white house 2012 obama again

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white house 2012 obama again
Mauro della Porta Raffo
WHITE HOUSE 2012
OBAMA AGAIN
Dopo un esaustivo saggio introduttivo
la cronaca giorno per giorno
della lotta nelle primarie repubblicane
e del confronto finale
Obama/Romney
“Esiste una particolare Provvidenza divina nei confronti dei
matti, degli ubriachi e degli Stati Uniti d’America”,
Otto von Bismarck-Schoenhausen
Ho letto, visto e ricordo tutto
2
Nota bene:
secondo necessità, su particolari argomenti, includo testi di
autori ai quali, sul tema trattato, riconosco acutezza
d’analisi e competenza
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I motivi del contendere
“Il tema vero della campagna per la conquista della Casa
Bianca 2012 è l’aperta contrapposizione tra i ‘takers’ – quelli
che ‘prendono’, non pagano le tasse e come topi si adagiano
nel formaggio dei programmi assistenziali statali - e i
‘makers’, quelli che ‘fanno’ e tosati dal fisco permettono ai
topi di pascere.
I repubblicani stanno con questi ultimi.
Barack Hussein Obama e i democratici con i primi”.
Paolo Granzotto
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Davvero difficile
per un repubblicano
sconfiggere e defenestrare un presidente
democratico in carica che cerchi
(come Obama in questo 2012)
un secondo mandato o comunque,
da vice subentrato mortis causa,
voglia ottenere una conferma.
Dal 1856 – la prima volta in cui il partito
dell’asino
e quello dell’elefante si sono confrontati
per White House sono riusciti nell’intento solo
Benjamin Harrison nel 1888 e
Ronald Reagan nel 1980.
Nelle altre occasioni –
Woodrow Wilson,
Franklin Delano Roosevelt, Harry Truman,
Lyndon Johnson, Bill Clinton –
il democratico ha respinto l’attacco.
Chiunque, al termine del percorso delle primarie
e dei caucus, prevalga in casa repubblicana, sarà
chiamato a compiere davvero un’impresa.
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IL CIMENTO DI OBAMA
TUTTI I PRECEDENTI
Barack Obama è il trentesimo presidente degli Stati Uniti d’America che
si presenta all’elettorato per chiedere un nuovo mandato (non
semplicemente “un secondo mandato” perché Franklin Delano Roosevelt
si ripropose, vincendo, in ben quattro occasioni, ovviamente prima del
1951 quando un emendamento costituzionale introdusse il limite di due
quadrienni).
Nell’impresa, lo hanno preceduto, nell’ordine
George Washington (rieletto)
John Adams (sconfitto)
Thomas Jefferson (rieletto)
James Madison (rieletto)
James Monroe (rieletto)
John Quincy Adams (sconfitto)
Andrew Jackson (rieletto)
Martin Van Buren (sconfitto)
Abraham Lincoln (rieletto)
Ulysses Grant (rieletto)
Grover Cleveland (sconfitto nel 1884 e poi rieletto nel 1892, l’unico a
riconquistare White House dopo averla persa e quindi quattro anni dopo)
Benjamin Harrison (sconfitto)
William McKinley (rieletto)
Theodore Roosevelt (rieletto e primo vice presidente subentrato mortis
causa che si presenta in proprio all’elettorato dopo avere concluso il
mandato del predecessore)
William Taft (sconfitto)
Woodrow Wilson (rieletto)
Calvin Coolidge (rieletto e che da secondo vice subentrato mortis causa
che si presenta percorre il medesimo iter di Theodore Roosevelt)
Herbert Hoover (sconfitto)
Franklin Delano Roosevelt (come detto, rieletto in tre occasioni)
Harry Truman (rieletto e terzo vice subentrato mortis causa che si
propone in prima persona come Teddy Roosevelt e Calvin Coolidge)
Dwight Eisenhower (rieletto)
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Lyndon Johnson (rieletto e quarto vice subentrato mortis causa
confermato personalmente)
Richard Nixon (rieletto)
Gerald Ford (sconfitto dopo essere subentrato a Nixon a seguito delle sue
dimissioni)
Jimmy Carter (sconfitto)
Ronald Reagan (rieletto)
George Herbert Bush (sconfitto)
Bill Clinton (rieletto)
George Walker Bush (rieletto)
Riepilogando, diciannove i confermati, nove gli sconfitti, uno rieletto con
l’intervallo di un quadriennio.
Ove, peraltro, si guardi ai presidenti eletti in prima persona, non
includendo i vice subentrati, Obama è in effetti il venticinquesimo a
ricandidarsi.
Ebbene, nelle ventiquattro precedenti circostanze, l’inquilino della
residenza presidenziale ha vinto quindici volte, sedici ove si voglia tener
conto (ma non appare corretto) dell’avventura predetta toccata a
Cleveland.
I capi dello Stato USA che al termine del primo mandato si sono ritirati,
nell’ordine, sono:
James Polk
Franklin Pierce
James Buchanan
Rutherford Hayes
I presidenti morti nel corso del primo mandato sono:
William Harrison
Zachary Taylor
James Garfield
Warren Harding
John Kennedy
I vice subentrati e non ripresentatisi a fine mandato esercitato come
successori dell’eletto sono:
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John Tyler
Millard Fillmore
Andrew Johnson
Chester Arthur
(Per il vero, Fillmore si ripropose ma quattro anni dopo e quindi non al
termine della propria permanenza in carica)
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I NUMERI DELLE ELEZIONI DEL 2008
La ‘rivoluzione Obama’ ebbe inizio nel 2008, quando quasi settanta
milioni di elettori elessero il primo presidente afroamericano della Casa
Bianca.
Dieci milioni circa di vantaggio rispetto allo sfidante repubblicano, John
McCain.
Allora l’affluenza fu del sessantatre e sei per cento, decisamente alta per i
parametri americani
Centotrentuno milioni i votanti in totale.
Obama prevalse in California, North Carolina, Colorado, Connecticut,
Delaware, District of Columbia (Washington), Florida, Hawaii, Illinois,
Indiana, Iowa, Maine, Maryland, Massachusetts, Michigan, Minnesota,
Nevada, New Hampshire, New Jersey, New York, New Mexico, Ohio,
Oregon, Pennsylvania, Rhode Island, Vermont, Virginia, Washington e
Wisconsin.
Gli uomini divisero il loro consenso in modo equilibrato per i due
candidati.
Alle urne il quarantasette per cento degli elettori maschi, di cui il
quarantanove scelse Obama e il quarantotto McCain.
Il cinquantatre per cento degli elettori donne decise per la via democratica,
attribuendo nel cinquantasei per cento dei casi il consenso ad Obama.
Sul fronte etnico, il settantaquattro per cento dei votanti furono bianchi: il
quarantatre a favore di Obama, il cinquantacinque di McCain.
Il tredici per cento neri, di cui il novantacinque scelse Barack Obama,
mentre solo il quattro si espresse per McCain.
Il nove per cento ispanici: il sessantasette pro Obama e il trentuno pro
McCain.
Il restante due per cento degli elettori fu infine asiatico e il sessantadue
scelse Obama, il trentacinque McCain.
La fascia di età vide una larga affermazione dell’attuale presidente tra i
giovani: fino ai ventinove anni, ben il sessantasei per cento.
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Nella fascia trenta/quarantaquattro anni, ad Obama il cinquantadue delle
preferenze e a McCain il quarantasei
Nella fascia quarantacinque/cinquantanove, il presidente ora in carica ebbe
la meglio come tra gli over sessanta con il cinquantuno per cento contro il
quarantasette.
Sul versante religioso si espresse il quarantadue per cento dei bianchi
protestanti: il trentaquattro scelse Obama, il sessantacinque McCain.
Tra i cattolici (diciannove per cento) ebbe la meglio ancora McCain con il
cinquantadue.
Gli ebrei, il due per cento dell'elettorato, sostennero Obama con il
settantotto per cento dei consensi, a fronte del ventuno andato a McCain.
I cristiani evangelici, ben il trentotto per cento tra gli elettori, virarono
verso McCain con il cinquantasette per cento dei voti, come i religiosi
praticanti almeno una volta a settimana.
Sul piano del reddito, le classi sotto i quindicimila dollari rappresentarono
il sei per cento dell'elettorato e scelsero Obama con il settantatre, il
venticinque McCain.
La fascia tra i quindicimila e i ventinovemilanovecentonovantanove
dollari (dodici per cento) si espresse analogamente, allo stesso modo la
fascia trentamila quarantanovemilanovecentonovantanove dollari, che
rappresentando il diciannove per cento dell'elettorato diede il
cinquantacinque del suo consenso ad Obama e il quarantatre a McCain.
Anche tra i cosiddetti ricchi prevalse Obama, tranne nella fascia
cinquantamila settantaquattromilanovecentonovantanove dollari, che si
espresse con un quarantotto per cento a favore di Obama e un
quarantanove a sostegno di McCain.
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I POTERI DEL PRESIDENTE
(riporto qui di seguito il capitolo da me dedicato al tema
in ‘Americana’, 2011)
“… la Costituzione USA così recita all'articolo 2, sezione prima: ‘Il
presidente degli Stati Uniti sarà investito del potere esecutivo’.
Queste poche, magiche parole racchiudono ed esprimono tutto l'enorme
potere del capo dello Stato di quella che è ormai, senza concorrenti, la più
potente nazione del mondo.
Per inciso, cercando di rendere più comprensibile agli occhi del lettore il
tutto, si può dire che nel presidente americano, grosso modo, coincidono e
si uniscono i poteri che in molti Paesi sono divisi tra il presidente della
Repubblica e quello del Consiglio, mentre il solo importante limite è
quello della impossibilità per il capo di Stato USA di avanzare
direttamente proposte di legge essendo tale prerogativa propria dei membri
del Congresso - senatori e rappresentanti - sui quali, peraltro, egli può
agire per ottenere che avanzino progetti legislativi a lui graditi (il mezzo
tecnico più frequentemente usato a tale riguardo è quello di indirizzare
specifici messaggi ai due rami del Parlamento).
…la nomina avviene in novembre, mentre l'entrata in carica è fissata al 20
gennaio dell'anno seguente (fino alla prima elezione compresa di F.D.
Roosevelt l'insediamento avveniva, invece, il 4 marzo).
Il mandato è per un quadriennio e, cioè, 'a termine' (essendo a termine
anche tutte le altre cariche elettive, da parte degli studiosi, si mette in
risalto, nel sistema, l'importanza del 'calendario' o, gergalmente,
'dell'orologio'), il che preclude la possibilità di una sfiducia da parte del
Congresso (altra cosa è l'impeachment).
Un presidente non può essere rieletto per più di una volta e ciò a seguito di
un emendamento costituzionale adottato nel 1951, successivo alla
quadruplice rielezione del già citato F.D. Roosevelt, il quale, primo ed
unico, aveva osato contravvenire, riproponendosi una terza e poi,
addirittura, una quarta volta, alla disposizione consuetudinaria dettata da
George Washington che, rifiutando una terza, sicura nomina, aveva
dichiarato che nessun uomo avrebbe dovuto occupare quella carica per più
di otto anni.
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Una maggiore durata è teoricamente possibile solo per il vice presidente
succeduto nella qualifica di capo dello Stato quando il periodo in cui la
presidenza sia stata ricoperta in sostituzione del titolare sia inferiore ai due
anni.
In conclusione, riepiloghiamo i più rilevanti poteri presidenziali:
il presidente:
a) in materia internazionale negozia e stipula i trattati con il consenso di
almeno due terzi del Senato;
b) in materia legislativa gode del potere di raccomandazione o 'impulso'
(attraverso il messaggio sullo stato dell'Unione o specifici messaggi ad
hoc) e del potere di veto;
c) nomina i funzionari federali con il necessario consenso del Senato;
d) ha il comando delle Forze Armate.
Esiste la possibilità, inoltre, in casi eccezionali, di esercizio di poteri
straordinari”.
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SAGGIO INTRODUTTIVO
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STORIA
DELLE ELEZIONI
PRESIDENZIALI AMERICANE
COME E IN QUAL MODO
SI SCELGONO I CANDIDATI E SI ELEGGE IL
PRESIDENTE
DOMANDE E RISPOSTE
A PROPOSITO DEL SISTEMA
ELETTORALE AMERICANO:
REGOLE, PRIMATI, CURIOSITA
NUMERI
In appendice:
La seconda volta:
cosa è successo quando un presidente, come Obama oggi,
ha chiesto un secondo mandato?
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In questo
saggio introduttivo
i nomi sono in neretto
quando citati per intero
la prima volta
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PARTE PRIMA
STORIA DELLE ELEZIONI
PRESIDENZIALI AMERICANE
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Capitolo primo
CINQUANTA SEMIDEI
Dal 1789 – anno nel quale fu per la prima volta eletto George Washington – al 1820
incluso, la contesa per la conquista della Casa Bianca ebbe luogo nell’ambito di un
ristretto gruppo di gentiluomini tutti bene o male appartenenti alla vecchia
aristocrazia americana.
Persone che avevano compiuto pressappoco il medesimo percorso, prima di tutto
culturale, le quali si contrapponevano su basi ideali nell’intento di costituire e in
seguito consolidare le fondamenta del nuovo Stato.
Erano i ‘cinquanta semidei’ – definizione azzeccatissima di Thomas Jefferson – ai
quali si devono dapprima la Dichiarazione di Indipendenza, poi la seconda
Costituzione (quella in vigore), i dieci Emendamenti dedicati ai diritti individuali
(‘Bill of Rights’) e infine la messa a punto, nelle leggi, nelle interpretazioni delle
stesse e nei fatti, della complessa articolazione che vede ancor oggi, a distanza di
centinaia d’anni, ottimamente bilanciarsi i poteri del Presidente, quelli del Congresso
e della Corte Suprema.
1824/1828 LA RIVOLUZIONE JACKSONIANA
E’ nella tornata elettorale del 1824 (non che non se ne avessero prima, naturalmente,
le avvisaglie) che la situazione cambia e una nuova, impetuosa classe sociale si
affaccia alla politica.
Commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, contadini, allevatori di bestiame, tutti
coloro che bene o male, in qualche modo nella periferia delle città come degli Stati e
della nazione, si stanno affrancando dalla povertà trovano allora nella candidatura nel
generale Andrew Jackson una possibile espressione (che si riconoscerà non molto
dopo nel futuro Partito Democratico) nella gestione del potere.
Con vari, comunque legali, artifici (prende un maggior numero di voti popolari ma
non abbastanza da raggiungere il previsto quorum tra i delegati ragione per cui la
Camera, chiamata a scegliere, gli preferisce il secondo arrivato John Quincy Adams,
uomo dell’establishment) i ‘vecchi’ impediscono a Jackson di prevalere.
Quattro anni davvero difficili i seguenti: un presidente dimezzato non solo per i modi
della sua elezione ma anche per l’opposizione del Congresso non sarà in grado di ben
governare.
La rinviata ‘rivoluzione’ ha luogo, quindi, nel successivo 1828, allorquando lo stesso
Jackson trionfa nelle urne.
Riporto al riguardo quanto da me vergato in ‘Americana’ (2011) trattando
dell’insediamento del nuovo capo dello Stato:
“Per dare un quadro di quel che rappresentò per la capitale federale e per
l’establishment l’irruzione jacksoniana niente di meglio di quanto in proposito
scrissero nella loro ‘Storia degli Stati Uniti’ Allan Neville e Henry Steele
Commager:
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‘Le elezioni del 1828 nelle quali Jackson sconfisse Adams furono come un
movimento sismico.
Gli umori erano talmente eccitati che il nuovo presidente eletto, al suo arrivo a
Washington, si rifiutò di rendere la consueta visita di dovere al presidente uscente e
Adams non volle recarsi al Campidoglio in carrozza con il suo successore.
L’insediamento di Jackson fu considerato per lungo tempo come l’inizio di una
nuova era nella vita americana.
Il Paese non ne aveva mai visto uno simile e a Washington fu paragonato alla
invasione di Roma da parte dei barbari.
Daniel Webster scrisse che già da molti giorni prima la città era piena di speculatori,
di cacciatori di prebende, di uomini politici esultanti e di gente semplice...’
Dopo la cerimonia (si era al 4 marzo del 1829), uno dei testimoni – il giudice Joseph
Story – ebbe a dire:
‘Non avevo mai visto un subbuglio simile, era il trionfo della plebaglia!’
Non va dimenticato che il pur grande presidente Jackson, forse per tenere a freno e
compensare in qualche modo i suoi ‘barbari’, fu il vero teorizzatore dello ‘spoils
system’ che applicò su larghissima scala nei suoi otto anni di governo spazzando via
da ogni più piccolo posto di potere chiunque non appartenesse alla sua parrocchia”.
Capitolo secondo
NASCONO IL PARTITO
REPUBBLICANO
DEMOCRATICO
E
QUELLO
Quello che segue, è un periodo di contrastata democrazia che vede nascere e morire
partiti (per esempio, Free Soil e Whigh) anche in grado di arrivare in un paio di
occasioni a White House (Whig) ma incapaci di consolidare la loro presa
sull’elettorato.
E’ nel corso degli ultimi due anni del primo mandato di Jackson che comincia a
prendere forma e consistenza il futuro Partito Democratico che si raccoglierà, poi, nel
1836, intorno a Martin Van Buren ottenendo, di stretta misura sui predetti whig, di
conquistare White House.
Fino alle elezioni del 1860, che segnano un altro dei momenti ‘epocali’ della storia
americana, netta la prevalenza elettorale degli uomini dell’asino (emblema dei
democratici come, decenni dopo, sarà per l’elefante repubblicano), salvo due
sfortunate – gli eletti muoiono in carica e per la prima volta i vice subentrano nel
ruolo – apparizioni whig.
Nasce, frattanto nel 1854, il Partito Repubblicano che al primo posto del suo
programma poneva l’abolizione dello schiavismo soprattutto per motivi morali.
Lo formavano ex Whig, ex Free Soil e un certo numero di ex democratici contrari
alla politica di sostegno dello schiavismo portata avanti dal partito di provenienza.
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“Convinti”, come scrive Maldwyn Jones (‘Storia degli Stati Uniti’), “che soltanto
una società libera, democratica e capitalista avrebbe potuto offrire agli individui la
prospettiva di un avanzamento economico e sociale” i futuri Gop (‘Grand Old Party’,
verrà in tal modo denominato il partito) conquistarono abbastanza rapidamente il
Nord del Paese mentre nel Sud i rivali democratici andavano consolidandosi su basi
ideologiche in buona sostanza reazionarie.
(Tale contrapposizione, sarà opportuno qui rammentarlo, ebbe a durare fino agli anni
Sessanta/Settanta del trascorso Novecento e basti qui citare i governatori
segregazionisti democratici Oral Faubus e George Wallace per capire di cosa si stia
parlando).
Capitolo terzo
I REPUBBLICANI A WHITE HOUSE
Ed eccoci alle presidenziali del 1860, anno nel quale i repubblicani conquistano per la
prima volta la Casa Bianca per non lasciarla (salvo la strana successione a Lincoln di
Andrew Johnson – un democratico vice di un repubblicano, frutto della Guerra di
Secessione in corso durante le elezioni del 1864 – e i due quadrienni non consecutivi
di Grover Cleveland) addirittura fino al 1913, quando a William Taft subentra
Woodrow Wilson, vittorioso alle urne nell’anno precedente.
Divisi - i sostenitori del presidente in carica James Buchanan avversavano
l’accreditato senatore Alfred Douglas accusato di avere posizioni addirittura filo
repubblicane su molte questioni - i democratici tennero in aprile una prima
convention a Charleston.
Lungi dal raggiungere un accordo, le due parti si combatterono al punto che la
kermesse ebbe a chiudersi con un nulla di fatto.
Ritrovatisi i delegati a Baltimora a giugno, i contrasti divennero insanabili e molti
abbandonarono definitivamente i lavori.
Nominato dai superstiti, Douglas si dovette scontrare nella successiva campagna non
solo, come ovvio, col rivale repubblicano, ma anche con un altro democratico dato
che i fuorusciti si radunarono per indicare nell’allora vice presidente John
Breckinridge il loro vessillifero.
Nella confusione, nacque allora anche un terzo partito, l’Unione Costituzionale, che
decise di mettere in corsa John Bell.
I repubblicani, per parte loro, nella convention di Chicago di metà maggio, ritenendo
Douglas il probabile avversario, al terzo scrutinio optarono per Abraham Lincoln
che nella campagna per il Senato del 1858 si era già contrapposto con grande
efficacia, sia pur soccombendo, al rivale in pectore.
Frammentati i voti democratici divisi tra Douglas e Breckinridge, degna di menzione
anche la prestazione di Bell, Lincoln vinse in quel novembre conquistando
centoottanta delegati sui trecentotre in palio.
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Capitolo quarto
IL NORD PROGRESSISTA E REPUBBLICANO, IL SUD
CONSERVATORE E SEGREGAZIONISTA DEMOCRATICO
Ho già accennato alle elezioni del 1912 che vedono i democratici prevalere con
Wilson - poi, confermato nel 1916 - ma va precisato che anche in quella occasione i
Gop avevano nettamente prevalso quanto a voto popolare (quasi sette milioni e
seicentomila suffragi unendo i seguaci del candidato ufficiale Taft a quelli del primo
Roosevelt, contro i sei milioni e trecentomila scarsi dei rivali) perdendo peraltro
avendo subito la dolorosissima – con lui moltissimi repubblicani in libera uscita che
relegarono l’uscente capo dello Stato addirittura al terzo posto - scissione guidata
dall’ex presidente Theodore Roosevelt.
In buona sostanza, la superiorità repubblicana – ripresa nel 1920 dopo la parentesi
Wilson e continuata fino alle votazioni del 1932 – poggiava sul netto prevalere del
partito negli Stati del Nord i cui delegati erano in numero comunque superiore a
quelli spettanti agli Stati del Sud, i governanti democratici dei quali - per dare modo
di capirne le posizioni politiche e l’azione - furono anche definiti ‘Borboni’, in
quanto votati, come i reali tornati in auge dopo Napoleone in Francia, alla
riaffermazione del ‘modo’ precedente la Guerra di Secessione e alla conservazione.
(Gli USA erano in quei tempi in formazione e gli Stati del West – in ‘entrata’ alla
spicciolata nell’Unione - erano poco abitati e quasi non rappresentativi in termini di
delegati. Si pensi, di contro, che oggi la California è il territorio che conta di gran
lunga sul maggior numero di voti elettorali).
Il dominio nel meridione degli appartenenti al partito dell’asino era ed è stato fino ad
oltre metà del Novecento talmente accentuato che i repubblicani evitavano in
moltissime occasioni di presentare i loro candidati.
Alla fine, contavano solo le primarie interne ai democratici dato che il vincitore delle
stesse non trovava poi oppositori il giorno delle votazioni ufficiali.
Capitolo quinto
LA CRISI E IL NEW DEAL
Il quadro fin qui tracciato è assolutamente travolto dalla terribile crisi economica
conseguente al crac del 1929.
Il partito repubblicano, considerato il vero responsabile del disastro (e a ben guardare,
eccessivo il lassismo in campo economico delle amministrazioni Gop che si erano
succedute a partire dal 1921), paga duramente e perde dal 1933, anno nel quale si
insedia per la prima volta Franklin Delano Roosevelt vittorioso nel precedente
novembre 1932, e per un intero ventennio la Casa Bianca.
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E’ nel tumultuoso, spesso contradditorio e a volte addirittura incostituzionale (i suoi
contrasti con la Corte Suprema, che aveva in qualche occasione bocciato le leggi da
lui volute, furono fortissimi) operare del nuovo presidente, è nella sua apertura ai
diseredati, ai poveri, è nella eccezionale capacità che aveva di attrarre il benvolere
delle masse, è in tutto questo ed altro che si devono rintracciare le ragioni del primo
trascorrere del partito democratico dalle posizioni molto spesso oscurantiste che gli
erano proprie a quelle liberal.
E’ in quegli anni che i neri, condividendo in larga parte il New Deal roosveltiano,
spezzano il tradizionale legame che avevano con i repubblicani, con il partito che
aveva voluto, lottando in effetti con il Sud democratico schiavista, dare loro la libertà.
Capitolo sesto
EISENHOWER VA A SUD
Passano gli anni e, terminata la Seconda Guerra Mondiale, chiusa l’epoca del
successore del secondo Roosevelt Harry Truman, ecco alla ribalta il candidato
repubblicano per le elezioni del 1952: il generale Dwight ‘Ike’ Eisenhower, il
condottiero agli ordini del quale il conflitto era stato vinto in Europa.
In campagna, i capi Gop, secondo consuetudine, lo consigliano di non cercare voti
nel Sud.
Fatica e soldi sprecati, a parer loro.
Dalla fine della Guerra di Secessione – l’ho già ricordato – nel meridione, ci si
pronuncia solo e soltanto per i democratici.
Ike non ci sta: farà campagna a Sud e i risultati, che non mancano in questa
occasione, saranno anche migliori quattro anni dopo, quando cercherà ed otterrà la
conferma a White House.
Capitolo settimo
LYNDON JOHNSON
E arriviamo alla tornata elettorale del 1964, nella quale, per la prima volta, si ha
davvero un rovesciamento geopolitico.
Lyndon Johnson, subentrato a fine 1963 all’assassinato John Kennedy, aveva
utilizzato alla grande l’anno di presidenza ottenendo dal Congresso l’approvazione a
tamburo battente di provvedimenti decisivi in materia di diritti civili e in specie di
lotta alla segregazione razziale, aveva ridotto per la prima volta in trent’anni le tasse,
aveva voluto una normativa a proposito dei trasporti di massa e una legge
sull’istruzione universitaria.
Infine, aveva proposto al parlamento “una guerra totale contro la povertà”
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Come ben ricorda e sottolinea il citato Maldwyn Jones, per quanto significative
risultassero tali misure, Johnson le vedeva come primi passi in vista di quella che
avrebbe dovuto essere ‘la Grande Società’, un’America nella quale regnassero
abbondanza e libertà per tutti.
A contrastare l’impeto johnsoniano, il Gop aveva chiamato il senatore Barry
Goldwater – rivalutato negli ultimi tempi per quella che oggi viene ritenuta la sua
‘purezza ideologica’ repubblicana – che perse nettamente il Nord conquistando solo
sei Stati, cinque dei quali, nel Sud.
Il secondo mandato del successore di Kennedy fu ancora maggiormente travolgente:
‘Medicare Act’ e ‘Medicaid Act’ per fornire ai vecchi e ai poveri l’assicurazione
sociale per le cure mediche, due profondi interventi tesi a migliorare la pubblica
istruzione ad ogni livello, leggi a favore della reale estensione a tutti e in primo luogo
ai neri del diritto di voto fino ad allora fortemente condizionato da lacciuoli di vario
genere, perfino un ‘Immigration Act’ che eliminava il sistema discriminatorio basato
sull’origine nazionale in vigore dagli anni Venti.
Johnson – di gran lunga, per la politica interna, il migliore tra tutti i presidenti
democratici e non solo – nella realizzazione della sua ‘Grande Società’, fece inoltre
approvare leggi per il miglioramento delle autostrade, contro l’inquinamento dell’aria
e dell’acqua e un ambizioso programma urbanistico che voleva arrivare addirittura
alla eliminazione degli slum.
E’, quindi, da questo momento, dopo un tale uragano, che, sia pure non di colpo, la
geopolitica americana muta radicalmente.
Da allora, gli Stati della costa pacifica e quelli settentrionali dell’atlantica si colorano
abitualmente ad ogni elezione di azzurro (‘Blue States’), il colore dei democratici.
Quelli del Sud e di buona parte del Mt diventano rossi (‘Red States’) essendo appunto
il rosso il colore repubblicano.
‘Swing’, e cioè indecisi, gli altri i cui spostamenti – tranne casi straordinari (la
seconda volta di Reagan per esempio) – determinano l’esito.
(Per inciso, una domanda: come mai nella comune visione, nell’immaginario
popolare il pericoloso – si guardi agli esiti della sua politica estera e al riarmo che
volle – parolaio John Kennedy, del tutto inconcludente quanto alla politica interna, è
considerato un grande nel mentre Lyndon Johnson viene trascurato, quando gli va
bene, se non denigrato con tutto quel che ha fatto?
In verità, l’assassinio di Kennedy a Dallas fu, guardando alle conseguenze, per gli
Stati Uniti una vera manna!)
Capitolo ottavo
IL CREDO REAGANIANO
Travolto dalla tragica Guerra del Vietnam, Johnson non si candida, come avrebbe
potuto, nel 1968.
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La coalizione liberal che aveva creato con il suo operare tarda a consolidarsi e ad
esprimersi nelle urne al punto che nei successivi decenni, fino al 1992, i democratici
arrivano alla Casa Bianca solo e fuggevolmente – quattro anni – con Jimmy Carter.
Sull’altra sponda, l’astro Ronald Reagan in particolare e su tutti, i repubblicani si
riallineano e mettono insieme una maggioranza elettorale fondamentalmente basata
sul voto del ‘nuovo’ Sud e su quello dei bianchi, anglosassoni e protestanti (‘Wasp’)
appartenenti alle classi agiate.
Il credo reaganiano come espresso da Michael Parrish nel suo imperdibile ‘L’età
dell’ansia’ benissimo rappresenta la posizione Gop che dagli anni Ottanta del
Novecento arriva a noi:
Reagan aveva “una visione ideologica della vita pubblica basata su alcune generali e
semplici idee: l’ordine sociale ed economico americano è sostanzialmente valido e di
conseguenza chi lo critica o cerca di modificarlo sbaglia e/o è un pericoloso radicale;
l’iniziativa privata è il fulcro della società; il ruolo del governo deve essere limitato,
soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione dell’economia e la
redistribuzione della ricchezza creata dal mercato; gli Stati Uniti, a causa della
superiorità delle loro istituzioni e del loro illuminato senso morale, hanno un ruolo
del tutto eccezionale negli affari internazionali”, eco, quest’ultima affermazione,
dell’ottocentesco ‘Destino manifesto’ teorizzato da John O’Sullivan.
Capitolo nono
IL TERZO MILLENNIO
Si potrebbe oggi affermare che il duplice mandato ottenuto da George Walker Bush
all’inizio del terzo millennio sia con buona probabilità l’ultima vittoria di ‘quel’
partito repubblicano, del Gop legato, come detto agli Wasp oggi minoritari, alla
destra religiosa e alla ora fortemente declinante classe media agiata del Paese?
In buona sostanza, l’ultimo ‘ritorno’ essendo con quasi certezza la precedente
presidenza di Bill Clinton quella che ha davvero raccolto, per quanto attiene
all’elettorato, l’eredità johnsoniana che potrebbe consentire, ove i repubblicani non si
riposizionassero, ai democratici di prevalere a lungo?
Probabilmente, in particolare guardando all’affermarsi dirompente delle nuove etnie,
ispaniche in specie, attratte dalle posizioni del partito dell’asino e in qualche modo
neglette dai repubblicani.
POTRA’ IL PARTITO REPUBBLICANO RICONQUISTARE
WHITE HOUSE IN QUESTO 2012 O COMUNQUE IN FUTURO?
E’ comunque possibile che in questo 2012 i Gop con Mitt Romney riescano a
tornare in sella?
Possibile ma, al momento, difficile.
Possibile per la pochezza e la dimostrata incapacità dell’amministrazione in carica,
debole sia nell’opaco e inconcludente parolaio Barack Obama sia nel suo entourage.
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Possibile, in particolare, in ragione della critica situazione economica del Paese
contro la quale il presidente ha operato con scarsissimi risultati.
Possibile ancora se l’ala religiosa conservatrice (gli evangelici in particolare, ma
anche i cattolici ortodossi antiabortisti e anti gay), che ha trovato negli ultimi tempi
nel repubblicano il partito di riferimento lo sostiene fortemente alle urne come non ha
fatto nel 2008 con John McCain.
Possibile, inoltre, se la candidatura alla vice presidenza di Paul Ryan non allontana i
centristi eventualmente spaventati dal suo rigore e garantisce invece il voto di quanti
si sono raccolti nel Tea Party, movimento politico di destra anti Stato nazionale con
venature radicali comunque vicino al Gop.
Possibile se riesce a conquistare un numero significativo anche se inferiore al
cinquanta per cento dei voti delle minoranze, i pluricitati ispanici in prima linea.
Possibile, infine, se il liberal alla Ron Paul non si lasciano attrarre dalla chimera del
‘Libertarian Party’ e del suo candidato Gary Johnson.
Quante infinite necessità, quanti disaccordi pareri da coniugare!
Certo è, in conclusione, che guardando al futuro i repubblicani hanno assoluta
necessità di riposizionarsi, prendendo atto delle mutatissima realtà in primo luogo
sociale e culturale della nazione.
E’ in tale direzione che si agita con forza l’ex governatore della Florida Jeb Bush,
per parte sua attentissimo alla minoranze (che, sommate, arriveranno presto, se non
l’hanno già fatto, ad essere maggioranza) etniche particolarmente importanti nello
Stato da lui bene amministrato per due mandati, coniugato con una ispanica e in
grado di parlare correntemente lo spagnolo.
Perdesse Romney la sfida e confermasse l’intenzione di non voler scendere in campo
l’ex segretario di Stato Condoleezza Rice (una grande risorsa in prospettiva per i
repubblicani e per l’intero Paese), è al ‘fratello intelligente’ di GWB, come i nemici
del presidente lo chiamavano, e ai Gop di nuova generazione e diverse etnie (il
‘cubano’ Marco Rubio, l’indiano Bob Jindal per fare due nomi) che il partito dovrà
guardare per cercare una nuova base, per creare una differente coalizione elettorale,
per far convivere differentissime e apparentemente inconciliabili idee e prevalere,
aggiornati e affinati, gli antichi impeti ideali e ideologici che hanno tanto contribuito
a rendere l’America quella che è.
Capitolo decimo
UNA DOMANDA
A conclusione del tema, una domanda conseguente ad una constatazione possibile a
tutti guardando ai due partiti oggi.
24
Una domanda rispondendo alla quale potrebbero andare a farsi benedire tutti i bei
discorsi relativi al radioso futuro prevedibile per i democratici e alla difficoltà che
dovranno affrontare i repubblicani.
Come mai in casa Gop i giovani quarantenni o addirittura meno già illustratisi a
livello nazionale sono millanta e quelli del partito dell’asino pochissimi?
E’ vero, da sempre la situazione è un po’ questa ma oggi la differenza è aumentata.
I democratici chi possono contrapporre per il futuro a Paul Ryan, Bob Jindal, Chris
Christie, Rob Portman, Susana Martinez e compagnia bella?
Il materiale umano conta e non poco nel sistema americano e da questo punto di vista
i repubblicani stanno meglio senza dubbio.
25
PARTE SECONDA
COME E IN QUAL MODO
SI ELEGGE IL PRESIDENTE DEGLI
STATI UNITI D’AMERICA.
COME E IN QUAL MODO SI SCELGONO
I CANDIDATI
26
Capitolo primo
COME SI SVOLGE LA VOTAZIONE
Il cittadino USA che “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre”
dell’anno corrispondente al bisestile, dal 1792 (le precedenti consultazioni si erano
svolte nel 1789), si reca ogni quattro anni alle urne per le presidenziali non vota
direttamente per uno dei candidati, ma elegge, Stato per Stato, un determinato
numero di delegati (per indicare i quali si usa anche l’espressione ‘voti elettorali’)
che, successivamente riuniti nel cosiddetto ‘collegio’, a loro volta, proclameranno il
nome del prescelto.
E’, pertanto, quella del presidente americano una elezione non diretta ma di ‘secondo
grado’.
Il numero totale dei delegati è oggi di cinquecentotrentotto (538), pari alla somma dei
senatori nazionali (cento, 100), dei rappresentanti anch’essi nazionali
(quattrocentoventicinque, 425) e dei tre ai quali, nell’occasione, ha diritto il District
of Columbia.
Chi conquista almeno duecentosettanta (270) voti elettorali – e cioè la maggioranza
assoluta – otterrà, quindi, l’incarico.
Nel caso in cui, assai difficilmente (dovrebbero essere seriamente in lizza, come
succedeva tra il finire del Settecento e i primi decenni del secolo successivo, non solo
il democratico e il repubblicano ma un terzo o magari un quarto incomodo in grado di
conquistare qualche Stato), nessuno raggiungesse la soglia minima, la nomina
spetterebbe alla camera che dovrebbe scegliere tra i primi tre classificati.
I delegati ai quali ha diritto ciascuno Stato sono pari al totale dei suoi parlamentari
nazionali.
Dappoichè, in base al ‘compromesso del Connecticut’, tutti gli Stati a prescindere dal
numero degli abitanti hanno la stessa dignità, sia, per fare un solo esempio, la
spopolata Alaska che la popolosissima California hanno diritto allo stesso numero
(due) di senatori nazionali essendo alla camera alta rappresentati appunto gli Stati.
La differenza che porta, restando al precedente confronto, il numero dei parlamentari
e quindi dei voti elettorali dell’Alaska a tre e quelli della California a cinquantacinque
(55), è data dalla consistenza dei rappresentanti (così si chiamano rappresentando il
popolo) che è decisa in base al numero degli abitanti di ciascuno Stato.
Con l’eccezione del Nebraska e del Maine (la legge in materia è decisa localmente e
può mutare) che hanno un sistema di attribuzione differente ma che, avendo diritto a
pochi delegati – un totale di nove (9) – incidono sempre relativamente, tutti gli Stati
attribuiscono i voti elettorali con il meccanismo noto come ‘winner take all’.
In pratica, il candidato che prevale in termini di suffragi popolari conquista tutti
(tutti) i voti elettorali ai quali lo Stato ha diritto.
N.B.
27
1) Fino al 1804 - quando con l’approvazione del XII emendamento la questione fu
risolta – il candidato alla presidenza che aveva ottenuto il maggior numero di delegati
conquistava lo scranno mentre vice presidente veniva proclamato il secondo in
graduatoria anche se appartenente a un differente partito.
Con la modifica indicata, prende corpo il cosiddetto ‘ticket’ presidenziale e ad ogni
candidato capo dello Stato si affianca un vice della sua stessa parte.
2) Ricordo che la scelta del mese di novembre e del giorno nel quale votare risale al
1792.
All’epoca, la religione era molto importante e l’agricoltura, con l’allevamento,
l’occupazione assolutamente dominante.
E’ in ragione di ciò che si determinò allora di recarsi alle urne appunto in novembre,
mese nel quale i contadini e gli allevatori erano meno impegnati, e “il primo martedì
dopo il primo lunedì” in quanto, se si fosse detto solo “il primo martedì”, questo
avrebbe potuto cadere l’1 novembre, e cioè in Ognissanti, giorno nel quale, come del
resto di domenica, ci si deve dedicare alla preghiera e al riposo.
3) Il censimento che determina la distribuzione dei rappresentanti e
conseguentemente dei delegati ai quali ha diritto ciascuno Stato ha luogo una volta
per decennio in coincidenza con l’anno con finale zero: 1910, 1920, 1930…2000,
2010…
Capitolo secondo
COME SI SCELGONO I CANDIDATI
Le primarie
E’ sul finire dell’Ottocento che negli Stati Uniti si comincia a parlare di primarie.
In un contesto politico incancrenito, nel quale le segreterie politiche decidono a loro
piacere le candidature alle differenti cariche pubbliche, presidenza in primo luogo,
qualcuno comincia a pensare che, invece, debba essere direttamente il popolo a
scegliere, sia pure (sulla falsariga dell’elezione presidenziale vera e propria)
attraverso la nomina di delegati.
E’ nel Wisconsin, all’epoca guidato dal governatore Robert La Follette senior (un
vero riformatore), che, a partire dal 1903, l’istituto, ancora non del tutto articolato,
viene applicato.
Su scala nazionale, sia pure in forma embrionale e con esiti negativi le primarie
debuttano nel 1912 nell’ambito del partito repubblicano. (Nell’occasione, negli Stati
coinvolti – non tutti - le vinse Teodoro Roosevelt ma la convention Gop gli preferì
comunque William Taft con la conseguente uscita di Teddy, la spaccatura
dell’elettorato e la vittoria del democratico Woodrow Wilson).
Con l’andar del tempo, raffinandosi il meccanismo, si arriva alle forme attualmente in
uso.
28
Evitando di entrare in troppi particolari (occorrerebbe un intero volume per
distinguere i quasi infiniti sistemi adottati nel diversi Stati dell’Unione che in merito
legiferano), le primarie USA si distinguono in ‘aperte’ o ‘chiuse’.
Al riguardo, occorre ricordare che i cittadini americani aventi diritto al voto, per
esercitare questo diritto, devono iscriversi alle ‘liste elettorali’.
Nel farlo, possono, se non indipendenti, dichiarare quale sia il loro partito di
riferimento.
Se la primaria, democratica o repubblicana che sia, indetta da uno degli Stati è
‘aperta’ potranno recarsi alle urne tutti gli elettori senza badare all’appartenenza
eventualmente annunciata.
Se la primaria è ‘chiusa’, in quella democratica potranno votare esclusivamente
coloro che hanno dichiarato quella preferenza e così nella repubblicana.
L’attribuzione dei delegati ai quali, sulla base del numero degli abitanti, ha diritto
ciascuno Stato può essere proporzionale ai voti ricevuti dai candidati o può
concretizzarsi nel ‘winner take all’, metodo con il quale chi prende il maggior
numero di suffragi popolari conquista tutti i delegati in palio.
L’intero processo si sviluppa nell’arco di alcuni mesi passando da uno Stato all’altro
e, ovviamente, il candidato che prima o poi riuscirà a conquistare la metà più uno dei
delegati otterrà la nomination ufficializzata nella successiva convention.
I caucus
Alternativo alla primarie ed usato da alcuni Stati è il caucus ('consiglio ristretto',
secondo Maldwyn Jones)
Il vocabolo – ma si tratta di un’ipotesi non molto attendibile - deriverebbe dal tardo
greco 'kaukos', che significa 'boccale', e indicherebbe il fatto che le riunioni così
chiamate si svolgevano originariamente nei saloons e nelle bettole.
Secondo la maggior parte degli storici, invece, trarrebbe origine dalle riunioni dei
capi tribù algonchini, in tal modo definite in quella particolare lingua.
Sorto nei primi decenni dell’Ottocento, il meccanismo in questione è, come detto,
tuttora vigente in alcuni Stati.
Il più famoso caucus è quello dello Iowa che, tradizionalmente, inaugura la campagna
elettorale.
Nella sostanza si tratta di una riunione ristretta agli attivisti del partito che in questo
modo scelgono i delegati alla convenzione.
La convention
La convention nazionale è il momento conclusivo verso il quale tende tutto il sistema
dei caucus e delle primarie e altresì l'unico congresso dei due partiti, che, quindi, si
riuniscono al massimo livello ogni quattro anni, in estate, per scegliere ufficialmente
il candidato alla Presidenza ed il suo vice, nonché per discutere ed approvare la
'piattaforma' elettorale e cioè il programma del partito.
29
Oramai da molto tempo (per i repubblicani, dal 1980 e per i democratici dal 1972), la
funzione della convention quanto alla determinazione del candidato presidente è solo
formale.
In precedenza in numerose occasioni, in quell’ambito, invece, non essendoci un
vincitore delle primarie che avesse conquistato la maggioranza assoluta dei delegati,
ci si batteva strenuamente per ottenere la nomination che poteva andare perfino a
esponenti che non avevano partecipato a primarie e caucus (in cotal modo, per
esempio, nel citato 1968 in casa democratica fu scelto Hubert Humphrey).
N.B.
Il primo caucus in programma, come detto nel testo, è tradizionalmente quello
dell’Iowa.
Le primarie, invece, hanno inizio nel New Hampshire.
Da almeno dodici anni è in atto una corsa in avanti che vede partecipi tutti quegli
Stati che chiedono ai partiti nazionali di poter anticipare le consultazioni locali per
non correre il pericolo di votare a giochi già fatti, quando uno dei candidati ha
superato il numero richiesto di delegati e quindi, sia pure formalmente, ha ottenuto la
nomination.
Capitolo terzo
Un’ultima annotazione.
Da sempre ed anche ai giorni nostri, i candidati a White House sono in numero
superiore a due.
Quest’anno, ad esempio, è già stato indicato il pretendente alla Casa Bianca scelto dal
partito libertariano (l’ex governatore Gary Johnson) ed altri ne seguiranno.
Nel 2000, si propose Ralph Nader per i verdi.
A fine Settecento e per buona parte dell’Ottocento, non ancora dominanti democratici
prima e repubblicani poi, i candidati di peso erano sempre tre o quattro.
Nei primi decenni del Novecento, corse spesso con propri esponenti il partito
socialista.
Nel 1932, nientemeno che il comunista William Zebulon Foster.
Da non trascurare, infine, gli indipendenti – magari, alla testa di movimenti politici
creati per la bisogna - qualcuno dei quali ottenne risultati di rilievo (Theodore
Roosevelt nel 1912 su tutti).
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PARTE TERZA
DOMANDE E RISPOSTE
A PROPOSITO DEL SISTEMA
ELETTORALE AMERICANO:
REGOLE, PRIMATI, CURIOSITA
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- D: La scelta del presidente avviene attraverso una elezione ‘diretta’ (in altre
parole, i votanti si esprimono direttamente a favore dei candidati)? R: No, si
tratta di una elezione ‘di secondo grado’. Vengono nominati, Stato per Stato,
dei delegati i quali, in seguito, in sede di Collegio nazionale, eleggono il
presidente.
- D: Come vengono attribuiti i delegati per le presidenziali? R: Il candidato che
vince per voti popolari in uno Stato (tranne in Maine, dal 1972, e in Nebraska,
dal 1996, laddove si applica un complicato sistema che prevede la suddivisione
dello Stato stesso in singoli distretti elettorali) ottiene tutti i delegati – che
vengono altresì indicati con la dizione ‘voti elettorali’ - ai quali quel
determinato Stato ha diritto.
- D: A quanti delegati ha diritto ciascuno Stato nelle presidenziali? R: A tanti
quanti sono i suoi congressisti nazionali (senatori più rappresentanti e
considerato che questi ultimi sono in proporzione al numero degli abitanti, più
lo Stato è popolato, maggiore è il numero dei suoi rappresentanti e, quindi, dei
delegati da eleggere).
- D: Quanti sono in totale i delegati da nominare? R: Cinquecentotrentotto, pari
alla somma dei senatori (cento) più i deputati (quattrocentotrentacinque) più i
tre ai quali ha diritto il District of Columbia. Per conseguenza, per arrivare a
White House bisogna ottenere almeno duecentosettanta ‘voti elettorali’.
Ecco i delegati assegnati Stato per Stato a seguito dei risultati del censimento
nazionale del 2010 (le differenze con la precedente distribuzione, se esistenti,
sono evidenziate volta per volta).
La nuova attribuzione sarà valida per le elezioni 2012, 2016, 2020:
Alabama: 9 Alaska: 3 Arizona: 11 (+ 1) Arkansas: 6 California: 55
Colorado: 9 Connecticut: 7 Delaware: 3 District of Columbia: 3 Florida: 29
(+ 2) Georgia: 16 (+ 1) Hawaii: 4 Idaho: 4 Illinois: 20 (- 1) Iowa: 6 (- 1)
Indiana: 11 Kansas: 6 Kentucky: 8 Louisiana: 8 (- 1) Maine: 4 Maryland: 10
Massachusetts: 11 (- 1) Michigan: 16 (- 1) Minnesota: 10 Mississippi: 6
Missouri: 10 (- 1) Montana: 3 Nebraska: 5 Nevada: 6 (+ 1) New Hampshire:
4 New Jersey: 14 (- 1) New Mexico: 5 New York: 29 (- 2) North Carolina:
15 North Dakota: 3 Ohio: 18 (- 2) Oklahoma: 7 Oregon: 7 Pennsylvania: 20
(- 1) Rhode Island: 4 South Carolina: 9 (+ 1) South Dakota: 3 Tennessee: 11
Texas: 38 (+ 4) Utah: 6 (+ 1) Vermont: 3 Virginia: 13 Washington: 12 (+ 1)
West Virginia: 5 Wisconsin: 10 Wyoming: 3
- D: Tutti i cittadini maggiorenni (diciotto anni compiuti) hanno diritto al voto?
R: Sì, ma per esercitare tale diritto – come per candidarsi ad una carica
pubblica – è necessario che il cittadino si iscriva alle ‘liste elettorali’. Non
facendolo, dimostra di non volere praticare un potere che, comunque, gli
appartiene.
- D: Quale fu il primo presidente a risiedere nella dimora presidenziale (non
ancora Casa Bianca, considerato che verrà così denominata solo dopo la sua
ricostruzione conseguente all’incendio appiccato dagli inglesi all’edificio
presidenziale nel 1814)? R: John Adams, nel 1800.
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- D: Quanti sono stati i presidenti USA? R: Barack Obama è conteggiato quale
quarantaquattresimo capo dello Stato americano ma i presidenti sono stati
quarantatre. Fatto è che Grover Cleveland, eletto due volte ma non
consecutivamente, è incluso nell’elenco sia al ventiduesimo che al
ventiquattresimo posto. Al riguardo, da segnalare che la giovane moglie di
Cleveland, Frances Folsom, era così sicura che il marito avrebbe riconquistato
la presidenza, che il 4 marzo 1889, lasciando la Casa Bianca a seguito della
precedente sconfitta ad opera di Benjamin Harrison, chiese al maggiordomo
di tenere tutto in ordine perché aveva intenzione di tornare di lì a quattro anni,
come in verità avvenne.
- D: Quella attualmente in vigore e datata 1787 è la prima Costituzione che gli
Stati Uniti si siano dati? R: No, è la seconda. La prima – denominata ‘Articoli
di Confederazione’ – fu approvata dal Congresso nel novembre dei 1777 e il
suo iter di ratifica da parte degli Stati si concluse nel 1781.
- D: Quando entrò in vigore il cosiddetto ‘Bill of Rights’? R: La Costituzione,
per scelta dei costituenti, non parla dei diritti individuali che sono invece
elencati e garantiti dai primi dieci emendamenti (noti appunto come ‘Bill of
Rights’) entrati in vigore il 15 dicembre 1791.
- D: Quanti sono complessivamente gli emendamenti costituzionali? R:
Ventisette.
- D: Quale movimento politico organizzò la prima convention nazionale? R: Il
partito antimassonico nel 1831 allorché scelse William Wirt come proprio
candidato alla presidenza nelle presidenziali in programma l’anno dopo.
- D: Che cosa è una convention? R: E’ il momento conclusivo verso il quale
tende tutto il sistema dei caucus e delle primarie: è il congresso del partito che
sceglie (ma, il più delle volte, non può che ratificare l’esito delle primarie
svoltesi in precedenza) i candidati alla presidenza, alla vice presidenza e
discute e delibera a proposito del programma elettorale (la cosiddetta
‘platform’).
- D: Che cosa è un caucus? R: Nella sostanza, una riunione ristretta degli
attivisti locali del partito che lo indice al fine di scegliere i delegati dello Stato
alla convenzione. L’espressione deriverebbe dalla lingua algonchina e starebbe
a indicare la riunione dei capi tribù.
- D: In vista di quale elezione presidenziale si adottarono per la prima volta le
primarie già usate nel Wisconsin, a livello statale, dal 1903? R: Di quella del
1912 che vide contrapporsi tra i repubblicani William Taft, Theodore
Roosevelt e Robert La Follette.
- D: Di quanti tipi possono essere le primarie? R: Fondamentalmente, con
qualche variante Stato per Stato, di due: chiuse o aperte. Nelle prime, sono
ammessi al voto solamente gli elettori iscritti nelle sopra citate liste elettorali
come votanti del partito che le ha indette. Nelle seconde (proprio per questo,
dette aperte), possono votare tutti gli elettori e quindi anche gli indipendenti e i
simpatizzanti di altri partiti, sempre purché iscritti alle famose liste elettorali.
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- D: Quanti delegati vengono eletti tra primarie e caucus in vista delle
convenzioni? R: Il numero è variabile e, comunque, non è il medesimo per tutti
i partiti.
- D: Sulla base di quale criterio si decide a proposito del numero di delegati alle
convenzioni eletti in ogni singolo Stato? R: Maggiore il numero degli abitanti,
maggiore il numero dei delegati.
- D: Un solo candidato a White House si vide affiancare da due diversi aspiranti
alla vice presidenza. Chi? R: William Jennings Bryan, nel 1896, avendo
ottenuto la nomination dai democratici ma anche dai populisti.
- D: Quale primaria, tradizionalmente, inaugura la campagna presidenziale? R:
Quella del New Hampshire.
- D: Quale è, tradizionalmente, il primo caucus in calendario? R: Quello dello
Iowa.
- D: Quale fu il primo candidato cattolico alla presidenza? R: Alfred Smith, nel
1928, democratico fu sconfitto da Herbert Hoover. Cattolico e democratico
era altresì John Kerry, battuto nel 2004.
- D: Quale fu il primo (ed unico) presidente cattolico? R: John Kennedy, eletto
per i democratici nel 1960.
- D: Quale fu il primo presidente democratico? R: Andrew Jackson, vincitore nel
1828.
- D: Quale fu il primo candidato repubblicano? R: John Fremont, nel 1856.
- D: Quale fu il primo presidente repubblicano? R: Abraham Lincoln, eletto nel
1860.
- D: Quale fu il primo presidente a morire in carica per cause naturali? R:
William Harrison, nel 1841 a seguito di una polmonite. Dopo di lui, Zachary
Taylor nel 1850, Warren Harding nel 1923 e Franklin Delano Roosevelt nel
1945.
- D: Quale fu il primo vice presidente a subentrare mortis causa a White House?
R: John Tyler, nel 1841.
- D: Quanti e quali i vice in grado di proporsi autonomamente subito dopo avere
esercitato appunto la vice presidenza e di vincere? R: Quattro soltanto: John
Adams nel 1796, Thomas Jefferson nel 1800, Martin Van Buren nel 1836 e
George Herbert Bush nel 1988. Richard Nixon arrivò anch’egli alla Casa
Bianca ma al secondo tentativo. Sconfitto da Kennedy nel 1960, si impose nel
1968.
- D: Quale fu il primo presidente ad essere assassinato? R: Abraham Lincoln,
nel 1865. Dopo di lui, uccisi anche James Garfield nel 1881, William
McKinley nel 1901 e John Kennedy nel 1963.
- D: Quale il primo presidente nero? R: Barack Obama, eletto nel 2008 e in
carica dal 20 gennaio 2009.
- D: Cosa si intende per ‘maledizione dell’anno zero’? R: Dal 1840 e fino al
1960, tutti i presidenti eletti o riconfermati in un anno con finale zero morirono
in carica: William Harrison vittorioso appunto nel 1840, Abraham Lincoln
eletto nel 1860, James Garfield nominato nel 1880, William McKinley di
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nuovo vincitore nel 1900, Warren Harding in carica dopo le elezioni del 1920,
Franklin Delano Roosevelt per la terza volta preferito nel 1940 e John Kennedy
trionfatore nel 1960.
D: Quanti e quali i presidenti in cerca di un secondo mandato sconfitti dagli
sfidanti? R: Dieci e precisamente John Adams nel 1800, John Quincy Adams
nel 1828, Martin Van Buren nel 1840, Grover Cleveland (che poi rivinse nel
1892) nel 1888, Benjamin Harrison nel 1892, William Taft nel 1912, Herbert
Hoover nel 1932, Gerald Ford nel 1976, Jimmy Carter nel 1980, George
Herbert Bush nel 1992.
D: Quale fu il primo presidente ad essere sottoposto ad impeachment? R:
Andrew Johnson, nel 1868. Se la cavò per il rotto della cuffia.
D: Quale fu l’unico presidente che si dimise? R: Richard Nixon, nel 1974 a
seguito dello scandalo Watergate.
D: Quale fu il primo vice presidente subentrato mortis causa alla Casa Bianca
che si ripresentò autonomamente subito dopo la conclusione del mandato
esercitato in luogo del predecessore? R: Theodore Roosevelt, nel 1904. In
precedenza i subentrati John Tyler, Millard Fillmore e Chester Arthur non
avevano riproposto la candidatura al termine del quadriennio da loro iniziato
come vice presidenti.
D: Quale fu la presidenza più corta? R: Quella di William Harrison, durata dal
4 marzo al 4 aprile 1841.
D: Quale fu la presidenza più lunga? R: Quella di Franklin Delano Roosevelt,
in carica dal 4 marzo 1933 al 12 aprile 1945. Il record non potrà mai essere
battuto visto che nel 1951 fu approvato un Emendamento costituzionale che
impone il limite massimo di due mandati (anche se non consecutivi).
D: Quale fu il primo presidente figlio di un altro precedente capo dello Stato?
R: John Quincy Adams, eletto nel 1824 e figlio del secondo presidente John
Adams. Il secondo fu George Walker Bush.
D: Quali presidenti sono arrivati alla Casa Bianca al secondo o terzo tentativo
perché in precedenza sconfitti? R: John Adams, eletto nel 1796, era stato
battuto da Washington sia nel 1789 che nel 1792; Thomas Jefferson, eletto nel
1800, era stato sconfitto da John Adams nel 1796; John Quincy Adams - in
corsa solo per evitare che Monroe fosse confermato all’unanimità la qual cosa
gli avrebbe consentito di eguagliare da questo punto di vista Washington il che
andava evitato - battuto per l’appunto dal citato James Monroe nel 1820, si
rifece nel 1824; Andrew Jackson, superato da J.Q.Adams nel 1824, lo
sconfisse nel 1828; William Harrison, perse le elezioni del 1836 contro Martin
Van Buren, si prese la rivincita nel 1840; Richard Nixon, sconfitto da Kennedy
nel 1960, fu eletto nel 1968.
D: Quale ‘terzo candidato’, esponente di movimento politico diverso da
democratici e repubblicani, ottenne il maggior numero di voti e delegati nelle
elezioni per la presidenza? R: Theodore Roosevelt, fuoriuscito dai
repubblicani, nel 1912.
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- D: Quale è l’unico presidente eletto benché avesse ottenuto sia meno voti
popolari che delegati rispetto ad uno dei suoi rivali? R: John Quincy Adams,
nel 1824 fu battuto da Andrew Jackson che, però, non riuscì a raggiungere il
numero di delegati necessari ad ottenere l’investitura. La Camera dei
Rappresentanti, chiamata a decidere secondo quanto disposto dal XII
Emendamento, si pronunciò per Adams.
- D: Un solo candidato alla Casa Bianca vi arrivò dopo essere stato in
precedenza sconfitto quale aspirante alla vice presidenza. Chi? R: Franklin
Delano Roosevelt, eletto nel 1932 e battuto come vice di James Cox dodici
anni prima, nel 1920.
- D: Un solo presidente entrò in carica senza essere stato eletto né come capo
dello Stato né come vice. Chi? R: Gerald Ford, subentrato a Nixon dopo le sue
dimissioni, era in precedenza succeduto a Spiro Agnew nel mandato vicario
con la prescritta approvazione del Congresso a seguito delle dimissioni dello
stesso Agnew.
- D: Quale è stato il candidato più giovane alla presidenza? R: William Jennings
Bryan, nel 1896 aveva trentasei anni.
- D: Quale è stato il candidato di un partito nazionale più anziano alla Casa
Bianca? R: Ronald Reagan che nel 1984, in corsa per la rielezione, aveva
settantatre anni. Ove si guardi solo alla prima candidatura, John McCain nel
2008 a settantadue anni suonati.
- D: Quale è stato il più giovane presidente eletto? R: John Fitzgerald Kennedy,
che nel novembre del 1960, aveva poco più di quarantatre anni e cinque mesi.
- D: Quale è stato il più giovane presidente in carica? R: Theodore Roosevelt,
che non aveva ancora compiuto quarantatre anni allorché subentrò a William
McKinley il 14 settembre 1901.
- D: Quale è stato il più vecchio presidente in carica? R: Ronald Reagan, che al
momento di lasciare White House (20 gennaio 1989) aveva quasi settantotto
anni.
- D: Una sola donna prima di Sarah Palin (2008) ha fatto parte di un ticket
presidenziale. Di chi si tratta? R: Di Geraldine Ferraro, in corsa per la vice
presidenza per i democratici con Walter Mondale, nel 1984.
- D: Un vice presidente in funzione uccise in duello un avversario politico che
ne aveva ostacolato l’ascesa alla massima carica. Chi era? R: Aaron Burr,
vice di Jefferson dal 1801, che ferì a morte Alexander Hamilton nel 1804.
- D: Un solo presidente è stato eletto in un anno dispari. Chi? R: George
Washington, in occasione della sua prima nomina, nel 1789. Per inciso, la data
fissata per l’insediamento del presidente – che entra in carica l’anno successivo
a quello delle elezioni – è il 20 gennaio a partire dal 1937. Prima, dal 1792 al
1933, si giurava il 4 marzo.
- D: Quale è stato il candidato di un partito minore ma nazionale più volte in
corsa per la Casa Bianca? R: Eugene Debs, socialista, nel 1904, nel 1908, nel
1912 e nel 1920.
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- D: Oltre Debs, quali altri candidati, appartenenti però a partiti nazionali non
minori nelle loro rispettive epoche, sono stati sconfitti in più occasioni? R:
George Clinton, nel 1792 e nel 1808; C.C.Pinckney, nel 1800, nel 1804 e nel
1808; Henry Clay, nel 1824, nel 1832 e nel 1844; William Jennings Bryan, nel
1896, nel 1900 e nel 1908; Thomas Dewey, nel 1944 e nel 1948; Adlai
Stevenson (omonimo e nipote di un vice presidente dell’Ottocento), nel 1952 e
nel 1956.
- D: In una sola occasione due candidati ottennero il medesimo numero di
delegati. Chi erano e quando? R: Nelle elezioni del 1800 Thomas Jefferson e
Aaron Burr conquistarono settantatre voti ‘elettorali’ a testa. La Camera dei
Rappresentanti, come prescritto, si pronunciò in merito e al trentaseiesimo
scrutinio scelse Jefferson.
- D: Ci sono stati candidati presidenziali comunisti? R: Sì, il più importante
(anche perché appoggiato nel 1932 da molti intellettuali di larga fama) fu
William Zebulon Foster.
- D: Quanti e quali sono gli Stati fondatori dell’Unione? R: Sono tredici (tanti
quante le strisce nella bandiera americana) e precisamente: Connecticut,
Delaware, Georgia, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New Jersey,
New York, North Carolina, Pennsylvania, Rhode Island, South Carolina,
Virginia.
- D: In quale anno è stato istituito il District of Columbia? R: Nel 1790.
- D: In quale ordine sono entrati nell’Unione i restanti trentasette Stati? R: 1791
Vermont, 1792 Kentucky, 1796 Tennessee, 1803 Ohio, 1812 Louisiana, 1816
Indiana, 1817 Mississippi, 1818 Illinois, 1819 Alabama, 1820 Maine e
Missouri, 1836 Arkansas, 1837 Michigan, 1845 Florida e Texas, 1846 Iowa,
1848 Wisconsin, 1850 California, 1858 Minnesota, 1859 Oregon, 1861
Kansas, 1863 West Virginia, 1864 Nevada, 1867 Nebraska, 1876 Colorado,
1889 Montana, North Dakota, South Dakota e Washington, 1890 Idaho e
Wyoming, 1896 Utah, 1907 Oklahoma, 1912 Arizona e New Mexico, 1959
Alaska e Hawaii.
- D: Quale è stata l’ultima convention alla quale nessuno dei candidati in corsa si
sia presentato con un sufficiente numero di delegati per ottenere subito la
nomination? R: Quella democratica di Chicago del 1968. Alla fine, fu
prescelto il vice presidente in carica Hubert Humphrey che non aveva neppure
preso parte alle primarie.
- D: Chi per primo parlò di Spoils System? R: L’espressione trae origine da una
frase pronunciata da William L. Marcy, sostenitore di Andrew Jackson, che
per giustificare la pratica messa in atto dal presidente di premiare i propri amici
con incarichi pubblici sottratti ai rivali politici, disse: “Non vedo niente di male
nel principio che le spoglie dell’avversario appartengano al vincitore”.
- D: Quale presidente fece la prima ‘nomina di mezzanotte’? R: John Adams, il
quale la sera del 3 marzo 1801 (ultimo giorno del suo mandato) nominò
presidente della Corte Suprema il proprio collega di partito John Marshall che
restò in carica fino al 1835.
37
- D: Quando è entrata in vigore la Legge Federale che regola la materia
elettorale stabilendo che le votazioni per White House si svolgano “il primo
martedì dopo il primo lunedì” del mese di novembre? R: Nel 1792.
- D: Da quando il partito democratico ha per emblema l’asino? R: Dal 1828,
allorché Andrew Jackson, candidato democratico alla Casa Bianca, fu definito
appunto un asino dagli avversari.
- D: Da quando i repubblicani hanno per simbolo un elefante? R: Il pachiderma
fu ‘inventato’ come emblema del GOP (Grand Old Party, così venne
denominato il partito tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento) dal
cartoonist Thomas Nast e apparve per la prima volta su Harper’s Weeckly il 7
novembre del 1874.
- D: Quale partito vide entrambi i suoi candidati eletti a White House morire in
carica? R: I whigs: William Harrison, eletto nel 1840 e deceduto nel 1841, e
Zachary Taylor, eletto nel 1848 e morto nel 1850. Fra l’altro, i whigs, nel loro
programma, chiedevano che non fosse possibile essere eletti una seconda volta.
Ad evitare che ciò succedesse, morirono in corso di mandato.
- D: Quali presidenti hanno vinto pur avendo ricevuto meno voti popolari a
livello nazionale del rivale sconfitto? R: John Quincy Adams, 1824;
Rutherford Hayes, 1876; Benjamin Harrison, 1888; George Walker Bush,
2000.
- D: Quanti vice presidenti ha avuto Franklin Delano Roosevelt? R: Tre e
precisamente John Garner nei primi due mandati, Henry Wallace nel terzo e
Harry Truman nei tre mesi scarsi nei quali, prima di morire, governò, nel
quarto.
- D: Quale presidente ha nominato il primo segretario di stato donna? R: Bill
Clinton che scelse Madeleine Albright nel 1997.
- D: Quale presidente ha nominato il primo segretario di Stato nero? R: George
Walker Bush che chiamò nel quadriennio 2001/2005 Colin Powell. Nel
successivo mandato, Bush concesse la medesima carica a Condoleezza Rice,
primo segretario di Stato donna e nera.
- D: Quale il primo candidato nero in grado di affermarsi almeno in una
primaria? R: Il democratico Jesse Jackson nel 1984 (si ripropose poi quattro
anni dopo).
- D: Quale la prima donna capace di vincere almeno una primaria? R: Hillary
Rodham Clinton nel 2008.
- D: Quale il primo candidato nero capace di conquistare la nomination? R: Il
senatore democratico dell’Illinois Barack Obama nel 2008.
- D: Quale il primo candidato a White House di origini ebraiche? R: Barry
Goldwater, repubblicano e senatore dell’Arizona, travolto da Lyndon Johnson
nel 1984.
- D: Quali i presidenti scolpiti nella pietra da Gutzon Borglum sul Monte
Rushmore negli anni Trenta del Novecento? R: George Washington, Thomas
Jefferson, Abraham Lincoln e Theodore Roosevelt.
38
- D: Quanti, a partire dal confronto del 1856 (il partito repubblicano fu fondato
nel 1854 e si presentava quindi nel citato anno per la prima volta), gli scontri
per la presidenza tra repubblicani e democratici? R: Trentanove a tutto il 2008.
In ventitre occasioni ha vinto il repubblicano, in sedici il democratico. Gli eletti
repubblicani sono stati sedici, quelli democratici dieci.
- D: Chi fu il primo presidente ‘davvero’ americano? R: Martin Van Buren il
quale, nato nel 1782, fu in effetti il primo inquilino di White House ad essere
venuto al mondo dopo la dichiarazione di indipendenza degli USA.
- D: Ci sono stati presidenti scapoli? R: Due, ma mentre il primo, James
Buchanan, rimase tale, il secondo, Grover Cleveland, si sposò nel 1886 con
una cerimonia del tutto privata.
- D: Molti, come si è visto, i presidenti morti in carica, ma quanti quelli rimasti
vedovi? R: Due ed entrambi si risposarono in corso di mandato: John Tyler e
Woodrow Wilson.
- D: Quale la prima ‘vera’ first lady? R: Julia Gardiner, seconda moglie del
predetto Tyler. Più giovane del marito di trent’anni, colta e abituata alla vita di
società, seppe muoversi con personalità e dare una sua impronta alla fino allora
grigia vita presidenziale. La stampa parlò di lei – ed era appunto la prima volta
che ciò accadeva a proposito di una consorte del capo dello Stato – come della
‘presidentessa’.
- D: Quale il primo presidente coinvolto in scandali ‘rosa’? R: Grover Cleveland
che fu accusato nel corso della campagna elettorale del 1884 di essere un
donnaiolo e di avere anche un figlio illegittimo. Il futuro capo di Stato fece una
cosa che nessun altro dopo di lui ha più ripetuto a fronte di accuse che
riguardassero i rapporti con il gentil sesso: ammise tutto e lo scandalo si
sgonfiò. Poco dopo, in carica e prima del precitato matrimonio, accusato di
fare entrare e uscire un po’ troppe ‘donnine’ da White House, pubblicamente
disse “Gli americani sanno di non avere eletto un eunuco”.
- D: Quali i colori dei due partiti principali? R: Rosso per i repubblicani e blu
per i democratici, ragione per la quale gli Stati che usualmente votano per i
primi sono chiamati ‘Red States’ e quelli che si esprimono per i secondi ‘Blue
States’.
- D: Quanti sono di solito i votanti? R: Intorno al cinquanta/cinquantacinque per
cento degli aventi diritto. In rarissime occasioni – così nel 1960 per
Kennedy/Nixon – superano ma non di molto il sessanta per cento.
- D: Chi fu il primo vice presidente? R: John Adams, poi successore di
Washington.
- D: Quali i requisiti richiesti per poter legittimamente aspirare alla presidenza?
R: Essere cittadini degli USA dalla nascita, risiedere negli USA da almeno
quattordici anni, avere almeno trentacinque anni d’età.
- D: Perché si vota “il primo martedì dopo il primo lunedì” di novembre? R:
Perché, essendo la domenica giorno del Signore appunto di domenica non si
può votare. Dovendo poi lasciare agli elettori il tempo per spostarsi dove sono i
39
seggi (il giorno di lunedì), ecco che si vota di martedì. Non semplicemente il
primo martedì perché potrebbe cadere il giorno 1 che è Ognissanti e quindi…
40
PARTE QUARTA
NUMERI
41
57
Nel 2012, gli americani sono chiamati alle urne per eleggere il presidente per la
cinquantasettesima volta.
44 o 45
Nell’ipotesi in cui Barack Obama, quarantaquattresimo capo dello Stato, fosse
riconfermato non si avrebbe, come invece ove fosse sconfitto, il presidente numero
quarantacinque.
19 e 17
Qualora dovesse prevalere il candidato repubblicano, avremmo il diciannovesimo
Gop della storia a White House.
Dappoiché Chester Arthur e Gerald Ford, vice subentrati in corso di mandato
rispettivamente a James Garfield e a Richard Nixon, ovviamente non vinsero a
seguito di una campagna elettorale, avremmo invece a Washington il diciassettesimo
repubblicano capace di prevalere nelle urne.
14 e 16
Contando Obama, i democratici eletti sono finora quattordici, mentre quelli in carica
sedici visto che John Tyler ed Andrew Johnson, vice di William Harrison il primo
e di Abraham Lincoln il secondo, completato il quadriennio del predecessore, non si
ricandidarono.
23 e ancora 16
Se si guarda ai confronti elettorali diretti democratici/repubblicani e ricordando che
questi ultimi si sono presentati per la Casa Bianca solo a partire dal 1856 essendosi
costituiti in partito nel 1854, il Gop ha vinto in ventitre occasioni e il partito
dell’asino in sedici.
88 e 68
Sempre a far luogo del 1856, i repubblicani hanno governato per totali ottantotto
anni.
I rivali, sessantotto se si tiene conto dell’intero mandato Obama e, soprattutto, ove si
considerino appunto democratici i quattro anni di governo di Andrew Johnson, in
verità vice del repubblicano Lincoln e a costui subentrato causa mortis.
(Essendo in corso la Guerra di Secessione, nel 1864, Abramo Lincoln, a
dimostrazione che anche fra i democratici si potevano annoverare degli antischiavisti,
aveva scelto come candidato vice il predetto Johnson appartenente allo schieramento
politico rivale).
4
Mitt Romney è stato nel 2008 ed è oggi il quarto mormone che aspiri ufficialmente
alla Casa Bianca.
42
Prima di lui, da indipendente, nel 1844 il fondatore della sua religione Joseph Smith,
il padre George Romney nel 1968 (sconfitto da Nixon nelle primarie) e il senatore
anziano dello Utah Orrin Hatch nel 2000 (battuto da George Walker Bush nella
corsa per la nomination).
43
APPENDICE
La seconda volta:
cosa è successo quando un presidente ha chiesto,
come Obama oggi, un secondo mandato?
Una indispensabile premessa per capirci: i presidenti, dal 1792, entrano in carica
nell’anno successivo a quello elettorale e terminano il mandato quattro anni dopo la
predetta entrata in carica. Per fare un esempio, Obama, vittorioso nel 2008, ha
giurato nel 2009 e decade nel 2013 salvo, se riconfermato nel 2012, dare il via nel
predetto 2013 ad un secondo quadriennio che terminerà nel 2017.
Per cominciare, come mai, fino a Franklin Delano Roosevelt e al 1940, nessun
presidente in carica da otto anni si è riproposto per un terzo mandato?
(Per inciso, il secondo or ora nominato Roosevelt, poi, fu eletto addirittura quattro
volte morendo nel 1945, all’inizio appunto del quarto incarico, la qual cosa indusse
il Congresso e gli Stati ad approvare l’Emendamento costituzionale del 1951 che non
concede a chi abbia ricoperto l’ufficio per due quadrienni una terza possibilità).
In qualche modo per seguire l’esempio di George Washington il quale, invitato a
ripresentarsi nelle elezioni del 1796, rifiutando una certissima conferma, rispose
“Nessun uomo è in grado di sostenere oltre due mandati un simile peso”.
Ma veniamo al dunque che ritengo debba interessare in considerazione del fatto che
in questo 2012 Barack Obama chiede agli americani proprio una seconda investitura
nelle urne.
Detto di Washington, in sella dal 1789 al 1797 avendo vinto nel medesimo 1789
(l’unica volta nella quale le elezioni ebbero luogo in anno dispari) e nel 1792, il
successore John Adams fu a capo dello Stato dal 1797 al 1801 dato che il suo
tentativo di ottenere un secondo mandato fu vano.
Venne, difatti, sconfitto nelle votazioni del 1800 arrivando addirittura terzo.
Dopo di lui, Thomas Jefferson che, compiuti i primi quattro anni venne facilmente
confermato nel 1804 per ritirarsi allo scadere del secondo quadriennio.
Seguono, entrambi rieletti e dipoi volontariamente out, James Madison e James
Monroe.
E’ quindi John Quincy Adams il secondo (dopo il padre!) presidente sconfitto nel
tentativo di ottenere la conferma, precisamente nel 1828.
Lo scalza Andrew Jackson che ottiene una larga conferma nel 1832 e poi si ritira.
Il terzo capo dello Stato desideroso di restare alla Casa Bianca sconfitto nelle urne è
Martin Van Buren che nel 1840 perde da William Harrison.
Questi muore un mese dopo l’insediamento ed è - come dopo di lui Zachary Taylor,
James Garfield, Warren Harding e John Kennedy, tutti deceduti in corso di primo
mandato - da tale punto di vista evidentemente fuori gioco.
44
E’ necessario a questo punto arrivare ad Abraham Lincoln per vedere una
ricandidatura arrivata a buon fine (1864) considerato che John Tyler, James Polk, il
predetto Zachary Taylor causa decesso, Millard Fillmore, Franklin Pierce e James
Buchanan, terminati i rispettivi primi quadrienni (o meno: Tyler e Fillmore erano vice
subentrati), si ritirarono.
Doppio, tranquillo mandato, invece, per Ulysses Grant eletto nel 1868 e confermato
nel 1872.
Quindi, otto anni inquieti e presidenze complicate a dir poco: Rutherford Hayes,
eletto in seguito ad un compromesso, dura solo quattro anni e se ne va, Garfield viene
ucciso e il vice Chester Arthur porta a termine il mandato e basta.
Ed eccoci alla contesa Grover Cleveland/Benjamin Harrison, un caso unico.
Il primo vince nel 1884, cerca una ‘seconda volta’ nel 1888 e perde appunto da
Harrison, che riuscirà a sua volta a scalzare, tornando dopo un intervallo di un
quadriennio a White House, nel seguente 1892!
Dopo William McKinley, eletto nel 1896 e rieletto nel 1900, siamo al primo vice
presidente subentrato mortis causa al titolare che, portato a termine il mandato del
predecessore, si ripropone autonomamente.
E’ Theodore Roosevelt, alla Casa Bianca per l’assassinio di McKinley, la cui
ricandidatura vincente nel 1904 non si deve considerare ai nostri fini non essendo la
seconda di un presidente in carica.
Il successore William Taft non riesce nel 1912 a farsi rieleggere perdendo da
Woodrow Wilson (arriva addirittura terzo) il quale, invece, ottiene la conferma e se
ne va nel 1921.
Morto in carica Harding, il vice Calvin Coolidge lo sostituisce, si ripropone nel
1924, vince e si ritira non cercando nel 1928 una conferma. Come Theodore
Roosevelt, a causa delle ora ricordate vicissitudini, non va considerato tra i presidenti
capaci di conquistarsi altri quattro anni a White House.
Herbert Hoover, vittorioso nel 1928 e in sella dall’anno seguente, nel 1932 viene
sonoramente battuto dal predetto Franklin Delano Roosevelt le cui quattro campagne
vincenti abbiamo rammentato all’inizio.
Harry Truman, da vice succeduto mortis causa nel 1945, imita Theodore Roosevelt e
Calvin Coolidge: vince la campagna ‘in proprio’ successiva al subentro, nel 1948, e
non affronta quella successiva.
Doppio mandato facile, subito dopo, per Dwight Eisenhower al quale succede John
Kennedy e tutti conoscono la sua tragica fine a Dallas il 22 novembre 1963 durante il
primo quadriennio.
Lyndon Johnson - pare una condanna o quasi - da vice succeduto, come ripeto, mortis
causa percorre l’iter dei predecessori T.Roosevelt, Coolidge e Truman non chiedendo
un secondo mandato nel 1968.
Otto anni dovrebbe durare dipoi Richard Nixon, vittorioso nel 1968 e nel 1972, se
non fosse costretto alle dimissioni nel 1974 dallo scandalo Watergate.
Ed eccoci a Gerald Ford, il primo vice succeduto (non mortis causa, per il vero) che
riproponendosi immediatamente (Fillmore lo aveva fatto anche lui soccombendo, ma
nel 1856 avendo lasciato passare un mandato) perde.
45
Otto anni pieni quelli di Ronald Reagan, vincitore nel 1980 e nel 1984, in grado di
scalzare nella prima delle due tornate ora citate il poco efficace successore di Ford
Jimmy Carter.
Anche George Herbert Bush regna per un solo quadriennio sconfitto (1992) nel
tentativo di procurarsene un altro da Bill Clinton che invece permarrà tranquillamente
nella sede presidenziale per otto anni.
Altrettanto accade subito dopo a George Walker Bush.
E siamo al 2012.
Riepilogando, gli inquilini di White House eletti in proprio (e non in quanto facenti
parte del ticket come candidati vice) che hanno cercato un secondo mandato sono in
totale, Obama incluso, venticinque.
Dei ventiquattro che prima di lui ci hanno provato, sedici (uno dei quali, Cleveland,
al secondo tentativo) sono riusciti nell’impresa.
Una buona maggioranza sedici su ventiquattro, pari a due terzi.
N.B. Il molte volte citato Theodore Roosevelt, fu protagonista di un caso particolare.
Non ripresentatosi volontariamente nel 1908, si ripropose perdendo nel 1912 e quindi
non per il mandato immediatamente successivo.
46
CRONACA DELLA CAMPAGNA
ELETTORALE 2012
Gli interventi qui raccolti a
formare una cronaca
della campagna elettorale
2012 per la Casa Bianca,
vergati di volta in volta
seguendo gli accadimenti,
non essendo concepiti
come un tutt’uno,
presentano ripetizioni,
riguardo a concetti
o circostanze,
che non ho ritenuto
di eliminare
47
Nelle pagine che seguono,
testi introduttivi esclusi,
a caratteri normali e datati
i risultati elettorali e
gli accadimenti di maggior rilievo,
in corsivo le riflessioni
e i riferimenti suggeriti
dall’evoluzione degli eventi
48
INTRODUZIONE
Riuscirà Barack Obama a riconquistare la Casa Bianca o, seguendo le tristi orme di
Jimmy Carter e Bush padre, avendo ampiamente fallito, dovrà lasciarla dopo soli
quattro anni?
Riuscirà il partito repubblicano a riportare in sella uno dei suoi?
Certo, la crisi economica è grave anche negli USA.
Certo, la storia ci dice che mai nessun presidente si è visto confermare l’incarico con
un tasso di disoccupazione pari o superiore all’otto per cento ed oggi qualcuno
sostiene che tocchi addirittura il dieci.
Certo, tra i rivali Gop serpeggia l’idea che alla fine chi tra loro otterrà la nomination
sarà a cavallo tanto Obama appare fragile.
Ma, a ben guardare, Mitt Romney, il favorito tra loro e a mio modo di vedere il
miglior possibile candidato, se prescelto, avrà non poche difficoltà a compattare il
partito recuperando la sempre decisiva ala destra e, in particolare, gli Evangelici e i
‘Tea Party’.
A tal fine, da ‘repubblicano del cuore’, presuntuosamente?, ho steso un appello
rivolto agli or ora citati signori, appello che qui riproduco.
“Il 16 gennaio 2008, agli albori della campagna per la scelta attraverso primarie e
caucus del pretendente repubblicano a White House, pubblicavo un articolo
intitolato ‘Mitt Romney, il candidato perfetto’.
Dal 1956, non mi era mai capitato di puntare nelle presidenziali americane su un
cavallo perdente e contavo di vincere anche in quella occasione.
Non è andata e quando, sconfitto Romney da McCain e arrivato Obama alla Casa
Bianca, qualcuno ebbe a sottolineare la mia errata previsione, risposi che non io
avevo sbagliato ma il popolo americano.
La storia mi ha dato ragione ed ecco che Mitt è ora in testa nei sondaggi, si avvia a
vincere le primarie e tutti ritengono possa facilmente prevalere sul presidente in
carica.
Ma c’è un problema: uomo della destra economica, Romney ha difficoltà a fare
breccia tra i ‘duri e puri’ del ‘Tea Party’ e tra i decisivi Evangelici.
Lancio, qui e adesso, un appello al quale chiedo di aderire a tutti gli amici italiani
che ben si rendono conto della assoluta necessità di un tale ricambio a White House,
un appello
rivolto a tutte le componenti repubblicane USA e in particolare ai predetti ‘Tea
Party’ ed Evangelici perché spazzino via dubbi e incertezze e, compatti, si schierino
per Mitt.
La ‘traversata del deserto’ voluta scegliendo di non appoggiare McCain ha
dimostrato ampiamente che il campo democratico, come quasi sempre è accaduto,
non è in grado di ben governare.
E’ il momento di ricompattare le fila GOP e vincere.
49
Gli Stati Uniti e il mondo hanno bisogno di una guida forte e sicura.
Non perdete, amici, non perdiamo l’occasione!”
Tornando a noi, i giochi sono da mesi in corso in casa Gop e dal 3 gennaio, in Iowa
per il primo tradizionale appuntamento, si comincerà a fare sul serio.
Novembre 2011
50
CALENDARIO DELLA PRIMARIE E DEI CAUCUS
REPUBBLICANI
(In campo democratico ad oggi nessuno ha osato opporsi ad Obama e quindi è solo il
calendario Gop che occorre conoscere.
Rammento che quello che segue è un ordine di convocazione di caucus e primarie
suscettibile di alcune variazioni)
Nota bene
Nella campagna elettorale 2008, in molti Stati, i delegati Gop venivano attribuiti col
metodo ‘winner take all’ in ragione del quale chi prevaleva per voti popolari
conquistava tutti o larga parte dei ‘voti elettorali’ in palio.
Tale regola (persistente, per esempio, in Florida e in Arizona e. solo nel caso in cui
un candidato ottenga oltre in cinquanta per cento dei suffragi, in pochi altri territori) è
decisamente attenuata nel 2012 visto che spesso si applicherà, invece, il sistema
proporzionale.
January 2012
•
•
•
•
January 3 – Iowa
January 10 – New Hampshire
January 28 – South Carolina
January 31 – Florida
February 2012
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•
•
February 4 – Nevada, Maine Caucuses
February 7 – Colorado, Minnesota, Missouri
February 28 – Arizona , Michigan
March 2012
•
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•
•
•
•
•
March 3 – Washington
March 6 - (Super Tuesday) Alaska, Georgia, Idaho, Massachusetts, Ohio,
North Dakota, Oklahoma, Tennessee, Virginia, Vermont.
March 10 – Kansas, Northern Marianas, Guam, Virgin Islands
March 13 – Mississippi, Alabama, Hawaii, American Samoa
March 18 – Puerto Rico
March 20 - Illinois
March 24 – Louisiana
51
April 2012
•
•
April 3rd – Maryland, Washington D.C., Wisconsin
April 24 -Pennsylvania, Connecticut, Delaware, New York, Rhode Island
May 2012
•
•
•
•
May 8 -Indiana , North Carolina, West Virginia
May 15 – Nebraska, Oregon
May 22 – Arkansas, Kentucky
May 29th – Texas
June 2012
•
•
June 5 – California, Montana, New Jersey, New Mexico, South Dakota
June 26 – Utah
La convention Gop è fissata a Tampa (Florida) nella settimana del 27 agosto.
La convention democratica è in programma a Charlotte (North Carolina) nella
successiva, quella del 3 settembre.
I delegati necessari per ottenere la ‘nomination’ tra i repubblicani sono
millecentoquarantaquattro (1144) essendo duemiladuecentoottantasei (2286) in totale
gli eligendi.
Da sottolineare il fatto che, nel mentre la gran parte dei ‘delegates’ prescelti resta
vincolata al mandato ricevuto ed obbligata in sede di ‘convention’ a votare per il
candidato al quale è legata o a seguirne le indicazioni (delegati ‘pledged’), altri, in un
numero decisamente inferiore, sempre nel corso della ‘convention’, sono liberi di
esprimersi anche altrimenti (delegati ‘enpledged’).
Inoltre, nell’occasione, i Gop, ancora in sede di ‘convention’, prevedono la presenza
di un certo numero di ‘superdelegates’ in rappresentanza dei singoli partiti statali il
cui voto si aggiunge a quello dei delegati eletti.
52
Nota in premessa
Nelle pagine che seguono, si farà spesso cenno ai sondaggi che, oramai da
decenni e sempre con maggiore precisione, indicano le preferenze degli
elettori.
Necessario, non solo opportuno, sottolineare con forza che, nel mentre i
rilievi a livello statale (che so? Florida, Texas, New York…) sono da
considerare con attenzione, non altrettanto deve farsi a proposito dei
sondaggi nazionali, relativi all’intera Confederazione.
I delegati si conquistano Stato per Stato e si risulta eletti appunto vincendo
il voto elettorale nei singoli Stati.
In ben quattro occasioni (1824, 1876, 1888 e 2000), la Casa Bianca fu
conquistata da un candidato (nell’ordine, John Quincy Adams, Rutheford
Hayes, Benjamin Harrison, George Walker Bush) perdente per suffragio
popolare nell’intero Paese.
53
A GIOCHI NON ANCORA
UFFICIALMENTE APERTI
22 NOVEMBRE 2011
Romney guida il gruppo GOP.
