fase caratterizzata dalla dittatura del proletariato, si perverrà alla società
comunista, ovvero alla società senza classi in cui lo sviluppo di ciascuno è condizione per lo
sviluppo di tutti, ed in cui si potrà parlare di una società in cui sarà dato a ciascuno secondo i
suoi bisogni.
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SCHEDA DI SINTESI : Marx e l'analisi della società capitalistica
La critica dell'economia politica che Marx si propone di fare è un'analisi della società capitalistica che vada aldilà
delle apparenze e sia in grado, invece, di coglierne l'essenza.
Poiché per Marx la struttura di una società consiste nel rapporto di produzione che la caratterizza, ovvero nei
rapporti economici che ne costituiscono l'ossatura, la sua intenzione è quella di elaborare un'indagine scientifica che
si distingua nettamente dai modelli del socialismo utopistico e dall'economia politica stessa, ovvero dalle teorie degli
economisti borghesi come Smith e Ricardo, che tendono ad eternizzare i rapporti economici capitalistici e ad
identificare il nuovo sistema sociale, fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, con l'ordine economico
razionale e naturale. Questa per Marx è una mistificazione dell'economia politica che non riconosce nel capitalismo una
realizzazione storica che ha avuto un inizio e pertanto avrà una fine.
La sua intenzione consiste, dunque, nel partire da un'analisi dell'attuale modo di produzione capitalistico. Il metodo
corretto per Marx consiste nel partire non dal concreto, ad es. la condizione degli uomini, ma dall'astratto, ovvero dalle
categorie economiche come lavoro, profitto, merce, per arrivare proprio al concreto, ovvero alla condizione degli
uomini in un determinato contesto economico-politico. Il concreto è costituito appunto da una molteplicità di aspetti,
che il pensiero sintetizza fra loro comprendendoli in un'unità. Si parte quindi dagli elementi più astratti per arrivare a
costruire, come operazione del pensiero, la condizione concreta in cui gli uomini vivono.
L'analisi della società capitalistica parte, dunque, dall'analisi del concetto di merce che è l'elemento semplice che
costituisce il capitalismo inteso come immane raccolta di merci.
La merce si configura per avere un duplice carattere: oggetto d'uso ed oggetto di scambio. Per questo essa è
caratterizzata da un valore d'uso, la sua utilità che non costituisce un parametro economico, e dal valore di scambio,
ovvero il quanto che mi permette di scambiare la merce con qualcosa d'altro.
Nelle società pre-capitalistiche dice Marx, lo scambio delle merci avviene tramite il denaro che funge da mediatore
universale. Lo schema di questo è dato dalla formula M - D - M'; lo scopo del denaro è di mediare fra due merci.
Nella società capitalistica (S.C.), invece, il capitalista investe denaro per ottenerne altro in quantità superiore; lo
schema riassuntivo di questo meccanismo è D - M - D' dove D' > D.
In altre parole lo scopo del capitalismo stesso è quello di accumulare sempre più denaro. In questo tipo di società la
produzione di merci, per il capitalista, è finalizzata al conseguimento di maggior denaro mentre, il soddisfacimento del
bisogno che essa permette è un fattore secondario.
Marx parte dal presupposto che il modo di produzione capitalistico (MPC) si basi sullo sfruttamento che i capitalisti
attuano nei confronti del proletariato. Mentre nella società schiavistica ed in quella feudale lo sfruttamento dell'uomo
sull'uomo è palese, nella società capitalistica esso non appare. L'analisi del modo di produzione permetterà di scoprire
questo.
Schematicamente:
il M.P.C. per esistere ha bisogno di alcuni requisiti:
1. La concentrazione (proprietà privata) del capitale e delle terre nelle mani di un gruppo privilegiato
2. L'esistenza di un a massa di persone (proletariato)che per sopravvivere offrono la loro disponibilità lavorativa
(forza lavoro) in cambio di un salario sul mercato del lavoro.
3. Un libero mercato dove il capitalista possa comprare la forza-lavoro e dove viceversa quest'ultima possa essere
scambiata con un salario.