Continua il braccio di ferro tra i candidati repubblicani alla nomination.
Michele Bachmann e Rick Perry, in testa ai sondaggi con Romney per qualche
tempo, dimostrando una certa inconsistenza la prima e tra gaffe e amnesie il secondo,
vanno perdendo terreno.
Il nero Herman Cain, in grande spolvero per la sua semplice o forse semplicistica
proposta economica, dimostra di non avere cognizione alcuna delle politiche estere
dell’amministrazione in carica che pure critica a priori e vien fatto di pensare che non
abbia la minima idea della collocazione geografica di buona parte del mondo né di
chi siano e dove operino i talebani.
Resta, immarcescibile, a galla il ‘candidato inevitabile’ Mitt Romney che, a parte le
indubbie e riconosciute capacità, conta sulla pochezza dei rivali.
Qualche democratico pensa sia meglio mettere in campo Hillary.
E in campo liberal, tutto bene o c’è qualcuno che pensa che la cosa migliore sarebbe
la non riproposizione di Obama e la presentazione, magari, di Hillary Clinton?
E’ quel che invero va succedendo per iniziativa di alcuni vecchi guru elettorali del
partito dell’asino.
Due di questi – Patrick Caddell che nel 1976 lavorava per Jimmy Carter, e Douglas
Schoen, a fianco di Bill Clinton nel 1992 – intervenendo sull’autorevole ‘Wall Street
Journal’, hanno auspicato appunto il ritiro dopo un solo mandato del debolissimo
presidente e il ritorno in campo di Hillary “per evitare che l’America cada nelle mani
di un partito repubblicano spostatosi troppo a destra”.
A tale proposito, rammento che l’ultimo caso di un presidente eletto (non subentrato
in quanto vice, come, ad esempio, Harry Truman) che ha rinunciato ad un secondo
mandato proprio si perde nella notte dei tempi trattandosi nientemeno che di
Rutheford Hayes, arrivato alla Casa Bianca tra infinite polemiche e dopo mille ricorsi
attraverso un accordo definito ‘il Compromesso del 1877’ e non ripropostosi nel
successivo impegno elettorale del 1880.
54
Confronti, dibattiti, Hillary e Condoleezza
Mesi e mesi di confronti.
Dibattiti su tutto e sul nulla.
I media pronti a sottolineare, enfatizzandoli, veri o supposti sbandamenti dei
candidati.
Salite e discese di questo o di quello nei sondaggi.
Scandaletti sessuali.
E, insomma, pare proprio che il perfetto politico USA non possa più amare le donne
e darsi da fare per conquistarle.
Per carità!.
Meglio se gli piacciono gli uomini?
Forse.
E per quanto Romney continui bene o male a guidare la corsa, e per quanto nessuno
in campo democratico osi sfidare Obama, ecco che, con qualche insistenza, si parla
tra i Gop di Condoleezza Rice e tra i liberal di Hillary Clinton.
Magari quali candidate alla vice presidenza, non si sa mai.
Chi vivrà vedrà.
In vista di Iowa e New Hampshire
Ci siamo o quasi.
Per fortuna, tutto il bailamme in casa repubblicana sta per cessare.
Il 3 gennaio in Iowa e il 10 successivo in New Hampshire si vota.
Un caucus e una primaria, di martedì e per dare il via, secondo tradizione.
Qualcuno tra i troppi pretendenti del partito dell’elefante, a risultati acquisiti, dovrà
forzatamente ammainare bandiera.
Meglio così.
55
1 GENNAIO 2012
Lo scenario
Poche ore e in Iowa (caucus) si voterà.
I sondaggi, unanimi, prevedono una vittoria di misura di Mitt Romney su Ron Paul
con Rick Santorum in terza posizione.
Sempre i sondaggi dicono che il prossimo 10 gennaio, nel New Hampshire
(primaria), il predetto Romney dovrebbe assai nettamente prevalere.
Dovessero essere questi i risultati, si delineerebbe un serio tentativo di fuga ad opera
dell’ex governatore del Massachusetts che rafforzerebbe grandemente la sua naturale
posizione di leader attirando consensi e quattrini i quali ultimi non guastano e non
bastano mai in una campagna lunga e costosissima quale quella americana.
Non va dimenticato che, per quanto Mitt non sembri riscaldare molto i cuori, è il solo
tra i pretendenti Gop ad avere davvero le carte in regola per strappare a Obama e ai
democratici White House.
56
PARTE PRIMA
57
LA LUNGA CORSA REPUBBLICANA
(La domanda alla quale si deve rispondere:
“E’ davvero Mitt Romney il ‘candidato
inevitabile e l’unico in grado di battere
Obama?’”)
3 GENNAIO 2012
Il Caucus dell’Iowa
Di strettissima misura (solo otto voti popolari di margine su Rick Santorum), ma
confermando il pronostico e collocandosi da subito in testa (front runner), Mitt
Romney ha vinto il fatidico caucus dell’Iowa.
Ove si rammenti il grande sforzo compiuto dal rivale del momento – è andato in tutte
le novantanove contee per incontrare i Gop locali e convincerli - per cercare di
soffiargli lo Stato e il fatto che i repubblicani di quelle terre sono per la maggior parte
di estrema destra ed evangelici, si tratta per Mitt di un ottimo risultato.
Visto poi che i sondaggi lo danno nettamente in testa nelle intenzioni di voto nella
primaria del New Hampshire e che i due a lui oggi prossimi in termini di suffragi
debbono essere considerati in verità fuori gioco a corsa lunga…
Guardando ai rivali, in prospettiva e secondo gli analisti, ‘seri’ - out la Bachmann che
ha annunciato la propria uscita di scena – sono decisamente in affanno sia Perry (che
ha dichiarato di rientrare nel suo Texas per riflettere) che Gingrich.
Ecco gli esiti dell’Iowa come annunciati dai capi Gop:
I) Mitt Romney, voti 30.015 pari al 25% circa
II) Rick Santorum, voti 30.007 pari al 25% circa
III) Ron Paul
IV) Newt Gingrich
V) Rick Perry
VI) Michele Bachmann
Conseguenze
Seguendo l’esempio dell’ex presidente George Walker Bush che l’aveva fatto
qualche giorno fa, il senatore John McCain, candidato repubblicano contro Obama
nel 2008, si è schierato con Mitt Romney contribuendo decisamente a rafforzare la
sua leadership.
58
10 GENNAIO 2012
New Hampshire: la conferma di Mitt
Nessun candidato Gop – presidenti in carica a parte – prima di Mitt Romney aveva
mai vinto sia il caucus dell’Iowa che la primaria del New Hampshire.
Se a Des Moines il mormone si era imposto d’un soffio, netta (oltre il trentanove per
cento dei suffragi), invece, la sua affermazione a Concord.
Come previsto, in netto calo nel ‘Grand State’ il cattolico ‘duro e puro’ Rick
Santorum nel mentre, in declino probabilmente inarrestabile la stella di Newt
Gingrich e disperso Rick Perry, un qualche successo ottiene John Huntsman, l’ex
ambasciatore, che, snobbando il caucus dell’Iowa, aveva concentrato qui tutti i propri
sforzi.
Regge e bene il libertario Ron Paul che non vanta comunque nessuna seria speranza
di raggiungere la nomination.
Questo il quadro in vista del South Carolina dove si vota sabato 21 gennaio.
Dovesse, come i sondaggi dicono, prevalere anche là e dipoi in Florida, chi mai potrà
fermare la corsa di Romney verso l’incoronazione?
I risultati come annunciati dai dirigenti Gop:
I) Mitt Romney 39,4%
II) Ron Paul 22,8%
III) John Huntsman 16,8%
IV) Newt Gingrich 9,4%
V) Rick Santorum 9,3%
59
Texas meeting
Preoccupati per la consistenza della candidatura – che si appalesa vincente – di Mitt
Romney, convinti che l’ex governatore del Massachusetts non possa rappresentare
appieno le loro istanze, centocinquanta leader evangelici si sono trovati nei trascorsi
giorni in un ranch del Texas per decidere se e chi tra i candidati Gop sia opportuno
sostenere.
Al termine dei lavori, si sono espressi a favore di Rick Santorum le cui quotazioni,
per conseguenza, quanto meno nelle zone e negli Stati nei quali gli evangelici hanno
voce in capitolo, sono destinate a mantenersi a buon livello.
Cosa dicono i sondaggi?
a) Ad oggi 15 gennaio, secondo il Behavior Research Center, Arizona, a livello di
confronto finale, gli orientamenti di voto sarebbero i seguenti:
Obama/Romney 37 a 43%
Obama/Paul 44 a 36
Obama/Gingrich 45 a 35
Obama/Santorum 43 a 34
Si conferma, quindi, l’indicazione di Mitt Romney quale unico repubblicano in grado
di sottrarre la Casa Bianca ai democratici
b) Guardando specificamente ai Gop, quanto al confronto su base federale, l’Ipsos
Reuters Center colloca Romney in testa col 41%. Secondo è Santorum con il 14%.
Segue Gingrich con il 9%.
c) Riguardo, infine, al South Carolina, chiamato alle urne già il prossimo sabato (21
gennaio), il medesimo istituto prevede Romney al 37%, Gingrich al 12, Paul al 16,
Santorum al 14, Huntsman al 2, Perry al 5.
Alto, pari al 25%, il numero degli incerti.
John Huntsman si ritira
Già fuori gioco, e fin dall’Iowa, Michele Bachmann e praticamente Rick Perry, ecco
che, dopo un paio di giorni di riflessione, anche il New Hampshire miete una sua
vittima.
Si tratta dell’ex ambasciatore in Cina John Huntsman che, per quanto avesse
concentrato, trascurando l’Iowa, proprio nel New Hampshire tutti i propri sforzi e
benché si fosse colà onorevolmente classificato, oggi ha annunciato il ritiro dalla
corsa dei Gop verso la nomination.
Nel comunicare la decisione, ha inoltre dichiarato il proprio appoggio a Mitt
Romney, definito “il repubblicano che, benché lontano per alcuni versi dalle mie
posizioni, è bene sostenere perché in grado di sconfiggere a novembre Obama”.
Alla vigilia della primaria del South Carolina
Esattamente tra un anno, alle ore 12 del 20 gennaio 2013, il nuovo o il confermato
presidente USA giurerà nelle mani del Chief della Corte Suprema.
60
Domani, invece, sabato 21 gennaio 2012, i cittadini del South Carolina sono
chiamati alle urne in una consultazione che, di ora in ora, va acquistando sempre
maggiore importanza.
Romney, fino a ieri in grande spolvero e nettamente in testa nei sondaggi anche in
vista di questa prova, pare in difficoltà attaccato come è dai rivali e bersagliato da
inchieste giornalistiche che svelerebbero chissà quali scandali economici – che il suo
entourage smentisce categoricamente ribadendone la correttezza e il rispetto delle
leggi - che lo riguarderebbero.
Dall’Iowa arriva, poi, incredibilmente, la notizia che un nuovo conteggio (non si sa
quanto attendibile visto che gli esiti di alcune sezioni sarebbero spariti) dei suffragi
espressi nel recente caucus vedrebbe in testa Santorum e non, come comunicato
subito dopo il voto, il medesimo Romney.
Gingrich, dato quasi per disperso, appare in ripresa e forse in grado di scalzare Mitt
dal primo gradino del podio appunto nella Carolina del Sud e questo malgrado una
delle sue ex mogli lo stia duramente attaccando in tv.
Insomma, siamo nel pieno della feroce e classica contesa delle primarie.
Stiano attenti, comunque, i Gop nel litigare.
Stiano attenti a non concedere, denigrandosi l’un l’altro, troppe armi e vantaggi ad
Obama.
Che non accada, nel loro interesse, che il candidato alla fine prescelto sia un’anitra
zoppa, facilmente abbattibile.
Tornando a Romney e alla sua ricchezza che lo rappresenterebbe, secondo gli
osservatori europei, agli elettori come un elitario lontano dai problemi della gente
comune, ricordo che nella tradizione americana l’uomo di successo (che,
ovviamente, si sia sempre comportato correttamente nel perseguirlo) non è invidiato
ed è visto assai positivamente.
Super Pac (Political Action Committee)
Un sacco di quattrini.
Ecco, certamente occorrono un mucchio di soldi se si vuole vincere anche solo una
primaria, per misera che sia.
E come si mettono insieme i molti milioni (si parla di oltre cinquecento per chi arrivi
fino in fondo) necessari visto che la legge non consente donazioni personali di singoli
superiori ai duemilacinquecento dollari?
Ebbene, qualche anno fa, la Corte Suprema, sentenziando in materia, ha legittimato
anche le dazioni pecuniarie delle società, delle imprese, perfino delle banche, e senza
limiti, purché corrisposte a comitati, per definizione ‘indipendenti’ e in verità
assolutamente collegati ai candidati, denominati ‘Super Pac’, autorizzati pertanto a
raccogliere fondi e a spenderli in campagna elettorale a sostegno dell’uno o
dell’altro, o, cosa che avviene oramai assai di frequente, in spot televisivi o inchieste
nelle quali si attaccano a morte gli avversari del proprio favorito.
61
22 GENNAIO 2012
Dopo il South Carolina
Sono rimasti in quattro ma la lotta pare davvero ristretta a Romney e Gingrich.
Questa, a ben guardare, la conclusione alla quale si deve arrivare dopo il South
Carolina.
Come previsto negli ultimi giorni dai sondaggi, colà si è largamente imposto Newt
Gingrich staccando il rivale, comunque in buona difesa, nel mentre Paul e Santorum
raccolgono poco rispetto alle aspettative.
Certo, il ‘momento’ è difficile per l’ex governatore mormone in specie dal punto di
vista psicologico: fino alla scorsa settimana tutto bene, poi seri problemi.
Certo, il ‘momento’ è favorevole all’ex speaker della Camera: sette giorni orsono in
crisi ed oggi in pieno spolvero.
E’ questa, peraltro, la dura legge delle primarie.
Il prossimo 31 gennaio si vota in Florida.
Romney è in vantaggio nei sondaggi ma deve reagire se vuole vincere e staccare
nuovamente il rivale.
Dopo, abbastanza calmo il mese di febbraio (si voterà in territori in qualche modo
‘minori’), grande attesa per il 6 marzo, il ‘Supermartedì’, allorquando ben undici Stati
saranno chiamati alle urne, Texas compreso.
I risultati del Sud Carolina come comunicati dai responsabili Gop:
I) Newt Gingrich 40%
II) Mitt Romney 28%
III) Rick Santorum 17%
IV) Ron Paul 13%
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Ipotesi ‘terzo uomo’
Tutto questo cancan per conquistare finora solo trentatre delegati contro il
venticinque del rivale Gingrich?
Guardando ai numeri, per il vero, il grande sforzo compiuto da Mitt Romney pare
aver dato non molti frutti.
Fatto è che la resurrezione dell’avversario (considerato già morto almeno due volte)
non era in preventivo anche se ben si poteva immaginare che in uno Stato del Sud
come il South Carolina per il mormone la vita sarebbe stata dura.
Occorre, se vuole rimettere bene in carreggiata la macchina elettorale, che l’ex
governatore del Massachusetts vinca largamente in Florida il 31 gennaio.
E’ necessario che questo accada anche per mettere a tacere le voci Gop, che già
vanno insorgendo, che ipotizzano una convenzione nella quale, non avendo nessuno
conquistato i millecentoquarantaquattro voti di delegati che occorrono per
l’investitura, si debba ricorrere a un terzo uomo non ancora identificato ma che
potrebbe essere Jeb Bush.
Vincere largo in Florida e conquistare gli Stati (nei quali i sondaggi lo vedono in
vantaggio) in corsa a febbraio, quindi, per poi assorbire al meglio la probabile
sconfitta in Texas, il maggiore tra i territori nei quali si andrà alle urne il famoso
‘supermartedì’ 6 marzo, Stato nel quale Gingrich dovrebbe prevalere nettamente.
Turbolenze
Giorni turbolenti a dir poco.
Sconfitto in South Carolina e messo sotto accusa, prima per non avere ancora resa
pubblica la sua situazione patrimoniale e poi, una volta nota, sia per l’aliquota
decisamente bassa, seppure legale, sia per i suoi depositi all’estero, peraltro
anch’essi legali, Mitt Romney era d’improvviso clamorosamente retrocesso nei
sondaggi e sembrava avviato ad una brutta sconfitta in Florida.
Tre o quattro giorni di panico ed ecco che oggi, invece, i rilevamenti statistici lo
danno nuovamente avanti rispetto a Gingrich nel mentre Paul e Santorum passano
decisamente in secondo piano.
Nello Stato di Marco Rubio – il neo senatore repubblicano di origini cubane che
molti vorrebbero nel ticket nel ruolo di candidato vicepresidente – Romney si gioca
molto del suo futuro.
All’ex speaker Gingrich va bene anche un onorevole secondo posto, all’ex
governatore del Massachusetts no.
63
1 FEBBRAIO 2012
Romney vince bene in Florida
Superato il primo momento difficile (altri, ne verranno se Gingrich non cede), dopo
avere efficacemente risposto alle critiche mossegli a proposito dei suoi investimenti,
della sua ricchezza e delle tasse regolarmente pagate, ecco, ieri 31 gennaio, Mitt
Romney riprendere alla grande la testa della corsa e conquistare tutti i cinquanta
delegati ai quali ha diritto la Florida (vige colà ancora il metodo ‘winner take all’),
Stato nel quale quattro anni fa aveva perso.
E questo nel mentre Ron Paul si vede ridotto ai minimi termini e Rick Santorum,
anche per problemi di famiglia, è assai malconcio.
E’ vero, Newt Gingrich pare non abbia voglia alcuna di rassegnarsi, ma, dovesse
l’onda a favore del candidato mormone continuare impetuosa sabato 4 febbraio in
Nevada e nel Maine nonché nelle successive tappe marzoline, gli resterebbero poche,
concrete chance.
I risultati della Florida:
I) Mitt Romney 46,4%
II) Newt Gingrich 31,9%
III) Rick Santorum 13,4%
IV) Ron Paul 7%
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Confluenza dei voti conservatori su Gingrich?
Considerato l’esito del voto dello Stato a suo tempo governato da Jeb Bush (il quale,
differentemente dal fratello, non risulta al momento essersi ancora schierato a favore
di Romney) e che ha eletto senatore Gop l’ispanico Marco Rubio, l’unica (??)
possibilità che resta all’ala conservatrice repubblicana appare quella di convincere
Santorum al ritiro e all’appoggio di Gingrich.
Unita (ma, non succede mai, nell’urna, che due elettorati si sommino senza
defezioni), guardando proprio alla Florida, la destra/destra potrebbe in ipotesi
contare pressappoco sullo stesso seguito elettorale dell’ala centrodestra del
mormone.
Sondaggio Gallup su base nazionale
Ricevo oggi 2 febbraio i risultati di un sondaggio Gallup su base pressoché nazionale
(esclusi pochi Stati comunque probabilmente – con l’eccezione dei due Dakota schierati con Obama, quali, per esempio, il New York) elaborato a cavallo tra la fine
dello scorso 2011 e l’inizio del corrente 2012.
Ebbene, a favore del candidato Gop, chiunque sia, si dichiarano
Alabama, Alaska, Arizona, Arkansas, Colorado, Florida, Georgia, Idaho, Indiana,
Kansas, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Missouri, Montana, Nebraska, Nevada,
Ohio, Oklahoma, Oregon, Pennsylvania, Tennessee, Utah, Virginia e Wyoming che
contano su un totale di duecentotrentacinque (235) delegati.
Ove si rammenti che, certamente, il repubblicano vincerà in Texas (trentotto voti
elettorali) e aggiungendo i predetti due Dakota, il sondaggio prevede una netta
affermazione – il numero magico è duecentosettantuno (271) - del ‘nominato’
appartenente al partito che fu di Lincoln e questo a prescindere dalla maggioranza a
livello nazionale dei voti popolari che sembra invece premiare Obama.
Ricordo, inoltre, che, quasi sempre, chi vince in Ohio conquista White House.
(È dal 1860, dall’elezione di Abraham Lincoln, che un candidato repubblicano
vincente ha sempre dalla sua l’Ohio.
Senza questo Stato non si vince, per i repubblicani.
E dal 1944 solo una volta, scegliendo Richard Nixon contro John Fitzgerald Kennedy
nel 1960, l’Ohio si è trovato dalla parte perdente).
65
4 FEBBRAIO 2012
Romney vince il caucus del Nevada
Prosegue la marcia trionfale di Mitt Romney che si afferma nettamente anche in
Nevada.
Persa la South Carolina e superate le difficoltà relative alle questioni economiche (è
troppo ricco? paga poche tasse? tutto alle spalle e per sempre, si spera), ecco che l’ex
governatore conquista la terza vittoria (ove non si voglia tener conto dell’Iowa e del
testa a testa colà con Santorum) su cinque consultazioni e si porta a casa la bellezza
di dieci delegati sui diciannove ai quali ha diritto lo Stato del gioco d’azzardo
legalizzato.
Gingrich, bene o male, tiene botta e si augura di non perdere troppo nettamente nei
restanti appuntamenti (Colorado, Minnesota, Arizona e Michigan) fissati in febbraio
per giocarsi le poche carte che sembrano restargli in mano nel fatidico ‘supermartedì’
6 marzo (dieci Stati chiamati alle urne).
I risultati del Nevada come comunicati dai dirigenti Gop
I) Mitt Romney 48%
II) Newt Gingrich 23%
III) Ron Paul 19%
IV) Rick Santorum 11%
Il totale dei delegati conquistati, Nevada incluso
Secondo il New York Times, ad oggi, questa la situazione riguardo ai delegati
catturati dai candidati Gop
I) Mitt Romney
81
(in totale 97 ove si considerino i membri del Republican National Committee aventi
diritto al voto in sede di convention che già si sono dichiarati suoi sostenitori)
II) Newt Gingrich 27
III) Rick Santorum 15
IV) Ron Paul
6
V) John Huntsman 2
(Ricordo che quest’ultimo si è ritirato e che ha invitato i suoi a votare Romney).
66
5 FEBBRAIO 2012
Il cammino di Romney
Ecco, secondo i dati ufficiali, i risultati ottenuti in termini di percentuali di voto da
Mitt Romney negli Stati nei quali finora si è votato:
Iowa
New Hampshire
South Carolina
Florida
Nevada
24,5%
39,3%
27,8%
46,4%
47,6%
67
Dell’attendibilità dei sondaggi ieri e oggi
1948, il presidente americano in carica Harry Truman, democratico, affronta lo
sfidante repubblicano Thomas Dewey.
Tutti i sondaggi, nessuno escluso, danno perdente l’inquilino di White House che,
invece, vince alla grande.
Fatto è – si sostenne e ancora si dice - che lo strumento era relativamente giovane
essendo stato ideato da George Gallup solo verso la metà dei precedenti anni Trenta
ed applicato alla politica utilizzando per l’occasione un campione statistico
assolutamente non rappresentativo.
Non solo questa, invece, la ragione di quel fallimento.
Non solo questa la ragione di molte incertezze successive.
Stiamo, infatti, parlando delle elezioni per la Casa Bianca e quindi di un campo nel
quale i sondaggi nazionali, condotti in tutti gli USA, non possono essere presi in
considerazione come probanti stante il particolare sistema elettorale che prevede il
voto popolare determinante a livello dei singoli Stati e non a quello del Paese intero.
Negli Stati Uniti l’elezione del Capo dello Stato non è diretta. Gli elettori, cioè, nel
giorno delle votazioni, non si esprimono per uno dei candidati in corsa ma per
scegliere un certo numero, differente Stato per Stato e pari alla somma dei deputati e
dei senatori ai quali appunto il singolo Stato ha diritto, di delegati (in totale,
cinquecentotrentotto, ragione per la quale vince chi ne conquista almeno
duecentoquaranta) che saranno successivamente chiamati a votare il presidente.
Non va dimenticato che, con le eccezioni poco influenti del Maine e del Nebraska, il
metodo usato è quello del ‘winner take all’ per il quale, prevalendo anche di un solo
suffragio popolare, si ottengono tutti i delegati in palio nello Stato.
Indispensabile, pertanto, che i sondaggi non vengano fatti a livello confederale ma in
ogni territorio statuale.
E infatti, in ben quattro occasioni (nel 1824 con John Quincy Adams, nel 1876 con
Rutheford Hayes, nel 1888 con Benjamin Harrison e nel 2000 con George Walker
Bush), alla presidenza è approdato non chi aveva avuto il maggior numero di voti
popolari nazionali ma il rivale, da questo punto di vista, non decisivo, soccombente.
Ecco, quindi, che oggi pare (ed è) inutile effettuare, come invece si ostinano a fare
tutti gli istituti addetti, sondaggi per valutare le possibilità o meno che ha Mitt
Romney (il ‘front runner’ della corsa per la nomination repubblicana) di prevalere
su Barack Obama nei voti nazionali.
Ecco, quindi, che, per sapere come potrebbe (mancano molti mesi) andare, le
rilevazioni da fare e da prendere in considerazione sono quelle Stato per Stato.
E bisogna dire – lo verifichiamo in questi giorni seguendo primarie e caucus Gop che, con i moderni metodi ed avendo calibrato correttamente i campioni statistici, i
risultati nelle urne corrispondono sempre abbastanza bene alle previsioni
conseguenti ai sondaggi effettuati.
68
7 FEBBRAIO 2012
Minnesota, Colorado, Missouri: la resurrezione di Santorum
Lo scorso 15 gennaio, riuniti in un ranch dello Stato della stella solitaria in quello che
fu subito definito ‘Texas meeting’, ben centocinquanta predicatori evangelici si erano
apertamente schierati a fianco e a sostegno della candidatura alla nomination Gop di
Rick Santorum, un cattolico per il vero ma assai vicino alle loro oltranzistiche
posizioni specie in fatto di aborto e matrimoni gay.
Brillante in Iowa ma defilato nelle recenti primarie e caucus (l’infinito o quasi
panorama sociale, culturale e politico degli USA presenta situazioni differentissime
fra loro e i sostenitori di Santorum erano poco numerosi negli Stati ultimamente
chiamati ad esprimersi), ecco l’ex senatore della Pennsylvania ‘risorgere’ oggi
nettamente in Minnesota e fortemente in Colorado (vince anche nel Missouri, ma colà
il voto è ‘nonbinding’, non vincolante, e non aggiunge delegati).
Quanto ai rivali, il libertario Ron Paul pesca nel suo senza nessuna vera speranza
nella vittoria finale, Gingrich (che guardava altrove, conoscendo le sue scarse chance
nei tre Stati al voto) finisce comunque al tappeto con risultati appena superiori al
dieci per cento, nel mentre sarà bene che Romney si attrezzi per controbattere nel
prossimo avvenire l’onda conservatrice.
I risultati come dichiarati dai dirigenti Gop
Minnesota
I) Rick Santorum
II) Ron Paul
III) Mitt Romney
IV) Newt Gingrich
Colorado
I) Rick Santorum
II) Mitt Romney
III) Newt Gingrich
IV) Ron Paul
44,8%
27,2%
16,9%
10,7%
40,2%
34,9%
12,8%
11,8%
69
11 FEBBRAIO 2012
Il lungo caucus del Maine
A dire il vero, poco importante, dal 4 all’11 febbraio, si è tenuto il lungo caucus Gop
del Maine.
Santorum e Gingrich si sono pressoché defilati e pertanto lo scontro ha visto
protagonisti Romney e Paul.
L’ex governatore ha prevalso ma non nettamente e deve cominciare davvero a
preoccuparsi.
A parte Arizona e Michigan in programma il 28 del mese, incombe il ‘supermartedì’
6 marzo.
Un momento che potrebbe essere decisivo.
I risultati del Maine così come comunicati dai responsabili repubblicani
I) Mitt Romney
39,2%
II) Ron Paul
35,7%
III) Rick Santorum 17,7%
IV) Newt Gingrich 6,2%
70
Lotta dura, senza paura
Movimentata.
A dir poco, movimentata la campagna primarie/caucus tra i repubblicani.
Partiti in una decina, subito ridotti dall’esito dell’Iowa e del New Hampshire a
cinque, alla fine ancora in pista in quattro.
Nel mentre il ‘candidato inevitabile’ (è ancora tale?) Mitt Romney, bene o male,
tiene pur avendo perso smalto e il ‘cavallo pazzo libertario’ Ron Paul sta comunque
sulle sue, Newt Gingrich e Rick Santorum si scontrano per conquistare e
rappresentare l’ala destra ‘dura e pura’ del partito.
In vista, oggi, delle consultazioni che il prossimo 28 febbraio vedranno al voto
Michigan e Arizona, oscurato l’ex speaker, è l’oltranzista di origini italiane a
guadagnare largamente la platea.
Addirittura, i sondaggi lo danno in vantaggio nel Michigan, Stato natale di Romney e
Stato nel quale il padre del mormone ha retto assai degnamente in altri tempi il
governatorato.
Certo, dovesse Rick colà prevalere si regalerebbe un vantaggio psicologico
notevolissimo.
Non è mai bello in queste consultazioni perdere in casa e l’entourage dell’ex
governatore del Massachusetts lo sa.
Intanto, a ribadire le proprie posizioni, Santorum, parlando sul tema dell’aborto a
Fargo (città del North Dakota resa famosa dai fratelli Coen), ha testualmente
affermato: “Non credo che Dio benedirà ancora l’America se continueremo a
uccidere un milione e duecentomila bambini l’anno”.
Inoltre, riferendosi alla vita e alla recente morte della cantante e attrice Whitney
Houston e collegandola a Michael Jackson, ha parlato del “cattivo esempio” che i
due hanno dato alla società.
Qualcuno, commentando soprattutto la seconda sortita, lo ha accusato di cattivo
gusto ma molti e molti Gop la pensano assolutamente come lui.
Certo, il fatto che Obama, nel mentre i repubblicani si scannano, stia alla finestra lo
favorisce.
Certo, dovessero le destre integraliste decisamente dichiararsi indisponibili a
sostenere una candidatura Romney lo metterebbe al sicuro.
Certo, se alla fine il prescelto fosse Santorum la campagna per White House si
risolverebbe a favore dell’attuale presidente, limitandosi i repubblicani nell’ipotesi a
ribadire, perdendo (e a parecchi tra loro la faccenda aggrada), la propria
incorruttibilità morale.
Convinto come sono che “solo le battaglie perse meritino di essere combattute”,
confesso, pur appoggiando dall’inizio per ragioni pratiche e secondo logica politica
(è l’unico in grado di battere Obama) Romney, di comprendere appieno e
moralmente apprezzare tale possibile e sia pure appunto perdente posizione.
71
Brokered convention?
Il Michigan: che succede se davvero Mitt Romney, come i sondaggi indicano,
malgrado l’impegno, perde la battaglia nel Michigan, terra nella quale ha aperto gli
occhi e della quale suo padre è stato ottimo e benvoluto governatore?
Ecco che, nell’ipotesi, non pochi osservatori – in specie, quelli mai troppo convinti
del carisma del mormone – tornano (ma, avevano mai smesso?) a parlare di e
addirittura ad auspicare una ‘brokered convention’ e cioè che, come accaduto tra i
repubblicani l’ultima volta addirittura nel 1976 allorquando Gerald Ford prevalse a
Kansas City per pochissimi voti su Ronald Reagan, al termine della campagna
interna nessun candidato abbia conquistato i millecentoquarantaquattro delegati
necessari per la nomination e che per conseguenza la convention possa decidere per
un differente leader.
E torna in tal modo a far capolino, con altre di minore impatto, l’ipotesi Jeb Bush!
Che mi ricordi, mai un terzo esponente della stessa famiglia ha corso seriamente per
la presidenza.
L’unico precedente in qualche modo richiamabile è quello riguardante Charles
Francis Adams, figlio di John Quincy e nipote di John (entrambi arrivati alla
poltronissima), in gara quale ipotetico vice presidente nel 1848 con il Free Soil,
partito che ebbe vita breve, e non eletto.
Rimonta?
I sondaggi!
Ci si deve fidare?
E fino a che punto?
Certo, rispetto al 1948, allorquando scommettevano sulla netta, indiscutibile vittoria
di Dewey con quel che ne ebbe a seguire, le cose sono migliorate, e molto.
E allora?
Beh, e allora pare proprio che il buon Romney, mettendo in gioco un bel pacco di
soldi al fine di scampare a un possibile e gravissimo passo falso, sia in procinto
domani di conquistare non solo l’Arizona (nessuno lo aveva messo in dubbio) ma
anche il natio Michigan che già tutti vedevano volgere a favore di Santorum.
Nel caso, restando il ‘front runner’, affronterà di certo in migliori condizioni il
fatidico ‘supermartedì’ 6 marzo dove molti giochi saranno fatti.
E Gingrich?
E Paul?
Il primo pare sceso in un cono d’ombra dal quale sarà difficile esca se non in
qualche Stato del Sud.
Il secondo prosegue nella sua battaglia libertaria di principio e parla, unico tra i
quattro, ai giovani, ma senza mai pensare realmente alla nomination.
72
28 FEBBRAIO 2012
Michigan e Arizona a Mitt
Nettamente, in Arizona, con difficoltà, in Michigan, Mitt Romney ha vinto le
primarie in programma martedì 27 febbraio.
A dire il vero, a ben guardare, ha ragione Santorum nel festeggiare (?!) le due
sconfitte rimediate.
“Qui, fino a un mese fa”, ha dichiarato a bocce ferme, “nessuno sapeva chi fossi ed è
un successo avere ottenuto tutti questi voti”.
Gingrich e Paul in retroguardia, in attesa il primo di assestare qualche buon colpo nel
Sud il prossimo 6 marzo, alla fine, però, conta il fatto che Romney sia comunque
riuscito a prevalere in rimonta (i sondaggi di dieci giorni orsono lo davano per
battuto) in specie nel natio Michigan.
Quanto ai delegati, in Arizona il metodo ‘winner take all’ assegna i ventinove ai quali
lo Stato ha diritto a Mitt, nel mentre in Michigan saranno attribuiti proporzionalmente
secondo in suffragi ricevuti.
I voti ottenuti dai candidati secondo quanto comunicato dai dirigenti Gop:
Michigan
I) Mitt Romney
41%
II) Rick Santorum 37,9%
III) Ron Paul
11,6%
IV) Newt Gingrich
6,5%
Arizona
I) Mitt Romney
II) Rick Santorum
III) Newt Gingrich
IV) Ron Paul
47,8%
26,7%
16,3%
8,5%
73
La situazione
Dopo Arizona e Michigan, i conteggi maggiormente attendibili dicono che Mitt
Romney conta su un totale di centocinquantadue (152) delegati, Rick Santorum segue
con cinquantanove (59), Newt Gingrich ne ha conquistati trentadue (32), mentre Ron
Paul è fermo a venti (20).
Il caucus del Washington
Sabato 3 marzo, collocato assai malamente guardando al calendario elettorale, si
svolge il caucus del Washington per il momento del tutto ignorato da analisti e
trascurato dai sondaggi per quanto attribuisca un considerevole numero di delegati.
In vista del ‘Supermartedì’
Gli appena citati sondaggi ci informano che tra i dieci Stati in ballo martedì 6 marzo
Virginia, Massachusetts, Idaho, North Dakota, Alaska e Vermont sarebbero orientati
a favore di Romney. Il fondamentale Ohio volgerebbe verso Santorum, i restanti
territori del Sud (Georgia, Tennessee e Oklahoma) vedrebbero bene Gingrich.
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3 MARZO 2012
I risultati del caucus del Washington
Collocato strategicamente nel calendario elettorale a precedere di soli tre giorni la
mega consultazione (dieci Stati) del 6 marzo, il caucus del Washington ha dato
ulteriore slancio alla campagna di Mitt Romney che, per quanto non abbia travolto gli
avversari, ha vinto con un buon margine consolidando la propria leadership.
Come ci si poteva aspettare, trattandosi di un territorio per larga parte percorso da
istanze libertarie ed ecologiste, buono il risultato di Ron Paul, nel mentre Santorum
continua comunque a restare in bella vista.
Quarto, a distanza, Gingrich che si propone appunto per il predetto 6 come
protagonista negli Stati del suo Sud sui quali ha puntato tutte le restanti carte.
I risultati del Washington come comunicati dai dirigenti Gop:
I) Mitt Romney
37,6%
II) Ron Paul
24,8%
III) Rick Santorum 23,8%
IV) Newt Gingrich 10,3%
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Nota a margine dopo il caucus ‘del’ Washington
Se si vota, che so? per il sindaco, nella Grande Mela, si scriverà “a” New York.
Se invece si vota nello Stato con capitale Albany, si scriverà “nel” New York.
Ecco perché trattando delle consultazioni di sabato 3 marzo, ho vergato “nel”
Washington, riferendomi al territorio in tal modo chiamato, e non “a” Washington in
quanto città.
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6 MARZO 2012
Sei Stati a Romney, tre a Santorum, uno a Gingrich
Emerso vincitore – oltre che in Massachusetts, Idaho, Virginia, Vermont e Alaska nel molte volte decisivo Ohio dopo una corsa conclusa sul filo di lana, Mitt Romney
tira davvero un sospiro di sollievo incassando un notevole numero di successi e
conquistando un bel pacco di delegati nel tanto atteso e fatidico 6 marzo, giorno nel
quale si votava in dieci Stati.
Detto questo e guardando ai rivali, per parte sua, dando ragione alle facili previsioni,
Newt Gingrich ha trionfato in Georgia (territorio che ha rappresentato alla Camera
per vent’anni), Rick Santorum ha vinto bene in Tennessee, Oklahoma e North Dakota
mentre Ron Paul rimane ancora all’asciutto in quanto a Stati.
Sull’esito complessivo sarà bene tornare quando i dati, al momento non definitivi
anche se del tutto attendibili, saranno certificati.
I risultati secondo le prime indicazioni:
Ohio:
I) Mitt Romney
38%
II) Rick Santorum 37%
III) Newt Gingrich 15%
IV) Ron Paul
9%
Virginia:
I) Mitt Romney
II) Ron Paul
60%
40%
Massachusetts:
I) Mitt Romney
II) Rick Santorum
III) Ron Paul
IV) Newt Gingrich
72%
12%
10%
5%
Vermont:
I) Mitt Romney
II) Ron Paul
40%
25%
Idaho:
I) Mitt Romney
II) Ron Paul
III) Rick Santorum
IV) Newt Gingrich
66%
16%
15%
2%
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Alaska:
I) Mitt Romney
II) Ron Paul
III) Rick Santorum
IV) Newt Gingrich
32%
25%
23%
20%
Georgia:
I) Newt Gingrich
II) Mitt Romney
47%
26%
Oklahoma:
I) Rick Santorum
II) Mitt Romney
III) Newt Gingrich
IV) Ron Paul
34%
28%
27%
10%
Tennessee:
I) Rick Santorum
II) Mitt Romney
III) Newt Gingrich
IV) Ron Paul
37%
28%
24%
9%
North Dakota:
I) Rick Santorum
II) Ron Paul
III) Mitt Romney
IV) Newt Gingrich
40%
28%
24%
8%
Ad oggi, i delegati complessivamente conquistati sul campo
Ricordando che per ottenere la nomination occorre poter contare su almeno
millecentoquarantaquattro (1144) voti elettorali, ecco la situazione secondo gli
analisti:
Mitt Romney
369 delegati
(415 considerando i superdelegati che hanno già dichiarato di appoggiarlo)
Rick Santorum 158 delegati
Newt Gingrich
91 delegati
Ron Paul
60 delegati
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Della necessità di compattare i Gop
A bocce per il momento ferme, attentamente e ovviamente dal loro punto di vista
guardando ai risultati del 6 marzo, ecco gli uomini dell’entourage di Romney
rivolgere un appello a Santorum e Gingrich (Paul non viene preso in considerazione
dandosi per scontato che andrà comunque fino in fondo).
“Ritiratevi”, dicono in buona sostanza, “Non avete alcuna reale chance di rimonta.
Mitt arriverà senza dubbi alla nomination. Non favoriamo Obama, che se ne sta
tranquillamente alla finestra, continuando a dissanguarci in lotte fratricide”.
E, in effetti, per quanto l’ex speaker possa ancora contare su qualche sostegno nel
natio Sud e benché l’ex senatore sia fortemente sostenuto dalle destre evangeliche e
dai Tea Party, è davvero oggi difficile ipotizzare una rovinosa caduta dell’ex
governatore.
Intervengono a questo punto infinite variabili.
Necessitano lunghe contrattazioni in specie relativamente al programma, agli
impegni elettorali.
Alle viste e per una decina di giorni appuntamenti di minore importanza, c’è tempo e
spazio per decidere.
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9 MARZO 2012
Romney vince nelle isole
Duplice e nettissimo successo di Mitt Romney dapprima nel caucus di Guam e poco
dopo (per via del fuso orario) in quello delle Northern Mariana Islands.
E’ vero, i due territori non avranno voce in capitolo quando si tratterà di votare per
White House ma, nel loro piccolo, nove delegati a testa e tutti conquistati dall’ex
governatore del Massachusetts (il quale conta anche di avere oggi altre buone notizie
dalle Virgin Islands e dal Wyoming), aumentano comunque il distacco dei rivali e
prima di tutto di Rick Santorum.
Questi, peraltro, attende buone nuove oggi nel Kansas e, soprattutto, spera di
trionfare sia in Mississippi che in Alabama, Stati del Sud chiamati a pronunciarsi il
prossimo 13 marzo nei quali conta teoricamente su un forte seguito.
I risultati secondo le dichiarazioni dei dirigenti Gop:
Guam
I) Mitt Romney
97%
Northern Mariana Islands
I) Mitt Romney
87%
II) Rick Santorum
6%
III) a pari merito Ron Paul e Newt Gingrich 3%
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Santorum chiede a Gingrich di ritirarsi
Convinto della necessità di compattare l’ala destra del partito e che la permanenza
in corsa di Newt Gingrich lo danneggi, Rick Santorum ha chiesto ripetutamente
all’ex speaker della Camera di ritirarsi convogliando su di lui i consensi.
Per ora e in attesa dei risultati di Kansas, Mississippi e Alabama – Stati nei quali
conta di poter ottenere molti voti – Gingrich ha risposto picche.
Con ogni probabilità, dovesse fallire anche in questi territori, getterebbe la spugna.
Fuori da tutto questi giochi Ron Paul la cui candidatura è di principio e che non ha
mai pensato, neppure per un minuto, alla possibilità di ottenere davvero la
nomination.
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10 MARZO 2012
Dopo Kansas, Wyoming e Virgin Islands
Proseguendo nell’azione di conquista dei delegati ai quali hanno diritto in vista di
Tampa i territori isolani che, dipoi, non avranno accesso al voto a novembre, Mitt
Romney si è aggiudicato, dopo Guam e Northern Mariana anche il caucus delle Isole
Vergini per un totale non trascurabile di almeno venticinque delegati.
Buone per il ‘front runner’, anche le notizie che arrivano dal Wyoming.
Prevedibilmente negativi (e, d’altra parte, non è che in questo Stato Mitt abbia fatto
campagna in qualche modo tenendolo in non cale), invece, gli esiti della
consultazione svoltasi nel Kansas che si è decisamente dichiarato a favore di
Santorum, il quale, avendo superato il cinquanta per cento dei suffragi, quivi ottiene
ben trentatre delegati su quaranta.
Assolutamente in retroguardia Gingrich (che dovesse andare a picco il 13 in
Mississippi e Alabama sarebbe con ogni probabilità costretto a ritirarsi dalla corsa) e
Paul.
I risultati provvisori come dichiarati dai dirigenti Gop:
Wyoming
I) Mitt Romney
44%
II) Rick Santorum
27%
III) Ron Paul
12%
IV) Newt Gingrich 0,5%
Kansas
I) Rick Santorum
II) Mitt Romney
III) Newt Gingrich
IV) Ron Paul
51%
21%
14%
13%
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Aspettando Mississippi e Alabama
Fatti i difficilissimi calcoli, pare che prima del 13 marzo e dell’importantissimo voto
nei due Stati del Sud per l’occasione chiamati alle urne, il numero totale dei delegati
conquistati dai quattro candidati rimasti in corsa sia il seguente:
Mitt Romney
454
Rick Santorum 217
Newt Gingrich 107
Ron Paul
47
Stando ai sondaggi, in Alabama, escluso Paul, Romney, Santorum e Gingrich sono
alla pari nelle intenzioni di voto mentre in Mississippi Newt precederebbe di poco
l’ex governatore del Massachusetts.
Differenti gli obiettivi: Romney vuole dimostrare di essere in grado di prevalere
anche nel Sud e in territori nei quali gli evangelici sono numerosi; Santorum
desidera confermare la sua prevalenza laddove la destra Gop è forte; Gingrich si
augura di vincere almeno in uno dei sue Stati per non essere obbligato a gettare la
spugna.
Romney supera Obama nelle intenzioni di voto
Da qualche giorno, i sondaggi a livello nazionale (sui quali ho già espresso i miei
dubbi legati al fatto che è possibile vincere White House anche perdendo il voto
popolare appunto nazionale se si vince negli Stati ‘giusti’) danno costantemente Mitt
Romney in vantaggio nei confronti di Obama.
National Rasmussen Tracking, per esempio, un serio ed accreditato istituto di
rilevazioni statistiche, dopo aver parlato addirittura di un quarantotto a quarantadue
per cento (48 a 42) delle intenzioni di suffragio per l’ex governatore, oggi conclude
per un quarantasei a quarantatre (46 a 43) nel mentre National ABC Wash Post
colloca Romney al quarantanove per cento e il presidente a quarantasette (49 a 47).
Inutile chiedersi le ragioni di tale cambiamento, al momento, del resto, limitatamente
significativo.
Dovessero perdurare nel tempo questi segnali, allora…
Da sottolineare, di contro, il fatto che nei confronti Obama/Santorum,
Obama/Gingrich e Obama/Paul l’attuale inquilino della Casa Bianca resti al
comando.
Come sostengo da molto prima che le primarie Gop iniziassero, se il partito
repubblicano saprà, sia pure con amarezze e difficoltà, compattarsi dietro il
‘candidato inevitabile’, a novembre prevarrà.
Devono gli evangelici e gli, al momento, apparentemente meno influenti (già in
declino?) Tea Party, rispondere al seguente quesito: vogliono protrarre per un nuovo
quadriennio la ‘traversata del deserto’ decisa nel 2008 dai primi che si rifiutarono di
votare McCain (non recandosi alle urne, non certamente votando per il candidato
dell’asino!) perché considerato poco ‘duro e puro’ o la voglia, il desiderio di
riprendere comunque la guida della nazione prevarrà?
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Non va mai dimenticato che i ‘Red States’ (quelli che si esprimono in condizioni
‘normali’ a favore dei Gop e che sulla cartina vengono colorati appunto di rosso)
contano su un numero di delegati al Collegio Nazionale nettamente superiore – e
maggiormente a seguito del recente censimento determinante sulla distribuzione dei
voti elettorali anche nelle due consultazioni, 2016 e 2020, future - a quelli dei ‘Blue
States’ (che votano di norma democratico).
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13 MARZO 2012
Alabama, Mississippi ma anche Hawaii e American Samoa, ovvero
‘vincere perdendo e perdere vincendo’
Vediamo, vediamo.
Santorum vince in Alabama e Mississippi, Gingrich bene o male pare restare a galla,
Romney arriva terzo quando dai sondaggi sembrava in grado di fare meglio in questo
benedetto ‘profondo Sud’ che non lo ama.
Nel frattempo, il mormone vince nelle trascuratissime (tutti guardavamo altrove)
consultazioni delle Hawaii e di American Samoa.
Ed ecco che, parlando di delegati conquistati in totale (che è quel che conta davvero
ai fini della nomination), Mitt rafforza la leadership proprio quando, avendo alla fine,
spesso, quasi due terzi dei votanti Gop contro, dimostra, conferma la sua debolezza
interna.
E tutto nel mentre i sondaggi nazionali e Stato per Stato, pur mutevoli assai, dicono
chiaramente che lui solo tra i tre pretendenti ha la concreta possibilità di mandare a
casa Obama!
L’ho detto e scritto (si veda il mio ‘Appello’ al riguardo) fin dallo scorso novembre: i
repubblicani si devono raccogliere dietro l’ex governatore rinunciando (ma la loro
natura lo consente?) ciascuno e ciascuna parte a qualcosa sul piano ideale e
ideologico.
Siamo, è pur vero, alle primarie e ai caucus, ma le fratture che si vanno scavando non
provocheranno danni allorquando Mitt sarà contrapposto al presidente in carica?
Andranno allora a votare i duri e puri che oggi hanno rifiutato di appoggiare il
moderato Romney per schierarsi (due su tre, pressappoco) con Santorum e Gingrich?
Qui, solo qui, sta – come avevo previsto - il busillis.
I risultati (Hawaii e American Samoa non ancora certi per via del fuso orario) come
comunicati dai dirigenti Gop:
Alabama
I) Rick Santorum
34,5%
II) Newt Gingrich
29,3%
III) Mitt Romney
29%
IV) Ron Paul
5%
Mississippi
I) Rick Santorum
II) Newt Gingrich
III) Mitt Romney
IV) Ron Paul
32,9%
31,3%
30,3%
4,4%
85
E se Gingrich si ritirasse?
Dice che non se ne parla nemmeno, che proseguirà fino a Tampa.
Difficile, però, credergli.
Fatto è che Newt Gingrich avrebbe dovuto (dovuto) vincere almeno in uno dei due
Stati del ‘suo’ Sud nei quali ieri 13 marzo si è votato.
In vantaggio a lungo nei sondaggi, è arrivato secondo e non è certamente un buon
segno.
Fatto è, ancora, che, se davvero continua la corsa, in qualche modo favorisce
l’odiato Romney sottraendo i consensi della destra a Santorum.
Qualcuno si è divertito a fare un po’ di conti in prospettiva.
Ebbene, se la lotta rimane a tre, il mormone dovrebbe arrivare ai benedetti
millecentoquarantaquattro delegati necessari per vincere verso fine maggio.
Se l’ex speaker della Camera invece se ne andasse, con ogni probabilità, Mitt
dovrebbe lottare fino alla convention o quasi e, nel caso più dannato, potrebbe
perfino capitare che i Gop si trovino poi ad affrontare una ‘brokered convention’.
Certo, mille e mille, da oggi, le pressioni degli evangelici e del Tea Party su Gingrich
perché abbandoni e faccia convergere i suoi voti sull’italo americano.
L’attuale attribuzione dei delegati
Non facile mettere d’accordo i vari istituti che si occupano della faccenda tanto che,
per esempio, ad oggi, guardando al ‘front runner’ Romney, si trovano espressioni
quali “dovrebbe avere all’incirca quattrocentonovanta delegati a lui collegati”.
Ecco, comunque, l’attribuzione con ogni probabilità maggiormente credibile (e,
d’altra parte, mai troppo grandi le differenze riscontrate):
I) Mitt Romney
II) Rick Santorum
III) Newt Gingrich
IV) Ron Paul
492
235
157
78
86
16 MARZO 2012
Aspettando Illinois e Louisiana
Con un qualche ritardo, eccoci ai dati relativi al caucus delle Hawai, dove Romney ha
vinto con relativa facilità.
Hawaii
I) Mitt Romney
II) Rick Santorum
III) Ron Paul
IV) Newt Gingrich
45%
25%
18%
11%
Una breve tregua (armata, si intende, visto che la campagna elettorale, comunque,
preme) in attesa dei prossimi confronti e nel mentre si studiano strategie e tattiche
ipotizzando i diversi possibili scenari cercando di non trascurare nessuna possibilità.
Poi, il 20 marzo, in primo piano l’Illinois con i suoi sessantanove delegati (69) e il
successivo 24 la Louisiana che ne eleggerà quarantasei (46).
Trattative in corso, inviti al reciproco ritiro, appelli…
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18 MARZO 2012
A Puerto Rico Mitt vince per KO
Stando ai primi risultati, a Portorico (evidentemente, le isole portano bene a Romney,
il quale, peraltro, non le ha certo trascurate nel corso della campagna elettorale), il
mormone avrebbe raggiunto addirittura l’ottantatre per cento (83%) dei consensi,
costringendo Santorum ad un misero otto per cento (8%).
Ecco, quindi, che, per via del meccanismo ‘winner take all’ che a Puerto Rico scatta
se un candidato supera il cinquanta per cento dei suffragi, ha conquistato alla grande
tutti venti delegati alla convention Gop ai quali il futuro cinquantunesimo Stato (a
novembre colà si vota anche per entrare o meno a far parte degli USA) ha diritto.
Ricordando anche l’appoggio entusiasticamente ricevuto dal locale governatore Luis
Fortuno, Romney, nel commentare il trionfo, ha affermato che proprio a Portorico si
è avuta la dimostrazione che i ‘latinos’ sono pronti a schierarsi con i repubblicani
nella corsa verso White House.
Ne avrà la certezza se, come penso possibile ed auspico, chiamerà a far parte del suo
ticket un ispano americano di grande carisma, magari il giovane senatore della
sempre importantissima se non decisiva Florida Marco Rubio.
Delegati: la situazione
Dopo Puerto Rico, la distribuzione dei delegati in vista di Tampa è la seguente:
Mitt Romney 521
Rick Santorum 253
Newt Gingrich 136
Ron Paul
50
88
20 marzo 2012
Illinois ‘handly’
Con un risultato che non pochi commentatori definiscono, per quel che riguarda il
confronto con i rivali e con Rick Santorum in particolare, ‘definitivo’, Mitt Romney
ha vinto decisamente bene nell’importantissimo Illinois accaparrandosi un notevole
numero di delegati e portando il suo totale a quota cinquecentosessantadue (562).
Ove si consideri che, a parte la Louisiana che sarà chiamata alle urne sabato prossimo
la Pennsylvania che l’italo americano Santorum ha rappresentato al senato per due
legislature, tutti gli Stati nei quali si voterà da qui a fine aprile sono nei sondaggi
nettamente schierati a favore del mormone, la corsa per la nomination appare segnata
e Romney si appalesa per quello che dall’inizio era: il ‘candidato inevitabile’.
Assolutamente out Newt Gingrich, costretto in Illinois addirittura ad un misero otto
per cento.
Resta, comunque e costantemente, la spaccatura interna ai Gop.
Osservando con attenzione i risultati delle contee che si sono oggi espresse, ecco che,
nel mentre le zone urbane si sono schierate con Romney (il quale nell’intero Stato si è
affermato con il quarantasei e sette per cento e nella città di Chicago ha ottenuto poco
meno del sessanta per cento), quelle rurali hanno preferito Santorum, a volte
nettamente.
In qualche modo, andando oltre l’appoggio degli evangelici al candidato cattolico e
tagliando con l’accetta, ceto medio, colletti bianchi e ‘ricchi’ da una parte, contadini,
tute blu e ‘poveri’ dall’altra.
I risultati dell’Illinois secondo i dirigenti repubblicani:
I) Mitt Romney
46,7%
II) Rick Santorum 35,0%
III) Ron Paul
9,3%
IV) newt Gingrich 8,0%
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Jeb Bush appoggia Mitt Romney
A qualche mese di distanza dal padre George Herbert, anche Jeb Bush si è
pronunciato a favore di Mitt Romney.
L’ex governatore della Florida e influente uomo politico ha fatto di più: ha
dichiarato che è giunta l’ora nella quale l’intero partito si deve schierare e che non
può farlo se non a favore del candidato mormone, da sempre l’unico in grado di
snidare Obama dalla Casa Bianca.
La Louisiana nei sondaggi è per Santorum
A dimostrazione del fatto che, per quanti ‘endorsement’ vengano fatti, le anime Gop
sono tuttora divise e che il Sud non riesce ad amare Romney, ecco i sondaggi
dell’autorevole istituto Rasmussen che si riferiscono alla Louisiana, chiamata al voto
sabato 24 marzo: Santorum conduce nettamente con il quarantatre per cento (43%)
delle intenzioni di voto, Romney segue a una qualche distanza col trentuno (31%),
Gingrich sopravvive anche se a stento al sedici (16%) e Paul precipita al cinque
(5%).
E’ vero però, ripeto, che nel prossimo mese di aprile tutti gli Stati convocati alle urne
con l’eccezione della Pennsylvania (Santorum è stato due volte senatore per quel
territorio) si profilano più o meno favorevoli all’ex governatore del Massachusetts.
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24 MARZO 2012
Santorum alla grande in Louisiana
Dando seguito e conferma ai sondaggi che lo vedevano nettamente primo in
Louisiana, Rick Santorum ha conquistato in quello Stato del Sud larga parte dei
consensi e dieci delegati.
Discreta la performance del front runner Mitt Romney che supera di non molto il
venticinque per cento dei suffragi e si aggiudica comunque altri cinque voti elettorali
in vista di Tampa.
Pur essendo la Louisiana, come or ora ricordato, uno Stato sudista e pertanto
teoricamente a lui vicino, modesta la prestazione di Newt Gingrich mentre l’esito di
Ron Paul era nell’aria, tropo lontani dalle sue idee libertarie essendo i Gop locali.
I risultati della Louisiana come co0municati dai dirigenti repubblicani:
I) Rick Santorum 49%
II) Mitt Romney 26,7%
III) Newt Gingrich 15,9%
IV) Ron Paul
6,1%
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I capi Gop si schierano con Romney
Seguendo l’autorevole capo dei deputati repubblicani Eric Cantor, già dichiaratosi
seguace e sostenitore di Mitt Romney ai primi di marzo, anche il senatore dello Utah
Mike Lee, molto vicino ai Tea Party, e il leader della American Conservative Union
Al Cardenas si sono ufficialmente schierati in questi giorni a fianco del candidato
mormone.
La medesima cosa ha fatto Kevin McCarthy, ‘whip’ (‘frusta’, come viene
gergalmente chiamato il rappresentante incaricato di tenere uniti e motivare i
colleghi di partito nei due rami del parlamento) repubblicano alla camera.
Tutti, nell’esprimere il proprio endorsement, hanno invitato i tre restanti competitori
per la nomination ad unirsi all’ex governatore evitando ulteriori contrapposizioni.
La Corte Suprema e la riforma sanitaria obamiana
Ed eccoci in vista del dunque anche a proposito dell’unico atto legislativo di rilievo
messo a segno da Obama nell’intero corso del suo mandato.
La contestatissima ‘riforma sanitaria’ è difatti sotto scacco e rischia almeno per
qualche verso (in specie l’obbligo previsto per ogni americano di dotarsi in futuro di
una assicurazione appunto sanitaria è considerato una insopportabile forzatura
costituzionale) di saltare.
Ben ventisei Stati, ogni tipo di associazioni e un numero infinito di cittadini hanno
chiamato in causa a tale proposito la Corte Suprema che va esaminando il caso dal
26 marzo.
Il verdetto – salvo clamorosi sviluppi – è previsto per giugno e potrebbe avere
certamente in notevole peso sulla campagna elettorale.
In ipotesi, per evitare che la decisione (qualunque possa essere) interferisca, i nove
giudici potrebbero ricorrere ad un oramai antico (risale al 1867) atto nel quale la
stessa Corte concluse per una sospensione sostenendo che ogni deliberazione in
merito ad una legge va presa dopo l’entrata in vigore della medesima e non prima.
Staremo a vedere.
Santorum è vicino alla resa?
“Voglio servire il mio Paese in ogni possibile modo e se Romney dovesse ottenere la
nomination sarei disposto ad entrare nel ticket come candidato alla vice presidenza”,
pressappoco queste le parole pronunciate da Rick Santorum.
Non una resa definitiva, certamente, ma una realistica – rispetto alla corsa verso
Tampa – presa d’atto della situazione determinata anche dagli oramai continui
‘endorsement’ dei leader Gop a favore del rivale.
Romney attacca Obama sulla politica estera
Un fuori onda tv carpito a Seul durante il summit internazionale che lo vedeva
protagonista ha messo nei guai Obama, registrato nel mentre, convinto di non essere
a portata di microfono, prometteva al presidente russo uscente Medvedev una
maggiore flessibilità nei rapporti dopo la sua rielezione.
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Da sempre accusato dai repubblicani di scarsa dimestichezza e di poco polso nella
politica estera, l’inquilino della Casa Bianca, con queste parole che intendeva fare
arrivare a Putin, si è esposto agli attacchi di Mitt Romney che ha avuto buon gioco
nel denunciarne anche la doppiezza: apparentemente e pubblicamente duro con i
russi e in verità morbido e arrendevole.
Gingrich sull’orlo del ko
Nel mentre si intensificano la dichiarazioni ufficiali di sostegno alla candidatura di
Mitt Romney (oramai, ben pochi dei maggiorenti Gop si sono sottratti).
Nel mentre Rick Santorum comincia a pensare ad un incarico nella possibile nuova
amministrazione Romney.
Nel mentre il mormone partecipa al Jay Leno Show con notevole successo.
Nel mentre un sondaggio rivela come la maggior parte dei repubblicani siano
convinti che Romney sia il cavallo giusto e che l’unico a dover restare in corsa
contro di lui sia il predetto Santorum.
Nel mentre tutto questo accade, ecco Newt Gingrich annunciare che la ristrettezza di
fondi lo obbliga a ridefinire staff e strategie: licenzia, l’ex speaker della camera, un
terzo del suo entourage e comunica che d’ora in avanti farà propaganda solo in ben
mirate situazioni.
Non un ritiro, ma qualcosa di molto simile.
La spietatezza della corsa verso la nomination (se vinci avrai soldi e continuerai a
vincere, se perdi non ne troverai e continuerai a collezionare sconfitte!) è ancora una
volta confermata dai fatti.
Marco Rubio, G.H.Bush e Scott Walker per Romney
A valanga.
A valanga, e siamo a fine marzo, si susseguono le dichiarazioni pro Romney da parte
di praticamente tutti i repubblicani di una qualche importanza.
Come ha detto il senatore della Florida Marco Rubio nell’esprimersi in tal senso,
Mitt ha oramai la nomination a portata di mano ed è l’unico Gop in grado di
mandare a casa Obama a novembre.
Con il mormone, anche l’ex presidente George Herbert Bush e il governatore del
Wisconsin (dove si vota il prossimo 3 aprile) Scott Walker.
Prospettive
Il mese di aprile sarà probabilmente decisivo in casa repubblicana.
Il 3 sono chiamati al voto Washington D.C., Wisconsin e Maryland, mentre il 24 se la
vedranno con le urne Pennsylvania, New York, Delaware, Connecticut e Rhode
Island.
Se, come tutti i sondaggi concordemente dicono, esclusa la Pennsylvania (dove,
comunque, il vantaggio di Santorum va di giorno in giorno assottigliandosi), tutti i
citati Stati si pronunceranno per Romney, ove l’ex senatore non si ritirasse
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spontaneamente, il partito interverrebbe per mettere fine ad una lotta a quel punto
inutile e controproducente.
Dove vanno i dollari?
Mitt Romney, e non l’ha mai nascosto tanto che la questione ha avuto un qualche
rilievo nel corso dei primi mesi di campagna elettorale, è molto ricco di suo e, fin
dall’inizio, ha potuto contare sull’appoggio economico di un notevole numero di
sostenitori a loro volta ben nutriti.
Con l’andare del tempo, con il ritiro di larga parte degli avversari e con la sua
conferma quale front runner i contributi sono aumentati.
Oggi, ottenuto l’endorsement dell’intera famiglia Bush, quello, fondamentale per i
rapporti con i Tea Party e con i numerosissimi ispano americani, del potente
senatore Marco Rubio, il mormone ha praticamente chiuso la gara in fatto di
finanziamenti mettendo nell’angolo i restanti avversari.
Da sempre, nel corso della maratona delle primarie e dei caucus, i dollari cercano e
trovano la loro definitiva destinazione: il 2012 non ha fatto eccezione.
Novantotto a zero?
Maryland: trentasette (37) delegati.
District of Columbia: diciannove (19) delegati.
Wisconsin: quarantadue (42) delegati.
Ecco il non indifferente ‘bottino’ per il quale, in vista del 3 aprile, vanno duramente
scontrandosi in questi giorni Romney e Santorum.
E, cosa decisamente rilevante, in tutti e tre i predetti territori i voti elettorali si
conquistano con il meccanismo del ‘winner take all’!
Ove, come tutti i sondaggi dicono, il mormone dovesse prevalere, si porterebbe a
casa la bellezza di novantotto (98) delegati lasciando il rivale a zero e portandosi
vicino alla soglia dei settecento voti a lui collegati.
I giochi volgono finalmente (il contrasto nuoce al candidato rappresentando una
contrapposizione interna che i democratici possono sfruttare e il procrastinarsi della
lotta è psicologicamente negativo per Romney) al termine.
Si parla dei possibili vice
Nel mentre il multimiliardario Sheldon Adelson dichiara che Newt Gingrich, da lui
finanziato finora alla grande, “è giunto al capolinea”, tra i repubblicani si comincia
a parlare dei possibili candidati alla vice presidenza.
Il senatore della Florida Marco Rubio, per quanto si sia chiamato fuori, resta in
prima linea anche perché garantirebbe l’appoggio dei numerosissimi ispano
americani.
Altrettanto, potrebbe fare il governatore del New Mexico Susan Martinez (al
riguardo, ricordo che le due precedenti volte nelle quali una donna ha fatto parte di
un ticket, non certo per sua responsabilità, la sconfitta del partito di appartenenza è
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stata nettissima: Geraldine Ferraro con Walter Mondale e Sarah Palin con John
McCain).
Tra gli altri papabili, il governatore del New Jersey Chris Christie e l’influente
deputato del Wisconsin (appena dichiaratosi per Romney) Paul D. Ryan.
In economia, gli americani preferiscono le ricette Gop
Secondo quanto oggi, 1 aprile, comunica l’istituto di Scott Rasmussen, un sondaggio
compiuto a livello nazionale riguardo a cosa pensano i cittadini americani delle
proposte in campo economico portate avanti dai due maggiori partiti conclude con
un quarantanove (49) per cento favorevole alle ricette repubblicane contro un
trentotto (38) per cento favorevoli alle idee democrats.
Si tratta di un risultato di grande rilievo in vista dell’elezione novembrina,
considerato che, naturalmente, stante la crisi in atto, gli elettori terranno
nell’occasione certamente in primo piano, scegliendo quella maggiormente
convincente, ogni possibile alternativa nel difficilissimo e decisivo campo.
Il Tea Party è con Mitt. E gli evangelici?
Non è che il movimento Tea Party si sia ufficialmente dichiarato per Romney, ma, di
certo, molti dei suoi esponenti lo hanno fatto.
Ultimo, per ora naturalmente, in ordine di tempo, il senatore del Wisconsin Ron
Johnson che nel 2010 ebbe a conquistare nel suo Stato lo scranno alla camera alta
proprio dopo essersi apertamente schierato con il Tea Party ottenendone il pieno
appoggio.
Un buon passo in avanti per l’ex governatore del Massachusetts, non tanto in vista
delle restanti primarie quanto in prospettiva novembrina.
Dopo aver segnalato che, pur non esprimendosi attraverso un esplicito endorsement,
anche il leader repubblicano al senato Mitch McConnell ha parlato in favore di
Romney (“Sarà un ottimo candidato”, ha detto), esaminiamo la situazione per
quanto concerne i rapporti tra l’entourage del mormone e gli importantissimi
evangelici, spesso addirittura decisivi nel voto per White House.
Ecco, non è che qui le cose vadano poi molto bene: continuano gli evangelici ad
esprimersi per Santorum determinandone il successo negli Stati nei quali sono in
numero tale da influire sul risultato.
Data per certa, comunque, la nomination di Romney, come già affermavo nel mio
appello posto all’inizio del presente volume, la sua elezione è invece incerta ove tutte
le anime Gop non si ricompattino.
E’ in questa direzione che il partito dovrà fortemente lavorare.
95
3 APRILE 2012
Maryland, Wisconsin e Washington DC con Romney
Rispettando i pronostici conseguenti ai sondaggi effettuati, chiamati ad esprimersi il 3
aprile, gli elettori repubblicani del Maryland, del Wisconsin e della capitale federale
si sono espressi a favore di Mitt Romney il quale ad oggi conta su un numero di
delegati superiore largamente alle metà di quelli necessari per la nomination.
Il mormone, già da qualche giorno, parlando in pubblico, trascura quasi del tutto i
rivali interni (Santorum in primis) per occuparsi di Obama, lanciando il seguente
messaggio: io sono lo sfidante del presidente in carica e la questione non è in
discussione.
Nel mentre Gingrich scende ai minimi e Ron Paul si barcamena come al solito,
Santorum si lecca le ferite e dice di voler continuare fino a quando davvero Mitt non
avrà con sé tutti i delegati necessari alla nomination.
Con ogni probabilità, dovesse perdere anche nella sua Pennsylvania, sarà costretto a
gettare la spugna il prossimo 24 aprile.
I risultati secondo quanto comunicato dai dirigenti Gop:
Wisconsin
I) Mitt Romney
42,5%
II) Rick Santorum 37,7%
III) Ron Paul
11,7%
IV) Newt Gingrich 6,6%
Maryland
I) Mitt Romney
49,1%
II) Rick Santorum 29%
III) Newt Gingrich 10,9%
IV) Ron Paul
9,5%
Washington DC
I) Mitt Romney
70,2%
II) Ron Paul
12%
III) Newt Gingrich 10,8%
(Santorum non era in corsa nella capitale)
Obama ottiene ufficialmente la nomination democratica
Nel frattempo, in campo democratico, senza avversari e pertanto vincendo a man
bassa ogni caucus ed ogni primaria, Barack Obama ha oggi conquistato i delegati
necessari per ottenere la nomination alla convention estiva di Charlotte.
96
Il ‘peso’ di Ann Romney e di Michelle Robinson
Come praticamente sempre nella politica americana le consorti di Obama e di
Romney sono donne di particolare rilievo in qualche modo determinanti per la
carriera dei mariti.
Conosciamo Michelle Robinson Obama, i suoi successi, le sue idee, l’influenza (a dir
poco) che ha avuto su Barack da lei condotto spesso quasi per mano nei primi anni
di unione.
Personalmente, la ritengo di una categoria superiore rispetto al coniuge.
Quanto ad Ann Lois Davies Romney, madre di famiglia esemplare, bionda e solare,
sappiamo che è stata un’ottima prima donna a fianco di Mitt nei quattro anni che lo
hanno visto governare il Massachusetts e la vediamo oggi fortemente e in qualche
modo anche autonomamente impegnata nella campagna elettorale.
Rappresentano, le due signore, le americane capaci, in gamba, non succubi dei
mariti.
Due belle presenze, davvero.
Si parla già del 2016!
Non contenti della campagna in atto, molti guardano addirittura al 2016.
Ieri, Bill Clinton, parlando in tv, ha ipotizzato per quella data un ritorno in campo
della moglie Hillary, che, peraltro – ricordo – nel caso avrebbe la bellezza di
sessantanove anni.
Gli osservatori, poi, si sbizzarriscono promuovendo scenari diversi a seconda
dell’esito novembrino del corrente 2012.
Dovesse confermarsi Obama, Romney oramai fuori gioco, i Gop potrebbero puntare
su Marco Rubio o su Jeb Bush (bello, lo scontro tra dinastie: Bush contro Clinton!).
Tra i democratici, perché non guardare a Andrew Cuomo, il figlio del mitico
governatore del New York Mario?
Eccetera, eccetera.
Ricordiamoci di Reagan
A giochi fatti (nell’entourage di Romney ci si atteggia giustamente come se la
nomination fosse già acquisita) e guardando al rivale democratico oggi a White
House, ecco, come prevedibile, il riferimento a Ronald Reagan e al suo 1980.
All’epoca, presidente in carica era l’esponente del partito dell’asino Jimmy Carter e
Reagan lo fece fuori impedendogli un secondo mandato.
Oggi, alla Casa Bianca siede il democratico Obama e l’intenzione è ovviamente
quella di trattarlo allo stesso modo.
Chi è Rob Portman e perché si parla di lui?
Alla camera dei rappresentanti per ben sette mandati consecutivi vincendo ogni volta
nel suo distretto con numeri altissimi (spesso oltre il settanta per cento dei voti), di
poi partecipe dell’amministrazione di George Walker Bush nel secondo mandato,
infine eletto senatore dell’Ohio nel 2010 con largo margine, questo il curriculum
97
politico di tutto rilievo di Robert ‘Rob’ Portman che non pochi media indicano come
favorito per la candidatura alla vice presidenza a fianco di Mitt Romney.
Se son rose fioriranno, ma, ove si rammenti che a parte il 1960 il pretendente a
White House vincente in Ohio ha raggiunto il proprio obiettivo, non male l’idea di
mettersi in squadra una persona che i cittadini di quello Stato hanno sempre
dimostrato di amare e seguire.
Aspettando il 24 aprile
Un utile intervallo.
Le tre settimane che dividono le recenti consultazioni datate 3 aprile da quelle in
programma il prossimo 24 servono a fare un quadro maggiormente preciso della
situazione, a raccogliere le idee nei diversi campi, ad esaminare con calma le
prospettive.
Ed ecco che nel mentre si susseguono le dichiarazioni di appoggio a Mitt Romney
(recenti quelle della gran parte dei superdelegati, del governatore dell’Iowa Terry
Branstad e di quello del Rhode Island Dan Carcieri)- che, per parte sua,
giustamente, si atteggia a nominato attaccando il presidente e trascurando i rivali
Gop -, nell’entourage di Santorum ci si interroga seriamente: è vero, alle porte c’è la
Pennisylvania ma i sondaggi dicono che anche nello Stato che l’ha eletto alla camera
alta il candidato cattolico rischia di essere battuto mettendo in discussione anche un
suo ulteriore ruolo politico…Conviene ritirarsi prima contrattando con il partito le
condizioni migliori?
E non è forse ora, pensano anche i sostenitori di Newt Gingrich di aggregarsi a
Romney in vista dello scontro finale con Obama?
Interventi, appelli e discussioni in pubblico e in privato dove condurranno?
98
10 aprile 2012
Santorum getta la spugna
Gettysburg, Pennsylvania, 10 aprile, in una conferenza stampa il candidato ultra
conservatore Rick Santorum ha annunciato il proprio ritiro dalla corsa repubblicana
per la nomination.
Motivo determinante, a suo dire, la rincrudita malattia della figlia minore e i suoi
continui ricoveri.
Motivo altrettanto certo anche se non dichiarato: i sondaggi, tutti i sondaggi, lo
davano per battuto il prossimo 24 aprile non solo negli altri quattro Stati chiamati alle
primarie ma anche nella sua Pennsylvania.
Si spiana adesso definitivamente la strada davanti a quello che ebbi a definire già in
ottobre 2011 ‘il candidato inevitabile’ Mitt Romney.
E’ l’ora, per il mormone, di concentrarsi sulla difficilissima scelta del compagno di
ticket e, soprattutto, di chiamare a raccolta l’intero partito, Tea Party ed evangelici
inclusi.
E’ l’ora, per questi ultimi, di capire che se si vuole davvero cacciare Obama ci si deve
tutti schierare con il mormone.
99
Sette mesi (o quasi) di battaglia elettorale
Certo, Newt Gingrich e Ron Paul non intendono (per ora) ritirarsi, ma è a tutti
chiaro che la loro battaglia è persa e che la nomination di Mitt Romney è oramai
solo una formalità.
Lo scontro Obama/Romney – e mancano addirittura quasi sette mesi al redde
rationem del 6 novembre - ha già preso il via e i due cominciano a suonarsele di
santa ragione.
Confermando le sue posizioni, a mio (ma, non solo mio) parere sostanzialmente
socialisteggianti e pertanto estranee agli USA, il presidente ha, ieri 10 aprile,
attaccato il mormone rappresentandolo come “quel riccone che vuole portarmi via il
posto”.
Nel mentre l’intero Gop o pressappoco va schierandosi al fianco di Mitt,
nel mentre i sondaggi nazionali (per quel che valgono) danno spesso l’ex
governatore del Massachusetts davanti o alla pari nelle intenzioni di voto,
nel mentre ci si arrovella a proposito dei cosiddetti ‘swing States’ cercando di capire
quali mosse li possano portare dalla propria parte,
la CNN autorevolmente proclama gli esiti di un sondaggio Stato per Stato teso a
stabilire, se si votasse adesso, dove finirebbero i delegati (ricordo che sono in totale
cinquecentotrentotto) al collegio nazionale.
L’esito? Duecentosessantasei per Obama e duecentosessantadue per Romney.
Un vero testa a testa nel quale nessuno dei due taglia il traguardo, considerato che
per vincere occorrono al minimo duecentosettanta voti elettorali.
Decisiva, alla fine e se davvero i repubblicani tutti si porranno alle spalle del
mormone, sarà, come quasi sempre del resto quando è in corsa per la conferma un
inquilino di White House, la situazione economica.
A parte i ‘duri e puri’ – comunque, una minoranza – gli americani votano, come
probabilmente è giusto, guardando ai posti di lavoro, ai sacrifici da compiere, alle
prospettive.
Ricordate Ross Perot?
Rick Santorum? Fuori gioco.
Newt Gingrich e Ron Paul? Ininfluenti.
Mitt Romney? Ha confermato di essere ‘il candidato inevitabile’.
Ed eccoci, quindi, allo scontro diretto Obama/Romney.
E ci si affida ai sondaggi.
L’ho detto e scritto molte volte: quelli a livello nazionale lasciano il tempo che
trovano.
Si vince Stato per Stato ed è successo in diverse occasioni (l’ultima, nel 2000,
quando il secondo Bush ha battuto Al Gore) che sia risultato eletto il concorrente che
aveva preso meno voti appunto a livello nazionale.
E, d’altra parte, mancano oltre duecento giorni al fatidico 6 novembre ed è
decisamente troppo presto.
Propongo al riguardo solo due dei molti possibili riferimenti.
100
Il primo: marzo 1980, le rilevazioni nell’intero Paese danno l’uscente Jimmy Carter
in vantaggio di un buon venticinque per cento sullo sfidante Ronald Reagan.
Al dunque, Reagan vince con il cinquantuno per cento dei suffragi e Carter si ferma
al quarantuno.
Giugno (giugno!) 1992, in testa nettamente Ross Perot (qualcuno si ricorda di lui, di
questo miliardario indipendente in corsa sia nel citato ’92 che, dipoi, nel 1996?) con
il trentanove per cento delle indicazioni di voto.
Seguono, George Herbert Bush al trentuno mentre il futuro presidente Bill Clinton è
solamente terzo con un poco promettente venticinque.
A novembre, Clinton prevarrà su Bush per quarantatre a trentanove per cento e il
predetto Perot non conquisterà neppure uno Stato.
Spero vinca il mormone, ma nulla, oggi, mi dice come davvero la sfida andrà a finire.
Casalinghe disperate?
Le donne…importantissime sempre, per carità.
Ancora di più, se possibile, in campagna elettorale.
Ebbene, un benedetto sondaggio (ne avremo a milioni e su tutti i temi) afferma che
Romney non è affatto amato dalle donne: gli preferiscono, cinquantatre per cento a
trentaquattro, Obama.
Ecco, quindi, scendere in campo la signora Ann Romney che piace certamente alle
americane.
Conseguenti attacchi da parte democratica: Mitt si nasconde dietro la moglie e così
via.
Tutto secondo copione, alla fine, non fosse per una collaboratrice troppo zelante
della Casa Bianca: una certa Hilary Rosen.
“Cosa conosce dei problemi delle donne la signora Romney che non ha lavorato un
sol giorno della sua vita?”, ha tuonato Rosen.
Apriti cielo.
“Forse che scegliere di fare la donna di casa, far nascere e crescere cinque figli non
è lavorare?”, ha replicato l’ottima Ann nel mentre tutte le associazioni femministe
prendevano posizione sul tema.
“I soliti democratici, contrari nel fondo alla famiglia”, hanno aggiunto i maggiorenti
repubblicani.
Alla fine, marcia indietro di Hilary Rosen che, redarguita a quel che pare dallo
stesso Obama, ha chiesto scusa a tutti coloro che si sono offesi per le sue parole.
Sullo sfondo, importantissimo ancora, il recente attacco di Romney alla politica
economica obamiana (una larghissima maggioranza di americani riconosce al
candidato mormone una eccezionale competenza riguardo alla fondamentale materia
economica) che ha provocato, fra l’altro, un aggravamento della situazione riguardo
ai posti di lavoro aumentando in specie il tasso di disoccupazione femminile.
101
‘Restore our Future’
Duecento milioni di dollari!!!!
Ecco quanto ha a disposizione il Superpac ‘Restore our Future’ che fa capo al mitico
consigliere di Heorge Walker Bush Karl Rove.
Davvero un mucchio di soldi pronti all’uso e quindi ad investire già nei prossimi
giorni con un diluvio di spot e inserzioni negative il presidente Obama.
In quella che senza dubbio risulterà alla fine essere la campagna elettorale di
maggior costo della storia, anche da parte democratica verranno gettati nella
mischia capitali pressoché illimitati.
In un prossimo futuro, sarà bene porre un argine a questa piena: non è
assolutamente certo, infatti, che il candidato in grado di raccogliere fondi in quantità
industriale e magari di seppellire l’avversario con una propaganda a lui contraria
sia poi sul serio il ‘best man’ che l’America è certa ogni volta di eleggere.
‘Swing States’
Allorquando, il prossimo 6 novembre, gli USA andranno alle urne per scegliere il
presidente, dati per certi gli esiti sia nei ‘red States’ repubblicani che nei ‘blue
States’ democratici, con quasi assoluta certezza, alla Casa Bianca approderà tra i
due in corsa il candidato che avrà saputo conquistare i cosiddetti ‘swing States’,
quelli incerti, nei quali le intenzioni di voto sono ancora poco chiare e le vere
preferenze in bilico.
Con ogni probabilità, decisivi saranno quindi la Virginia, il Colorado, il Nevada e
l’Ohio dove già, metaforicamente, si combatte casa per casa.
102
16 APRILE 2012
Si comincia a parlare della religione di Romney
Nel mentre, oramai da qualche giorno e senza interruzioni, Scott Rasmussen conclude
la propria rilevazione sulle intenzioni di voto a livello nazionale sostenendo che una
maggioranza, sia pure assai contenuta, preferirebbe Mitt Romney all’uscente Obama,
qualcuno comincia ad interrogarsi sulla religione dell’ex governatore.
Lo sanno tutti e da sempre: è un mormone, ma mentre i suoi contendenti in campo
repubblicano per la nomination non hanno mai eccepito al riguardo, non così sarà
certamente dopo le convention, quando opposto al democratico nel prosieguo della
contesa.
E v’è addirittura qualcuno che sostiene che se eletto Mitt sarebbe il primo presidente
‘non cristiano’, visto che non poche persone negli USA guardano alla Chiesa
mormone come ad una setta.
Prescindendo da tutto ciò, rompendo gli indugi e fornendo a Romney un appoggio
che potrebbe rivelarsi decisivo, Richard Land, presidente della Southern Baptist
Convention, una delle più
importanti congregazioni evangeliche USA, ha
ufficialmente dichiarato “I protestanti devono votare in massa per Mitt Romney”.
Ho detto fin da subito (si guardi alle primissime pagine di questa cronaca) che il
successo può arridere al mormone solo e soltanto se tutte le anime Gop, in primo
luogo con i Tea Party proprio gli evangelici, lo seguiranno.
Siamo sulla strada giusta.
103
17 APRILE 2012
Documenti
Come battere Obama puntando sulla politica estera,
un articolo di Karl Rove e Ed Gillespie ripreso da ‘Foreign Policy’
In un'elezione americana focalizzata su un'economia in pessimo stato e alta
disoccupazione, è convinzione diffusa che la politica estera sia una delle poche punti
forti di Barack Obama.
Ma il presidente è sorprendentemente vulnerabile in quest’ambito.
I Repubblicani che guidano la lista del partito possono attaccarlo in quel che Obama
considera erroneamente il suo punto di forza principale, traducendo in messaggi
elettorali e azioni le critiche che dal centro-destra vengono mosse alla sua politica
estera.
Ecco come lo si potrebbe battere.
In primis, il candidato Repubblicano dovrebbe adottare un tono fiducioso e
nazionalista, enfatizzando l'eccezionalismo americano, esprimendo orgoglio nel ruolo
statunitense come forza per il bene nel mondo e sostenendo un’America nuovamente
rispettata (e in alcune aree, temuta) come potenza mondiale preminente.
Obama agisce come se vedesse negli Stati Uniti un gigante pieno di difetti, un errore
che gli elettori hanno già avvertito.
Dopo tutto, questo è il presidente che ha detto “credo nella superiorità dell’America,
per quanto sospetti che gli inglesi credano nella superiorità dell’Inghilterra e i Greci
nella superiorità della Grecia”.
Gli elettori hanno anche percepito che [Obama] è soddisfatto di gestire il declino
degli Stati Uniti, portandoli a una condizione in cui l’America è solo uno Stato tra
tanti.
Così come ha dichiarato, la sua “è una leadership americana che riconosce i propri
limiti”.
Il candidato Repubblicano dovrebbe utilizzare le stesse parole e azioni usate dal
presidente per presentarlo come ingenuo e debole nelle questioni di politica estera.
Le promesse non mantenute da Obama, le opportunità perse e le mutevoli posizioni
su questo o quella politica dicono che [il presidente] non sia sufficientemente
informato e in una situazione troppo difficile per lui.
Per esempio, prima di essere eletto, ha promesso di incontrare i leader di Cuba, Iran,
Corea del Nord, Siria e Venezuela “senza precondizioni”.
Non è accaduto nulla di tutto questo, solo una seria batosta all’immagine degli Stati
Uniti come affidabile alleato.
Nella campagna elettorale del 2008, l'allora candidato Obama sostenne anche che
l’Iran era una “minuscola” nazione che non “poneva una seria minaccia”.
Quanto tutto questo sembra insensato ora.
Allo stesso tempo, il candidato Repubblicano non dovrebbe esitare a mostrare gli
ambiti ove Obama ha lasciato fortemente invariata le politiche del suo predecessore.
104
Obama si troverà a disagio se il candidato si congratulerà con lui per aver applicato la
strategia del surge in Afghanistan, permettendo l’uso esteso di droni, cambiando idea
sul trattamento riservato terroristi detenuti, e rinnovando il Patriot Act dopo averlo
dapprima condannato come una “legge mal scritta e pericolosa”.
Tali complimenti darebbero al candidato Repubblicano grandi possibilità di criticare i
numerosi insuccessi di Obama – non solo la sua proposta di solidarietà verso i regimi
tirannici di Iran, Corea del Nord e Venezuela, ma anche il disastroso “reset” dei
rapporti con la Russia, la cattiva gestione delle relazioni con il Pakistan, la
politicizzazione dei calendari di ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan, e
l’indifferenza mostrata verso alleati storici quali Nato, Canada e Messico, così come
di potenze che si stanno emergendo come l’India.
Obama riconosce di essere percepito come “freddo e distante”, e il candidato
Repubblicano potrebbe insistere su questo punto per renderlo più evidente.
Il presidente ha pochi validi amici tra le nazioni estere (tranne, ovviamente, il primo
ministro turco Recep Tayyip Erdogan, come ha dichiarato a Fareed Zakaria sul
settimanale ‘Time’).
Il candidato Repubblicano dovrebbe criticare Obama per non aver compreso che la
partecipazione in prima persona del presidente degli Stati Uniti è fondamentale per
una leadership mondiale efficace.
La mancanza di contatti regolari e confidenziali con il primo ministro dell’Iraq Nouri
al-Maliki e con il presidente dell’Afghanistan Hamid Karzai - che ha distrutto le
relazioni con quelli che un tempo erano alleati dell'America, è il più sconvolgente,
inspiegabile esempio del passivo approccio di questo presidente.
Poiché la campagna elettorale invernale dev’essere dedicata a promuovere la
proposta Gop su lavoro ed economia, il candidato del partito Repubblicano dovrebbe
condividere la sua estesa visione sulla politica estera al più tardi entro i primi giorni
d’estate.
Dare agli elettori un’idea di dove si vuole portare la nazione sarebbe importante per
rinsaldare la sua immagine come quella di un leader degno dell'Ufficio Ovale.
Proiettare solo l'immagine giusta, non basta.
Il candidato Repubblicano dovrà affrontare almeno quattro aree di importanza vitale.
La più importante è la lotta che definirà l'arco di questo secolo: quella al terrorismo
islamico radicale.
Dovrebbe portare avanti l’idea che la vittoria deve essere un obiettivo nazionale per
l’America, non la semplice ricerca a “delegittimare l’uso del terrorismo e isolare
quelli che lo sostengono”, come annunciato da Obama nel Maggio 2010 nella sua
National Security Strategy (la Strategia sulla Sicurezza Nazionale).
Come durante la Guerra Fredda, la vittoria richiederà un prolungato coinvolgimento
degli Stati Uniti e la volontà di utilizzare tutti gli strumenti di influenza – dalla
diplomazia ai legami economici, dagli sforzi dei servizi segreti all’azione militare.
In secondo luogo, il candidato Repubblicano dovrà condannare la precipitosa
diminuzione delle forze in Afghanistan e il profondo e pericoloso taglio alle spese
alla Difesa operata dalla sua amministrazione.
105
Entrambe queste politiche sono guardate con scetticismo dal vertice militare: la prima
incoraggia gli avversari dell’America e scoraggia i suoi alleati; il secondo causa
profonda preoccupazione ai veterani e agli altri americani che dubitano dell’impegno
di Obama per i militari.
Terzo, il candidato Repubblicano dovrebbe concentrarsi sui pericoli degli Stati
canaglia, in particolare Iran e Corea del Nord.
L’imminente terzo anniversario dalle elezioni presidenziali iraniane rubate nel 2009 è
un momento particolarmente propizio per il candidato Repubblicano per incontrare
gli esuli iraniani e rilasciare un importante discorso incentrato sulle debolezze e le
ingenuità di Obama nei rapporti con queste potenze bellicose.
In parte a causa della mala gestione della minaccia iraniana, Obama ha perso molto
del supporto economico e politico di cui godeva presso la comunità ebraica
americana.
Il suo approccio su Israele va presentato come ugualmente debole e inaffidabile.
Il candidato Repubblicano dovrà mettere in chiaro la minaccia esistenziale che Israele
deve affrontare e posta da un Iran in possesso di armi nucleari – non solo perché
porterebbe a un miglioramento della politica, ma anche perché ridurrebbe il sostegno
elettorale di cui gode il presidente nel blocco di elettori chiave collocato negli Stati
contesi di Florida, Michigan, Ohio e Pennsylvania.
La quarta linea di attacco dovrebbe essere sulla fragile economia dell’America e su
come rimetterla sul binario giusto.
Molti elettori pensano che la gestione dell’economia da parte di Obama sia stata
inconsistente e addirittura controproducente.
Diventa imperativo, dunque, per il candidato Repubblicano portare avanti questa
idea, per promuovere gli scambi e favorire un interesse economico maggiore da parte
del panorama internazionale.
Il fallimento di Obama nell’eguagliare gli altri Stati nell’apertura aggressiva di
mercati per le esportazioni e il lavoro possono essere legati alle sue responsabilità
sull’alto tasso di disoccupazione interno e su una ripresa debole.
Queste sono le motivazioni per le quali Obama ha fallito nel diventare un forte leader
internazionale, e il candidato repubblicano deve rafforzare questo messaggio – in cui
la gran parte degli americani già crede.
La politica estera è una debolezza di questo presidente, non un punto di forza.
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Due sondaggi per Obama e due per Romney
15 aprile.
Quattro diversi sondaggi a livello nazionale ad opera di quattro serissimi istituti.
Rasmussen: Obama 44%, Romney 47%
CNN: Obama 52%, Romney 43%
Reuters: Obama 47%, Romney 43%
Gallup: Obama 45%, Romney 47%
Che dire?
Dieci possibili vice presidenti Gop
Poi, magari, ne spunterà un altro, l’undicesimo.
Oggi, comunque, gli analisti, quanto al possibile candidato alla vice presidenza a
sostegno di Romney indicano i seguenti personaggi:
All’est, il governatore del New Jersey Chris Christie.
A sud, il governatore della Louisiana Bob Jindal, il senatore della Florida Marco
Rubio, il governatore della Virginia Bob McDonnell.
Nel midwest, il senatore del South Dakota John Thune, l’ex governatore del
Minnesota Tim Pawlenty, il deputato del Wisconsin Paul Ryan, il governatore
dell’Indiana Mitch Daniels, il senatore dell’Ohio Rob Portman.
Nel west, il governatore del New Mexico Susana Martinez.
La base preferisce Condoleezza
Ennesimo sondaggio, stavolta riservato ai soli repubblicani.
“Chi vorreste accanto a Romney quale candidato alla vice presidenza?”, era la
domanda.
Ebbene, al primo posto con un solido ventisei (26) per cento, nientemeno che l’ex
segretario di Stato di George Walker Bush Condoleezza Rice, davvero una gran
donna.
Rice, l’ho già scritto e ripetuto, come Rubio o un altro ispanico di pari peso, dopo
Tampa, dovrà essere della partita se davvero si punterà a vincere.
Cani e Casa Bianca
Scontro tra cosiddetti ‘strateghi elettorali’ a proposito di cani.
Riprendendo un tormentone molte volte tirato in ballo da David Letterman nel suo
schieratissimo (per Obama) show, David Axelrod, appunto stratega del presidente,
ha criticato il comportamento della famiglia Romney che in occasione di un viaggio
in Canada ebbe a sistemare il cucciolo Seamus in una gabbietta sul tetto della
macchina e quindi al vento.
Eric Fehrnstrom, per conto del mormone, ha subito replicato prendendo in giro
Barack e la moglie che portano a spasso il loro ‘first dog’ Bo nella limousine
presidenziale.
Meglio parlare d’altro, vero?
107
19 aprile 2012
Un bel problema: le primarie a venire contano poco o nulla
Bei tempi quelli passati per gli Stati coinvolti.
Mi riferisco a non poi tanti anni fa, quando il ciclo delle primarie e dei caucus – che
prendeva il via a febbraio - era meno intenso, in specie perché non tutti i territori
statali partecipavano alla kermesse.
Occorreva allora che la California, il Texas o, per dire, il New York (i tre di maggior
peso) riuscissero ad esprimersi a giochi ancora aperti e non fossero costretti, come
oggi sostanzialmente capita, a dire come la pensano senza che a nessuno possa
davvero interessare.
L’esito del confronto 2012, la vittoria relativamente veloce di Romney, per quanto sia
un bene per i Gop non ulteriormente costretti a lottare tra di loro, porterà, volendo
ogni Stato giustamente contare, certamente in futuro ad una ulteriore anticipazione e
quindi all’affollamento di primarie e caucus all’inizio dell’anno elettorale o
addirittura al dicembre di quello precedente.
E’ forse arrivata l’ora di regolamentare di bel nuovo l’intero meccanismo.
108
Jeb Bush si propone, Marco Rubio si sottrae ma fa campagna con Mitt
Nel mentre, del tutto comprensibilmente visto che non essere dopo presi in
considerazione non li farebbe di certo felici, nel mentre, ripeto, la maggior parte dei
possibili candidati alla vice presidenza Gop si dichiarano fuori gioco, non altrettanto
ha fatto Jeb Bush.
L’ex governatore (due volte e non riproposto solo in quanto le regole locali vietano
un terzo mandato) della Florida, ultimo – per il momento, i figli suoi e di George
Walker crescono - della dinastia, ha detto esplicitamente che sarebbe ben contento
di affiancare Romney nella sfida finale.
“Sono pronto”, ha dichiarato in una intervista, “ma non so se il telefono davvero
suonerà”.
Frattanto, il senatore ispanico Marco Rubio fa campagna elettorale in Pennsylvania
fianco a fianco del mormone: non è in corsa, dice, ma la sua collaborazione sarà
totale.
E’, Rubio, un uomo nuovo che, oltre ad essere di origini cubane e pertanto – va
sottolineato considerato il numero dei possibili votanti di lingua madre spagnola -,
ribadisco, ispaniche, è assai ben visto dai Tea Party.
Secondo il New York Times Romney deve ‘riposizionarsi’
Incombenti (si vota colà il 24 aprile, come anche in Connecticut, Rhode Island,
Pennsylvania e Delaware) le primarie del New York, il ‘New York Times’ si è
pronunciato a favore di Mitt Romney, peraltro – e non è un granché - sostenendo che
guardando alle alternative proposte dai Gop fosse e rimanga l’unico candidato
possibile.
Lamenta l’autorevole quotidiano quello che definisce un eccessivo spostamento sulle
posizioni della destra estrema del mormone, certamente dovuto alla necessità di
ottenere la nomination, ma, comunque e appunto, troppo accentuato.
Auspica, quindi, un ritorno di Romney alle idee originali, quelle maggiormente
centriste già del padre George e da lui portate avanti in particolare nei confronti
delle donne e della sanità pubblica quando era governatore del Massachusetts.
Per il vero, da sempre, quanto rimproverato dal ‘New York Times’ a Mitt accade:
democratico o repubblicano che sia, il ‘nominato’ converge al centro in vista del
confronto finale.
109
24 APRILE 2012
Cinque a zero e la corsa Gop è davvero finita
Come previsto – e non poteva essere altrimenti – Romney ha facilmente vinto nei
cinque Stati nei quali oggi si è votato.
Secondo i primi dati:
con il 67,4% nel Connecticut
con il 56,5% nel Delaware
con il 58% in Pennsylvania
con il 63,2% nel Rhode Island
con il 62,2% nel New York.
Guardando ai delegati, dovrebbe aver raggiunto all’incirca quota ottocentocinquanta
(850) .
110
“Oggi prende il via una nuova America”
Parlando a Manchester, New Hampshire, dopo la netta affermazione nei cinque Stati
chiamati al voto il 24 aprile, Mitt Romney, lungi dall’interessarsi dei rivali interni
Gingrich e Paul (il primo, peraltro, prossimo all’abbandono), si è interessato
direttamente di Obama.
“Oggi”, ha detto, “diamo inizio ad una nuova America.
Nulla di quanto l’attuale presidente ha fatto ci piace.
Quali i progressi derivati alla nazione dal suo agire?
La situazione sociale e quella economica sono forse migliori oggi di quando Obama
ha preso a governare?
Tutto il contrario.
Ha fatto del suo meglio ed ha fallito!
Facciamo che sia anch’egli un presidente da un solo mandato”.
111
26 APRILE 2012
Il ritiro di Newt Gingrich
Si è battuto, forse anche troppo a lungo, ma, alla fine, ha dovuto cedere.
Ieri, l’ex speaker della Camera dei rappresentanti Newt Gingrich, già da tempo fuori
gioco per mancanza di risultati e, conseguentemente, di finanziamenti, ha annunciato
che il prossimo 1 maggio comunicherà ufficialmente il proprio ritiro dalla corsa per la
nomination Gop nonché il suo incondizionato appoggio a Mitt Romney.
Vincitore in due soli Stati (uno dei quali, la sua Georgia), Gingrich è apparso davvero
tra i papabili ‘pour l’espace d’un matin’.
Romney ha vinto prima del prevedibile
Quattro anni fa, per portare un solo esempio, Obama fu certo della nomination solo ai
primi di giugno, quando Hillary Clinton ebbe ad annunciare il suo ritiro.
Ecco, per quanto da subito favorito, mesi orsono era difficile pensare ad una vittoria
tanto precoce di Romney il quale, per conseguenza, pensa già oggi ad unificare il
partito e conta sul molto tempo a sua disposizione per convincere anche gli
Evangelici e i Tea Party.
Anche dal punto di vista economico, la sua affermazione è assai produttiva: i
finanziatori repubblicani eviteranno d’ora in poi di disperdere i fondi tra i diversi
candidati.
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Polemiche, confronti, wikipedia, antiche amicizie, prove e successivi
sondaggi, attese…
In secondo piano – e gli Stati che si sono venuti a trovare per il termine anticipato
della corsa Gop in questa situazione soffrono grandemente per la oramai
scarsissima visibilità – le prossime primarie e i caucus (e pensare che il 29 maggio si
voterà in Texas mentre il 5 giugno in California, i due territori statali maggiormente
rappresentativi in termini di delegati), sono da tempo partite le grandi, o piccole,
manovre.
Mitt Romney prova, chiamandoli di volta in volta a far campagna con lui, i possibili
compagni di cordata.
Rubio lo ha seguito fino a pochi giorni fa, ora al suo fianco la senatrice del New
Hampshire Kelly Ayotte.
Dopo, guardando ai sondaggi, si vedrà se il primo ha davvero scosso i cuori ispanici
o la seconda le donne.
Il vice presidente Joe Biden, nel frattempo, si mette in luce attaccando il mormone da
infiniti punti di vista, in specie sul piano dell’inesperienza internazionale (peraltro,
molte, in proposito, le fondatissime critiche fatte dall’entourage repubblicano ad
Obama – si veda poche pagine indietro il testo di Karl Rove e Ed Gillespie).
Ancora a proposito di attacchi nei confronti di Romney, ecco uno spot che, in
occasione del primo anniversario della cosiddetta (non esiste neppure una prova)
uccisione di Bin Laden, afferma tranquillamente che con l’ex governatore a White
House il capo di Al Kaida sarebbe ancora vivo.
Si scopre che Romney, ai primi passi nel mondo degli affari, ha lavorato,
mantenendo dipoi ottimi rapporti, a lungo con il primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu.
Chissà se e dove potrà portare in termini di appoggi e voti della importantissima
comunità degli ebrei americani anche questa antica frequentazione?
Qualcuno, poi, si è divertito a confrontare le diverse stesure in corso di campagna
dei riferimenti biografici dei differentii candidati su wikipedia.
Infinite le modifiche, innumerevoli, secondo accadimenti e necessità, gli
‘aggiustamenti’.
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30 APRILE 2012
Ipotesi e conteggi del Washington Post
Come già detto, per vincere le elezioni presidenziali un candidato deve conquistare i
voti di almeno duecentosettanta dei cinquecentotrentotto componenti del ‘Collegio
elettorale’ e quindi dei grandi elettori che eleggono presidente e vice presidente.
Guardando alle recenti consultazioni, i repubblicani non superano la soglia dei
trecento voti, appunto ‘elettorali’, da oltre due decenni (quando George H.W. Bush
ottenne quattrocentoventisei preferenze contro Michael Dukakis nel 1988).
Mentre il democratico Bill Clinton si aggiudicò trecentosettanta grandi elettori nel
1992 e trecentosettantanove nel 1996, e Barack Obama vinse nel 2008 con
trecentosessantacinque .
Questo è determinato dal fatto che i democratici sono storicamente forti in alcuni
Stati ‘pesanti’ come California, New York ed Illinois mentre i rivali nel campo
possono fare affidamento solo sul Texas.
Per questo, nonostante avesse vinto trenta Stati su cinquanta nel 2000 e trentuno nel
2004, George W. Bush non ha mai superato la soglia dei trecento voti.
A causa della riorganizzazione dei distretti elettorali conseguente al censimento del
2010, se Romney riuscisse a emulare il Bush del 2000 otterrebbe i voti di
duecentoottantacinque grandi elettori.
Per far questo, il mormone dovrebbe aggiudicarsi cinque stati attualmente dati per
‘incerti’ (Nevada, Colorado, Missouri, Ohio e Florida) e conservare sia la North
Carolina che la Virginia.
Stando al Washington Post, per avere davvero chance contro Obama, Romney
dovrebbe conquistare Stati come la Pennsylvania, il Michigan e il Wisconsin, che per
oltre due decenni sono stati terra di conquista dei democratici.
Mie, conseguenti osservazioni
Nella storia, guardando al confronto diretto democratici/repubblicani che prende il
via nel 1856 (il Gop è fondato nel 1854), i presidenti eletti – e non considero a tal fine
i vice subentrati in corso di mandato – sono James Buchanan (D), Abraham Lincoln
(R), Ulysses Grant (R), Rutheford Hayes (R), James Garfield (R), Grover Cleveland
(D), Benjamin Harrison (R), William McKinley (R), Theodore Roosevelt (R),
William Taft (R), Woodrow Wilson (D), Warren Harding (R), Calvin Coolidge (R),
Herbert Hoover (R), Franklin Delano Roosevelt (D), Harry Truman (D), Dwight
Eisenhower (R), John Kennedy (D), Lyndon Johnson (D), Richard Nixon (R), Jimmy
Carter (D), Ronald Reagan (R), George Herbert Bush (R), Bill Clinton (D), George
Walker Bush (R), Barack Obama (D).
In totale, come si vede, dieci democratici e sedici repubblicani.
Nel periodo, quindi, i democratici hanno governato sessantaquattro anni e i Gop
novantadue.
Si deve, pertanto, concludere che gli americani, di norma, per la Casa Bianca, votano
preferibilmente repubblicano specie ove si tenga conto che in molteplici occasioni la
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scelta democratica è stata conseguente a situazioni particolari (gravi crisi
economiche, spaccatura tra i Gop, guerre)
Quanto alla attuale situazione, la ripartizione dei delegati derivante dal censimento
2010 è maggiormente favorevole per casa repubblicana visto che i ‘Red States’
(ricordo, quelli che abitualmente votano appunto repubblicano) hanno un numero
superiore di ‘voti elettorali’ rispetto a prima essendo aumentati i loro abitanti nel
mentre diminuivano quelli dei ‘Blue States’ (che si esprimono quasi sempre per i
democratici).
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Giuliani appoggia Mitt,
Gingrich ufficializza…
Bloomberg tergiversa ma probabilmente,
Una pizza insieme a New York.
Ecco come e in qual modo l’ex sindaco della Grande Mela Rudolph Giuliani ha
ufficializzato il proprio appoggio a Mitt Romney.
Poi, i due sono andati a trovare l’attuale primo cittadino nuovayorchese Michael
Bloomberg che li ha ricevuti nella sede della sua fondazione.
Formalmente indipendente ma di simpatie repubblicane, Bloomberg non si è finora
schierato.
Incontra ora Romney, ha da poco visto alla Casa Bianca Obama…
Tasta terreno e prospettive personali…
Nel frattempo, dando seguito alle promesse fatte, Newt Gingrich si è definitivamente
accodato al mormone garantendogli il suo pieno sostegno.
Lo scontro tra i due fronti opposti è già virulento e, se non Romney e Obama
personalmente, i due entourage se le dicono e danno di santa ragione.
Si tirano fuori vecchi conti svizzeri intestati ad Ann Romney, si accusa il presidente
di strumentalizzare il primo anniversario della morte di Bin Laden e, insomma, tutto
fa brodo.
E mancano un’infinità di giorni al fatidico 6 novembre..
116
2 MAGGIO 2012
Documenti
La politica energetica di Mitt Romney,
un articolo di Monica Ogrodowski
Con l’aumento del prezzo della benzina in testa alle preoccupazioni degli elettori,
l’energia sarà probabilmente una delle questioni chiave della campagna presidenziale
di quest’anno negli Stati Uniti.
La proposta di politica energetica di Mitt Romney riprende quello che
presumibilmente Obama avrà escluso – la versione di Romney di un approccio ‘all of
the above’ nell’energia.
Egli sostiene che l’indipendenza energetica richieda una politica volta ad utilizzare
tutte le fonti di energia disponibili al fine di diminuire la dipendenza dell’America
dall’estero.
Questo significa, in particolare, aumentare la produzione domestica eliminando gli
ostacoli allo sviluppo di fonti interne di petrolio, gas naturale, carbone ed energia
nucleare anche attraverso l’esplorazione di depositi di shale oil.
Esistono tre modi per farlo: riformare la regolazione, supportare l’aumento della
produzione interna e concentrarsi sul finanziamento della ricerca di base e dello
sviluppo.
Partendo dalla sua esperienza nel business, un pilastro fondamentale di questa
proposta è l’idea che l’energia non sia solo una materia di sicurezza nazionale ma
anche generatrice di lavoro.
Una politica ‘Pro-Jobs, Pro-Market, Pro-American Energy’ che, secondo questa
posizione, avrebbe un impatto esteso sull’economia nazionale.
L’offensiva della regolazione portata avanti dalla amministrazione Obama e i limiti
imposti alle attività di perforazione petrolifera in aree sensibili dal punto di vista
ambientale sono citate da Romney tra le ragioni principali dell’aumento così radicale
del costo dell’energia.
Pertanto, uno dei maggiori obiettivi della sua politica sarebbe quello di snellire la
stringente regolamentazione che impedisce lo sviluppo delle riserve interne di
petrolio e gas.
Un’amministrazione Romney punterebbe ad aumentare significativamente le attività
di perforazione petrolifera nazionale, consolidando e semplificando le procedure di
rilascio dei permessi e le approvazioni per l’esplorazione e lo sviluppo e
introducendo la possibilità di processi accelerati per le compagnie con affermati
record di sicurezza.
Inoltre, la legislazione ambientale considerata obsoleta sarebbe riformata in modo
tale che l’ambiente verrebbe ugualmente salvaguardato ma non alle spese
dell’industria e della creazione di lavoro.
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Non solo, la proposta di Romney prevede anche di rimuovere l’anidrite carbonica
dalla lista degli inquinanti soggetti a restrizioni secondo il Clean Air Act e di
emendare le leggi relative all’acqua e all’aria pulita.
Sul fronte nucleare, la politica di Romney punterebbe a riorganizzare la struttura
regolatoria dell’industria con l’obiettivo di ridurre le restrizioni sulle decisioni per la
concessione delle licenze e di aumentare l’innovazione.
Per quanto riguarda il carbone – la fonte di energia più abbondante in America – una
regolazione estesa diventerebbe cosa del passato, sostituita da una di più aggressivo
perseguimento dello sviluppo.
Particolare attenzione sarebbe posta sulle tecnologie che bruciano il carbone in modo
pulito, preferite alle politiche di cap-and-trade1 che danneggerebbero l’economia
statunitense e aumenterebbero le tariffe elettriche.
Romney crede che conducendo dettagliate indagini sulle riserve nazionali di petrolio
e gas naturale e aprendo queste riserve non sfruttate all’esplorazione e alla
produzione, l’aumento della produzione domestica – e quindi l’aumento dei posti di
lavoro - sia garantito.
Una sua amministrazione porrebbe fine alla moratoria sulle attività di trivellazione in
acque profonde del Golfo del Messico e supporterebbe tali attività anche in estreme
piattaforme continentali dell’Atlantico e del Pacifico, nelle Western Islands, nell’
Alaska offshore e nel Parco Naturale Nazionale dell’Artico.
Il taglio proposto ai tassi delle imposte sui redditi d’impresa dal trentacinque a
venticinque per cento rientra in questo obiettivo.
Un’altra priorità è la promozione delle relazioni con il Messico e il Canada e, in
particolare, lo sviluppo delle loro risorse energetiche al fine di ottenere fonti sicure ed
affidabili per l’economia americana.
A questo scopo, il ritardo nella costruzione della pipeline Keystone XL, che aprirebbe
le porte alle grandi forniture di petrolio canadese nel mercato americano, creando
simultaneamente più di centomila posti di lavoro ‘shovel-ready’, è considerato uno
dei massimi fallimenti dell’amministrazione Obama.
Per quanto concerne l’industria dello shale gas (che ha avuto una forte espansione nei
decenni passati ed ha rinvigorito una regione negli USA devastata dal crollo
dell’acciaio americano, delle auto e delle industrie di carbone), ogni idea di imporre
una normativa sul ‘fracking’ e sulla trivellazione orizzontale sarebbe totalmente
scartata, dato il potenziale delle vaste riserve di gas naturale nel territorio
statunitense.
In ultimo, Romney propone di investire nella ricerca e nello sviluppo di nuove
tecnologie energetiche.
Il candidato repubblicano ha fortemente criticato il presidente per la troppa attenzione
verso le energie rinnovabili del futuro (come il solare e l’eolico) alle spese delle più
tradizionali fonti fossili di oggi, basate sul carbonio.
Rigettando quello che chiama il “finanziamento irresponsabile ed immorale” delle
singole compagnie da parte dell’amministrazione Obama, Romney propone di usare
un meccanismo di finanziamento simile al DARPA2 per investire nella fondamentale
missione del Dipartimento di Energia di portare avanti la ricerca di base.
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Il denaro che sarebbe altrimenti investito nell’energia verde, che non è ancora
efficiente e realizzabile secondo Romney, sarebbe reindirizzato al finanziamento
della ricerca e dello sviluppo di nuove tecnologie energetiche.
Romney sostiene che nel loro complesso queste importanti proposte di politica
energetica condurranno l’intero Paese verso una ripresa economia, creando e
salvaguardando posti di lavoro, diminuendo la dipendenza dall’estero, aumentando la
produzione domestica e generando miliardi di dollari di ricavi per il Tesoro
Americano – tutto ciò pur facendo “ogni sforzo per salvaguardare l’ambiente”.
_______________________________
1. Le politiche di Cap-and-trade impongono un tetto vincolante alle emissioni di
anidrite carbonica pur mantenendo una certa flessibilità nel modo in cui le compagnie
vi si conformano. Ad esempio, le compagnie più efficienti possono vendere i loro
permessi alle compagnie che non riescono a ridurre le emissioni altrettanto
facilmente.
2. Il finanziamento DARPA (Defense Advanced ResearchProjects Agency) assicura
una fonte di finanziamento di lungo termine e non politica per una varietà di
tecnologie ancora in una prima fase di sviluppo.
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Del difficile rapporto Gop/gay
Lo sappiamo: da sempre, i repubblicani non sopportano i gay.
Si è arrivati al punto che molti evangelici, nel 2008, non votarono McCain perché,
ritenevano, non si fosse abbastanza duramente pronunciato contro ogni e qualsiasi
loro istanza.
A ribadire il concetto e a fornire una nuova arma ai democratici, ecco, oggi 2
maggio, la notizia delle dimissioni del portavoce di Romney Richard Grenell,
dimissioni rese “a seguito”, ha affermato, “di numerosi attacchi ricevuti dai
conservatori Gop riguardanti la sua appartenenza sessuale”.
Una tegola, non di grosse dimensioni, ma una tegola caduta in testa al candidato
mormone.
Un discreto atout in mano ad Obama e ai suoi.
120
3 MAGGIO 2012
Michele Bachmann dichiara il proprio appoggio a Romney
Nel mentre, poco seriamente ma mandando in visibilio i giornali dediti al gossip,
molto si discute in merito ad una maglietta del valore di mille dollari indossata nel
corso di un’intervista da Ann Romney (stia attenta, benedetta donna!), Michele
Bachmann, uno dei massimi leader del movimento dei Tea Party, fino a pochi mesi
orsono in corsa personalmente nelle primarie, ha dichiarato pubblicamente di
appoggiare in tutto e per tutto Mitt Romney.
Gran bella notizia questa per il mormone: alla fine, pare davvero che tutto il partito
repubblicano lo segua e lo sostenga al di là ed oltre ogni divisione.
Dell’identificazione di Obama con Jimmy Carter
Quale tra gli ultimi inquilini democratici di White House il meno capace?
Quello rimasto nella memoria non per i risultati ottenuti ma per i suoi fallimenti,
spesso, peraltro, enfatizzati?
Quale l’ultimo democratico costretto a lasciare dopo un solo mandato?
La risposta a queste tre domande è il povero e debole Jimmy Carter e proprio al
presidente in sella dopo le elezioni del 1976 e defenestrato da Reagan i repubblicani
paragonano ogni volta che possono Barack Obama.
Dovrà questi reagire fermamente e allontanare da sé lo spettro del non troppo lontano
predecessore.
Non gli riuscisse, male decisamente gliene incoglierebbe.
Indiana, North Carolina, West Virginia
E fra pochi giorni i Gop votano nell’Indiana, in North Carolina e in West Virginia.
Tre primarie e un pacchetto di oltre centotrenta delegati in palio che il buon Mitt
Romney conquisterà in gran numero facilmente.
Lo ripeto, i giochi si sono conclusi – virtualmente anche se non formalmente – assai
prima del prevedibile e se questo è un bene per il prescelto nonché per il partito
nazionale, non lo è certamente per gli elettori (il cui voto ha perso peso), per le
organizzazioni partitiche locali (si pensi a quelle, importantissime, del Texas e della
California che saranno in causa rispettivamente il 29 maggio e il 5 giugno), per gli
stessi delegati da eleggere.
121
I cattolici da che parte stanno?
Ci si confronta su tutto, ovviamente.
Si commissionano (ad opera non solo dei candidati o dei partiti ma, starei per dire
soprattutto, dei media) sondaggi su ogni tema.
Si analizzano preferenze di categorie, sessuali, per aree geografiche, religiose.
Si guarda alla storia, ai risultati delle precedenti elezioni…
E a quali risultati è arrivato Gallup con riferimento alle intenzioni di voto odierne
(odierne, va ripetuto) dei cattolici, importanti sia in quanto numerosi sia per il fatto
che, normalmente (ma non sempre), al momento della votazione, si schierano nelle
urne a favore del vincente in una proporzione pressoché uguale a quella generale (mi
spiego meglio: se l’eletto prevale per il cinque piuttosto che per il sei per cento nel
totale dei suffragi, usualmente avrà vinto tra i cattolici con un margine non molto
dissimile)?
Ebbene, Romney e Obama possono teoricamente contare entrambi sul quarantasei
per cento delle intenzioni di voto dei ‘papisti’ (in tal modo vennero indicati nel 1928 i
sostenitori di Alfred Smtih, primo candidato cattolico alla presidenza).
Ben lungi il momento – come confermano rilevazioni che danno Mitt e Barack alla
pari in Ohio e Florida e cioè in due tra i maggiormente significativi ‘Swing States’ –
di uno scioglimento dei giochi, che si annunciano particolarmente serrati salvo il
sempre possibile, clamoroso errore dell’uno o dell’altro.
122
6 MAGGIO 2012
3.2.1: come, secondo Karl Rove, Romney vincerà
E’ vero, la strada è stretta e il percorso tormentato, ma neri e latinos, guardando alle
iscrizioni nelle liste elettorali, non sembrano essere a favore di Obama come nel
2008.
E’ vero, le donne sono, stando ai sondaggi, in maggioranza con il presidente uscente
ma le cose possono cambiare, magari affiancando al candidato mormone una Signora
di spessore, e il Gop ne ha un buon numero.
Karl Rove, guru della politica repubblicana e già stretto collaboratore di George
Walker Bush, guardando non ai dati nazionali delle rilevazioni sulle intenzioni di
voto ma correttamente alla situazione Stato per Stato, ha in questi giorni parlato di
una strategia a suo parere vincente che ha chiamato ‘3.2.1.’.
L’idea è quella di arrivare ai fatidici duecentosettanta voti elettorali in sede di
Collegio Nazionale aggiungendo a quelli già certamente in cascina i delegati
provenienti da ‘tre’ Stati tra quelli che usualmente si esprimono per i repubblicani
(‘Red States’) e che Obama ha sottratto loro quattro anni fa per la critica situazione
economica e a causa della debolezza di John McCain; ‘due’ tra gli Stati normalmente
in bilico (gli ‘Swing States’); ‘uno’ tra quelli che quasi sempre votano democratico
(‘Blue States’).
L’attenzione, secondo Rove, deve quindi concentrarsi nel primo caso in particolare su
Indiana, North Carolina e Virginia (elencati in ordine di crescente difficoltà:
probabile la vittoria in Indiana, possibile in North Carolina, problematica in
Virginia).
Nel secondo, su Florida e Ohio, stando ai sondaggi, con notevoli possibilità.
Nel terzo, di nuovo nell’ordine di difficoltà e ancora maggiori considerato che, come
detto, si tratta di ‘Blue States’, su New Hampshire, Michigan e Pennsylvania.
Personalmente, ritengo che, senza troppi arzigogoli, l’intento debba essere,
semplicemente (!?), quello di riconquistare tutti i ‘Red States’: possono, difatti,
questi, sommando i delegati ai quali hanno diritto, ampiamente superare il quorum
richiesto.
Ripeto, per l’ennesima volta, quanto da me affermato fin dal novembre 2011: se
attorno a Romney si compatterà l’intero partito non ci saranno problemi.
A parole, ad oggi, Tea Party ed evangelici, per bocca appunto dei loro esponenti,
hanno dichiarato di appoggiare il mormone.
Se gli elettori seguiranno nell’urna le indicazioni ricevute, Obama lascerà
Washington.
Resterà, nel caso opposto.
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7 MAGGIO 2012
Documenti
A proposito di ‘Southern Strategy’
di MdPR
Terminata che fu, nel 1865, la Guerra di Secessione, all’incirca per una ventina
d’anni gli Stati ex confederati del Sud furono governati dai cosiddetti ‘borboni’,
definizione loro attribuita con riferimento ai reali di Francia che, di nuovo al potere
dopo Napoleone, tentarono di ritornare tout court al precedente regime quasi che gli
avvenimenti dei decenni precedenti non avessero avuto luogo.
Per la storia, la denominazione non corrispose se non in minima parte al vero visto
che molti degli amministratori succedutisi nel periodo erano su posizioni assai meno
conservatrici dei predecessori.
A partire indicativamente dal 1885 e addirittura fino ai primi Settanta del Novecento,
comunque, le cose cambiarono e un solo partito ebbe a dominare, praticamente senza
opposizione, la vita politica locale: il democratico.
Sostanzialmente razzisti, conservatori, culturalmente legati alla tradizione,
creazionisti, gli Stati del Sud furono per lunghissimi anni terra bruciata per i
repubblicani tanto che le ‘vere’ elezioni erano da ritenere le selezioni interne ai
democratici, dato il fatto che il prescelto per la carica in gioco aveva dipoi vita
facilissima il giorno del voto.
Ciononostante, a partire da Lincoln e, con la sola interruzione dei due mandati non
consecutivi di Grover Cleveland, fino a William Taft, i Gop occuparono stabilmente
White House vincendo a mani basse negli altri Stati.
Trascorsa la parentesi Wilson (arrivato alla presidenza nel 1912 a causa delle
divisioni interne dei repubblicani) e superati gli anni Venti, una delle infinite
conseguenze della Grande Depressione fu lo stravolgimento politico che, in carica
Franklin Delano Roosevelt, fece passare molti tra gli Stati usualmente repubblicani in
campo avverso.
Ritiratosi Truman, nel 1952, i Gop proposero per la Casa Bianca il generale
Eisenhower.
Consapevole delle proprie capacità e convinto di poter avere successo anche nel
‘nemico’ Sud, Ike, infrangendo vecchie regole comportamentali del partito che
praticamente rifiutava di scendere a meridione per fare campagna elettorale
ritenendolo inutile, percorse anche quelle terre.
Nell’occasione e meglio nel successivo 1956, con qualche significativo successo.
E’, comunque, nel 1964, nella disfatta (Lyndon Johnson travolse il loro Barry
Goldwater), che davvero i repubblicani si rivolgono al Sud inaugurando la ‘Southern
Strategy’, quella politica attenta alle istanze e alle necessità dei sudisti che poco dopo
porterà il partito a conquistare velocemente gli Stati un tempo assolutamente
democratici.
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E’, quello del meridione americano, nel rifiuto di ogni residuo razzismo (non si
dimentichi che il partito fu fondato per combattere lo schiavismo, che il primo
presidente espresso fu Abraham Lincoln, che la Corte Suprema presieduta da Earl
Warren, repubblicano, è quella che ha pronunciato nei Cinquanta del Novecento le
storiche sentenze di apertura nei confronti delle minoranze razziali, che fu il
repubblicano Eisenhower ad inviare nel Sud le truppe federali al fine di consentire
l’applicazione delle medesime sentenze alle quali i governatori democratici - si pensi
a George Wallace e ad Oral Faubus - si opponevano, che è stato George Walker
Bush il primo presidente a chiamare alla segreteria di Stato un nero), un
repubblicanesimo conservatore, legato fortemente alla tradizione, religioso, molto
differente dal repubblicanesimo del Nord industriale e lontano dall’ala radicale e
libertaria che pure (si guardi a Ron Paul) nel Gop trova collocazione.
E, d’altra parte, innumerevoli e perfino sostanziali sono, per esempio, anche le
differenze esistenti tra un democratico, che so?, del Massachusetts e uno
dell’Oklahoma.
In buona sostanza, gli Stati del Sud trovano ora nello schieramento rappresentato da
Romney una forte continuità con le loro posizioni pregresse.
Dovrà, quindi, il candidato mormone - debole da questo punto di vista come si è
constatato nel corso delle primarie non per caso colà vinte dai rivali Santorum e
Gingrich - dedicare larga parte della sua campagna al Sud e far propria,
eventualmente adattandola, la tuttora e maggiormente determinante ‘Southern
Strategy’.
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8 MAGGIO 2012
Santorum si schiera con Romney
Rick Santorum, appoggia Mitt Romney nella corsa alla Casa Bianca.
Lo ha annunciato - secondo quanto riporta Politico - in una mail inviata ai suoi
sostenitori.
I due ex rivali si sono incontrati venerdì a Pittsburgh per la prima volta da quando
Santorum ha abbandonato la corsa in aprile.
“Ambedue riteniamo che il presidente Barack Obama debba essere sconfitto.
Il compito non sarà facile. E richiederà l'aiuto di tutti se vogliamo che il nostro
candidato vinca.
Il governatore Romney sarà il nostro candidato e ha il mio appoggio e il mio sostegno
per vincere” afferma l’ex candidato.
Dalle primarie è emerso che "io e il governatore Romney abbiamo delle posizioni
differenti.
Ma ci sono molte aree importanti in cui andiamo d'accordo: la necessità di ridurre le
tasse, un governo meno ingombrante e una riduzione della spesa fuori controllo.
Certamente siamo d'accordo sul fatto che l'aborto è inammissibile e che il matrimonio
deve essere fra un uomo e una donna" mette in evidenza Santorum, precisando di
essere d'accordo con Romney sul fatto che non bisogna "consentire all'Iran di avere
armi nucleari".
126
9 MAGGIO 2012
Oltre i novecento delegati
Va ovviamente trasformandosi in una marcia trionfale il cammino di Mitt Romney.
Ieri, ha conquistato a man bassa un bel numero di delegati nelle primarie tenutesi nel
North Carolina, nell’Indiana e in West Virginia.
Secondo la CBS è arrivato a novecentotrentaquattro voti elettorali e raggiungerà il
traguardo fatidico dei millecentoquarantaquattro probabilmente già entro fine
maggio.
Combatte ancora il vecchio Ron Paul e qualcuno, malgrado sia certificata
l’impossibilità di una sua affermazione, tuttora lo segue.
I risultati secondo le prime indicazioni
North Carolina
1) Mitt Romney 66%
2) Ron Paul
11%
Indiana
1) Mitt Romney
2) Ron Paul
65%
16%
West Virginia
1) Mitt Romney
2) Ron Paul
70%
12%
127
Matrimoni gay, sondaggi nazionali, Mary Fallin, Cher…
Ieri, 9 maggio.
Obama: “Sono favorevole al matrimonio tra gay”, o pressappoco.
Romney: “Il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna”.
Due posizioni assolutamente contrapposte e inconciliabili sul tema come su infiniti
altri: a proposito, per esempio, dell’ingerenza o meno dello Stato federale e della
indipendenza minore o maggiore dei singoli Stati, dell’economia, di tutti o quasi i
restanti temi sociali, della stessa politica estera.
Sondaggi nazionali riferiti ai giorni 7 e 8 maggio:
Rasmussen, Romney al quarantanove (49) per cento, Obama al quarantaquattro
(44).
Reuters Ipsos, Romney al quarantadue (42) per cento, Obama al quarantanove (49).
Gallup Tracking, Romney al quarantasette (47) per cento, Obama al quarantaquattro
(44).
Nel mentre l’attrice e cantante Cher si dichiara a favore di Obama affermando che
non potrebbe addirittura vivere in un Paese governato da Romney e dai suoi
sostenitori (e, senza dubbio, sulla sua stessa linea si posizioneranno moltissimi altri
protagonisti dello spettacolo), la governatrice dell’Oklahoma Mary Fallin annuncia
ufficialmente il suo incondizionato appoggio al mormone che sembra riuscire
laddove McCain nel 2008 fallì: nella unificazione del Gop.
Gallup a proposito delle capacità dei contendenti nel campo economico
L’economia si conferma il tema più insidioso per la campagna elettorale del
presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Perché gli americani, in quell’ambito, si fidano più di Mitt Romney.
E’ il risultato dell’ultimo sondaggio (datato 10 maggio) di Gallup, secondo cui il
sessantuno per cento degli elettori registrati nelle liste elettorali promuove il
candidato repubblicano (per il sedici per cento farebbe un ottimo lavoro, per il
quarantacinque un buon lavoro), contro il cinquantadue sempre per cento che
esprime fiducia nei confronti del presidente (diciassette e trentacinque).
Ancora più ampio il margine in favore di Romney sulla sfiducia dei cittadini: il
ventidue per cento crede che Obama farebbe un lavoro pessimo, contro il dieci
convinto che sarebbe invece Romney a risultare inadatto.
Davanti alla scelta tra i due candidati, il quarantasette per cento si esprime a favore
dell’ex governatore del Massachusetts, il quarantacinque per il presidente.
Significativo il risultato emerso tra gli indipendenti: il cinquanta per cento, tra i due,
sceglierebbe Romney; il quaranta Obama.
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Una tendenza?
Nel frattempo, Scott Rasmussen assegna per la prima volta un margine decisamente
ampio a favore del mormone che sarebbe favorito ad oggi dalla metà esatta degli
elettori (il sondaggio non riguarda esclusivamente i già iscritti alle liste elettorali ma
tutti) contro i quarantatre per cento del presidente in carica.
Importante il fatto che tale distacco (superiore al tre per cento e cioè al margine di
errore sempre possibile) si manifesti dopo che per mesi Obama ha sopravanzato
Romney e dopo un sostanziale pareggio protrattosi per quasi tre settimane.
Una tendenza, dunque?
Romney corteggia gli evangelici
Come Ronald Reagan, i due Bush e John McCain prima di lui, Mitt Romney ha
corteggiato gli evangelici in una delle più grandi e prestigiose università cristiane
degli Stati Uniti, sabato scorso 12 maggio in Virginia.
L’unica vera differenza con i citati predecessori consiste ovviamente nel fatto che il
candidato sia un mormone ed anzi il primo appartenente a questa religione ad
esprimersi nella Liberty University.
Romney ha affrontato la questione in maniera sicura giocando la carta della libertà.
“Gli addetti a differenti confessioni religiose come la vostra e la mia si trovano a
volte a condividere ideali comuni.
Anche se esistono molte differenze, abbiamo gli stessi valori morali e le stesse
tradizioni religiose che sono al centro della storia e nel cuore della leadership degli
Stati Uniti d’America”, ha detto l’ex governatore di fronte a ben trentacinquemila
persone.
Mitt ha inoltre rassicurato tutti sulle questioni concernenti i valori ‘americani’: il
lavoro, la responsabilità personale, l’educazione, il servizio delle comunità,
l’altruismo e la famiglia.
A giudicare dalle reazioni manifestate dai leader conservatori, Romney sembra aver
agito in maniera positiva, come confermano le parole di Tony Perkins, presidente del
Family Research Council: “Credo che abbia toccato le questioni prioritarie dei
conservatori”.
Lo staff dell’ex governatore del Massachusetts ha comunque confermato che fino a
novembre non pronuncerà discorsi di natura religiosa, proprio come John Kennedy
fece a proposito del cattolicesimo nel 1960.
Mitt Romney vuole restare concentrato e focalizzato sul punto debole di Obama,
l’economia.
129
14 maggio 2012
Ron Paul sospende la campagna elettorale
Restava un solo avversario, a parole deciso a combattere fino all’ultimo per la
nomination.
Alla fine, anche quest’ultimo ostacolo sulla strada di Romney è caduto.
Per il vero, Ron Paul – è di lui che si parla – non ha del tutto abbassato le armi
avendo dichiarato non di ritirare la propria candidatura ma di sospendere ogni attività
propagandistica.
Continuerà la corsa ma senza spese ulteriori, segno evidente di un esaurimento di
fondi senza rimedio.
Reso l’onore delle armi al texano, Romney ha davvero, a questo punto, la strada
spianata all’interno del Gop.
130
Gente di Hollywood e riccastri vari
Come sempre o pressappoco, attori, registi, sceneggiatori e, in genere, ‘quelli di
Hollywood’, ed anche molti di Broadway, si schierano dalla parte dei democratici.
E’ una specie di riflesso inconscio: parte la campagna ‘vera’, quella che confronta
alla fine delle primarie i due candidati, e i divi si dichiarano appunto democratici,
nel caso a favore di Obama.
Non è, ovviamente, che le opinioni di George Clooney e compagnia bella spostino
granché (e basti ricordare il sostegno di costoro a Kerry nel 2004 con quel bel
risultato nonché, nel 1964, l’aiuto invano dato dal divissimo John Wayne a Barry
Goldwater) ma occupa per un pezzo le pagine che i media meno avvertiti dedicano
alle elezioni USA.
Comunque, oggi, col predetto Clooney, sono Steven Spielberg, Al Pacino, Robert De
Niro, Tom Hanks, Sharon Stone, Robert Downey jr, Julia Roberts, Sean Penn, Ophra
Winfrey e, fra i ricconi, Bill Gates.
Dall’altra parte, pochi ma buoni: Robert Duvall, John Voight, Angelina Jolie, Chuck
Norris e il creso Donald Trump.
131
15 MAGGIO 2012
Documenti
La religione e la Casa Bianca,
di MdPR
George Washington: anglicano
John Adams: unitarianista
Thomas Jefferson: unitarianista
James Madison: deista
James Monroe: episcopale
John Quincy Adams: unitarianista
Andrew Jackson: presbiteriano
Martin van Buren: Chiesa tedesca riformata
William Harrison: episcopale
John Tyler: episcopale
James Polk: presbitariano
Zachary Taylor: episcopale
Millard Fillmore: unitarianista
Franklin Pierce: episcopale
James Buchanan: presbiteriano
Abraham Lincoln: deista
Andrew Johnson: Chiesa non identificata
Ulysses Grant: metodista
Rutherford Hayes: metodista
James Garfield: discepoli di Cristo
Chester Arthur: episcopale
Grover Cleveland: presbiteriano
Benjamin Harrison: presbiteriano
William McKinley: metodista
Theodore Roosevelt: Chiesa tedesca riformata
William Taft: unitarianista
Woodrow Wilson: presbiteriano
Warren Harding: battista
Calvin Coolidge: congregazionista
Herbert Hoover: quacchero
Franklin Delano Roosevelt: episcopale
Harry Truman: battista
Dwight Eisenhower: presbiteriano
John Kennedy: cattolico
Lyndon Johnson: discepolo di Cristo
Richard Nixon: quacchero
Gerald Ford: episcopale
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Jimmy Carter: battista
Ronald Reagan: discepolo di Cristo e poi presbiteriano
George Herbert Bush: episcopale
Bill Clinton: battista
George Walker Bush: episcopale e poi metodista
Barack Obama: christianithy
Infinite o quasi le Chiese protestanti americane, come si vede anche solo guardando
alle appartenenze religiose dei quarantatre uomini che sono arrivati a sedere sullo
scranno presidenziale.
(Per inciso, rammento che Obama è il quarantaquattresimo inquilino di White House
perché Grover Cleveland, eletto due volte ma non consecutivamente, è inserito per
tale ragione nell’elenco sia quale ventiduesimo che quale ventiquattresimo capo dello
Stato).
Molti, oltre quelli dei quali si è dato conto, capaci di trasmigrare da una
congregazione all’altra.
Uno, John Kennedy, non wasp (white, anglosaxon, protestant) in quanto cattolico.
Uno, Barack Obama, non wasp perché nero.
Difficile, e per lunghissimi decenni addirittura impossibile, percorrere con qualche
speranza di vittoria la strada verso la Casa Bianca per quanti non fossero protestanti.
Il primo fedele del Papa ad ottenere la nomination (in casa democratica e vedremo
che è sempre nel partito dell’asino che appunto i cattolici riescono in qualche modo a
farsi valere), nel 1928, Alfred Smith.
Fu, la sua, una campagna sfortunatissima: i tempi non erano maturi e la gente non
poteva nemmeno prendere in considerazione l’idea che un ‘papista’ (fu in tal modo,
con disprezzo, denominato e citato) arrivasse a governare un Paese per larghissima
parte protestante.
Ammaestrato dal negativo esito di Smith, nel 1960 (e i tempi erano cambiati), John
Kennedy, ottenuta la nomination democratica, si rivolse, in un famoso e ricordato
discorso tenuto a Houston nel Texas, ai pastori delle diverse Chiese per dichiarare la
propria propensione per la separazione tra Stato e Chiesa rifiutando di essere
considerato ‘il candidato cattolico’ per definizione.
Gli americani, disse nell’occasione, avevano la possibilità votando per lui di
riaffermare la loro tolleranza in materia di religione e di dimostrare che non era
impossibile per un cattolico arrivare a White House.
Il terzo candidato fedele al Papa, ancora un democratico, è stato nel 2004, John
Kerry.
Il fatto che fosse un ‘papista’ non importava oramai a molti se non alla destra
repubblicana che mai, comunque, avrebbe potuto votarlo proprio in quanto
democratico e ‘nemico’.
La sua non gloriosa fine – perse nettamente dal secondo Bush – di certo non dipese
dalla sua fede.
Quanto ad Obama – e non dimentichiamo che molti sono ancora coloro che dubitano
della sua cittadinanza USA dalla nascita e quindi della sua legittimazione ad occupare
133
lo scranno presidenziale – si è lungamente parlato di una sua originaria appartenenza
alla religione islamica.
Dicerie, delle quali il popolo dei votanti, come si è visto, non ha tenuto conto alcuno.
134
15 maggio 2012
George Walker Bush endorsement
Ed ecco che il cerchio si chiude.
L’ex presidente George Walker Bush ha messo fine ai tentennamenti e si è
dichiarato a favore di Mitt Romney.
Con ogni probabilità, non poche riserve a muoversi in tal senso dell’ultimo
inquilino Gop di White House derivavano dal pensiero che, essendo il suo
nome, a torto o a ragione (ritengo decisamente a torto) associato ad un
periodo storico a dir poco difficile, ad attentati, a guerre, a crisi
economiche epocali, il suo ‘abbraccio’ potesse portare a sgradevoli
conseguenze.
Ora, se gli evangelici e i Tea Party procederanno secondo le indicazioni
ricevute dai loro rappresentanti a livello politico e religioso, il partito
repubblicano è compatto.
Basterà conquistare gli Stati abitualmente Gop per vincere: i loro delegati
sono ampiamente sufficienti.
135
PARTE SECONDA
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VERSO LE CONVENTIONS
(alla domanda “E’ davvero Romney il candidato
inevitabile e l’unico possibile e serio oppositore
di Obama?” è stato risposto positivamente.
A primarie Gop ancora – inutilmente, verrebbe
da dire e guarderemo per questo di sfuggita ai
prossimi esiti - in corso, occupiamoci con
maggiore attenzione dei due fronti contrapposti.)
15 maggio 2012
Obama contro la Romneyeconomics
Nelle ultime ore, botta e risposta a suon di spot televisivi sui maggiori network
americani.
Lo staff di Obama cerca di attaccare Romney e il suo curriculum economico.
I repubblicani si gustano il vantaggio registrato dai sondaggi sulle intenzioni di voto.
Con le primarie Gop in Nebraska e Oregon in programma oggi, Mitt Romney
intravvede l'investitura ufficiale a sfidante di Barack Obama.
All'ex governatore del Massachusetts manca poco per centrare l'obiettivo e ieri il
ritiro di Ron Paul gli ha aperto la strada.
Ma la campagna per la Casa Bianca di fatto è già in atto.
Nelle ultime ore, si diceva, botta e risposta a suon di spot televisivi sui maggiori
network americani.
Protagonisti dello spot-denuncia dei democratici, i tecnici della GST Steel, un'azienda
siderurgica con centocinque anni di storia rilevata da BAIN Capital e pilotata verso il
fallimento: addio posto di lavoro, pensione, copertura sanitaria.
La campagna di Obama punta al cuore di Mitt Romney, che con Bain ha guadagnato
milioni di dollari, per attaccare anche sul web la Romneyeconomics: vecchie ricette
che, secondo i democratici, mettono gli utili di pochi davanti al benessere di molti.
Uno spot al quale il candidato repubblicano, avanti di tre punti sul presidente
democratico nell'ultimo sondaggio del New York Times, risponde con un'altra storia,
quella dei lavoratori della Steel Dynamics, un'azienda salvata dalla BAIN.
Nel botta e risposta degli spot, due differenti visioni del capitalismo americano e del
suo futuro, proprio mentre sui giornali emerge il contrasto fra gli azzardi finanziari
costati a JP Morgan due miliardi di dollari e le difficoltà delle famiglie: oltre il
ventitre per cento non riesce a mettere da parte nulla a fine mese.
137
Sullo sfondo, a quattro anni dall'esplosione della crisi a Wall Street, l'impotenza della
politica nei confronti della finanza.
JP Morgan da sola ha oliato con cento milioni di dollari i colloqui nei palazzi di
Washington dove si discutevano le riforme.
L'argine alle 'scommesse' su titoli di 'finanza sintetica' ancora non c'è.
Tutti perfettamente legali e impermeabili a controlli, insomma, i maxi profitti con la
finanza creativa.
Per Romney, non è questo il problema: i guai arrivano quando il governo spende
troppo e lo Stato pretende di sostituirsi all'iniziativa privata.
Per Obama il problema c'è ma non si può esagerare: lunedì sera, in fondo, a cena con
lui era il numero uno di un colosso di ‘private equity’, Blackstone.
E per esserci ha staccato un assegno di trentacinquemila dollari alla campagna per
confermarlo alla Casa Bianca.
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16 MAGGIO 2012
I risultati in Oregon e nel Nebraska
Contano oramai ben poco, ma, in sordina, continuano le primarie tra i
repubblicani.
Inoltre, con una anomalia: essendosi Santorum, Gingrich e Paul ritirati
relativamente da poco, nelle schede elettorali i loro nomi compaiono
ancora e qualche nostalgico, malgrado tutto, li vota.
Ed ecco, quindi, che, stando ai primi dati, in Oregon Romney cattura un
buon sessantadue per cento (62%) mentre a Paul va il dodici.
Ed ecco che in Nebraska, a scrutini non terminati, il mormone becca il
settantuno per cento (71%) e Santorum conquista il quattordici.
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17 MAGGIO 2012
Documenti
Polemiche e affari,
un articolo di Michele Paris pubblicato on line su ‘Altrenotizie’
A poche settimane dall’avvio ufficiale della campagna elettorale per le presidenziali
negli Stati Uniti, i due principali candidati alla Casa Bianca si stanno scontrando in
questi giorni sulla delicata questione delle responsabilità del settore finanziario
d’oltreoceano nella crisi economica e sulla sua regolamentazione.
I toni populisti di Obama si scontrano con la difesa pressoché totale di Wall Street da
parte di Mitt Romney, anche se la retorica elettorale nasconde una realtà ben diversa,
cioè il completo asservimento di entrambi i partiti all’oligarchia finanziaria
americana.
Questa settimana, il presidente democratico ha lanciato una nuova campagna
televisiva e sul web volta a screditare il rivale repubblicano, accusato di aver agito
senza scrupoli durante gli anni trascorsi alla guida della compagnia operante nel
private equity, Bain Capital.
In particolare, il video prodotto dal team di Obama racconta di come la compagnia di
Romney fece fallire un’acciaieria del Missouri nel 2001 dopo averla acquisita nel
1993, provocando la perdita del posto di lavoro per tutti i dipendenti, pur incassando
dall’operazione qualcosa come dodici milioni di dollari.
Se la vicenda descritta dimostra efficacemente i disastri compiuti da simili compagnie
e la condotta del miliardario mormone mentre operava nel private equity,
quest’ultimo settore rappresenta tuttavia una consistente fonte di finanziamenti per
Obama.
Poco dopo la presentazione del video elettorale anti-Romney, infatti, il presidente ha
partecipato ad una raccolta fondi esclusiva presso l’abitazione di Manhattan di
Hamilton “Tony” James, presidente di Blackstone Group, la più importante
compagnia statunitense del private equity.
I partecipanti all’evento newyorchese con Obama hanno sborsato trentacinquemila e
passa dollari ciascuno per essere presenti, consentendo alla campagna elettorale del
presidente di raccogliere più di due milioni di dollari in un colpo solo.
La doppiezza di Obama, il quale nel recente passato aveva più volte indicato
Blackstone Group come uno degli esempi degli eccessi di Wall Street, ha costretto
uno dei suoi portavoce a spiegare ai giornalisti che le critiche della Casa Bianca sono
sempre state rivolte agli individui e non all’industria finanziaria in quanto tale.
Come se non bastasse, da Bain Capital la campagna per la rielezione di Obama ha già
ottenuto finanziamenti tra i cento e i duecentomila dollari grazie agli sforzi nella
raccolta fondi di Jonathan Lavine, uno dei top manager della compagnia che fu di
Romney.
Gli attacchi di Obama all’ex governatore del Massachusetts e al mondo della finanza
sono iniziati qualche giorno dopo la diffusione della notizia della perdita di due
140
miliardi di dollari subita dalla banca d’affari JPMorgan Chase in seguito ad
operazioni speculative condotte dall’ufficio di Londra.
Oltre a dimostrare che dopo quasi quattro anni dal crollo di Lehman Brothers, che
innescò una rovinosa crisi planetaria, non sono state adottate misure efficaci per
regolamentare il settore finanziario, la debacle di JPMorgan rappresenta un
imbarazzo per entrambi i candidati.
Solo per la campagna elettorale in corso, i dati del Center for Responsive Politics
indicano che Barack Obama ha ottenuto finora settantaseimila e settantasei dollari
dai dipendenti JPMorgan.
Decisamente più alta è la cifra andata invece a Romney, di gran lunga il maggior
beneficiario delle donazioni JPMorgan quest’anno con oltre trecentosettantamila
dollari.
Il CEO, Jamie Dimon, pur contribuendo solitamente per entrambi i partiti, ha peraltro
prediletto quelli democratici, ai quali ha personalmente donato oltre
centocinquantamila mila dollari dal 2007 ad oggi.
Secondo i dati resi pubblici martedì, infine, la famiglia Obama dispone di un conto
presso JPMorgan per una cifra compresa tra i cinquecentomila mila e il milione di
dollari.
Sulla vicenda JPMorgan, nel corso di una recente intervista Obama ha sostenuto che
simili esempi dimostrano come sia necessaria una più incisiva regolamentazione del
settore finanziario, mentre Romney chiede addirittura l’abrogazione della già debole
riforma approvata dai democratici nel luglio 2010 (Dodd-Frank Act).
Tuttavia, ben consapevole dell’importanza del denaro di Wall Street per le sue
possibilità di rielezione, il presidente ha avuto parole di elogio per JPMorgan, definita
“una delle banche meglio gestite”, e per Jamie Dimon, a suo dire “uno dei migliori
banchieri”.
L’indulgenza di Obama è d’altra parte in sintonia con le rassicurazioni offerte più
volte da egli stesso e dai membri del suo staff agli ambienti finanziari, come ha fatto
lo scorso febbraio, secondo quanto riportato l’altro giorno da Bloomberg News, il
responsabile della campagna elettorale del presidente, Jim Messina, il quale nel corso
di un incontro con facoltosi donatori del partito democratico ha garantito che il
presidente non intende in nessun modo demonizzare Wall Street.
Le uscite di Obama contro le élite economiche e finanziarie degli Stati Uniti sono
dunque pure trovate propagandistiche che fanno leva sulla profonda avversione
comprensibilmente diffusa nel paese verso i responsabili della crisi in corso.
Con un’economia che mostra solo debolissimi segnali di miglioramento, l’inquilino
della Casa Bianca si ritrova perciò costretto a puntare su appelli populisti, accusando
Wall Street per la precaria situazione interna.
Tanto più che i sondaggi di questi giorni indicano una ripresa di Mitt Romney e
ancora maggiori difficoltà in vista per il presidente se il quadro economico dovesse
peggiorare nei prossimi mesi.
Una recente indagine di USA Today e Gallup, ad esempio, indica come il
cinquantacinque per cento degli americani ritenga che l’economia migliorerebbe con
141
Romney presidente, contro appena il quarantasei per cento nel caso Obama dovesse
riuscire a conquistare la rielezione il prossimo novembre.
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La crisi economica europea favorisce Romney
Ho detto e ripetuto che, per quanto i due candidati si agitino rappresentando idee
spesso del tutto divergenti a proposito del sociale, della maggiore o minore
autonomia degli Stati rispetto al governo federale, della politica estera, per quanto
le contrastanti opinioni riguardo ai problemi etici (aborto e diritti dei gay in primis)
siano importanti (soprattutto per rafforzarsi all’interno dei due partiti e per
chiamare a sostegno le proprie truppe), determinante ai fini della vittoria dell’uno o
dell’altro sarà la situazione economica.
Ed ecco, quindi, che i gravissimi problemi appunto economici europei possono, non
incredibilmente, largamente influire.
Essendo la crisi internazionale, perfino l’eventuale uscita di un Paese
apparentemente periferico come la Grecia dall’Europa e dall’euro coinvolgerebbe,
oltre la loro volontà, gli USA, per non parlare delle difficoltà alle quali andrebbero
incontro nel caso, non improbabile, di una disfatta della nostra moneta.
Nel mentre, oggi, adoperandosi con energia l’establishment democratico al potere
per contenere i disagi in terra americana e consentire ad Obama di presentare una
situazione in ripresa, gli USA sembrano economicamente respirare meglio, dovesse
davvero saltare quantomeno la Grecia, la strada verso White House sarebbe del tutto
facile per il candidato repubblicano.
In primo luogo perché, sempre, in caso di crisi, si cerca di cambiare comunque
cavallo.
In secondo luogo, perché da tutti considerato il migliore atout possibile per la
riconosciute e dimostrate competenze nel ramo.
Ci si deve fidare delle promesse dei candidati?
Wilson, nel corso della campagna 1916, aveva fatto promettere dai suoi
collaboratori che, lui nuovamente presidente, l’America non sarebbe entrata in
guerra (la prima mondiale, naturalmente). Non mantenne la parola.
Allo stesso modo, mentendo riguardo alle proprie intenzioni, in molteplici altre
occasioni un bel numero di candidati dipoi vincenti.
Fra i mentitori, qualcuno vuole inserire il secondo Bush che nel 2000 aveva
promesso moderazione sul piano degli esteri ma non è possibile dimenticare che
ragione unica nel cambio di direzione sono stati gli attentati dell’11 settembre 2001.
Non è, pertanto, solo questione di malafede, ma anche di necessità: in ragione
dell’una assai di frequente, dell’altra in alcuni casi, le promesse del candidato non
vengono mantenute.
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18 MAGGIO 2012
Un possibile colpo sotto la cintura
Fare esattamente quello che John McCain non ci ha permesso di fare nel 2008.
E' questo l'obiettivo dichiarato da parte degli ideatori di una nuova campagna
estremista che a colpi di spot da milioni di dollari vuole demolire l'immagine di
Barack Obama.
E per farlo vogliono ricordare agli elettori gli antichi legami di Barack e Michelle con
il controverso Pastore Jeremiah Wright, un ecclesiastico radicale, molto vicino alle
tesi del movimento della 'Black Liberation Theology'.
Il piano, svelato dal New Yok Times é di quelli da fare tremare i polsi per la sua
aggressività, tanto che lo stesso Mitt Romney, a caldo, ha preso subito le distanze.
Prevede la spesa di almeno dieci milioni di dollari per produrre uno spot di cinque
minuti, dal titolo 'Next', che dovrebbe uscire in corrispondenza con l'inizio della
Convention democratica di settembre.
L'iniziativa è di un gruppo di grandi strateghi repubblicani, aiutati da una serie di
multimilionari ultra-conservatori vicini al Superpac di Joe Ricketts, 'Ending Spending
for Goods', fondatore dell'azienda Americatrade e uno dei proprietari della squadra di
baseball dei Chicago Cubs.
Il progetto, definito in ogni dettaglio, tuttavia non ha avuto ancora il via libera
definitivo.
S'intitola 'The Defeat of Barack Hussein Obama: The Ricketts Plan to End Spending
for Good'.
Secondo il piano della comunicazione, a un certo punto i repubblicani assumeranno
un portavoce nero, 'estremamente qualificato e colto', che sarà pagato per dimostrare
agli elettori come Obama abbia ingannato l'America proponendosi come un 'nuovo
Abe Lincoln, ma nero e metrosexual'.
Tutta la campagna parte da una premessa: John MacCain, nel 2008, ha fatto male a
non attaccare frontalmente Obama ricordando la sua amicizia con Wright, malgrado
Obama avesse lasciato la sua Chiesa proprio durante la campagna elettorale.
Addirittura, già all'epoca questa stessa organizzazione fece preparare un video per
porre l'accento su questo tema, video che McCain decise di non mandare mai in onda.
E oggi Rickett, presentando l'iniziativa, scrive: 'Se la Nazione avesse potuto vedere
quello spot, non avrebbe mai eletto Obama presidente'.
Ma questo tipo di campagna ultra-negativa potrebbe essere un boomerang per Mitt
Romney, da settimane impegnato a spostare l'attenzione degli elettori sul tema
dell'economia.
Insomma, demonizzare eccessivamente Barack, usando la sua religione e il suo
passato, rischia di essere controproducente per il primo candidato mormone a correre
per la Casa Bianca.
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Raccolta fondi in aprile
Parliamo della raccolta fondi effettuata dai candidati con annessi e connessi e non
dei Superpac.
Nel mentre Obama mantiene o diminuisce di poco il numero di milioni di dollari che
gli riesce di raccogliere (all’incirca cinquanta/cinquantatre al mese), Romney passa
da una cifra miserella a questi livelli (una dozzina a marzo) a quaranta milioni
abbondanti ad aprile.
Fatto è che, ritiratisi gli avversari interni, il partito con il suo Comitato nazionale ha
potuto a sua volta muoversi.
Ora, nel mentre i contributi dei singoli al candidato hanno il limite fissato in
duemilacinquecento dollari (che possono essere versati due volte, la prima durante le
primarie e la seconda nel corso del confronto finale), quelli al partito possono
arrivare addirittura a settantamilaottocento.
La musica è in tal modo decisamente cambiata.
Sondaggi e gradimento
Per la prima volta la metà' dei cittadini americani, esattamente il cinquanta per
cento, afferma di avere un'opinione favorevole di Mitt Romney.
E' quanto emerge da un sondaggio condotto dall'istituto demoscopico Gallup.
Si tratta del dato migliore per l'esponente del Grand Old Party dal 2007, al suo
primo tentativo di ottenere la nomination, e segna un incremento di ben undici punti
percentuali rispetto all'ultimo rilevamento di tre mesi fa.
Solo il quarantuno per cento dei potenziali elettori ha detto di averne un'opinione
negativa.
In febbraio erano rispettivamente il trentanove e il quarantasette.
Per quanto riguarda il presidente uscente, il democratico Barack Obama, il suo tasso
di gradimento presso l'elettorato si mantiene stabile: cinquantadue per cento
favorevoli, quarantasei contrari.
Obama resta dunque davanti, ma la rimonta del suo avversario appare innegabile
anche sotto questo profilo.
L'ex governatore del Massachusetts fa registrare il proprio 'appeal' maggiore presso
coloro che si dichiarano ideologicamente in linea con il partito, tra i quali è salito
dal sessantacinque addirittura all'ottantasette per cento.
Bene, comunque, la sua ascesa tra gli indipendenti, dal trentasette al quarantotto per
cento, mentre tra i filo-democratici ha guadagnato appena un punto, dal diciassette
per cento al diciotto.
Il presidente più ricco
Dovesse essere eletto presidente, Mitt Romney sarebbe l'uomo più ricco ad aver mai
varcato la soglia della Casa Bianca.
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La rivista 'Forbes' ha fatto i conti in tasca al candidato repubblicano e ha stimato
che la sua fortuna vale duecentotrenta milioni di dollari.
A confronto con il colosso Romney in termini di verdoni e beni, l'attuale presidente
americano Barack Obama, come la maggior parte dei suoi predecessori, sono dei
nani.
146
18 MAGGIO 2012
Documenti
Come si distribuiscono i contributi dei piccoli finanziatori, Superpac,
quindi, esclusi,
articolo di Michele Zurleni su Panorama.it
Nonostante la presenza del pediatra Doug Ross (alias George Clooney, se mai ci
fosse bisogno di specificarlo, chi non ha visto E.R. alzi la mano) tra i grandi
sostenitori di Barack Obama, i medici americani non sembrano essere intenzionati a
seguire in massa l’esempio del (finto) collega e si dividono su chi votare per la Casa
Bianca.
La loro scelta non dipende dall’indossare il camice (bianco), ma dalla
specializzazione.
O meglio: i medici generici vorrebbero dare la loro fiducia al presidente, mentre gli
specialisti tenderebbero a favorire il rivale.
Chirurghi, dentisti, radiologi, anestesisti, neurochirurghi e anche podologhi
voterebbero per il candidato del Gop.
La fonte di questa notizia è la rivista on line ‘Salon’ che è andata a spulciare tra i
(piccoli) finanziatori di Barack Obama e di Mitt Romney.
Migliaia di persone (mezzo milione) che hanno foraggiato con qualche centinaia (o
qualche migliaia, in qualche caso) di dollari le casse dei comitati elettorali, arrivando
a dare ai due una cifra che si aggira attorno ai centosettantasette milioni di dollari.
Lo studio delle liste dei donatori fa comprendere come si sono divise le categorie
produttive americane.
E le sorprese non mancano.
La prima è che se è vero che Mitt Romney riceve molti soldi da banchieri e finanzieri
(confermando da che parte sta Wall Street) è anche vero che il candidato del Gop è
aiutato da tipologie di lavoratori che sarebbe più naturale collocare nel campo
avverso.
Per esempio, chi poteva pensare che ci fossero più minatori a finanziare la campagna
del candidato repubblicano di quanti, invece, abbiano foraggiato quella del
presidente?
Certo, se si pensa a una certa America rurale e profonda, la sorpresa dovrebbe essere
inferiore, ma comunque sia il dato è decisamente curioso.
E chi avrebbe mai immaginato che i barbieri preferiscono Romney e spunterebbero
volentieri (la citazione, il gioco di parole è dall’articolo di Salon) Obama dalla corsa
alla Casa Bianca?
Questione di taglio di capelli?
In ogni caso, questo dicono le statistiche dei donatori.
Che indicano anche come gli agenti di viaggio, i camionisti, i librai e i diplomatici
stiano dalla parte di Obama mentre i gioiellieri, gli ingegneri meccanici e gli
ottimizzatori siano con Romney.
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Il quale incassa (letteralmente) i favori dei guidatori di autobus, dei piloti e dei
funzionari di polizia.
Il mondo dell’informatica e del web ama il presidente.
E così è anche per quello accademico.
I professori lo premiano.
Se si guardano le liste dei donatori di Mitt Romney non si troveranno i nomi di
insegnanti di filosofia o di inglese mentre quelle di Obama ne sono piene.
Nell’inchiesta di Salon anche molte conferme: cultura e spettacolo vogliono un
secondo mandato.
Si schierano dietro Obama quelli che hanno un lavoro creativo, come gli architetti e i
designers, e i membri delle organizzazioni sindacali, mentre Mitt Romney è aiutato
dagli uomini di affari.
L’altra conferma è che la maggior parte di questi (circa) cinquecentomila piccoli
donatori hanno deciso di supportare Obama (solo novantamila quelli a favore del
candidato repubblicano) con un conseguente, diverso introito per i due (cento milioni
Obama e settantasette Romney).
Ma, si sa che questa è una delle armi (finanziarie) per la campagna elettorale del
presidente.
Nel 2008, questo tipo di raccolta fondi fu uno dei punti di forza della sua vittoria
contro John McCain.
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19 MAGGIO 2012
Documenti
Il primo giorno, un articolo di MdPR
Nel 1935, Huey Long (noto come ‘The Kingfish’) - l’ex governatore populista e
democratico della Louisiana, da qualche tempo senatore a Washington, critico nei
confronti del presidente Franklin Delano Roosevelt la cui elezione aveva
assolutamente voluto nel 1932 (era stato tra i sostenitori del secondo Roosevelt già
nel corso della convention del partito dell’asino), assertore nella congerie
conseguente il crollo di Wall Street e nel pieno della Grande Depressione di una
politica economica rivoluzionaria che fortemente contrastava con quella governativa
a suo dire inconcludente - annunciò la propria candidatura a White House in vista
delle presidenziali del successivo 1936.
Decisamente temuto per l’impeto e la popolarità nazionale dal capo dello Stato in
carica, Long fu assassinato ancora nel 1935 per questioni inerenti la vita privata
lasciando il testimone, ma esclusivamente nella natia Louisiana, al fratello Earl,
personalità peraltro assolutamente meno dirompente.
Per inciso, le vicende politiche e personali dei due germani interessarono Hollywood
che al primo (Huey), ricavando il soggetto da un romanzo di Robert Penn Warren,
dedicò nel 1949, per la regia di Robert Rossen e con Broderick Crawford, un gran bel
bianco e nero intitolato ‘Tutti gli uomini del re’ (del remake con Sean Penn va per
pietà taciuto) e al secondo (Earl) un meno riuscito ‘Scandalo Blaze’, con Paul
Newman (1989, regia di Ron Shelton).
Ora, per quale mai ragione occuparci oggi, in piena campagna 2012, di faccende
tanto lontane?
Perché il pamphlet che, a sostegno della candidatura e ad illustrazione del suo
programma aveva vergato ‘The Kingfish’ si intitolava nientemeno che ‘I miei primi
cento giorni’, evidentemente, alla Casa Bianca.
L’espressione è successivamente passata al linguaggio politico comune e
praticamente, da allora, nessun uomo di governo o aspirante tale si è sottratto alla
bisogna di elencare, appunto, le proprie intenzioni sotto tale dizione.
Ed ecco che, di contro, oggi, Mitt Romney cambia le carte in tavola e, in uno spot tv,
ci dice cosa vuole fare, una volta eletto, nelle prime ventiquattro ore, nel primo
giorno.
E precisamente: agire per la costruzione di un maggior numero di oleodotti (il
riferimento è al Keystone, che collega Canada e Stati Uniti creando migliaia di posti
di lavoro e che Obama ha bloccato), diminuire le tasse, cancellare la riforma sanitaria
obamiana.
Nulla di nuovo, a ben guardare, rispetto alla ortodossia repubblicana nelle prime due
necessità: agire fortemente per il rilancio dell’economia, operare acché le tasse
incidano meno sta nell’anima Gop.
149
Naturale, poi, che Romney, rappresentando la forte opposizione del suo partito a
qualsiasi intervento (‘socialista’, definiscono quello voluto dal presidente in molti tra
i seguaci del mormone) in campo di assistenza sanitaria, sia intenzionato a cancellare
una riforma contro la quale, va ricordato, ventisette Stati dell’Unione hanno fatto
ricorso alla Corte Suprema contestandone la costituzionalità.
Di tutta evidenza, ricordando anche quel che ebbe a dire Gerald Ford a proposito dei
‘veri’ poteri dell’inquilino di White House (“L’unica cosa che il presidente degli Stati
Uniti può decidere da solo”, e fare immediatamente se necessario, aggiungo io, “è
quando andare al gabinetto”), Romney non potrà sul serio neppure deliberare in
merito ai tre primi interventi prefissati, ma il fatto che lo dica con forza conclude per
farci conoscere le sue priorità programmatiche.
Sarà impossibile, d’ora in avanti, accusarlo di non avere messo bene in chiaro ciò che
propone, di non aver fatto conoscere la sua ‘platform’.
150
19 MAGGIO 2012
Herman Cain: il penultimo endorsement
Herman Cain sta dalla parte di Mitt Romney.
L'ex re della pizza della Georgia, che lo scorso dicembre ha abbandonato la corsa per
la presidenza, ha rotto gli indugi e ha infine deciso di appoggiare l'unico candidato
repubblicano rimasto in corsa per la Casa Bianca.
Con Cain si stringe sempre di più il cerchio degli ex aspiranti candidati repubblicani
alla presidenza che appoggiano Romney.
Dopo Rick Santorum e Gingrich resta fuori solo il liberale Ron Paul che di fatto ha
gettato la spugna lunedì scorso.
Il suo portavoce ha dichiarato che è ancora prematuro parlare di un imminente
'endorsement' a Mitt Romney.
Intanto Cain ha fatto sapere che farà campagna negli Stati Uniti a favore di Romney e
ha escluso di volersi candidare a governatore della Georgia.
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Poteva mai mancare la notizia di un attentato ad Obama?
La notizia non poteva mancare ed è effettivamente arrivata.
Esattamente come quattro anni fa, ecco che qualche poveraccio viene indicato quale
attentatore del ‘povero’ Obama o pressappoco.
Esecrazione generale, media in subbuglio pronti a denunciare i ‘nemici’ del
presidente e non appena finito il bailamme elettorale dell’argomento montato ad arte
nessuno, anche questa volta, sentirà ulteriormente parlare.
Ecco il testo lanciato oggi 19 maggio dalle agenzie:
“Tre sospetti sono stati fermati a Chicago, dove domani si aprirà il vertice Nato,
stavano preparando un attentato contro il quartier generale della campagna
elettorale del presidente Barack Obama.
Lo ha annunciato la procura.
I tre giovani, all’incirca ventenni, sono stati arrestati in un appartamento del
quartiere di Bridgeport con le accuse di cospirazione volta a commettere attentati
terroristici e per il possesso di ordigni esplosivi e incendiari.
La polizia fa sapere che gli arresti, sono il risultato di un mese di indagini.
Secondo gli avvocati difensori, invece, i presunti attentatori erano soltanto
manifestanti arrivati a Chicago per opporsi al vertice Nato e l'unica cosa che
possedevano erano attrezzature per fabbricare birra.
‘I tre sotto inchiesta non erano manifestanti pacifici (contro il summit Nato) ma
terroristi interni (americani)’, ha chiarito il ministro della Giustizia dell'Illinois,
Anita Alvarez, aggiungendo che "tra i loro obiettivi oltre al quartier generale della
campagna elettorale del presidente Barack Obama c'era la casa del sindaco Rahm
Emanuel", ex capo di gabinetto e braccio destro dell'inquilino della Casa Bianca”.
Ma come mai, mi chiedo, un fattaccio del genere proprio in quel di Chicago laddove
il presidente è di casa e tutti gli incarichi pubblici sono ricoperti da suoi cari amici?
Meglio stendere sul caso un pietoso velo.
"Soy Mitt Romney y apruebo este mensaje"
Nel mentre, e siamo poco oltre metà maggio, Barack Obama, al termine del G8,
riguardo alla crisi economica, se ne esce con battute del genere “Sviluppo e rigore
devono essere parte di un pacchetto complessivo”, nel mentre, con colleghi politici
che dovrebbero essere di statura mondiale, il presidente USA firma un comunicato
che sostiene, nientemeno, che occorre “creare crescita e posti di lavoro” (cito
testualmente) – due affermazioni che ci si aspetterebbero dal droghiere o dal
tabaccaio sotto casa e non dai ‘grandi’ che governano la Terra.
Nel mentre, superando le iniziali resistenze nella comunità nera americana, la
National Association for the Advancement of Colored People (Naacp), una vecchia
organizzazione afroamericana, sulle orme dell’inquilino di White House, si è
anch’essa espressa a favore delle nozze gay.
Nel mentre Jeremiah Wright, il controverso pastore di Chicago di Barack Obama,
secondo quanto afferma il tabloid ‘New York Post’, accusa il presidente di aver
cercato di corromperlo facendogli avere indirettamente centocinquantamila dollari
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per impedirgli di tornare a parlare in pubblico di temi che avrebbero potuto metterlo
in imbarazzo.
Nel mentre, da nostro Salento, si decide di regalare alla first lady Michelle Robinson
un ulivo millenario (tutto fa brodo…pardon, nel caso, tutto fa olio).
Nel mentre oramai praticamente tutti i protagonisti della vita politica, comunque
pubblica, dello spettacolo si sono schierati dichiarando il proprio appoggio all’uno o
all’altro candidato.
Nel mentre Mick Jagger, chiudendo la trentasettesima stagione del 'Saturday Night
Live', a sorpresa canta: ''Non lasciate che Mr Romney vi tagli i capelli''.
Nel mentre buona parte dei sondaggi nazionali, per quel che contano sia in quanto si
vota Stato per Stato sia perché mancano oltre cinque mesi al redde rationem, danno
Romney alla pari se non in vantaggio rispetto al democratico.
Nel mentre si analizza da parte dell’entourage del mormone quale possa essere il
vice migliore da tutti i punti di vista (e trovare la quadra non è affatto semplice).
Nel mentre…
qualcuno – nel caso specifico, come abbiamo visto, Romney – comincia a parlare
concretamente di economia esponendo e illustrando precisi interventi che intende
mettere, se eletto, subito in cantiere.
E considerato che la comunità ispanica è ogni giorno maggiormente importante ai
fini dell’elezione, al termine degli spot tv ad essa dedicati e quindi editi in spagnolo,
personalmente dice: "Soy Mitt Romney y apruebo este mensaje".
Non mi meraviglierei, di qui a poco, di ascoltare le stesse parole in italiano e in
mandarino: nulla, difatti (e lo so ben io che ricevo da Romney, dalla moglie, dai figli
e dai collaboratori molte volte la settimana comunicazioni che mi sollecitano da tutti
i punti di vista), la macchina elettorale del mormone lascia o lascerà al caso.
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21 MAGGIO 2012
Le primarie del mese di maggio nei due campi: riflessioni
Il mese di maggio si è aperto, il giorno 1, con le primarie dei democratici residenti
all’estero.
Possono, costoro, votare nel proprio Paese di residenza (i repubblicani non prevedono
un tale diritto).
Poi il 5, tre appuntamenti solo democratici: le primarie del Territorio di Guam, nel
lontano Pacifico, ed i caucus in Michigan e Florida, votazioni svoltesi qualche mese
dopo le corrispondenti in campo repubblicano.
Obama, ovviamente, non ha dovuto fronteggiare opposizione.
Le sorprese nei due campi sono arrivate l’8 maggio, con il voto in Indiana, West
Virginia e North Carolina, primarie non solo presidenziali, ma anche per le altre
elezioni di novembre (camera, senato, locali).
Tra i repubblicani le vittorie di Romney sono state larghe, ma il mormone si ferma a
circa i due terzi dei voti, con l’altro terzo che si divide tra il libertario Paul, ancora in
gara, con percentuali a due cifre, ed i già fuori corsa Gingrich (ovunque attorno al
sette per cento e quasi non si vede la differenza tra prima e dopo l’abbandono) e
Santorum, anch’egli a due cifre e spesso secondo.
Il ritiro annunciato dalle primarie infatti, non fa scomparire i candidati dalle schede
elettorali, ma comporta soltanto la sospensione della campagna elettorale: nel 2004,
tra i democratici, l’ex governatore del Vermont Howard Dean, già ritiratosi, vinse nel
suo Stato, e così John Edwards, di poi scelto da Kerry come suo vice, già fuori, batté
nella sua North Carolina proprio Kerry.
Tra i repubblicani, nell’Indiana, sorpresona per la sconfitta in vista della candidatura
al Senato dell’uscente Richard Lugar, in cerca del settimo mandato e nettamente
battuto dall’esponente del Tea Party Richard Mourdock.
Tra i democratici, in West Virginia, proprio alle presidenziali: Obama ha sì vinto ma
fermandosi al cinquantanove per cento rispetto al quarantuno di Keith Judd.
Non è la prima volta che Obama ottiene risultati non brillanti in queste primarie: era
già accaduto in Oklahoma, dove si era fermato al cinquantasette.
Anche in altri Stati (dove non correva solo dovendosi confrontare con rivali locali) la
percentuale di voti neutrali (uncommitted) toccata al presidente oscillava attorno al
dieci/venti per cento, come avvenuto in North Carolina, segno di qualche sofferenza
imprevista per lui nel suo elettorato.
Un parallelo, se vogliamo, con quanto accadde nel 1992 a Bush padre che dovette
fronteggiare a sorpresa nelle primarie Pat Buchanan, alfiere della destra più
conservatrice, che mise l’allora presidente in difficoltà.
In North Carolina, poi, contemporaneamente alle primarie si è tenuto un referendum
sui matrimoni omosessuali, e gli elettori hanno votato per inserire in Costituzione un
emendamento per vietarli, con ampio margine (sessantuno a trentanove), così come è
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avvenuto in questi anni in altri Stati (tutti quelli in cui si son tenuti referendum sul
tema, tra cui la California).
Proprio a seguito di questo voto, prima il vicepresidente Biden e poi lo stesso Obama
si sono espressi pro nozze gay, tema spinoso e divisivo tra l’opinione pubblica, che
però in gran maggioranza non voterà su questo, ma sull’andamento dell’economia.
Come ben ricorda Bush Padre, detronizzato per la recessione del 1991/92 da Bill
Clinton il cui slogan era “It’s the economy, stupid!”.
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22 MAGGIO 2012
Dubbi e perplessità della stampa USA a proposito della campagna
elettorale di Obama
“Sembra Facebook”
E' rimasta celebre questa definizione che Mark Penn, lo stratega della campagna per
la candidatura presidenziale di Hillary Clinton, diede dell'allora rivale Barack Obama
nel novembre del 2007.
Voleva avere un senso dispregiativo: Obama, cioè, poteva funzionare benissimo nel
suscitare entusiasmo tra i ragazzi che passano il tempo su internet, ma la politica vera
è un'altra cosa, e per vincere le elezioni serviva l'esperienza di un ‘usato sicuro’ come
Hillary.
Quella battuta venne invece percepita per lo più come un involontario elogio, perché
la capacità di sfruttare come mai prima il social network per fare politica fu uno dei
fattori che consentirono ad Obama di prevalere sulla rivale nelle primarie
democratiche del 2008.
Nello staff dell'allora senatore dell’Illinois era stato reclutato uno dei cofondatori di
Facebook, l'allora appena ventiquattrenne Chris Hughes, il biondino compagno di
stanza di Mark Zuckerberg ad Harvard che pochi mesi fa è divenuto, fra l'altro, il
nuovo editore di ‘The New York Republic’.
Era lui il regista del sito ‘My.BarackObama.com’, dove i nuovi simpatizzanti
confluivano spontaneamente con il passaparola telematico (consentendo al candidato
di scavalcare il predominio degli insider sugli indirizzari dei vecchi volontari) e, oltre
a tenersi in contatto con il quartier generale della campagna, come tradizionalmente
era sempre avvenuto, si tenevano in contatto anche fra di loro, costruendo a costo
(quasi) zero un nuovo tipo di militanza almeno in parte orizzontale.
Oggi Hughes non lavora più nello staff di Obama, ma rientra tra i suoi sostenitori e
finanziatori.
Così come Sheryl Sandberg, la chief operating officer di Facebook, la quale di
recente ha ospitato a casa sua una serata di fundraising per la rielezione del
presidente.
Il quale, dal canto suo, pur non essendone personalmente un appassionato utente
(anzi), fa di tutto per mantenere una grande sintonia con il mondo di Facebook.
Poco più di un anno fa è stato il primo capo dello Stato in carica a prestarsi ad un
dibattito in diretta streaming, per l'appunto, facendosi intervistare da Zuckerberg in
persona (con il quale ostentò confidenza al limite del cameratismo) e ora, in
campagna elettorale, il nome del giovane Mark, viene abitualmente menzionato da
Obama per esemplificare la capacità di innovazione degli Usa accanto a quelli di
Thomas Edison e di Bill Gates.
Ebbene, l’altro ieri Edward Luce, il capo della redazione di Washington del
‘Financial Times’, ha suggerito, nel suo editoriale domenicale (intitolato ‘Il
presidente Facebook che ha bisogno di nuovi amici’), che il problema di immagine
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dell’inquilino di White House stia in parte qui: nell’aver percorso una traiettoria
troppo simile a quella di Facebook.