Poichè nella S.C. ogni merce viene scambiata in base al suo valore, anche la forza-lavoro viene scambiata in base al suo
valore di scambio.
Il valore di una merce viene misurato in base al lavoro sociale necessario per la sua produzione (Marx).
Anche per la merce forza-lavoro il discorso è lo stesso; infatti in quanto merce particolare che consiste nell'erogazione
di energia lavorativa da parte di uomini, il suo valore viene misurato in base al quantum necessario a far sì che si
riproduca come tale, ovvero il salario, che corrisponde al danaro pagato per la forza-lavoro, viene calcolato al minimo
vitale (che non significa sussistenza), cioè ad un livello che permette al proletario di riprodursi come tale.
Con il salario, però, il capitalista ha affittato l'uso del lavoro operaio per un tempo che non coincide con quanto egli ha
effettivamente pagato. Infatti, per Marx il salario copre soltanto una quota del tempo di lavoro svolto dall'operaio,
mentre la parte rimanente della giornata lavorativa serve a produrre un valore aggiunto, o plusvalore (pv), di cui il
capitalista stesso si appropria.
Inoltre l'operaio, oltreché essere espropriato del suo lavoro che appartiene alcapitalista, si trova a lavorare in un
ambiente e con mezzi di produzione che non sono suoi ed a produrre un prodotto, frutto del suo lavoro, che, come il
resto, appartiene al capitalista.
La condizione dell'operaio nella S.C. è dunque di alienazione.
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Nel MPC l'origine del profitto è individuato da Marx a livello della produzione e non dello scambio (profit upon
alienation) e questo deriva dal fatto che una quota di lavoro operaio non viene corrisposto sotto forma di salario. La
merce forza-lavoro, infatti, è particolare perché è l'unica in grado di produrre con il lavoro un valore superiore alla sua
riproduzione. Lo scambio fra forza-lavoro e capitale nasconde proprio questo, in realtà il salario non corrisponde
esattamente al valore che l'operaio ha prodotto con il suo lavoro, ma bensì è inferiore.
Si capisce;perciò, che mentre la ricchezza viene prodotta socialmente attraverso il lavoro degli operai, la sua
ripartizione non avviene secondo criteri di giustizia, perché i produttori (operai) ricevono un compenso inferiore a
quanto hanno effettivamente lavorato. La quota che non percepiscono viene acquisita dal capitalista sotto forma di PV.
Marx definisce:
C il capitale costante ovvero la quota di capitale investito in mezzi di produzione (macchinari, impianti, edifici, ecc..).
La caratteristica del capitale costante è quella di riprodurre con l'ammortamento il suo valore. Un impresa che investe
molto in capitale costante è sicuramente ad alta concentrazione di macchine e di tecnologia.
V è il capitale variabile, ovvero la quota di capitale necessaria a corrispondere i salari.
C/V è la composizione organica del capitale. Essa indica il rapporto fra il capitale investito nelle macchine e quello
investito in salari. Tanto maggiore è V rispetto a C, tanto più grande sarà il numero di operai impiegati. Il capitalismo
tende continuamente ad aumentare C rispetto a V perchè ha bisogno continuamente per essere competitivo di
rinnovare i macchinari e gli impianti.
Pv/V è il saggio di plusvalore, indica il rapporto fra il capitale variabile e la quota di pv ( se PV/V = 100%, vuol dire
che per ogni 100 investiti in salari ottengo una quota di Pv pari a 100). Tanto maggiore è questo rapporto tanto più
grande è la quota di PV rispetto a V e, dunque, tanto maggiore è l'indice di sfruttamento.
Marx individua due modi per ottenere un aumento del PV, essi corrispondono al cosiddetto PV assoluto e PV relativo.
PV assoluto: Aumentando le ore della giornata lavorativa (ad es. da 10 ore a 14 ore) e mantenendo costante le ore
che l'operaio lavora per ripagarsi il salario (ad es. 6 ore) il capitalista otterrà un PV assoluto superiore a prima ( ad es.
nel primo caso sarà un PV prodotto da 10-6= 4 ore di lavoro, mentre nel secondo caso il pluslavoro sarà di 8 ore per cui
senz'altro maggiore sarà il PV).