Nel senso che la sua candidatura fece sognare perché aveva il fascino della assoluta
novità, come la creatura di Zuckerberg quando era solo una ‘start-up’, ma poi una
volta eletto si è attenuto ai cliché del politico di sistema, di establishment, ed ora,
essendo a capo del ‘sistema’ (analogamente a Facebook che è ora una grande
corporation quotata in borsa) non conta sullo stesso appeal di quattro anni fa.
“Contrariamente a quanto accadde nel 2008”, ha scritto Luce, “la campagna elettorale
per la rielezione di Obama sta puntando sul fatto che quest'anno la sfida si vincerà
con la mobilitazione più che con la persuasione.
La sua priorità è quindi quella di compiacere alcuni determinati gruppi che stanno
saldamente nella base dell'elettorato democratico, come i latinoamericani, i sindacati,
i giovani e i gay – e presumibilmente ad un certo punto si aggiungeranno gli
ambientalisti”.
La critica di Luce si incentra sul fatto che in questo modo Obama può anche riuscire
a farsi rieleggere, ma solo (sostiene) come ci riuscì George Bush nel 2004, ossia con
un mandato elettorale di corto respiro destinato ad un rapido logoramento.
Non basta (insiste) convincere di essere il meno peggio ed ottenere una proroga: è
necessario ispirare fiducia in una visione del futuro che per ora non riesce a
convincere di avere.
“Ha scelto lo slogan ‘forward’ (avanti), ma”, scrive Luce, “non è affatto chiaro verso
cosa”.
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Obama: “Romney è un Robin Hood al contrario”
“Quando sei presidente il tuo lavoro non è massimizzare i profitti, ma fare in modo
che tutti possano avere pari opportunità di successo e contribuire al sogno
americano''.
Barack Obama difende la sua ‘Bain's War’.
Gli spot in cui aggredisce Mitt Romney e il suo passato di finanziere d’assalto alla
guida di Capital Bain, “non sono un diversivo”, ma “riguardano quello che è in
palio in queste elezioni”.
Durante la conferenza stampa al termine del vertice Nato di Chicago, il presidente è
determinatissimo nello spazzare via ogni dubbio, facendo capire che seguirà fino in
fondo la strategia secondo cui Romney è un “Robin Hood al contrario, che toglie ai
poveri per dare i ricchi”, un “distruttore di lavoro senza scrupoli” come alcuni ex
operai delle aziende ristrutturate dalla Bain lo descrivono.
La ragione è molto semplice.
Obama ricorda che non è lui ad aver messo in mezzo la vicenda della Bain, ma
Romney stesso.
“E' il mio avversario”, spiega, “ad aver detto che dovrebbe essere eletto perché ha
una esperienza di businessman. Da mesi dice: 'Io sono un manager e sono in grado
di aggiustare la situazione'. Ma io penso che se sei presidente il tuo compito non sia
quello di massimizzare i profitti”.
Ovviamente, Obama chiarisce che non ha nulla contro i top manager e di chi fa soldi
con i soldi.
Ma in modo nettissimo pone una linea di demarcazione molto chiara tra politica e
affari: “Se uno pensa di risolvere il problema della crescita dell'economia, dicendo
‘io so come far fare i soldi ai miei investitori’, allora non hai capito qual è il suo
lavoro. Il che non vuol dire che non sei un ottimo businessman. Ma quello non è il
compito di chi vuol essere Presidente degli Stati Uniti”.
Parole chiarissime, a cui Mitt Romney replica a stretto giro di posta: “Obama oggi
conferma che continuerà i suoi attacchi contro il sistema della libera impresa,
mentre è chiaro che non accetta di assumersi la responsabilità morale per la sua
politica fallimentare”.
Quindi Romney sottolinea che, a differenza di Obama, la sua campagna elettorale
non riguarderà il passato, ma “il futuro di quei ventitre milioni di americani che
ancora combattono contro la disoccupazione, e i milioni di cittadini che hanno perso
la loro casa e sono precipitati nella miseria.
“Il mio obbiettivo”, conclude, “è offrire un programma positivo per aiutare
l'America a tornare al lavoro”.
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22 MAGGIO 2012
Documenti
Guerra di religione, un articolo di Michele Zurleni per Panorama.it
Sembrava che le parti avessero trovato un’intesa, ma si trattava di una tregua prima di
una battaglia che può creare qualche significativo danno alla campagna elettorale di
Barack Obama.
Le più importanti istituzioni cattoliche americane tra cui l’Arcidiocesi di New York,
quella di Washington, la prestigiosa Università di Notre Dame insieme ad un’altra
quarantina di enti e organizzazioni, hanno avviato una causa legale contro
l’amministrazione per la riforma sanitaria voluta dal presidente: nel mirino, in
particolare, ci sono le norme che prevedono l’obbligo per un datore di lavoro di
fornire ai dipendenti polizze mediche che comprendano anche la copertura per i
contraccettivi.
La questione era esplosa qualche mese fa, ma dopo le proteste, gli incontri riservati
tra lo stesso presidente e l’arcivescovo di New York, il Cardinale Timothy Dolan, in
febbraio, il presidente sembrava aver fatto marcia indietro rispetto alla decisione di
varare quelle linee guida, contenute nel decreto attuativo della riforma sanitaria e
tanto contestate dal mondo cattolico.
“Le organizzazioni religiose non dovranno pagare per questi servizi sanitari”, aveva
detto Obama.
In realtà, dopo quelle dichiarazioni, secondo chi ha deciso di passare a vie legali, non
è stato fatto nulla di concreto per cancellare quell’obbligo per i datori di lavoro.
Norme considerate anti costituzionali perché non solo ledono le libertà religiose, ma
anche quelle dell’individuo.
Con tutta probabilità, la causa finirà a ingrossare il dossier sulla riforma sanitaria che
è già al vaglio della Corte Suprema.
La sentenza è attesa per giugno, e con tutta probabilità sarà uno degli elementi più
forti della campagna elettorale.
In questo caso, Mitt Romney si è (ovviamente) schierato dalla parte dei cattolici.
Il GOP si oppone da sempre alla riforma sanitaria e il suo candidato ora intende
sfruttare i malumori e le proteste per attaccare - anche su questo fronte - il presidente.
La questione religiosa fa capolino nella campagna elettorale.
Mai troppo esplicitata - in onore della rigida divisione tra Dio e Cesare voluta dai
Padri Fondatori -, in realtà rimane con forza sullo sfondo della politica statunitense.
I sondaggi scandagliano i vari gruppi religiosi per capire a chi andranno le loro
preferenze.
Secondo il ‘Pew Research Center’, Romney ha la maggioranza dei favori dei voti
cattolici (cinquanta a quarantacinque), una differenza che sale di molto
(cinquantasette a trentasette) se si considerano soli i maschi bianchi di religione
cattolica.
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Anche i protestanti sono in maggioranza con il candidato del GOP (cinquantuno a
quarantatre).
Ma, in questo caso, il voto si differenzia.
Se si prendono i maschi bianchi e gli evangelici, le percentuali a favore di Mitt
Romney salgono di molto rispetto a quelle di Barack Obama, mentre invece il voto
dei protestanti neri è quasi tutto con il presidente (novantasei per cento).
Barack Obama avrebbe l’appoggio della maggioranza della comunità ebraica
statunitense.
Una rilevazione del ‘Public Religion Research Institut’ dice che il sessantadue per
cento degli interpellati voterebbe per la rielezione del presidente mentre il trenta
darebbe la sua preferenza a Mitt Romney.
Catturare i voti dei gruppi religiosi è un imperativo per i due contendenti.
Qualche giorno fa, Romney ha accusato Obama di voler rendere gli Stati Uniti una
“nazione meno cristiana”, puntando a cementare ancora di più la sua base elettorale
molto sensibile alla questione religiosa.
Ma, oltre alla discussione sulle questioni etiche e politiche, sono attesi anche i colpi
bassi.
Che i due preferiscono non darsi, per ora, o farlo con guanti di velluto, prima di
passare direttamente ai guantoni da boxe.
Così, Mitt Romney si è detto contrario alla campagna di spot che voleva lanciare il
miliardario Joe Ricketts per ricordare al pubblico americano i rapporti tra Barack
Obama e il Reverendo Jeremiah Wright, il pastore di Chicago, l’autore di infuocati
sermoni contro l’establishment, dal quale, nel 2008, l’allora candidato democratico
dovette prendere precipitosamente le distanze per evitare di vedere affossare le sue
speranze di arrivare alla Casa Bianca.
Per l’ex governatore, ritirare fuori quella storia sarebbe stato un possibile boomerang.
In cambio di questo favore, lo stratega della campagna di Obama, David Axelrod ha
rassicurato del fatto che Barack Obama non farà domande pubbliche sulla fede
mormone di Mitt Romney.
Forse anche perché capisce molto bene che potrebbe essere controproducente,
potrebbe apparire un attacco alla libertà di Credo.
Guerra di religione si, ma senza esagerare.
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23 MAGGIO 2012
Primarie nel Kentucky e in Arkansas
Per quanto Ron Paul abbia di fatto sospeso le sua campagna elettorale e Rick
Santorum, da tempo, si sia ritirato, sulle schede delle primarie Gop dell’Arkansas e
del Kentucky i loro nomi permanevano.
Ecco, quindi, che qualche strenuo sostenitore del libertario e dell’oltranzista religioso
ha trovato modo di votarli pur conoscendo l’inutilità del gesto.
E pertanto, benché trionfante e in grado di aggiungere al suo bottino la bellezza di
settantacinque delegati (il che lo porta all’incirca a centodieci voti elettorali dei
millecentoquarantaquattro indispensabili per ottenere la nomination), Mitt Romney
può celebrare nel caso un successo a metà: non tutto il Gop si è davvero ancora
schierato con lui, per lo meno guardando agli elettori che hanno partecipato alle
ultime primarie.
Ho già sottolineato come difficoltà analoghe abbia incontrato nel suo cammino senza
veri avversari nel campo avverso perfino Barack Obama.
Quasi certamente, il mormone taglierà l’agognato traguardo (comunque, è soltanto
una questione formale) martedì 29 maggio, allorquando sarà chiamato alle urne il
Texas.
I risultati secondo le prime ma accreditate rilevazioni:
Arkansas:
I) Mitt Romney 69%
II) Ron Paul e Rick Santorum 13%
Kentucky:
I) Mitt Romney 67%
II) Ron Paul
13%
III) Rick Santorum 9%
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Pennsylvania, Florida, Ohio: almeno due su tre
Tradizionalmente, nel senso che la faccenda si ripete da tempo infinito, il candidato
alla Casa Bianca che alla fine si afferma vince almeno in due Stati tra Pennsylvania,
Florida e Ohio.
Chi riesce nell’opera, giura sulla Bibbia il 20 gennaio dell’anno successivo a quello
elettorale.
(E qui ci si potrebbe chiedere se altrettanto farebbe il mormone Mitt Romney o se
preferirebbe ricorrere all’altra formula prevista impegnando il proprio onore).
Ad oggi, i sondaggi nei tre citati Stati ci dicono di una situazione assolutamente alla
pari: in Pennsylvania Obama è dato in vantaggio per il quarantasette al quarantuno
per cento; in Florida, situazione opposta e Romney prevale nelle intenzioni di voto
quarantasette a quarantuno; in Ohio parità sostanziale.
Concludono, pertanto, gli analisti per una lotta strenua che vedrà prevalere l’uno
sull’altro di strettissima misura.
Ma, al 6 novembre, mancano la bellezza di centosessantacinque giorni: una vita!
Colin Powell torna a galla
Tutti, ma davvero tutti, i politici che in qualsivoglia modo hanno rappresentato
qualcosa negli USA ad ogni livello, colgono l’occasione fornita dalla campagna
elettorale in corso per rispuntare cercando di far convergere su di loro, fosse pure
per un attimo, le luci della ribalta.
Così, oggi, l’ex segretario di Stato Colin Powell, con George Walker Bush nel primo
mandato.
Già dichiaratosi, lui repubblicano, a favore di Obama nel 2008, eccolo sostenere a
spada tratta la linea presidenziale a proposito della possibilità di concedere ai gay il
diritto al matrimonio.
Bene, gli siano pure concessi i suoi cinque minuti di rinverdita notorietà.
Obamiani pronti a risfoderare l’arma del razzismo
2008, “Volete bocciare la candidatura di Barack Obama a White House solo perché
è un nero”.
Questo, più o meno ed ha funzionato alla grande, il vero e proprio ricatto morale
sollevato quattro anni orsono dai sostenitori dell’attuale inquilino della Casa
Bianca.
Chi non avesse espresso pieno appoggio al candidato nero sarebbe stato, e fu,
all’epoca, tacciato, più o meno apertamente, di razzismo.
Che il democratico avesse o no le carte in regola per governare non importava un
bel nulla.
Ed ecco che oggi, dopo quattro anni di misera amministrazione, l’entourage
obamiano riprende in mano l’argomento, per ora suggerendo (ma, vedremo se non
saranno espliciti in avanti) che quanti non lo vogliono rieleggere siano spregevoli
razzisti. Funzionerà?
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24 MAGGIO 2012
Documenti
Ora Mitt Romney fa paura, un articolo di Guido Moltedo per
Europaquotidiano.it
La campagna di Obama è in affanno.
E il Gop può sperare
Obama dovrebbe vincere.
Ma potrebbe perdere.
Un insider della politica washingtoniana descrive così l’aria che si respira nelle
stanze dei big e degli strateghi del partito democratico.
Perché questo senso di smarrimento e di preoccupazione intorno a un personaggio
talentuoso come il presidente in carica?
“La campagna di Obama”, ci spiega il nostro interlocutore, “è mediocre,
autocompiacente e non strategica, e per di più autoreferenziale, cioè per niente aperta
al contributo e al consiglio di altri.
È un’operazione da un miliardo di dollari, ma gestita da una piccola cerchia ristretta.
In definitiva, è basata sulla nostalgia, per riagguantare l’onda del 2008, che però si è
dissipata da tempo.
Non c’è modo di dargli una mano perché respingono qualsiasi aiuto.
Fa paura osservare tutto questo”.
Diagnosi impietosa, che si potrebbe anche liquidare come il solito, mai sopito,
rancore del clan clintoniano – la nostra fonte è di quel giro – nei confronti di Barack
Obama.
Molti indizi, però, dicono che le cose stanno proprio così.
Per dire l’ultima, nelle primarie democratiche in Kentucky, martedì scorso, il
presidente ha prevalso con il cinquantotto per cento dei voti.
Una robusta vittoria?
Non proprio, considerando che le elezioni primarie democratiche sono poco più che
simboliche e che in molti Stati il presidente-candidato non ha avversari e, dove li ha,
sono personaggi folkloristici e sfidanti improbabili.
Insomma, in uno stato del Sud, come è appunto il Kentucky, ben quattro elettori su
dieci sono andati al seggio per votare delegati non legati a lui, ma ‘uncommited’, cioè
senza un mandato vincolante da assolvere alla convention democratica di Charlotte,
ai primi di settembre.
Addirittura in sessantasette contee su centoventi, i voti per gli uncommitted hanno
superato quelli per i delegati obamiani.
Quasi peggio in Arkansas, dove il presidente ha subito l’onta del quaranta per cento
conseguito dal suo avversario, tale John Wolfe, un avvocato del Tennessee che la
stampa definisce ‘perennial political candidate’, cioè una specie di prezzemolo di
tutte le elezioni, a cui partecipa per conseguire qualche istante di notorietà.
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Certo, Kentucky e Arkansas sono stati solidamente rossi, cioè sicuramente
repubblicani, eppure queste bislacche primarie sono comunque indicative di una
preoccupante debolezza democratica nella fascia meridionale del paese.
Dunque, quella che un paio di settimane fa sembrava una stravaganza locale – il
quaranta per cento ottenuto da un detenuto, Keith Judd, nelle primarie in West
Virginia – era il sintomo di un malessere più serio che la squadra del presidente
Obama dà l’impressione di sottovalutare.
Certo, possono anche rinfrancarsi con gli ultimi sondaggi, il presidente e i suoi
consiglieri.
Come quello del ‘Wall Street Journal’ che dà Obama in vantaggio su Mitt Romney
quarantasette per cento a quarantatre.
Ma poi, se scrutano meglio tra le cifre dei diversi segmenti particolari, scoprono che i
numeri sono meno rosei.
Il quarantotto per cento degli intervistati, contro il quarantasei, boccia la tenuta del
presidente e solo il trentatre per cento ritiene che il Paese sia nella giusta direzione di
marcia, mentre poco più del cinquanta per cento disapprova la sua gestione
dell’economia.
Un altro sondaggio, condotto per conto della Msnbc, offre un quadro molto positivo
per Obama in settori elettorali tradizionalmente a lui fedeli, come gli afroamericani,
gli ispanici, le donne, i giovani, gli anziani, gli indipendenti, e negativo in altri settori
prevedibilmente ostili (bianchi, maschi, residenti nel Midwest, ceti benestanti,
residenti suburbani), ma soprattutto, il sondaggio, conferma la scarsa fiducia generale
nella sua gestione dell’economia (quarantatre per cento, meno due punti in un mese).
Si può discutere quanto si vuole sul valore di questi rilevamenti a poco più di un
semestre dalle presidenziali, un’eternità in termini politici.
Si può anche affermare che se Obama non sta bene, Romney non sta meglio di lui.
Ma il punto che preoccupa l’establishment democratico è proprio questo.
Il rivale repubblicano a questo stadio ancora iniziale della corsa elettorale, dovrebbe
stare parecchio indietro rispetto al presidente in carica, sia nei sondaggi sia nella
raccolta dei fondi.
E invece i due stanno spalla a spalla in entrambi i fronti.
Tanto che ‘The Politico’ ieri pubblicava una lunga analisi di Jonathan Martin, che gli
strateghi obamiani avranno letto con avidità e apprensione.
“Esponenti di spicco del partito repubblicano a lungo scettici, in privato, sulle
prospettive presidenziali, stanno abbracciando una sorprendente nuova visione, che
Mitt Romney possa benissimo conquistare la Casa Bianca a novembre”.
Parlando con diversi leader del Gop, Martin ricava l’impressione di “un ritrovato
ottimismo, l’idea cioè che, con un’acconcia campagna elettorale basata sul messaggio
che Romney possa essere quanto meno competitivo con un presidente candidato
indebolito”.
Quest’ottimismo è anche alimentato dall’osservazione dei problemi in casa
obamiana.
Primo fra tutti proprio la difficoltà evidente – constatata anche da diversi democratici
– a trovare, da parte obamiana, un messaggio conciso contro Romney.
164
Tutto questo genera un circolo virtuoso intorno al candidato repubblicano, che vede
un partito unito dietro di lui e una base che, prima riluttante, ora lo sostiene con
convinzione.
Un circolo virtuoso che, per i democratici, inizia a somigliare a un vortice di ansie e
paure.
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Con chi si schiera la Silicon Valley?
Secondo le agenzie, la Silicon Valley, Mecca californiana dell’alta tecnologia,
volta le spalle a Barack Obama e abbraccia il suo sfidante Mitt Romney.
Lontani i tempi in cui l’allora candidato aveva gioco facile contro John McCain, che
quattro anni fa si vantava di non aver mai acceso un computer.
Secondo gli ultimi dati del fundraising, la culla dell’high tech da qualche tempo
sembra stia premiando il miliardario mormone.
Secondo molti suoi sponsor, Romney conosce meglio di Obama il modo in cui
assicurare il successo a un’azienda, abbassando al minimo le tasse e riducendo le
regole.
Insomma, nulla di personale, ma solo e semplice convenienza economica.
Come scrive ‘Politico.com’, Barack Obama, il primo ‘Blackberry President’, famoso
per non staccarsi mai dal suo fedele cellulare sempre in mano, da queste parti
sembra essere in calo.
Solo una piccola elite di mega-miliardari del web sta continuando a credere in
Barack: tra loro il fondatore di Craiglist, Craig Newmark, uno dei capi di Facebook,
Sheryl Sandberg, e il presidente di Google, Eric Schmidt.
Nel frattempo, il miliardario conservatore Donald Trump pensa di creare un suo
Superpac, un mega comitato politico, per finanziare una serie di iniziative in chiave
anti-Obama.
Il suo obiettivo é spendere un sacco di soldi per farla finita con la politica di Obama
che a suo dire porterebbe gli Usa a diventare un Paese del “terzo mondo”.
“Se non siamo in grado di pagare la pensione e l'assistenza sanitaria é perché il
mondo sta succhiando il nostro sangue”, ha attaccato Trump.
Succede verso fine maggio…
Durante le primarie repubblicane Newt Gingrich aveva attaccato ripetutamente Mitt
Romney ma ora sembra essere diventato un suo grande fan.
Ieri sera(24 maggio), in un’intervista, l’ex presidente della Camera ai tempi di Bill
Clinton ha lodato pubblicamente l’ex rivale per essere organizzato e metodico e per
assomigliare molto a Eisenhower, presidente degli Stati Uniti dal 1953 al 1961.
“E’ preparato a fare sistematicamente quello che ritiene giusto per il paese”, ha
spiegato Gingrich.
“Credo che potrebbe rivelarsi un presidente sorprendentemente valido”.
Interpellato sulle sue precedenti critiche all’ex governatore del Massachusetts,
Gingrich ha poi affermato che “Romney ha fatto quello che doveva fare per ottenere
la nomination”.
L’ex speaker ha lanciato infine un monito ai democratici.
Secondo lui attaccare Romney sul suo passato a Bain Capital non funziona.
Filadelfia.
Il candidato mormone cerca di parlare in un quartiere a maggioranza nera.
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Tra urla, fischi e contestazioni varie (qualcuno grida “Vattene, non ti vogliamo
qui”), deve allontanarsi.
Un sondaggio svolto in tutto il Paese tra i bianchi della middle class in difficoltà
economiche conferma che la maggior parte di loro non desidera un secondo mandato
di Obama.
Il cinquantotto per cento contro un trentadue si dichiara a favore di Romney.
Non pochi tra i Gop protestano vibratamente da qualche giorno.
Ce l’hanno con il presidente che ha concesso il visto per entrare nel Paese alla figlia
di Raul Castro, Mariela, la quale ha prontamente ricambiato la gentilezza
affermando che se fosse americana voterebbe per Obama.
Altre proteste, pubbliche denunce e interrogazioni congressuali ha provocato la
notizia che la Cia e il capo dello Stato collaborano con la regista Kathrin Bigelow
fornendole informazioni classificate per la realizzazione di un film sulla morte di
Osama Bin Laden.
Dovesse inoltre la pellicola uscire sotto elezioni…
Giugno è il mese dell’orgoglio gay, orgoglio che sarà celebrato per iniziativa del
presidente con una manifestazione ufficiale a White House.
Tutto fa brodo.
Il prossimo 29 maggio, nel mentre in Texas i Gop saranno chiamati alle urne per la
primaria che dovrebbe consentire a Romney di raggiungere i famosi
millecentoquarantaquattro delegati necessari per la nomination,Obama conferirà in
una pubblica cerimonia alla Casa Bianca a tredici persone la massima onorificenza
civile americana.
Tra gli insigniti, Bob Dylan, Toni Morrison e Madeleine Albright.
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26 MAGGIO 2012
Documenti
Questa è la via che Mitt Romney deve seguire per andare alla
Casa Bianca, Karl Rove per il ‘Wall Street Journal’
Martedì, il sondaggio settimanale Gallup dava Barack Obama e Mitt Romney
appaiati al quarantasei per cento.
Con il presidente uscente sotto il cinquanta e il favore di Romney presumibilmente in
ascesa, per lo sfidante repubblicano le probabilità di vincere diventano buone.
Per prendere la Casa Bianca, Romney ha bisogno di duecentosettanta voti nel
Collegio elettorale.
Li otterrà con una strategia ‘tre/due/uno’.
Qualora Romney mantenesse gli Stati in cui ha vinto John McCain nel 2008 e
riconquistasse il secondo distretto del Nebraska (questo stato dispone di cinque voti
in Collegio, tre vanno a ogni distretto e gli altri due a chi ottiene più voti su scala
statale), il Collegio sarebbe quattordici voti più vicino rispetto alla forbice
trecentosessantacinque a centosessantatre del 2008.
Questo perché, dopo i dati del censimento 2010, sono stati diminuiti i seggi in
Collegio spettanti a Massachusetts, New York e Illinois, tradizionalmente
democratici, e sono stati aumentati i voti spettanti a Carolina del Sud, Georgia e
Texas, tradizionalmente repubblicani.
Nessuno degli Stati in cui vinse McCain sembra in pericolo per il partito
repubblicano, quest’anno.
Dopo questo primo ostacolo, la strada della vittoria, per Romney, inizia con un ‘tre’ –
tre come Indiana, Carolina del Nord e Virginia, un trio di Stati storicamente
repubblicani.
Nel 2008, Obama vinse di stretta misura nell’Indiana (con solo l’uno in più del rivale)
e in Carolina del Nord (ancor meno, zero trentadue per cento).
Oggi, neanche il team di Obama sostiene che l’Indiana sia in gioco.
Anche la Carolina del Nord sembra allontanarsi dal presidente: un sondaggio
Rasmussen del 14 maggio dava Romney al cinquantuno, Obama al quarantatre.
Al contrario, la Virginia resterà campo di battaglia elettorale fino all’Election Day;
qui Obama vinse con sei punti di margine e attualmente, secondo i sondaggi periodici
RealClearPolitics, è accreditato di più di tre punti di vantaggio.
Se Romney riuscisse a riportare i trentanove voti complessivi di questi tre Stati al
partito repubblicano, il Collegio elettorale conterebbe trecentodiciannove voti per
Obama, duecentodiciannove per Romney.
Poi c’è il ‘due’ – come Florida e Ohio.
Sono passati dai repubblicani nel 2004 ai democratici nel 2008.
In entrambi non c’è stata una vittoria netta: nel primo Obama ha vinto con un
margine del due virgola otto, nel secondo del quattro virgola sei.
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Il vantaggio di favori di cui gode il presidente sta scemando nella comunità ebraica, è
nettamente diminuito tra i latini, e gli anziani sono inquieti.
In Ohio, Obama ha diversi problemi tra la classe lavoratrice bianca e nella ricca
provincia.
La gara è estremamente serrata nello Stato di Buckeye – un sondaggio Quinnipiac del
7 maggio tra iscritti alle liste elettorali dava Romney al quarantaquattro, Obama al
quarantacinque.
Un altro sondaggio Quinnipiac del 21 maggio riferito invece alla Florida dava
Romney in crescita, da un precedente quarantuno per cento al quarantasette.
Questi due Stati dispongono, in tutto, di quarantasette voti.
Se Romney li conquistasse, nel Collegio elettorale si andrebbe a ducentosettantadue
Obama, ducentosessantasei Romney.
Il che ci porta al passo ‘uno’.
A Romney mancherebbe ancora uno Stato – qualunque stato – e la Casa Bianca
sarebbe sua.
Avrebbe molte strade di fronte a lui.
Una è quella del vicinato.
Se l’ex governatore del Massachusetts, nonché residente di Boston, conquistasse il
vicino New Hampshire, i suoi quattro voti lo innalzerebbero alla magica soglia dei
ducentosettanta e allo Studio Ovale.
C’è poi la strada dei Grandi Laghi, che passa attraverso il Michigan (sedici voti), la
Pennsylvania (venti) e il Wisconsin (dieci).
Di questi tre, il Michigan appare un obiettivo difficile.
Ma l’antipatia di Obama verso il carbone, cumulata ai suoi problemi con la classe
lavoratrice bianca e con gli elettori nella provincia, rendono assai più incerta la
situazione in Pennsylvania.
Un sondaggio Rasmussen del 21 maggio su un campione di probabili elettori dava il
presidente in vantaggio di sei punti percentuali.
Se poi il governatore Scott Walker sopravvivesse al voto del 5 giugno con un
margine sostanzioso, anche il Wisconsin potrebbe diventare conquistabile – come
avvenne nel 2000 e nel 2004, quando i democratici vinsero con margini strettissimi.
Un sondaggio Marquette University del 12 maggio su presunti elettori dà i due
pretendenti alla Casa Bianca in pareggio, entrambi al quarantasei.
La rotta occidentale passa invece per Colorado (nove voti), Nevada (sei) o Nuovo
Messico (cinque).
Un sondaggio Purple Strategies del 23 aprile su presunti elettori dà i due sfidanti in
parità al quarantasette.
Con la disoccupazione più alta della nazione, gli abitanti del Nevada non dimenticano
l’invettiva pronunciata nel 2010 da Obama contro Las Vegas: “Quando i tempi sono
difficili, si stringe la cinghia... Non si va a buttare i soldi a Las Vegas”.
In più, il Nuovo Messico è retto da una governatrice latina e repubblicana assai
popolare, Susana Martinez.
C’è poi la via diretta.
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L’Iowa (sei voti) ha lanciato Obama nel 2008, ma ora i media riferiscono che il suo
team elettorale sta dedicando un’attenzione particolare a questo Stato, ciò che
tradisce ansia.
Obama ha fallito da tempo la possibilità di replicare la sua performance del 2008, e
ora deve combattere per riconquistare gli Stati dove aveva vinto.
Le probabilità, adesso, sono, sia pur di poco, in favore di Romney.
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‘Barry’ Obama e la marijuana
David Maraniss, già premio Pulitzer e quindi firma di un qualche rilievo, ha scritto
una biografia del presidente Obama che sarà pubblicata a breve.
In una anticipazione – e quando si vuole creare una particolare attenzione nei
confronti di un libro di tal fatta è delle cose ‘succose’ che si parla – fornita ai
giornali si sostiene, documenti e confessioni alla mano, che da ragazzo, Obama, con
il nome da battaglia ‘Barry’, era un forte consumatore di Marijuana.
Scandalo?
Non poi molto e comunque non certamente il grado di influire sull’esito della
campagna elettorale.
Dopo Hollywood, Broadway
I riflettori dei teatri a New York si accenderanno il prossimo mese sul presidente
degli Stati Uniti che sarà la star indiscussa assieme all'ex presidente americano Bill
Clinton di 'Barack on Broadway'.
Dopo Hollywood, Obama passa sull'altro versante degli Stati Uniti e dal cinema al
teatro, per due eventi di raccolta fondi per la campagna elettorale, al New
Amsterdam Theater, la casa di 'Mary Poppins' uno dei musical maggiormente
longevi di Broadway.
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28 MAGGIO 2012
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Red, Blue and Swing: lo stato delle cose
Una breve introduzione per quanti l’avessero dimenticato:
Negli Stati Uniti d’America la scelta del presidente avviene attraverso una elezione di
secondo grado.
Il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno corrispondente
al bisestile, quindi, nelle urne, non si vota direttamente per uno o l’altro dei candidati
in corsa ma per delegati – definiti gergalmente anche ‘voti elettorali’ - collegati ai
candidati medesimi, i quali delegati saranno successivamente chiamati, in sede di
Collegio Nazionale (l’istituzione che li raccoglie), a pronunciarsi conseguentemente
al mandato ricevuto.
In totale, i delegati eletti sono cinquecentotrentotto e pertanto alla Casa Bianca
approderà chi sarà riuscito a conquistarne almeno duecentosettanta (la metà più uno).
Il fatidico numero cinquecentotrentotto è pari alla somma dei congressisti nazionali
(cento senatori e quattrocentotrentacinque rappresentanti e cioè totali
cinquecentotrentacinque) e dei tre ‘voti elettorali’ ai quali ha diritto nell’occasione il
District of Columbia, ovvero la città capitale federale Washington.
I delegati (tranne che nel Nebraska e nel Maine che hanno sistemi differenti) si
conquistano Stato per Stato con il meccanismo chiamato ‘winner take all’.
In pratica, il candidato che prevale appunto in ciascuno Stato per voti popolari ottiene
tutti i ‘voti elettorali’ ai quali il territorio in questione ha diritto.
Rammento che ogni Stato può contare su un numero di delegati da nominare pari alla
somma dei senatori e dei rappresentanti che elegge al Congresso, il che significa che
più popolato è più delegati ha.
Si va, da un minimo di tre, come nel caso dell’Alaska, a un massimo, per la
California, di cinquantacinque.
Cosi’ stando le cose, importantissimo conoscere gli orientamenti locali per capire
come l’elezione andrà a finire.
Necessari, indispensabili, quindi, i sondaggi non a livello nazionale (si può perdere,
ed è accaduto, anche conquistando un maggior numero di voti nell’intero Paese ma in
territori meno significativi quanto a delegati) ma Stato per Stato.
Necessario, indispensabile, pertanto, sapere se e quanto uno Stato possa essere
ritenuto repubblicano (red), democratico (blue) o fluttuante (swing).
Red, Blue and Swing
Guardando alle indicazioni sulle intenzioni di voto, ai più recenti esiti e alla
tradizione, ad oggi 27 maggio 2012, la situazione è la seguente:
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Stati sicuramente (?!) democratici per un totale di centoottantasei delegati
California
Connecticut
Delaware
District of Columbia
Hawaii
Illinois
Maine
Maryland
Massachusetts
New Jersey
New York
Oregon
Rhode Island
Vermont
Washington
Stati sicuramente (?!) repubblicani per un totale di centocinquantanove delegati
Alabama
Alaska
Arkansas
Georgia
Idaho
Kansas
Kentucky
Louisiana
Mississippi
Montana
Nebraska
North Dakota
Oklahoma
South Carolina
South Dakota
Tennessee
Texas
Utah
West Virginia
Wyoming
Stati tendenzialmente democratici per un totale di sessantuno delegati
Michigan
Minnesota
New Mexico
Pennsylvania
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Wisconsin
Stati tendenzialmente repubblicani per un totale di quarantasette delegati
Arizona
Indiana
Missouri
North Carolina
Swing States per un totale di ottantacinque delegati
Colorado
Florida
Iowa
Nevada
New Hampshire
Ohio
Virginia
Conclusioni?
Nel rammentare che in molteplici occasioni, candidati dipoi eletti ‘a valanga’ a
novembre, si trovavano all’incirca centosessanta giorni prima del voto (come oggi
rispetto al 6 di quel mese) in situazioni che definire difficili è poco, sulla base di
quanto ora esposto e guardando alle indicazioni relative alle intenzioni di voto
specifiche di Ohio, Florida e Pennsylvania (normalmente, chi vince in almeno due di
questi tre Stati, conquista lo scranno presidenziale), si può dire che, a meno di
clamorosi errori dell’uno o dell’altro, a meno di accadimenti dirompenti, la battaglia
sarà all’ultimo voto e che perfino uno Stato con soli tre delegati in canna potrebbe
rivelarsi determinante.
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I veterani di guerra preferiscono Romney
In un giorno di pausa dalla campagna elettorale speso per onorare i caduti
americani nel Memorial Day, l’ultimo sondaggio di Gallup assegna un largo
vantaggio al probabile candidato repubblicano alla Casa Bianca sul presidente in
carica.
Il cinquantotto per cento dei reduci intervistati sostiene Romney, mentre solo il
trentaquattro è a favore di Obama.
Nelle ultime settimane, diversi sondaggi hanno mostrato un significativo divario di
genere tra Obama e Romney, con le donne nettamente a favore del presidente e gli
uomini più vicini all’ex governatore del Massachusetts.
Questo vantaggio tra i maschi di Romney può essere attribuito proprio al netto
margine conquistato tra i veterani, dato che un uomo su quattro, in America, ha
prestato servizio nelle forze armate.
Considerando invece soltanto gli uomini che non hanno indossato la divisa, i due
candidati sono pressoché appaiati.
Obama e Romney sono accomunati dal non aver prestato servizio, rendendo così le
elezioni del 2012 le prime con due candidati ‘senza divisa’ dalla sfida del 1944 tra
Franklin Roosevelt e Thomas Dewey.
Per commemorare i caduti di tutte le guerre, Romney ha visitato il Museo dei
veterani e il Memorial Center di San Diego, in California, insieme al senator John
McCain, candidato repubblicano alla Casa Bianca quattro anni fa.
Nel programma del presidente Obama, invece, le cerimonie al cimitero nazionale di
Arlington e al memoriale per i veterani del Vietnam a Washington.
Dagli amici mi guardi Iddio
Uno dei temi della corsa alle presidenziali è: “Con amici come questi, chi ha bisogno
di nemici?”.
Gli aiuti non richiesti hanno messo in difficoltà sia Barack Obama sia Mitt Romney.
Prima si è scoperto che un Superpac (comitato politico per la raccolta fondi)
finanziato da un uomo d’affari conservatore voleva attaccare Obama con uno spot
dalle forti connotazioni razziali sulle uscite più controverse del reverendo Jeremiah
Wright, l’ex pastore del presidente.
Lo staff di Obama ha definito deplorevole l’iniziativa e lo stesso Romney ha dovuto
prendere le distanze dal progetto.
Poi è stata la volta di Cory Booker, sindaco di Newark, in New Jersey, e star
emergente del partito democratico.
Booker è andato in tv per difendere il presidente, ma ha detto anche che gli attacchi
di Obama a Mitt Romney per il suo passato alla società d’investimento Bain Capital
sono vergognosi quanto gli spot sul reverendo Wright.
Le dichiarazioni di Booker non sorprendono, considerate le sue ambizioni e i suoi
legami con la finanza, ma hanno creato enormi grattacapi allo staff di Obama, che
punta a dipingere Romney come un manager rampante distaccato dalla realtà. “È su
questo che si concentrerà la campagna”, ha ribadito Obama il 21 maggio.
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E proprio mentre si spegneva la polemica su Booker, Bill Maher, comico tv che ha
donato un milione di dollari a un Superpac pro Obama, l’ha riaccesa.
Ha definito ‘setta’ la religione mormone di Romney, costringendo lo staff di Obama
a prendere le distanze dal proprio fervente sostenitore.
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30 MAGGIO 2012
Dopo il Texas: per Romney nomination in tasca
Ed ecco che, come del tutto previsto, Mitt Romney, vincendo con un buon settantuno
per cento le importantissime primarie del Texas e aggiudicandosi larga parte dei
delegati in palio, supera la fatidica soglia dei millecentoquarantaquattro voti elettorali
necessari per ottenere, a fine agosto in quel di Tampa nel corso della convention Gop,
l’agognata nomination.
Nulla cambierà ora, c’è da scommetterlo, nella strategia del mormone che già da
tempo – dopo il ritiro di Santorum, in particolare – aveva dato per scontata
l’investitura e si era concentrato sul rivale democratico Barack Obama.
Il presidente del partito repubblicano, Reince Priebus, si è congratulato con Romney
che, ha scritto in un comunicato, “offre all’America la nuova direzione di cui ha un
disperato bisogno”.
“In un momento in cui il Paese deve dare al settore privato i mezzi per creare
occupazione”, ha aggiunto, “noi abbiamo bisogno di un leader che rispetti il settore
privato.
Quel leader è Mitt Romney”.
177
A centosessanta giorni dal 6 novembre
Continua da parte dei due candidati la caccia ai finanziatori meglio se miliardari.
Ed ecco Mitt Romney tornare a Las Vegas – questa volta in compagnia di Donald
Trump già suo sostenitore – per una cena elettorale e, soprattutto, per incontrare e
cercare di convincere il super ricco (che ha fatto i soldi soprattutto col gioco
d’azzardo) Sheldon Adelson
Questi ha, dall’inizio, sostenuto a suon di milioni (venti) la campagna del rivale Newt
Gingrich che gli sembrava duro e puro quanto, a suo parere, necessario
Pur avendo in seguito affermato di essere disposto comunque ad appoggiare il Gop
nominato chiunque fosse, non ha finora versato neppure un centesimo a Romney.
Staremo a vedere.
L’ex governatore della Florida Jeb Bush, in una lunga ed interessante intervista,
torna a proporsi quale candidato alla vice presidenza.
Gli piacerebbe completare il ticket repubblicano, dice,
Dubita, peraltro, che davvero il mormone possa prenderlo in considerazione
essendo, al momento (e non di certo in futuro) il suo cognome forse ingombrante.
Propone, Jeb, al proprio partito una del tutto inattesa – i Gop sono per la stragrande
maggioranza wasp (white, anglo saxon, protestant) - apertura alle minoranze
razziali quanto religiose.
Dovesse fallire Romney in questo 2012, penso possa prospettarsi una forte
candidatura del terzo Bush fra quattro anni.
Durante la cerimonia, tenutasi alla Casa Bianca, per la consegna delle ‘Medaglie
della libertà’, massima onorificenza civile americana, due le circostanze che hanno
colpito.
La prima è l’assoluta freddezza (neppure un sorriso) di Bob Dylan che ha ricevuto la
decorazione senza fare una piega.
La seconda, l’ennesima castroneria di Obama (e del suo entourage, evidentemente
non all’altezza), il quale, premiando un cittadino polacco per i suoi meriti nella lotta
contri i nazisti, ha parlato di “campi di sterminio polacchi” causando l’immediata
protesta ufficiale del governo di Varsavia.
“La Polonia”, questa la precisazione, “fu invasa dai tedeschi e i campi di cui si
parla furono in effetti costruiti sul territorio nazionale polacco ma dai nazisti”.
Gli astrologi dicono Obama
Le stelle non lasciano scampo a Mitt Romney: il prossimo 6 novembre Barack
Obama vincerà le elezioni e tornerà alla Casa Bianca.
E' quanto é emerso al termine di un summit di New Orleans che ha visto la
partecipazione dei maggiori astrologi d'America.
Ben cinque esperti di movimenti astrali hanno fatto l'oroscopo ai due contendenti, in
vista del voto del sei novembre. E tutti e cinque confermano all'unanimità che le
stelle stanno con Barack, Leone, a scapito di Romney, Pesci.
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I principali finanziatori di Mitt Romney
La rivista ‘Rolling Stone’ ha pubblicato un apposito dossier sui maggiori finanziatori
della campagna elettorale di Romney.
Il ritratto del finanziatore-tipo che emerge da questa carrellata è quello di un
anziano miliardario: età media sessantasei anni, patrimonio medio un miliardo di
dollari.
Ognuno di loro ha una buona ragione, legata ai propri affari, per scommettere o
investire sull'elezione del candidato repubblicano.
I primi cinque in classifica sono:
1) Bill Koch, settantaduenne uomo d'affari, fratello degli ancora più facoltosi (e
famigerati) David e Charles, i quali a loro volta sono tra i principali finanziatori (e
non di rado vengono additati come biechi burattinai) del movimento dei Tea Party e
dell'ala più radicalmente antistatalista del partito repubblicano in genere.
Bill, che fu noto alle cronache italiane quando vent'anni fa vinse la Coppa America
con la sua barca a vela ‘America3’ battendo il Moro di Venezia di Raul Gardini, è
talmente ricco che dopo quell'impresa si comprò anche il Moro, così, tanto per
collezionismo.
Assieme alla moglie ha donato a Romney due milioni di dollari.
2) Harold Simmons, l'ottantunenne proprietario della holding Contran il quale a
marzo, quando le primarie Gop erano ancora in pieno corso, aveva già donato
diciotto milioni di dollari comitati elettorali repubblicani (soprattutto a quello di
Karl Rove) a prescindere da chi sarebbe stato il candidato.
Non che l'esito delle primarie gli fosse del tutto indifferente: prima di finanziare
Romney donò un millione di dollari a Perry, Gingrich e Santorum.
Ora che si è rassegnato alla candidatura di quello che palesemente non era il suo
preferito, ha elargito a Mitt ottocentomila dollari.
3) Bob Perry, il settantanovenne imprenditore edile texano, amico di lunga data di
Karl Rove del cui comitato è uno dei principali finanziatori, si era già distinto per le
grandi donazioni ai repubblicani nelle elezioni di mezzo termine del 2010, e prima
ancora nel 2004 come principale finanziatore del gruppo di veterani dedito a
screditare il curriculum militare del candidato democratico alla casa Bianca John
Kerry.
Quest'anno ha donato a Romney la bellezza di quattro milioni.
4) Jim Davis, proprietario di un grande calzaturificio in Massachusetts, finanzia le
imprese politiche di Romney sin da quando questi si candidò al senato nel 1994,
tentando invano di spodestare Ted Kennedy.
Quest'anno gli ha dato un milione di dollari, e si dice che il suo obiettivo lobbystico
sia quello di ottenere un appalto dal Pentagono per calzare i piedi dei soldati
americani (i proverbiali “boots on the ground”...).
5) Richard e Bill Marriott, eredi del celebre impero alberghiero, hanno donato un
milione a testa al comitato Romney for President.
L'articolo di Rolling Stone nota con dovizia di particolari che Romney è stato per due
volte membro del consiglio di amministrazione della holding Marriott (l'ultima volta
nel 2011), che di secondo nome fa Willard in onore di J. Willard Marriott Senior,
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papà di Bill e fondatore dell'impresa, e che da bambino trascorreva le vacanze nella
villa di famiglia dei Marriott in New Hampshire.
L'autore si è però perso il dato che probabilmente spiega tutti questi legami: il
capostipite J. Willard Marriott Senior, originario dello Utah come il padre di Mitt,
oltre che un grande imprenditore era un missionario mormone.
Gli altri sono quasi tutti pezzi grossi di Wall Street: da Ed Conard, direttore dal 1993
al 2007 della della Bain Capital, la società di private equity della quale Romney fu
cofondatore (ha donato un milione, mantenendo l'anonimato finché i media non
l'hanno stanato), al manager Steven Lund, anche lui mormone (due milioni),
dall'ottantenne Julian Robertson, uno dei primi grandi manager di hedge-fund, noto
alle cronache per le sue battaglie contro il fisco, (un milione e
duecentocinquantamila dollari), a John Paulson, altro gigante degli HF (un milione),
nonché il manager Robert Mercer, che prima di donare un milione a Mitt aveva
investito altrettanto nella campagna contro la cosiddetta ‘moschea a Ground Zero’.
Aumenta il tasso di disoccupazione negli USA
Sarà l’economia il dato decisivo.
Ci si scontrerà su mille diversi argomenti, ma, alla fine, il livello di vita degli
americani li porterà a decidere per una conferma o per un cambiamento.
Ecco quanto oggi, a seguito della diffusione dei nuovi dati concernenti
l’occupazione, riportano le agenzie al riguardo:
“Mitt Romney ha definito ‘devastante’ la notizia dell'aumento del tasso di
disoccupazione Usa a maggio, passato dall'otto virgola uno per cento di aprile
all'otto virgola due.
‘I dati sulla disoccupazione’, si legge in una nota diffusa dal candidato repubblicano
alla Casa Bianca, ‘rappresentano una notizia devastante per le famiglie e per in
lavoratori americani.
E’ questo un duro atto d'accusa nei confronti della gestione dell'economia da parte
del presidente Obama’.”
Divertente, tra mille virgolette, il fatto che l’or ora citato presidente abbia in questi
giorni amichevolmente ospitato a White House il predecessore George Walker Bush
e la moglie (venivano inaugurati i ritratti ufficiali dei due da collocare nella galleria
che conserva le raffigurazioni di tutti i presidenti e delle first lady) dimenticandosi
che da sempre va sostenendo di non essere responsabile delle difficoltà economiche
del Paese che dipenderebbero a suo dire solo e soltanto dalla da lui vituperata
amministrazione del medesimo Bush.
Nancy Reagan
Novantenne ma ancora in gamba, ieri Nancy Reagan ha voluto dichiarare
pubblicamente il proprio appoggio a Mitt Romney.
180
Poco per volta e molto velocemente dopo il ritiro dei rivali interni, tutto il Grand Old
Party si schiera con il mormone.
Se gli evangelici non si comporteranno a novembre come nel 2008 – quando si
astennero non ritenendo McCain un ‘loro’ candidato – Romney avrà le migliori
possibili chance di vittoria.
181
4 giugno 2012
Wisconsin, supertest per Obama e Romney
Passa dal voto del Wisconsin la lunga strada verso la Casa Bianca.
Domani gli elettori di questo Stato del Midwest non sceglieranno solo il loro
governatore, ma daranno una indicazione politica forte in vista del prossimo 6
novembre.
Si tratta di un supertest locale con una enorme valenza nazionale.
Gli occhi di Barack Obama e di Mitt Romney sono puntati sulla sfida all’ultimo voto
tra il governatore uscente Scott Walker, amatissimo dai ‘Tea Party’ e nemico giurato
dei sindacati e il sindaco di Milwaukee, il democratico Tom Barrett.
In particolare, è Barack a vivere questa vigilia con particolare ansia.
Come scrivono i media, il presidente ha molte strade aperte per poter tornare alla
Casa Bianca, ma tutte passano per una vittoria nel Wisconsin.
E un’eventuale sconfitta del candidato democratico non sarebbe certo un buon viatico
sulla strada della sua rielezione.
Al momento i sondaggi parlano di un sostanziale testa a testa, con il candidato
repubblicano in leggero vantaggio.
Questo Stato, alle elezioni presidenziali, vale dieci grandi elettori.
Obama, quattro anni fa, lo conquistò con relativa facilità, battendo John McCain con
uno scarto di ben quattordici punti percentuali.
Ma sembra che in molti siano rimasti delusi dalla sua presidenza e oggi è considerato
un ‘swing State’ nel mentre, tradizionalmente, si tratti invece di un ‘blue State’, uno
Stato democratico.
Ronald Reagan è stato l’ultimo leader repubblicano ad aver vinto da queste parti, nel
lontano 1984.
Riuscirà ad imitarlo Romney?
L’esito della sfida Walker/Barrett fornirà un’indicazione non da poco.
182
Gary Johnson, il terzo candidato
Fondato nel 1971, il ‘Libertarian Party’ ha un certo seguito negli USA soprattutto
tra gli intellettuali.
Come sempre dalla fondazione, anche in questo 2012 propone un proprio candidato
alla Casa Bianca e questa volta il personaggio in questione potrebbe anche avere un
qualche seguito.
Si tratta infatti dell’ex governatore (per due mandati dal 1995 al 2003) del New
Mexixo Gary Johnson, figura abbastanza nota a livello nazionale.
Già lungamente repubblicano, Johnson è entrato da poco tra i ‘libertari’ arrivando
subito alla nomination.
183
5 GIUGNO 2012
Il Gop Scott Walker mantiene in Wisconsin
Netta (cinquantaquattro per cento dei suffragi contro il quarantacinque per cento del
rivale democratico), netta vittoria del governatore repubblicano del Wisconsin Scott
Walker in una consultazione particolarmente significativa in vista del voto
novembrino.
Si votava in base al cosiddetto recall, ovvero il diritto referendario dei cittadini
americani di chiedere le dimissioni di una carica pubblica dopo un anno dal suo
insediamento.
Nella storia degli Stati Uniti moderni Scott Walker è il terzo governatore che ha
dovuto affrontare questa sfida.
Negli altri due casi – nel 2003, in California, Gray Davis e, nel lontano 1921, Lynn
Frazier nel North Dakota – i politici contestati erano stati costretti alle dimissioni.
La sconfitta del democratico Tom Barrett è assai dolorosa per Obama che vede
profilarsi la perdita del Wisconsin, Stato da sempre vicino al partito dell’asino.
184
6 GIUGNO 2012
California, Montana, New Mexico, New Jersey e South Dakota per
Mitt Romney
In qualche modo, fuori tempo massimo, visto che i giochi sono ampiamente fatti, ma
seguendo il calendario, ecco, ieri 5 giugno, al voto, per le primarie del Gop, lo Stato
col maggior numero di abitanti degli USA (ovviamente la California), il New Jersey,
il New Mexico, il South Dakota e il Montana.
Un bel pacco di delegati – alla California ne spettavano addirittura centosettantadue –
che si sono aggiunti per la gran parte a quelli già schierati con Mitt Romney.
Il mormone ha prevalso nello Stato del Pacifico con all’incirca l’ottanta per cento dei
suffragi.
Ha preso poi l’ottantuno per cento nel New Jersey, il settantatre nel New Mexico, il
sessantanove nel Montana e il sessantasei nel South Dakota.
185
La crisi economica? Per Obama è colpa dell’Europa
Il problema dei problemi, e l’ho sempre detto e ripetuto, è la situazione economica.
Se migliora, Obama è probabilmente in salvo.
Se peggiora, con ogni evidenza, verrà battuto.
Ecco, quindi, che, non prevedendo nulla di buono e verificando le difficoltà in
aumento, di questi tempi, il presidente cerca responsabili altrove arrivando ad
accusare l’Europa le cui pesanti incertezze minerebbero gravemente l’economia
USA.
Per tutta risposta, in specie il neo ministro degli esteri francese Laurent Fabius, ma
anche altri esponenti europei, gli hanno ricordato le origini della grave impasse che
sono indubbiamente americane.
Quel che conta per Obama non è evidentemente dire la verità, dare una versione
reale (se possibile) dei fatti, ma allontanare da sé e dalla sua amministrazione ogni
accusa di inefficienza in una materia tanto decisiva.
Raccolta fondi elettorali
Super Pac a parte, guardando agli spiccioli (ai denari che i singoli sono chiamati a
versare per sostenere la campagna elettorale dei due candidati), nel trascorso mese
di maggio, per la prima volta – e il fatto è assai significativo – Mitt Romney ha
sopravanzato, e nettamente, Obama.
Ad aprile, ricordo, il democratico aveva raccolto quarantatre milioni di dollari a
fronte dei quaranta virgola uno del repubblicano.
A maggio, Obama è arrivato a sessanta milioni, nettamente meno di quanto,
settantasei virgola otto, ha ricevuto il rivale.
Vogue è con Obama (!?)
Da sempre, con rare eccezioni, il mondo dello spettacolo e quello dei radical chic
appoggia il candidato democratico a White House.
Chiunque sia e a maggior ragione se è il primo nero approdato allo scranno
presidenziale.
Sono tutti molto politicamente corretti, in quegli ambienti.
Non meraviglino, quindi, le dichiarazioni e le azioni di raccolta fondi pro Obama
messe in atto da George Clooney, Sarah Jessica Parker e compagnia bella.
(Va qui, peraltro, ricordato che l’abbraccio del predetto Clooney fu fatale per John
Kerry nel 2004, ma glissiamo).
Non deve pertanto sorprendere se oggi, col democratico si schiera anche e
nientemeno che il guru della moda, la direttrice di ‘Vogue’, Ann Wintour.
I media danno ampio risalto all’endorsement della signora.
Nessuno sa dire se davvero questa uscita convoglierà su Obama anche un solo voto.
186
La replica Gop
“Barack Obama è troppo radical chic, legato alle celebrità dello spettacolo e della
moda che fanno campagna per lui”.
E' questo il messaggio che la campagna repubblicana per le presidenziali sta
cercando di far passare.
Un nuovo spot televisivo, mostra la direttrice di Vogue, Anne Wintour, che parla con
il suo accento snob dell'evento organizzato la settimana prossima a New York per la
campagna del presidente americano.
Le immagini sono montate con statistiche sulla disoccupazione e la scritta: “Obama
cerca di mantenere il suo posto di lavoro. E il vostro?”.
Valanga di spot
Mai, per quante sfide elettorali per la Casa Bianca si siano combattute dall’avvento
della tv (è per apparire sul piccolo schermo che i soldi corrono a fiumi), mai lo
scontro era iniziato tanto per tempo e in forme altrettanto feroci.
Da giorni – e sarà lo stesso o peggio fino al 6 novembre – tutte le televisioni, in
particolare quelle locali, sono terra di conquista e si è calcolato che quattro spot su
cinque tra quanti proposti sono a favore di Romney o di Obama.
Mi chiedo se non sia opportuno, necessario addirittura, per il futuro pensare ad un
limite.
Una colonscopia senza anestesia
Un senatore che è sopravvissuto al test dello staff di Mitt Romney per ottenere la
candidatura a vicepresidente definisce l'esame cui è stato sottoposto come “una
colonscopia senza anestesia”.
E' la battuta citata da un pezzo sul sito della Cnn, che conferma come il candidato
repubblicano alla Casa Bianca stia intensificando la sua ricerca di un numero due.
Si tratta di assicurarsi la collaborazione di una persona assolutamente limpida, non
solo senza scheletri nell'armadio, ma senza nemmeno una pur piccola macchia, o
mancanza o stupidaggine compiuta nel corso della sua vita passata.
Si indaga sugli anni universitari, sul lavoro, ma anche sulle amicizie, la famiglia e le
parentele anche remote, insomma su tutto quanto possa solo lontanamente
danneggiare indirettamente la campagna elettorale del capo.
Un esame talmente intimo e dettagliato, che secondo alcuni è maggiormente severo
di quello al quale vengono sottoposti i candidati presidenti dai rispettivi partiti, al
momento di partire per le primarie.
Obama e l’industria farmaceutica
Non passa praticamente giorno senza che qualche tv o giornale ‘scopra’ qualcosa
riguardo al passato di Obama o di Romney, fossero pure i loro comportamenti alle
elementari!
Di quando in quando, frammezzo a mille inutilità, ecco qualche scoop.
187
Il ‘New York Times’ di ieri, per esempio, si occupa, denunciandolo con evidenza e
documentandolo, di un abbastanza recente comportamento alquanto discutibile di
Obama.
Questi, nelle settimane che hanno preceduto il varo della ‘sua’ riforma sanitaria, ha
operato per bloccare la proposta di abbassare i prezzi di alcune medicine ottenendo
in tal modo la collaborazione (e quant’altro?) della gratissima industria
farmaceutica nazionale.
Birbone…
188
11 GIUGNO 2012
Documenti
Ben meritato da Obama il Nobel per la pace! Un articolo del
Movimento Internazionale per i diritti civili
Il ‘New York Times’ del 29 maggio ha pubblicato un profilo devastante del
presidente Obama e della ‘lista segreta degli eliminandi’ che egli approva
personalmente.
L'articolo si basa su interviste con trentasei ex e attuali collaboratori.
Gli autori, Jo Becker e Scott Shane, ricordano che Obama è il docente di diritto
progressista “che fece la campagna contro la guerra in Iraq e contro la tortura”, il
quale si è trasformato in una persona con l'ossessione di uccidere i sospetti terroristi,
studiando i casi individuali uno per uno e arrogandosi il potere di decidere chi verrà
prescelto.
Da quanto hanno descritto i testimoni, quando Obama “applica la sua abilità di
giurista all'antiterrorismo, lo fa di solito per rafforzare, e non per contenere la sua
feroce campagna contro Al Qaeda, anche se si tratta di uccidere un cittadino
americano in Yemen (una decisione 'facile da prendere', ha detto ai suoi)”.
Le fonti hanno anche confermato una pratica che è diventata abituale alla Casa
Bianca: per evitare i problemi che sorgono dalla detenzione dei terroristi, ad esempio
a Guantanamo, Obama preferisce non fare prigionieri.
“Sotto Obama, sono stati uccisi decine di sospetti e uno solo è stato preso in
custodia”, notano gli autori.
Viene citato l'ambasciatore USA in Pakistan Cameron Munter, che si è recentemente
dimesso perché, dice, ha capito che il suo “lavoro principale era diventato uccidere la
gente”.
L'ex direttore della National Intelligence ammiraglio Dennis Blair, che Obama aveva
licenziato, afferma che la Casa Bianca pensava solo agli attacchi con i droni invece
che alla strategia a lungo termine, tanto che gli ricordava l'ossessione con “il conto
dei cadaveri in Vietnam”.
Secondo il NYT ogni settimana si riuniscono un centinaio di funzionari della
sicurezza nazionale “per esaminare le biografie di sospetti terroristi e suggerire al
Presidente chi debba essere il prossimo a morire.
Le nominations vanno alla Casa Bianca dove, per ordine di Obama, il Presidente,
supportato dal consigliere anti-terrorismo, deve approvare ogni nome”.
Molti analisti hanno espresso stupore al numero delle vittime civili ufficialmente
riportate dalla Casa Bianca nell'ambito dei ‘danni collaterali’.
Alcuni funzionari del governo sostengono che sia dovuto al fatto che tutti i maschi
abili, in una zona dichiarata bersaglio, vengono considerati come combattenti, a meno
che non si dimostri il contrario dopo il loro decesso.
Per questo ci sono state proteste tra i funzionari dell'amministrazione.
189
L'uso crescente dei droni da parte di Obama è da tempo nel mirino degli attivisti per i
diritti umani e di altri gruppi che in genere appoggiano la politica di Obama, la qual
cosa indica una consapevolezza crescente del pericolo rappresentato dall'esecutivo
dittatoriale.
Infatti, due giorni dopo lo stesso giornale ha pubblicato un articolo intitolato ‘Troppo
potere per un presidente’.
Nessun presidente, si afferma nell'editoriale, “dovrebbe essere in grado di ordinare
unilateralmente l'uccisione di cittadini americani o stranieri lontano da un campo di
battaglia, privandoli dei diritti a un equo processo” e senza un organo di controllo
esterno.
Il NYT chiede al presidente di stabilire direttive chiare su quali siano i bersagli, che
permettano alla magistratura di esaminare le prove quando sia coinvolto un cittadino
americano e il rilascio degli atti che giustificano l'uccisione.
190
E se per White House votasse il mondo intero?
Un vecchio gioco, già visto in precedenti occasioni.
Un sondaggio a livello mondiale per vedere quali Stati si schierano col democratico
e quali col repubblicano.
Allorquando, nel 2004, sul ring si affrontavano George Walker Bush, in cerca della
conferma, e John Kerry, tutto il mondo, Polonia e Paesi baltici esclusi e Italia in
testa, si augurava prevalesse il secondo (il primo stravinse, il che certifica
l’importanza di tali iniziative).
Ecco gli esiti delle rilevazioni fatte :
Francia, novantadue per cento (92%) per Obama
Germania, novanta per cento ( 90%) per Obama
Regno Unito, settantatre per cento (73%) per Obama
Europa in generale, ottanta per cento (80%) per Obama
Brasile, settantadue per cento (72%) per Obama
Giappone, sessantasei per cento (66%) per Obama
Romney prevale solo in Cina (trentanove a trentuno per cento), in Russia di poco
(ventisette a venticinque) e diffusamente in tutti i Paesi islamici.
Il voto di Wall Street a favore di Romney
"Il voto di Wall Street: Romney stravince a valanga".
Così titola oggi ‘The Politico’ il pezzo con cui apre l'homepage, nel quale, esaminati
i bilanci dei rispettivi comitati elettorali, si nota che i finanziamenti che il presidente
Obama ha sin qui ricevuto dal mondo della finanza (dato aggiornato allo scorso
aprile) non solo sono meno di quelli ricevuti dallo sfidante repubblicano Mitt
Romney (il che era ormai scontato), ma lo sono in una proporzione davvero
impressionante: i trentasette virgola uno milioni di dollari che la gente di Wall Street
ha donato a Romney sono infatti quasi otto volta tanto gli appena quattro virgola
otto milioni andati ad Obama.
Non solo: tra i donatori pro-Romney appartenenti al mondo della finanza, se ne
contano diciannove che quattro anni fa avevano invece dato finanziamenti ad
Obama.
Spulciando l'elenco di tutti i finanziatori di Romney riconducibili al pianeta Wall
Street, ‘Politico’ ne ha contati quarantanove che in passato risultano aver a vario
titolo dato finanziamenti al partito democratico: da costoro provengono
complessivamente ben diciotto dei cinquantasei virgola cinque milioni sin qui affluiti
nelle casse di ‘Restore Our Future’, il ‘Superpac’ che raccoglie i principali
finanziamenti per la campagna elettorale di Romney.
191
Il ‘cane democratico’
Certo che godere dell’appoggio nientemeno che della mitica direttrice di ‘Vogue’
Ann Wintour è una gran bella cosa.
Oltre a raccogliere fondi per Obama tra gli amici, la Signora si è inventata
nientemeno che il ‘cane democratico’ creando per i possessori di quei poveri quattro
zampe una nuova linea di prodotti (dai collari ai guinzagli, dalle ciotole ai mangimi)
sui quali campeggia il motto ‘Bark for Barack Obama’ e cioè ‘abbaia per B.O.’.
Cosa chiedere di più?
Dollari come se piovesse per Mitt
Ricordate il multimiliardario (in dollari) Sheldon Adelson, quello che ha ampiamente
foraggiato Newt Gingrich ai tempi della sua candidatura nelle primarie Gop?
Ebbene, a quel che scrive la rivista ‘Forbes’, avrebbe deciso di versare nelle casse di
uno dei Superpac collegati a Romney la bella cifra di dieci milioni di dollari.
Di più, questa non sarebbe che una prima, modesta, tranche del maggiore
investimento mai fatto da un privato a favore di un pretendente a White House:
avrebbe, difatti, Adelson intenzione di finanziare il mormone con un totale di cento
milioni di dollari!
Vuole, il riccone di origini ebraico/lituane, far fori Obama che accusa di
‘socialismo’.
192
15 GIUGNO 2012
DOCUMENTI
Romney-Obama, botta e risposta in Ohio. Duello a distanza
sull'economia nello Stato chiave per la vittoria alle presidenziali, un
articolo di Maurizio Molinari per La Stampa
È un duello in Ohio su occupazione, tasse e deficit che evidenzia nell’arco di 60
minuti il contrasto fra Barack Obama e Mitt Romney, impegnati in una gara per la
Casa Bianca che i sondaggi descrivono come un incerto testa a testa.
L’occasione per la sfida è il comizio programmato da Obama a Cleveland per tentare
di riprendere le redini di una campagna che lo vede in affanno a causa della crescita
stagnante.
L’inizio del discorso di Obama è previsto alle tredici e quarantacinque ma Romney
non vuole lasciargli il palcoscenico e così prima annuncia un proprio comizio, alla
stessa identica ora a Cincinnati, sempre in Ohio, e poi lo anticipa di venti minuti al
fine di confermarsi all’offensiva.
Il candidato repubblicano si presenta in maniche di camicia e lancia un affondo di
quindici minuti, aspro nei toni e aggressivo nei contenuti: “Nel 2009 Obama ci aveva
promesso la disoccupazione al sei per cento ma da quaranta mesi è sopra l’otto, la sua
riforma della Sanità ha messo in ginocchio le piccole imprese e di questo passo presto
saremo come l’Europa, disoccupazione alta, salari bassi, i nostri figli indebitati per
generazioni e sull’orlo del crac finanziario simile a quello greco”.
E ancora: “Obama continua a ripetere che il settore privato dell’economia va bene ma
deve spiegarlo agli oltre quattordici milioni di cittadini senza lavoro”.
Romney non fa a tempo a scendere dal palco di Cincinnati che, a quattrocentodue km
di distanza, Obama sale su quello di Cleveland.
Il discorso del presidente, in giacca e cravatta e con le bandiere alle spalle, dura
quarantaquattro minuti.
É studiato per invertire il momento favorevole dei repubblicani, testimoniato
dall’ultimo sondaggio Rassmussen secondo cui Romney è avanti quarantotto a
quarantaquattro per cento nelle preferenze degli elettori.
“Il voto di novembre sarà sull’economia e avete di fronte a voi una scelta netta fra
ricette opposte”, esordisce il presidente. “Quella di Romney e dei suoi alleati
repubblicani favorevoli a chi possiede di più e quella in cui io credo, di ricostruire
l’economia dal basso verso l’alto iniziando dalla classe media”.
L’intento è schiacciare Romney sull’eredità economica di George W. Bush, il
presidente che ha governato dal 2001 al 2009:
“Sappiamo in che condizioni ci hanno lasciato la nazione, vogliamo davvero tornare
indietro?” chiede Obama, imputando al rivale di voler rendere permanenti gli sgravi
fiscali ai ricchi “e garantirgli altri cinque trilioni di dollari in facilitazioni a scapito di
scuola, ricerca e sanità”.
Nel finale Obama sfodera la grinta dei comizi del 2008:
193
“Se volete costruire l’America aiutando le famiglie rieleggetemi, se invece credete in
un’economia costruita attorno agli interessi dei più facoltosi scegliete il mio
avversario”.
Terminato il discorso, il presidente vola a New York con la moglie Michelle per
visitare il cantiere della Freedom Tower a Ground Zero, dove firma una delle ultime
travi a testimonianza dell’impegno per il riscatto della nazione.
E in serata lo attende Sarah Jessica Parker, la star di ‘Sex and the City’ che ospita una
raccolta fondi.
Per Obama sono risorse che contano perché anche sul fronte dei finanziamenti
Romney miete risultati: in maggio ha raccolto più di lui (settantasei milioni contro
sessanta), fra i donatori di Wall Street è in vantaggio trentotto milioni a quattro e in
più ha ricevuto dal re dei casinò Sheldon Adelson la promessa di ‘assegni illimitati’
anche oltre la soglia dei cento milioni di dollari.
A rassicurare Obama c’è Jim Messina che dal quartier generale di Chicago conduce
una campagna digitale, basata su microdonazioni, gadget e ricorso massiccio ai social
network.
Nella convinzione che “questa è la prima campagna elettorale dalla creazione
dell’iPad e dal boom di Twitter” e dunque sarà vinta in una maniera che non ha
precedenti.
Anche per questo dopo il discorso di Obama, il guru David Axelrod ha scelto twitter
per rispondere alle domande degli elettori.
194
Obama concede il permesso di soggiorno a ottocentomila clandestini
Il voto degli ispanici?
L’ho detto e ripetuto: è importantissimo e forse determinante.
Ed ecco che, nel mentre Romney si chiede se non sia opportuno (se non necessario)
trovare un candidato alla vice presidenza appunto ispanico, Obama opera
concretamente per ottenere da quel gruppo simpatie e riconoscenza.
Come? Attraverso una sanatoria, annunciata ieri con una conferenza a White House
(il presidente è stato interrotto da un giornalista che gli chiedeva perché mai si desse
da fare per gli stranieri e non per gli americani, la qual cosa ha provocato
imbarazzo).
Avranno, quindi, il permesso di soggiorno negli USA ben ottocentomila giovani
latino americani entrati clandestinamente nel Paese da bambini, vissuti altrettanto
clandestinamente ma senza commettere reati.
Che dire del tempismo di Obama che provvede in tal senso a meno di centocinquanta
giorni dalle elezioni?
Romney critica la politica a suo dire anti israeliana di Obama
Durante l’intervento all’incontro con i cristiani evangelici, il candidato repubblicano
alla presidenza Mitt Romney, ha detto che la sua politica nei confronti di Israele sarà
l’opposto delle azioni che vengono oggi
intraprese da Barak Obama.
Romney ha dichiarato che il presidente teme non tanto la prospettiva che l’Iran
diventi una potenza nucleare, quanto una eventuale operazione militare israeliana
contro l’Iran.
Parlando delle sue future azioni in qualità di presidente USA, in proposito il
mormone intende “forgiare saldi rapporti di lavoro con la dirigenza israeliana. Sia
per noi, sia per loro”, ha detto, “ è inaccettabile l’apparizione di un Iran nucleare e
siamo pronti ad adottare tutte le misure affinché ciò non avvenga”.
Il clan Bush a proposito dei latinos
Deciso ma non dirompente l’intervento di Mitt Romney a proposito della sanatoria
annunciata da Obama relativamente ai giovani latino americani entrati
clandestinamente nel Paese, comunque presenti da almeno cinque anni e mai
macchiatisi di reato.
“Dobbiamo rendere sicutro il confine”, ha detto il candidato Gop nel mentre molti
all’interno del suo partito accusavano il presidente di aver violato la legge se non
addirittura la Costituzione.
Fatto è che a calmare il mormone e ad indirizzarlo sulla strada di una reazione in
qualche modo soft è stato il clan dei Bush, Jeb in prima linea.
Da tempo, l’ex governatore della Florida, seguito dal resto della famiglia, parla
della necessità per il Gop di rivedere le proprie troppo rigide politiche in merito.
195
Un difficile percorso, ma, in prospettiva e magari puntando su Rubio piuttosto che su
Martnez, i repubblicani non possono non tenere conto dell’importanza sempre
crescente di quel particolare lettorato.
La scuola in crisi
Infiniti, naturalmente, i terreni di scontro.
Fra gli altri, la scuola.
E’ in crisi e la riforma voluta da George Walker Bush nel 2002 non ha migliorato le
cose.
Pochi i ragazzi meritevoli, pochissimi gli istituti all’altezza, sempre molti difficile se
non impossibile per i figli dei meno abbienti farsi strada.
Sul tema, poche le proposte e i due partiti sembrano per diverse ragioni non essere in
grado di ideare nulla di positivo.
196
18 GIUGNO 2012
Documenti
Quali presidenti non rieletti dopo un solo mandato? Un articolo di
MdPR
Lo spettro Jimmy Carter!
Non dichiarato, in casa democratica – in particolare, nel mentre la situazione
economica USA non migliora o peggio, da quando Mitt Romney ha cominciato a
raccogliere finanziamenti di grande portata e nettamente superiori a quelli destinati ad
Obama – aleggia il fantasma di Jimmy Carter, presidente per un solo quadriennio,
defenestrato da Ronald Reagan nel 1980.
D’altra parte – sarà bene ricordarlo – ove si escluda Bill Clinton, nessun altro capo
dello Stato democratico arrivato a White House dalla fine della seconda guerra
mondiale, sia pure per differenti motivi, è riuscito ad ottenere una conferma
elettorale.
Così, Harry Truman, John Kennedy, Lyndon Johnson e il predetto Carter
Ben altrimenti i repubblicani.
Si rammentino Dwight Eisenhower, Richard Nixon, il citato Reagan e George Walker
Bush.
Unica eccezione - non potendosi considerare tale Gerald Ford che aveva completato
il secondo mandato di Nixon - George Herbert Bush.
Guardando ad anni più lontani, i presidenti ripropostisi e non eletti sono:
John Adams, vince nel 1796 e perde nel 1800,
John Quincy Adams, prevale nel 1824 e viene sconfitto nel 1828,
Martin Van Buren, vittorioso nel 1836 e battuto nel 1840,
Grover Cleveland, un caso del tutto unico in quanto vinse nel 1884, perse nel 1888 e
tornò a prevalere nel 1892,
Benjamin Harrison, vince nel 1888 e soccombe nel 1892,
William Taft, si impone nel 1908 e perde nel 1912,
Herbert Hoover, a White House a seguito delle elezioni del 1928 e cacciato dopo
quelle del 1932.
Giova in questo contesto ricordare altri presidenti o vice subentrati per un solo
mandato, comunque, tranne Gerald Ford, ritiratisi non avendo cercato conferma e
quindi non sconfitti nell’urna.
Nell’ordine temporale, John Tyler, Millard Fillmore, Franklin Pierce, James
Buchanan, Andrew Johnson, Rutherford Hayes, Chester Arthur, Calvin Coolidge.
Al riguardo, da notare che fu Theodore Roosevelt, nel 1904, il primo vice presidente
subentrato mortis causa a ripresentarsi, ottenendo il bis al termine del quadriennio da
lui completato in luogo dell’eletto, nel 1900, William McKinley.
Per la necessaria esaustività, Martin Van Buren (nel 1848) e Millard Fillmore (nel
1856) cercarono in differenti occasioni e ben dopo la loro uscita dalla Casa Bianca di
riprendersi la presidenza, ma il tentativo andò male.
197
25 GIUGNO 2012
Molta carne al fuoco
Nel mentre la Corte Suprema si appresta – si dice – a pronunciarsi in
merito alla costituzionalità della riforma sanitaria obamiana (e una
eventuale sentenza contraria potrebbe avere effetti davvero dirompenti),
infiniti o pressappoco gli argomenti elettorali o assimilati dei quali si
discute negli USA.
Per cominciare, due fieri conservatori – Rupert Murdoch e Peggy Noonan
– spronano a sangue Mitt Romney che ritengono poco virile.
“Basterebbe poco per dare addosso a un governo tanto incompetente”,
strilla l’editore che non ha da sempre alcuna considerazione
dell’amministrazione in carica.
Altrettanto dura, l’autorevole ex collaboratrice di Reagan e di Bush padre.
Poi, il ‘Washington Post’, dichiaratamente democratico, attacca Romney
per il suo passato alla guida di ‘Bain Capital’: “Spingeva aziende USA a
spostarsi all’estero”, strilla.
Organi di stampa avversi, accusano il presidente di ogni nefandezza: da
giovane fumava marijuana, si è inventato, indorando abbondantemente la
pillola, gran parte del suo passato, rifiutava la propria negritudine sulla
quale ha invece insistito in campagna elettorale nel 2008.
Qualcuno – Trump in testa – sostiene ancora che non sarebbe eleggibile
non essendo nato negli Stati Uniti.
A parte tutto questo, in quel di Park City, Utah, Romney ha nei trascorsi
giorni riunito i grandi finanziatori Gop e molti tra i possibili vice.
I bookmaker continuano a dare favorito il senatore dell’Ohio Portman ma
pare non sia da trascurare Tim Pawlenty, gradito in particolare sia agli
evangelici che al Tea Party.
198
27 GIUGNO 2012
Documenti
Donna, mormone e repubblicana, Mia Love si candida alla Camera,
un articolo di MdPR
Ignari come sono della Storia con la esse maiuscola e attenti praticamente
esclusivamente al gossip, larga parte dei commentatori italiani (ma, non solo)
accolgono con meraviglia la notizia della candidatura in vista delle elezioni
novembrine per la camera nelle fila repubblicane della emergente Mia Love.
Nera e appunto repubblicana, non dovrebbe affatto stupire, come ricordo qui sotto.
Mormone e residente nello Utah, forse maggiormente, ove si pensi che in quello Stato
i neri sono soltanto l’uno per cento, pochissimi dei quali correligionari di Mitt
Romney.
Ora, il partito repubblicano USA fu fondato nel 1854.
Avevano i fondatori come primo obiettivo l'eliminazione della schiavitù, difesa a
spada tratta dai democratici del Sud.
Il primo presidente repubblicano fu Abraham Lincoln e, mi pare, fece qualcosa
riguardo allo schiavismo.
Il presidente della Corte Suprema che negli anni Cinquanta del Novecento (nel
mentre i governatori democratici sudisti imperavano e avversavano i neri) con le sue
sentenze, tanto operò a favore delle minoranze razziali e dei loro diritti era il
repubblicano Earl Warren.
Il presidente che ha chiamato due neri (nell'ordine, Colin Powell e Condoleezza Rice)
a ricoprire l'altissimo incarico di Segretario di Stato fu il repubblicano George Walker
Bush.
Nessuna meraviglia, quindi, nell'apprendere della candidatura di Mia Love.
I neri che conoscono la storia non possono che essere repubblicani.
199
Sondaggi ballerini
Un’occhiata di tanto in tanto ai mille sondaggi elettorali su base nazionale.
Oggi, nel mentre Rasmussen continua a segnalare una qualche prevalenza di
Romney, Gallup lo colloca avanti di un punto (quarantasei a quarantacinque per
cento) mentre ‘Wall Street Journal/NBC’ lo sistemano indietro di tre
(quarantaquattro contro i quarantasette del presidente).
Considerando il fatto che i predetti sondaggi contemplano un margine d’errore del
tre per cento, i due sono praticamente alla pari.
Condoleezza: “Non corro per la vice presidenza”
Come altri tra i possibili se non probabili candidati a formare il ticket repubblicano
unendosi a Romney, Condoleezza Rice ha ribadito ieri di non essere interessata alla
vice presidenza.
Appoggerà con tutte le sue forze il mormone, ma non lo affiancherà.
Naturale che i molti dei quali si vocifera per l’incarico si defilino formalmente: a chi
piace l’idea di proporsi ed essere dipoi bocciato?
Il vice è uno ed uno soltanto.
200
27 GIUGNO 2012
Utah, le ultime primarie
Novantatre virgola cinque per cento!
Nel ‘suo’ Utah mormone, Romney sbanca e conquista tutti i quaranta delegati in
palio.
Le briciole, a Ron Paul (4,70%), Rick Santorum (1,52%) e Newt Gingrich (0,48%).
Non che l’esito della consultazione fosse minimamente in dubbio, ma la quasi
unanimità non fa certamente male.
201
27 GIUGNO 2012
Documenti
Mitt Romney è il ventottesimo candidato repubblicano a White House
Mitt Romney, ove si consideri nell’elenco due volte (1960, quando fu sconfitto e
1968, allorché vinse) Richard Nixon, è il ventottesimo candidato repubblicano alla
Casa Bianca.
Il Grand Old Party (Gop), fondato nel 1854, propose per la prima volta un proprio
aspirante alla presidenza nelle elezioni del 1856.
Nell’occasione, John Fremont perse da James Buchanan.
Come lui, nei decenni a venire, furono battuti dal rivale democratico loro toccato in
sorte e non ulteriormente ricandidati
James Blaine: 1884, contro Grover Cleveland
Charles Hughes: 1916, contro Woodrow Wilson
Alfred Landon: 1936, contro Franklin Delano Roosevelt
Wendell Wilkie: 1940, contro Franklin Delano Roosevelt
Barry Goldwater: 1964, contro Lyndon Johnson
Bob Dole: 1996, contro Bill Clinton
John McCain: 2008, contro Barack Obama.
Sempre parlando dei Gop battuti e mai arrivati a White House, particolare il caso di
Thomas Dewey, soccombente nel 1944 contro Franklin Delano Roosevelt e nel 1948
contro Harry Truman.
Fra gli aderenti al partito dell’elefante (il simbolo dei democratici è invece un asino)
sconfitti anche Gerald Ford che va considerato del tutto a parte in quanto, subentrato
da vice presidente nell’agosto 1974 dopo le dimissioni di Nixon, fu battuto nel
successivo 1976 nel mentre cercava la conferma presentandosi in effetti
personalmente per la prima volta.
I sedici repubblicani risultati invece vincitori sono nell’ordine
Abraham Lincoln: 1860 e 1864
Ulysses Grant: 1868 e 1872
Rutherford Hayes: 1876
James Garfield: 1880
Benjamin Harrison: 1888
William McKinley: 1896 e 1900
Theodore Roosevelt: 1904
William Taft: 1908
Warren Harding: 1920
Calvin Coolidge: 1924
Herbert Hoover: 1928
Dwight Eisenhower: 1952 e 1956
Richard Nixon: 1968 (come accennato, al secondo tentativo avendo perso nel 1960) e
1972
202
Ronald Reagan: 1980 e 1984
George Herbert Bush: 1988
George Walker Bush: 2000 e 2004.
Tra questi, Benjamin Harrison, William Taft, Herbert Hoover e George Herbert Bush
furono sconfitti allorquando, terminato il primo, cercarono un secondo mandato.
Da sottolineare il fatto che Theodore Roosevelt, ritiratosi volontariamente al termine
del quadriennio 1905/1909, si ripropose nel 1912.
Rifiutato dai repubblicani che gli preferirono l’uscente Taft, a capo di un partito
fondato per la bisogna, perse dal democratico Wilson ma prevalse sul citato Taft
ottenendo comunque il miglior risultato di sempre di un ‘terzo’ candidato.
203
28 GIUGNO 2012
La riforma sanitaria obamiana è costituzionale
A sorpresa e confermando la propria sostanziale indipendenza da ogni questione
politica o, men che meno, partitica, la Corte Suprema degli Stati Uniti, respingendo i
ricorsi proposti da ventisei Stati, ha promosso l'intera riforma sanitaria varata
dall’amministrazione Obama nel 2010, compreso l'obbligo per la maggioranza degli
americani di avere una assicurazione medica.
Si tratta di una grande vittoria per il presidente statunitense..
In base alla riforma la maggioranza degli americani dovrà dotarsi obbligatoriamente
di un'assicurazione sanitaria entro il 2014, pena il pagamento di sanzioni.
La decisione è stata presa in un clima di grande divisione tra i nove giudici.
“Il fatto che la legge di cui si tratta”, ha scritto il capo dei giudici costituzionali, John
Roberts, motivando la sentenza, “preveda che alcuni cittadini possano pagare delle
sanzioni per non aver ottenuto l'assicurazione medica può essere ragionevolmente
considerato come una tassa”.
Dunque, nulla di incostituzionale, perché “la Costituzione”, ha proseguito, “permette
tasse del genere e non è nelle nostre competenze vietarle”.
La riforma sanitaria del presidente Obama è stata promossa dalla Corte Suprema con
cinque voti a favore e quattro contrari.
Contro l'Obamacare si sono schierati i giudici Antonin Scalia, Anthony Kennedy,
Clarence Thomas e Samuel Alito.
Decisivo, il presidente John Roberts, un conservatore che ha scritto la sentenza e ha
votato a favore.
204
28 GIUGNO 2012
Documenti
La Corte Suprema USA, un articolo di MdPR
La Corte Suprema degli USA è l'unico organo giudiziario espressamente previsto
dalla Costituzione americana che, accanto ad esso, elenca “quelle Corti minori che il
Congresso potrà, di tempo in tempo, creare e costituire” (ed, ovviamente, se del caso,
sopprimere, in mancanza di una espressa garanzia costituzionale, concessa, quindi,
solo alla Corte stessa).
Risulta, quindi, del tutto evidente che nella mente dei partecipanti alla Convenzione
dalla quale trasse origine la Costituzione degli Stati Uniti la Corte Suprema doveva
essere il più alto tribunale federale cui era affidato il compito prevalente di una
uniforme applicazione del diritto in tutti gli USA ed una funzione equilibratrice, di
garanzia del corretto andamento del meccanismo federale, ma c'è di più, poiché
un'ulteriore prerogativa spettante alla stessa Corte consiste nella cosiddetta ‘judicial
review’ e cioè nel controllo di costituzionalità delle leggi, siano esse statali o federali
cosicché la Corte Suprema finisce con il cumulare, grosso modo, quelli che sono i
compiti della Corte di Cassazione (inesistente negli Stati Uniti) e di quella
Costituzionale.
E' questa seconda la funzione privilegiata sulla quale si è costituito il notevole potere
dell'organo che è considerato l'autentico interprete della Costituzione scritta il che ha
consentito, attraverso una giurisprudenza evolutiva o addirittura creatrice, ad un testo
approvato oltre due secoli orsono di continuare ad essere all'altezza delle necessità.
Secondo il dettato della Carta, i giudici appartenenti alla Corte Suprema devono
essere nominati (come gli alti funzionari statali) dal presidente, con il consenso del
senato, e, a garanzia della loro indipendenza, la stessa legge istitutiva prevede che il
nominato goda della ‘inamovibilità’ (è, pertanto, in carica a vita) e della ‘intangibilità
del trattamento economico’ (l'indennizzo, secondo per entità solo a quello del capo
dello Stato, non può essere diminuito per nessuna ragione né tassato).
Pertanto, il giudice federale, al riparo da ogni possibile influenza così del parlamento
che del presidente, una volta nominato è libero di esprimere le proprie indipendenti
valutazioni.
Il congresso USA nel 1789 aveva fissato a sei, presidente compreso, il numero dei
giudici della Corte Suprema per ridurli poi a cinque nel 1801.
Nel corso della Guerra di Secessione, i giudici erano diventati dieci salvo scendere ad
otto nel 1866.
Dal 1869, anno dell’ultima variazione, ad oggi sono nove.
P.S. 1 L'importanza della Corte Suprema nella vita politicoistituzionale degli Stati
Uniti non fu storicamente immediatamente colta dai suoi membri e, tantomeno, dai
suoi primi presidenti.
205
E' solo con la nomina di John Marshall, poi in carica dal 1801 al 1835, che ci si rese
conto dell'importanza dell'azione della Corte.
Marshall, nominato dallo sconfitto John Adams la mezzanotte dell'ultimo giorno di
permanenza in carica quale presidente, fu l’esponente del movimento federalista che
più incise sulla politica americana proprio perché per trentacinque anni a capo della
Corte Suprema, alla quale seppe dare consistenza e rilievo al di là dell'immaginabile.
P.S. 2 Spesso e particolarmente negli anni nei quali governava Franklin Delano
Roosevelt, il potere politico ha cercato di prevaricare la Corte Suprema, mai, peraltro,
riuscendovi.
Il predetto F.D.Roosevelt, contrariato da una serie di decisioni avverse, confermato
per un secondo mandato nel 1936, considerata l’età dei sei membri a lui contrari in
carica, propose che da quel momento il presidente USA fosse autorizzato a nominare
un giudice in soprannumero per ogni componente della Corte che avesse superato i
settant’anni senza lasciare volontariamente l’incarico.
L’idea fu ritirata, tanto vibranti furono in proposito le rimostranze popolari.
206
29 GIUGNO 2012
Documenti
Obamacare: il presidente è nei guai, articolo di Gianbattista Rosa per
Cartalibera.it
Il voto decisivo a sorpresa a favore della costituzionalità della riforma sanitaria di
Obama da parte del giudice conservatore John Roberts, ricordato da MdPR, ha
scatenato in Europa una ondata di entusiasmo degna di una semifinale del
campionato di calcio continentale.
Il tifo a favore della riforma sanitaria e della rielezione di Obama è assordante, ma in
questo caso estremamente mal riposto, perché la decisione di Roberts rafforza invece
le chances di vittoria di Romney contro Obama in novembre.
Oggi, nonostante la ciabattante economia e la scarsa fiducia nelle sue ricette per
uscire dalla crisi, Obama è fortemente favorito per la rielezione.
A livello nazionale il suo vantaggio è lieve e calante, ma come noto il sistema
elettorale americano assegna al vincitore in uno Stato tutti i voti elettorali del
medesimo, sì che diventa decisivo il risultato in una dozzina soltanto di territori,
quelli dal risultato incerto, essendo gli altri trentotto e il Distretto di Columbia molto
polarizzati a favore di uno o l’altro dei due partiti (di fatto Obama ha già in tasca
circa duecentoventi voti elettorali, e Romney centottanta).
Se guardiamo ai dodici Stati incerti, oggi Obama è in vantaggio in dieci, Romney in
due soltanto.
Il recupero non è impossibile, soprattutto se l’economia non ripartirà, ma è tutto in
salita.
Obama è in vantaggio perché la personalità di Romney non sfonda: un businessman
di successo troppo ricco e troppo algido per convincere quegli americani che votano
più con il senso di appartenenza che con il cervello (donne, giovani, ispanici, neri)
che è meglio un solido e noioso professionista che un ‘nice guy’ come Obama,
pasticcione ma apparentemente più vicino ai problemi della gente.
Romney può recuperare solo se il dibattito esce dagli stereotipi personali e si
concentra sui problemi concreti, perché sulle soluzioni gli americani sono dalla sua
parte, e soprattutto sulla riforma sanitaria.
Questa riforma, più gli americani la guardano da vicino più la detestano: oggi oltre il
sessanta per cento degli elettori non ne vuole sapere, compresa quindi la maggioranza
degli indipendenti ed una rispettabile fetta degli stessi democratici.
In Europa, la riforma viene presentata in modo manicheo e infantile, come se il
problema fosse dare a tutti una decente assistenza a costi ragionevoli, o lasciare la
sanità americana in mano alle lobby farmaceutiche ed ai ricconi che possono
permettersi costi ospedalieri stratosferici.
Non si ricorda che oggi i poveri e gli anziani sono già coperti da assistenza sanitaria
pubblica (Medicaid e Medicare), che avrebbe meno risorse se passasse la riforma, e
che buona parte dei trenta milioni che l’assistenza non l’ha sono giovani ‘middle
207
class’, che per scelta non acquistano una assicurazione perché non ritengono di
averne bisogno, o immigrati clandestini.
La riforma costringerebbe tutti a comprarsi una assicurazione, forzatura che ripugna
allo spirito americano, aumenterebbe i costi per le imprese, e se penalizzerebbe forse
le lobby farmaceutiche premierebbe invece quelle assicurative.
Quanto poi una assicurazione obbligatoria voglia dire contenimento dei costi, lo
sperimentiamo noi quotidianamente con le assicurazioni auto.
Per Obama, era troppo bello vedere la sua riforma bocciata dalla Corte Suprema
repubblicana: la sua promessa l’aveva mantenuta, i cattivoni gliela avevano sabotata,
e non ne parliamo più, soprattutto sotto elezioni.
Il perfidissimo giudice Roberts, che la sinistra ha insultato sino a ieri ed oggi è
costretta ad osannare, con la sua sagace decisione ha invece in un colpo solo sancito
che:
La Corte Suprema a maggioranza repubblicana è onesta e indipendente, e non è un
covo di bigotti reazionari come per anni lamentato dai democratici.
La riforma è legittima, ma solo perché si tratta alla fine di una ‘tassa’, che il Governo
federale ha i poteri per imporre, e non di una regolazione del commercio, che era la
teoria dei democratici.
In questo modo si chiarisce che non è un fenomeno di regolazione di un mercato
inefficiente, ma di una scelta esplicita di mettere una nuova e rilevantissima imposta
a carico dei cittadini.
Se gli americani non vogliono questa riforma, devono dirlo nella sede appropriata, e
cioè nella elezione del nuovo presidente e del nuovo congresso, e non delegare la
Corte Suprema.
Il dibattito elettorale sarà dunque sempre meno sul cane Seamus, infelicemente
imbarcato sul tetto dell’auto da Romney quando anni fa partì per le vacanze, e sempre
più sulle scelte di politica vera.
Obama sorride a denti stretti, Romney sta affilando i coltelli.
In America quasi nessuno osa insinuare che il giudice Roberts abbia voluto
confezionare una polpetta avvelenata.
Noi liberisti possiamo applaudirlo in ogni caso, che si tratti di astuto machiavellismo
o di candore istituzionale bipartisan, per avere messo Obama di fronte alle proprie
responsabilità, ed aver ridato energie alla corsa di Romney.
208
Hillary fa campagna a favore di Romney (!!??)
Con una mossa a sorpresa, Mitt Romney sta utilizzando Hillary Clinton per attaccare
Barack Obama.
O meglio, sta usando uno spot televisivo in cui, durante la campagna elettorale per le
primarie democratiche del 2008, l’ex first lady accusava di diffondere falsità l’allora
senatore Obama, suo rivale nella corsa alla nomination.
“Questo è Barack Obama. Ha attaccato anche Hillary Clinton con feroci
menzogne”, afferma una voce fuoricampo nel nuovo spot.
Partono quindi le immagini nelle quali si vede la Clinton protestare contro il futuro
presidente: “Continua a spendere milioni di dollari per diffondere falsità.
Vergognati, Barack Obama”.
Al momento lo spot viene diffuso in Ohio, nella regione di Daytona, dove Hillary
vinse contro Obama.
Trentamila piccole donazioni in dodici ore
Prima e inaspettata conseguenza della sentenza della Corte Supema che ha
riconosciuto la costituzionalità della riforma sanitaria obamiana: ben trentamila
piccoli donatori (finora, Romney riceveva bei mucchi di quattrini dai milionari ma
non molti dai cittadini comuni) hanno versato nelle casse del mormone addirittura
tre milioni e mezzo di dollari in sole dodici ore!
Resta in tal modo confermato il fatto che, costituzionale o meno, la maggioranza
degli americani è contraria all’Obamacare e intende appoggiare il candidato che ha
promesso di neutralizzarne gli effetti già dal giorno successivo al proprio
insediamento.
Fine giugno: raccolta fondi, Murdoch per i Gop, Romney va in Israele
Obama rischia di essere il primo presidente in cerca di un secondo mandato battuto
dallo sfidante in quella particolare gara che è la raccolta fondi.
Rupert Murdoch ha finalmente dichiarato di appoggiare il mormone sbottando in un
“Certo che voglio che Romney vinca!”
Pare gli piaccia il ruolo del padre burbero che sgrida il figlio ad ogni pie’ sospinto
ma in fondo lo ama moltissimo.
Il candidato repubblicano, forte della sua antica amicizia con Netanyhau,
intenderebbe fare visita ad Israele verso la fine del mese di luglio.
Romney si schiera da sempre con Israele e avversa l’Iran.
Che tutto questo gli porti il voto ebraico è da dimostrare.
A giugno Romney raccoglie oltre cento milioni in piccole donazioni
Il mese di giugno è stato molto positivo per Mitt Romney.
209
Il mormone ha raccolto oltre cento milioni di dollari, stabilendo un record per il
partito repubblicano.
Obama non ha ancora pubblicato i dati relativi alla raccolta fondi di giugno, ma
molto probabilmente Romney sarà in testa per il secondo mese consecutivo.
Romney ha raccolto sette milioni in un solo giorno durante due eventi in Michigan,
mentre dopo la sentenza della Corte Suprema sulla riforma sanitaria dello scorso 28
giugno cinquantamila persone hanno donato oltre quattro milioni e mezzo di dollari
in ventiquattro ore.
Il record assoluto è stato stabilito da Obama nel settembre 2008, mese in cui
raccolse 150 milioni di dollari.
Lo staff di Romney ha reso noto che la maggior parte dei soldi proviene da nuovi
donatori.
New York è in testa alla lista degli Stati che hanno contribuito alla campagna, ma
risultati superiori alle aspettative sono stati ottenuti in Colorado, Michigan, New
Jersey e Ohio.
A fine luglio, Romney verrà in Europa
Che il candidato Gop avesse intenzione di recarsi in Israele nell’ultima decade di
luglio era noto.
Non altrettanto, che programmasse una spedizione anche in Europa.
Pare certo, invece, che sarà a Londra e probabile che troverà il tempo per visitare
Berlino e Parigi.
Cercherà in questo modo di accreditarsi sul piano internazionale.
Guai per Obama: la disoccupazione non cala
Impegnato in un tour elettorale in Ohio e Pennsylvania, Obama si è trovato in
difficoltà nel dover dare una giustificazione che non coinvolgesse la propria
amministrazione al persistere della difficile situazione occupazionale negli interi
Stati Uniti.
Il dato relativo al trascorso mese di giugno (otto e due per cento), infatti, è
assolutamente identico a quello del precedente maggio.
Nessuno dei provvedimenti presi (del resto, lo stesso accade in Europa) ha avuto
successo.
Resta, quindi, la ‘questione lavoro’ la vera, possibile palla al piede del presidente.
Morgan Freeman: “Obama non è il primo presidente nero!”
Non molte settimane orsono, Obama ha dichiarato il proprio apprezzamento nei
confronti del grande attore di colore Morgan Freeman.
E’ rimasto, pertanto, ieri, di sasso nell’apprendere che in una intervista Freeman ha
detto, che, essendo lui un mulatto, non pensa sia il primo presidente nero.
Non contento, il premio Oscar ha aggiunto:
“Sua madre era bianca e del Kansas, lo Stato che è il cuore della middle class
americana!”
210
La madre di Brad Pitt appoggia Romney
In perfetto disaccordo col figlio Brad, Jane Pitt, in una dichiarazione scritta che sta
facendo il giro dei media USA, confessa di essere contraria ad Obama e di
appoggiare in tutto e per tutto il rivale Mitt Romney.
La ragione?
Di carattere etico/religioso: la signora non accetta minimamente le posizioni
democratiche in materia di aborto e rapporti gay.
“Too close to call”, sondaggio ai primi di luglio del Washington Post
A quattro mesi dalle elezioni presidenziali Usa, Barack Obama e Mitt Romney sono
appaiati al quarantasette per cento dei consensi tra gli elettori registrati.
E' quanto emerge da un sondaggio Washington Post/Abc News, secondo cui, inoltre,
due terzi degli americani ritengono che il Paese sia fuori strada, e la maggioranza
non approva il lavoro svolto dal presidente nell'ultimo anno, in particolare sull'
economia.
La ricerca mostra una polarizzazione radicata tra gli elettori, dei quali il
settantaquattro per cento ha 'certamente' deciso per chi voterà e il dodici per cento
ritiene che difficilmente cambierà idea.
Obama gode del fatto che il cinquantuno per cento dei suoi sostenitori si dice 'molto
entusiasta', contro il trentotto per cento dei sostenitori di Romney.
Inoltre, il settantacinque per cento dice che voterà 'per' Obama, mentre il
cinquantanove per cento dei sostenitori di Romney dicono che voteranno 'contro'
l'attuale inquilino della Casa Bianca.
Il presidente é pesantemente penalizzato dall'economia, un campo in cui la sua
politica é considerata negativamente dal cinquantaquattro per cento degli
interpellati, una percentuale che sale al sessanta per cento tra gli indipendenti.
Messi davanti alla scelta, il quarantacinque per cento degli elettori preferisce la
politica di Obama rispetto al quarantotto per cento che invece giudica migliori le
proposte di Romney.
Pubblicando questi dati, il Washington Post nota che sono del tutto simili a quelli
registrati a maggio, nonostante da allora ci siano stati un paio di deludenti rapporti
sull' occupazione, la storica sentenza della Corte Suprema sulla riforma sanitaria e
una aggressiva campagna elettorale scatenata da entrambi i candidati.
Allo stesso modo la Abc News nota che la scarsa approvazione per la 'performance'
economica di Obama rende Romney un candidato 'competitivo', ma non abbastanza
da avere un margine rassicurante e che questo significa che si profila “una battaglia
epica”.
N.B. L’espressione gergale ‘too close to call’ si usa quando in un sondaggio o in un
exit poll i due candidati in ballo sono talmente vicini da non permettere che ci si
esprima a favore dell’uno o dell’altro.
211
Condoleeza è nuovamente in corsa nel mentre Dick Cheney dichiara di
appoggiare Romney con tutte le sue forze
Si torna a parlare dell’ex segretario di Stato del secondo Bush Condoleezza Rice.
Sarebbe lei la ‘front runner’ tra tutti i possibili candidati alla vice presidenza.
Pare, poi, che Romney possa a breve dare l’annuncio del nome del (o della)
prescento.
Nel frattempo, ecco l’ex vice presidente Dck Cheney scendere prepotentemente in
campo a fianco del mormone.
“Mitt Romney è l'unico”, ha detto, “capace di prendere la giusta decisione durante
una crisi internazionale improvvisa”.
Cheney, la cui esperienza politica è passata attraverso gli ultimi cinque presidenti
repubblicani, ha testualmente dichiarato: “Quando penso al tipo di persona che
voglio nello Studio Ovale in un momento di crisi, quando si devono prendere
decisioni fondamentali, penso a Mitt Romney”.
Un 'endorsement' pesante per il candidato repubblicano, che deve sempre
conquistare l'ala più conservatrice del partito, di cui Cheney, seppur in pensione,
rappresenta ancora una voce rilevante.
Cheney, in Wyoming, ha introdotto Romney ai soci del Teton Pines.
Poi, ha ospitato una cena a Wilson per raccogliere fondi elettorali, cui hanno
partecipato numerosi manager conservatori, che hanno pagato ciascuno trentamila
dollari.
Romney, che ha definito l'ex vicepresidente “un grande leader americano”, ha
raccolto durante la serata più di quattro milioni.
212
30 LUGLIO 2012
Documenti
Obama e Romney tra religione, economia e colpi bassi: i consensi
calano per entrambi, un articolo di Anna Coluccino per Fanpage.it
“Romney è un bugiardo”, “Obama è un africano”, “Romney è maschilista”, “Obama
è debole”: queste alcune delle ultime dichiarazioni di una campagna elettorale quella USA - povera di contenuti e giocata sull'effetto, sulla rincorsa delle lobby
ebraiche, sulla denigrazione.
È il presidente in carica, è nuovamente candidato, è nato negli Stati Uniti, si professa
cristiano ma ben il diciassette per cento degli statunitensi è convinto che sia
mussulmano.
Strano caso quello di Barack Obama la cui non religione pare preoccupare i cittadini
degli USA molto più del credo religioso effettivamente professato da Mitt Romney,
ovvero il mormonismo.
A cento giorni dalle elezioni statunitensi, la questione religiosa pare essere centrale
nel dibattito politico.
E lo è in diversi modi.
Ad esempio, l'aspetto religioso rientra in campo sulla questione israelo-palestinese.
Romney ha più volte accusato Obama di essere stato troppo molle nella gestione dei
rapporti con il Medio Oriente, di non aver sostenuto abbastanza lo stato di Israele, di
averlo troppo criticato in pubblico rafforzando i suoi nemici, di avergli fatto mancare
l'appoggio diplomatico riguardo le operazioni nei Territori Occupati.
E infatti, secondo le ultime dichiarazioni rilasciate dall'attuale presidente degli USA,
Israele dovrebbe tornare ai confini del 1967 – gli unici legittimi anche per Nazioni
Unite.
Ma Romney è di tutt'altro avviso e anzi, a suo giudizio, sarebbe ora di spostare
ufficialmente la capitale di Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, tagliando fuori le
altre due religioni che pure la riconoscono come città santa ma che – secondo il
candidato repubblicano – non avrebbero diritto di cittadinanza.
Lo scopo di Romney è quello di conquistare l'elettorato ebraico
statunitense parzialmente deluso da Obama e desideroso di un appoggio pieno e
incondizionato riguardo le intenzioni del prossimo futuro.
L'elettorato ebraico negli USA è per lo più composto da potenti lobby economiche,
ecco perché – seppur minoritario in termini di voti – costituisce un enorme risorsa dal
punto di vista del sostegno economico; ed è stato già calcolato che la cifra di
finanziamenti alla campagna elettorale raggiunta da Romney è superiore a quella di
Obama.
Tra le donazioni più corpose conquistate dal candidato repubblicano si annoverano
cento milioni di dollari provenienti da Sheldon Adelson, re dei casinò di Las Vegas, il
quale – appena qualche giorno fa – applaudiva entusiasta un intervento di Romney
213
riguardo il bisogno di Israele di armarsi contro l'Iran, arrivando – se necessario – ad
attaccare preventivamente.
Il candidato repubblicano sta tentando con ogni mezzo di compiacere i più
nazionalisti tra gli ebrei, ma l'obiettivo è conquistare anche gli evangelici, da sempre
accesi sostenitori dello stato d'Israele, entrambi potenzialmente indispensabili per
conquistare stati come Florida e Ohio.
Barack Obama, dal canto suo, prova a mostrare la sua amicizia al governo di Israele,
e lo fa rafforzando il piano di cooperazione strategica e inviando il consigliere per la
sicurezza Tom Dillon a Gerusalemme perché presenti al premier Netanyahu i piani
d’attacco del Pentagono contro l’Iran “se la diplomazia fallirà”.
Ma, naturalmente, non è solo la questione israelo-palestinese ad animare il dibattito
elettorale made in USA.
L'economia la fa ancora da padrona e ad Obama tocca affrontare la delusione dei suoi
elettori circa le disattese promesse di ripresa economica, nonché il favore che – da
sempre – gli statunitensi concedono ai cosiddetti self made men.
Alcuni sondaggi, infatti, sembrano dimostrare una netta preferenza per Romney
limitatamente all'aspetto economico.
Essendo stato un uomo d'affari – per quanto al limite se non oltre la legalità, come
sottolinea lo staff di Obama – gli statunitensi tendono a considerarlo più adeguato a
guidare la ripresa economica.
Eppure, al contempo, gli preferiscono l'attuale presidente per quanto riguarda le
questioni etico-sociali e la gestione della politica estera.
In generale, secondo sondaggisti e analisti, l'attuale presidente degli USA ha ancora
un lieve margine sul suo avversario, ma Romney si fa sempre più vicino e
l'argomento economico potrebbe rappresentare un cavallo vincente.
La sua campagna a favore della libera impresa, l'esaltazione del settore privato,
nonché il piano per il ripristino dei posti di lavoro fanno un certo effetto sugli elettori.
Ma Romney è anche pieno di contraddizioni: se, ad esempio, da un lato denigra
l'amministrazione Obama per non aver impedito alla Cina di rubare posti di lavoro
statunitensi offrendo manodopera a basso costo, dall'altro deve la sua fortuna
imprenditoriale proprio alla Cina e ai rapporti di lavoro instaurati con Pechino e
basati sulla delocalizzazione.
Inoltre, il candidato repubblicano spaventa non poco per le sue posizioni riguardo i
temi etici e l'allargamento dei diritti civili.
Insomma, la campagna elettorale procede a colpi di spot e dichiarazioni velenose.
I contenuti sono pochissimi, differenti – per lo più – solo in superficie.
Mai come stavolta la campagna elettorale si gioca all'insegna del puro spettacolo, e si
gioca all'interno dei confini di ciascuno stato.
Oltre duecentoventiquattro milioni di dollari sono stati spesi in spot televisivi (un
record assoluto) e il focus dell'intera campagna di comunicazione è centrata - per il
settanta per cento - su un concetto di dubbia efficacia : “l'altro candidato fa schifo”.
Pochissimo è stato detto riguardo le questioni programmatiche, ovvero: “cosa
intendiamo fare per gli USA”, e gli statunitensi cominciano a stancarsi; tant'è vero
214
che – in generale – la percentuale di interesse per entrambi i candidati risulta in netto
calo.
In generale, gli investimenti pubblicitari più onerosi si concentrano negli Stati in
bilico: Ohio, Pennsylvania, Michigan…
Inutile investire in Texas e California, stati-roccaforte, rispettivamente, dei
repubblicani e dei democratici.
Pare insomma che persino il presidente 2.0 per eccellenza abbia dovuto arrendersi
all'innegabile evidenza: questa campagna elettorale va gestita localmente, Stato per
Stato, comunità per comunità.
Non è più il tempo dei proclami universali.
Oltre ad aver perso credibilità quanto a reale capacità di innovare il sistema
economico-politico statunitense, Obama deve infatti fronteggiare una crisi economica
non risolta e una nascente protesta di massa.
A differenza della prima campagna elettorale, in cui l'attuale presidente godette dei
favori internazionali, in cui il campo di gioco era sovranazionale, in cui in gioco
c'erano la riconquista della credibilità perduta e la promessa di una rivoluzione in
senso sociale nella patria del capitalismo, oggi gli Stati Uniti guardano a se stessi e
alla propria necessità di sopravvivere al collasso dell'unico sistema che conoscono.
Questa campagna elettorale è più che mai casalinga.
I due candidati hanno perciò scelto la via dell'invettiva, della ricerca del marcio;
pesanti accuse vengono lanciate giornalmente e senza esclusione di colpi, senza fair
play, senza attenzione a ciò che sarebbe politicamente corretto: “Romney è un
bugiardo, Obama è un africano, Romney è maschilista, Obama è debole”, questa la
sintesi di alcune delle ultime dichiarazioni.
Eppure, come spesso accade nei sistemi bipolari, in questa campagna elettorale le
differenze tra i due contendenti si evidenziano esclusivamente nell'atteggiamento nei
confronti delle questioni etico-sociali.
Su tutti gli altri temi, il gioco è a rincorrersi sulle idee che fanno presa e a svicolare
sulle questioni spinose come – ad esempio – il possesso di armi.
Dopo i fatti di Denver, ad esempio, nessuno dei due candidati ha voluto prendere una
posizione nettamente pro o contro il facile accesso alle armi da fuoco negli USA e
così su molte altre questioni.
In buona sostanza, i due candidati preferiscono puntare il dito piuttosto che esporsi, il
che non è esattamente quel che si aspetterebbe da degli aspiranti leader.
215
Dopo un luglio di normale combattimento eccoci a cento giorni dal voto
Supposti scandali, gaffe vere e non vere (qualsiasi cosa si dica c’è sempre qualcuno
a cui non piace), attacchi per ogni dove e su qualsiasi argomento…
Obama che cerca di sfruttare, come giusto, il fatto di essere in sella.
Romney che viaggia – Inghilterra per l’inaugurazione delle Olimpiadi, Israele,
Polonia - per trovare appoggi internazionali che convincano gli ebrei americani e i
connazionali di origini polacche a sostenerlo economicamente e a votarlo
Ed eccoci improvvisamente a cento giorni dal voto
Agosto comincia male per Obama, economicamente parlando
Secondo un sondaggio Reuters, per Obama la rielezione si fa sempre più difficile.
Il tempo stringe e le casse del presidente sarebbero (quasi) vuote, almeno a
confronto con i fiumi di dollari che arrivano in tasca all’avversario Mitt Romney.
I grandi sostenitori del presidente sono tiepidi.
Alcuni, come Warren Buffett, non vogliono pagare perché contrari all’ultima
modifica alla legge sui finanziamenti ai partiti.
Altri perché scontenti, altri ancora perché credono che, per i loro interessi, Romney
sia più adatto.
Mille dubbi, che vanno solo a danno della corsa di Obama alla rielezione.
Agosto comincia bene per Obama, stando ai sondaggi
Butta male, invece e di contro, per Mitt Romney se si guarda ai sondaggi Stato per
Stato.
In testa o alla pari a livello nazionale nelle intenzioni di voto, si trova invece
nettamente indietro in particolare in Pennsylvania, Ohio e Florida, i tre Stati chiave.
Mancano oramai meno di cento giorni ed è ora che il mormone sferri un attacco
decisivo se non vuole rischiare di essere, come ad esempio Al Gore, il candidato che
pur prendendo un maggior numero di voti, perde.
216
2 AGOSTO 2012
Documenti
Romney e la colpa di essere americano, articolo di Stefano Magni per
L’Opinione
Silenzi, imbarazzo e speranza che gli americani dimentichino in fretta.
È questa la reazione del mondo conservatore al ritorno di Mitt Romney dal suo primo
viaggio all’estero.
Ma cosa ha sbagliato?
In Polonia, il candidato del Grand Old Party ha ottenuto il plauso di Lech Walesa e la
contestazione (a priori) dei sindacati.
In ogni caso, le organizzazioni dei lavoratori, negli Usa come in Europa, lo
considerano come un nemico per il solo fatto che proviene dal mondo della finanza.
A Londra, il candidato della destra Usa ha rispolverato il suo passato di organizzatore
delle Olimpiadi 2002 e non ha taciuto critiche alla gestione dei giochi del 2012.
Avrebbe dovuto fare l’ipocrita?
Più in generale, dovrebbe nascondere il suo background, grazie al quale inizia ad
essere visto come affidabile sui temi economici?
Sempre in Polonia, ha dichiarato, senza equivoci, di schierarsi dalla parte dei
polacchi, “difensori della libertà”, contro il pericolo di una Russia che ha smarrito la
via della democratizzazione.
Deve chiedere scusa a Vladimir Putin?
Persino Obama, dopo l’illusione del ‘reset’ è dovuto tornare sui passi di Bush.
In Israele, il candidato del Gop ha premiato la cultura dello Stato ebraico, quale
principale fonte del suo sviluppo.
Thomas Friedman, editorialista del New York Times, ha definito quel discorso, come
“L’aspetto peggiore della politica americana nel Medio Oriente”, perché, dal suo
punto di vista, Israele non ha bisogno di amici acritici, ma di un mediatore onesto
equidistante dallo Stato ebraico e da quello palestinese.
Romney deve forse compiacere Friedman?
Nel caso, non gli basterebbe nemmeno imitare Obama (che l’editorialista,
coerentemente, contesta) perché lo stesso presidente democratico ha compiuto una
scelta di campo.
Lo dimostra anche la visita del segretario alla Difesa Leon Panetta: i due Paesi sono
“amici, oltre che alleati”, ha detto ieri il ministro democratico, visitando le batterie di
difesa anti–missile israeliane e discutendo eventuali azioni (anche militari) contro
l’Iran.
È inutile, poi, cercare di far buon viso a cattivi media: quelle testate e quelle
televisioni che si sono schierate dalla parte di Obama non cambiano idea.
Se non hanno gaffe da raccontare, le creano.
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L’episodio di Varsavia lo dimostra: i reporter di Washington Post, New York Times e
Cnn hanno urlato domande a un Romney raccolto in preghiera davanti alla tomba del
Milite Ignoto, finché il suo ufficio stampa non è sbottato.
I giornalisti hanno creato le condizioni per una nuova gaffe da raccontare.
Tutte queste ‘figuracce’ sono errori?
O non è piuttosto la stessa identità repubblicana ad essere considerata un ‘errore’, da
un punto di vista di media e accademici schierati a sinistra?
È chiaro che i repubblicani, per loro costituzione, non sono ecumenici.
Portano la spada: dividono chi sta con l’America (e con la sua cultura) dai nemici.
Risultano antipatici, perché riconoscono l’esistenza di nemici.
Ma in questo risiede anche la loro forza, soprattutto in un elettorato americano che
elegge un presidente degli Stai Uniti.
E non dell’umanità intera.
McCain e gli uomini della sua campagna (in prima fila, in questi giorni, nella critica
del viaggio di Romney), nel 2008, cercarono di essere ecumenici.
E i risultati si sono visti.
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3 AGOSTO 2012
Giovani con Obama, anziani con Romney
Il solito sondaggio?
Forse no.
Qualcosa su cui riflettere.
Allora: tra gli over sessantacinque USA il cinquantuno per cento è a favore di Mitt
Romney contro il quarantatre che si schiera con Obama.
Tra coloro che hanno dai diciotto ai ventinove anni il sessantuno per cento si dichiara
obamiano contro un misero trentatre di seguaci del mormone.
Per i primi, determinante è l’economia.
Per i secondi, le istanze sociali.
Una prima considerazione: tra i vecchi gli wasp (white, anglosaxon, protestant) sono
largamente in maggioranza mentre tra i giovani moltissimi appartengono alle etnie
emergenti, ispanici in primo luogo.
Questo vuol dire che in futuro se i repubblicani vorranno avere ancora chance
concrete in vista di White House dovranno seguire le indicazioni di Jeb Bush che da
tempo perora decise aperture del partito alle istanze delle nuove generazioni.
E, fra parentesi, dovesse fallire Romney quest’anno, nessuno toglierà all’ex
governatore della Florida, sposato con una ispanica e perfetto conoscitore della lingua
di Cervantes, la nomination Gop nel 2016.
Poi, sulla base di questi dati forse i repubblicani dovrebbero davvero pensare alla
necessità di affiancare a Romney un candidato alla vice presidenza che rappresenti le
realtà in ascesa e viene quindi alla mente il nome del senatore della Florida – fra
l’altro, uno ‘swing State’, come si definiscono gli Stati nei sondaggi non ancora
decisamente schierati da una parte o dall’altra - Marco Rubio, di ascendenze cubane.
Si mette male, pertanto, per il mormone?
Solo se i giovani andassero sul serio a votare (gli anziani pro Gop lo faranno di certo)
il prossimo 6 novembre e questo in America non capita spesso.
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Clint Eastwood è con Romney
Il grande attore e regista americano Clint Eastwood ha dato il proprio appoggio al
candidato repubblicano alla casa Bianca Mitt Romney.
Partecipando venerdi' sera a un evento per la raccolta fondi a Ketchum in Idaho, ha
dichiarato: “'Il Paese ha bisogno di una spinta”,, spiegando di aver scelto Romney
per il suo programma sulle tasse: '”Riportera' un sistema fiscale decente... ci sarà
maggiore equità e le persone non saranno messe una contro l'altra”.
A favore del mormone si erano già espressi tra gli attori di Hollywood Robert
Duvall, Angelina Jolie, Chuk Norris e John Voight.
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5 AGOSTO 2012
Documenti
Quando John Wayne appoggiava Barry Goldwater, un articolo di
MdPR
1997, prodotta per la televisione esce una pellicola straordinaria.
Sceneggiata da Martyn Burke e diretta da Joe Dante, si intitola ‘La seconda guerra
civile americana’.
In una scena, gli inviati di un potente network tv, in attesa degli eventi, guardano un
film di guerra.
Sullo schermo, John Wayne fa strage di nemici e uno dei due ne esalta il valore.
“Ti ricordo”, replica l’altro, “che Wayne era un attore”.
“Se ai tempi del Vietnam John fosse stato alla Casa Bianca quel conflitto sarebbe
durato una settimana!”, chiude, sicuro, il primo.
Ecco, il protagonista di mille western (e non solamente), il Ringo di ‘Ombre rosse’,
l’Ethan Edwards di ‘Sentieri selvaggi’ non era percepito da larga parte degli
americani ‘solo’ come un divo di Hollywood.
Era, rappresentava molto di più: il coraggio, il senso del dovere, l’onore, la fermezza,
in qualche modo il Paese.
Ebbene, questo vero monumento vivente nel 1964 partecipa in prima linea, in prima
persona, senza risparmio, alla campagna per White House che vede il senatore
repubblicano Barry Goldwater impegnato contro il presidente uscente, il democratico
Lyndon Johnson.
Quali i risultati?
Una netta sconfitta.
Gli elettori non si lasciano convincere.
Johnson ha fatto bene in politica interna e il Vietnam, laddove gli USA combattono,
non lo ha ancora demolito come avverrà di lì a non molto.
Goldwater perde addirittura per quattrocentoottantasei delegati nazionali a
sessantadue su un totale di cinquecentotrentotto.
Perché ricordare questi lontani accadimenti ora?
Semplicemente perché ancora oggi la stampa e le tv danno grande rilievo alle
dichiarazioni di appoggio dell’uno o dell’altro personaggio, non soltanto del cinema,
che si schieri in campagna elettorale di qua o di là.
Se ai suoi tempi non è riuscito John Wayne, l’americano per eccellenza, a cambiare le
carte in tavola perché dovrebbe riuscirci adesso, che so?, la obamiana Sarah Jessica
Parker?
Per quanto grande regista e attore possa essere, non cambierà nulla, se non per
qualche infinitesimale virgola zero qualcosa, neanche il recentissimo ‘endorsement’ a
favore di Mitt Romney pronunciato da Clint Eastwood.
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Come diceva il vecchio e saggio, oltre che bravissimo, Indro Montanelli, alla fine
conta il parere del lattaio dell’Ohio e, aggiungo io, se questo signore fosse
repubblicano neppure un intervento divino gli farebbe cambiare schieramento.
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Romney vince la raccolta fondi anche in luglio
Mitt Romney e il partito repubblicano hanno raccolto più di cento milioni di dollari
anche nel mese di luglio: dopo lo straordinario risultato di giugno (centosei virgola
uno milioni), la campagna per finanziare la sua elezione – fa sapere Usa Today prosegue positivamente, con centouno virgola tre milioni di dollari ottenuti nel mese
appena trascorso.
Lo staff del candidato ha poi comunicato che Romney ha a disposizione
centoottantacinque milioni e mezzo di dollari in contanti.
“Ancora una volta, vediamo che per molte persone questa è più di una campagna, è
una causa” hanno dichiarato in un comunicato il responsabile finanziario del
mormone Spencer Zwick e il capo del Comitato repubblicano nazionale Reince
Priebus che contribuisce al fundraising dell’ex governatore del Massachusetts.
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, non ha ancora diffuso i dati della
propria raccolta fondi di luglio.
Romney e il partito repubblicano hanno ottenuto più degli avversari democratici a
maggio e giugno.
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6 AGOSTO 2012
Documenti
Romney? Conosciamolo meglio, articolo pubblicato dal Washington
Post e da Panorama.it
Durante un comizio in Ohio, Mitt Romney ha dichiarato di essere il candidato
presidenziale più in armonia con lo spirito nazionale, e ha accusato il presidente
Barack Obama di avere “perso di vista il carattere dell’America” e di promuovere una
filosofia “così avulsa da noi da risultare incomprensibile”.
In realtà Romney stesso, per quanto ami sottolineare il ‘dono speciale’ della propria
nazionalità, è tutt’altro che estraneo al resto del mondo: i due anni e mezzo trascorsi
in missione in Francia ne hanno forgiato il credo mormone; l’internazionalismo che si
respira a Harvard ne ha fortemente plasmato l’istruzione; i viaggi all’estero in veste
di giovane consulente, gli investimenti in Centro America e in Italia hanno dato forte
slancio alla sua capacità di capire il mondo.
Infine, la presidenza del comitato organizzatore delle burrascose Olimpiadi invernali
del 2002 a Salt Lake City gli ha fornito contatti e notorietà.
La partecipazione di Romney alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra e
poi il tour in Israele e in Polonia gli hanno offerto la possibilità di porre in evidenza il
grande impegno profuso nel diffondere una visione incentrata sull’America.
Ma il viaggio è stata anche un’occasione utile per ricordare che il percorso seguito da
Romney è orientato proprio dalle esperienze vissute nel resto del mondo.
Prima che Romney si avventurasse nel mondo, fu il mondo a bussare alla sua porta.
Nel 1958 la famiglia Romney accolse nella sua abitazione di Bloomsfield Hills (a
trenta chilometri da Detroit) Attilio Cortella, uno studente italiano che aveva vinto
una borsa di studio messa in palio dall’American field service per un periodo di
formazione negli Stati Uniti.
Cortella non aveva idea di chi fossero i Romney e rimase colpito nel ricevere, quando
ancora era in Italia, una lettera in cui la madre di Mitt, Lenore, diceva che le uniche
due famiglie italiane che conosceva erano gli Agnelli e i Pininfarina.
Ben presto il giovane Mitt iniziò a salutare Cortella con ciao e arrivederci e a cantare
in suo onore il ritornello ‘Volare’ dell’allora famosa ‘Nel blu dipinto di blu’.
Durante un viaggio, Cortella espresse stupore per gli alti consumi delle relativamente
piccole Rambler americane, rispetto a quelli di una Fiat 600.
Cortella ricorda di avere commentato: “A noi un pieno dei vostri basta per un mese!”.
E rammenta che Mitt trovava esilarante quella piccola auto italiana.
Dopo essersi iscritto a Stanford nel 1966, Romney ottenne una serie di rinvii del
servizio di leva, anche per il suo ruolo di ministro del culto o studente in teologia, che
lo tennero lontano dal Vietnam.
La sua missione lo portò invece in Francia.
Qui Romney, nel poco tempo libero, visitò molti luoghi: si recò con gli amici a
Biarritz per scattare foto alla Rocher de la Vierge, una formazione rocciosa con le
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sembianze della Vergine Maria, per poi scrivere ‘Mitt ama Ann’ nella sabbia umida;
tra le rovine romane fuori Le Havre si fece fotografare in posa autoritaria accanto alla
statua di Giulio Cesare; mentre a Parigi, in occasione di alcune visite al Louvre,
insieme ad altri missionari si concentrò sui ritratti di Cristo degli antichi maestri,
evitando gli impressionisti per la mancanza di iconografia religiosa e per la loro
preferenza per i nudi.
Romney arrivò in Francia nel luglio 1966 e apprese la lingua in Normandia,
frequentando un corso che poneva l’accento, oltre che sulla lingua francese, sulla
conversazione mirata al proselitismo e sulla recitazione dei tredici articoli di fede di
Joseph Smith.
Così, mentre si rafforzavano i legami con i colleghi missionari, si rafforzava anche la
sua fede.
Al termine della missione Romney era diventato un leader.
Quando gli scioperi di Parigi della primavera del 1968 fecero saltare le linee
telefoniche, la missione francese della Chiesa mormone si preparò per l’evacuazione.
Il presidente della missione chiese a Romney, appena ventunenne e da poco
promosso suo assistente, di raggiungere in auto il confine meridionale francese per
rassicurare le famiglie dei missionari.
Romney entrò in Spagna, trovò una linea telefonica funzionante e si rivolse ai
genitori grati dicendo: “Sono l’anziano Romney, ho pensato di chiamare per
tranquillizzarvi e per dirvi che tutti i missionari stanno bene”.
L’esperienza all’estero approfondì il rispetto di Romney per la stabilità che il suo
Paese, la famiglia e la fede gli fornivano: una visione del mondo che consolidò alla
Brigham Young University, dove i cartelli all’ingresso annunciano: ‘Il mondo è la
nostra università’.
Romney trasferì quella stessa prospettiva alla Harvard Business School.
Un giorno, al campus, Romney parlò dei suoi anni da missionario al compagno di
classe Patrice Caillat, figlio di un diplomatico svizzero al quale Romney spiegò come
la missione gli avesse permesso di sperimentare il mondo attraverso la lente di mezzi
modesti.
L’esposizione di Romney a un ambiente internazionale proseguì dopo la laurea a
Harvard nel 1975, quando conobbe Benjamin Netanyahu presso il Boston Consulting
Group e iniziò a recarsi spesso in Europa per lavoro.
I suoi viaggi d’affari internazionali non si interruppero nemmeno quando passò alla
Bain & Co., sebbene la curiosità lo facesse uscire raramente dall’ufficio.
Romney mostrava il suo interesse per il mondo in altri modi.
Nel 1984, quando assunse la direzione della Bain Capital (nata dalla Bain & Co.), sei
virgola cinque milioni di dollari dei trentasette milioni del primo fondo dell’azienda
provenivano da investitori dell’America Centrale.
E Peter Tornquist, a quel tempo partner anziano della Bain in Europa, aiutò Romney
a individuare il primo investimento del fondo al di fuori dagli Stati Uniti: un grossista
di libri tedesco.
Romney partecipava ad assemblee itineranti con un comitato costituito da magnati
dell’industria europea, fra cui l’ex leader della Royal Dutch Shell Andre Renard,
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Umberto Agnelli della Fiat e Herbert Gruenewald, professore e presidente del gruppo
Bayer.
In loro presenza Romney chiedeva come la Bain dovesse cambiare il proprio modo di
operare per potere assorbire culture e filosofie di lavoro dei paesi in cui era presente.
Quando la Bain & Co. finì in gravi difficoltà finanziarie, i partner globali chiesero a
Romney di tornare per salvare la società originaria.
Romney ebbe successo e definì la sua ascesa “un’eccitante opportunità per
l’organizzazione mondiale” in un rendiconto aziendale datato 30 ottobre 1990, che
menzionava le sedi straniere della Bain a Toronto, Bruxelles, Ginevra, Londra,
Milano, Mosca, Monaco, Parigi, Sydney e Tokyo.
Inoltre, il comunicato annunciava l’immediata riduzione del quindici per cento del
personale a livello internazionale.
Appianati i problemi della Bain & Co., Romney tornò alla Bain Capital nel 1992,
entrando in una fase particolarmente redditizia.
Per il raduno mondiale della società nel 1993 scese nel lussuoso hotel Pitrizza sulla
Costa Smeralda in Sardegna, ballando con la moglie Ann e giocando a pallavolo con i
colleghi di lavoro.
“A volte ho avuto a che fare con persone, in particolare provenienti dal Midwest,
veramente convinte che il mondo finisca sulla costa atlantica” racconta Gianfilippo
Cuneo, responsabile della Bain a Milano. “Romney non ha mai imposto determinati
modi di procedere solo perché è così che si fa negli Stati Uniti”.
Una decina di anni dopo, Cuneo e la famiglia erano in vacanza con i Romney nel loro
chalet a Park City, nello Utah, quando il comitato organizzatore delle Olimpiadi di
Salt Lake City nominò Mitt alla presidenza.
Fu Cuneo a rispondere al telefono quella mattina.
“C’è qui un tizio che vuole parlare con te. Sostiene di essere Ted Kennedy”, esordì
Cuneo, passando la cornetta a Romney.
Kennedy, che aveva battuto Romney nella corsa per il senato americano nel 1994, si
congratulò con il suo vecchio rivale per la nomina.
Romney riagganciò e spiegò a Cuneo con un ghigno che Kennedy gli aveva detto:
“Trattieniti pure per tutto il tempo che ritieni necessario; non tornare a Boston”.
Da tempo Romney aspirava a una carica negli Stati Uniti: questo evento
internazionale era l’occasione giusta.
In veste di manager chiamato a risollevare le sorti dell’organizzazione delle
Olimpiadi del 2002, Romney scelse i collaboratori dagli ambienti che conosceva
meglio, assumendo Fraser Bullock, un collega mormone ed ex partner Bain, come
suo direttore operativo.
A Mosca Romney visitò la Piazza rossa e, secondo il suo staff, strinse la mano a
Vladimir Putin (l’ufficio di Putin sostiene però di non avere traccia di tale incontro),
mentre durante le riunioni con il presidente del Comitato olimpico internazionale,
Jacques Rogge, amava lasciarsi andare a battute in francese.
Bullock, che ha viaggiato spesso con Romney, ritiene che l’amico e collega fosse
profondamente toccato dalle culture straniere.
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Tanto che, in occasione di una cerimonia di accensione della torcia presso l’antica
sede dei giochi a Olimpia, Bullock ricorda che a Romney si inumidirono gli occhi
nell’ammirare il volo delle colombe bianche.
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7 AGOSTO 2012
Cerchiamo di capire chi sarà il vice di Romney
Si dice, si dice (e riportandolo si rischia di essere dipoi smentiti) che il candidato alla
vice presidenza, in questo caso repubblicano, vada ogni volta ricercato tra quanti in
sede di convention non vengano chiamati a pronunciare interventi ufficiali.
Nel caso, quindi e per fare un esempio, Condoleezza Rice dovrebbe essere
considerata fuori gioco perché nel programma del congresso di Tampa è invece
prevista la sua partecipazione.
Ugualmente, tra gli altri papabili, per quanto concerne Jeb Bush, gli avversari di
Romney nelle primarie Ron Paul e Rick Santorum, la governatrice Susana Martinez,
tutti in pista.
Chi allora manca?
Quali i vip del Gop di cui per il momento non è stata comunicata la presenza sul
palco?
La risposta è il senatore ispanico Marco Rubio, il deputato Paul Ryan, il senatore Rob
Portman, il governatore Chris Christie, l’altro governatore Bobby Jindal, la senatrice
Kelly Ayotte e l’ex governatore Tim Pawlenty.
Dobbiamo guardare a loro o è possibile una qualche grossa sorpresa?
Ebbene, da qualche ora gira il nome del generale David Petraeus, già a capo delle
truppe USA in Irak e in Afghanistan e attuale direttore della CIA.
Vedremo entro una decina di giorni se davvero Romney intende tirare fuori questo
grosso coniglio dal cilindro.
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Come la vedono gli allibratori
Per i bookmaker il favorito per White House è tuttora Obama ma da qualche giorno
vanno migliorando le quotazioni del mormone.
Questa la situazione agli inizi di agosto.
L’operatore più pessimista è il britannico Ladbrokes che banca Romney ad appena
due volte la posta, mentre tutti gli altri stanno poco sopra la pari: uno virgola due su
YouWin, uno virgola tre su SkyBet, BoyleSports e BetFred, uno virgola sessantasette
su Wbx, uno virgola sette su Paddy Power e William Hill.
Si torna a dubitare della nascita negli USA di Obama
Il magnate americano Donald Trump, repubblicano e acceso sostenitore di Mitt
Romney, scalda la campagna elettorale americana rispolverando la vecchia
questione del luogo di nascita del presidente (uno dei tre requisiti richiesti dalla
Costituzione ai candidati alla Casa Bianca è la cittadinanza dalla nascita che
Obama non avrebbe ove fosse nato in Kenia).
Trump, attraverso il suo account twitter, ha infatti dichiarato che una fonte
assolutamente confidenziale e attendibile gli avrebbe garantito che il certificato di
nascita del capo dello Stato in carica sarebbe falso.
Circostanza avvalorata anche dal fatto che Barack Obama, secondo quanto la fonte
confidenziale avrebbe rivelato a Trump, sarebbe stato iscritto come studente
straniero e non come cittadino americano all'Occidental College di Los Angeles, nel
1979.
Il futuro presidente degli Stati Uniti avrebbe frequentato l'Occidental prima di
arrivare alla Columbia University di New York nel 1981.
Trump rispolvera una polemica nata durante la campagna elettorale del 2008.
Polemica alla quale l’allora candidato aveva risposto esibendo il documento
ufficiale (della cui autenticità molti hanno subito dubitato) che certificava la nascita
alle Hawaii il 4 agosto del 1961, all'ospedale di Kapiolani, e non nel Paese del
padre.
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9 AGOSTO 2012
Documenti
In attesa di Tampa e Charlotte, storia e storie delle Convention USA,
un articolo di MdPR
E’ in vista delle elezioni presidenziali del 1832 che il partito antimassonico, nato da
poco e all’epoca intenzionato come suggerisce il nome a combattere il vero o
presunto strapotere della massoneria (il presidente in carica, Andrew Jackson era un
‘fratello’ così come il principale esponente dell’opposizione, Henry Clay, e le logge
potevano contare su molti altri vip), decide di designare il proprio candidato a White
House convocando una Convention che si svolge nel settembre del 1831 a Baltimora.
Dal congresso, emerge la figura di William Wirt che riuscirà persino a conquistare
uno Stato nel novembre elettorale dell’anno successivo.
Subito, i repubblicani nazionali di Jackson e i whig – i due partiti allora dominanti –
fanno altrettanto e da quel momento l’atto conclusivo della campagna interna (che
dal 1912 in casa repubblicana e poco dopo tra i democratici si svolgerà e si svolge
attraverso primarie e caucus per la selezione dei delegati) ai vari movimenti politici
tesa alla scelta del candidato è appunto la Convention.
Mille gli episodi da raccontare, mille e mille i compromessi, i trucchi e gli inganni
nel tempo, in specie quando il quorum richiesto per essere nominati era fissato ai due
terzi degli aventi diritto al voto.
(Chi voglia avere un’idea della lotta interna alle Convention nelle occasioni in cui
nessuno dei candidati si fosse presentato o si presenti avendo già con sé la
maggioranza richiesta dei delegati veda l’ottima pellicola ‘L’amaro sapore del
potere’, sceneggiata da Gore Vidal, diretta da Franklin Scaffner e interpretata da
Henry Fonda e Cliff Robertson).
Per fare un significativo esempio, i democratici, nel 1924, in quel di New York,
riuniti al Madison Square Garden, dopo ben centodue infruttuose votazione che
vedevano contrapposti Alfred Smith e William Gibbs McAdoo, scesero per
sfinimento ad un compromesso optando per il classico ‘terzo uomo’, John Davis,
dipoi travolto da Calvin Coolidge.
Ancora i democratici, nel 1932, vissero a Chicago una Convention molto contrastata.
Prevalse alla fine Franklin Delano Roosevelt ma non senza aver dovuto lottare contro
il predetto Alfred Smith e con John ‘Cactus Jack’ Garner che, assolutamente opposto
nel corso di tutta la campagna svoltasi nel Paese, all’improvviso e contro ogni
aspettativa, fu convinto ad allinearsi con la promessa della vice presidenza.
Con l’andar del tempo e con l’affinarsi del sistema delle primarie e dei caucus,
sempre più raramente tra i democratici come tra i repubblicani si è arrivati alla
Convention senza che uno dei candidati in lizza avesse già raggiunto la maggioranza
dei delegati necessaria per ottenere la consacrazione.
Ecco, quindi, che il tanto atteso e partecipato congresso, per quel che riguarda
l’indicazione del pretendente a White House, si risolve, dal 1980 (nel precedente
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1976 si confrontarono Gerald Ford e Ronald Reagan e la scelta cadde sul primo) nel
partito dell’elefante e dal 1972 in quello dell’asino (nel 1968, era stato scelto Hubert
Humphrey che non aveva neppure preso parte alle primarie), invero nella sola
ufficializzazione di una decisione in effetti già presa.
Di più, ultimamente e come non accadeva in precedenza, i due schieramenti in corsa
hanno preso l’abitudine di comunicare prima del via dei lavori il nominativo del
compagno di cordata scelto dal candidato, ossia del designato alla vice presidenza.
In una cornice del tutto ‘americana’, tra canti, majorette, discorsi dei maggiorenti tesi
ad illustrare il programma del partito, dichiarazioni di voto dei singoli Stati per bocca
dei loro speaker, la kermesse politica parte e si svolge (spettacolo oramai e
necessariamente studiato per catturare principalmente l’attenzione delle tv) per
concludersi con l’immancabile proclamazione di ‘the best man’, l’uomo migliore,
come in ogni caso viene definito colui che si spera possa conquistare nel successivo
novembre lo scranno presidenziale.
E’ dopo le Convention, una volta concluso il lungo e massacrante confronto interno
ai partiti per arrivare al dunque, che davvero prende il via la sfida per la Casa Bianca.
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I conservatori vogliono Paul Ryan
Wall Street Journal in testa, buona parte dell’ala destra del partito repubblicano
preme perchè Romney si decida a scegliere come suo ‘running mate’ il deputato del
Wisconsin Paul Ryan.
A sostegno di tale candidatura, molti sondaggi.
Tra questi, quello condotto da Ari Fleischer, già addetto stampa della Casa Bianca
durante la prima presidenza di George W. Bush, tra i suoi oltre cinquantaseimila
follower su Twitter.
Eccone l'esito, in ordine crescente dal meno al più apprezzato:
Rob Portman ventisette (27),
Tim Pawlenty ventinove (29)
Chris Christie centosei (106)
Condoleezza Rice centootto (108)
Bobby Jindal centodiciotto (118)
Marco Rubio trecentodue (302)
Paul Ryan trecentoventiquattro (324).
La delusione di Spike Lee
Per Spike Lee, il regista che ha fatto della cultura afroamericana Usa la propria
cifra distintiva, Barack Obama “non è perfetto”.
Lee spiega la delusione di molti entusiasti sostenitori del presidente nel 2008: le
attese per il suo mandato “erano troppo alte. Pensavamo che fosse un salvatore, un
Gesù nero”, afferma il deluso cineasta in un'intervista alla Cnn.
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11 AGOSTO 2012
Il running mate è Paul Ryan, secondo le previsioni
“E' un onore presentarvi Paul Ryan, il futuro vice presidente degli Stati Uniti”.
Con queste parole Mitt Romney ha annunciato da Norfolk, in Virginia, chi sarà il suo
vice se verrà eletto alle prossime elezioni.
Ryan, giovane parlamentare ultraconservatore è originario del Wisconsin e a
quarantadue anni ha già una lunga carriera nel Congresso, dove è stato eletto nel
1998.
Noto per le sue posizioni ultraconservatrici, è il presidente della commissione
bilancio della Camera.
Negli ultimi due anni è stato il promotore della contro-finanziaria repubblicana, in
risposta al budget presentato dal presidente Barack Obama.
E' stato fondamentale per la conquista della maggioranza in Congresso dei
repubblicani nel 2010 e ha convinto il suo partito ad appoggiare la ‘Roadmap for
America's Future’, promuovendosi come uno dei nuovi leader repubblicani che si
definiscono ‘Young Guns’.
Secondo gli osservatori politici, la scelta di Ryan dovrebbe rilanciare l'entusiasmo
della base repubblicana, visti i risultati non molto incoraggianti degli ultimi sondaggi,
secondo cui Romney è in svantaggio nei confronti di Obama.
Ryan è gradito all'ala più conservatrice dei repubblicani e al movimento del Tea
Party, che finora ha mostrato freddezza nei confronti di Romney.
Niente da fare, dunque, per gli altri papabili i cui nomi sono circolati negli ultimi
mesi: l'astro nascente ispanico Marco Rubio, l'ex collaboratore di Bush Rob Portman
e l'ex governatore del Minnesota Tim Pawlenty.
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15 AGOSTO 2012
Paul Ryan: le ragioni di una scelta
Peste e corna…
Si vuole rappresentare Paul Ryan, il candidato alla vice presidenza scelto da Mitt
Romney, nel modo peggiore possibile?
Presto fatto: si intervista un politologo o un analista politico USA di fede democratica
senza dar conto ai lettori della sua appartenenza e riportandone critiche e contrarietà,
si afferma genericamente, anche facendo riferimento a sondaggi di parte spacciati
come indipendenti e pertanto veritieri, che la decisione del mormone è mal vista dagli
americani e il gioco è fatto.
E’ in questo modo che la maggioranza dei quotidiani e in genere dei media italiani
(ma, non solo) favorevoli senza mai dichiararlo esplicitamente ad Obama procedono
ed è in questo modo che contro i candidati e le idee repubblicane hanno sempre
operato.
Non per nulla la gran parte dei giornalisti italiani provengono dalla sinistra ed hanno
iniziato la propria carriera scrivendo per giornali delle diverse anime comuniste
nostrane.
(Pensano, forse, di influenzare con questi atteggiamenti il voto degli americani. Si
spesero per tutto il 2004 a man salva per John Kerry presentandolo fino in fondo
come certo vincitore. Si è visto come è andata a finire).
E quindi, lasciamo da parte le sciocchezze lette o ascoltate e andiamo al vero.
Ebbene, fin dall’inizio della sua campagna Romney è stato percepito dai Gop come
un buon candidato al quale mancava comunque un qualcosa tanto da essere
contrastato da Santorum e Gingrich proprio sulla destra.
Era, è, un repubblicano doc e va bene ma è troppo moderato e nel suo passato – in
particolare allorquando ha governato il Massachusetts – annovera qualche decisione o
presa di posizione che un aderente all’ala conservatrice non riesce a digerire se non a
fatica.
E visto che la prima, assoluta necessità è quella di unificare il 6 novembre il partito
per non ripetere l’amara esperienza di McCain che gli evangelici non vollero
votare…
Ed eccoci pertanto a Ryan, non certamente - per le sue caratteristiche e per il fatto di
risultare oramai da molti giorni nei sondaggi il running mate maggiormente gradito
dagli elettori - un ripiego quale fu in qualche modo nel 2008 Sarah Palin.
E’ un giovane di quarantadue anni con una lunga esperienza congressuale essendo
risultato eletto alla camera già nel 1998.
Ha una ben precisa collocazione in campo economico nel pieno rispetto delle idee del
Gop: nessuna o minima ingerenza da parte del governo federale, radicale
diminuzione delle aliquote fiscali, totale revisione della cosiddetta ‘Obamacare’.
E’ addirittura il proponente di un piano economico nazionale assolutamente opposto a
quello del presidente.
234
Ancora ed è fondamentale, da cattolico osservante, è del tutto avverso all’aborto e si
oppone alla estensione dei diritti dei gay e dunque, anche per questo, è il beniamino
sia degli evangelici che del Tea Party.
Infine, da non sottovalutare, è del Wisconsin, uno degli ‘swing States’ che
probabilmente riuscirà a portare in campo repubblicano.
Poi, e siamo alla follia, come è stato notato, ha l’attaccatura dei capelli sulla fronte
uguale a quella di Ronald Reagan e quindi…
235
16 AGOSTO 2012
Documenti
Ryan, l’asso delle lobby conservatrici, articolo di Giovanna
Faggionato per Lettera 43
Se qualcuno ha dubbi su quale sia la forza d'urto dell'aitante quarantaduenne Paul
Ryan scelto come vicepresidente per il ticket repubblicano dal candidato alla Casa
Bianca la risposta è una: l'impero Koch.
Stando agli ultimi dati disponibili le Koch Industries sono la seconda industria privata
e non quotata degli Stati Uniti d'America per ricavi (circa novantotto miliardi di
dollari).
Un colosso tutto petrolio e chimica, plastica e concimi.
Al vertice della multinazionale ci sono i due fratelli Charles de Ganahl e David
Hamilton Koch, entrambi detentori del quarantadue per cento della società, il primo
con il ruolo di presidente e amministratore, il secondo di vicepresidente.
Capitani d'industria della generazione Anni Quaranta, americani della seconda età
dell'oro, allevati al caldo della giustizia sociale di Franklin Delano Roosvelt, ma
cresciuti con il pallino degli Stati Uniti delle origini, poco Stato e molto diritto
naturale.
Da sempre sostenitori del partito libertario, i Koch hanno dato vita a una delle
creature politico finanziarie più importanti del panorama americano: la lobby
ultraliberista American for prosperity.
Per i suoi membri Ryan ha tenuto persino una conference call privata, diventando
ufficialmente l'ariete di sfondamento per portare nei palazzi di Washington le idee
della coppia di miliardari: una fiera opposizione alla teoria del riscaldamento globale,
la trasformazione del Tea party in un partito in pianta stabile e, soprattutto, la
formattazione dello Stato sociale e del sistema di tassazione.
I fratelli Koch hanno cominciato con la raffineria di famiglia e sono finiti a produrre
fertilizzanti e sistemi di controllo dell'inquinamento, hanno esplorato la frontiera dei
servizi e si sono lanciati nel commercio delle derrate alimentari.
Le Koch Industries vendono carta, tappeti e tessuti in fibra di lycra, controllano
campi e oleodotti.
Il quartiere generale della società - settantamila dipendenti, di cui cinquantamila in
patria - sta nel cuore agricolo degli States: il Kansas tradizionalista e desolato di
Dorothy e del cagnolino Toto, immortalato e reso celebre dal romanzo Il Mago di Oz.
I due fratelli sono però tra i più ricchi residenti di New York.
Nel 2011 Charles era diciottesimo nella classifica dei miliardari stilata dalla rivista
Forbes, con un patrimonio personale valutato attorno ai venticinque miliardi di
dollari.
Dal centro della Grande Mela, il presidente della big della chimica ha stretto legami e
creato reti attorno ai suoi interessi principali: la politica e l'azienda.
236
Ci aveva provato anche in prima persona a scendere in campo: era il 1980 quando
corse come vicepresidente in pectore del partito libertario, formazione che da sempre
è poco più che un intruso nella corsa per la Casa Bianca.
Sarà per questo che il magnate ha ripiegato sulla seconda linea, finanziando
lautamente chi poteva fare politica per lui.
Tra il 2006 e il 2011 le Koch Industries hanno speso oltre cinquanta milioni di dollari
in attività di lobbying, per limitare la regolamentazione del mercato dei derivati e
dell'emissione di gas serra.
La spesa dei due fratelli per influenzare la politica è pari a tre volte quella della più
nota compagnia petrolifera Exxon e la loro impresa è anche quella che ha donato di
più per l'attuale campagna presidenziale.
Insomma, l'accoppiata Romney-Ryan può contare su una spinta potente.
Ma non è l'unica capace di agitare una campagna elettorale finora insolitamente priva
di colpi di scena (e contenuti politici).
Oltre all'appoggio dei fratelli Koch infatti, Ryan può contare su altri amici miliardari
e profondamente conservatori.
Tutti imbevuti dell'ideologia liberista e spesso critici nei confronti di Romney,
giudicato da solo non sufficientemente forte dalla destra profonda, nonostante il suo
passato di padre padrone del fondo di private equity Bain Capital.
Ryan, invece, ha conquistato la loro fiducia frequentando assiduamente i gruppi di
pressione impegnati nella lotta a tasse e spesa pubblica, e preparando per tempo
l'ascesa nei palazzi che contano.
Tra i suoi sostenitori si conta Cliff Asness, monetarista convinto, fondatore di Aqr
Capital, uno dei maggiori fondi di investimento americani, dopo un passato in
Goldman Sachs, e fiero oppositore della Dodd Frank Rule, il tentativo di riforma con
cui il presidente Barack Obama vorrebbe ricondurre nel recinto delle regole la
finanza imbizzarrita.
O il sessantottenne Paul Singer: numero uno dell'hedge fund Elliott Management
Corporation, specializzato nel comprare e rivendere debiti con profitto e tra i
maggiori finanziatori del Partito repubblicano.
Anche a Chicago, roccaforte dell'attuale presidente, Ryan ha stretto le amicizie
giuste: Kenneth Griffin, autodefinitosi un repubblicano reaganiano, amministratore
delegato di Citadel, uno dei più lucrosi fondi di investimento a livello globale, lo ha
messo in contatto con i membri del circolo repubblicano più generoso dell'intero
Paese.
Grandi elettori delusi dalla debolezza del Grand Old Party e spostati sempre più a
destra.
Grandi famiglie dell'America agraria e industriale, a fianco delle personalità più
spregiudicate di Wall Street.
In entrambi i casi, nomi che aprono molte porte.
E, soprattutto, molte tasche.
237
Sondaggi ballerini
Rasmussen – lo sappiamo, un repubblicano – afferma da tempo che a livello
nazionale Mitt Romney è in vantaggio, sia pure di poco ed entro i margini d’errore
preventivabili, su Barack Obama.
Di quando in quando e recentemente abbastanza spesso, alle medesime conclusioni
arriva Gallup.
Poi, se si va ai singoli Stati, le cose cambiano e tutti i rilevamenti danno nettamente
in testa il presidente, sia pure differenziandosi.
Parrebbe, quindi, ad oggi 16 agosto – ad oltre ottanta giorni dal voto,
rammentiamolo – che si possa ripetere incredibilmente quanto occorso in passato in
qualche occasione (l’ultima, nel 2000) e cioè che il perdente risulti essere
maggiormente votato a livello nazionale.
Molta, peraltro, l’acqua che deve ancora passare sotto i ponti.
Prime indicazioni sugli interventi nella convention Gop di Tampa
Allora, a quel che ora è dato sapere, la convention repubblicana di Tampa si aprirà
con un discorso del governatore del New Jersey Chris Christie.
Romney sarà invece introdotto e presentato dal senatore ispanico della Florida
Marco Rubio e dal senatore del Kentucky Rand Paul, figlio del rivale liberal radicale
del mormone nel corso delle primarie Ron Paul.
Il partito, in cotal modo e dando inoltre voce a tutti gli altri big di destra come
centristi, cercherà di apparire secondo necessità unito dietro il duo Romney/Ryan.
238
16 AGOSTO 2012
Hillary Clinton vice in luogo di Joe Biden? Ok ma non porta bene
Per quanto abbastanza raro, è successo in diverse occasioni che il presidente in carica
abbia deciso di cambiare il proprio vice in vista del rinnovo del mandato.
Lo fece ad esempio Lincoln imitato anni dopo da McKinley.
Quanto a Franklin Delano Roosevelt, i suoi vice furono addirittura tre: John Garner
nei primi due quadrienni, Henry Wallace nel terzo e Harry Truman nei pochi giorni
del quarto.
Ecco, quindi, che l’ipotesi che si fa oggi a Washington a proposito della sostituzione
di Joe Biden con Hillary Clinton non deve apparire fuori norma.
Alcuni esponenti democratici, anzi, ne hanno esplicitamente parlato a seguito delle
numerose gaffe dell’attuale vice praticamente incapace di parlare a ruota libera senza
mettersi nei guai.
Certo che un ticket democratico Obama/Hillary avrebbe molto maggiori possibilità di
prevalere.
Inoltre, in qualche modo, se vittorioso, indicherebbe necessariamente nella Clinton la
candidata del partito dell’asino per il 2016.
Ricordo, comunque, che nei tre casi sopra citati il capo dello Stato in carica,
nuovamente vittorioso, ebbe a tirare le cuoia in corso di mandato lasciando lo scranno
al nuovo vice.
Attenzione!!!
239
18 AGOSTO 2012
Ma che brutta campagna!
Se le sono sempre date (e dette) di santa ragione.
Tranne casi rarissimi, del fair play nessuna traccia.
Ma questa volta, va peggio.
Attacchi per ogni dove e su tutti i fronti.
Giustamente, per carità, riguardo ai rispettivi programmi, tuttavia subito trascorsi in
seconda se non in terza fila.
Con scarsissimo savoir faire, per il resto.
Sotto tiro, in particolare, Mitt Romney che, secondo larga parte dei media, in specie
in Europa e in Italia, ne avrebbe combinate e ne combinerebbe di tutti i colori.
Sarebbe, il gaffeur (se affermi qualcosa che non piace, non sconfinfera, ai sinistrorsi
sei appunto come minimo un gaffeur: non puoi avere idee diverse dalle loro, non
sono ammesse) mormone, perfino un evasore fiscale o pressappoco.
Ovvio che non sia possibile, che non possa essere con il fisco USA in agguato…
Ma non importa: conta infangare.
Ci si deve augurare che parte repubblicana non risponda per le rime?
Difficile a dirsi, ma sarà probabilmente opportuno ricordarsi di un vecchio detto “A
brigante, brigante e mezzo’!
240
19 AGOSTO 2012
Incredibile: Newsweek invita Obama a levarsi dai piedi
Newsweek si schiera a sorpresa contro Barack Obama.
Nella copertina del numero da domani in edicola, a settantanove giorni dal voto, il
noto settimanale considerato di tendenza liberal titola: “Abbandona il campo, Barack:
ecco perché abbiamo bisogno di un nuovo presidente”.
E sullo sfondo una foto di Obama con la giacca sulle spalle, come se fosse pronto a
lasciare il suo ufficio.
La copertina, annunciata via Twitter, ha già scatenato l'ira dei fan del presidente.
241
22 AGOSTO 2012
Come sempre, l’Ohio
Pochi giorni davvero e a Tampa, il 27 del corrente agosto, prenderà il via la
convention repubblicana che incoronerà ufficialmente il ticket Romney/Ryan.
La settimana successiva, in quel di Charlotte, i democratici riproporranno il tandem
vincente nel 2008, Obama/Biden.
In questa prospettiva, sondaggi a pioggia in ogni parte del Paese dovrebbero dirci a
che punto sono i giochi.
Come ho molte volte ripetuto, non è alla fin fine importante l’intenzione di voto
dell’America tutta quanto, piuttosto, quella dei singoli Stati dato che si possono avere
suffragi in numero superiore a livello nazionale sul rivale e perdere ugualmente lo
scranno presidenziale.
Occorre – lo ripeto – occorre conquistare i delegati (il quorum è duecentosettanta)
vincendo per voti popolari Stato per Stato.
Ecco, allora, che è ai sondaggi a cotal fine condotti che si deve guardare.
Mille, probabilmente, quelli finora e giornalmente organizzati.
Difformi le risultanze, ma con una oramai abbastanza precisa indicazione quanto alla
tendenza.
Ebbene, pressappoco, sommando i ‘voti elettorali’ dei territori fortemente portati a
votare democratico, Obama dovrebbe poter contare su un totale di duecentocinquanta
delegati circa mentre Romney, mettendo insieme i sostenitori repubblicani, si
fermerebbe a duecentoquaranta, sempre all’incirca.
Determinanti, pertanto e come spesso accade, la Florida e l’Ohio, dato che il terzo
Stato abitualmente decisivo, la Pennsylvania, viene da tutti già assegnato ad Obama.
Ebbene, le intenzioni di voto ad oggi, ma si deve dire costanti negli ultimi giorni,
darebbero a Romney, per un pelo, i ventinove delegati dello Stato atlantico mentre
l’Ohio con i suoi diciotto ‘voti elettorali’ è assolutamente ‘too close to call’,
risultando i due contendenti alla pari.
Nulla di straordinario: nella storia recente delle presidenziali USA l’Ohio è stato
costantemente nell’occhio del ciclone.
Ha quasi sempre votato per il vincitore della contesa spesso determinandone l’esito.
Siamo alle solite, verrebbe da dire.
242
Bernanke out se vince Romney
Nel mentre i sondaggi Stato per Stato danno Romney in rimonta tanto che lo stesso
Obama ha paragonato il confronto ad una partita di basket da giocare punto su
punto fino in fondo, ecco che il candidato repubblicano nel comunicare a grandi
linee le sue intenzioni in campo economico ha detto, papale papale, che una volta in
carica non confermerà nell’incarico di governatore della Federal Reserve Ben
Bernanke.
Queti fu chiamato all’alto incarico nel 2005 da George Walker Bush e fu confermato
da Obama nel 2009.
Il suo mandato scade nel 2014 ed è in dubbio che davvero un nuovo capo dello Stato
possa defenestrarlo.
Certo che se dovesse chiedergli di andarsene…
Romney: “A me nessuno chiede il certificato di nascita”
Mitt Romney è tornato a sorpresa sulla questione mai chiusa delle origini e del luogo
di nascita di Barack Obama e lo ha fatto con una battuta durante un comizio in
Michigan.
“Sono nato in un ospedale qui vicino” ha detto il repubblicano “e nessuno mi ha mai
chiesto di esibire il certificato di nascita”.
Obama lo scorso anno ha reso pubblica una copia del suo certificato dal quale
risulta sia nato alle Hawaii ma larga parte dei repubblicani ritiene che tale atto sia
falso.
Ricordo che uno dei tre requisiti necessari per essere eletto presidente USA consiste
nell’essere cittadino americano dalla nascita e che se Obama fosse nato nelle
Filippine come si sostiene mancherebbe di tale indispensabile condizione.
Il presidente dei vescovi americani sarà a Tampa
Alla convention di Tampa sarà presente anche la Chiesa cattolica.
Il presidente dei vescovi statunitensi, il cardinale Timothy Dolan, darà la
benedizione, ma non un appoggio ufficiale, a suo dire.
Ma la sua presenza assume notevole rilevanza visto che è impegnato in un battaglia
legale contro la riforma sanitaria del presidente Obama.
In particolare contro la norma che vuole rendere obbligatorie l’assistenza alle
pratiche abortive e la prescrizione di anticoncezionali anche in strutture ospedaliere
amministrate da organizzazioni religiose.
Nel programma di Tampa è stato inserito anche il no tout court all’aborto.
243
24 AGOSTO 2012
Documenti
Il piano energetico di Romney: una manna per i petrolieri, articolo di
Federico Rampini, sempre in opposizione ai repubblicani, vergato per
Repubblica
Dio Patria e Petrolio, potrebbe essere il trittico ideale come slogan per la convention
repubblicana che si apre a Tampa, Florida, questo lunedì (uragano tropicale
permettendo).
Ma forse la sincerità dovrebbe imporre di mettere il petrolio in testa, per ordine di
importanza.
Mitt Romney alla vigilia della sua incoronazione ufficiale come candidato alla Casa
Bianca ha presentato un piano energetico che non potrebbe essere più gradito ai
petrolieri.
L'aspirante presidente ha promesso che in caso di vittoria “libererà” gran parte del
territorio demaniale degli Stati Uniti da ogni vincolo e giurisdizione federale,
regalando ai petrolieri una libertà di trivellare senza precedenti nella storia.
Da quando l'America è entrata nell'era industriale moderna, infatti, le ricchezze del
suo sottosuolo sono state prevalentemente controllate e gestite dal governo centrale di
Washington.
Dall'inizio del Novecento, per esplorare giacimenti e poi estrarne petrolio o gas, le
compagnie energetiche hanno dovuto bussare alla porta dell'Amministrazione
federale.
Romney vuole cancellare un secolo di storia, lasciando che siano i singoli Stati Usa a
rilasciare i permessi.
Se il 6 novembre dovesse vincere l'elezione, mantenere questa promessa
significherebbe smantellare alcune delle più importanti tutele ambientali e
paesaggistiche, aprendo un'era di lassismo sfrenato nello sfruttamento delle risorse
naturali.
È il ritorno alla logica del Far West.
Anche in senso letterale: è nell'Ovest degli Stati Uniti, cioè in Stati come Alaska e
Colorado, New Mexico, Nevada e Utah (roccaforte della chiesa mormone a cui
appartiene Romney) che si trovano le risorse energetiche più ricche.
È in quegli stessi Stati, spesso governati dalla destra, che potenti lobby energetiche
hanno piegato i politici locali rendendoli dei docili servitori dell'interesse del
business.
Lo stesso Romney ama sottolineare che il Colorado o il North Dakota rilasciano in
pochi giorni i permessi di trivellazione alle compagnie petrolifere, mentre
l'Amministrazione centrale a Washington impiega molti mesi (a volte quasi un anno)
per completare le sue analisi sull'impatto ambientale.
La proposta rivoluzionaria di Romney cancella tradizioni e conquiste che non
appartengono solo alla sinistra o al partito democratico.
244
Al contrario, il vero padre storico dell'ambientalismo moderno fu Theodore
Roosevelt, presidente repubblicano all'inizio del Novecento.
Fu quel Roosevelt (in altri campi ben più conservatore del suo lontano cugino
Franklin Delano che in seguito sarebbe diventato presidente durante la Grande
Depressione) ad inaugurare la politica del ‘conservazionismo’ con la nascita dei
grandi parchi federali.
In tempi meno lontani un altro presidente di destra, Richard Nixon, creò la più
potente authority per la tutela dell'ambiente, la Environmental Protection Agency.
La deriva sempre più estremista del partito repubblicano sembra inarrestabile anche
in questo campo: perfino George Bush e Dick Cheney, entrambi personalmente legati
ad interessi del business petrolifero, pur perseguendo una politica decisamente
lassista non osarono arrivare alla proposta radicale di Romney.
Quest'ultimo si avvale di consiglieri come Harold Hamm, miliardario dell'Oklahoma
che è il chief executive della compagnia petrolifera Continental Resources, e al tempo
stesso è il responsabile della politica energetica per la campagna presidenziale del
candidato repubblicano.
Petrolio e Patria si sposano perfettamente, perché una delle motivazioni nobili con cui
Romney presenta la sua proposta, è quella dell'indipendenza energetica nazionale.
Su questo piano, per la verità, l'Amministrazione Obama non se l'è cavata male.
Aiutata dall'aumento dei prezzi mondiali del greggio, dalla scoperta di nuovi
giacimenti di gas naturale, e dall'evoluzione tecnologica, l'America è già oggi sulla
buona strada per emanciparsi dal Medio Oriente.
Di fatto, anche senza dare il via a un selvaggio sfruttamento dei giacimenti domestici,
entro quindici anni gli Stati Uniti cesseranno con ogni probabilità di importare
greggio dagli sceicchi arabi.
In quanto a Dio, la destra non ha dubbi che stia dalla sua parte.
Romney è stato un vescovo della chiesa mormone, una delle fedi più reazionarie nella
storia d'America.
Il suo vice Paul Ryan è un cattolico integralista, schierato sulle posizioni più
oltranziste del movimento anti-abortista.
A volte Dio e Petrolio possono sembrare in contraddizione fra loro.
Come ha notato il premio Nobel dell'Economia Paul Krugman, Ryan si è dovuto
contraddire nel suo culto per Ayn Rand.
Costei fu la sacerdotessa del liberismo economico, venerata dagli anni Sessanta in
poi.
La sua Bibbia è un romanzone intitolato Atlas Shrugged, tuttora un best-seller a
decenni dalla scomparsa dell'autrice.
Il guaio è che la profetessa del Dio-mercato era un'atea convinta, e questo ha costretto
Ryan a rimangiarsi la sua professione di fede verso la Rand.
Ma si tratta di contraddizioni minori, del tutto irrilevanti per il popolo di destra che si
prepara a celebrare il lancio di Romney verso la conquista della Casa Bianca.
Sempre che Tampa non si trasformi in una città disastrata, costretta all'evacuazione
dall'arrivo dell'uragano Isaac.
Chissà chi è stato ad appioppargli quel nome dal chiaro sapore biblico.
245
Eva Longoria è con Obama!
Il partito democratico annuncia che alla convention di Charlotte parlerà, ovviamente
pro Obama, tra gli altri Eva Longoria.
La protagonista di ‘Desperate housewives’ è stata nominata nientemeno che
copresidente del comitato nazionale del partito dell’asino a sostegno della campagna
elettorale del presidente in carica.
Il ‘libertarian’ Gary Johnson presente in tutti gli Stati
“Lo Stato federale ha già fatto abbastanza guai. Meglio, per quanto possibile, farne
a meno”.
E’ sulla base di tale principio che il ‘libertario’ Ron Paul ha proposto e sostenuto la
propria campagna elettorale nel corso delle primarie e dei caucus repubblicani.
Paul, pur rappresentando un’ala del tutto specifica e minoritaria tra i Gop, resta nel
partito.
Non altrettanto, certamente, molti dei giovani che nell’ambito delle or ora citate
primarie lo avevano seguito.
Trovano, costoro, un candidato da sostenere altrove: si tratta del leader del
‘Libertarian Party’ Gary Johnson che, è notizia oggi ufficiale, è riuscito a
presentarsi in tutti i cinquanta Stati dell’unione.
L’ex governatore del New Mexico, praticamente mai incluso nei sondaggi, con ogni
probabilità, riuscirà a raccogliere un numero non disprezzabile di voti popolari.
Non conquisterà, è ovvio, nessuno Stato ma potrebbe in alcuni di quelli
maggiormente contesi determinare la vittoria di Romney piuttosto che di Obama
sottraendo a uno dei due i suffragi necessari a prevalere.
Un po’ quanto accadde con Ralph Nader nel 2000 allorquando il sostegno da lui
raggiunto permise a George Walker Bush di conquistare per il rotto della cuffia
White House.
246
25 AGOSTO 2012
TAMPA
Per quattro giorni i riflettori saranno puntati su Mitt Romney e il suo vice, Paul Ryan.
Romney intende sfruttare al meglio la convention per trasmettere all'America il suo
lato umano, dopo che, per mesi, gli spot democratici lo hanno dipinto come un cinico
miliardario che se ne frega del prossimo e, da manager, ha pensato solo a far soldi e
alla bella vita.
E’ necessario, quindi e da questo punto di vista, correre ai ripari: ampio spazio,
dunque, alla famiglia.
A partire dalla moglie Ann che martedì salirà sul palco per raccontare l'uomo con cui
divide la vita da più di quarant’anni.
A Tampa, ovviamente, saranno presenti anche i cinque figli (maschi) dell’ex
governatore con le rispettive consorti, e quindici dei suoi diciotto nipoti.
Sul palco, dopo la famiglia, saliranno anche alcuni atleti che hanno avuto modo di
conoscere Mitt quando organizzò le Olimpiadi invernali di Salt Lake City del 2002 e
alcuni parrocchiani che aiutò quando era alla guida della diocesi mormone di Boston.
“L’obiettivo è definire un po' meglio la figura di Mitt”, ha spiegato il primo
consigliere di Romney, Ron Kaufman.
Tutto è studiato ad arte per trasmettere un'immagine solida, seria e rassicurante.
La convention, cin programma dal 27 al 30 agosto al Tampa Bay Times Forum,
ufficialmente servirà a formalizzare la candidatura presidenziale di Romney
chiarendo la linea del partito sui principali temi emersi nel corso della campagna
elettorale.
Circa cinquantamila persone raggiungeranno la Florida per il grande appuntamento
repubblicano: i delegati eletti durante le primarie e i caucus, ma anche deputati,
senatori, politici locali, funzionari di partito, volontari, giornalisti e simpatizzanti.
Previsti gli interventi del governatore del New Jersey, Chris Christie, dall’ex rivale di
Romney, Rick Santorum, ritiratosi dalla corsa alla Casa Bianca lo scorso 10 aprile.
Mercoledì sarà il turno del senatore John McCain, candidato alla Casa Bianca nel
2008, insieme a Condoleezza Rice, ex segretario di Stato e Paul Ryan, vice di
Romney.
Sembra scongiurata, nel frattempo, l’ipotesi che la convention possa essere spostata a
causa dell’uragano Isaac, che minaccia ancora le coste della Florida.
247
Sembler: “Obama sarà seppellito dagli spot avversi”
Già ambasciatore in Italia, Mel Sembler fa ora parte del Comitato che segue e
amministra le finanze del candidato Gop Mitt Romney.
Intervistato, Sembler ha dichiarato che dal momento in cui il mormone sarà
ufficialmente nominato saranno a sua disposizione gli enormi fondi finora raccolti
dal partito che, in quanto non legittimato dalla convention, non poteva usare.
Secondo l’ex ambasciatore, da allora in poi, sotto il diluvio di spot tv che i
repubblicani proporranno, i sondaggi che ancora vedono Obama in sia pur lieve
prevalenza verranno spazzati via.
248
PARTE TERZA
249
LE CONVENTION
(MA NON SOLO, OVVIAMENTE)
26 AGOSTO 2012
A TAMPA, A TAMPA!
Domani 27 agosto, uragano Isaac permettendo, a Tampa, secondo previsioni, prende
il via la convention del partito repubblicano.
Proprio a causa dell’incerto fattore climatico (non si sa bene quale percorso sceglierà
Isaac e se davvero imperverserà sulla città della Florida in modo tale da impedire i
lavori), pare che la prima giornata debba notevolmente ridursi per quanto concerne
gli interventi e le previste modalità.
Staremo a vedere.
Quel che davvero conta in una convention e in questa Gop in modo specifico visti gli
esiti dei sondaggi è che il partito riesca a presentarsi unito dietro il candidato
prescelto Mitt Romney e dietro il suo running mate Paul Ryan.
Le sia pure forti contrapposizioni messe in evidenza da primarie e caucus sono
rientrate?
I libertari alla Ron Paul sono disposti sul serio a seguire il dettato della ‘platform’ (il
programma ideologico/politico) sulla quale evidentemente le idee dei due componenti
il ticket hanno fortemente influito o si lasceranno ammaliare dal ‘Libertarian Party’ di
Gary Johnson?
Gingrich, Santorum e relativi seguaci rinfodereranno le armi?
Si accontenteranno di essere coperti a destra da Ryan?
Faranno altrettanto Tea Party ed evangelici in molti Stati del tutto decisivi per la
conquista dei delegati locali?
Le anime protestanti del Gop accetteranno davvero la benedizione della convention
ad opera del presidente della Conferenza Episcopale Cattolica Americana Timothy
Dolan o avranno qualcosa da ridire?
Come ho scritto fin dagli ultimi mesi del trascorso 2011 e poche righe fa ribadito,
solo nel caso in cui tutte le differenti ‘anime’ repubblicane riescano a compattarsi
senza se e senza ma dietro il mormone la vittoria Gop sarà probabile e, forse (ove
semplicemente i ‘red States’ si ricordassero di essere tali), certa.
E veniamo al programma della kermesse.
Gli interventi previsti, al di là della dichiarazioni di voto delle delegazioni, sono
trentaquattro.
Parleranno fra gli altri Ann Romney, Jeb Bush, Condoleezza Rice, Marco Rubio,
Chris Christie, Rick Santorum, Newt Gingrich, Ron Paul…
250
Nella ‘platform’, di certo, la messa al bando dell’aborto: nessuna interruzione
volontaria della gravidanza verrà concessa anche se il concepimento dovesse derivare
da incesto o stupro. (L’idea è che in questi casi non possa e non debba pagare il
nascituro ma, assai duramente, l’autore dell’incesto o dello stupro).
Poi, per la sanità, l’abolizione della cosiddetta ‘Obamacare’, la privatizzazione
dell’attuale programma pubblico ‘Medicare’, l’assistenza per gli over sessantacinque,
trasformandolo in un meccanismo di voucher introdotto sul mercato dalle compagnie
assicurative.
Per quel che concerne il deficit, tagliare in primis la spesa pubblica tranne che per la
difesa, non aumentare le tasse sulla middle class mantenendo gli sgravi fiscali.
No all’ipotesi obamiana di chiedere maggiori esborsi ai ricchi.
A proposito di immigrazione clandestina, fondamentalmente si alla legge in materia
dell’Arizona secondo cui un poliziotto ha il diritto di controllare i documenti a un
passante sulla base dei tratti del suo viso o sentendone l’accento straniero.
Quanto all’energia, poco spazio alla green economy, aumento delle trivellazioni
petrolifere e del nucleare.
251
Il via della kermesse spostato al 28 causa maltempo
Alla fine, l’ha avuta vinta l’uragano Isaac e i lavori della convention Gop di Tampa
che avrebbero dovuto prendere il via domani 27 agosto inizieranno il 28 durando
comunque i quattro giorni previsti,
252
26 Agosto 2012
Gli Swing States al 25 agosto secondo Rasmussen
Colorado, Florida, Iowa, Michigan, Nevada, New Hampshire, North Carolina, Ohio,
Pennsylvania, Virginia e Wisconsin, questi, per un totale di ben centoquarantasei
delegati su cinquecentotrentotto gli Stati decisivi il prossimo 6 novembre secondo il
sondaggio Rasmussen del 25 agosto, risultando i restanti Stati ben saldamene in mano
di Obama o di Romney.
Ora, non tutti gli undici territori indicati sono ‘swing’, ovvero in bilico, allo stesso
modo e si deve ritenere che il repubblicano non abbia molte chance di conquistare,
per esempio, la Pennsylvania.
Peraltro, Rasmussen crede che, alla fin fine, i tre Stati decisivi saranno Virginia, Ohio
e Florida, dove i due candidati sono decisamente vicini.
Se Romney vince in tutti e tre è eletto.
Se vince in due ha molte possibilità di esserlo.
Quanto ad Obama, basta ne conquisti due per avere certezza della conferma che
potrebbe ottenere anche vincendone uno solo (la Florida, dotata di un maggior
numero di ‘voti elettorali’: ventinove).
253
28 AGOSTO 2012
Tampa, il primo giorno
Abito rosso, capello biondo, sorriso a trentadue denti…
In forma perfetta, Ann Romney ha tenuto un gran bel discorso nel primo giorno della
convention Gop.
Doveva, secondo i media quasi totalmente avversi al coniuge, ‘salvare’ Mitt e
rappresentarne il lato umano, posto che esista come sempre i media dubitano sia.
Alla fine, è stata raggiunta sul palco dal marito che l’ha abbracciata e baciata prima di
allontanarsi dai riflettori con lei.
Applausi scroscianti.
Nel giorno inaugurale, ovviamente, i delegati hanno ufficializzato la nomination del
mormone e del suo running mate Paul Ryan ed hanno ascoltato i discorsi di un certo
numero di governatori: Chris Christie, Scott Walker, Bob McDonnel, Rick
Santorum…
Grandi feste, giubilo, manifestazioni, gioia, certezze…
Alla fine, quanto alla indispensabile compattezza del partito in vista del 6 novembre,
ottima la frase di Michele Bachmann: “Non ho nulla da ridire. Il programma è stato
passato al pettine dai Tea Party”.
Problematico, di contro, il distacco manifestato dai radicali alla Ron Paul.
I lavori continuano.