PV relativo : Mantenendo costante il numero assoluto delle ore lavorate (ad es 14) ed il livello dei salari, il capitalista
potrà aumentare la quota di Pv rendendo il lavoro maggiormente produttivo, ovvero facendo in modo che l'operaio
produca la quota di valore che serve per ripagarsi il salario in minor tempo rispetto a prima. Vengono aumentati cioè i
ritmi produttivi, arrivando, perciò, a produrre una quota di valore globale superiore. Mantenendo costante il salario,
sarà maggiore la quota che andrà al capitalista sotto la forma di PV relativo.
Pv/ C + V è la formula del saggio di profitto, essa indica il rapporto fra la quota di Pv e l'intero capitale investito. E'
chiaro che il saggio di Pv è maggiore del saggio di profitto in quanto nel secondo il denominatore contiene anche C
(capitale costante)
Il saggio di profitto indica un valore che, dice Marx, nel tempo sarà tendenzialmente destinato a diminuire, in quanto il
capitalista, per rimanere competitivo, aumenterà sempre più gli investimenti in capitale costante, ovvero in macchine
ed impianti sempre più innovativi.
Il valore indicato dal saggio di profitto, nel tempo, tenderà ad approssimarsi allo zero. Questo vuol dire che nel tempo
per quanto grande sia il capitale investito, il capitalista otterrà un profitto sempre più basso.
Questo aspetto è molto importante perchè lascia capire che il capitalismo è un modo di produzione soggetto a crisi.
Marx distingue fra le crisi di sovrapproduzione, che sono cicliche e che accompagnano il capitalismo nel suo
sviluppo, e le crisi strutturali, ovvero quelle che portano alla decadenza il capitalismo.
La caduta tendenziale del saggio di profitto fa supporre che con il passare del tempo, inevitabilmente, il capitalismo sia
destinato a perire. In realtà Marx ha sempre ben presente che questa legge ha un valore non deterministico, ma
solamente tendenziale. Infatti egli sostiene che seppur sia vero che il capitale ingrandendosi fa progressivamente
aumentare la sua contraddizione ovvero il proletariato, è però necessario che lo stesso proletariato attui una rivoluzione,
ovvero uno strappo, una rottura che ponga fine al MPC ed introduca una società in cui non esisteranno più le classi, né
la proprietà privata e, dunque, dove non ci sarà più lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Non saranno dunque le leggi dell'evoluzione a porre fine al capitalismo ma sarà la rivoluzione del proletariato.
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SCHEDA DI SINTESI “Marx: Sul problema dell'alienazione religiosa"
La posizione di Marx, nel 1845, è di accentuata critica nei confronti di Feuerbach, espressa
nelle 11 Tesi su Feuerbach
Marx da un lato riconosce il valore della critica feuerbachiana alla religione spiegata
antropologicamente come il frutto di un’alienazione che proietta in una dimensione
trascendente tutte quelle perfezioni che appartengono alla specie e che l’uomo singolo è
cosciente di non possedere
<<…:la religione è la prima indiretta autocoscienza dell’uomo. Perciò la religione precede
ovunque la filosofia, nella storia dell’umanità come in quella dell’individuo. L’uomo inizialmente
proietta la propria essenza fuori di sé prima di trovarla in sé. Assume ad oggetto il proprio
essere nella forma di un altro essere. La religione è l’essere dell’umanità allo stato infantile;
ma il fanciullo vede la propria essenza, l’uomo, fuori di sé: l’uomo allo stato infantile è oggetto
a sé stesso nella forma di un altro uomo.”
….“Il nostro compito è appunto di dimostrare che la distinzione fra divino e umano è illusoria,
cioè che null’altro è se non la distinzione fra l’essenza dell’umanità e l’uomo individuo, e che
per conseguenza anche l’oggetto e il contenuto della religione cristiana sono umani e
nient’altro che umani. (.....) L’essere divino non è altro che l’essere dell’uomo liberato dai limiti
dell’individuo cioè dai limiti della corporeità e della realtà, e oggettivato, ossia contemplato e
adorato come un altro essere da lui distinto.>>
[Feuerbach, L’essenza del Cristianesimo, 1841]
....ma dall’altro critica lo stesso perché
dell’origine dell’alienazione religiosa.
non spiega in modo adeguato il problema
Marx prende le distanze dal materialismo naturalistico del filosofo tedesco
produttore di un astratto concetto di uomo naturale, per arrivare alla convinta
asserzione dell’uomo come individuo essenzialmente storico.
la causa dell’alienazione religiosa, non va cercata nell’essenza naturale dell’uomo,
ma in una condizione storica che favorisce questo tipo di alienazione.