254
Il testo inviato via mail a MdPR da Ann Romney dopo il suo intervento
Mauro,
I am so excited to be at the Republican National Convention with my family and
friends as my husband Mitt Romney becomes the Republican presidential nominee.
This is the man America needs during a time of debt and despair.
This is the man who will wake up every day with the determination to solve the
problems that others say can't be solved, to fix what others say is beyond repair.
This is the man who will work harder to give all Americans an opportunity to
prosper.
I can't tell you what will happen over the next four years. But I can tell you:
This man will not fail.
This man will not let us down.
This man will lift up America!
And with your help, this man -- my husband -- will be the next President of the
United States of America.
Thank you,
Ann Romney
255
29 AGOSTO 2012
Tampa: il secondo giorno. Ryan come Goldwater?
“Rispondo alla chiamata della mia generazione per dare ai nostri figli l'America che è
stata data a noi, con opportunità per i giovani e sicurezza per gli anziani", con queste
parole, Paul Ryan ha iniziato il suo discorso di accettazione della candidatura a vice
presidente per i Gop.
Interrotto a molte riprese da scroscianti applausi, il deputato del Wisconsin ha parlato
con impeto e slancio non comuni rappresentando assai bene l’anima repubblicana.
Da questo punto di vista, nella necessità di coprire a destra nei confronti di evangelici
e Tea Party il centrista Romney, mai scelta è stata meglio azzeccata.
Resta, è vero, la preoccupazione espressa correttamente da Massimo Gaggi sul
Corriere della Sera: Ryan appare per molti versi un nuovo Goldwater, il candidato
Gop del 1964 che incarnava il ‘vero’ repubblicanesimo e che, per tale ragione
estremizzando, fu rovinosamente sconfitto.
256
Il testo della mail inviata a MdPR da Paul Ryan dopo l’accettazione
della nomination
Mauro,
This is not an ordinary election -- because this is not an ordinary time.
After four years of getting the run-around, America needs a turnaround. And the only
man for the job is Mitt Romney.
I'm excited to follow his lead, to join his team, and to pursue an agenda that will get
our country back on track.
We know what we believe in. We believe in the hard work and ingenuity of the
American people who built this country.
I accept the calling of my generation to give our children the America that was given
to us -- with opportunity for the young and security for the old. I know that we are
ready to meet serious challenges in a serious way, without excuses and idle words.
So here is our pledge:
We will not duck the tough issues, we will lead.
We will not spend four years blaming others, we will take responsibility.
We will not try to replace our founding principles, we will reapply them.
The work ahead will be hard -- but these times demand the best of us. Together, we
can change it.
Join Mitt, the Republican team, and me.
Thanks,
Paul Ryan
Perché Romney è in grado di vincere a detta dei giornali a lui avversi
257
“Oggi è il giorno di Romney, la conclusione della convention repubblicana qui a
Tampa.
Perché va preso sul serio?
La sua forza, come ha dimostrato l’efficace discorso del suo vice Paul Ryan centrato
al novanta per cento sull’economia, è in questo semplice ragionamento:
‘Ecco in che stato si trova l’America dopo quattro anni di presidenza Obama.
Come ci si può illudere che faccia meglio di così, se viene rieletto?’
Crescita asfittica e alta disoccupazione, ‘una ricetta che non ha funzionato’, questi
sono gli argomenti che danno alla kermesse di Tampa un impatto.
Per quanto Obama possa indebolire Romney attaccandolo sulle sue passate
scorribande da finanziere-avvoltoio o sui suoi conti offshore alle Caimane, per
quanto lo stesso Romney risulti incurabilmente algido, l’elezione quando si presenta
un presidente uscente è sempre anzitutto sul suo bilancio.
Romney parla alle ore ventidue locali (le quattro del mattino in Italia) precedutopresentato dal senatore ispanico della Florida Marco Rubio.”
(Articolo pubblicato da Repubblica.it il 30 agosto)
Sarà Clint Eastwood ad introdurre il discorso di accettazione di Mitt
Romney
Sorpresa, ma non troppo dopo il recente endorsement: il grande attore e regista
americano Clint Eastwood con un suo intervento introdurrà l’attesissimo discorso di
accettazione della nomination Gop di Mitt Romney.
30 AGOSTO 2012
258
Tampa, il terzo giorno: il discorso di accettazione di Mitt Romney
Preceduto da un sarcastico Clint Eastwood che ha finto di processare Barack Obama
per il disastroso quadriennio trascorso alla Casa Bianca, calorosamente introdotto dal
senatore della Florida Marco Rubio, nell’attesissimo discorso di accettazione della
candidatura repubblicana alla Casa Bianca, Mitt Romney ha detto di credere nel
futuro del Paese con tutto l’ottimismo e la voglia di andare avanti che lo distinguono.
Chiudendo la kermesse del Grand Old Party, a sessantasette giorni dal voto
presidenziale, ha attaccato duramente Barack Obama.
Lo ha fatto contrapponendo all’idealismo inconcludente de presidente un sano
pragmatismo di padre e nonno, il pragmatismo di chi con la propria esperienza di
uomo d'affari e di amministratore anche pubblico, sa ed ha dimostrato di essere in
grado di salvare gli USA, di creare nuovi posti di lavoro, di ridare vere speranze ai
giovani.
“Il presidente Obama”, ha detto ricorrendo anche al sarcasmo, “ha promesso di
rallentare il flusso degli oceani e guarire il pianeta dai suoi mali.
La mia promessa... è quella di aiutare voi e la vostra famiglia”.
Insomma, dice il mormone, “il presuntuoso leader mondiale, l'uomo che pensava di
mettere a posto il pianeta, alla fine non è riuscito a fare la cosa per cui era stato eletto:
tutelare il diritto al perseguimento della felicita per tutti gli americani, così come è
indicato nella Dichiarazione di Indipendenza”.
“E' ora”, ha osservato Romney, “che tutti noi americani ci mettiamo alle spalle le
delusioni degli ultimi quattro anni.
E' tempo”, ha sottolineato, “che ci riprendiamo la promessa che chiamiamo
America”.
E sulla strada da seguire non ha dubbi:
“La cosa di cui gli Stati Uniti hanno bisogno oggi non è tanto difficile da scoprire.
Non servono speciali commissioni governative per dircelo: sono posti di lavoro,
molti, moltissimi posti”.
Quindi, l'ex governatore del Massachusetts ha difeso la propria controversa attività
finanziaria definendo la sua avventura alla guida della Bain Capital “una grande
storia di successo americano”.
259
Il testo della mail inviata a MdPR da Mitt Romney dopo il suo discorso
di accettazione della nomination a candidato del partito repubblicano
USA alla presidenza
Mauro,
four years ago, many Americans were excited about the possibilities of a new
president.
I wish President Obama had succeeded, because I want America to succeed.
But his promises gave way to disappointment and division.
This isn't something we have to accept.
We believe in America, and now is the moment when we can do something to turn
things around.
I am running for president to help create a better future.
A future where everyone who wants a job can find one.
Where no senior fears for the security of their retirement.
An America where every parent knows that their child will get an education that
leads them to a good job and a bright horizon.
The time has come for us to put the disappointments of the last four years behind us.
To put aside the divisiveness and the recriminations.
To forget about what might have been, and to look ahead to what can be.
If I am elected president of these United States, I will work with all my energy and
soul to restore America, to lift our eyes to a better future.
Because our children deserve it, our nation depends upon it, and the peace and
freedom of the world require it.
And with your help we will deliver that brighter future.
Thank you,
Mitt Romney
260
L’intervento di Condoleezza Rice
Il momento migliore della tre giorni Gop di Tampa, e non solo a detta dei suoi amici
repubblicani.
Il momento in cui un vero statista ha preso la parola richiamando i principi e l’idea,
sfrondando il proprio intervento da ogni tematica in qualche modo ‘minore’,
rifuggendo dal sensazionalismo, dalla retorica e, non sia mai, dal gossip.
Ecco, nei venti minuti o poco meno del suo discorso Condoleezza Rice ha confermato
di essere la grande donna, il grande personaggio che tutti, avversari in prima fila,
riconoscono sia.
Solo una persona del suo livello poteva, come ha fatto, ricordare l’unicità e
l’eccezionalità americana.
Ci si deve augurare che una prossima amministrazione Romney possa contare sulla
sua presenza, sul suo carisma.
Ci si deve augurare che possa un giorno arrivare personalmente a White House.
261
1 SETTEMBRE 2012
Documenti
Romney punta sugli Stati chiave, un articolo di Christian Rocca per Il
Sole 24 Ore
“Macché riposo, per i prossimi sessantasei giorni ‘riposo’ è una parola che non
esiste”, dicono con entusiasmo misto a preoccupazione gli uomini più vicini a Mitt
Romney durante un esclusivo party di Google in chiusura della convention
repubblicana di Tampa.
Romney dovrà faticare molto, spiegano i suoi, nonostante la convention sia andata
esattamente come era stata programmata: il messaggio al Paese, il tono delle proposte
e il profilo del candidato sono usciti con chiarezza dal Tampa Bay Forum.
Nella notte di giovedì, a nomination accettata, Romney ha firmato le carte per iniziare
a spendere il denaro raccolto per la campagna presidenziale di novembre.
La partita ora entra nel vivo.
Gli uomini di Romney raccontano che stanno ancora investendo in spot elettorali in
Michigan, uno Stato che dovrebbe essere solido nella colonna pro Obama, e
sottolineano quanto questo sia un segnale chiaro che le cose vanno molto bene per il
loro candidato.
Anche il Wisconsin, Stato dell'aspirante vicepresidente Paul Ryan, è in gioco,
malgrado l'ultimo repubblicano a vincerlo sia stato Ronald Reagan ventotto anni fa.
Per Romney la mappa elettorale di Stati da conquistare si allarga, mentre Obama
deve difendersi e spendere denaro su più fronti rispetto a quelli immaginati fino a
poco tempo fa.
Alcuni sondaggi nazionali iniziano a dare Romney in vantaggio di un punto su
Obama, ma a contare sono le dinamiche in quella decina di Stati spaccati a metà e che
per una manciata di voti decidono le elezioni del 6 novembre.
Il problema per Romney non è soltanto quello di essere indietro di un soffio, o al
massimo pari, negli Stati chiave, piuttosto che dovrà vincerli più o meno tutti.
Non sarà facile superare Obama in Florida, Ohio, Colorado, Nevada, New Mexico,
Iowa.
Il team Romney confida nel tradizionale ‘convention bump’, il balzo in avanti nei
sondaggi garantito tradizionalmente dall'esposizione mediatica della convention.
Il presidente del Grand Old Party Reince Priebus si aspetta uno rialzo significativo,
mentre altri advisor cercano di abbassare le aspettative.
La media del convention bump è del cinque per cento, con punte del sedici per cento
per Clinton e un imbarazzante meno uno per cento per John Kerry nel 2004, segno
che le convention possono essere un formidabile volano verso la Casa Bianca ma
anche un flop.
A Romney non dovrebbe andare male.
262
Aveva tre obiettivi – fornire una visione alternativa a quella del presidente, unificare
ed energizzare il partito, mostrare un lato caloroso e meno robotico della sua
personalità – e ieri mattina ha lasciato Tampa convinto di averli raggiunti.
Romney ha puntato, forse troppo, sullo spirito individualista americano,
sull'antistatalismo estremo, sull'idea di un popolo che preferisce la libertà dallo Stato
piuttosto che la libertà concessa dallo Stato.
Ha anche presentato i volti nuovi del partito, a cominciare da Paul Ryan, la cui
presenza nel ticket ha rinvigorito base ed élite repubblicana e, almeno per un giorno,
è riuscita a trasformare Obama nel candidato del passato.
Il senatore della Florida Marco Rubio ha parlato da futuro presidente, con toni epici
obamiani del 2008.
Il governatore anti sindacati del Wisconsin Scott Walker è stato uno degli eroi della
platea, assieme alle governatrici della South Carolina e del New Mexico Nikki Haley
e Susana Martinez.
Il gran colpo mediatico di Clint Eastwood, salito sul podio mentre gli schermi del
Forum ingrandivano un fotogramma del film di Sergio Leone ‘Per un pugno di
dollari’, è stato molto apprezzato dalla platea dei delegati, ma anche dileggiato da
giornalisti e blogger di area progressista soprattutto per lo strambo, e non sempre
riuscito, dialogo con una sedia vuota su cui ovviamente non era seduto Obama.
L'aspetto privato della convention è stato altrettanto importante.
Ann Romney, gli amici e i colleghi del candidato si sono alternati sul podio per
raccontare il loro Mitt, mentre un montaggio di vecchi filmati familiari è stato
confezionato così bene da ricevere i cavallereschi complimenti di David Axelrod, lo
stratega di Obama.
Ora Romney e Ryan cercheranno il più possibile di girare il Paese insieme, perché
insieme si trovano bene, si divertono e galvanizzano i militanti, ma ci sono
moltissime contee in gioco e gli strateghi della campagna Romney preferiscono
coprirne il più possibile.
Ieri Romney è andato a New Orleans a dare conforto a chi ha subito danni
dall'uragano Isaac.
La settimana prossima, durante la convention democratica di Charlotte, assieme a
Ryan si dedicherà alla preparazione dei dibattiti tv e lascerà alle nuove star del partito
il compito di rispondere a Obama.
263
Il voto degli ispanici
Allora, l’abbiamo già detto ma va ripetuto, con ogni probabilità il 6 novembre il voto
degli ispanici sarà decisivo.
Fatto è che dal 2008 ad oggi, sarebbero aumentati addirittura di quindici milioni (da
trentacinque a cinquanta) e in modo particolare in alcuni negli ‘swing States’ (in
bilico, elettoralmente parlando) quali Florida, Colorado, Nevada, Carolina del Nord
e Virginia.
Votano (voterebbero) in maggioranza democratico ma lo scarto – sessanta/quaranta
piuttosto che, cinquantacinque/quarantacinque, per esempio – potrebbe significare
per Romney la differenza tra vittoria e sconfitta.
Ecco, quindi, che entrambi gli staff sono impegnati nel loro corteggiamento.
Purtuttavia, per quanto agli ispanici ci si dedichi con attenzione, non è detto che si
riuscirà a convincerli al voto.
Già nel 2008 andarono alle urne all’incirca al cinquanta per cento e in questo 2012,
guardando agli elettori registrati, appaiono addirittura in calo, percentualmente
parlando. (Nel 2010, mid term elections, su ventuno milioni e settecentomila aventi
diritto, votarono solo in dieci milioni e novecentomila).
“Dobbiamo ancora far fronte a un divario nelle registrazioni del tutto consistente”,
ha detto in proposito a ‘The Week’ Matt Barreto, dell'Università di Washington.
Questo scarto è almeno in parte legato all'attuale situazione di crisi economica, che
li ha colpiti in modo particolarmente forte.
Il valore medio della ricchezza delle famiglie ispaniche si è ridotto di due terzi tra il
2005 e il 2009 e la percentuale di pignoramento delle case è di poco meno del dodici
per cento, più del doppio di quella tra le famiglie dei bianchi.
“Quando la gente perde il lavoro o la casa, di solito deve trasferirsi altrove”, dice
Antonio Gonzalez, capo del Southwest Voter Registration Education Project.
“Quando uno si trasferisce, deve registrarsi di nuovo e c'è il sospetto che ciò non sia
avvenuto nel 2009 e 2010”.
Inoltre, tra gli ispanici quasi un terzo degli aventi diritto al voto è al di sotto dei
trent’anni, fascia di età in cui l'impegno è più basso.
Nel 2010, votò solo il diciassette virgola sei per cento dei giovani ispanici.
La cortesia di una volta
Una volta – non molto tempo fa, a dire il vero – i democratici e i repubblicani
avevano la buona abitudine di sospendere la loro attività elettorale nella mezza
settimana nella quale il partito avverso svolgeva la propria convention.
Si lasciava che i riflettori fossero per quei pochi giorni concentrati sugli altri.
Ora, come in infiniti altri campi del vivere comune, le cose vanno differentemente e
mandando al diavolo il fair play elettorale ecco i democratici agitarsi alla grande
cercando di distogliere da Tampa l’attenzione dei volubili media.
Interviste, apparizioni televisive, annunci…
Sempre peggio!
264
3 SETTEMBRE 2012
Fissato al 3 ottobre in primo dibattito in tv
Da quando, nel 1960 per la prima volta, Kennedy e Nixon si confrontarono
pubblicamente in televisione, uno dei momenti maggiormente attesi dai media e dagli
elettori nella campagna per White House è quello del dibattito/confronto tv.
Non che abbia poi davvero tutta questa importanza ai fini dell’elezione: rammento,
per fare un solo esempio, che secondo tutti gli analisti e secondo i sondaggi portati a
termine subito dopo, nel 2004 John Kerry aveva prevalso in ogni occasione per
risultare a novembre sconfitto alla grande nelle urne.
A ben guardare, si tratta di confronti rigidamente preparati, con tempi molto precisi e
praticamente nessuna possibile sorpresa per quel che riguarda le domande.
Inoltre, in vista dei dibattiti, i due candidati si preparano per ore ed ore imparando
praticamente a memoria le risposte ‘giuste’ da dare.
Comunque, si è stabilito tra repubblicani e democratici che gli incontri saranno
quest’anno tre (è un classico) il primo dei quali è fissato al 3 ottobre.
265
Continua il testa a testa nei sondaggi(?!)
Occorre stare molto attenti.
Oggi la notizia sbandierata dai media è che a seguito della convention di Tampa
Romney avrebbe raggiunto Obama nelle intenzioni di voto degli americani.
Ora, secondo, per esempio, Rasmussen, questo è accaduto almeno tre mesi orsono
mentre Gallup già da qualche settimana li colloca sostanzialmente, con lievi
oscillazioni, anch’esso alla pari.
Il citato Rasmussen, poi, non oltre ieri, collocava invece il mormone avanti di quattro
punti percentuali.
L’ho detto e lo ripeto, molti se non tutti i sondaggi sono in qualche modo ‘taroccati’
per appartenenza o simpatia dell’istituto che li esegue, del committente, per ragioni
a volte evidenti e a volte non facilmente comprensibili.
L’ho detto e lo ripeto: le rilevazioni a livello nazionale lasciano il tempo che trovano.
Lasciamoli dire.
I coniugi Norris, con toni un po’ forzati, a sostegno di Romney
Dopo Clint Eastwood, Mitt Romney può contare su un altro duro del cinema per la
sua campagna elettorale, Chuck Norris.
Il campione d’arti marziali e ammazza cattivi più famoso della tv entra a gamba tesa
nella campagna elettorale Usa.
Lo fa con un video-messaggio su internet in cui esorta gli americani a difendere il
paese dal socialismo e da cose ancora peggiori.
Mano nella mano con la moglie Gena (e con la bandiera a stelle e strisce in bella
evidenza sullo sfondo), il settantaduenne attore è apparso in uno spot pubblicato dal
portale ultraconservatore WND, in cui mette in guardia il popolo americano da una
nuova vittoria di Barack Obama e dalla deriva socialista degli Stati Uniti.
“Il nostro grande Paese e la nostra libertà sono sotto attacco e potrebbero andare
persi per sempre se non si cambia rotta”, dice Norris rivolgendosi alla telecamera
con tono preoccupato.
La moglie Gena aggiunge: “Chuck e io ci siamo chiesti come poter contribuire per
far sentire le voci dei nostri fratelli e delle nostre sorelle americane”.
Nelle elezioni di quattro anni fa, spiega la consorte dell’attore, trenta milioni di
cristiani evangelici non avrebbero votato e Obama avrebbe vinto con un margine di
soli dieci milioni di voti.
Il video dura poco più di due minuti e con toni sempre più cupi la coppia dipinge le
conseguenze di una possibile rielezione di Obama:
“Mille anni di tenebre” avverte la moglie Gena.
“È tempo”, conclude il marito, “di serrare i ranghi per Dio e per il nostro Paese.
Ci vediamo alle urne”.
266
3 SETTEMBRE 2012
Documenti
Obama verso la convention di Charlotte, un articolo di Antonio
Carlucci per L’Espresso Blog
Adesso tocca a Barack Obama galvanizzare le truppe democratiche e tutti i possibili
elettori.
Il presidente e il partito democratico hanno scelto Charlotte, in North Carolina, per la
Convention 2012.
Charlotte è in uno Stato abbastanza conservatore, dove il voto repubblicano ha
sempre avuto il sopravvento su quello democratico, tranne che nel 2008 quando
Obama vinse sul suo sfidante.
Essere sicuri di ripetere quella performance darebbe al presidente la quasi certezza
della rielezione.
Ma così non è.
Barack Obama arriva a Charlotte avendo incassato una vittoria contro i repubblicani
ai quali contesta da mesi di cercare di condizionare il voto in alcuni stati con misure
restrittive per gli elettori.
E giunge qui sapendo che un pezzo del suo partito e del suo elettorato non sono più
nella fase dell’entusiasmo e dell’attivismo del 2008.
Cominciamo da questo problema.
Bisognerà vedere, per capire meglio, le conseguenze del distacco da Obama come
sarà composta la delegazione dell’Afl-Cio, The American Federation of Labor and
Congress of industrial Organization, ovvero il maggiore sindacato industriale degli
Usa che rappresenta tredici milioni di lavoratori e sessantaquattro sigle.
Non hanno gradito la scelta di Charlotte e del North Carolina, perché questo Stato ha
adottato una legislazione ‘right-to-work’, quella che rende difficile l’organizzazione
sindacale sui posti di lavoro, il reclutamento, il pagamento delle quote sindacali, le
elezioni.
Lo stadio ‘Bank of America’ da settantamila mila posti dove parlerà Barack Obama
giovedì notte è stato costruito da operai che non erano iscritti al sindacato.
Afl-Cio, che sostiene di muovere in campagna elettorale quattrocentomila attivisti in
favore del candidato democratico e che risulta essere in prima fila nella spesa per
supportare la politica dei democratici, ha fatto sapere senza troppi giri di parole di
non essere contenta.
Le buone notizie sono arrivate invece da una serie di giudici che hanno cassato leggi
statali che rendevano più complicato l’esercizio del diritto di voto.
In Texas, un collegio di tre giudici federali, ha cancellato una legge approvata poche
settimane fa che obbligava la presentazione di un documento di identità munito di
foto per poter accedere al seggio.
267
I giudici hanno dato ragione a chi diceva che questo avrebbe leso il diritto al voto
degli elettori a basso reddito e delle minoranze, i quali non possiedono documenti di
identità (non sono obbligatori negli Usa).
Un’altra sconfitta per le leadership del Texas è arrivata, sempre in questi giorni da
Washington dove è stata annullata la riconfigurazione dei collegi elettorali dello
Stato: è stata considerata discriminatoria nei confronti degli afro americani e degli
ispanici.
Altre vittorie sullo stesso fronte sono arrivate in Ohio e in Florida, entrambi ‘swing
states’, ovvero parti dell’America dove la vittoria si decide per poche migliaia di voti.
In Ohio, le autorità statali avevano cancellato la possibilità di votare fino a tre giorni
prima della data delle elezioni, una misura che aumenta l’affluenza alle urne
garantendo maggiore partecipazione, una fatto che dovrebbe favorire i democratici.
In Florida, le leggi statali che sono state cancellate rendevano difficile la registrazione
dei potenziali elettori da parte di organizzazioni terze o di singoli, così come c’erano
difficoltà a registrarsi se era cambiato l’indirizzo negli ultimi mesi o c’erano stati
trasferimenti da una contea all’altra.
Varate con la spiegazione che servivano a evitare possibili brogli, sono state cassate
perché i giudici hanno accettato la tesi che avrebbero reso difficile l’accesso delle
minoranze alle urne.
Dunque, Obama è in arrivo a Charlotte con segnali positivi e negativi, mentre i
sondaggi danno sempre una differenza lo sfidante repubblicano.
La kermesse di Charlotte prevede due interventi forti: la first lady Michelle Obama
che parlerà domani e che al contrario del marito in questi anni non ha perduto
consenso tra gli americani, ma anzi ne ha guadagnato.
E Bill Clinton, l’ex presidente democratico che è riuscito a farsi rieleggere.
Non sarà facile per nessuno dei due l’impegno in questa Convention perché entrambi
devono riuscire a indicare che Obama merita il voto per restare altri quattro anni alla
Casa Bianca, ma non devono assolutamente sovrastare con la loro figura e il loro
intervento il presidente.
268
4 SETTEMBRE 2012
Charlotte
I democratici aprono stasera a Charlotte la 'tre giorni' che consegnerà a Barack
Obama la nomination per cercare la rielezione.
Sul tavolo subito la loro carta forse migliore: la moglie Michelle che non chiama
quasi mai Mitt Romney per nome e che tenterà ovviamente di tratteggiare
un'immagine del presidente del tutto accattivante.
La first lady, che in questi anni si è tenuta alquanto alla larga dalle polemiche
concentrandosi sulla famiglia e su battaglie quali la lotta alla obesità, dovrà mettere a
segno i primi punti per tentare di sbloccare lo stallo elettorale che inchioda la corsa
del marito.
Per farlo, proverà a parlare al cuore delle donne.
Cercherà di far capire che il miliardario mormone non è in sintonia con la 'middle
class'.
Racconterà il Barack privato, padre, amico, sposo.
Le solite cose, insomma.
In campo, con lei, un astro nascente della politica democratica, il sindaco di San
Antonio, Julian Castro.
E' il primo ispanico che pronuncia il discorso principale nella notte inaugurale della
convention democratica.
Avrà lo stesso compito che svolse decisamente bene Barack Obama nel 2004.
Castro ha molti punti in comune con il suo mentore: insieme al fratello gemello
Joaquin é stato cresciuto da una madre single, una donna impegnata nella tutela dei
diritti degli immigrati di origine messicana, ed è arrivato fino ad Harvard.
Incarna in casa democratica il sogno americano in salsa ispanica.
A Charlotte l'ex presidente Jimmy Carter stasera si rivolgerà ai delegati in
videoconferenza.
Non mancherà un omaggio al 'vecchio leone', il senatore Ted Kennedy, morto nel
2009.
269
5 SETTEMBRE 2012
Charlotte, il primo giorno: Michelle all’attacco
“Fin dal primo giorno della convention il partito della sinistra ha battuto su giovani,
donne e minoranze etniche. Cioè sulle ‘consituency che gli sono più vicine.”
Con queste parole, l’inviato del Corriere della Sera Massimo Gaggi fotografa la
kermesse democratica di Charlotte nel cui momento inaugurale Michelle Obama ha
colpito platea, spettatori e giornalisti col suo intervento nel quale, mai attaccando
Romney, ha parlato da first lady e da madre affermando tra l’altro che il coniuge è la
persona giusta per perseguire il ‘sogno americano’ avendolo vissuto in prima
persona.
Nel contorno, in qualche modo soverchiati da Michelle, l’ex speaker della camera
Nancy Pelosi ed altri maggiorenti del partito.
Particolarmente significativo il lungo spot nel quale si ricordava lo scomparso
senatore Ted Kennedy anche perché, in mezzo alle altre immagini, in un
relativamente vecchio bianco e nero risalente al 1994 allorquando i due si
confrontavano per il posto di senatore del Massachusetts, si vedeva parte del dibattito
tv Ted Kennedy/Romney e si ascoltavano le espressioni a favore dell’aborto
all’epoca uscite dalla bocca dell’oggi antiabortista mormone.
Protagonista assoluto del secondo giorno sarà l’ex presidente Bill Clinton.
270
Denver dice 320 a 218 per Romney
La Tampa repubblicana ha chiuso i battenti mentre a Charlotte prosegue la kermesse
democratica ed ecco che l’Università di Denver, Colorado, propone una previsione
assai difforme rispetto a quelle correnti.
I professori Kenneth Bickers e Michael Berry, considerati i mille fattori in campo ma
soprattutto, e non poteva essere altrimenti, l’andamento dell’economia, concludono
una loro analisi Stato per Stato affermando che degli undici attuali ‘swing States’
(quelli in bilico) Obama ne conquisterà solo due, Iowa e New Mexico, mentre gli
altri andranno a Romney che quindi arriverebbe a trecentoventi delegati su
cinquecentotrentotto lasciandone al rivale solo duecentodiciotto e strappandogli
White House.
Inoltre, i due prevedono che i voti popolari a livello nazionale saranno in tal modo
ripartiti: cinquantadue e nove per cento a Romney e quarantasette e uno a Obama.
Praticamente, si tornerebbe ad un recente passato, con il candidato democratico in
grado di prevalere solo in tutti gli Stati sulla costa pacifica (tranne l’Alaska), nelle
Hawaii, e negli Stati che si affacciano nel nord del Paese sull’Atlantico (oltre che nei
due sopra citati) perdendo in tutti gli altri.
L’analisi dei professori dell’Università di Denver è accuratissima, al punto di
prevedere perfino la distribuzione dei delegati spettanti al Maine che non segue
(come il Nebraska) per l’attribuzione il sistema ‘winner take all’.
Ebbene, tre andrebbero ai democratici e uno, specificamente quello del secondo
distretto, ai repubblicani.
Staremo a vedere ma va segnalata comunque questa ‘prima volta’, inoltre molto
netta nei numeri, a favore di Romney.
Obama(a detta di Obama) in economia merita un ‘incomplete’
Se dovesse darsi un voto, Barack Obama in economia non si darebbe la sufficienza.
Rispondendo ad una domanda diretta (“Ha ereditato una brutta situazione, ha avuto
tre anni e mezzo per aggiustarla, quale voto si darebbe?”) durante un'intervista alla
Kktv del Colorado, il presidente ha in effetti detto che si darebbe un ‘incomplete’, il
voto che prendono gli studenti che non hanno completato i compiti.
“Lo sa che dovrei dire che mi metterei un incompleto”, ha risposto il presidente,
“Ma quello che voglio dire è che i passi che abbiamo intrapreso per salvare
l'industria automobilistica, per fare in modo che l'università sia accessibile a tutti e
per investire in energia pulita, scienza, tecnologia e ricerca, queste sono tutte cose
che devono crescere nel lungo termine”.
Ovviamente, l’uscita non molto felice di Obama è stata subito sfruttata dai Gop che
hanno parlato di una da lui stesso riconosciuta incapacità ad affrontare e risolvere i
gravissimi problemi in materia.
271
Perché Hillary Clinton ed Andrew Cuomo non sono a Charlotte?
E’ il momento di porsi un paio di domande.
La prima è: come mai il segretario di Stato Hillary Clinton ha deciso di tenersi alla
larga da Charlotte preferendo andarsene in giro per il mondo anziché appoggiare
esplicitamente e personalmente Obama?
Come mai, poi, il governatore del New York, non un fringuello qualsiasi, Andrew
Cuomo si è a sua volta eclissato?
Non vogliono essere troppo coinvolti temendo una sconfitta?
Sperano magari e persino che Romney prevalga per avere quattro anni di tempo per
proporsi, nuovamente nel caso della signora o per la prima volta in quello del figlio
di Mario Cuomo?
Certo è che le fila democratiche, pur rappresentando il partito in qualche modo il
futuro con le sue aperture su temi a proposito dei quali i Gop sono in retrovia, non
possono contare su giovani di belle speranze.
Dove sono i futuri antagonistii dei molti repubblicani delle nuove generazioni già
fattisi prepotentemente avanti?
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6 SETTEMBRE 2012
Charlotte, il secondo giorno: il ciclone Bill Clinton
“Voglio generali fortunati”, diceva Napoleone e se avesse potuto incontrare ai suoi
tempi Bill Clinton lo avrebbe promosso generale sul campo tanto l’uomo è fortunato.
E’, per il vero, anche brillante, trascinante nell’eloquio, divertente, in grado di menare
come nessun altro il can per l’aia.
E’ uscito indenne da scandali sessuali che hanno rovinato politici migliori di lui
(Gary Hart, per fare un nome), ha fatto dimenticare i due mesi di bombardamenti
ordinati e portati avanti sull’ex Jugoslavia, è vissuto di rendita in economia sulla scia
reaganiana…
Rappresenta, evidentemente (è uscito dalla Casa Bianca nel gennaio del 2001), la
vecchia generazione ma è talmente in palla da essere l’uomo di punta dello spento
panorama democratico.
Ebbene, eccolo a Charlotte galvanizzare i presenti e gli spettatori tv con un vibrante
discorso di cinquanta minuti o poco meno.
Obama? Nessuno avrebbe potuto fare meglio di lui nella situazione data, ha affermato
e non essendo possibile dimostrare il contrario ha avuto buon gioco davanti alla
platea di amici che pendeva dalle sue labbra.
La stampa? I media? Lo hanno sempre amato ed anche in questa occasione si sono
sperticati in elogi per lui e per le parole pronunciate.
Con Michelle, è la stampella alla quale si appoggia il presidente.
Basterà?
273
7 SETTEMBRE 2012
Charlotte, il terzo giorno: il discorso di Obama
Barack Obama, nell’intervento tanto atteso alla convention democratica ha chiesto
agli americani di avere pazienza: la strada della ricostruzione della debole economia è
lunga e difficile.
Accettando la nomination presidenziale, il capo dello Stato in carica è stato più
realista rispetto al suo messaggio del 2008 impostato su “speranza e cambiamento”.
In un contesto appesantito da guerre, alto tasso di disoccupazione e stallo politico,
Obama ha usato toni più sommessi e meno esuberanti.
Ha detto agli americani che sono chiamati a prendere due strade profondamente
diverse a seconda che scelgano lui o Romney il prossimo 6 novembre, aggiungendo
che la sua strada potrebbe essere dura ma che porterà necessariamente ad un
rinnovamento dell'economia.
“America, non ho mai detto che questo viaggio sarebbe stato facile e non ve lo
prometto ora”, ha aggiunto.
“Si, il nostro cammino è più difficile, ma ci porterà in un posto migliore.
Si, la nostra strada è più lunga, ma viaggeremo insieme”.
Obama spera di ricreare la magia della campagna di quattro anni fa e generare
nuovamente entusiasmo tra gli elettori, preoccupati dalla crisi economica.
Nel suo discorso, ha sostenuto che le sue misure economiche, come il salvataggio del
2009 dell'industria automobilistica, stanno funzionando e ha chiesto agli americani di
appoggiare una serie di obiettivi: l'espansione del settore manifatturiero ed energetico
e le esportazioni Usa, il miglioramento dell'istruzione e il taglio di miliardi di dollari
dal debito americano.
Secondo Obama, tutto quello che vuole fare Romney è premiare la ricchezza con
tagli delle tasse, deregolamentando le banche e consentire alle società energetiche
una politica di maggiori trivellazioni petrolifere.
Ovazioni in sala, come da copione.
274
Una domanda
A conclusione delle due convention, una domanda conseguente ad una constatazione
possibile a tutti guardando ai due partiti oggi.
Come mai in casa Gop i giovani quarantenni o addirittura meno già illustratisi a
livello nazionale sono millanta e quelli del partito dell’asino pochissimi?
E’ vero, da sempre la situazione è un po’ questa ma oggi la differenza è aumentata.
I democratici chi possono contrapporre per il futuro a Paul Ryan, Bob Jindal, Chris
Christie, Rob Portman, Susana Martinez e compagnia bella?
Il materiale umano conta e non poco nel sistema americano e da questo punto di
vista i repubblicani stanno meglio senza dubbio.
275
8 SETTEMBRE 2012
Occupazione, colpo duro per Obama, un commento di Federico
Rampini per Repubblica dopo Charlotte
“Già ieri sera i commenti dopo il discorso di Obama alla convention di Charlotte
erano per lo più tiepidi: discorso serio, dignitoso, in massima parte giusto, eppure
senza il fuoco della passione di una volta.
Al confronto la star di Charlotte è stato Bill Clinton. Poi stamattina (ore 8.30 sulla
East Coast) è arrivato il colpo di grazia con il dato sull’occupazione nel mese di
agosto.
La creazione di posti di lavoro aggiuntivi (al netto dei licenziamenti) è stata di soli
novantaseimila posti cioè inferiore alle attese (centoventimila) ma soprattutto molto
inferiore ai bisogni.
Per riassorbire in tempi rapidi la disoccupazione creata dalla crisi, più le nuove leve
che si affacciano sul mercato del lavoro, gli Stati Uniti avrebbero bisogno di creare
almeno duecentomila posti in più al mese.
Il fatto che si sia ridotto il tasso di disoccupazione, dall’otto e tre per cento all’otto e
uno, non rassicura affatto: almeno in parte è dovuto al fenomeno dei disoccupati
scoraggiati, che cessano di cercarsi un posto.
I repubblicani ovviamente stamane hanno fatto la grancassa a questi dati”.
276
PARTE QUARTA
277
LA SFIDA FINALE
9 SETTEMBRE 2012
I giochi sono tuttora aperti
Mancano meno di sessanta giorni al voto del 6 novembre.
Chiuse le due - spettacolari e costruite per lo spettacolo secondo rigidissimi copioni kermesse che ben poco, nella sostanza, hanno significato, il presidente in carica e lo
sfidante oramai ufficiale sono pronti al confronto finale.
Tutti gli osservatori, tutti i sondaggi (anche quelli ‘pilotati’ dall’uno o dall’altro
fronte) concordano nel dire che la situazione è di parità e che i giochi si svolgeranno
negli Stati tuttora incerti (swing).
Gli sforzi, quindi, delle due macchine organizzative, gli interventi pubblicitari, le
visite di Obama o di Biden, di Romney o di Ryan, si concentreranno sulla Florida
piuttosto che sull’Ohio, sull’Iowa piuttosto che sul Nevada e via elencando (sono
undici i ‘tossup States’, quelli per i quali le rilevazioni per le intenzioni di voto
dicono che non v’è certezza quanto all’assegnazione).
Inutile, ovviamente, per i democratici tentare oggi, per fare un esempio, di strappare
il Texas a Romney, altrettanto inutile un eventuale tentativo repubblicano di togliere
il New York ad Obama.
Speriamo che per il tempo che manca ci si concentri sui programmi tralasciando
presunti scandali.
Certo è che i media, interessati agli scoop al punto di inventarsene o cavalcarne
almeno uno al giorno, non danno, come sempre, nessun serio contributo in tale
direzione.
278
Quattro i dibattiti televisivi in programma
E’ a partire dalla tornata elettorale del 1960 che i dibattiti televisivi tra i candidati
alla Casa Bianca hanno preso il via: il primo fu, ovviamente visto il citato anno,
Kennedy/Nixon.
Oggi, dopo che per qualche tempo e in particolare negli anni Settanta hanno avuto
un minore significato e sono stati meno seguiti, pare siano tornati in auge anche se
non incidono affatto, come è ampiamente dimostrato, sui risultati elettorali.
Comunque, quattro (tre tra Obama e Romney, uno tra Biden e Ryan) sono i confronti
concordati in questo 2012 tra i due schieramenti.
Si comincerà il 3 ottobre (tutte le sfide sono programmate in questo mese) a Denver,
Colorado.
Poi, l’11, a Denville, Kentucky, alla ribalta saranno i due vice.
Ancora, presidente e pretendente il 16, a Hempstead, New York.
Infine, il 22, a Boca Raton, Florida.
279
10 SETTEMBRE 2012
Documenti
Altro che l’economia: determinante l’assenza o la presenza di Dio nei
due programmi?
“L’economia, decisiva sarà l’economia”.
“Se i dati relativi all’occupazione non migliorano Obama è fuori”.
“Gli americani votano guardando al portafoglio”…
E via dicendo e scrivendo sul tema da parte dei media e degli osservatori da quando
la lunga campagna elettorale americana 2012 ha preso il via.
Tanto che è di queste faccende che si è in particolare discusso anche durante le
primarie repubblicane.
Tanto che alla fine Mitt Romney è riuscito a prevalere in quell’ambito forse
soprattutto per la fama di uomo capace di trattare con grande successo i temi
economici che si porta dietro.
Ora, è vero, il mondo intero – non solo, quindi, gli Stati Uniti - cerca di vivere il
meglio possibile, ma, a ben guardare, non poca importanza hanno avuto, hanno e,
credo e spero, avranno sempre, specificamente a proposito della scelta del presidente
americano, altri argomenti in qualche modo maggiormente significativi.
Mi riferisco alle idee, alle ideologie, naturalmente, ed in più alle questioni morali, alla
religione.
E, trattando in particolare di quest’ultima e dell’influenza che ha avuto fin dalle
origini sulla vita politica e sul ‘sistema’ americano, come non ricordare che, per
esempio, se si vota di martedì è perché “la domenica non è possibile farlo in quanto
giorno riservato al Signore ed occorre poi lasciare il tempo, il lunedì, agli elettori
perché raggiungano i seggi per esprimere il voto”?
Che, altro esempio, si decise che “si vota il primo martedì dopo il primo lunedì di
novembre” e non semplicemente il primo martedì di quel mese per impedire che si
sia chiamati alle urne il giorno di Ognissanti?
E ancora, che al momento dell’insediamento del nuovo inquilino di White House a
nessuno è mai venuto in mente, pur essendo ciò consentito dalla Carta costituzionale,
di “impegnare il proprio onore” e non di giurare, come è sempre accaduto, sulla Sacra
Bibbia?
Ebbene, pare, sembra, può darsi che questa consuetudine, questa unione
politico/religiosa che mai, peraltro, ha portato le diverse Chiese americane a cercare
di imporre attraverso uno o più movimenti partitici ad hoc creati le proprie idee e
ragioni stia, se così si può dire, per tramontare.
Si tratta pur sempre di un comizio elettorale e l’animus pugnandi è in quest’ambito
prevalente, ma la recente sottolineatura in Virginia da parte del candidato
repubblicano Mitt Romney di un determinato fatto, mettendo in luce, sotto i riflettori,
una verità ai più sfuggita, è importantissima e conferma una profonda
differenziazione tra i due partiti dominanti.
280
Dal programma (platform) dei democratici approvato a Charlotte nel corso della loro
convention – ecco quanto ha ricordato ai presenti e all’America tutta il rivale del
presidente in carica - è sparito qualsiasi riferimento a Dio, di contro ogni volta
presente in passato ed anche nel 2008, allorquando candidarono l’attuale inquilino di
White House Barack Obama.
Ove si rammentino le assolutamente contrastanti opinioni in materia di aborto – che
larghissima parte dei repubblicani vieterebbe in modo categorico nel mentre una
buona fetta dei rivali lo ammetterebbe, starei per dire, sempre - in ragione delle quali
come già nel recente passato gli evangelici e molte altre Chiese protestanti si sono
posizionate sul fronte conservatore…
Ove si tengano in considerazione anche le fortissime resistenze repubblicane al
riconoscimento del matrimonio tra gay e ad altre cosiddette ‘aperture’ nei loro
confronti…
Ove si veda il quadro complessivo, come non capire lo schierarsi al fianco del Grand
Old Party (come viene denominato il partito di Romney) perfino della Chiesa
cattolica statunitense?
Non che ciò sia accaduto ufficialmente, ma è a Tampa, alla kermesse repubblicana,
che si è affacciato personalmente il cardinale di New York e presidente della
Conferenza Episcopale USA Timothy Dolan per impartire la sua benedizione.
E per capire quanto rivoluzionario sia questo momento: fin dai tempi dei tempi i
cattolici sono stati in larga maggioranza democratici tanto che mai uno di loro è stato
scelto come candidato a White House dal Gop nel mentre in ben tre occasioni (Alfred
Smith, John Kennedy e John Kerry) ciò è accaduto in casa dei rivali.
A ribadire questa nuovissima unione di intenti - oltre che, ovviamente, a solidificare
lo strettissimo rapporto esistente tra larga parte dei protestanti conservatori e il Gop ecco, ancora nel precitato comizio in Virginia, Romney gridare alla folla:
“Io non toglierò mai Dio dal nostro programma.
Non toglierò Dio dal mio cuore.
Noi siamo una nazione nobilitata da Dio…
Noi, popolo americano, abbiamo ricevuto i nostri diritti non dal governo ma da Dio
stesso!”
N.B. E’ l’avvicinamento tra cattolici e repubblicani uno dei tanti, continui
cambiamenti della società e per conseguenza della politica americana.
Si pensi ai neri, liberati dalla schiavitù dai repubblicani, con loro fino a Franklin
Delano Roosevelt e al suo New Deal che ritennero a loro vicino e poi traghettati tra i
democratici con la ‘Nuova società’ e le grandi riforme interne di Lyndon Johnson.
Si pensi al fatto che per lunghissimi decenni nella comune percezione rinnovatori
erano i repubblicani e conservatori i democratici ed oggi è il contrario.
Si pensi al fatto che dalla Guerra di Secessione fino addirittura agli anni
Cinquanta/Sessanta del Novecento il Nord del Paese in quanto progressista era
praticamente tutto repubblicano mentre il Sud democratico era per esempio
graniticamente segregazionista.
281
Oggi è l’esatto contrario almeno per quanto riguarda la geopolitica considerando che
il Gop prevale largamente proprio al Sud (oltre che nel Midwest) e i democratici nel
Nord (oltre che negli Stati sul Pacifico, Alaska esclusa) in particolare sulla costa
atlantica.
La Storia si muove, occorre ricordarlo!
282
Nuovi quattrini e nuovi sondaggi
Barack Obama sembra mantenere la guida della corsa alla rielezione e la novità
delle ultime ore é che il presidente uscente e i democratici, nel mese di agosto, sono
riusciti a raccogliere oltre centoquattordici milioni di dollari in finanziamenti
battendo Mitt Romney per la prima volta negli ultimi mesi (ad agosto, il candidato
del Gop si é fermato a centoundici milioni di dollari).
Intanto, secondo un sondaggio Reuters/Ipsos reso noto domenica 9 settembre, il
presidente uscente mantiene la spinta di popolarità conquistata con la convention
Democratica: su millequattrocentodiciannove probabili elettori intervistati on-line
nei precedenti quattro giorni, il quarantasette per cento ha detto che avrebbe votato
Obama, il quarantatre Romney.
283
11 SETTEMBRE 2012
C’è chi ‘rimbalza’ e chi no: giorni difficili per Mitt Romney
Quasi sempre, quasi sempre, terminata una convention, il candidato del
partito che l’ha indetta ha un beneficio nelle intenzioni di voto e tale
beneficio viene immediatamente esplicitato dai sondaggi.
Ebbene, particolare che deve preoccupare Romney e i repubblicani, dopo
Tampa il ‘rimbalzo’ (come viene gergalmente indicato il fenomeno) Gop è
stato minimo mentre dopo Charlotte Obama e i democratici vengono
dichiarati in grande spolvero.
E questo nel momento in cui i dati economici e relativi all’occupazione
sono negativi, la qual cosa dovrebbe danneggiare il presidente in carica.
Qualcuno nell’entourage del mormone crederà sia ora di modificare
almeno parte del programma (già Romney ha rettificato le proprie
posizioni sull’Obamacare).
Penso che non ci sia scelta peggiore: un signore, un partito che cambiano
spesso opinione, a seconda del vento e di come tira, non danno vero
affidamento e possono essere assai facilmente attaccati dai rivali.
284
Come e perché si trucca un sondaggio elettorale
In America per poter votare è necessario iscriversi alle liste elettorali.
Nel farlo, la maggior parte (non è un obbligo) delle persone dichiara la propria
vicinanza all’uno o all’altro partito, la qual cosa consentirà poi agli elettori
ufficialmente schierati di partecipare alle primarie ‘chiuse’ (quelle, appunto, alle
quali gli indipendenti e i simpatizzanti di altri movimenti non sono ammessi) che
sono maggiormente in uso nella fase che conduce alla scelta del candidato a White
House.
Ora, un istituto di rilevazioni sulle intenzioni di voto che intenda per qualsiasi
ragione (vicinanza ideale o politica, quattrini…) condizionare i risultati dichiarando
un non esistente vantaggio dell’uno o dell’altro candidato riesce a farlo
tranquillamente utilizzando appunto le predette liste elettorali.
Facciamo un’ipotesi che, ahimè, si rifà a molti casi specifici.
Il sondaggio ‘deve’ dimostrare che il signor XY, un democratico, è nettamente in
vantaggio nelle intenzioni di voto, che so?, in Pennsylvania?
Facilissimo: si includono nell’elenco delle persone da intervistare via telefono un
numero maggiore di democratici e, di contro ovviamente, un numero minore di
repubblicani e l’esito è sicuro.
La domanda a questo punto è, perché lo si fa?
Semplice: per scoraggiare non tanto il partito avverso (che ha i suoi dati e sa come
vanno le cose) quanto gli elettori della controparte.
Se arrivassero questi alla conclusione che la battaglia sia persa potrebbero
restarsene a casa e non votare a tutto vantaggio dei rivali.
Non parliamo, poi, dell’uso scorretto che si fa nel giorno elettorale degli exit polls.
A seconda della loro collocazione geografica, gli Stati hanno differenti fusi orari e
pertanto quelli sulla costa atlantica aprono e chiudono i seggi prima degli altri e di
ore ed ore (si pensi alle lontanissime Hawaii) man mano che si va ad ovest.
Se - è successo e succederà – se un istituto, dopo la chiusura delle urne degli Stati
atlantici dichiarasse che dai suoi exit polls il candidato XY ha già vinto tale
affermazione potrebbe indurre gli elettori dell’altro candidato a non recarsi ai seggi.
per esempio negli Stati sul Pacifico, ritenendo a quel punto inutile il loro voto.
285
12 SETTEMBRE 2012
L’uccisione dell’ambasciatore USA in Libia e i moti anti americani nei
Paesi arabi
“E’ indegno che la prima reazione dell’Amministrazione Obama sia stata non di
condannare l’attacco ma di simpatizzare con gli aggressori”.
Queste le parole con le quali l’entourage repubblicano ha reagito al comunicato
emesso dalla Casa Bianca dopo il feroce assalto dell’11 settembre alla sede
diplomatica USA a Bengasi, Libia, costato la vita all’ambasciatore americano nel
Paese arabo Christopher Stevens e a tre suoi concittadini.
Secca e dura la replica democratica.
Il tutto, a seguito della circa lozione su internet del trailer del film di produzione USA
‘L’innocenza dei mussulmani’ che gli islamici considerano blasfemo.
Torna alla mente l’Iran del 1979, la lunga prigionia degli americani catturati
all’ambasciata di Teheran, l’incertezza del presidente Carter, il fallimento delle
trattative e dell’azione militare intrapresa per liberarli, l’influsso negativo per il
partito dell’asino che ebbero tali accadimenti sulle elezioni del seguente 1980.
E’ vero, quella oramai lontana vicenda fu di lunghissima durata e non pare che oggi
ci si trovi in una situazione analoga, ma l’America è stata colpita gravemente.
Sarà importante vedere come reagirà Obama e con quali risultati.
E infine, i moti anti USA in atto per il medesimo motivo anche in Egitto saranno
contenuti?
286
Come voterebbero gli europei solo il trentotto per cento dei quali ha una
vaga idea di chi sia Romney?
Gli europei – solo un misero trentotto per cento dei quali sa dire vagamente chi è
Romney - se dovessero eleggere il presidente americano sceglierebbero senz’altro
Obama.
L'annuale sondaggio condotto dal fondo per il piano Marshall in Germania, segnala
un settantacinque per cento di preferenze per Obama contro solo l'otto per il suo
sfidante repubblicano.
I maggiori e convinti sostenitori del presidente americano sono i francesi
(ottantanove per cento) e i tedeschi (ottantasette), mentre l'Europa orientale é
critica: solo il quaranta per cento dei bulgari e il trentacinque dei polacchi voterebbe
per Obama.
In Italia il settantatre per cento voterebbe per Obama e solo il nove per Romney.
Praticamente le stesse percentuali – preferenze repubblicane comprese dei Paesi una
volta d’oltrecortina - rilevate sia nel 2004 (a favore di Kerry e contro G.W.Bush)
che nel 2008 (pro Obama e anti McCain).
Dopo di che, votando, come è ovvio, non gli europei ma gli americani, nella prima
occasione vinse invece alla grande il secondo Bush.
I bookmaker, gli scommettitori a le elezioni USA 2012
A primarie repubblicane appena cominciate, la quota decisa dai bookmaker
relativamente alla possibile conquista della Casa Bianca da parte di Mitt Romney
era di sette e mezzo contro uno.
Oggi, dopo Tampa e Charlotte, la medesima quota è di due e cinquantatre sempre
contro uno.
Quel che è importante sottolineare non è tanto il vistoso ma comprensibile (è il
candidato ufficiale Gop e gli altri sono fuori gioco) calo quanto il fatto che
larghissima parte degli scommettitori lo preferisca.
Obama resta comunque il favorito anche qui ma il suo vantaggio va decisamente
calando.
Elettori sposati e non sposati (‘marriage gap’)
Sondaggi di ogni tipo, naturalmente e, secondo uno di questi tra le ‘chiavi’ delle
prossime elezioni presidenziali ci sarà il ’marriage gap’.
Solitamente, si deve sapere, le persone sposate votano per i repubblicani.
E' quasi impossibile che il presidente Barack Obama possa competere con Mitt
Romney da questo punto di vista, ma accorciare il divario sarà fondamentale, come
lo è stato per Bill Clinton nel 1996 (meno due per cento) e per lo stesso Obama
quattro anni fa (meno dodici contro John McCain).
Secondo un'analisi Gallup, portata avanti da giugno, Obama è in svantaggio di
quindici punti.
287
Il cinquantaquattro per cento delle persone sposate - in gran parte bianche,
religiose, over trenta e con un reddito superiore ai cinquemila dollari al mese sostiene il candidato repubblicano, mentre il trentanove sceglie il presidente in
carica.
Tra gli americani non sposati, invece, Obama gode del cinquantasei per cento delle
preferenze, contro il trentacinque riservato al rivale.
La disinformazione giornalistica ai danni del Gop e di Mitt Romney
Larga parte della stampa e dei media in genere, in Italia ma non solo (il male è
diffuso), tifa spudoratamente per Obama e mal digerirebbe una vittoria di Mitt
Romney.
E’ una ripetizione per molti versi di quanto ogni quadriennio da almeno
cinquantadue anni – dalla campagna Kennedy/Nixon del 1960 – accade: il
democratico, infatti, è ritenuto genericamente ‘di sinistra’ da una pletora di
giornalisti che in quella collocazione politica trovano modo di sbarcare il lunario e,
sostenendosi l’un l’altro in quanto ‘compagni’, di mettere insieme pranzo e cena.
Di contro, ovviamente, il repubblicano, chiunque sia, è considerato ‘di destra’, e va
bene, nemico in sostanza della democrazia, guerrafondaio.
Il fatto che, a parte l’essere destrorso, le restanti attribuzioni storicamente siano
falsissime non conta: hanno deciso e la verità (per esempio, che in tutte le guerre del
Novecento, quella del Golfo esclusa - ma era sotto l’egida dell’ONU – gli Stati Uniti
sono entrati in stato di belligeranza nel mentre alla Casa Bianca sedeva un
democratico) non conta, se e quando sia da pochissimi tra costoro, per il solito dotati
di una granitica ignoranza, conosciuta.
Ecco, pertanto, che quel che si legge riguardo ai repubblicani e nel caso a Romney
sui quotidiani e soprattutto quel che viene sparato sul web in corso di campagna
elettorale è quasi in ogni occasione qualcosa di terribilmente negativo.
Pare, a leggere il Corriere della Sera, Repubblica e compagnia cantante, a scorrere
le differenti fonti internettiane, che il Gop intero sia formato da persone facili alle
gaffe, senza dubbio poco intelligenti, contrarie alla povera gente, sempre in procinto
di mettere mano alle armi, anche fisicamente non gradevoli, eccetera…
Pare, al contrario, ancora appellandosi a queste onestissime fonti, che i democratici
e Obama siano prima di tutto belli, buoni, generosi, desiderosi di pace, aperti alle
istanze, in una sola espressione ‘politicamente corretti’, il massimo della vita.
Ora, in tal modo forzatamente, anche contro la verità, operando, capita di prendere
di quando in quando un granchio.
Subito, qualche repubblicano interviene a denunciare il travisamento o la forzatura
di quanto vergato o detto dai media filo democratici.
Inutilmente: la smentita non viene presa in considerazione alcuna o, se va bene,
viene seppellita in una pagina interna sotto un titolo anonimo o fuorviante o riferita
in coda a giornali radio e tg.
Non posso assicurare che allo stesso modo non si comporterebbero i Gop e la destra
in genere se controllassero i media come fa la sinistra, la controprova è impossibile.
288
Gene Hackman nei panni di Romney
Da qualche tornata elettorale, tra le mille domande che vengono fatte ai due
candidati a White House, anche questa: “Dovessero fare un film su di lei, chi
potrebbe impersonarla al meglio?”
Quattro anno fa, Obama aveva risposto “Will Smith”.
Ieri, Romney ha replicato “Gene Hackman”, aggiungendo che nel ruolo della moglie
Ann vedrebbe bene Michelle Pfeiffer.
289
16 SETTEMBE 2012
Documenti
Alle ‘anime belle’ Romney non piace, un articolo di MdPR
“Questo Romney non mi piace per niente e poi infila una gaffe dietro l’altra…”
Nel dirmi queste poche parole, la Signora XY ha un’aria imbarazzata.
La imbarazza la per lei evidente ‘rozzezza’ del candidato repubblicano, quel suo
essere irrimediabilmente ‘di destra’ e per conseguenza, ovviamente, poco
presentabile.
“Ma, insomma”, pensa di certo e lascia capire, ”queste arretratezze culturali, questa
dura opposizione all’aborto libero, questo agitarsi contro il matrimonio e le altre
aperture nei confronti dei gay, questo amor di patria continuamente sbandierato,
questo duro approccio economico, il voler sostenere ad ogni costo un’idea di America
tanto superata…
E quel parlare di Dio…
E la difesa della famiglia…
Troppo, troppo davvero”.
“E poi”, sicuramente, dentro di sé, concludendo con una quasi impercettibile smorfia
di disgusto, “è ricco: tutti quei soldi”.
La Signora - una buona amica da anni - appartiene (e non so quanto
consapevolmente) a quella sinistra abbiente, decisamente molto molto chic, che
certamente si distingue dai mille e mille ignorantissimi e beceri ‘sinistri’ che ben
conosciamo, ma che, alla fine, si schiera dalla loro stessa parte.
Il classico prodotto della commistione tra i vecchi democristiani non conservatori, i
comunisti ‘all’italiana’ e tutta un’infinita varietà di movimentucoli (spessissimo, per
il vero, in altri tempi, usi ad imporsi con la violenza) portatori di istanze la cui
comune caratteristica è, deve essere oggi, infine, il ‘politically correct’.
Tante e care ‘anime belle’.
I suoi amici – non che lei li conosca necessariamente di persona: quelli che la
pensano allo stesso modo – imperversano nei media ovviamente ‘radical chic’.
Sono firme, volti o voci di riferimento la cui principale caratteristica, insopportabile,
è quella di non dichiararsi.
Parlano, giudicano, alzano il ditino ammonitore contro quegli zoticoni dei
repubblicani ma lo fanno fingendo una inesistente imparzialità che dona loro, nei
confronti dei lettori per la grandissima parte non avvertiti, autorevolezza.
Nulla, in verità ed è dimostrabilissimo, sanno della lunga storia dei partiti USA oggi
dominanti, nulla sanno delle primarie ideologie e delle mutazioni, delle idee, dei
continui movimenti in ragione dei quali le posizioni politiche e geopolitiche dei
democratici come dei repubblicani hanno subito e subiscono anche sostanziali
variazioni.
290
E se per caso qualcosa che contrasti con le loro odierne determinazioni (in
pochissimi) ricordano, provvedono a cancellarla: un non imposto e gradito processo
di rimozione bello e buono.
Ora, a quali concreti risultati conduce tutto questo pensare, agitarsi, parlare, scrivere?
Forse che l’elettore americano di fede repubblicana tiene in qualche modo conto dei
dubbi della gentilissima Signora XY, delle prese di posizione dell’autorevole firma di
un qualche giornale o del conosciuto volto di uno dei mille canali tv italiani, europei
o, addirittura, USA stessi?
Forse che il Gop o Mitt Romney, bacchettati sulle dita dai maestrini della sinistra
chic, cambiano idee e atteggiamenti?
L’intento, il fine vero ed ultimo del candidato e del suo ‘running mate’ Paul Ryan è
quello di compattare le fila repubblicane, di ottenere che tutte le componenti del
partito, da quelle maggiormente centriste (una definizione che individua posizioni
politiche particolari: un centrista italiano è tutt’altra cosa e si pensi a Casini) a quelle
radicali di destra, dai libertari alla Ron Paul agli indispensabili (se mancano i loro
voti il Gop perde e basta) evangelici e ai Tea Party il prossimo 6 novembre si rechino
in massa alle urne.
E’ una chiamata, quella di Romney, uguale a quella del 2004, allorquando tutto il
mondo voleva e si muoveva per la defenestrazione dell’impresentabile e vituperato
George Walker Bush e l’avvento del ‘salvatore’ John Kerry.
Allorquando i sondaggi (come oggi dicono per Obama) davano lo sfidante in testa.
Allorquando l’attacco dei democratici fu respinto alla grande nei seggi dal voto
popolare.
E’ vero, nei trascorsi otto anni molta acqua è passata sotto i ponti e, a quel che pare,
larga parte dei nuovi e tanti elettori non Wasp (white, anglosaxon, protestant) si
schiererà a favore di Obama.
E’ vero, molti degli Stati da lunghi decenni abitualmente ‘red’ (quelli democratici
vengono definiti ‘blue’) hanno visto l’arrivo di nuovi residenti
(come dimostrato dal censimento nazionale del 2010), probabilmente, proprio in
quanto non acclimatati, pronti ad esprimersi, se andranno alle urne, per il presidente
in carica.
E’ vero, tutto questo e un particolare ‘clima’ che si va da almeno un decennio
instaurando mi fa dire che se il partito repubblicano non tornerà ad essere quello che
originariamente era si troverà a lungo in difficoltà.
E’ quindi vero, Obama ha la concreta possibilità di conquistare un secondo mandato
ma non certamente per i raccapricci della Signora XY, per l’agitarsi dell’analista o
del commentatore di questo o quel media.
291
Non certamente perché Romney o Ryan abbiano commesso quelle che i radical chic
considerano gravissime gaffe e che invece gli elettori – contano loro, ricordiamocelo
– specie se Gop, non tengono in nessun cale o addirittura apprezzano!
292
Obama teme che gli elettori di fronte all’attuale esplosione anti USA
dubitino del suo operato ai tempi della ‘primavera araba’
In un giorno che sembra essersi aperto in relativa calma, almeno rispetto alle
giornate precedenti nel corso delle quali si sono susseguiti attacchi a varie
ambasciate occidentali in quasi tutto il mondo islamico, gli USA hanno deciso di
premunirsi e di chiedere agli ambasciatori di Tunisia e Sudan, i due stati più colpiti
dalle manifestazioni contro il film ‘Innocence of Muslims’, di lasciare il posto di
lavoro e tornare a casa.
Gli stessi cittadini americani presenti in Tunisia sono stati invitati ad andarsene
salendo sul primo aereo disponibile.
Cerca quindi di mettersi in sicurezza Barack Obama, il quale ha fatto sapere alla
stampa che reputa questa in corso la più grave e problematica questione di politica
estera occorsa durante la sua amministrazione.
Soprattutto, il presidente ha detto di temere che lo scoppio di queste rivolte renda
dubbiosi i cittadini americani su quanto da lui fatto per sostenere le rivoluzioni della
cosiddetta primavera araba.
293
16 SETTEMBRE 2012
Documento
Diamo voce ai complottisti: ‘Come distruggere Barack Obama con la
nuova Guerra Santa’, un fantasticoarticolo di Angelo D’addesio
15 settembre 2012
Vogliamo veramente credere che un film, per quanto provocatorio e demenziale
sull’Islam e sulla vita di Maometto, basti per scatenare tutto questo putiferio anti-Usa
improvvisamente in Libia, in Egitto, in Tunisia, in Yemen ovvero in tutti quei paesi
che gli Usa stessi hanno aiutato nella loro inutile primavera?
Come non vederci un piano ben preciso a meno di due mesi dalle elezioni per
liquidare Barack Obama?
Da quanto tempo si parla di Obama come di un novello Carter, invischiato in una
pesante recessione economica, nella pesante crisi iraniana, nell’uomo della pace che
negli Usa equivale a fallito, perdente, pavido, incapace di affrontare le crisi?
E non fu forse Carter a perdere con uno dei candidati repubblicani più improponibili
(alla fine poi non fu così), attore di secondo piano, tal Ronald Reagan?
Non è normale che ambasciate e consolati americani siano stati assaltati in modo così
duro, con l’ingresso di persone oltre i cancelli, una vera e propria invasione e che in
tutto questo marasma non ci sia stata una difesa anche dura dei marines che in altre
circostanze non hanno rinunciato a sparare, rischiando anche di uccidere molti civili,
non ci sia stato alcun avvertimento ed alcuna previsione da parte della CIA o dei
servizi segreti e soprattutto ci sia stata l’accondiscendenza o l’assoluta inerzia di stati
alleati come Giordania, Arabia Saudita, Israele ed altri.
Sì, direte voi, questa è la teoria del perfetto complottista, tipica di chi pensa che
l’attacco alle Torri Gemelle sia stato organizzato in casa, che in fondo Guantanamo è
soltanto la normalità di quello che accadde nelle prigioni speciali americane, però
nessuno riesce a spiegarsi il motivo di queste coincidenze e per giunta, con un alto
funzionario massacrato per la strada e tre morti sulla coscienza, ovvero uno scenario
di Usa sotto attacco, che invece che a una sospensione della campagna elettorale, Mitt
Romney abbia pensato bene di cogliere la palla al balzo per dire al mondo che Obama
è impotente ed impaurito.
Quanto alla ‘primavera araba’, quello è uno sbaglio tutto targato Obama: appoggiare i
ragazzini senza sapere che dietro quelli si nascondevano i paladini della Guerra
Santa, tutto pseudo-terroristi anti-americani (e poco conta che si chiamino Fratelli
Musulmani, Hezbollah o Al Qaeda).
La verità è che ormai in tutti i Paesi dove è caduto un dittatore si prepara una
repubblica islamica perfino peggiore di quella iraniana, con la Sharia, la caccia al
nucleare, la guerra agli Usa.
E quale migliore candidato di Mitt Romney, un uomo che non ci penserebbe due
volte a lanciarsi contro Iran e Siria e riprendere la guerra a tutto campo, una guerra
294
che fortifica la Grande Nazione Islamica (il sogno di tutti i paesi dell’Islam radicale)
e la renderebbe vittima arricchendola di denari e proseliti.
A questo punto bisogna chiedersi per chi voteranno gli alti gradi militari USA, quelli
dei servizi segreti, la lobby israeliana ed ebraica, l’Islam moderato impaurito
dell’escalation di quello radicale, la grande industria che nella guerra troverebbe la
manna dal cielo e tutta quell’America orgogliosa che si è vista attaccare di nuovo, in
piena crisi economica, e ben presto sognerà il riscatto?
Semplice, no.
Sono tutti d’accordo.
295
Inquietudini settembrine e prospettive Gop
Nel mentre gli insegnanti a Chicago scioperano e le proteste dei cosiddetti
‘indignati’ e di ‘occupy Wall Street’ pungono a giorni alterni…
nel mentre nei Paesi arabi le sedi diplomatiche USA sono spesso sotto assedio e in
qualche caso devono essere evacuate…
nel mentre Obama pare abbia deciso di inviare i marines per rinforzare le difese di
ambasciate e consolati sotto minaccia…
nel mentre perfino la flotta entra in fibrillazione per non parlare dei droni messi in
pista di decollo…
nel mentre i sondaggi nazionali danno (Rasmussen escluso: oggi 17 settembre
concede due punti percentuali di margine al mormone) in vantaggio il presidente…
nel mentre gli sforzi dei due contrapposti fronti si concentrano sui ‘swing States’…
ecco che Romney apre improvvisamente agli ispanici e in un discorso loro rivolto
dice “Siete il nostro futuro”.
Bene, ma fossi in lui, mi concentrerei su tre temi soltanto.
Primo: il fattore religioso accusando i democratici di essersi allontanati da Dio
eccetera.
Secondo: il fattore economico: Obama in quattro anni non ha cavato un ragno dal
buco in questo importantissimo campo e perché mai ci si deve attendere che faccia
meglio in futuro?
Terzo: il fattore politica estera dell’amministrazione riguardo ai Paesi islamici.
Obama e i suoi hanno appoggiato a pieno regime i moti della cosiddetta ‘primavera
araba’ non comprendendo affatto quali ne sarebbero stati gli sbocchi.
Un errore tragico che butterà (già i fuochi si vanno accendendo) tutti i territori che
le anime belle considerano ‘liberati’ in braccio all’estremismo islamico.
Dilettanti allo sbaraglio!!!!
296
18 SETTEMBRE 2012
Documenti
Nuovo video imbarazza Romney: “Chi sta con Obama non paga le
tasse”, un articolo di Angela Geraci per il Corriere della Sera
In un filmato ‘rubato’ le frasi choc del candidato repubblicano.
“Il quarantasette per cento degli americani si sente vittima: non mi preoccupo di loro”
Hanno una “mentalità da vittime” e “non pagano le tasse”.
Un nuovo video rischia di creare non poco imbarazzo al candidato repubblicano Mitt
Romney.
Lo pubblica la rivista ‘Mother Jones’ ed è stato girato all’insaputa di Romney nel
corso di una raccolta fondi alla quale la stampa non era ammessa.
Le frasi incriminate
“C’è un quarantasette per cento di americani che sono con Obama”: sono persone che
“dipendono dal governo, che ritengono di essere vittime, che credono che il governo
debba occuparsi di loro, pensano che sia un diritto accedere alla copertura sanitaria e
a tutto quello che vogliono”.
A questo si aggiunge il fatto che “non pagano le tasse”.
Questi americani “io non li convincerò mai della necessità di assumersi le proprie
responsabilità” dice Romney nel video.
La replica dei democratici
Immediata la replica della campagna di Obama.
“È scioccante che un candidato dica a porte chiuse, a un gruppo di ricchi donatori,
che la metà degli americani sono vittime”.
Lo staff di Romney, che non ha smentito l’autenticità del filmato, si è affrettato a
chiarire le intenzioni dietro le parole del candidato.
“Mitt Romney vuole aiutare tutti gli americani messi in ginocchio dalla politica
economica di Obama. Ed è fortemente preoccupato per il numero crescente di
cittadini che dipendono dagli aiuti del governo”.
Spiegazioni che non sono riuscite a scalfire la durezza delle frasi pronunciate dal
candidato: secondo alcuni, sono le parole che potrebbero definitivamente costare a
Romney le elezioni.
I titoli e Twitter
Il sito ‘Mother Jones’, cliccatissimo in queste ore, infierisce titolando a piena pagina:
“Romney il miliardario dice ai suoi simili cosa realmente pensa degli elettori di
Obama”.
Ma in poco tempo la notizia è balzata in testa a ogni sito web dei media americani.
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Le altre gaffe
Il video di lunedì (diffuso quando in Italia era notte) non è il primo passo falso dello
sfidante di Obama.
La corsa alla Casa Bianca di Mitt Romney finora è stata infatti costellata di frasi
infelici e mosse poco ponderate.
Questa volta le polemiche generate dal video rischiano però di lasciare un segno più
pesante: fra meno di due mesi, il 6 novembre, gli americani dovranno scegliere il loro
presidente.
Anche le vittime di cui Romney dice di non volersi occupare.
298
Bob Woodward contro Obama
Le gaffe di Romney?
Certo, ma Obama non se la passa meglio e mentre un uomo viene inquadrato intento
a fare la pipi alle sue spalle, mentre gli capita di discutere e litigare col primo
ministro israeliano Netanyahu a proposito dell’Iran nucleare, gli tocca incassare un
giudizio sostanzialmente negativo sul suo lavoro ad opera di Bob Woodward.
Il celebre giornalista, a suo tempo coautore della famosissima inchiesta sul
‘Watergate’ che produsse le dimissioni di Richard Nixon, in un libro appena
uscito(‘The Price of Politics’), giudica poco favorevolmente il presidente in carica.
Ecco, in sintesi e prendendo dal testo una sua frase, cosa ne pensa:
“E' vero che Barack Obama ha avuto in eredità una situazione economica
disastrosa, ed è vero che ha dovuto affrontare una forte opposizione dei
repubblicani, ma è anche vero che ogni presidente deve trovare una soluzione ai
problemi della nazione.
Obama non l'ha ancora fatto”.
“La promessa repubblicana di ridurre le tasse non interessa chi non le
paga”
In campagna elettorale si può dire la verità?
Sarebbe da definire gaffe (come strepita, agitandosi molto, la stampa sinistrorsa) la
dichiarazione esplicita di Mitt Romney che negli USA a quella parte di elettorato che
vive di parassitismo e di assistenzialismo è inutile si rivolga un candidato
repubblicano?
A ribadire il proprio pensiero in merito, Mitt Romney ha ieri dichiarato: “La
promessa repubblicana di ridurre le tasse non interessa chi non le paga”.
Esiste una differenza antropologica tra veri repubblicani e veri democratici in
particolare da questo specifico punto di vista.
Cosa ha veramente detto Mitt Romney
Ecco quanto effettivamente detto da Mitt Romney nel famigerato video, ‘pirata’ in
quanto le riprese non erano autorizzate, che giorni fa ha suscitato, per come
raccontato dai media ostili (quasi tutti), grande scandalo:
“C’e un quarantasette per cento di americani che voterà per Obama in ogni caso.
Gente che dipende dal governo, che crede che il governo abbia il dovere di pensare a
loro, che crede di avere diritto all’assistenza sanitaria, al cibo, alla casa, a quello
che volete.
Non è mio compito preoccuparmi di loro.
Non li convincerei mai del fatto che dovrebbero prendersi le loro responsabilità
personali, prendersi cura delle proprie vite.
E’ il messaggio che continuo a diffondere: l’approccio di Obama piace a quelli che
non pagano le tasse e la mia intenzione di abbassarle a loro non interessa”.
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Come è possibile, se non per assoluta malafede, non comprendere che il mormone
nell’occasione altro non faceva che raffigurare con precisione il quadro e i limiti
dentro i quali si svolge e si svolgerà la sua campagna? Che indicare i restanti
obiettivi, una volta preso atto che una parte dell’elettorato non lo voterebbe mai e
che quindi è inutile interessarsene a fini elettorali?
300
19 SETTEMBRE 2012
Documenti
Il ‘rimbalzo’ di Obama è già finito? Un articolo di Alessandro
Tapparini per America 24
È stata una vera benedizione per Barack Obama la pubblicazione, nel pomeriggio di
lunedì, del filmato ‘pirata’ in cui Romney, ignaro di essere ripreso, accusava il
quarantasette per cento degli elettori di voler votare per il presidente in carica solo
perché “dipendenti dallo Stato” a sbafo.
Se non fossero state dominate dalla conseguente bagarre, le cronache politiche di
inizio settimana sarebbero state presumibilmente incentrate sul precoce esaurimento
del ‘rimbalzo’ del presidente nei sondaggi successivi alla convention nazionale
democratica.
Il fatto che ieri si sia parlato di tutt'altro non significa che Obama non si debba
preoccupare.
Nel politichese d'oltreoceano si parla di ‘rimbalzo’ proprio perché dopo essere
schizzato su il candidato di solito ridiscende nei sondaggi.
Quello che più conta è quindi quanto impiega il ‘rimbalzo’ a curvare verso la discesa:
un calo significativo nei sondaggi dopo meno di due settimane equivale solitamente
ad un rimbalzo insufficiente a tradursi in un vantaggio consolidato, mentre il
candidato che resta in netto vantaggio nei sondaggi anche nella seconda settimana
post-convention si avvia solitamente a vincere l'elezione.
È ormai chiaro che quello di Obama è stato un ‘rimbalzo’ del secondo tipo, effimero
e poco incisivo.
A meno di due settimane dalla convention di Charlotte, sembra già quasi del tutto
evaporato.
“Se il rimbalzo di Obama svanisce durante la settimana prossima”, scriveva sabato
scorso Nate Cohn, il sondaggiologo della rivista liberal ‘The New Republic’
“potremmo essere arrivati al punto in cui i sondaggi svoltano in favore di Romney”.
Non è ancora così, ma siamo ad un passo dall'essere tornati al testa a testa di
quest'estate.
La rilevazione più autorevole, quella quotidiana della Gallup, subito dopo la
convention aveva dato Obama in vantaggio di ben sette punti percentuali.
Il dato divulgato domenica e lunedì, basato sulle interviste condotte durante l'ultimo
weekend, dava questo vantaggio come già più che dimezzato, ridotto a tre punti
(quarantotto contro quarantacinque per cento), e ieri è stato infine indicato in un
unico punto percentuale, quarantasette contro quarantasei, quindi una sostanziale
parità.
Tra gli altri sondaggi pubblicati nelle ultime ore, il più favorevole a Romney si
conferma quello Rasmussen, che da giorni dà lo sfidante repubblicano addirittura in
vantaggio sul presidente di un paio di punti percentuali (ieri quarantasette contro
quarantacinque).
301
Il sondaggio più recente a dare il presidente ancora in netto vantaggio è invece quello
divulgato ieri sera da NBC/Wall Street Journal, basato su interviste condotte tra il 12
e il 16 settembre, stando al quale Obama sarebbe avanti di cinque punti, cinquanta
contro quarantacinque.
Lo stesso sondaggio NBC/WSJ vede Obama in recupero su Romney sulle questioni
economiche, ma in picchiata di ben dodici punti fra gli elettori indipendenti
nell'ultimo mese (dal cinquantatre al quarantuno) sulla politica estera, nonostante i
media avessero giudicato la reazione del presidente rispetto al caos in Medio Oriente
negli ultimi giorni più appropriata di quella di Romney.
Molto, naturalmente, dipende dall'andamento nei singoli Stati, soprattutto in quelli
‘swing’, oscillanti.
Si attendono nelle prossime ore nuovi dati su quelli più ‘pesanti’, cioè Ohio e Florida.
In base ai sondaggi condotti prevalentemente una settimana fa (quando quindi godeva
del picco del suo ‘rimbalzo’), in Ohio Obama avrebbe un rassicurante vantaggio di
circa quattro o cinque punti.
Nel Sunshine State, invece - in barba alle apocalittiche previsioni che ad agosto
vennero formulate su di una crisi di rigetto dei moltissimi pensionati lì residenti
rispetto all'inserimento nel ticket elettorale di Paul Ryan con il suo famigerato piano
di tagli al sistema assistenziale Medicare - il vantaggio del presidente nei sondaggi
mediamente va poco oltre il singolo punto percentuale, quindi in sostanza una
situazione di parità (l'unico sondaggio veramente recente, quello di Gravis Marketing,
dà anzi Romney in vantaggio di un punto).
Quindi, se ora le polemiche di ieri sul famigerato filmato del ‘quarantasette per
cento’ non dovessero generare nel mondo reale le stesse polemiche che hanno
imperversato sui media, i due candidati potrebbero giungere sostanzialmente appaiati
al primo faccia a faccia televisivo, che si terrà esattamente fra due settimane, il 3
ottobre.
302
Romney difeso dai danesi(?!)
Mitt Romney è criticato a torto per aver dichiarato che il quarantasette per cento
degli americani vive grazie all’assistenza sociale e non paga l’imposta sul reddito,
scrive il quotidiano danese ‘Jyllands-Posten’ :
“Va constatato che Mitt Romney conosce i fatti.
Se preso alla lettera, il suo messaggio dice che lo Stato Provvidenza ha raggiunto
una tale portata che diventa difficile operare le riforme indispensabili per una
stabilità economica a lungo termine.
E anche se Romney ammette che avrebbe potuto esprimersi in maniera più elegante,
assume pienamente la responsabilità delle sue dichiarazioni.
Perché negare i fatti?
… Come possono gli Stati Uniti raggiungere il consolidamento delle finanze
pubbliche se al contempo una parte importante della popolazione dipende dall’aiuto
sociale?
E’ una questione che merita di essere esaminata”.
303
20 SETTEMBRE 2012
Rasmussen assegna il New Hampshire a Romney
Gli ‘swing States’.
Ho infinite volte accennato a questi Stati oscillanti nei quali maggiormente si
combatte tra repubblicani (obbligati a conquistarli quasi tutti) e democratici (che
possono vincere anche prendendone pochi ma buoni, nel senso di dotati di un alto
numero di delegati).
Ebbene, oggi, per la prima volta, l’istituto Rasmussen assegna per tre punti
percentuali il New Hampshire a Romney che sarebbe in vantaggio nelle intenzioni di
voto anche in Colorado.
La faccenda è importante perché pare indicare una tendenza.
Obama, lentamente, cede terreno e il mormone lo guadagna.
Credo che probabilmente prima del dibattito televisivo fissato per il 3 ottobre il
quadro dei sondaggi darà in testa Romney sia a livello nazionale che guardando agli
Stati.
304
Ann Romney si arrabbia e intanto Tim Pawlenty se ne va
Non si fa in tempo a scrivere qualcosa che le cose cambiano.
I media attaccano a tutto spiano e qualsiasi argomento, in specie se creato dal nulla
o distorcendo i fatti, è buono per attaccare il marito.
Ecco, quindi, che Ann Romney si arrabbia e se la prende con giornali, radio e tv
quasi totalmente avversi.
Nel frattempo, Tim Pawlenty, ricevuta un’offerta di lavoro per un incarico di grande
prestigio e molti soldi, lascia la codirezione della campagna elettorale Gop e la cosa
viene rappresentata, e forse lo è, come un abbandono della nave in un momento di
difficoltà.
Aggiungiamo che larga parte dei sondaggisti danno al momento Obama in vantaggio
e non di poco.
Occorre, se vuole vincere, un soprassalto del mormone.
Bisogna tirare fuori gli attributi!
305
22 SETTEMBRE 2012
Documenti
I razzisti votano Obama, un articolo di MdPR
Viene da lontano, da molto lontano, l’esprimersi e il conseguente voto di larga parte
dei democratici bianchi a favore di Obama, il presidente ‘nero’.
E’ figlio di una colpa, meglio, di un sentirsi in colpa e del conseguente, inconfessato
anelito all’espiazione.
Dentro di loro - senza che ne abbiano contezza ma dentro di loro - i centocinquanta e
passa anni nei quali i padri e gli avi hanno voluto e strenuamente difeso lo schiavismo
prima e la segregazione razziale dopo.
Il partito oggi di Mitt Romney, non dimentichiamolo, viene fondato nel 1854
soprattutto per combattere ed abolire appunto lo schiavismo e il primo presidente
repubblicano è Abraham Lincoln.
Gli Stati del Sud che escono dall’Unione e causano la Guerra di Secessione sono tutti
in mano democratica.
Sconfitti, resisteranno duramente fino agli anni Settanta del Novecento su posizioni
retrograde e segregazioniste nei confronti delle minoranze razziali e in specie dei
neri.
E basti qui ricordare un personaggio quale George Wallace, governatore
dell’Alabama espresso dal partito democratico e candidato nel 1968 a White House,
sia pure da indipendente, che da razzista convinto ed esplicito ha conquistato
nell’occasione fior di Stati (cinque e con quasi dieci milioni di voti) nel Sud
amministrato dai suoi amici.
E per quanti non sanno (e ciononostante discettano dottamente – per carità - e
giudicano), per quanti hanno dimenticato o voluto dimenticare, non è forse il
presidente repubblicano Eisenhower – anni Cinquanta - a mandare nel predetto Sud la
Guardia Nazionale per ottenere che vengano rispettate le sentenze anti segregazione
emanate dalla Corte Suprema presieduta dal repubblicano (ma guarda!) Earl Warren?
E’ in parte con Franklin Delano Roosevelt, il cui New Deal per qualche verso piaceva
alle minoranze, che i neri cominciano il cammino che li farà approdare alle rive
democratiche.
Sarà poi il grande Lyndon Johnson (non il pericoloso parolaio John Kennedy che
tanto piace a quanti hanno studiato la storia sui rotocalchi e che Martin Luther King
accusava pubblicamente di non avere concluso niente in proposito), con le sue
profondissime aperture e con le leggi fatte approvare a forza o quasi ad un Congresso
nel quale i suoi amici di partito ancora si opponevano, a far convergere
definitivamente sui democratici le simpatie appunto dei neri.
Voto di figli e nipoti di razzisti incalliti, pertanto, quello dei bianchi democratici
d’oggi.
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Voto anche di razzisti inconsapevoli o quasi, come sono indubbiamente quanti, in
particolare tra i ‘radical chic’ e le ‘anime belle’, si appalesano pro Obama per
obbedire alla ‘religione’ del politicamente corretto.
Il ‘vero’ non razzista sa di potersi opporre ad Obama per averlo visto all’opera, per le
sue inadeguatezze ed incapacità.
Se ne impippa del colore della sua pelle e guarda ai fatti, alla politica, all’ideologia.
Difficile, in conclusione e quindi, anche se non impossibile, per chiunque in questa
campagna avere il sopravvento su un candidato che conta non solo sul voto di quanti
lo apprezzano o la pensano come lui ma anche di milioni e milioni di razzisti!
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I sondaggi cambiano di giorno in giorno
L’ho detto e lo ripeto: i sondaggi elettorali, anche quelli non truccati, sono ben poco
attendibili.
Chiunque, qualsiasi intento abbia, riesce a trovarne qualcuno che dia credito alle
sue tesi.
Oggi l’istituto Gallup - che fino a ieri gridava ai quattro venti che il vantaggio di
Obama era cospicuo e preoccupante per Romney – fornendo i dati relativi alle
intenzioni di voto rilevate su base nazionale tra il 15 e il 21 settembre, mette i due
candidati esattamente sullo stesso piano: quarantasette per cento pari.
Rasmussen dice sostanzialmente la stessa cosa: un rilevazione fatta tra il 19 e il 21
settembre colloca Obama e Romney al quarantasei per cento.
Guardando agli Stati, i due estremi sembrano essere la California (il democratico
conduce cinquantatre per cento a trentanove) e la Georgia (cinquantasei a
trentacinque per cento per il mormone).
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23 SETTEMBRE 2012
Documenti
In America già si vota in venticinque Stati, un articolo di Giampaolo
Pioli per Quotidiano.net
L’hanno ribattezzata ‘october election’.
Da ieri mentre Obama e Romney sono ancora scatenati nei loro comizi e non si sono
ancora confrontati per il primo dei tre dibattiti televisivi, in venticinque Stati gli
americani possono già votare e lo stanno facendo.
Dal primo di ottobre gli stati saliranno a trentadue e a due settimane dall’election day
fissato per martedì 6 novembre in tutti gli Stati , di persona e per posta sarà possibile
esprimere la propria preferenza.
Questo sistema anticipato ha raggiunto percentuali dell’ottantacinque per cento in
Colorado, è balzato al settanta per cento in Florida, ha raggiunto il settantacinque per
cento in Nevada, il quaranta in Ohio, il trenta in Wisconsin e Michigan, tutti Stati
considerati chiave per dare a Obama o Romney la vittoria.
Cito queste cifre per spiegare come mai la campagna pubblicitaria di agosto e
settembre è stata così massiccia e costosa e perché la macchina organizzativa dei due
partiti ha assunto ormai una dimensione gigantesca.
E’ una vera svolta nella dinamica elettorale americana.
Chi riesce a portare in anticipo alle urne il maggior numero di elettori in genere
vince.
Obama è riuscito nell’impresa nel 2008 con una straordinaria mobilitazione e i
repubblicani hanno imparato la lezione.
Il peso dei sondaggi inoltre cambia gli umori e quelli di questi ultimi giorni quasi tutti
concordi nel riconoscere al presidente un vantaggio in alcuni casi anche fuori dal
margine d’errore, hanno ridato entusiasmo agli ‘Obama boys’.
Quello che chiamano ‘early voting’ potrebbe diventare l’arma vincente per la corsa
del 2012.
Decine di migliaia di volontari che dall’Ohio alla Florida aiutano giovani e
disoccupati a iscriversi nelle liste, a procurarsi i documenti d’identità richiesti, si
offrono di portare anziani e pensionati ai seggi diventano un vero esercito elettorale al
servizio del partito.
La differenza a questo livello tra democratici e repubblicani sul campo è ancora forte.
Romney è riuscito a mettere insieme una perfetta macchina da soldi, ma Obama può
contare su legioni di militanti (forse qualcuno in meno del 2008) ma sempre collegati
tra di loro via internet in grado di realizzare una rete straordinaria che esploderà nel
porta a porta del 6 novembre, e manifesterà tutta la sua efficacia nei giorni i
precedenti.
Nel 2008 più di quaranta milioni di americani hanno sfruttato il voto anticipato.
Questa volta potrebbero diventare cinque milioni in più.
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Se dai dibattiti non usciranno catastrofi, con ogni probabilità vincerà il candidato che
a ottobre è favorito dai sondaggi e dispone della macchina elettorale meglio
organizzata.
Se questo accadesse sarebbe anche la prova che nonostante i fondi illimitati dei super
pac le elezioni si vincono suonando ai campanelli e non solo con gli Spot TV.
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I veterani a favore di Romney
A maggio un sondaggio Reuters/Ipsos dava Obama in vantaggio su Romney di ben
sette punti percentuali tra gli elettori rappresentati da ‘veterani e loro famiglie’.
Ma a quanto pare, durante l'estate qualcosa è drasticamente cambiato: la stessa
rilevazione Reuters/Ipsos dà ora Obama dietro a Romney di quattordici punti
percentuali tra i veterani.
Gli ultimi sondaggi accreditano Mitt Romney di un vantaggio a doppia cifra tra i
veterani in Colorado, in Florida, in Ohio e in Virginia, mentre a livello nazionale lo
sfidante repubblicano batte il presidente tra i veterani addirittura del venti per cento.
“Non c'è gara”, spiega Maurice Tamman della Reuters.
(N.B. i veterani di cui si parla sono per la maggior parte abbastanza giovani –
reduci dall’Afghanistan, dall’Iraq, eccetera – e rappresentano all’incirca il quindici
per cento degli elettori che si recano alle urne.
Una seconda annotazione che dimostra ancora un volta che i sondaggi vanno presi
con beneficio d’inventario.
Se a maggio Reuters/Ipsos dava in questo campo Obama in vantaggio, non
altrettanto facevano – e l’ho riportato – altri isituti statistici USA).
Madonna: “Votate tutti Obama, un fottuto mussulmano nero alla Casa
Bianca”
26 settembre 2012, notizia riportata da tutte le agenzie
Comizio politico di Madonna:
“Votate Obama, un mussulmano nero alla Casa Bianca”.
La grande pop star ha interrotto un concerto a Washington per lanciarsi in una
tirata elettorale.
“Meglio che votiate tutti per il fottuto Obama.
Nel bene e nel male, all right?
Abbiamo un mussulmano nero alla Casa Bianca.
Vuol dire che c’è speranza in questo Paese”, ha detto Madonna nel mezzo di un
lungo discorso che ha toccato la legacy di Martin Luther King e le battaglie per i
diritti civili fino ad arrivare all'elezione del primo presidente di colore nella storia
degli Usa.
Non è la prima volta che l'ex Material Girl nomina Obama in un concerto: in
settembre, aveva lo aveva ringraziato per il lavoro sui diritti dei gay e mostrato un
tatuaggio (presumibilmente falso) con il nome del presidente stampato sulla schiena.
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26 SETTEMBRE 2012
Documenti
L’imbecillità (per non dire altro) del web, un articolo di MdPR
L’ultimo dei mille e mille possibili esempi.
L’aereo sul quale viaggia la consorte del candidato repubblicano alla Casa Bianca
Ann Romney è costretto ad un atterraggio di fortuna.
Alla fine, molto spavento in specie per il fumo che già minacciava di invadere la
cabina e nessuna conseguenza.
Qualche ora dopo, parlando con i giornalisti, Mitt Romney a voce alta e come
riflettendo si chiede: “Ma perché i finestrini degli aerei non si possono aprire?”
Naturalmente – come ammetterà in seguito (solo in seguito: che stranezza) la cronista
che per prima mette in rete le sue parole – scherza e il tono della voce, l’espressione
ne danno conferma.
Immediata – non vedevano l’ora gli stupidi o meno stupidi adoratori del web – l’eco.
Immediate le prese in giro.
Ecco, una delle numerosissime grandi e irrimediabili pecche di internet con annessi e
connessi, è appunto questa: le parole vergate sono pietre in quanto inerti e mute, non
se ne possono cogliere le sfumature, comprendere significato e intenti.
Contro Romney è schierato un vero esercito formato oltre che dagli infiniti idioti e
imbecilli che già popolano la rete dai mistificatori per fini elettorali e in un caso come
questo la situazione che si viene a creare è terribile.
E le cose vanno peggiorando.
Restando nell’ambito delle elezioni USA, non molti anni orsono, il fatto di essere
fortemente appoggiato dalla rete non recava nessun vantaggio a un candidato a White
House, dato che, poi, alla verifica delle urne, gli esiti erano del tutto differenti (e ci si
ricordi la fine dell’ex governatore del Vermont Howard Dean, in corsa nel 2004).
Tutta diversa, dicono gli analisti – ne avremo conferma o meno il 6 novembre – la
situazione odierna.
Non pare vicina né forse, alla fine, possibile una soluzione e, come sempre (sempre)
accade con le scoperte tecniche in questo campo messe a disposizioni di tutti, andrà
irrimediabilmente di male in peggio.
312
Romney in difficoltà: gli ebrei americani gli voltano le spalle e i
sondaggi in Florida e Ohio lo vedono indietro
Ecco quanto scrive oggi il portale d’informazione israeliano ‘JSSNews.com’:
“Malgrado la sua catastrofica politica nei confronti di Israele, malgrado la sua
diplomazia che spinge i palestinesi a chiedere sempre di più, malgrado un Iran
presto dotato dell’arma atomica, malgrado il suo sostegno agli islamisti che hanno
rovesciato Hosni Moubarak, gli ebrei americani voteranno massicciamente per
Barack Obama.
Un sondaggio Gallup pubblicato da ‘BuzzFeed’ mostra che gli elettori ebrei
sostengono Obama contro Romney in un rapporto di settanta per cento contro
venticinque.
Quattro anni fa, Obama aveva vinto la Casa Bianca grazie a un sessantanove per
cento di voti ebrei contro appena il venticinque raccolto dal suo rivale repubblicano
McCain”.
Ma per il mormone le notizie cattive non finiscono qui visto che la gran parte degli
istituti dicono oggi che il vantaggio di Obama su di lui in Florida e Ohio, i due Stati
nei quali il Gop ‘deve’ vincere per avere sul serio qualche possibilità, si è
notevolmente allargato.
Mala tempora currunt, a quel che pare, per Romney ed è ora che la sua campagna si
rilanci: un colpo d’ala, suvvia.
313
28 SETTEMBRE 2012
Documenti
Romney: “Con Obama deriva europea”, un articolo di Daniela
Roveda per il Sole 24 Ore
“L'America ha imboccato la strada della Grecia e dell'Europa.
Grazie alle politiche di Obama, la nostra economia è in panne”.
Usando ancora una volta lo spauracchio della crisi europea e delle “fallite” politiche
avviate da Obama per stimolare la crescita, Mitt Romney ha cercato ieri di riportare il
dibattito sul tema dell'economia, quello che avrebbe dovuto essere il suo cavallo di
battaglia in questa campagna presidenziale.
Ma se anche gli ultimi dati economici usciti ieri vanno a sfavore di Obama - ordini di
beni durevoli in picchiata in agosto, crescita del Pil più anemica di quanto non si
temesse nel secondo trimestre - i sondaggi confermano lo stesso che il candidato
repubblicano ha perso interamente il vantaggio di cui godeva persino sul tema
dell'economia.
L'argomento che sta più a cuore all'elettorato americano, l'argomento su cui Obama è
più vulnerabile.
L'ultimo sondaggio della Gallup dà Obama in vantaggio di sei punti percentuali a
livello nazionale, il cinquanta per cento contro il quarantaquattro di Romney.
Anche in Virginia, uno Stato tradizionalmente repubblicano dove Obama riuscì
tuttavia a vincere nel 2008 e dove entrambi i candidati erano ieri in cerca di voti, il
presidente è in testa, anche se di poco.
Il vantaggio di Obama si è allargato addirittura nei due swing States della Florida e
dell'Ohio, un progresso che potrebbe rivelarsi decisivo per segnare una vittoria
democratica in novembre, dato che nessun repubblicano ha mai conquistato la
presidenza senza vincere in Ohio.
Obama sta guadagnando terreno anche tra i cattolici, che costituiscono un quarto
dell'elettorato americano e nonostante gli attacchi di Romney continua a mantenere
un ampio tasso di approvazione in politica estera: il quarantanove per cento degli
intervistati da Bloomberg dichiara di avere più fiducia in Obama che in Romney
(trentanove).
Uno dopo l'altro i sondaggi di opinione stanno mettendo in luce i gravi danni causati
dalle numerose gaffe e dai numerosi passi falsi commessi da Romney degli ultimi
giorni.
Solo una vittoria decisiva nel faccia a faccia di mercoledì prossimo potrà ridare fiato
alla campagna repubblicana, e ne sono convinti quasi tutti gli opinionisti di entrambi i
partiti politici.
“Da importante il dibattito di mercoledì è diventato cruciale - ha detto l'esperto
repubblicano di sondaggi Steve Lombardo a Politico. Romney ha bisogno di vincere
per continuare a ricevere finanziamenti, e per avere una chance di vittoria in
novembre. Un pareggio non basta più”.
314
Obama nel frattempo ha iniziato a utilizzare a tappeto nei suoi spot televisivi l'infelice
frase pronunciata lo scorso maggio da Romney a una raccolta fondi in Florida.
Parlando a un pubblico di facoltosi sostenitori, Romney aveva definito il
quarantasette per cento degli americani che non paga tasse “vittime che preferiscono
dipendere dall'assistenza pubblica”.
L'affermazione, registrata di nascosto, rafforza l'immagine elitista del milionario
Romney, percepito da una crescente parte dell'elettorato come un insider di Wall
Street incapace di comprendere i problemi della gente.
Il video segreto ha fatto la fortuna di Obama.
A cinque settimane e mezzo dalle elezioni, il danno per Romney potrebbe essere
insanabile e i suoi sostenitori potrebbero perdere fiducia in lui.
È partito intanto il conto alla rovescia per il primo dei tre dibattiti Obama-Romney, e
l'ansia cresce in campo repubblicano.
315
Porno falsificati e perfino le carpe asiatiche
Giorni difficili, giorni di feroce contrapposizioni.
Qualcuno ha messo in giro la voce (e forse si appresta a far circolare foto e video
falsi) che la defunta madre di Barack Obama abbia a suo tempo girato un film porno.
Julian Assange accusa il presidente di ogni cospirazione ai suoi danni e di
illiberalità varie.
I media distorcono le frasi di Romney, lo attaccano e lo prendono in giro.
Una sporca campagna…
Oggi, l’argomento del durissimo contendere sono nientemeno che le carpe asiatiche
le quali vanno invadendo i Grandi Laghi americani.
Occorre frenarne la diffusione che avviene a danno dei pesci che da millenni
popolano quelle acque.
Necessita contenerli per salvaguardare gli equilibri ecologici.
Ebbene, pare che esistano due differenti metodi per farlo: quello democratico e
quello repubblicano!!!!
Chavez dal Venezuela vota Obama, Denzel Washington e Colin Powell si
dicono delusi
“Il presidente del Venezuela, Hugo Chavez ha annunciato nel corso di un
programma televisivo che se fosse statunitense sceglierebbe di votare per Barack
Obama alle prossime elezioni presidenziali.
Allo stesso modo ‘se Obama abitasse un quartiere di Caracas, voterebbe per
Chavez’.
Il presidente si e' detto certo della conferma di Obama ed ha auspicato una nuova
tappa nei rapporti futuri tra Caracas e Washington”.
Questo il testo di una agenzia uscita da poco e non si sa se e quanto possa far
piacere all’attuale inquilino di White House godere di simili dichiarate simpatie.
Nel mentre dal Venezuela un ‘collega’ lo loda, in casa qualcuno che quattro anni fa
lo sosteneva si sfila dichiarando di essere deluso dagli esiti del suo mandato: si tratta
del premio Oscar Denzel Washington e del generale Colin Powell.
Non si mettono con Romney, no, ma si defilano.
316
30 SETTEMBRE 2012
I due sfidanti si allenano in vista di Denver
Mancano alla fine non molte ore al primo, attesissimo scontro o faccia a faccia
televisivo.
E’ infatti in programma a Denver, Colorado, la sera del 3 ottobre e si prevede che
sarà seguito da almeno sessanta milioni di americani.
Obama e Romney hanno sospeso i loro giri elettorali e si sono concentrati sugli
allenamenti.
(Personalmente, non consiglierei mai di procedere in questa maniera: conta a mio
modo di vedere la naturalezza, che si perde se le risposte sono preconfezionate ma gli
americani la pensano bel altrimenti e da decenni. Basti qui ricordare la scena dedicata
proprio alla preparazione del dibattito tv in ‘Il candidato’ con Robert Redford girato
nel lontano 1972).
Lo scontro avrà la durata di novanta minuti.
Sarà diviso in sei segmenti di circa quindici minuti l’uno.
La risposta a ciascun quesito proposto non dovrà superare i due minuti.
Obama si allena principalmente col senatore John Kerry, lo sfidante di George
Walker Bush sconfitto nel 2004.
Romney col senatore Rob Portman.
317
La relativa incidenza dei faccia a faccia tv
Ci si chiede quale possa essere l’effetto dei tre confronti televisivi e, ovviamente, in
particolare del primo.
Al riguardo Leonard Steinhorn, docente di comunicazione all'American University, è
scettico.
“La storia ci ricorda che raramente i dibattiti determinano una differenza
significativa.
Generalmente, chi è in testa nei sondaggi prima dei testa a testa alla fine vince”.
Romney sarà costretto a sfruttare la sua entrata sul palcoscenico televisivo per
incrementare la sua arma migliore, quel quarantanove per cento dei votanti che
ritengono il candidato repubblicano meglio attrezzato per affrontare le questioni
economiche, a fronte di un quarantasette che preferisce la leadership economica di
Obama.
Ma anche vincesse questo round potrebbe non bastare.
“Perché il dibattito possa davvero servire a Romney”, spiega Steinhorn, “è
necessario che Obama finisca fuori strada e per fare questo dovrebbe commettere un
errore davvero molto grosso”.
Su Mitt Romney le gentili espressioni di Madeleine Albright
Mitt Romney?
”Un uomo a due dimensioni, se lo osservi da vicino non c'é niente dietro, nessuna
profondità'”.
Il giudizio al vetriolo sul candidato repubblicano alla Casa Bianca é di Madeleine
Albright, prima donna segretario di Stato nella storia Usa durante la presidenza di
Bill Clinton.
Albright imputa all'avversario di Barack Obama soprattutto mancanza di
comprensione dei temi di politica estera.
Poi rincara la dose: '”Mi e' impossibile capire in cosa creda Romney'”.
Sondaggi che vanno e vengono
“Obama è in vantaggio di misura su Mitt Romney per l'elezione alla Casa Bianca.
Secondo il sondaggio Wall Street Journal-Nbc, Obama ottiene il quarantanove per
cento delle preferenze a fronte del quarantasei del rivale.
Si tratta di uno scarto inferiore ai cinque punti di vantaggio di metà settembre, subito
dopo le convention”.
Questo il testo datato 3 ottobre di una agenzia TgCom.
Se si pensa che alla stessa data altri istituti di rilevazione delle intenzioni di voto
danno Obama in vantaggio addirittura fino a dieci punti percentuali ci si rende conto
del marasma.
A quali credere?
Probabilmente a nessuno!
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Biden: “La classe media è stata sepolta negli ultimi quattro anni”, quelli
nei quali con Obama ha governato lui stesso!
Intenti come sono ad accanirsi su Romney e sulle sue vere o supposte gaffe, i media
trascurano il vice presidente Joe Biden che, impegnato nella campagna elettorale, da
gaffeur di classe quale è sempre stato, ne combina di tutti i colori.
Ieri, a Charlotte in North Carolina, parlando a circa mille sostenitori, Biden ha
dichiarato che Romney taglierà le tasse ai milionari e le alzerà alle famiglie della
classe media, ma ha poi aggiunto:
“Come possono giustificare un aumento alla classe media, che è stata sepolta negli
ultimi quattro anni?
Come potranno nel nome del Signore giustificare questo aumento delle tasse con
questi tagli?”.
La frase riferita alla classe media “sepolta negli ultimi quattro anni” e pertanto
dalla amministrazione Obama della quale Biden, ovviamente, fa parte è stata subito
cavalcata dai repubblicani e nel merito specifico Romney ha potuto tranquillamente
dire di essere d’accordo con lui.
319
3 OTTOBRE 2012
Le preoccupazioni e le promesse non mantenute di Obama. I temi che
Mitt Romney dovrebbe mettere in campo a Denver
I sondaggi – per quel che valgono - vanno bene, soprattutto negli ‘swing States’.
Ma ad impensierire Barack Obama, alla vigilia del duello nella sede dell’Università
di Denver (in onda alle cinque del mattino di giovedì 4 ottobre in Italia), sono i
numeri, i risultati ottenuti nel suo primo mandato punteggiato da previsioni fallite e
promesse disattese.
Guantanamo è ancora aperta, la politica di Washington resta bloccata.
Soprattutto, la disoccupazione è ancora sopra l’otto per cento.
Negli Usa lo chiamano in modo sintetico, il ‘record’, lo ‘score’ di un presidente,
ovvero le cifre, i fatti, soprattutto in economia, che il presidente ha portato a casa in
questi quattro anni.
E non tutti sono soddisfacenti.
Tuttavia, sono i numeri che il presidente dovrà difendere dagli attacchi di Mitt
Romney nel corso dei novanta minuti di dibattito tv.
Obama rischia di essere inchiodato dalle sue stesse frasi, dai proclami pronunciati
ormai quattro anni fa.
‘Politico.com’ ha fatto una breve lista, tra le frasi, degli impegni obamiani che saltano
più agli occhi per essere rimasti sulla carta.
L’11 settembre del 2008, in piena campagna elettorale, promise che avrebbe
“radicalmente trasformato il modo di lavorare di Washington”.
Peccato per lui che, complice l’ostruzionismo della destra, Capitol Hill sia
completamente bloccato dai veti incrociati.
Appena arrivato alla Casa Bianca, nel febbraio 2009, disse che se non avesse
rilanciato l’economia in tre anni, allora non avrebbe meritato la rielezione.
Era l’epoca dello ‘stimulus’, un imponente pacchetto di interventi pubblici
all’economia di settecentottantasette miliardi di dollari, che secondo le stime della
Casa Bianca avrebbe dovuto portare la disoccupazione al cinque punto sei per cento.
Purtroppo, oggi siamo all’otto punto uno, a fronte di un enorme debito pubblico.
È questo, senza dubbio, il tallone d’Achille di Obama.
Non a caso, proprio questi numeri fallimentari sono al centro dell’ultimo spot dal
titolo ‘Actually happened’, cioè ‘com’è andata veramente’, che Crossroads - il
SuperPac di Karl Rove - sta mandando su otto Stati in bilico.
La campagna è costata sedici milioni di dollari, la spesa più imponente dall’inizio
della sfida elettorale.
Ma la destra ha altre frecce al suo arco: nel gennaio 2008, all’inizio della sfida
Obama-Hillary, Barack attaccò Bill Clinton, oggi il suo maggiore sponsor:
“Ronald Reagan - disse all’epoca - ha cambiato la storia d’America, una cosa che non
è riuscita né a Nixon né a Clinton”.
E anche a sinistra c’è qualche malumore: il terzo giorno della sua presidenza, Obama
disse ufficialmente “Guantanamo sarà chiusa entro l’anno”.
320
Si era a gennaio 2009.
Siamo nel 2012, e il carcere simbolo di George W. Bush ospita ancora oltre 80
sospetti terroristi.
Improvvido anche sulla riforma sanitaria: era il settembre del 2010, quando si disse
sicuro che la sua Obamacare, “giorno dopo giorno, sarebbe diventata sempre più
popolare”.
Cosa che non è mai accaduta.
Assicurò che le compagnie come la Solyndra, che si occupano di energia verde,
“avrebbero guidato il mercato e avrebbero assicurato un futuro di prosperità”.
Ma proprio la Solyndra, malgrado ingenti aiuti di Stato, è fallita miseramente.
Infine, una promessa non mantenuta che tanti ‘latinos’ ancora gli rinfacciano: non
essere riuscito a portare a casa una riforma migratoria.
Ma su questo punto lo stesso Obama, poche settimane fa, ha chiesto perdono: “Senza
dubbio è stato il maggiore fallimento del mio primo mandato”.
Un quadro difficile, insomma, che sembrerebbe non dare scampo alle chance di
rielezione.
Ma le cose non stanno chiaramente così: nelle ultime settimane, Romney ha
dimostrato di non essere capace di approfittarne.
Tanto che tra la polemica sulle tasse, le gaffe sui cosiddetti parassiti, e altre cadute di
stile, oggi il candidato dei Repubblicani è ancora costretto ad inseguire.
Come ha scritto il Washington Post, sinora è stato lui il peggiore nemico di se stesso.
Così a Denver sarà Romney a dover andare all’attacco: a trentacinque giorni dal voto,
il pareggio non gli può bastare.
321
Il migliore nei faccia a faccia tv? Ronald Reagan
Correva l’anno 1984 e il presidente in carica Ronald Reagan chiedeva agli elettori
un secondo mandato.
Il rivale, Walter Mondale, già vice di Jimmy Carter, all’epoca cinquantaseienne, era
giovane rispetto all’ex attore che aveva compiuto il 6 febbraio di quell’anno la
bellezza di settantatre primavere.
Proprio sul fattore età avanzata – se rieletto, Reagan sarebbe restato alla Casa
Bianca fin quasi ai settantotto anni – si concentravano i dubbi degli osservatori e di
molti elettori.
Il grande Gop la mise sull’ironico dicendo:
“Non ho alcuna intenzione di fare dell'età un tema della mia campagna elettorale.
Non ho intenzione di sfruttare, per ragioni politiche, la giovinezza e la scarsa
esperienza del mio avversario”.
Risate e applausi fragorosi in sala.
Una platea televisiva conquistata.
Quattro anni ancora a White House.
322
4 OTTOBRE 2012
Denver: Romney per ko!
Novanta minuti nel corso dei quali Obama è apparso decisamente in difficoltà,
smarrito, spesso con gli occhi bassi, incapace di attaccare il rivale.
“Sembrava che volesse essere altrove”, la dura critca del ‘Washington Post’ al
termine del dibattito.
Novanta minuti di grande spolvero per un Mitt Romney sicuro di sé, brillante,
spietato nel mettere a fuoco le manchevolezze dell’amministrazione Obama, gli
insuccessi, l’evidente inadeguatezza nel far fronte alla crisi economica.
In particolare, dopo avere parlato di “un'America che rinascerà contando sulle proprie
forze, sullo spirito d'intrapresa, liberando energie da uno Stato opprimente”, ha
attaccato duramente Obama il quale “dopo quattro anni di presidenza ci lascia
ventitre milioni di disoccupati e una middle class impoverita”.
Incisivo poi il suo “Se è questo che volete, rieleggetelo.
Io vi indico una strada diversa perché amo il mio Paese e conosco la ricetta per far
ripartire l'occupazione.
Sono stato io stesso un creatore d'imprese”.
Al termine, secco e netto il commento degli osservatori che hanno lodato la
prestazione del mormone.
Nettissimo il verdetto di un sondaggio CNN: ben il sessantasette (67) per cento degli
spettatori pensa che il Gop abbia trionfato contro un misero venticinque (25) che ha
preferito comunque il presidente in carica.
Di più, il cinquantasei per cento ha detto che Romney è il leader più forte contro il
trentasette per Obama e il cinquantacinque per cento ha promosso lo sfidante
sull'economia contro il quarantattre per l’attuale inquilino di White House.
Il trentacinque per cento infine ha detto che avrebbe votato per Romney dopo il
dibattito e solo il diciotto avrebbe votato per Obama.
Un numero davvero considerevole, il quarantasette per cento, gli indecisi.
“Sapevamo che Romney nei dibattiti è molto in gamba”, ha dichiarato un membro
dell’entourage democratico, “Ma non finisce qui”.
Occorre, peraltro, attendere l’esito delle prossime rilevazioni per sapere se l’affondo
del mormone ha sul serio portato risultati concreti rilanciando la sua campagna.
Nota: nel mentre i due contendenti si affrontavano, in tempo reale gli spettatori
commentavano su Twitter le loro performance.
Anche attraverso questo particolare riguardo non c’é stata partita.
Su oltre centomila ‘tweet’ analizzati in tempo reale il settanta vigola cinque per cento
erano favorevoli a Romney contro il ventinove virgola cinque per Obama.
323
L’analisi semantica del confronto di Denver
“L'analisi semantica dei discorsi ha messo in evidenza stili di comunicazione e
contenuti diversi ma in generale in linea con il programma politico e l'elettorato di
riferimento di ciascun candidato”, ha dichiarato Luca Scagliarini, vicepresidente
Strategy & Business Development di Expert System.
“Eppure i commenti e le reazioni degli elettori hanno premiato uno dei due
candidati.
Questo dimostra che il successo nei dibattiti politici, che spesso vengono criticati per
la povertà di contenuti, si basa in realtà molto su aspetti diversi quali sguardi,
gestualità e tono della voce”.
La lobby delle armi è con Romney e i sondaggi lo danno in ripresa
Nel mentre Mitt Romney ottiene, come ampiamente prevedibile, il sostegno formale
della National Rifle Association (Nra), la potente lobby americana delle armi i
sondaggi rilevano – conseguenza del confronto di Denver - un vantaggio a livello
nazionale di Obama ridotto a soli due punti percentuali.
Inoltre – dato assai significativo – guardando agli ‘swing States’, dicono che Romney
è in leggero vantaggio sia in Florida che in Virginia e sostanzialmente alla pari in
Ohio.
Resta da vedere se i democratici sapranno reagire e come.
In ipotesi, Denver potrebbe avere davvero segnato un’inversione nelle intenzioni di
voto fino a pochi giorni orsono favorevoli al presidente in carica.
Polemica dura sui dati relativi alla disoccupazione
E’ battaglia all’ultimo disoccupato tra Mitt Romney e Barack Obama.
Secondo il primo “i dati sul mercato del lavoro non sono quelli di una vera ripresa
economica.
Il tasso vero di disoccupazione è vicino all'undici per cento”.
Secondo i collaboratori dell’attuale presidente invece il tasso di disoccupazione, nel
mese di settembre, sarebbe sceso sotto la soglia psicologica dell’otto per cento,
esattamente al sette virgola otto.
“I ragazzi di Chicago”, ha detto Romney riferendosi al team di Obama, “sarebbero
disposti a tutto pur di rimontare nella classifica delle preferenze dei cittadini.
I dati sul lavoro sono truccati”.
Obama in crisi a Denver? Colpa dell’altitudine!
Secondo l’ex vice presidente Al Gore, Obama a Denver non è stato brillante come in
altre occasioni per via dell’altitudine (ben milleseicento metri sul livello del mare).
324
Arrivato in città poco prima del confronto,contrariamente a Romney, non si sarebbe
adattato.
Obama in crisi a Denver? Gli mancava il ‘gobbo’!
A parere di molti critici osservatori, la pessima prestazione offerta da Obama nel
dibattito di Denver è stata determinata dall’impossibilità nel caso di leggere il
‘gobbo’.
Secondo costoro, il presidente non sarebbe un grande oratore ma solo un ottimo
‘lettore’ di frasi scritte da altri!
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7 OTTOBRE 2012
Documenti
Obama-Romney e milioni di tweetts, un articolo di Maurizio Molinari
per La Stampa.it
Con dieci milioni trecentomila tweetts in novanta minuti il dibattito di Denver fra
Obama e Romney è diventato l’evento-record per Twitter, evidenziandone la
rilevanza nell’attuale campagna.
Se le presidenziali del 2004 videro il debutto di email e micromarketing, e in quelle
del 2008 dominò Facebook, questo è l’anno di Twitter.
Le avvisaglie si erano avute all’inizio delle primarie, quando in Iowa e New
Hampshire candidati, opinionisti e reporter facevano a gara nel twittare notizie,
commenti, retroscena e foto bruciando sul tempo non solo tv e radio ma anche i siti
web.
Chi lo giudicò un vezzo hi-tech da addetti ai lavori si è dovuto ricredere alle
Convention.
Quattro milioni di twitts durante quella repubblicana a Tampa e ben nove milioni e
mezzo in occasione di quella democratica a Charlotte ne hanno evidenziato una
popolarità dilagante.
E il record di Denver suggerisce qualcosa in più perché i picchi da centosessanta mila
twitts al minuto come la creazione all’istante di popolari neologismi digitali come
@BigBirdRomney e @SilentJimLehrer evidenziano la trasformazione dei ‘cinguettii’
in un sistema di comunicazione istantanea capace di rigenerarsi in continuazione,
trasformandosi in un torrente di pensieri, parole, battute e sigle nel quale ognuno
riesce a condividere una dimensione tutta sua di un evento collettivo.
Questo spiega perché su Twitter prolificano universi paralleli in grado di offrire
simultaneamente letture diverse della campagna elettorale.
Consentendo ai fan più faziosi come agli opinionisti più distaccati di avere un proprio
pubblico.
326
8 OTTOBRE 2012
Obama ha paura di perdere
La sconfitta nel primo confronto televisivo con Mitt Romney mette pressione sul
presidente in carica
Barack Obama ha paura di vedersi sfuggire la Casa Bianca.
Il presidente prova quindi a passare al contrattacco e sferza i repubblicani.
Dopo la sconfitta nel primo duello tv col candidato repubblicano, il capo della Casa
Bianca teme la rimonta del rivale ed ha lanciato un appello alle famiglie americane,
esattamente a un mese dalle elezioni dicendo che “non si puo’ tornare indietro alle
politiche che hanno portato l’America al disastro”.
Al contempo – spiega un approfondimento di ‘Blitz Quotidiano’ sulle presidenziali –
lo staff obamiano lancia un nuovo spot al veleno per l’ex governatore del
Massachusetts:
“E’ un disonesto”, recita una voce fuori campo, sulle immagini di Romney che nel
corso del confronto tv nega di voler fare una riforma fiscale a scapito della classe
media ed altre proposte finora portate avanti durante la campagna elettorale.
Insomma, l’azione si fa aggressiva perché a tutti è chiaro nel campo democratico che
il campanello di allarme suonato il 3 sera a Denver non va sottovalutato.
Romney è uscito vincitore dal primo faccia a faccia e i sondaggi dicono che sta
rimontando.
Secondo il sito specializzato Realclearpolitics.com – che fa la media di quasi tutti i
principali sondaggi – il distacco si è ridotto a meno di due punti.
Praticamente nulla.
Ma la Casa Bianca confida sull’effetto che avranno le ultime buone notizie (peraltro,
contestate dal Gop) sul fronte del lavoro, con la disoccupazione scesa a sorpresa ai
minimi da quando Obama é presidente.
Romney per mesi ha martellato sul fatto che l’attuale presidenza non era in grado di
portare il tasso sotto l’otto per cento.
Ora quest’arma verrebbe meno e il presidente americano spera in un nuovo rimbalzo
nel gradimento degli americani.
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Romney attacca Obama a proposito della politica estera
Vincente in tv sull’economia, Mitt Romney a poche settimane dal voto passa alla
politica estera e alla difesa, dove i sondaggi danno in leggero vantaggio Barack
Obama.
Davanti ai cadetti della Virginia, l’ex governatore del Massachusetts attacca su un
tema caldo, l’Iran, e delinea la sua America: forte militarmente, potente coi nemici,
solidale con gli alleati.
“Per il bene della pace, dobbiamo chiarire all’Iran, con i fatti e non solo con le
parole, che la sua ricerca nucleare non sarà tollerata”, ha dichiarato il candidato
repubblicano.
“Riaffermerò i nostri legami storici con Israele e il nostro impegno costante per la
sua sicurezza.
Cancellerò i tagli profondi e arbitrari del presidente Obama alla difesa, devastanti
per il nostro esercito”.
Romney, che chiede un cambio di rotta totale della politica in Medio Oriente, scalda
i muscoli in vista dei prossimi faccia a faccia televisivi, il 16 e il 22 ottobre, dedicati
proprio alla politica estera.
Obama dal canto suo cerca di rimediare all’ultima magra figura televisiva,
ricorrendo all’ironia: ‘‘Ho incontrato un tizio agitato”, ha detto il presidente
uscente, “che sosteneva di essere Mitt Romney’‘.
E poi esce con uno spot in cui taccia il rivale di disonestà, per i tagli fiscali negati in
televisione
Gallup oggi 8 ottobre vede i due contendenti in parità
Dopo il dibattito in tv a lui favorevole, Mitt Romney ha recuperato cinque punti
percentuali su Barack Obama e ora lo appaia nei sondaggi al quarantasette per
cento.
Il dato che emerge da un rilevamento Gallup, conferma come il presidente abbia
pagato in termini di consensi l'opaca performance di Denver.
Con i due candidati alla Casa Bianca dati alla pari tra gli elettori registrati a livello
nazionale, la corsa appare di nuovo aperta.
Obama resta avanti con il quarantanove contro il quarantasei per cento nella media
della settimana scorsa (tenuto conto dei tre giorni precedenti al dibattito) ma si tratta
di un divario che rientra nel margine d'errore del sondaggio.
Per gli esperti si tratta di un dato sorprendente, perché i dibattiti raramente incidono
tanto a fondo sul trend elettorale.
Pew Research Center vede oggi 9 ottobre Romney avanti
A cinque giorni dal primo dibattito tv continua l'effetto traino per Mitt Romney che
ha sorpassato di due punti (statisticamente sono alla pari) Barack Obama.
328
Secondo l'ultimo sondaggio del Pew Research center a ventotto giorni dal voto lo
sfidante repubblicano è al quarantanove per cento delle intenzioni di voto contro il
quarantasette del presidente.
Il dato - il migliore per il candidato repubblicano finora - conferma la tendenza
iniziata subito dopo il duello tv del 3 ottobre scorso vinto da Romney.
Le cifre di Pew seguono di poche ore lo status di perfetta parità registrato da Gallup.
A metà settembre la precedente rilevazione di Pew davano il presidente americano
staccare lo sfidante di ben nove punti.
Il sito specializzato RealClearPolitics.com - che elabora una media di tutti i
principali sondaggi - dà l'attuale inquilino della Casa Bianca avanti di un soffio,
appena l’uno virgola uno, ma alcuni dei dati presi in considerazione sono riferiti a
prima del confronto dell'Università di Denver.
La lobby delle armi contro Obama. Spot in alcuni ‘swing States’
Una settimana fa, la potente National Rifle Association (NRA) aveva dichiarato il
proprio sostegno al candidato Gop Mitt Romney.
Ora, promuove una forte campagna pubblicitaria nella quale esplicitamente invita
gli elettori a mandare a casa il presidente Obama che, affermano gli autori dello
spot, “Sta attaccando i tuoi diritti sanciti dal secondo emendamento”.
Ohio, Virginia, Florida e Wisconsin i quattro Stati in bilico nei quali l’attacco
all’inquilino attuale di White House è in corso e durerà fino all’electoral day.
Il costo della campagna pubblicitaria, per questa settimana, è di un milione e mezzo
di dollari.
Wayne LaPierre (amministratore delegato e vicepresidente esecutivo) e Chris Cox
(direttore esecutivo dell’Institute for Legislative Action dell’organizzazione, noto
come Nra-Ila) hanno dichiarato il loro ‘endorsement’ a Romney la scorsa settimana,
durante un evento della sua campagna elettorale organizzato a Fisherville, in
Wisconsin.
Goldman Sachs, JPMorgan, Citigroup, Bank of America, Morgan
Stanley da Obama a Romney
Quando Barack Obama si candidò alla Casa Bianca nel 2008, nessuna grande
corporation Usa finanziò la sua campagna elettorale come Goldman Sachs.
E quest'anno nessun'altra si è adoperata tanto perché il presidente venga sconfitto
alle prossime elezioni di novembre, sottolinea oggi il Wall Street Journal.
Motivati da quelli che definiscono attacchi personali e all'impresa, dirigenti e
dipendenti del gruppo hanno voltato le spalle a Obama e oggi rappresentano la
principale fonte di finanziamento del candidato repubblicano Mitt Romney.
“In quarant’anni, da quando il congresso ha creato il sistema di finanziamento della
campagna elettorale, non era mai successo che i dipendenti di un'azienda
329
cambiassero partito in maniera così brusca, passando dall'essere i principali
sostenitori di una parte a quelli del suo avversario”, ha sottolineato il Wsj,
precisando di aver analizzato i dati sulle passate campagne.
Nel 2008 i dipendenti della Goldman Sachs donarono infatti oltre un milione di
dollari a Obama, contro i centotrentaseimila versati per l’occasione, meno di quanto
il presidente ha raccolto tra i dipendenti del Dipartimento di Stato.
Interpellati dal quotidiano, diversi dirigenti dell'azienda hanno dichiarato di non
volersi esprimere pubblicamente e che le donazioni parlano da sole.
Ma non è esclusivamente Goldman Sachs ad aver voltato le spalle ai democratici,
sottolinea il Wsj.
Se nel 2008 i dipendenti di JP Morgan Chase, Citigroup, Bank of America, Morgan
Stanley e Goldman Sachs versarono tre milioni e mezzo di dollari alla campagna,
quest'anno ne hanno raccolti seicentocinquantamila, contro i tre milioni e
trecentomila garantiti a Romney.
Ulteriori considerazioni sulla base del sondaggio indipendente di Pew
Research Center
L'ex governatore del Massachusetts erode consenso nei segmenti dell'elettorato che
finora erano appannaggio di Obama.
E' il caso delle donne.
La ricerca rivela che sono divise tra i due contendenti (quarantasette per cento pari).
Il fatto è che fino a un mese fa, Barack Obama era avanti di diciotto punti.
E' mai successo che un candidato perdesse così tanto terreno nell'elettorato
femminile in tanto poco tempo?
La domanda che si pone Andrew Sullivan sul ‘Daily Beast’ è retorica.
Non è mai successo.
Così come non è mai accaduto che il favorito perdesse tanti consensi su alcuni temi
specifici della sua campagna.
Il sondaggio del Pew Research Center spiega che in giugno il cinquanta per cento
degli interpellati era convinto che Obama fosse più adatto per difendere gli interessi
della Middle Class rispetto a Romney (che aveva il consenso del quarantuno).
Adesso, il presidente è fermo a quella quota, mentre il candidato del GOP è salito al
quarantanove.
Romney è visto come un leader più forte e come un politico con idee più nuove
rispetto al presidente dalla maggioranza degli interpellati.
Anche tra gli ‘Swing Voters’, gli indecisi.
Che continuano a vedere un Obama più onesto e in grado di mettersi nei panni
dell'americano medio più di quanto possa fare il candidato del GOP, ma meno
efficace del suo avversario nel combattere la disoccupazione e meno competente nel
gestire la crisi economica.
Non sono giudizi di poco conto, visto che la corsa alla Casa Bianca continua a
giocarsi proprio sui temi economici.
330
A leggere in controluce il sondaggio del prestigioso centro di ricerche sociali e
politiche si può dire che adesso è Mitt Romney a essere il favorito.
E tutto questo – si sostiene - per la prestazione insufficiente di Obama davanti alle
telecamere.
Non tutte le altre rilevazione arrivano (o inducono) a questa conclusione, ma è
evidente che il presidente è in forte affanno.
E se molti commentatori pensano che solo lui possa perdere le elezioni, è anche vero
che numerosi altri, a questo punto, credono che questa possa essere un’ipotesi non
più tanto impossibile da realizzarsi.
Mitt Romney, come già scritto, è all'attacco.
Su tutti i fronti.
Nel suo discorso sulla politica estera, il candidato repubblicano è stato molto duro
con la Casa Bianca.
Barack Obama ha ridotto l'influenza americana nel mondo.
“La ‘speranza’ non é una strategia per affrontare questioni come quelle del Medio
Oriente o dell'Iran”, ha detto.
Per poi accusare Obama di non avere capacità di leadership.
Il problema per il presidente – dicono gli analisti - è che ora iniziano a pensarlo
anche molti elettori indipendenti.
“Lasciate che Mitt sia Mitt”, ha detto Ann Romney
Si sussurra che all’origine della svolta nella campagna di Mitt Romney e del
conseguente fatto che nel confronto di Denver il mormone si sia ricollocato sulle
posizioni moderate a lui maggiormente consone sia una forte presa di posizione della
moglie.
Ann avrebbe imposto agli strateghi del consorte il nuovo (vecchio, se si guarda ai
trascorsi pre campagna 2012) indirizzo che sembra rivelarsi vincente.
Una agenzia riassume significativamente il tutto mettendo in bocca alla signora una
incisivissima frase: “Lasciate che Mitt sia Mitt!”
331
10 OTTOBRE 2012
Domani sera il faccia a faccia Biden/Ryan
Secchione quale è, Paul Ryan è da parecchi giorni impegnato nella preparazione del
dibattito tv che lo vedrà l’11 ottobre sera, in una sala del liceo artistico di Danville
(Kentucky), confrontarsi col vice presidente in carica Joe Biden.
Per solito, il confronto tra i due vice non è considerato particolarmente importante,
ma oggi, dopo Denver e il suo esito pressoché catastrofico per Obama, almeno stando
ai sondaggi, è atteso con interesse.
Ci si chiede se Biden sarà in grado di difendere attaccando l’amministrazione della
quale fa parte.
Ci si chiede quale potrà essere l’atteggiamento di Ryan e quali le sue mosse, non
dimenticando che proprio a Denver Romney si è in qualche modo riposizionato al
centro e che la scelta del ‘running mate’ è caduta sul deputato del Wisconsin invece
per coprire a destra il Gop.
Non è da trascurare, poi, il fatto che Biden è famoso per le sue gaffe.
Saprà evitarle?
332
Obama ha problemi anche con ‘Big Bird’
Lo staff di Barack Obama ha fatto irritare i creatori di ‘Big Bird’, il pupazzo che
rappresenta un grande canarino giallo usato nella serie per bambini ‘Sesame Street’.
Lo stesso citato - passo falso secondo alcuni osservatori - da Mitt Romney
nell’oramai famoso dibattito tv di Denver, in cui ebbe ad affermare che malgrado
“amasse ‘Big Bird’”, avrebbe “tagliato i fondi alla Pbs”, la rete pubblica che mette
in onda la trasmissione.
In un video ‘approvato’ dal presidente, una voce fuori campo irride - cosa già fatta
dallo stesso Obama all'indomani del dibattito – il mormone accusato di aver
affermato che la colpa della crisi finanziaria globale iniziata nel 2008 non sia dei
rapaci speculatori di Wall Street ma di ‘Big Bird’.
La Pbs e' intervenuta chiedendo ad Obama di ritirare lo spot, ricordando che per la
sua natura la stessa Pbs e ‘Sesame Street’ sono organizzazioni “non schierate
politicamente”, e che pertanto, “non sostengono alcun candidato”.
333
11 OTTOBRE 2012
Accenni di panico in casa democratica?
Pare, sembra – occorre sempre essere molto prudenti quando si parla di sondaggi e in
specie se i cambiamenti registrati dagli stessi sono tanto improvvisi e consistenti –
che dagli Stati in bilico piovano indicazioni che gonfiano le vele alla campagna di
Mitt Romney al punto che il team di Obama arrivi ad ammettere che fra i democratici, in alcuni almeno, serpeggi “un certo senso di panico” per la brusca inversione
apparentemente conseguente al dibattito di Denver.
Per avere un’idea di quanto stia avvenendo nelle ‘war room’ delle società demoscopiche bisogna considerare che a quanto affermano le agenzie stampa quella della Suffolk University avrebbe deciso di sospendere i rilevamenti in Florida, Virginia e
North Carolina “perché il vantaggio di Romney oramai è troppo netto per poter essere
recuperato”.
A ciò bisogna aggiungere che in tre Stati finora considerati saldamente in campo democratico - Pensylvania, Wisconsin e Michigan - i sondaggi locali paiono riaprire la
sfida.
E in tale cornice ciò che più impensierisce i democratici sono i sondaggi delle ultime
quarantotto ore sul testa a testa in Ohio, dove fino alla scorsa settimana il presidente
aveva fino ad otto punti di vantaggio.
Perfino nella roccaforte democratica della California Obama perde terreno: il suo
vantaggio su Romney è sceso in cinque giorni da ventidue a quattordici punti.
James Carville, ex consigliere elettorale di Bill Clinton, non si lascia affatto
spaventare.
“Non c’è alcun panico fra i democratici”, afferma, “e i prossimi dibattiti rimetteranno
le cose a posto rilanciando Obama verso la rielezione”.
334
11 OTTOBRE 2012
Biden/Ryan: chi ha vinto?
Durissimo il confronto tv tra i due vice.
Andato in scena a Danville, Kentucky, ha visto Joe Biden e Paul Ryan in forma e in
qualche modo scatenati nel sostenere le posizioni proprie e dei partiti che
rappresentano.
In particolare, hanno affrontato i grandi temi della politica estera e delle tasse.
Al termine, difficile capire se uno dei due abbia prevalso tanto che nel sondaggio
successivo secondo la CNN Ryan era in testa mentre la CBS diceva esattamente il
contrario.
Un sostanziale pareggio che, considerando anche il fatto che sul ring non erano i due
big, non incide se non in superficie sull’andamento della campagna elettorale.
Prossimo appuntamento il 16 ottobre nei pressi di New York.
Torneranno allora a confrontarsi Obama e Romney.
335
12 OTTOBRE 2012
Documenti
L’autogol di Obama, un articolo di Jason Horowitz per Internazionale
Per quanto ancora il presidente Obama potrà trattenere il fiato?
Fino a due settimane fa tutto sembrava andare a gonfie vele.
Mitt Romney era stato sorpreso a parlare male di metà degli americani, e anche
episodi oggettivamente negativi per Obama come l’uccisione dell’ambasciatore in
Libia si erano ritorti contro il candidato repubblicano per via dei suoi commenti
maldestri.
Obama doveva solo limitarsi a non commettere errori.
Ma alla fine proprio la scelta di trattenere il fiato fino all’ultimo si è rivelata la svista
macroscopica che il presidente sperava di evitare.
In un dibattito disastroso, durante il quale Obama è sembrato addormentato, Romney
lo ha fatto a pezzi.
Ma soprattutto, il dibattito ha smascherato la strategia attendista di Obama.
Probabilmente il presidente russo Vladimir Putin, che ha cacciato dalla Russia
l’agenzia Usaid senza timore di rappresaglie, se n’era già accorto.
Ora l’ha capito anche Romney.
Questa settimana, in un importante discorso sulla politica estera, Romney ha criticato
Obama per non aver detto subito che l’assassinio dell’ambasciatore statunitense era
un attentato terroristico.
Poi si è scagliato contro l’immobilismo dell’amministrazione in Siria.
Lo staff del presidente ha accusato Romney di riproporre le politiche fallimentari di
George W. Bush.
Ora però Obama deve riprendere fiato e fare qualcosa o almeno uscire dal silenzio e
andare all’attacco nel prossimo dibattito.
Altrimenti nei prossimi quattro anni i suoi sostenitori si ritroveranno a parlare delle
politiche di Mitt Romney.
336
Florida: Romney oltre il cinquanta per cento
Fra gli undici ‘swing States’, quelli in bilico che possono teoricamente pendere verso
Obama o verso Romney, quello dotato del maggior numero di delegati, ventinove, è
la Florida.
E’ là, inoltre, che vivono in gran numero gli ispanici e in specie quelli di origini
cubane.
Ebbene, in un sondaggio compiuto da Rasmussen l’11 ottobre, il cinquantuno per
cento degli intervistati, scelti tra quanti andranno a votare, ha dichiarato il proprio
sostegno al candidato Gop.
Il presidente risulta staccato di quattro punti.
Per la prima volta, sia guardando ai sondaggi nazionali che a quelli Stato per Stato,
Romney supera la soglia fatidica del cinquanta per cento.
Se poi si guarda alla media delle rilevazioni degli ultimi giorni - prendendo in esame
non solo l’istituto Rasmussen considerato ‘vicino’ ai repubblicani – in Florida resta
comunque in testa il mormone di due punti mentre a livello della federazione tutta lo
stesso Mitt prevale di un punto.
Ripeto fino alla nausea che dei sondaggi ci si deve fidare moderatamente: per
esempio, nel 2004 Kerry veniva dato per vincente fino alla vigilia del voto e si è visto
come è andata a finire.
Lindsay Lohan si dichiara pro Romney
Non sarebbe questa di per sé una notizia degna di segnalazione.
Lo diventa perché nel 2008 l’attrice in questione era assolutamente pro Obama e
oggi abbandona il suo campo.
Fatto è che ieri Lindsay Lohan ha dichiarato di votare per Romney in quanto ritiene
che la questione principale sul tappeto sia quella dell’occupazione, questione che il
presidente in carica non è in grado di affrontare con successo.
Il prossimo faccia a faccia? Nella forma ‘town hall’
Sarà un dibattito nel format ‘town hall’ quello di martedì prossimo tra Barack
Obama e Mitt Romney.
Alla Hofstra University di Hampstead, nello Stato di New York, i due rivali saranno
davanti a una sorta di assemblea popolare formata da elettori ancora indecisi
selezionati dalla Gallup.
A turno, dal pubblico qualcuno farà una domanda.
Romney e Obama avranno due minuti per rispondere.
Il moderatore, stavolta un volto della Cnn, Candy Crowley, avrà il compito di
“facilitare la discussione”.
Nei novanta minuti a disposizione, i due candidati dovranno affrontare un ampio
ventaglio di questioni nazionali e di politica estera.
337
Organizzato per la prima volta nel 1992 a Richmond, in Virginia (tra l'uscente,
George W. Bush, Bill Clinton e il miliardario terzo incomodo Ross Perot), il dibattito
‘town hall’ fa emergere domande che, venendo da un pubblico di gente ‘normale’,
sono meno prevedibili e di conseguenza possono portare i candidati su terreni
scivolosi.
Da notare che i dibattiti presidenziali, quest'anno tutti organizzati in campus
universitari, tendono ad attirare ogni sorta di manifestazioni collaterali: stavolta
sarà il turno della Long Island Peace Alliance che organizzerà una protesta contro la
permanente presenza di truppe americane in Iraq, Afghanistan, Libia e Somalia.
Il dibattito di Denver tenne incollate dinanzi agli schermi tv oltre sessantasette
milioni di persone.
Difficile fare previsioni stavolta ma il confronto cade proprio nel bel mezzo dei
playoff della Major League Baseball e quindi...
Il terzo e ultimo dibattito presidenziale, si terrà a Boca Raton, in Florida, e sarà
limitato alla politica estera.
Il ‘boss’ Springsteen a Parma (Ohio) con Obama
Ohio: l’ho scritto infinite volte, l’Ohio è fondamentale per le sorti delle elezioni USA.
Mai nessun candidato Gop ha prevalso se non vincendo appunto in Ohio.
Logico, quindi, che Obama e i suoi democratici cerchino di conquistarlo.
Già dato dalle rilevazioni locali in vantaggio abbastanza nettamente, il presidente in
carica ha previsto per i prossimi giorni una forte presenza nello Stato.
Parlerà a Parma e con lui saranno il carismatico Bill Clinton e nientemeno che ‘the
boss’, ovvero Bruce Springsteen.
Vicinissimo ad Obama già nel 2008, il grande cantautore torna a schierarsi e,
contrariamente ai molti che hanno abbandonato quel campo, riafferma
pubblicamente la propria amicizia, la sua preferenza.
338
13 OTTOBRE 2012
Documenti
Podhoretz: Romney come John F. Kennedy su tasse, patriottismo e
aborto, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa
“L’ America si sta risvegliando e guarda a Romney perché i suoi repubblicani
assomigliano ai democratici di John F. Kennedy”.
Norman Podhoretz è il pensatore e politologo neoconservatore che dalle colonne di
‘Commentary’, il magazine di cui è direttore editoriale, ha spesso sferzato il
presidente Barack Obama.
Di cui ora prevede la sconfitta nell’Election Day.
In cosa consiste il risveglio dell’America?
“Nel fatto che milioni di cittadini che quattro anni fa elessero Obama si rendono
conto che ha mancato le sue maggiori promesse.
Aveva promesso la disoccupazione al sei per cento e la crescita al quattro mentre il
Pil non è andato oltre l’uno e mezzo e i senza lavoro sono stati a lungo oltre l’otto.
In politica internazionale ha perseguito il ‘reset’ con l’Islam, la Russia e la Cina a
colpi di mea culpa ma non ha funzionato in nessun caso.
Mosca e Pechino si sono rafforzati ai nostri danni e la tragedia di Bengasi evidenzia i
fallimenti con il mondo arabo.
Senza contare gli attriti avuto con lo Stato di Israele, nostro stretto alleato.
I sondaggi confermano che gli elettori stanno aprendo gli occhi”.
La campagna presidenziale è iniziata a gennaio, perché la svolta avviene a meno di
un mese dal voto?
“Perché da molti anni oramai gli americani scoprono che si vota per il presidente solo
in settembre-ottobre.
Fino all’estate sono distratti.
Inoltre in questo caso il catalizzatore del risveglio è stato il dibattito Romney-Obama
di Denver”.
Può un unico dibattito tv avere una simile importanza?
“Se ciò è avvenuto la responsabilità è di Obama.
Per mesi ha descritto agli americani un Romney estremista che non esiste.
Quando in tv la gente ha visto che è un leader conservatore, moderato, centrista, di
buon senso l’impatto è stato notevole.
È stata una sorpresa positiva per settanta milioni di telespettatori”.
Quale è l’identità del partito repubblicano di Romney?
“Assomiglia molto ai democratici che all’inizio degli anni Sessanta elessero John F.
Kennedy alla Casa Bianca”.
In realtà durante la Convention di Tampa quello repubblicano è sembrato a molti
osservatori un partito incolore, con pochi valori e un solo messaggio sull’economia.
Da dove viene il paragone con Kennedy?
339
“Dal fatto che Romney sostiene tre posizioni-chiave pressoché identiche a quelle che
avevano allora i kennedyani.
Primo: abbattere le tasse per far crescere l’economia.
Secondo: l’America è una ‘forza del bene’ nella politica internazionale.
Terzo: no all’aborto.
Sono valori spesso attribuiti a Ronald Reagan ma in realtà fu Kennedy a portarli per
primo alla Casa Bianca.
I democratici li hanno dimenticati ma Romney li incarna, quasi alla lettera, e per
questo può raccogliere molti voti di incerti”.
Non ritiene che lo scarso impegno di Romney sull’immigrazione possa rivelarsi un
elemento di debolezza in ragione dell’accresciuta importanza dell’elettorato ispanico?
“Gli ultimi sondaggi in Florida dicono che gli ispanici in maggioranza voteranno per
lui.
Vedremo dopo le elezioni se sull’immigrazione Romney ha avuto torto o ragione”.
Chi ha vinto il dibattito fra i vice, Joe Biden o Paul Ryan?
“Biden sembrava Al Gore nel duello con George W. Bush nel 2000.
Gore gestiscolava e roteava gli occhi per trasmettere insofferenza verso le tesi
dell’avversario e Biden si è comportato in modo simile, dimostrando un disprezzo per
l’interlocutore destinato a giocargli contro nelle urne perché agli americani,
soprattutto a quelli incerti, tale atteggiamento sbruffone non piace”.
A cosa porterà il risveglio dell’America che descrive?
“All’elezione di Mitt Romney alla Casa Bianca.
Ma con le mie previsioni bisogna andare cauti, quattro anni fa ero sicuro che Barack
Obama avrebbe perduto e mi sbagliavo di grosso”.
340
Cosa dicono oggi i bookmaker: Obama ancora favorito ma Romney
migliora le proprie quotazioni
Obama sarà pure favorito, ma Mitt Romney continua a rosicchiare punti importanti
al suo rivale per la corsa alla Casa Bianca, soprattutto tra bookmaker e
scommettitori.
L'agenzia inglese William Hill ha reso noto che nella giornata di ieri un americano in viaggio a Londra - ha puntato diecimila sterline (oltre dodicimila euro) sulla
vittoria del candidato conservatore.
Il giocatore, un uomo di mezza età, ha detto di essere un 'insider politico' e ha
puntato su Romney che in quel momento era offerto a due e ottantotto.
Non è stata la prima scommessa a cinque cifre sul rivale di Obama (ne erano già
arrivate due superiori alle diecimila sterline) e i bookie sono stati obbligati a tagliare
ulteriormente l'offerta sulla vittoria del mormone.
“Il momento sembra favorevole per lui”, ha detto un portavoce dell'agenzia, “e
abbiamo portato la sua quota a due e settantacinque.
Nel frattempo, abbiamo ricevuto anche una giocata da undicimila euro e una da
diciassettemila dollari su Obama, rispettivamente dal Belgio e dagli Stati Uniti”.
Il presidente in carica rimane dunque favorito a uno e quarantaquattro, ma la
battaglia è ancora lunga.
“Fino al giorno delle elezioni ci aspettiamo un fatturato record”, ha concluso il
portavoce.
Murdoch a piedi uniti contro Obama
Alla sempre più arroventata campagna per le presidenziali Usa del 6 novembre si è
unito oggi Rupert Murdoch che, dal proprio account su Twitter, ha sparato a zero
contro il Presidente uscente Barack Obama, e di più contro il suo vice, Joe Biden,
schierandosi apertamente dalla parte del candidato repubblicano.
“Sarebbe un incubo per Israele se vincesse Obama”, attacca il magnate australiano.
Un “incubo” è definita anche l’ipotesi in cui in un ipotetico secondo mandato di
Obama diventasse Segretario di Stato l’attuale ambasciatrice americana presso le
Nazioni Unite Susan Rice.
Quanto a Biden, in uno dei quattro tweet messi on-line nell’arco di diciotto minuti
Murdoch l’accusa senza mezzi termini di aver “mentito spudoratamente sui rapporti
personali con Bibi”, il soprannome del premier israeliano Benjamin Netanyahu, con
il quale di recente il numero due dell’amministrazione di Washington aveva
rivendicato “trentanove anni di amicizia”.
Un altro affondo Murdoch lo dedica all’assalto del mese scorso contro il consolato
generale degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, da parte, si è detto, di una folla
inferocita.
“Su Bengasi la Casa Bianca sta ancora mentendo.
Doveva conoscere la verità.
O forse l’intera amministrazione e’ un disastro?”, ha incalzato, alludendo alle
segnalazioni delle agenzie d’intelligence che avrebbero invano messo in guardia dal
341
pericolo di un attacco, costato la vita a quattro cittadini statunitensi tra cui lo stesso
ambasciatore Christopher Stevens.
“Biden”, ha proseguito Murdoch, “si è messo la Cia sotto i piedi, e ora la Casa
Bianca fa altrettanto con il Dipartimento di Stato!”.
In passato il miliardario australiano non aveva lesinato le critiche nemmeno a
Romney, ma in questa occasione si è lanciato a testa bassa unicamente contro il
‘ticket’ democratico.
Unica annotazione critica bipartisan: “Da ambedue le parti le spese elettorali sono
eccessive”.
Vincere senza l’Ohio? Difficile, non impossibile
Lo sapete, l’Ohio è sempre decisivo per i Gop.
Si può vincere facendone a meno?
In effetti, gli strateghi di Romney hanno preparato una simulazione della mappa
elettorale che prescinde dall’Ohio.
Quanto comunque poco credano che vincere senza conquistare il Buckeye State sia
possibile, lo testimoniano i comizi e i rally che Ryan e Romney stanno tenendo in
questi giorni nello Stato.
Per ‘sostituire’ i diciotto voti elettorali dell’Ohio, il repubblicano dovrebbe strappare
a Obama l’Iowa (sette delegati), il Nevada (sei) e il Colorado (nove).
Resta fondamentale (come tradizione dal 2000) la conquista dei ventinove voti
elettorali della Florida (dando per quasi fatta la vittoria in North Carolina, quindici
voti, e possibile, benché tutta da conquistare, quella in Virginia, tredici).
A quanto arriverebbe Romney se facesse filotto strappando sei Stati chiave a
Obama? Esattamente a duecentosessantanove.
Parità.
Per scardinare l’equilibrio, basterebbero i quattro voti del New Hampshire (i rivali
sono di fatto in parità anche se una rilevazione Arg lo attribuisce al conservatore).
Il mormone così potrebbe essere presidente senza l’Ohio, una prima volta assoluta
per un repubblicano varcare lo Studio Ovale senza i grandi elettori del Buckeye
State. Ma quanto è realistico questo cammino? Sicuramente non impossibile ma
difficile certamente.
La gara dell’entusiasmo
Ne inventano una al giorno ed oggi è il turno della ‘gara dell’entusiasmo’ nella
quale Mitt Romney sarebbe passato in vantaggio.
A ventiquattro ore dal secondo duello tv, un sondaggio di Abc/Washington Post dà
un nuovo colpo alle speranze di Obama: in questo momento sono gli elettori
repubblicani i più motivati.
342
E’ importante, dicono, il ‘termometro dell’entusiasmo’ perché può fare la differenza
nell’affluenza alle urne e quindi cancellare il lieve vantaggio di cui tuttora godrebbe
il presidente nello stesso sondaggio Abc/WP.
Un’altra rivelazione di questa indagine: la stragrande maggioranza dice di non aver
cambiato idea per effetto del primo duello tv.
La spiegazione sta nel fatto che la vittoria indiscutibile di Romney in quel confronto
più che spostare voti da destra a sinistra ha alterato di colpo la benedetta ‘dinamica
dell’entusiasmo’ tra i due campi.
Incertezza negli ‘Stati chiave’
Situazione di grande incertezza, che in pratica descrive un accanito testa a testa, nel
duello tra Barack Obama e Mitt Romney alla vigilia del secondo dibattito tv.
Se oggi 15 ottobre un sondaggio Washington Post/Abc conferma che il presidente è
in lieve vantaggio a livello nazionale, con un margine di tre punti che sono
statisticamente considerati nulli, un altro sondaggio, il Washington University
Battleground, pubblicato da ‘Politico’ mostra come il repubblicano ora risulti in
testa di un soffio, con il cinquanta per cento contro il quarantotto di Obama, nei dieci
‘Stati chiave’.
Agenzia del 16 ottobre: Romney in vantaggio di quattro punti
Secondo l’Adnkronos, “Mitt Romney ha un vantaggio di quattro punti su Barack
Obama alla vigilia del secondo dibattito tv che si svolgerà questa sera.
E’ quanto emerge dal sondaggio realizzato da Gallup per Usa Today in dodici
‘swing States’, gli stati chiave, dove il cinquanta per cento dei probabili elettori ha
detto che si votasse oggi voterebbe per il repubblicano, mentre il quarantasei ha
detto che sceglierebbe il presidente”.
Hillary Clinton protegge Obama alla vigilia del secondo dibattito
Assumendosi la piena responsabilità per le falle nella sicurezza nel consolato di
Bengasi nel momento dell'attacco in cui sono rimasti uccisi l’ambasciatore Stevens e
altri tre diplomatici, Hillary Clinton “ha aggiunto ulteriore sforzo al già
considerevole impatto che i Clinton stanno fornendo” per la rielezione di Barack
Obama.
E' quanto scrive, sul suo sito, oggi il Washington Post, sottolineando come la
dichiarazione del segretario di stato é arrivata “alla vigilia di un cruciale dibattito
presidenziale” in cui la polemica sull'attacco dell'11 settembre potrebbe essere un
terreno scivoloso per il presidente.
343
Fallisce una seconda società ‘verde’ sostenuta da Obama
A poche ore dall'attesissimo secondo duello tv tra Mitt Romney e Barack Obama, una
nuova tegola cade sul presidente.
Dopo la società di pannelli solari californiana Solyndra, una seconda società
‘verde’, la ‘A123 Systems’, ha fatto bancarotta dopo aver ricevuto
duecentoquarantanove milioni di dollari di fondi garantiti dal governo.
La società, che produceva innovative batterie agli ioni di litio ha dovuto gettare la
spugna e ricorrere alla procedura ert. Art 11 dopo che le trattative con la ditta
cinese di componentistica auto, Wanxiang Group, sono fallite.
Solyndra aveva ricevuto quasi mezzo miliardo di dollari dall'amministrazione Obama
prima di fallire.
344
17 OTTOBRE 2012
Obama prevale nettamente nel secondo dibattito televisivo
A detta dei sondaggi, il presidente Obama si è aggiudicato il secondo faccia a faccia
televisivo tenutosi ieri sera nell’università di Hofstra sita ad Hampstead, Long Island,
circa quaranta chilometri da New York.
Rispondendo alle domande dei cittadini (il dibattito era nel cosiddetto stile ‘town
hall’ nel quale sono appunto alcuni cittadini presenti in studio a rivolgere i loro
quesiti ai contendenti), l’attuale inquilino di White House è sembrato in forma e
decisamente rinfrancato rispetto alla magra figura rimediata a Denver.
Tutte le rilevazioni successive, come detto, lo vedono prevalere con una media
secondo la CNN del quarantasei per cento contro il trentanove.
Quanto alla CBS, ha richiesto il parere degli indecisi che si sono in tal modo divisi:
trentasette per cento per Obama, trenta per Romney e trentatre per cento che li hanno
visti alla pari.
Si è trattato in particolare di posti di lavoro, di economia e di politica estera con
riferimento in quest’ultimo caso all’attacco terroristico subito a Bengasi l’11
settembre scorso.
E sul quest’ultimo tema in specie gli attacchi di Romney sono risultati, a quel che
sottolineano gli osservatori, addirittura “balbettanti”.
345
Dopo Hofstra, in giro con maggiore accanimento per gli ‘swing States’
All'indomani del secondo confronto diretto in televisione, e in attesa di affrontarsi il
22 sera per la terza e ultima volta a Boca Raton in Florida, Barack Obama e Mitt
Romney hanno evitato di concedersi ulteriormente ai mass media e hanno ripreso
ciascuno la propria campagna elettorale concentrandosi su tre dei cosiddetti ‘swing
States’, gli Stati in bilico, l'esito nei quali sarà decisivo.
Obama ha tenuto una serie di comizi prima nello Iowa e poi in Ohio, mentre il suo
avversario si é dedicato alla Virginia.
Le comparsate del giorno dopo sul piccolo schermo sono state delegate da entrambi
ai rispettivi candidati vice,
Naturalmente ognuno dei due, Joe Biden e Paul Ryan, ha rivendicato all'altra metà
del ticket la vittoria nel dibattito televisivo.
Ryan, ospite di ‘Good Morning America’ sul network Abc, ha sostenuto che il
presidente uscente “non e' stato in grado di giustificare il proprio operato sul deficit
di bilancio e sulla creazione di posti di lavoro”.
Biden, che si é presentato a ‘Today’ in onda per la Nbc, ha sottolineato invece come
l'ex governatore del Massachusetts non abbia ancora fornito “nemmeno un singolo
dettaglio sul suo piano fiscale”.
Tutte le analisi, comunque, confermano che in questa seconda occasione a prevalere
sia stato Obama.
346
18 OTTOBRE 2012
Documenti
Dopo Hofstra: un’agenzia Agi conferma l’obiettività della denuncia di
Romney contro Obama a proposito del ‘caso Bengasi’
Malgrado dal secondo dibattito tv Barack Obama sia uscito vincitore, seppur ai punti,
l'attacco di Mitt Romney sulla confusione con cui l'amministrazione ebbe a reagire
all'uccisione dell'ambasciatore Chris Stevens al consolato di Bengasi l'11 settembre
scorso non é riuscito solo perché é stato condotto male.
A diverse ore dalla fine del dibattito i media Usa ragionando a freddo si sono accorti
che Obama se l’é cavata solo perche Romney non é stato in grado di replicargli a
tono.
Non solo.
La moderatrice, la conduttrice della Cnn, Candy Crowley ha invero inizialmente
sostenuto che il presidente nel suo discorso all'indomani dell'attacco dell'11 settembre
ha definito l’uccisione di Stevens e di altri tre americani un “atto terroristico” ma solo
indirettamente.
Come si sente nel filmato originale - riproposto dalla conservatrice Fox News di
Rupert Murdoch che non ama il presidente - l'unica volta che Obama ha usato il
termine ‘terrorismo’ nel discorso il 12 settembre nel giardino delle rose alla Casa
Bianca fu quando sostenne “nessun atto di terrore riuscirà ad indebolire la
determinazione di questa grande nazione”.
Un riferimento, quindi, del tutto indiretto.
Obama non ebbe quindi a definire esplicitamente l'attacco al consolato di Bengasi un
“atto di terrorismo”.
Crowley, infatti, in parte coperta dagli applausi degli spettatori, dopo aver dato
ragione al presidente ha aggiunto che, “effettivamente”, Romney aveva ragione
perché, ha ricordato, “l'amministrazione per due settimane è andata avanti a sostenere
che (l'attacco) fosse legato al filmato”.
Il riferimento à al film islamofobo made in Usa, ‘The innocence of Muslim’, diffuso
da un predicatore salafita egiziano pochi giorni prima.
La stessa cosa nota una fonte non ostile a Obama, il ‘New York Times’, che riporta il
medesimo virgolettato con le dichiarazioni che si sentono nel video della ‘Fox News’
ma aggiunge un ulteriore riferimento - sempre non diretto - fatto il 13 settembre a Las
Vegas dove Obama disse che “nessun atto di terrorismo affievolirà la luce dei valori
con cui orgogliosamente illuminiamo il resto del mondo".
Il 14 il portavoce del presidente, Jay Carney, a sua volta sostenne di “non avere
alcuna informazione che suggerisca che si sia trattato di un attacco preparato”.
Il 16 l'ambasciatore Usa all'Onu, Susan Rice, si spinse a dirsi certa che l'attacco a
Bengasi “é iniziato spontaneamente e non é stato un atto premeditato”.
347
Solo
il
19
settembre,
non
il
presidente
ma
Matthew
G.
Olsen, sottolinea il ‘NYT, direttore dell'antiterrorismo Usa, durante un'udienza al
Senato disse che Stevens e gli altri tre americani “erano stati uccisi nel corso di un
attacco terroristico alla nostra ambasciata”.
Solo il giorno dopo, interrogato dai giornalisti, a quel punto Carney dichiarerà “é
evidente che quanto avvenuto a Bengasi é stato un attacco terroristico”.
A sancire con il crisma dell'ufficialità e dell'attendibilità la natura dell'attacco solo il
successivo 28 settembre fu James Clapper, coordinatore (Dni) delle sedici agenzie di
intelligence Usa, che in un'inusuale dichiarazione pubblica, ebbe a confermasre che
l'operazione, “in base a nuove informazioni emerse”, é stato “un attacco terroristico
deliberato e organizzato da estremisti”.
348
Il terzo appuntamento
Pochi giorni ancora e il 22 ottobre in quel di Boca Raton, Florida, avrà luogo il
terzo ed ultimo dibattito televisivo.
Grande l’attesa, visto che quest’anno molti ritengono che i faccia a faccia tv
possano avere davvero una notevole incidenza sul voto.
Come sappiamo, gli analisti e i sondaggi sostengono che il primo match sia stato
vinto nettamente dal mormone mentre il secondo è stato appannaggio del presidente.
Personalmente, dubito della definitiva efficacia di tali dibattiti che forse possono
incidere su qualche indeciso ma non determinano spostamenti in grado di
terremotare il quadro elettorale.
349
18 OTTOBRE 2012
La corsa alla casa Bianca Stato per Stato secondo i sondaggi
Le ultime rilevazioni nazionali
Per Gallup Romney è oggi al cinquantuno per cento e Obama al quarantacinque.
Per Rasmussen Tracking il repubblicano conduce invece di un solo punto
(quarantanove a quarantotto) mentre per IBD/TIPP Tracking il presidente è al
quarantasette per cento, due punti sopra lo sfidante.
Le ultime rilevazioni locali
Wisconsin, Marquette University: Obama quarantanove, Romney quarantotto
New Hampshire, Rasmussen Reports: Obama cinquanta, Romney quarantanove
Nevada, LVRJ/SurveyUSA: Obama quarantotto, Romney quarantacinque
Nevada, Rasmussen Reports: Obama cinquanta, Romney quarantasette
Montana, Rasmussen Reports: Romney cinquantatre, Obama quarantacinque
New Jersey, Neighborhood Research (R): Obama quarantotto, Romney quarantuno
Connecticut, Siena: Obama cinquantatre, Romney trentotto
Washington, Rasmussen Reports: Obama cinquantacinque, Romney quarantadue
I seguenti dati derivano dalla media degli esiti riscontrati nei sondaggi
Florida: Obama quarantotto, Romney quarantanove
Virginia: Obama quarantasette, Romney quarantotto
New Hampshire: Obama quarantasette, Romney quarantasette
Colorado: Obama quarantasette, Romney quarantotto
Ohio: Obama cinquantuno, Romney quarantasei
Pennsylvania: Obama cinquanta, Romney quarantasei
Wisconsin: Obama quarantanove, Romney quarantotto
Iowa: Obama quarantanove, Romney quarantasei
North Carolina: Obama quarantasette, Romney quarantanove
Connecticut, Hartford Courant/Uconn: Obama cinquantuno, Romney trentasette
Michigan, LE&A/Demo Research: Obama quarantaquattro, Romney quarantuno
Minnesota, KSTP/Survey USA: Obama cinquanta, Romney quaranta
Data la particolare importanza dello Stato in questione ecco altri due dati concernenti
il ‘Buckeye State’
Ohio, Rasmussen Reports: Obama quarantanove, Romney quarantotto
Ohio, SurveyUSA: Obama quarantacinque, Romney quarantadue
Guardando alle previsioni e ricordando che per vincere si devono conquistare al
minimo duecentosettanta delegati
il ‘New York Times’ attribuisce duecentotrentasette voti elettorali sicuri a Obama e
centonovantuno altrettanto certi a Romney
350
il ‘Washington Post’ centonovantasei a centosettanta per il presidente
il ‘Wall Street Journal’ centosettantanove a centocinquanta
‘Real Clear Politics’ duecentouno a centonovantuno
‘Huffington Post’ duecentosettantuno a duecentosei
351
Gallup il 16 ottobre vedeva Romney in netto vantaggio. Chi ci capisce
qualcosa è bravo
Non si fa in tempo a prender nota dei sondaggi in molti casi negativi per Mitt
Romney che subito il tavolo viene buttato per aria da una autorevole rilevazione
della quale Karl Rove a dir poco è entusiasta.
“Non c'è stato mai alcun candidato”, dice, “che fosse accreditato al cinquanta per
cento in un sondaggio della Gallup a metà ottobre che poi abbia perso le elezioni”.
La memoria (storica) del potente uomo forte del Gop funziona molto bene.
Ed è per questo che l'architetto delle vittorie di George W. Bush ha salutato con
tanto calore il responso del sondaggi fatto da questo istituto.
Il cinquantuno per cento degli interpellati ha detto che voterebbe per Mitt Romney,
mentre solo il quarantacinque darebbe la sua preferenza a Barack Obama.
E' vero che il sondaggio è stato fatto il 16 ottobre , un giorno prima del dibattito di
Long Island, ma è anche vero che nessuna altra rilevazione aveva dato un margine di
distacco così ampio (a favore di Romney) come quello decretato dalla Gallup.
Redford per Obama, Lee Iacocca per Romney mentre Gallup dà il
mormone avanti di sette punti
Continuano gli ‘endosement’, le dichiarazioni di appoggio, ai due contendenti.
Come molte altre star hollywoodiane, Robert Redford si è pronunciato per il
presidente in carica mentre l’ex numero uno della Chrysler Lee Iacocca ha detto di
preferire il mormone.
Intanto, nella sua autorevole rilevazione giornaliera, l’istituto Gallup attribuisce a
Romney un vantaggio a livello nazionale di sette punti e non è mai successo prima
che un aspirante alla Casa Bianca vincesse quando in simili condizioni a sole due
settimane dal voto.
Restano a favore di Obama molti Stati dati per incerti, anche se la tendenza dice che
il suo vantaggio va diminuendo.
Il film su Bin Laden in programma due giorni prima del voto
I dirigenti dell’emittente televisiva ‘National Geographic Channel’ sostengono
trattarsi solo di una coincidenza e che non è assolutamente loro intenzione
influenzare l’elettorato in favore di Obama, ma certamente non è facile da digerire
per i repubblicani il fatto che il film che celebra l’attacco al rifugio e la morte di Bin
Laden trattando il tutto come un fiore all’occhiello dell’amministrazione in carica
venga proposto in prima assoluta proprio il 4 novembre.
352
Ann Romney: “Dovesse perdere, Mitt lascerebbe la politica attiva”
In un’intervista a cuore aperto, Ann Romney ha ricordato come e quanto sia stato
difficile per tutta la famiglia dopo la sconfitta nelle primarie nel 2008 accettare che il
marito e padre si rimettesse in gioco.
“Dovesse perdere il 6 novembre, lascerebbe la politica” ha assicurato.
Le cose cambiano: Obama 2008, Obama 2012 secondo Grover Norquist
“…quando il presidente vinse sia in Virginia che nella North Carolina, era ancora il
candidato del cambiamento e della speranza” ha commentato Grover Norquist,
leader dell’Americans for Tax Reform, sul forum di Politico.
“Da allora ha governato come se fosse il candidato dei leader sindacali, delle
macchine elettorali urbane e degli studi di avvocati.
Ha reso ancora peggiore la situazione economica.
Ha buttato soldi nelle politiche fallite di stimolo economico.
E poi c’è stata Solyndra (lo scandalo del finanziamento a una compagnia di
fotovoltaico, poi finita in bancarotta).
“E Fast and Furious (le armi date, come esca, ai narcos e poi finite definitivamente
nelle mani dei trafficanti).
Sappiamo già cosa pensano in quei due Stati del presidente Obama.
Hanno votato nel 2010 per eleggere un governatore repubblicano in Virginia e un
legislativo a stragrande maggioranza repubblicana nella North Carolina”.
Secondo un sondaggio Cbs, Obama avrebbe favorito l’incremento della
vendita delle armi da fuoco(?!)
Durante il mandato di Barack Obama i produttori di armi hanno incrementato i loro
guadagni, e il numero di negozi in cui si vendono fucili e pistole negli ultimi due anni
(dal 2010) avrebbe ricominciato a crescere - tremila negozi in più negli Usa - dopo
un periodo di calo.
I dati derivano da un’inchiesta della Cbs, che ha destato scandalo, perché la linea di
Barack Obama è sempre stata per un restringimento della vendita e della
circolazione delle armi.
Ma, evidentemente, le cose in concreto non stanno così.
La Ruger ha dichiarato di aver aumentato le vendite dell'ottantasei per cento da
quando Obama è presidente e la Smith&Welson del quarantaquattro.
La stessa Nra, la lobby americana delle armi, ha aumentato gli iscritti e al 2010 si
trovava in cassa ventiquattro milioni di dollari, molti di più del 2004, alla fine del
primo mandato di Bush jr, considerato un presidente amico delle armi.
Non è facile comprendere le ragioni di queste impennate: secondo la Cbs la
consapevolezza che Obama avrebbe potuto avviare una stretta ha dato il via alla
corsa.
353
Il fatto che poi non abbia realizzato la promessa - Bill Clinton aveva introdotto lo
stop alla vendita di particolari tipi d'arma per un decennio, e una volta scaduto lo
stop non è stato rinnovato né da Bush né da Obama - avrebbe favorito la superdomanda.
In vista del terzo dibattito tv
I candidati alla Casa Bianca si sono chiusi questo fine settimana in ritiro in vista
dell‘ultimo dibattito televisivo del 22 ottobre a Boca Raton.
E se Mitt Romney ha scelto di arrivare già nel weekend in Florida insieme al suo
staff di consiglieri e preparatori, il presidente invece ha preferito recarsi a Camp
David, il ritiro tra le montagne del Maryland famoso per gli storici summit
internazionali che ha ospitato.
E la location appare quanto mai azzeccata, visto che questo ultimo dibattito sarà,
secondo il programma, concentrato principalmente sulle questione di politica estera.
Intanto, Obama ha mandato in avanscoperta Joe Biden in Florida.
Oggi 20 ottobre farà un comizio a St. Agustine, città della costa Atlantica, mentre
sempre oggi Paul Ryan - che ieri ha partecipato con Romney ad un rally a Daytona
Beach, in Florida - fa tappa in Pennsylvania, altro Stato chiave.
Il dibattito sarà moderato dall’anchor della Cbs Bob Schieffer, ed avrà, a differenza
di quello della settimana scorsa a Long Island, il formato classico dei due candidati
fermi ad un leggio che risponderanno alle domande del moderatore il quale ha
indicato una lista di cinque ‘aree calde’.
Naturalmente il Medio Oriente e il terrorismo faranno la parte del leone.
354
20 OTTOBRE 2012
Documenti
Romney, il pareggio di bilancio per tornare a crescere, un articolo di
Carlandrea Poli per Termometro Politico
Il pareggio di bilancio, what else?
Romney sta provando a vincere la campagna elettorale per le presidenziali sulla sua
competenza da manager spietato, che salva le aziende e gli Stati colpendo a suon
d’accetta i costi – anche se coincidono con migliaia di posti di lavoro –, e col far
tornare i conti come unico obiettivo.
L’America in effetti è ammalata di debito pubblico, centoquattro per cento sul Pil,
con un disavanzo annuo del sette per cento.
Livelli che non si toccavano dalla fine della seconda guerra mondiale, quando il
sistema di ‘warfare’ e il piano Marshall incipiente portarono a scommettere su un
intervento pesante dello Stato sull’economia.
“La matematica è la mia vita”, ha affermato l’ex governatore del Massachusetts nel
secondo dibattito tv e su questo si misura la freddezza riscontrata per buona parte
delle presidenziali – si sa, i numeri da soli riscaldano poco i cuori degli elettori – e al
tempo stesso la sua capacità di costruire una cornice narrativa coerente di
responsabilità fiscale: le aziende si tengono in piedi per fare utili, famiglie e Stati
prosperano sul principio del deficit zero.
Lo scoglio enorme di questo racconto è che il rifiuto liberista e – almeno sul piano
teorico – molto affine ai repubblicani del deficit spending va ad impattare sul muro
della spesa sociale, degli stimoli fiscali.
Molto spesso deprime nell’immediato il Pil, per agganciare – si spera – una ripresa
robusta nel lungo periodo.
Il cuore della ‘romneyconomics’ ruota attorno ad un ottimismo sconfinato verso il
potenziale di ripresa della prima economia del mondo.
Una media di espansione del quattro per cento all’anno per far risalire le entrate
fiscali e abbassare il rapporto percentuale del debito sul Pil.
Ma l’ambizione di Romney è anche quella di scalfire il valore assoluto
dell’indebitamento del governo americano?
Una prima risposta nel suo programma si ha alla voce ‘spending’.
Entro il 2016 dalla Casa Bianca il lavoro sarà per comprimere la spesa in conto
capitale al diciotto per cento sul prodotto contro il venticinque del livello raggiunto
sotto la presidenza Obama.
Il risparmio sarebbe sull’ordine del trilione di dollari, azzerando di fatto il disavanzo
che viaggia ad ottobre del 2012 su uno virgola uno trilioni.
A rendere più rotondo il risultato la spesa verrebbe limata di altri trecento miliardi
con l’abolizione dell’Obamacare (valore novantacinque miliardi) e tagli alle
sovvenzioni per arte, cultura, l’emittente pubblica Pbs, riduzione del dieci per cento
dei dipendenti pubblici.
355
Se il piano di Romney si fermasse qui probabilmente potremmo dire con facilità che
entro il 2016 – in caso di vittoria nelle elezioni del 6 novembre – verrebbe issata la
bandiera della stabilità finanziaria nel budget federale con avanzi primari elevatissimi
degni dell’era Thatcher in Gran Bretagna.
Di fatto, esistendo solo questa ‘pars destruens’ della spesa pubblica l’appeal elettorale
dei repubblicani sarebbe stato compromesso.
Logica conseguenza, pertanto, ha voluto che il candidato del Gop abbia fatto sua la
bandiera degli sgravi fiscali alle persone e alle aziende.
Prima di tutto Romney vuole rendere definitivo il taglio, deciso ai tempi di Bush, al
venti per cento dell’aliquota marginale di tassazione per i redditi personali.
Inoltre vorrebbe detassare dividendi e capital gain con una franchigia di duecento
mila dollari.
Un primo motivo per far storcere il naso a chi crede in principi di equità fiscale e
assiste alla protezione della rendita finanziaria a fronte della spoliazione su vasta
scala del lavoro dipendente.
È l’abolizione dell’alternative minimun tax, però, a meritarsi la palma dell’intervento
più controverso in materia di fisco, promesso da Romney.
Introdotta da Nixon e inasprita da Clinton, l’Amt si inserisce nel sistema ‘patchwork’
delle deduzioni e delle detrazioni fiscali, che consente anche ai più ricchi di abbattere
notevolmente la base imponibile e pagare meno tasse di una famiglia di bassa
condizione sociale.
Ecco, l’imposta alternativa sterilizza l’eccesso di deduzioni e di detrazioni e stabilisce
una soglia minima da pagare.
Il ragionamento è immediato.
È sano alimentare i consumi, va bene incentivare gli americani con deduzioni e
detrazioni a spendere, permettere però ai ricchi – in relazione ad una maggiore
disponibilità di denaro – di ottenere più benefici fiscali di un lavoratore della middle
class sarebbe un intervento redistributivo al contrario.
Esiste sia per le persone fisiche che per le corporation.
Queste ultime avrebbero un ulteriore aiuto dal piano dei repubblicani con la riduzione
dell’aliquota massima dal trentacinque al venticinque per cento.
Le aziende non vedono tagli delle tasse dal 1988, gli anni reaganiani.
Il costo politico in termini di giustizia sociale, abbiamo visto, potrebbe essere salato
ma anche le casse federali potrebbero andare in sofferenza.
Per centinaia di miliardi di dollari.
Come poi questo si concili col solenne impegno preso lo scorso 3 ottobre, nel primo
duello televisivo, di non tagliare le tasse ai ricchi, è un mistero.
Di fronte a domande precise Romney diventa inafferrabile quanto un’anguilla.
Lascia irreparabilmente insoddisfatte le richieste di dettagli.
Non spiega chiaramente quali deduzioni e detrazioni abolirà e quanto i tax cuts
potranno conciliarsi col traguardo del pareggio di bilancio.
Nella diatriba macroeconomica che può scaturire, ad ogni modo, si impongono una
volta di più le leggi ferree della comunicazione.
356
“Sono disposto a cambiare il mio piano fiscale qualora mutassero le condizioni
economiche” ha spiegato giovedì scorso, perché tornando al punto d’inizio la
matematica è la vita di Romney.
Un racconto indiscutibilmente frustrante per i giornalisti e per quella parte di
elettorato americano interessata a capire – per poter esprimere un giudizio libero e
critico – fino in fondo il programma economico, ma che nella battaglia per
accaparrare voti decisivi sta avendo grande potenza d’attrazione.
Perché parlare del super-manager che può salvare l’economia americana è più
seducente che scendere in pedanti liste della spesa sulle singoli azioni da compiere
una volta al governo.
357
Gallup insiste e vede Romney davvero in grande spolvero
A sedici giorni dal voto il vantaggio di Mitt Romney su Barack Obama a livello
nazionale si sarebbe portato a sette punti.
Secondo Gallup lo sfidante repubblicano è al cinquantadue per cento delle intenzioni
di voto tra gli ‘elettori probabili’ (ritenuti determinanti perché non hanno ancora
deciso per chi votare e su cui entrambi i candidati si giocano l’elezione), contro il
quarantacinque del presidente.
Sempre secondo Gallup, Romney é anche avanzato tra gli ‘elettori registrati’ (quelli
che in teoria hanno già scelto), quarantanove per cento contro il quarantasei di
Obama.