L’uomo concepito da Marx ma non è un modello astratto,
sociali (lo Stato, i rapporti di produzione, ecc..).
è l’insieme dei rapporti
L’essenza dell’uomo è sociale
Nella alienazione religiosa l’uomo non proietta la sua essenza ma la sua miseria.
“La religione è l’oppio dei popoli”
perchè:
propone un paradiso dell’aldilà come soluzione ai mali terreni, questo per Marx è paragonabile
all'oppio che con il suo effetto produce una paradiso illusorio, artificiale che perdura finchè
permangono gli effetti della droga.
Dunque:
la liberazione della religione deve trasformarsi in liberazione dalla religione
Per eliminare l’alienazione celeste è dunque necessario eliminare l’alienazione
terrena, ovvero le condizioni che la determinano . (Tesi su Feuerbach IV e VI)
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Nei Manoscritti economico-filosofici, opera scritta nel 1844,
Marx
aveva individuato nel rapporto di produzione
dell’alienazione.
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capitalistico
la
causa
il lavoratore è alienato:
- rispetto al suo lavoro,
- all’oggetto del suo lavoro
- al Wesen, ovvero all’essenza del suo essere uomo.
Infatti il prodotto del suo lavoro appartiene al capitalista che lo ha comprato, così come il
lavoro che esercita gli è estraneo, mentre, rispetto alla sua essenza (Wesen), l'uomo stesso è
alienato in quanto perde la condizione che lo distingue dagli animali , egli non è più in grado di
trasformare la natura secondo un fine progettuale con il suo lavoro, inteso come attività
produttiva, perchè il lavoro alienato subordina il suo lavoro (l’attività progettuale universale)
ad un bisogno individuale: la sopravvivenza.
Per risolvere il problema dell’alienazione terrena
non bastano più le armi della critica, ovvero la critica filosofica,
è necessario passare alla critica delle armi, ovvero alla critica della società
produttrice di alienazione.
Fino ad ora dice Marx nell’undicesima Tesi su Feuerbach,
“ I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, si tratta ora di trasformarlo”
Si tratta dunque, per Marx, di passare al piano della praxis, ovvero della rivoluzione
comunista come mezzo d’emancipazione umana.
“Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale
la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di
cose presente “ [Ideologia tedesca]
Da: K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Prefazione, Roma, Editori Riuniti, pp. 4-6
In questo brano del 1859 Marx parla di struttura e sovrastruttura.
Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assalivano fu una revisione critica della
filosofia del diritto di Hegel, lavoro di cui apparve l'introduzione nei Deutsch-französische
Jahrbücher [Annali Franco Tedeschi] pubblicati a Parigi nel 1844. La mia ricerca arrivò alla
conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere
compresi né per sé stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma
hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell'esistenza il cui complesso viene
abbracciato da Hegel, seguendo l'esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il
termine di "società civile"; e che l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia
politica. Avevo incominciato lo studio di questa scienza a Parigi, e lo continuai a Bruxelles, dove
ero emigrato in seguito a un decreto di espulsione del sig. Guizot. Il risultato generale al quale
arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere
brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in
rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che
corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali.
L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società,
ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale
corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita
materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la
coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che
determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali
della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i
rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per
l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si
convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il
cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca
sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo
sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato
con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o
filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di
combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può
giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre
invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente
fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce
finchè non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori
rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le
condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perchè l'umanità non si propone se non quei problemi
che può risolvere, perchè, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge
solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A
grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere
designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I
rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione
sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che
sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano
nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di
questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società
umana.