358
22 OTTOBRE 2012
Documenti
Obama/Romney in tv, ecco come si rovescia l’utopia democratica, un
articolo di Carlo Bastasin per Il Sole 24 Ore
Solo un mese fa nessuno avrebbe previsto che il dibattito televisivo di questa notte tra
Barack Obama e Mitt Romney potesse risultare decisivo per la nomina del presidente
degli Stati Uniti.
Nessuno pensava che un confronto davanti alle telecamere potesse far mutare parere
al dodici per cento degli elettori, come è avvenuto nel dibattito d'esordio del 3
ottobre.
C'erano tre ragioni per escludere un così forte impatto: gli elettori incerti erano, si
diceva, al massimo il sette per cento; la campagna era condotta con strumenti
sofisticati di comunicazione, molto meno generici della televisione; infine, il
confronto di contenuto non si sarebbe deciso nei comizi, ma nel circuito che va dai
think tank di Washington ai nuovi media.
Il confronto in tv è invece arrivato come un sasso su uno specchio: ha rivelato la
personalità dei due candidati rompendo l'immagine virtuale riflessa da campagne
elettorali troppo astute e sofisticate i cui contenuti erano tenuti volutamente vaghi.
Nessuno tuttora conosce i dettagli del programma di Romney, ma anche Obama è
riluttante a discutere le responsabilità di una presidenza difficile.
Entrambi si sono mossi su linee di minima resistenza, cercando solo di mobilitare i
propri sostenitori.
Infatti fino ai confronti in tv, le intenzioni di voto si basavano sulle fedeltà di parte
degli elettori più che sui candidati.
Poi, pur con tutti gli inganni intrinseci alle tv, le telecamere hanno svelato la vis degli
sfidanti.
Dapprima più definita quella di Romney e più appannata quella di Obama, inibito dal
primo comandamento di un candidato di colore: mai mostrare aggressività per non
spaventare l'elettore bianco.
Poi contraddittoria quella di Romney e solida quella di Obama.
Può sembrare paradossale che in una campagna così lunga e martellante i profili dei
due candidati volessero rimanere sfumati, ma questo è proprio il punto cruciale: in un
sistema elettorale complesso non è il re a essere nudo davanti al popolo, ma viceversa
è l'elettore che appare privato di ogni paramento e di ogni segreto.
Voltaire non aveva fiducia nella democrazia, perché non aveva fiducia nel popolo,
oggi invece il candidato presidenziale si può fidare pienamente del popolo perché ne
conosce in anticipo ogni preferenza.
Sarà sufficiente adattare se stessi per vincerne la fiducia.
Ed è quello che Obama e Romney, hanno fatto sistematicamente.
359
Mese dopo mese Romney ha dato addirittura versioni fittizie e divergenti delle
proprie politiche.
La tecnologia ha permesso il ribaltamento dell'utopia democratica del re nudo.
Gli strateghi delle campagne presidenziali conoscono quasi tutto degli elettori e
confezionano su misura di ognuno di loro il messaggio dei candidati.
La quantità di dati che essi scuotono dai rami della foresta di internet su ogni
cittadino è tale da rivelare se l'elettore - a cui gli attivisti recapiteranno fino a venti
telefonate a domicilio - è credente o no, ambientalista o no, se consuma cibi organici
o non se ne cura.
Se fa parte di una comunità o vive isolato, se legge quotidiani e quali.
Grazie ai nuovi software in grado di incrociare i dati, ogni messaggio può arrivare in
cinquecento varianti diverse a seconda del destinatario.
Le campagne assomigliano alle immagini satellitari di google-earth che puntano
l'obiettivo su ogni quartiere o, come dicono, su ogni ‘codice postale’, producendo
cinquecento sfumature diverse dello stesso messaggio e dello stesso candidato che
così diventa uno, centomila e ovviamente nessuno.
Fino a che l'immagine più realistica non diventa paradossalmente quella televisiva.
Naturalmente è un'immagine falsa.
Il confronto in tv non ha concesso di conoscere nulla delle proposte di Romney o di
Ryan, ma solo la loro fotogenia e la loro personalità meno banale del previsto.
Lo stesso Obama nasconde la propria agenda per i prossimi quattro anni.
I colleghi del Tax Policy Center e di Brookings che hanno sollevato le contraddizioni
nel piano fiscale di Romney non ottengono risposta.
In tv Paul Ryan ha risposto che ci sono sei studi che contraddicono quello di
Brookings, anche se si trattava solo di blog o di analisi precarie.
Nel brodo comunicativo l'altra metà di ogni mezza verità scivola via impunita.
Tuttavia la spiegazione secondo cui Romney ha vinto il primo round, come dice
Obama, perché la tv favorisce i racconti generici e non la precisione, è troppo
compiacente.
Romney ha detto chiaramente quello che vuole ma senza spiegare come, Obama però
ha fatto il contrario.
Ha spiegato in che modo da presidente ha affrontato le complessità della politica, ma
ha perso di vista gli obiettivi, dando ragione a chi gli diceva che il suo slogan ‘Hope’,
speranza, era un sentimento, non una strategia.
La sua immaginifica retorica è affondata nel linguaggio della Beltway, la cittadella di
Washington, fin dal primo anno, quando Obama ha rinunciato a politiche radicali,
avendo ereditato un'economia disastrata e avendo dovuto accettare troppi
compromessi.
Il mondo pulito, trasparente e generoso gli è scappato tra le dita.
Tuttora Obama sa che l'economia è troppo debole e che il Congresso repubblicano lo
braccherà ancora, per poter vantare nuove speranze.
Il 3 ottobre, la tv ha mostrato implacabilmente un presidente che aveva perso
ispirazione.
360
Il 16 ottobre, nel secondo dibattito, Obama ha reagito ribaltando sui repubblicani la
responsabilità dell'impasse politico del paese.
Questa notte gli americani si aspettano l'ultimo responso.
361
23 OTTOBRE 2012
Boca Raton pro Obama
Stando ai sondaggi e ai commenti degli osservatori, Barack Obama ha vinto
nettamente il terzo faccia a faccia televisivo dedicato alla politica estera svoltosi ieri
sera, 22 ottobre, in Florida, esattamente a Boca Raton.
La CBS, sulla base del sondaggio effettuato a caldo appena terminato il confronto,
certifica una larga affermazione di Obama, gradito al cinquantatre per cento dei
telespettatori nel mentre un ventiquattro per cento avrebbe visto sostanzialmente alla
pari i due contendenti e un ventitre per cento si dichiara pro Romney.
La CNN, per parte sua, afferma che i numeri sarebbero favorevoli al presidente in
carica per il quarantotto per cento contro il quaranta.
A favore dell’attuale inquilino di White House anche i mille e mille ‘tweet’.
362
Della sostanziale inutilità di un dibattito sulla politica estera
nell’opinione di Antonio Carlucci
“Un dibattito sulla politica estera come quello che si è svolto in Florida ha poco
senso visto che il presidente conosce tutto, ma proprio tutto quello che è accaduto in
questi quattro anni, mentre lo sfidante può solo affidarsi a congetture, riflessioni e
frasi propagandistiche.
In più, gran parte dei consiglieri di politica estera di Romney appartengono a quel
mondo di neocon che sono intellettualmente, e non solo intellettualmente,
responsabili di tutti gli errori e di tutte le tragedie degli otto anni di presidenza di
George W. Bush.
Meglio parlare ancora una volta solo di lavoro, investimenti, tasse e deficit
PS: Il dibattito è durato ottantadue minuti e quarantotto secondi invece dei novanta
minuti previsti, segno che c’era poca volgia di parlare di politica estera e basta”.
363
24 OTTOBRE 2012
Documenti
La rete mette le ali a Romney, un articolo di Voices from the Blogs per
il Corriere della Sera
Nel 2008 uno dei segreti della vittoria schiacciante di Obama fu la capacità di usare
per primo i new media, da Facebook ad internet, agli altri social-network. Per fare
campagna elettorale, per raccogliere voti, per mobilitare gli indecisi.
Una strategia partita dall’alto ma che ben presto acquistò una vita propria dal basso,
con centinaia di migliaia di simpatizzanti, ma anche di semplici spettatori
indipendenti, che incominciarono ad usare questo nuovo mezzo di comunicazione per
esprimere le proprie opinioni, preferenze ed emozioni, in grande misura favorevoli a
Obama.
Ci si sarebbe potuto quindi aspettare uno scenario del tutto simile anche nel 2012.
E in effetti a settembre la storia sembrava ripetersi, con Obama chiaramente avanti di
oltre dieci punti per Sentimeter (che raccoglie i dati dal 16 settembre).
A partire dalla fine del mese di settembre, però, qualche cosa ha incominciato a
muoversi nella pancia degli americani, con Romney in chiara ripresa.
Una ripresa che ha assunto poi aspetti clamorosi dopo l’esito (disastroso per Obama)
del primo dibattito.
Da allora è stata una continua altalena in rete, con Obama che è riuscito di nuovo a
conquistare la maggioranza (relativa) dei consensi dopo il secondo dibattito.
Ci si attendeva dunque che questo trend continuasse anche dopo il recente esito del
terzo dibattito, che ha visto Obama vincitore, in termini di performance
comunicativa, nei commenti della rete.
E invece a sorpresa Romney appare rinfrancato e mette chiaramente la testa davanti
ad Obama nel Twitter-sentiment.
Segno forse che la politica estera (di cui si è discusso nel terzo dibattito) non
appassiona troppo gli americani, o almeno non è il fattore cruciale che determinerà
alla fine il loro voto, rispetto, ad esempio, all’andamento dell’economia.
Ma anche un segnale che mostra come la rete stia amplificando qualche cosa che
forse sta accadendo in questi giorni in America (una rinnovata mobilitazione dei
militanti pro-Romney alla ricerca delll’utimo elettore?)
Pur ricordando che il sentimento della rete non si tramuta poi necessariamente in
voto, è quantomeno interessante osservare che anche diversi dei sondaggi tradizionali
più recenti, realizzati dopo il terzo dibattito, vedono in testa Romney.
Ad esempio,
Gallup: cinquantuno per cento Romney, quarantasei Obama;
Rasmussen: cinquanta per cento Romney, quarantasei Obama;
ABC News: quarantanove per cento Romney, quarantotto Obama;
ARG: quarantanove Romney, quarantasette Obama,
anche se per IBD/TIPP: quarantacinque Romney, Obama quarantasette.
364
L’importantissima contea di Cuyahoga
L'Ohio: ancora l'Ohio, sempre l'Ohio.
Il ‘Wall Street Journal’, parlando del terzo duello tv tra Obama e Romney lo ha
definito ‘Un dibattito di politica estera per la contea di Cuyahoga’ nel senso che
“Non si è trattato realmente di un dibattito sulla politica estera americana.
Si è trattato di un dibattito per far cambiare idea agli elettori indecisi rimasti in posti
come la contea di Cuyahoga, in Ohio”.
La contea in questione include la fetta più importante dell'area metropolitana di
Cleveland (nonché la cittadina di Parma, dove la settimana scorsa sono accorsi a
fare assieme campagna elettorale per Obama le due superstar della sua squadra, Bill
Clinton e Bruce Springsteen) ed è la più popolosa di questo Stato, cuore del MidWest
arrugginito e deindustrializzato, che giorno dopo giorno, ora dopo ora, sembra
sempre più destinato a divenire il fulcro di questa elezione presidenziali, come di
molte altre in precedenza del resto.
Eastwood negli ‘swing States’ in uno spot anti Obama
Clint Eastwood scende ancora una volta in campo dalla parte di Mitt Romney.
Questa volta con uno spot pronto per essere mandato in onda negli stati chiave.
“Il secondo mandato di Obama sarebbe una replica del primo, e il Paese non
potrebbe sopravvivere a una tale eventualità”, dice l'attore e regista.
Trump sfida Obama, cinque milioni di dollari in beneficenza in cambio
di certificato nascita
Donald Trump sfida ancora una volta Barack Obama: cinque milioni di dollari in
beneficenza se il presidente rivelerà i suoi dati di iscrizione al college e quelli per il
rilascio del passaporto.
In pratica, i dati del certificato di nascita.
Dopo l'annuncio via Facebook e Twitter di rivelazioni clamorose su Obama, alle
dodici in punto (le diciotto ora italiana), in un video messaggio postato sui social
network, il miliardario repubblicano insiste nella sua battaglia: dimostrare che
Barack Obama non é nato negli Stati Uniti, e che quindi occupa abusivamente la
poltrona di presidente.
Nel suo stile, Trump ha sfidato il presidente a rendere pubblici appunto “i suoi dati
dell'iscrizione al college” e quelli presentati nella “domanda di rilascio del
passaporto”.
Si tratta, ha detto il miliardario, di un ‘deal’, un “accordo che non credo il
presidente potrà rifiutare”.
Come detto, infatti, in cambio delle informazioni, Trump mette a disposizione un bel
gruzzolo “da donare a un ente benefico a scelta del presidente”.
L'assegno, aggiunge Trump, verrà consegnato “un’ora dopo che i dati richiesti
verranno resi pubblici”.
365
Romney in Nevada, Obama in Colorado: in giro per gli ‘swing States’
“La campagna di Obama è sonnacchiosa” ha detto Mitt Romney ieri impegnato nel
Nevada.
“Sembra”, ha continuato, “che il presidente non riesca a trovare l’agenda per
aiutare le famiglie americane.
La nostra campagna invece cresce attraverso il Paese con persone che capiscono che
stiamo cercando di costruire un futuro migliore per le famiglie americane, per ogni
famiglia in questo grande Paese.
Uniti avremo più potere, più energia.
E io conto su di voi, su ognuno di voi: ho bisogno del vostro voto”.
Barack Obama, invece, ha parlato ai suoi sostenitori a Denver, in Colorado,
scherzando sulla sua personale scelta nell’urna.
Un modo ironico per insistere ancora una volta sul voto anticipato, tradizionalmente
favorevole ai democratici.
“Prima che questo tour di quarantotto ore sia finito mi fermerò a Chicago per votare
in anticipo.
Non posso dirvi per chi mi esprimo perché il voto è segreto.
Ma Michelle ha detto che ha votato per me.
Ha detto così”.
Bernanke, Ayrault e lo spray abbronzante
Ultime (per il momento) dai campi di battaglia elettorale.
Il presidente della Fed Ben Bernanke, secondo alcune fonti, sarebbe intenzionato a
lasciare.
Attaccato dai repubblicani, sa che Romney ha dichiarato che se vincitore non intende
confermarlo alla scadenza del mandato.
Situazione alquanto scomoda.
Il primo ministro francese Jean Marc Ayrault ha dichiarato il proprio ‘endorsement’
a favore di Obama.
Una solenne sciocchezza: dovesse prevalere difatti il mormone, cosa gli direbbe la
prima volta che per obblighi d’ufficio gli toccasse d’incontrarlo?
Terribile!!!
Pare che Mitt Romney sia abbronzato no a causa dei raggi del sole ma per l’uso
continuo di uno spray appunto abbronzante.
Potranno mai gli elettori perdonarlo?
I primi duecento giorni alla Casa Bianca di Mitt Romney
Nel lontano 1935, in vista delle presidenziali in programma nel successivo anno, il
senatore Huey Long, già governatore della Louisiana, oratore di grandi capacità,
366
populista se mai ve ne fu uno, demagogo, pubblica un libello intitolato ‘I miei primi
cento giorni alla Casa Bianca’ nel quale illustra i provvedimenti che una volta eletto
intende adottare con urgenza.
Non ne farà nulla, considerato che poco dopo verrà assassinato per questioni
inerenti la sfera privata.
John Kennedy, riprendendo il titolo dell’opera di Long (e gli infiniti ignoranti
adoratori di quel pessimo presidente che fu appunto Kennedy ritengono che l’idea
dei cento giorni fosse sua) propone qualcosa di simile nel corso della campagna del
1960.
Ed eccoci all’oggi: Mitt Romney, oggi, vuole invece far sapere cosa farà nei primi
duecento giorni a White House.
Con l’aiuto di Mike Leavitt – già governatore dell’Utah, ex ministro della sanità con
George Walker Bush e, se sarà in carica a partire dal 20 gennaio 2013, suo
consigliere – espone un vasto progetto, assai articolato, improntato alla massima
pragmaticità.
Endorsement di autorevoli organi di stampa
Come da sempre accade negli USA in questi frangenti, avvicinandosi il giorno
fatidico, molti organi di stampa dichiarano le loro preferenze.
Ecco, quindi, che il ‘Washington Post’ si pronuncia pro Obama.
Ecco, pertanto, che il ‘Detroit News’ fa altrettanto in favore di Romney.
Molti altri seguiranno.
Obama ha già votato
Per la prima volta nella storia, usufruendo della normativa che in molti Stati oramai
consente di votare anticipatamente rispetto al giorno convenuto, un candidato,
Barack Obama nel caso, ha espresso il proprio voto in un seggio di Chicago, città
dalla quale politicamente proviene.
26 ottobre: ancora nessuna certezza guardando ai sondaggi
Oggi 26 ottobre, a pochi giorni oramai dal voto, numeri dei differenti sondaggi alla
mano, gli analisti delineano una situazione pre-elettorale USA in cui le probabilità di
vittoria tra Obama e lo sfidante repubblicano sono praticamente pari.
A questa conclusione giunge il sondaggio di RealClear Politics che conteggia anche
gli Stati indecisi e quelli non schierati, in cui le probabilità di vittoria dell’uno
piuttosto che dell´altro sono identiche.
In questo scenario, gli Stati decisivi sarebbero l´Iowa e l´Ohio, che potrebbero dare
ad Obama rispettivamente sei e diciotto delegati.
Mentre però il candidato democratico potrebbe sopportare un cambio di casacca
dell´ultimo minuto da parte dell´Iowa, così non sarebbe per l´Ohio, che votando in
maggioranza Romney farebbe pendere decisamente la bilancia a suo favore.
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Anche per Romney esistono Stati incerti: la Florida propende per lui, ma con un
vantaggio non decisivo, mentre i tredici voti elettorali della Virginia potrebbero
andare altrettanto facilmente ad Obama quanto a Romney, decidendo così le sorti dei
prossimi quattro anni americani.
Una campagna da due miliardi di dollari e passa
E’ ufficiale: per la prima volta nella storia delle elezioni presidenziali americane le
cifre raccolte dagli sfidanti a sostegno delle loro campagne hanno superato
l’incredibile cifra di due miliardi di dollari.
Quasi equamente distribuiti, peraltro, il che consente di poter affermare che non c’è
qualcuno che si ‘compra’ la Casa Bianca.
Certo è, comunque, che in futuro sarà necessario ricorrere a regole che in qualche
modo o maniera influiscano sul contenimento delle spese, magari limitando il
numero e la durata degli spot televisivi, dato che è proprio la tv la macchina
mangiasoldi di maggiore voracità.
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26 OTTOBRE 2012
Documenti
La dinastia dei Romney: il vero mito per Mitt è papà George, un
articolo di Valerio Chiapparino per Meridiani Relazioni
Internazionali
La campagna elettorale per le presidenziali americane è stata rappresentata in modo
semplicistico dai democratici e dai media come uno scontro tra i difensori del ceto
medio e quelli della classe milionaria.
Secondo questa visione, il presidente uscente, l’afroamericano Barack Obama, è
impegnato a sventare il tentativo da parte dei repubblicani di far approdare alla Casa
Bianca, dopo i Bush, l’ultimo esponente di una delle dinastie politiche più celebri
degli Stati Uniti, i Romney, il cui unico scopo sarebbe quello di tagliare le tasse ai
ricchi.
L’ostilità nei confronti di Mitt Romney, il candidato del partito dell’elefantino,
comincia dal suo vero primo nome, Willard (da Willard Marriott, il magnate degli
alberghi grande amico del padre).
Una prova che tradisce la sua appartenenza per nascita all’esclusivo club che
raccoglie l’uno per cento della popolazione a stelle e strisce.
Romney sembra dunque essere un sinonimo di ricchezza, potere e successo.
In pochi sanno però che questa famiglia, oggi famosa per le sterminate proprietà e i
jet privati, in un tempo non poi così lontano era ben lungi dall’essere considerata
benestante e men che meno parte integrante dell’establishment.
Le radici della stirpe dell’esponente repubblicano s’intrecciano con quelle della
Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni, il culto mormone fondato da Joseph Smith nella
prima metà dell’Ottocento.
E’ a Preston, una cittadina della Cumbria inglese scelta da Charles Dickens come
ambientazione per il romanzo ‘Tempi Difficili’, che nel 1837 Miles Archibald
Romney, un giovane carpentiere, sente parlare per la prima volta di questa
confessione religiosa.
Ne rimane così impressionato che decide di abbandonare il vecchio continente e
raggiungere la terra del profeta Smith.
In Illinois, dove Miles Archibald si stabilisce, nasce Miles Park, il bisnonno di Mitt
Romney, che seguendo i dettami della Chiesa mormone sposa ben cinque mogli.
Sia per sfuggire alla persecuzione delle autorità americane, contrarie alla poligamia,
sia per continuare nell’opera di proselitismo negli Stati del West, Miles costringe la
numerosa famiglia a continui spostamenti nello Utah, in Arizona e, infine, in Messico
dove, a Colonia Juarez, fonda e gestisce una comunità rifugio per i suoi ‘fratelli’
perseguitati.
Nel 1890 la leadership mormone si schiera contro la pratica della poligamia.
369
Gaskell, figlio del primo matrimonio di Miles, si uniforma alla nuova linea della
Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni sposando un’unica moglie, Hannah Amelia Pratt,
che dà alla luce George Wilcken, papà dell’attuale candidato repubblicano.
Nel frattempo però la rivoluzione in Messico abbatte il regime di Porfirio Diaz e
costringe i Romney, sotto tiro dei ribelli, ad abbandonare le loro proprietà e tornare
negli Stati Uniti.
George, allora bambino, non dimenticherà mai la precipitosa fuga dal suo paese
natale a bordo di un treno stracolmo di profughi disperati.
Tornati nello Utah, Gaskell subisce i rovesci della crisi del ’29 ma nel 1938 ottiene
un risarcimento dal governo messicano.
La metà della somma, all’incirca quattromilacinquecento dollari (una cifra allora non
trascurabile), viene destinata, non a caso, al promettente George.
Sarà lui a usare la somma per gettare le basi del suo successo nel mondo della grande
industria e, in seguito, della politica.
Dalle numerose citazioni nei suoi discorsi pubblici, si capisce che è papà George il
vero eroe di Mitt Romney, una figura da cui ha ereditato tenacia, combattività e
ambizione.
Pur non avendo completato l’istruzione universitaria, George Wilken, arrivato in
piena grande depressione a Washington con in tasca poco più di un quarto di dollaro,
non fatica a trovare un lavoro come assistente presso gli uffici del Senato, prima, e
lobbista per conto dell’Alcoa, poi.
Negli anni del secondo dopoguerra, George scala i vertici di American Motors
diventandone l’amministratore delegato e mettendo in produzione la Rambler, una
vettura economica e compatta che tiene testa ai modelli ben più massicci delle Tre
Sorelle di Detroit – Ford, General Motors e Chrysler.
L’esperienza in American Motors si rivela un trampolino di lancio per la politica.
La sua popolarità gli permette di ottenere, come candidato repubblicano, la carica di
governatore dello Stato del Michigan, allora democratico sino al midollo, tra il 1963 e
il 1968.
George Romney diventa così negli anni Sessanta una figura di primo piano del Great
Old Party.
Il suo sostegno alla lotta per i diritti civili lo porta allo scontro alla Convention
repubblicana del 1964 con il candidato Barry Goldwater, contrario a inserire tale
tematica nel programma del partito, e con la leadership della Chiesa mormone (che
all’epoca escludeva ancora dal sacerdozio gli afroamericani).
Il successo nel Michigan lo spinge nel 1968 a tentare la corsa alla Casa Bianca.
I sondaggi sono dalla sua parte, ma una sfortunata dichiarazione sulla guerra del
Vietnam, da lui in un primo momento sostenuta e poi fortemente osteggiata, lo
costringe da superfavorito a ritirarsi e a cedere il passo a Richard Nixon.
Mitt Romney cresce all’ombra di una figura così imponente riuscendo, dopo gli studi
nelle migliori università degli Stati Uniti e la permanenza di due anni in Francia da
missionario mormone, a imboccare la propria strada.
Mitt negli anni Ottanta e Novanta guida con successo Bain Capital, una società di
private equity, e, ammaliato dalle sirene della politica, salva l’edizione dei giochi
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olimpici invernali di Salt Lake City del 2002 e amministra tra il 2003 e il 2007 lo
Stato del Massachusetts approvando una riforma sanitaria molto simile a quella
varata da Obama nel corso del suo primo mandato.
L’attuale candidato repubblicano alla presidenza, già sceso in campo nel 2008 e
sconfitto dal Senatore dell’Arizona John McCain, stando alle ultime rilevazioni,
sembra avere il vento in poppa, anche se c’è chi giura che a tormentarlo in queste
notti di vigilia elettorale più che il carisma (per la verità un po’ appannato) del suo
sfidante sia il fantasma di papà George e della sua sfortunata corsa alla Casa Bianca.
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27 OTTOBRE 2012
Documenti
Possibile che Obama e Romney pareggino? di MdPR
A meno di dieci giorni dal fatidico 6 novembre, stando ai sondaggi degli istituti
considerati maggiormente attendibili e tenendo conto delle opinioni degli osservatori
e degli analisti, Barack Obama e Mitt Romney sono sostanzialmente alla pari.
Il presidente è dato in vantaggio tra gli elettori che già hanno espresso il proprio
suffragio negli Stati che consentono l’apertura di seggi prima del giorno stabilito.
Il mormone è ritenuto il favorito a livello di voto popolare su base nazionale avendo
preso il sopravvento in questo campo, seppur da poco tempo.
Gli ‘swing States’ sono in parte pro Obama e in parte pro Romney, col candidato Gop
che anche qui pare poter contare su un trend a lui favorevole.
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che i due finiscano per conquistare lo stesso numero
di delegati e quindi per pareggiare.
E’ una possibilità decisamente remota quella che si ritrovino con
duecentosessantanove delegati a testa, ma, appunto e comunque, una possibilità.
Questa è la cinquantasettesima volta che gli americani eleggono il presidente e in una
occasione il pareggio dei ‘voti elettorali’ si è già verificato.
Correva l’anno 1800 e i candidati di rilievo erano addirittura cinque.
Questo il risultato ufficiale:
Thomas Jefferson settantatre (73) delegati
Aaron Burr
settantatre (73) delegati
John Adams
sessantacinque (65) delegati
C. C. Pinckney
sessantaquattro (64) delegati
John Jay
un (1) delegato
Conseguentemente, la scelta dell’eletto, come prevedeva la Costituzione, venne
demandata alla camera dei rappresentanti che solo alla trentaseiesima votazione, su
impulso determinante dell’autorevole Alexander Hamilton, scelse Jefferson.
Per inciso, quattro anni dopo, Burr, in conseguenza anche di ulteriori motivi di
alterco, ucciderà in duello l’or ora citato Hamilton.
Un precedente, come si vede, per lo meno poco simpatico.
Nota bene: la materia è oggi regolata dal XII Emendamento.
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27 OTTOBRE 2012
Documenti
Romney-Obama, ecco la strada per la vittoria secondo i consiglieri, un
articolo di Maurizio Molinari per La Stampa
A dieci giorni dall’Election Day le campagne di Barack Obama e Mitt Romney alzano il velo sulla reciproca interpretazione dei dati che stanno accumulando.
Rich Beeson, direttore politico di Romney, e Jim Messina, direttore di ‘Obama for
America’, in audioconferenze parallele e concorrenti sullo ‘stato della sfida’ offrono
versioni opposte di quanto sta avvenendo e di cosa avverrà.
Ascoltare cosa dicono significa immergersi nella campagna elettorale più cara mai
svoltasi negli Stati Uniti: la somma delle spese ha sfondato il tetto di due miliardi di
dollari.
Partiamo dal repubblicano Beeson.
“La Florida è come un portaerei”, esordisce, una volta che si mette in movimento è
assai difficile da fermare e oramai è in viaggio da almeno dieci giorni”.
In concreto ciò significa che Romney considera la Florida acquisita, assieme alla
North Carolina “dove probabilmente finiremo per vincere cinquantatre a
quarantasette per cento”.
L’Indiana è il terzo Stato repubblicano che votò per Obama nel 2008 ed ora Beeson
conteggia senza esitazioni nella colonna di Romney.
Passiamo dunque agli Stati “dove c’è parità assoluta”.
Per Beeson sono Ohio, Virginia, Wisconsin, New Hampshire e Iowa.
L’Ohio è di gran lunga il più importante.
“Al momento siamo in pareggio, loro ci hanno gettato contro l’auto ma noi abbiamo
il carbone, controllando un’area che da Youngstown scende lungo la valle di Mahoning fino a Charleston e Huntington, ed alle miniere che stanno lì” spiega Beeson,
parlando di “molti voti del carbone che dai democratici passano a noi” e prevedendo
che “lo scontro decisivo per il controllo dell’Ohio sarà nella Franklin County”, la seconda più popolosa dove sorge la capitale Columbus.
Anche la Virginia è un campo di battaglia perché “Nella contee del Nord i democratici tentano di portarci via le donne delle aree suburbane, ma resistiamo bene a Fairfax,
Loudoun e Prince Williams.
E da lì in giù, lungo Hampton Roads e Virginia Beach le difese di Obama stanno cedendo, proprio come avviene fra il ceto medio e gli impiegati di Richmond.
Testa a testa anche in Wisconsin dove “faremo meglio a Madison, Milwaukee e
Green Bay”, in New Hampshire “dove li abbiamo ripresi grazie all’arrivo dei nostri
spot tv” e in Iowa “uno degli Stati che teniamo più a conquistare perché è da qui che
Obama partì quattro anni fa per catturare la Casa Bianca”.
Sul Colorado il consigliere di Romney si dice fiducioso ma tiene le carte coperte, limitandosi a dire che “ci sono diversi fattore che giocano contro Obama” mentre è il
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Nevada lo Stato dove ammette “siamo indietro di due punti” pur contando sulla possibilità di ripresa grazie alla “presenza di numerosi elettori conservatori e comunità di
mormoni” che non andarono a votare per John McCain nel 2008 ma potrebbero farlo
per Romney.
Nel complesso dunque Beeson afferma che i repubblicani hanno già Florida, Indiana
e North Carolina e lottano all’ultimo voto in Ohio, Virginia, Iowa, New Hampshire e
Colorado, restando di poco indietro in Nevada.
E’ una lettura della mappa elettorale molto favorevole a Mitt Romney perché, in base
all’assegnazione dei voti da parte degli Stati, il quorum decisivo di duecentosettanta
potrebbe essere raggiunto con diverse combinazioni, incluse alcune che consentirebbero di rinunciare all’Ohio.
Ecco perché Romney parla di “momento a noi favorevole”.
Ascoltare Jim Messina significa immergersi in una lettura della sfida assai differente.
Tanto per cominciare svela che “in Michigan, Pennsylvania e New Mexico Romney
si è ritirato” rinunciando a investire risorse in Stati in bilico che considera già perduti.
In secondo luogo l’accento è sugli “elettori che stanno già votando in Iowa, Nevada,
Wisconsin e Ohio”.
Per i democratici si tratta, tradizionalmente, di un quoziente decisivo del proprio elettorato e Messina assicura che “l’affluenza dei nostri elettori sta andando meglio del
2008” quando McCain venne travolto con il cinquantatre per cento dei voti.
Messina parla sulla base dei dati raccolti da ‘Obama for America’ nei singoli Stati,
dove team di volontari spuntano nome dopo nome dalle liste dei potenziali elettori
coloro che vanno a votare.
In tempo reale i democratici sanno dunque quanti voti Obama sta accumulando.
La differenza fra questi numeri e quelli del totale dell’affluenza anticipata consente di
tracciare un primo bilancio della sfida con Romney.
“In Iowa, Ohio e Wisconsin il presidente Obama è avanti di percentuali fra il quindici
e il trentacinque per cento”.
Sebbene sia vero che i repubblicani votano in massa nell’Election Day, si tratta di un
distacco che consente a Messina una cauto ottimismo.
La Florida inoltre non la dà affatto per perduta spiegando che “i repubblicani non fanno i conti con un numero di votanti ispanici e afroamercani che sarà senza precedenti” ed è destinato a cambiare gli equilibri fra partiti.
“Romney scommette sul fatto che afroamericani, ispanici e giovani voteranno meno
per Obama rispetto a quattro anni fa”, osserva Messina, “ma è vero l’esatto contrario,
se ne accorgeranno al momento della conta dei voti”.
La previsione infatti è di “un’affluenza record in tutti gli Stati Uniti” grazie ad una
mobilitazione senza precedenti delle minoranze.
“Nel 2008 votarono centotrentuno milioni di americani, questa volta saranno di più”
assicura Messina, che dedica le ultime battute alla North Carolina.
E’ uno Stato dove ammette il recupero di forza dei repubblicani ma aggiunge: “Noi
non ci ritiriamo, continuiamo a fare campagna per obbligare Mitt Romney a destinare
risorse anche lì dove si sente più sicuro”.
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28 OTTOBRE 2012
La marginalità dell’Europa: né Obama, né Romney ne parlano!
“Pare non gliene importi nulla!”
Ecco cosa si deve rispondere alle domande “Ma Obama e Romney si interessano del
Vecchio Continente? La loro linea politica tiene conto delle necessità o quantomeno
dell’esistenza dell’Europa?”
E invero, l’unica volta nella quale il candidato Gop, sollecitato da un giornalista, ha
detto qualcosa sul tema è stato per affermare “Per l’Europa da presidente non intendo
spendere neppure un centesimo!”
Un continente, una comunità sociale ed economica ritenuta evidentemente del tutto
marginale.
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Aziende in campo: “Non votate per Obama!”
Diverse grandi aziende Usa hanno inviato lettere o pacchetti informativi ai loro
dipendenti per suggerire, e alcune volte consigliare esplicitamente, come votare alle
presidenziali del prossimo 6 novembre.
E’ quanto riporta oggi il ‘New York Times’ rivelando come in alcune di queste
missive i dirigenti ammoniscano sul fatto che una rielezione di Barack Obama
potrebbe danneggiare l'azienda per un aumento dei costi dovuto alla riforma
sanitaria o per un aumento delle tasse, paventando così un rischio per l'occupazione.
Il quotidiano americano ricorda che fino al 2010 la legge federale vietava alle
aziende di usare fondi societari per sostenere e fare campagna per i candidati
politici, e di suggerire ai dipendenti come votare, ma una sentenza della Corte
suprema, ‘Citizen United’, ha eliminato tali divieti.
Il ‘New York Times’ ricorda come sia stato lo stesso candidato repubblicano, Mitt
Romney, a invitare gli imprenditori, in un incontro dello scorso giugno, a intervenire
presso i propri dipendenti.
“Spero chiariate ai vostri dipendenti quale sia l'interesse migliore per la vostra
azienda e quindi per il loro lavoro e per il loro futuro nelle prossime elezioni”, disse
il mormone nella conferenza organizzata dalla National Federation of Independent
Business.
Il ‘Chicago Tribune’ appoggia Obama che perde tra i giovani rispetto al
2008
Cuore e batticuore.
Nel mentre il ‘Chicago Tribune’, quotidiano ovviamente della ‘sua’ Chicago,dichiara
il suo endorsement a favore del presidente candidato, una rilevazione dell’istituto
Gallup precisa che, rispetto al 2008, lo stesso ha perso il venti per cento dei
sostenitori nella fascia giovane, quella che va dai diciotto ai ventinove anni.
Non che sia oggi da questo punto di vista in minoranza: è ancora un buon
cinquantotto per cento dei ragazzi a seguirlo ma quattro anni orsono lo preferivano a
McCain al settantotto per cento.
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28 OTTOBRE 2012
Documenti
Testa a testa: i precedenti ricordando che è possibile vincere
perdendo, di MdPR
Lo ripeto: gli Stati Uniti d’America sono uno Stato federale e quel che conta per
l’elezione del presidente non è il voto popolare a livello nazionale ma i suffragi
conquistati dai candidati nei singoli Stati.
E’ vincendo in Texas che si ottengono tutti i delegati ai quali ha diritto lo Stato della
stella solitaria.
Allo stesso modo, vincendo nel New York, in California, in Alabama e via elencando
dato che tutti i membri dell’Unione - con l’eccezione del Nebraska e del Maine (che
hanno deciso di utilizzare un diverso meccanismo che prevede la divisione del
territorio statale in tante circoscrizioni quanti sono i delegati da nominare) - hanno
adottato il sistema ‘winner take all’ che comporta, appunto, l’attribuzione dei voti
elettorali al candidato che prevale nel singolo Stato per voti popolari.
Ecco tutte le occasioni nelle quali, dopo una corsa conclusasi sul filo di lana, alla
Casa Bianca è approdato il perdente per suffragi nazionali:
1824 – Andrew Jackson conquista novantanove delegati contro gli ottantaquattro di
John Quincy Adams ma non raggiunge il quorum del cinquanta per cento virgola uno
dei voti elettorali in palio. Sconfigge J. Q. Adams anche in termini di voti popolari a
livello nazionale ma, come altrove ricordato, la camera dei rappresentanti gli
preferisce il rivale.
1876 – Il repubblicano Rutherford Hayes perde quanto a voti popolari ma sconfigge il
democratico Samuel Tilden per un solo delegato di maggioranza.
1888 – L’uscente Grover Cleveland si vede detronizzare dal rivale Benjamin
Harrison pur superandolo in voti popolari. Caso unico nella storia, tornerà a White
House quattro anni dopo.
2000 – George Walker Bush è, per ora, l’ultimo ad arrivare allo scranno presidenziale
seguendo questo particolare iter. Il rivale era il democratico Al Gore
A ben vedere, in molte altre circostanze, l’eletto ha avuto invero meno voti dei
contendenti.
E’ accaduto allorquando i candidati di rilievo in lizza erano in un numero superiore a
due la qual cosa ha consentito al vincitore di conquistare il maggior quantitativo di
voti elettorali essendosi invece divisa tra gli altri contendenti la maggioranza dei
suffragi.
Un caso specifico per capirci:
1860 – Il repubblicano Abraham Lincoln prende 1.865.593 voti popolari a livello
nazionale. Il secondo, Stephen Douglas ne conquista 1.382.713. Il terzo in
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graduatoria John Breckinridge ne ottiene 848.356. Un quarto candidato, John Bell,
592.906.
Come si vede, Lincoln è nettamente sconfitto sul piano nazionale (quasi
novecentosessantamila suffragi in meno del totale dei rivali) ma vince gli Stati
conquistandone i delegati mentre gli avversari frantumano e disperdono il voto della
maggioranza degli elettori.
Alla stregua di Lincoln, altri e per ultimo Bill Clinton sia nel 1992 che nel 1996.
Sconfisse dapprima l’uscente George Herbert Bush e poi Bob Dole.
In entrambi i casi, terzo incomodo era Ross Perot, mentre nel 1996 a lui si aggiunsero
Ralph Nader ed altri candidati minori raggiungendo in totale tutti costoro la
maggioranza dei votanti.
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29 OTTOBRE 2012
Documenti
USA 2012, e adesso pubblicità: sfida tra Obama e Romney a tutto
schermo, un articolo di Vincenzo Leone per Meridiani Relazioni
Internazionali
Secondo il politologo Ted Brader, la gente vota per il candidato che suscita i giusti
sentimenti, non per quello che presenta gli argomenti migliori.
In campagna elettorale questa alchimia tra simbolismo e passione riduce la
propaganda politica a pochi secondi, quanto basta per rimanere incollati alla tv a
guardare uno spot.
In principio fu Dwight “Ike” Eisenhower, nel 1952.
Ike fu il primo a trasmettere uno spot elettorale negli Stati Uniti, con una serie di
filmati intitolati ‘Eisenhower risponde all’America’, e di lì a poco lanciò anche il
tormentone “I like Ike”.
Per tradurre immagini e suoni in consenso politico il partito repubblicano si affidò a
Rosser Reeves, il migliore su piazza.
Colui che, per intenderci, creò il mito pubblicitario delle M&M’s.
Fino ad allora la propaganda elettorale si basava su un unico format preconfezionato
della durata di mezz’ora.
Questa ricetta fu la preferita dai democratici, che non vedevano di buona lena la
novità degli spot ma si affidavano ancora all’aurea istituzionale del sermone politico.
La compagine democratica per bocca di Stevenson accusò i repubblicani di “vendere
candidati come saponette, dentifricio all’ammoniaca, lacca per capelli, gomma da
masticare”.
Salvo poi, quattro anni dopo, ripensarci e uniformarsi alle leggi dello spettacolo.
Sessanta anni dopo, sugli schermi televisivi si combatte ancora una buona parte della
battaglia politica.
Un’attenzione tradotta nell’evidenza dei numeri, che ci mostrano come nel solo mese
di settembre l’entourage di Obama abbia stanziato ottantanove milioni di dollari
(contro i quasi trentasette di Romney) per mandare in onda gli spot.
In questi giorni ci sono decine e decine di spot che passano in ‘heavy rotation’ sui
network commerciali negli Stati Uniti, in vista delle elezioni del 6 novembre.
Lo snodo centrale da capire, come afferma il consigliere delle campagne
democratiche Drew Westen, è che la persuasione politica è una questione di reti e
racconti.
La carta del patriottismo
Romney: i repubblicani tentano di strappare la bandiera ai democratici, con uno spot
che punta tutto sul simbolo dell’orgoglio americano.
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Due minuti e mezzo in cui si mescolano racconti e speranze, con la bandiera che
campeggia orgogliosa tra una ripresa e l’altra.
Ricorda molto il linguaggio visivo della propaganda di Ronald Reagan, a cui Romney
è stato spesso rapportato durante la campagna elettorale.
Obama: i democratici affidano la loro visione patriottica del mondo e della società
alle parole di Obama, un leader forte che crede ancora nell’America come ‘land of
opportunity’ per tutti, non solo per pochi.
I continui riferimenti al ‘noi’ attivano inconsciamente la rete che collega lo spot alla
più classica delle espressioni patriottiche, il ‘we the people’ sancito dal preambolo
della Costituzione degli Stati Uniti.
La credibilità
Romney: lo spot dal titolo ‘Possiamo credergli?’ è un attacco frontale alle politiche di
Obama in materia di sicurezza e difesa.
Si punta a far passare il ‘frame’ del personaggio inaffidabile e che non mantiene la
parola data durante la campagna elettorale.
Si attivano molteplici rimandi inconsci ritmati dalla cadenza della musica in
sottofondo, fino ad arrivare ad imprimere il messaggio su sfondo nero: “Dice una
cosa. Ne fa un’altra”.
Obama: l’attacco qui è al linguaggio utilizzato negli spot di Romney, in
contraddizione con quello che pensa il candidato repubblicano.
Con una serie di interventi montati in sequenza, passa il messaggio che “non importa
quello che dicono gli spot di Romney” perchè “noi sappiamo quello che farà”.
Gli elementi di sfondo la fanno da padrone, con suoni e immagini che rendono cupa
la narrazione, in netto contrasto con l’immagine finale di Obama che “approva il
messaggio” con la tipica chiusura.
Swing States
Romney: il candidato repubblicano si mette in maniche di camicia, appare affabile e
vicino alla gente.
Nello specifico alla gente dell’Ohio, lo Stato in bilico per eccellenza.
Il suo programma mira a creare dodici milioni di nuovi posti di lavoro.
La chiusura dello spot riprende lo slogan ricorrente della campagna in cui si paventa
la possibilità di un altro mandato per Obama che “non possiamo affrontare”.
Obama: “Mitt Romney non è uno di noi”.
Sullo sfondo, la sagoma dello Stato dell’Ohio, che lo spot tende a far proprio con il
meccanismo della contrapposizione.
Non si può abbandonare Detroit – e tutta la Rust Belt – alla bancarotta come invece
detto da Romney.
A sostegno delle immagini appare un virgolettato del ‘New York Times’, e annessa
dichiarazione balbettante del candidato repubblicano durante un’intervista.
E un uomo si interroga: “come ha potuto dire una cosa del genere?”
380
Screditare l’avversario
Romney: i repubblicani puntano dritti a screditare le speranze disattese dal primo
mandato di Obama.
Per farlo si affidano ai giovani, traditi dagli slogan che hanno reso celebre Obama,
uno su tutti ‘yes we can’.
“Non ho votato per questo”, ripete un ragazzo nello spot.
Quello di cui abbiamo bisogno è un progetto per il futuro, quindi – traduce lo spot
con abile parafrasi – di Mitt Romney.
Obama: più che uno spot politico sembra uno sketch alla David Letterman.
Uno degli spot tecnicamente più riusciti, perché con abile ironia il jingle ridondante e
la grafica accattivante demolisce la credibilità dell’avversario in materia di politica
estera.
Il tutto con l’arma retorica della semplificazione: in “cinque semplici passaggi”,
questo è il meccanismo per riprendere le celebri gaffes di Romney.
C’è anche spazio per mitizzare nello sfondo Obama, che esce rinfrancato dalla
celebre battuta “Can you say it a little louder, Candy?” con tanto di fermo immagine
sulla maschera di imbarazzo di Romney.
E ad infierire Colin Powell che esorta: “come on Mitt, think!”
Slogan
Romney: rinfrancato dalla vittoria nel primo dibattito, Romney lancia il suo slogan in
versione trailer cinematografico, alternando la narrazione modello ‘talking heads’ con
il suo intervento da studio a quella fatta di immagini veloci dell’America che vive la
vita di tutti i giorni.
Ne affida l’enfasi ai primi piani di comuni cittadini, sguardi frustrati e facce cupe.
Da scongiurare, la prospettiva di “affrontare altri quattro anni come gli ultimi”.
Obama: dopo il fortunato ‘yes we can’ della campagna precedente, Obama stavolta
sceglie di tracciare una linea di continuità, guardando al futuro e nello specifico
‘forward’, avanti.
Lo spot che riassume il suo impegno per altri quattro anni alla Casa Bianca ha la
forma del racconto.
La tecnica elettorale è quella del ‘going public’: si delinea un profilo che vede Obama
vicino agli americani che vivono ancora gli effetti di una crisi iniziata “prima
dell’insediamento del presidente”.
Si cita Reagan nel passaggio in cui si diffida dal credere “a chi dice che i giorni
migliori sono ormai passati”, e in materia di difesa l’immagine sfuocata di Bin Laden
“assicurato alla giustizia” viene accompagnata dai proclami agli eroi di guerra e al
ritiro dall’Iraq.
L’immagine simbolo è quella della bambina che riabbraccia il padre tornato dal
fronte, a cui segue un inno alla speranza di una middle class di nuovo protagonista
che torna a farsi il nodo alla cravatta e a rimboccarsi le maniche.
381
La battaglia politica tra repubblicani e democratici si compone di sottili rimandi
alternati a sfrontati colpi bassi.
Spot diversi, testimonial diversi, ma narrazioni che convergono nella retorica ad
effetto verso un identico obiettivo: convincere che il proprio prodotto (politico) sia
migliore dell’altro.
A cambiare è l’etichetta, proprio come tra una pepsi e una coca cola.
Ma non è più tempo per gli indecisi.
Come detto dal presidente Obama a Boca Raton, “avete ascoltato tre dibattiti, mesi di
campagna elettorale e troppi spot televisivi.
Adesso dovete scegliere”.
382
29 OTTOBRE 2012
Documenti
Romney-Obama, quale America sarà? Un articolo di Paolo Alfieri per
Avvenire
Scegliere l’uno o l’altro non è indifferente: Barack Obama e Mitt Romney offrono al
popolo americano ricette diametralmente opposte.
Negli ultimi anni molti analisti hanno evidenziato la crescente polarizzazione della
politica Usa, tanto che qualcuno si è chiesto come sia possibile che elettori di
schieramenti e idee così diverse riescano poi nella vita di tutti i giorni a convivere,
lavorare, in due parole a ‘essere comunità’.
La risposta è rintracciabile nell’anima stessa di un Paese che ha sempre saputo unirsi
nei momenti di difficoltà: ne sono prova, in un momento di grave crisi economica
come quello attuale, la miriade di iniziative benefiche che puntano a “non lasciare
nessuno indietro”.
Certo è che, chiunque tra Obama e Romney vinca il 6 novembre, avrà come primo
obiettivo quello del risanamento dei conti pubblici.
La spada di Damocle si chiama ‘fiscal cliff’, il ‘precipizio fiscale’: a fine anno
scadranno gli incentivi fiscali introdotti nell’era Bush e si dovrà trovare un accordo
sul tetto al debito statunitense, per evitare tagli automatici alle spese e aumenti delle
tasse.
A rischio c’è la crescita americana del prossimo anno e, nel peggiore dei casi,
l’ipotesi di una nuova recessione.
E a quel punto, Obama o Romney che sia, l’America si troverebbe immersa in un
incubo ben peggiore di quello attuale.
Romney vuole la privatizzazione del programma Medicare, l’assistenza pubblica per
gli over sessantacinque, per ridurre la spesa di oltre cinquemila miliardi di dollari.
L’idea è di sostituire il Medicare con un assegno annuale in cifra fissa, lasciando
liberi i cittadini di scegliere fra compagnie private e servizio pubblico.
Se i costi però superano il valore del voucher, la differenza esce dalle loro tasche.
Il repubblicano promette inoltre l’abolizione dell’Obamacare, la riforma sanitaria
varata da Obama nel 2010, anche se ne apprezza alcuni tratti, come l’obbligo di
fornire una polizza a prescindere dalle condizioni di salute del cliente.
Romney vuole inoltre affidare totalmente Medicaid, il programma di assistenza per i
poveri, ai singoli Stati.
Sul tema dell’immigrazione, il milionario propone la lotta dura ai clandestini, la
difesa dei confini con il Messico e appoggia la legge anti-clandestini dell’Arizona.
Secondo il premio Nobel per l’Economia Robert Stiglitz, “le conseguenze
macroeconomiche del programma economico devastante di Romney-Ryan sarebbero
il rallentamento della crescita, l’aumento della disoccupazione, e proprio quando gli
383
americani avrebbero bisogno di maggior protezione sociale, l’indebolimento del
welfare”.
Il candidato repubblicano Romney è fermamente contrario alle nozze gay e si schiera
per il Marriage Act, la legge che difende la famiglia tradizionale con il matrimonio
tra uomo e donna.
I conservatori vogliono anche cancellare dall’assistenza medica le spese per i
contraccettivi.
Secco no al diritto di aborto, mentre in passato lo sosteneva: un dietrofront che ha
procurato al repubblicano le critiche di chi lo ritiene un ‘flip flop’, un voltafaccia.
Recentemente Romney ha comunque assicurato al ‘Des Moines Register’ di “non
voler modificare” la legge che negli Usa garantisce la libertà di scelta: “Non c’è
alcuna legge riguardo l’aborto, di cui sia a conoscenza, che entrerà a far parte della
mia agenda”, ha detto.
Se le norme sull’interruzione di gravidanza non saranno toccate, tuttavia il milionario
mormone ha preannunciato che, se eletto, ripristinerà, mediante ordine esecutivo, il
divieto di fondi federali alle organizzazioni no-profit che aiutano le donne ad abortire
in altri Paesi (la controversa Mexico City Policy, a cui Obama mise fine nei primi
giorni della sua presidenza, nel gennaio 2009).
Lo sfidante del Grand Old Party sostiene con forza Israele e contesta la politica di
Obama nei confronti di Teheran, accusando il presidente di essere troppo debole.
Debolezza che viene rinfacciata al presidente anche in merito alla questione della
crisi siriana.
Per quanto riguarda la Cina, Romney è pronto ad adottare “appena insediato alla Casa
Bianca” il discusso documento che potrebbe etichettare formalmente Pechino come
manipolatore di valuta, facendo scattare diverse sanzioni sui prodotti cinesi.
Nel secondo dibattito tv con Obama, Romney ha accusato la Cina di giocare “fuori
dalle regole manipolando la sua valuta”, in riferimento alle politiche di svalutazione
dello yuan che causerebbero disoccupazione negli Usa.
Secondo Robert Scott, esperto di commercio e industria per l’Economic Policy
Institute, il deficit commerciale degli Usa con la Cina è costato agli americani due
virgola otto milioni di posti di lavoro tra il 2001 e il 2010.
Per contro, stando a una ricerca della Fed di San Francisco, per ogni dollaro speso per
un oggetto marchiato ‘made in China’, circa cinquantacinque centesimi vanno a
servizi prodotti negli Stati Uniti, come le compagnie di trasporto e i rivenditori.
Obama difende la riforma sanitaria del 2010: la sanità deve essere per tutti e tutti
devono potersela permettere.
No a tagli al Medicare e al Medicaid, i programmi di assistenza pubblica per gli over
sessantacinque e i più poveri.
Il costo dei due programmi calerebbe comunque di duecenotrenta miliardi di dollari
grazie alla modifica dei finanziamenti agli ospedali e all’aumento dei contributi dei
più ricchi.
384
Obama è per la parità dei diritti uomo-donna, soprattutto in termini di trattamento
salariale.
Riguardo all’immigrazione, il leader democratico è per un’ampia riforma.
Il partito democratico fa riferimento al Dream Act, che consente ai bambini di
genitori immigrati senza documenti regolari di acquisire uno status legale se vanno al
college o entrano nell’Esercito.
Secondo un report del think tank Center for American Progress, il Dream Act
garantirebbe in due decenni all’economia nazionale trecentoventinove miliardi di
dollari e unmilione e quattrocentomila posti di lavoro in più, grazie alla migliore
scolarizzazione dei giovani immigrati.
Secco il no di Obama alla legge anti-clandestini dell’Arizona bloccata in parte della
Corte Suprema, che permette di controllare un passante solo sulla base del suo viso o
del suo accento straniero.
Obama punta ad abolire la legge federale che riconosce solo i matrimoni eterosessuali
ed apre quindi alle nozze gay.
Per quanto riguarda l’aborto, grosse critiche sono giunte a Obama nei mesi scorsi
dalla Conferenza episcopale statunitense sulla questione dell’imposizione alle
dipendenti delle istituzioni cattoliche della copertura sanitaria per la contraccezione
(“inclusa quella che spinge all’aborto”), misura compresa nella riforma sanitaria
Obamacare.
I cambiamenti annunciati dall’Amministrazione Obama prevedono di liberare le
istituzioni religiose – quali università e ospedali cattolici – dall’obbligo di offrire le
contestate coperture sanitarie, imponendo tale peso sulle stesse assicurazioni.
Ma così facendo, hanno fatto notare i vescovi statunitensi, viene comunque
mantenuto un obbligo assicurativo su questioni che attengono alla libertà di coscienza
dell’individuo.
Inoltre, lavoratori religiosi autonomi e compagnie assicurative cattoliche non
verrebbero esentati da tali procedure.
Secondo Nancy Keenan, presidente dell’organizzazione pro-aborto Naral, il partito
democratico ha ultimamente “abbracciato il diritto all’aborto fino a un grado mai
visto prima”.
Il presidente Obama difende un approccio multilaterale e vede un’America in stretto
contatto con l’Onu sulle crisi locali.
Sì alle sanzioni adottate nei confronti dell’Iran perché, secondo l’Amministrazione
democratica, stanno funzionando.
In un eventuale secondo mandato verrebbe gradualmente completato il ritiro
dall’Afghanistan.
Obama non ha fatto mancare più volte il suo sostegno a Israele, ma non ha
risparmiato critiche alle autorità israeliane sulla questione degli insediamenti e il
rapporto tra i due Paesi è oggi più freddo, anche se la diffidenza viene mascherata
dalle dichiarazioni ufficiali.
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Sui rapporti con Mosca, Obama ha rinfacciato a Romney di aver definito la Russia
“la più seria minaccia geopolitica” per gli Usa.
Grande attenzione viene posta dall’Amministrazione democratica agli equilibri nel
Pacifico, e soprattutto l’ascesa della Cina.
Il presidente ha però rimandato a dopo le elezioni l’approvazione di un discusso
documento che potrebbe etichettare formalmente la Cina come manipolatore di
valuta, facendo scattare diverse sanzioni sui prodotti cinesi.
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Rasmussen dà Romney in vantaggio in Ohio!
Per la prima volta dall’inizio della corsa verso White House, un autorevole istituto di
rilevazioni statistiche afferma che in un sondaggio, condotto il 28 ottobre e quindi
fresco fresco, in Ohio Mitt Romney ha superato nelle intenzioni di voto Barack
Obama.
Esattamente, il cinquanta per cento a favore del mormone contro il quarantotto che
intenderebbe rinnovare la fiducia al presidente.
Si tratta, se confermata, di una svolta che si deve definire importantissima e forse
decisiva (se confermata, ripeto.
Come ognun sa, difatti, nessun repubblicano ha mai vinto se non conquistando
l’Ohio.
Colpi e contraccolpi: reciproci attacchi
Ogni argomento è buono, ovviamente direi visto che il traguardo è davvero vicino,
per dirsele di santa ragione.
Ecco i repubblicani a proposito della crisi dell’automobile:
“Obama ha portato Chrysler e GM alla bancarotta, ha ceduto Chrysler agli italiani
che produrranno le Jeep in Cina.
Romney invece lotterà per ogni singolo posto di lavoro in USA.
Chi farà di più per l’industria automobilistica?”
Ricambia lo schieratissimo (a favore di Obama) ‘New York Times’ che, facendo
riferimento all’uragano Sandy che ha appena lasciato la Grande Mela lasciandosi
alle spalle morti e rovine, critica aspramente Romney per avere di recente proposto
l’eliminazione della Fema (la protezione civile USA) sostenendo che sia opportuno
che del tema non si occupi in futuro il governo ma se ne facciano carico i singoli
Stati.
Colpi e contraccolpi!
‘Effetto Sandy’: Obama e Romney fanno a gara per dimostrarsi
impegnati a riparare i danni prodotti dal ciclone. Demagogia?
Con Barack Obama da due giorni a Washington a coordinare la risposta
all'emergenza Sandy, Mitt Romney in Ohio trasforma la sua campagna in un centro
di raccolta di aiuti per le popolazioni colpite dall'uragano.
“Noi abbiamo il cuore pesante pensando a tutte le sofferenze che si stanno vivendo
nella maggior parte del Paese.
Molte persone questa mattina si trovano in una situazione difficile”, ha detto il
candidato repubblicano mentre preparava con i suoi sostenitori pacchi di cibo ed
altri generi di prima necessità.
Insomma, ad una settimana esatta dal voto, continua ad essere bloccata la campagna
elettorale.
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Barack Obama ha annunciato che anche domani rimarrà a Washington rinunciando
ad una prevista manifestazione elettorale in Ohio, lo Stato che secondo tutti gli
osservatori potrà decidere le sorti del duello per la Casa Bianca.
Duello che gli ultimi sondaggi continuato a descrivere come un accanito testa a
testa.
A proposito di sondaggi, l'istituto Gallup oggi ha annunciato che, per il secondo
giorno consecutivo, non pubblicherà il suo poll quotidiano sull'andamento della
campagna “a causa degli effetti ancora in corso dell'uragano Sandy”.
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30 OTTOBRE 2012
Il sorprendente sondaggio Gallup tra chi ha già votato: Romney stacca
Obama di sei punti. Aumentano i repubblicani alle urne, calano i
democratici (!?)
Le notizie che seguono – riprese pari pari dalle agenzie - contrastano assolutamente
con tutte quelle precedentemente diffuse dagli istituti di rilevazione statistica
impegnati sul campo a proposito del cosiddetto ‘early vote’ consentito in diversi Stati
dell’Unione.
Vanno prese con le pinze.
Se le risultanze riportate in merito anche al numero di votanti in aumento dei Gop e
in diminuzione dei democratici saranno confermate, il mormone vincerà nettamente.
Del resto, Gallup da giorni e giorni parla proprio di un Mitt Romney vincente.
“E’ uscito il primo sondaggio Gallup tra chi ha già votato, una fetta di americani che
sarebbe il quindici per cento dell’elettorato: Romney ne esce vincente per sette punti,
con il cinquantadue per cento contro il quarantacinque di Obama.
E’ un esito che rafforza il vantaggio dell’ultimo sondaggio nazionale, sempre di
Gallup, che conferma il cinquantuno per Mitt contro il quarantasei per Barack.
Secondo Gallup, nelle prossime elezioni, si dovrebbe anche verificare una
partecipazione di repubblicani al voto più alta di tre punti percentuali dei democratici,
mentre nel 2008 furono più numerosi i democratici.
Tra coloro che non hanno ancora votato ma intendono farlo prima del 6 novembre
(nei molti Stati in cui ciò è possibile) ci sarebbe però, ad oggi, ancora una parità.
Romney avrebbe un percorso (quasi) proibitivo alla vittoria se non conquistasse però
l’Ohio.
E’ lo Stato che ha tutti gli occhi addosso perché la tradizione dice che nessuno del
Gop ha mai vinto la Casa Bianca senza l’Ohio.
Per il sondaggista Rassmussen, tra i probabili votanti in Ohio, per la prima volta
Romney è davanti cinquanta a quarantotto (i due erano pari una settimana fa).
Altre rilevazioni sono però favorevoli ad Obama, mentre un sondaggio locale vede
primo Mitt.
In sostanza la partita è ancora aperta, anche se c’è un altro dato che fa sorridere i
repubblicani.
Sempre per Gallup, infatti, i registrati democratici che hanno votato finora in Ohio
sono in numero inferiore (duecentoventimila meno) di quelli che lo avevano fatto, per
Obama, nel 2008.
Rispetto ai repubblicani registrati che diedero il voto a McCain quattro anni fa, al
contrario, stavolta i pre-votanti pro Romney sono stati trentamila in più.
Ciò rappresenta uno scarto di duecentocinquantamila voti a favore di Romney,
soltanto diecimila in meno del vantaggio che ebbe Obama quattro anni fa, pari a
duecentosessantamila, nel conteggio finale dei voti.
389
Infine, e sempre oggi, il bipartisan Battleground Poll ha lanciato la sua prima
proiezione sul risultato finale: e a vincere sarebbe Romney per cinquantadue per
cento a quarantasette.
In questo stesso sondaggio, il repubblicano risulta davanti, per cinquantadue a
quarantacinque, nella categoria degli ‘elettori della classe media’, sui quali Obama
aveva fatto una campagna molto aggressiva bollando Romney come candidato dei
‘ricchi’.
Dovesse aver ragione il Battleground Poll, affiliato con Politico.com e con la George
Washington University e condotto da Ed Goeas (repubblicano) del Tarrance Group e
da Celinda Lake (democratica) del Lake Reasearch Partners, i cinque punti di
distacco a livello nazionale potrebbero consegnare al GOP il controllo anche del
Senato, oltre a quello della Camera che viene dato per scontato”.
390
Il peso del fattore razziale
Ecco l’opinione di Larry Sabato a proposito dell’impatto che sulle elezioni 2012 avrà
il fattore razziale.
Sabato è il direttore del ‘Center of Politics’ dell’Università della Virginia.
“Nel 2008 Obama vinse con il voto dell’ottanta per cento degli elettori non-bianchi e
appena il quarantatre per cento dei bianchi.
Quest’anno voterà per lui la stessa percentuale di non-bianchi, ma il sostegno dei
bianchi nei suoi confronti è precipitato.
Se i voti dei non-bianchi non aumentano, per lui sarà dura”.
Gallup a favore di Romney anche per quanto riguarda i dibattiti tv
Gli americani sono divisi su chi abbia vinto nel complesso i tre duelli tv tra Barack
Obama e Mitt Romney.
Ma secondo Gallup é lo sfidante repubblicano ad essersi aggiudicato nel complesso
il confronto.
Lo penserebbe il quarantasei per cento degli elettori, mentre per il quarantaquattro
alla fine ha prevalso il presidente.
Rammento che in media la stampa Usa ha concordato che il primo dibattito del 3
ottobre se loé aggiudicato ampiamente Romney perché Obama é apparso dimesso e
stanco.
Gli altri due (il 16 e 22 ottobre), sempre seconndo i media, sono stati conquistati, ma
solo ai punti senza il colpo del ko, da Obama.
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1 NOVEMBRE 2012
Alberto Alesina sul Corriere della Sera e Valerio Chiapparino su
Meridiani Relazioni Internazionali intervengono a proposito della
distorta considerazione della gran parte dei media in merito alla
candidatura di Mitt Romney e in genere delle posizioni
politico/sociali/economiche dei repubblicani
Sul Corriere della Sera del 31 ottobre, il professor Alberto Alesina, già capo del
dipartimento di economia dell’università di Harvard, in un lungo, complesso e
argomentato articolo dedicato a Romney e al ‘modello americano’ che il mormone
incarna, scrive: “A giudicare da come la gran parte dei media italiani sta coprendo la
campagna elettorale americana, gli unici elettori di Romney sarebbero: il ‘famoso’,
ricchissimo uno per cento della popolazione, i razzisti che non vogliono un presidente
di colore e i fanatici religiosi.
Invece, tutte le persone ‘normali’ e oneste voterebbero Obama.
Ergo, all’incirca il cinquanta per cento degli americani (dai i sondaggi di sostanziale
parità tra i due) sono ricchissimi, fanatici estremisti o razzisti.
Non è vero.
La stragrande maggioranza degli elettori di Romney fa parte della classe media
moderata che vorrebbe ristabilire quell’eccezionalismo americano basato su tasse
relativamente basse, su un governo leggero e su un welfare snello e meno discorsivo.
Una classe media e anche medio bassa che non crede nell’assistenzialismo ma
nell’individuo che ce la deve fare da solo, nel privato il massimo possibile…
A torto o a ragione, una buona parte di americani non vuole seguire la strada europea
(che percorre Obama) che, come vediamo a nostre spese, non sempre ha avuto
successo.
E’ questo su cui si giocano le elezioni: un’America diretta verso uno Stato sociale
onnipresente stile europeo o un’America che ritorna al suo modello liberista…”
E’ possibile dare torto o ragione a quanti la pensano come Romney, continua Alesina,
“ma non sono pazzi estremisti come parrebbe da certa stampa europea” per
concludere con queste parole: “…smettiamola di descrivere questa elezioni come una
guerra santa tra il ‘Bene’, Obama, il ‘Male’, Romney.
Chi lo fa non Capisce l’America!”
Coerente per molti versi con l’intervento del professore di Harvard, l’articolo
proposto su Meridiani Relazioni Internazionali da Valerio Chiapparino che,
concentrandosi in particolare sui media USA, scrive: “Fin dall’apertura dei caucus in
Iowa, Mitt Romney è stato descritto come il peggior candidato repubblicano dal
1964, anno in cui Barry Goldwater subì una cocente sconfitta conquistando solo sei
Stati.
Una considerazione confermata dalle numerose gaffe dell’ex governatore del
Massachusetts…
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Per mesi è sembrato che il vero avversario del presidente Barack Obama sarebbero
stati la disoccupazione e i bollettini mensili che il Bureau of Labor Statistics avrebbe
rilasciato fino all’election day.
Di qui il grande stupore per quanto si è consumato durante il dibattito presidenziale
del 3 ottobre all’università di Denver.
In questa occasione un Obama in scarsa forma ha mandato in frantumi una parte
consistente del suo capitale politico deprimendo i sondaggi negli ‘swing States’.
Com’è possibile che una singola deludente performance televisiva – riparata solo in
parte dai successivi dibattiti – possa aver fatto tracollare dalla sera alla mattina le
preferenze degli elettori per l’inquilino al 1600 di Pennsylvania Avenue?
Com’è possibile che un candidato repubblicano ritenuto così debole sia riuscito a
restringere la forbice che lo separava dall’avversario superandolo, addirittura, in
alcuni casi?
Il ribaltamento, solo in apparenza inaspettato, delle sorti del candidato democratico
ha più a che fare con la condotta dei mezzi di comunicazione che con quella dello
stesso presidente.
Il “collegio elettorale” costituito dai mass media ha infatti scelto fin dall’inizio della
competizione di andare ben oltre l’endorsement ufficiale e di ‘votare’ per Obama.
Si è soffermato più di frequente sulle fragilità dell’avversario che sul diffuso
sentimento di disillusione popolare nei confronti della Casa Bianca a guida
democratica e delle risposte da essa adottate per contrastare la crisi economica.
Una copertura politica poco obiettiva da parte dei mezzi di comunicazione ha
generato due effetti.
Da una parte si è inasprito il tono del confronto tra schieramenti opposti,
approfondendo la distanza tra elettori ‘rossi’ ed elettori ‘blu’; dall’altra i sostenitori di
Romney in pectore (tra cui molti che nel 2008 votarono per Obama), spesso descritti
in tv e sui giornali come ignoranti, bigotti e razzisti, hanno evitato di dichiarare
esplicitamente agli operatori delle case di sondaggi il proprio appoggio all’ex
governatore.
Il dibattito in Colorado e il successivo diluvio di critiche degli stessi media al
presidente ha restituito a tanti elettori l’orgoglio di sostenere un candidato dipinto
come un rappresentante dell’uno per cento della popolazione più ricca del Paese.
In questo senso l’esito del duello di Denver è destinato con tutta probabilità a essere
ricordato come l’‘October surprise’ dell’attuale competizione presidenziale, il ‘game
changer’ tanto temuto da entrambi gli schieramenti politici.
Più che di un vero colpo di scena in senso stretto, esso registra dagli ‘opinion polls’
una tendenza già in atto da tempo che non è stata né raccontata né tantomeno
esaminata a fondo.
I mass media a stelle e strisce, spesso celebrati per la capacità di azzannare senza
tregua il polpaccio del potente di turno, negli ultimi tempi hanno commesso un grave
errore non rendendo all’opinione pubblica un servizio all’altezza della loro
tradizione.
Rischiano di pagarne il prezzo quando la mattina del 7 novembre, a urne chiuse,
potrebbero scoprire di essere rimasti i soli a tifare ancora per Obama”.
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Romney ricomincia dalla Florida, parla dell’uragano e invita a donare
denaro per i sinistrati
Dopo i due giorni di stop imposti dal ciclone ‘Sandy’, la campagna elettorale di Mitt
Romney è ripresa dalla Florida.
Stato fondamentale, perché assegna ventinove grandi elettori.
Nella conferenza tenuta a Tampa, gli eventi degli ultimi giorn hanno inevitabilmente
avuto rilievo.
“Come sapete”, ha detto il mormone,“gran parte del Paese ha subito un forte
trauma.
Di un tipo che in Florida avete sperimentato più di una volta.
È interessante”, ha proseguito, “ vedere come la gente sappia unirsi in circostanze
del genere.
Persone di ogni parte si fanno avanti per offrire un contributo.
Occorre sostenere la Croce Rossa.
Quindi, per favore, se avete uno o due dollari che vi avanzano, donateli alle persone
in difficoltà, che sono state colpite personalmente o nei loro averi.
E tenetele nei vostri pensieri e nelle vostre preghiere”.
Romney è in vantaggio in Florida, ma Obama non si rassegna e ha mandato Joe
Biden a contrastare l’avanzata del rivale.
Endorsement di Bloomberg per Obama
Barack Obama incassa inopinatamente l’appoggio di Michael Bloomberg.
Nell'annunciare il proprio sostegno, il sindaco di New York cita il cambiamento
climatico come motivazione principale, insieme ai diritti delle donne e dei gay.
Bloomberg è estremamente popolare negli Usa e più volte si è parlato di una sua
eventuale candidatura alla casa Bianca.
Nel 2008 non si espresse né per Obama, né per John McCain.
“Obama ridurrà gli USA come l’Italia”
Nel mentre otto elettori su dieci considerano ‘buona’ o addirittura ‘eccellente’ la
grstione da parte del presidente dell’emergenza causata dall’uragano Sandy, Mitt
Romney, riprendendo la sua campagna ha dichiarato che “le politiche economiche di
Obama possono portare l’America sulla strada della Grecia o ad una crisi quale
quella in corso in Europa, Spagna e Italia in particolare”.
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2 NOVEMBRE 2012
Documenti
Obama o Romney: dubbio amletico per la Russia, un articolo di
Dmitri Babich per Russia Oggi
Forse non dovrei parlarne.
L'opinione pubblica russa, per quanto riguarda la questione delle relazioni della
Russia con la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, è spesso trattata dai media occidentali
come immatura.
Venti anni dopo il crollo del comunismo siamo ancora trattati come bambini che
crescono in una famiglia problematica.
Il disincanto russo nei confronti degli Stati Uniti, quando emerge, è di solito attribuito
alle influenze velenose della televisione di Stato o a qualche brutto scherzo della
propaganda di Putin.
L'unica cura consigliata per questo tipo di ‘malattia infantile’ è un'esposizione
maggiore ai media occidentali.
Si presume che tale esposizione sia ancora carente, nonostante parlino i fatti.
Può essere citata la crescente penetrazione nel mercato russo dei colossi dei media
occidentali: il quotidiano ‘Vedomosti’, ad esempio, viene co-pubblicato da ‘The Wall
Street Journal’ e ‘Financial Times’ divenendo di fatto un clone russo di questi
giornali.
Ma citare tendenze simili su Internet, in radio e anche televisione sarebbe inutile: si
continua a presumere che non ci possa essere troppa propaganda occidentale, così
come non ci può essere troppo poca propaganda di Putin.
Tuttavia è un dato di fatto: nel corso degli ultimi venti anni Stati Uniti, Regno Unito e
gli altri membri dell'Unione Europea sono riusciti a fare qualcosa che sarebbe stato
impensabile alla fine degli anni Ottanta, durante il periodo di massimo splendore
della popolarità dell'Occidente in Russia: sono riusciti a perdere appeal nell'opinione
pubblica russa.
Grandi sforzi dovevano essere fatti per ottenere tale risultato.
L'espansione della Nato, il bombardamento della Jugoslavia e le numerose guerre in
Medio Oriente non sarebbero stati probabilmente sufficienti per ottenere tale esito,
ma l'accusa alla Russia da parte del governatore Romney di essere “il nostro nemico
geopolitico numero uno” ha raggiunto l'obiettivo.
È accaduto all'apice di due decenni di concessioni da parte della Russia.
È accaduto anche che per la maggior parte degli irriducibili liberali russi sul modello
degli anni Ottanta alcuni politici occidentali possano essere sembrati non solo
ipocriti, ma stupidi.
Pericolosamente stupidi.
La Russia, pur non essendo la quintessenza della democrazia e della prosperità
economica, non è certo una minaccia per gli Stati Uniti.
Inoltre non è una minaccia per i suoi vicini.
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Il leader georgiano Mikhail Saakashvili che parla costantemente delle politiche
aggressive del Cremlino, per esempio, dovrebbe sollevare dubbi proprio per la sua
natura provocatoria.
I vicini dell'Unione Sovietica di Stalin, nell'apice del suo potere negli anni Quaranta e
Cinquanta, raramente parlavano del carattere aggressivo del dittatore sovietico per
paura di provocarlo e di diventare la sua prossima vittima.
I potenziali aggressori vengono più spesso placati, raramente provocati.
Queste sono cose facili da vedere.
Così, quando Obama ha detto a Romney, durante l'ultimo dibattito, “gli anni Ottanta
ci stanno chiedendo il conto della politica estera”, ha espresso i sentimenti di molti
russi.
Molti russi, come molti americani, si stanno ponendo la domanda: qual è la differenza
tra Romney e Obama, al di là della retorica?
Romney promette di fare le cose che Obama sta già facendo, ma con più energia.
Altre esecuzioni di sospetti terroristi e civili (occasionali) coi droni, più sanzioni
contro l'Iran, più rigidità con la Russia...
In realtà, questa nota inflessibilità repubblicana verso Mosca ha portato talvolta a
belle relazioni personali tra i dirigenti sovietici e i loro colleghi americani.
“I leader sovietici a volte hanno apprezzato la presenza dei repubblicani alla Casa
Bianca, dal momento che la loro retorica dura è servita come giustificazione perfetta
per l'ideologia e i programmi di riarmo all'interno dell'Unione Sovietica”, ricorda
Dmitri de Koshko, uno scrittore francese che di questioni di politica estera tratta
come commentatore alla radio ‘La voce della Russia’.
Invece di mostrare la sua preoccupazione in merito alla dichiarazione stravagante del
signor Romney sul fatto che la Russia sia il “nemico geopolitico numero uno”, Putin
ha prontamente ringraziato Mitt per questa frase che ha permesso al Presidente russo
di dimostrare al suo popolo che un rapido sviluppo americano del programma
antimissile in Europa potrebbe cadere in “mani sbagliate”.
In questa situazione, Putin non ha voluto esprimere giudizi morali, si è comportato a
sangue freddo da soggetto politico che approfitta del passo falso del suo nemico.
In realtà, questa potrebbe essere la soluzione a un grosso enigma.
Perché i candidati democratici sono stati più popolari tra la gente semplice della
Russia (Kennedy e Roosevelt erano figure pienamente positive anche per i media
sovietici ultra-critici), mentre i leader sovietici riuscivano a ottenere il meglio con i
falchi repubblicani?
La risposta a questa domanda non sta nella debolezza militare della Russia o nella sua
forza (che Reagan avrebbe presumibilmente schiacciato).
Sotto Stalin, la superiorità militare degli Stati Uniti sulla Russia era maggiore, ovvio,
ma non ha portato alla pace negli anni del dopoguerra.
La risposta, come al solito, è nella percezione.
I candidati come Romney fanno sentire i russi a Mosca e i siriani a Damasco come
ostaggi.
E ogni ostaggio sogna di avere una difesa personale, che i dirigenti sovietici
prontamente davano.
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Putin non è questo tipo di persona; il recente accordo della Russia con Bp dimostra
quanto lui sia lontano dall'isolazionismo.
Ma la bocca di Romney è uno strumento a portata di mano: con lui è possibile
‘congelare’ e ‘scongelare’ una fortezza assediata ogni volta che si vuole.
Può uno statista pragmatico come Putin desiderare qualcosa di più a portata di mano?
E il popolo degli Stati Uniti non merita qualcuno più esperto e meno arrogante come
loro unica alternativa rispetto un piuttosto ambiguo Obama?
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PARTE QUINTA
398
GLI ULTIMI FUOCHI
(E GLI ULTIMI CHIARIMENTI)
2 NOVEMBRE 2012
Dopo Sandy, lo scontro alle fasi conclusive
Barack Obama e Mitt Romney sono tornati da ieri 1 novembre all'attacco, rompendo
la tregua provocata dall'uragano Sandy.
A cinque giorni dal martedì elettorale, Obama ha, come detto, ricevuto il sostegno del
sindaco di New York Michael Bloomberg, ha ripescato il vecchio slogan del 2008,
‘cambiamento’ e ha detto di essere il solo candidato a volerlo.
Romney ha criticato Obama perché vorrebbe aumentare la burocrazia federale.
I sondaggi nazionali mostrano che la corsa si giocherà sul filo di lana e i due
contendenti passeranno gli ultimi giorni negli otto Stati incerti che decideranno a chi
andranno i voti elettorali necessari per conquistare la Casa Bianca.
Obama è salito ieri nel Wisconsin, prima tappa di un viaggio che lo porterà anche in
Nevada e Colorado ed infine nell'Ohio.
Romney ha fatto campagna in tutta la Virginia.
“Forse siete delusi per la lentezza del cambiamento, ma voi conoscete ciò in cui
credo, sapete da che parte sto", ha detto Obama ad una folla di oltre
duemilacinquecento persone sulla pista di un aeroporto in Wisconsin.
“So che cosa vuol dire il cambiamento, perché sto lottando per averlo”.
Ad una manifestazione a Doswell in Virginia Romney ha criticato Obama dicendo
che vuole riunire le agenzie governative che si occupano di attività economiche in un
unico dipartimento sotto il ministero delle Attività produttive.
“Non penso che aggiungere una poltrona in quel ministero aiuti a creare milioni di
posti di lavoro”, ha detto il mormone.
Il lavoro tornerà oggi al centro del dibattito elettorale, quando il governo darà le stime
della disoccupazione in ottobre.
Qualsiasi scostamento importante potrebbe spostare voti.
La pausa della campagna elettorale a causa dell'uragano Sandy che si è abbattuto
sulla costa orientale degli Usa ha prodotto un insperato beneficio per Obama, il quale
ha avuto le lodi dell'influente governatore repubblicano del New Jersey Chris
Christie, un sostenitore di Romney, e ha passato giorni interi a sovrintendere alle
operazioni federali di soccorso, in una dimostrazione di leadership presidenziale che
ha forse messo alle corde Romney.
Il sindaco di New York, Michael Bloomberg - un repubblicano passato tra le fila
degli indipendenti che non aveva appoggiato nessuno nel 2008 - si è ora schierato con
Obama e ha citato i risultati del governo democratico sul cambiamento climatico, una
questione che si è imposta all'attenzione degli americani dopo Sandy.
399
Il sondaggio nazionale Reuters/Ipsos di ieri ha mostrato ancora un testa a testa, in
linea con le altre rilevazioni.
400
Centosettantunomila nuovi posti di lavoro escono dal cilindro
C’era da scommetterlo.
In vista del voto, all’improvviso, miracolosamente, i dati relativi alla disoccupazione,
per anni negativi, migliorano.
Nell’ultimo mese, centosettantunomila persone hanno (avrebbero) trovato
occupazione e il dato nazionale sarebbe ora del sette virgola nove mentre fino a
poche settimane orsono superava costantemente l’otto.
Certo, alla luce delle conseguenze dei suoi attacchi, Mitt Romney ha decisamente
fatto male a criticare il capo della Fed Ben Bernanke e a dire che se eletto non gli
rinnoverà il mandato.
Qualche alchimia, qualche sotterfugio ed ecco il miracolo.
Dal cilindro del prestigiatore, il coniglio bianco.
E ben si sa: la gente ha la memoria corta.
Un mese che pare sia andato bene (o che in tal modo viene contrabbandato) e i
quattro anni obamiani di sofferenza lavorativa passano subito in cavalleria!
Per quel che conta, gli italiani voterebbero alla grande Obama
Il settanta per cento degli italiani fa il tifo per la vittoria e dunque per la riconferma
di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti d'America, e solo il sette per cento
é a favore di una vittoria di Mitt Romney.
E' il risultato di un sondaggio dell'Istituto Piepoli, eseguito il 29 ottobre per conto
del 'Robert F. Kennedy Center for Justice & Human Right' di Firenze.
Sono state intervistate cinquecento persone rappresentative della popolazione
italiana dai diciotto anni in su.
Il mitico ‘margine d’errore statistico’
Una valanga di sondaggi.
Nazionali, Stato per Stato, addirittura contea per contea.
E infiniti, conseguenti dati.
Rasmussen, Gallup, PPP, eccetera e non contando gli istituti che si occupano magari
solo del loro Stato.
Ebbene, salvo casi davvero rari e che, per non sbagliare, riguardano quei territori
nei quali un repubblicano o un democratico non potrebbero mai perdere (oggi, per
esempio, nel Texas il primo e in California il secondo), tutti gli esiti comunicati alle
agenzie e alla stampa rientrano nel mitico ‘margine d’errore statistico’ che è pari al
tre/quattro per cento.
Copriamoci le spalle, sembrano essersi detti tutti insieme i capi.
Tutto il Grand Old Party in Ohio per Romney
Maxi comizio per Mitt Romney in Ohio dove ha lanciato un accorato appello agli
elettori perché gli permettano di conquistare uno Stato cruciale che lo vede indietro
nella maggior parte dei sondaggi.
401
“Ohio, probabilmente deciderai il prossimo presidente degli Stati Uniti”, ha scandito
davanti a molte migliaia sostenitori radunati a West Chester.
“Siamo quasi arrivati in meta”, ha aggiunto, “un'ultima spinta e ci arriveremo.
Abbiamo conosciuto moti giorni lunghi e notti brevi, e siamo veramente, veramente
vicini.
La porta per un futuro luminoso é aperta: ho bisogno del vostro voto, ho bisogno del
vostro aiuto”.
I fan hanno scandito lo slogan “Four more days”, altri quattro giorni, quelli che
mancavano al voto, in risposta allo slogan “altri quattro anni” del presidente in
carica.
Alla serata, oltre al suo vice Paul Ryan erano presenti un centinaio di personalità del
Grand Old Party, dallo Speaker della Camera dei rappresentanti, John Boehner,
all'ex segretario di Stato, Condoleezza Rice, dall'ex sindaco di New York, Rudy
Giuliani, al candidato battuto da Obama nel 208, John McCain.
“Devi dimetterti”, intima ad Obama Rudolph Giuliani
Rudolph Giuliani ha galvanizzato la folla al grande comizio di Mitt Romney in Ohio
chiedendo le dimissioni di Barack Obama.
Il presidente “si dovrebbe dimettere!”, ha tuonato l'ex sindaco di New York davanti
ad oltre ventimila sostenitori riuniti a West Chester, ricordando l'impegno assunto da
Obama nel 2009 a non ricandidarsi se avesse “fatto male” sull'economia.
Per Giuliani l'Amministrazione Obama “dovrebbe vergognarsi” di giudicare
positivamente un livello di disoccupazione del sette e nove per cento.
Obama “ha mentito, é stato un disastro, il peggior presidente per la nostra economia
nell'arco di un'intera generazione”, ha affermato il sindaco dell'11 settembre.
“Quello che vuole non é un secondo mandato ma una seconda opportunità perché ha
sprecato la prima” .
402
3 NOVEMBRE 2012
Non solo Obama e Romney: trattiamo degli altri quattro candidati
Alle elezioni di martedì prossimo, con Barack Obama e Mitt Romney altri quattro
candidati a contendersi la Casa ianca: Gary Johnson (ne ho già parlato) del partito
libertariano, Jill Stein dei verdi, Virgil Goode del partito della costituzione e Rocky
Anderson del partito della giustizia.
Il loro nome non sarà tuttavia presente sulle schede elettorali di tutti gli Stati, che
hanno ciascuno la libertà di scegliere i requisiti per presentare la candidatura.
Gary Johnson, governatore repubblicano del New Mexico dal 1995 al 2005, si era
candidato quest’anno alle primarie repubblicane, ritirandosi però il 28 dicembre e
annunciando poi la candidatura con il partito libertariano.
Johnson, il candidato di maggior peso fra gli outsider, ha ottenuto la nomination dal
suo nuovo partito lo scorso maggio e punta sulla diminuzione delle tasse e della spesa
pubblica, sulla lotta al ‘big government’ e sulla depenalizzazione del consumo di
marijuana.
Jill Stein, candidata dei verdi, è stata invece in corsa per due volte a governatore del
Massachusetts e quest’anno ha ricevuto l’endorsement di Noam Chomsky.
Punta su una forte riduzione delle spese militare e sull’aumento delle tasse per i più
ricchi.
Nel suo programma c’è anche l’espansione del settore delle energie rinnovabili e la
conservazione dell’ambiente.
Il candidato del partito della costituzione Virgil Goode rappresenta il terzo
movimento politico americano per numero di elettori, comunque sempre
infinitamente distante in suffragi dai democratici e dai repubblicani.
Si oppone all’immigrazione e ha un programma vicino a quello della destra cristiana.
Goode è stato deputato dal 1997 al 2008, prima con i democratici poi con i
repubblicani, tra i quali si schierò a causa della sua opposizione all’aborto e al
controllo delle armi.
Dopo aver perso il seggio si è iscritto al partito della costituzione, per il quale
quest’anno insegue la presidenza.
Rocky Anderson è stato dal 2000 al 2008 sindaco di Salt Lake City, capitale dello
Utah.
Come Romney è cresciuto in una famiglia mormone, ma a differenza del candidato
repubblicano ha poi abbandonato la Chiesa in età adulta ed è molto critico nei
confronti della religione.
Anderson, che ha fondato il partito della giustizia un anno fa, aumenterebbe le tasse
agli americani più ricchi e colpirebbe le transazioni finanziarie.
403
La media delle ‘polls’ oggi 3 novembre dice Obama
Stando alla media delle ‘polls’ calcolata da Real Clear Politics, Obama è oggi avanti
di un soffio con il quarantasette e mezzo per cento contro il quarantasette e due.
Di maggior rilievo il fatto che si tratti del primo vantaggio in questa media dai
dibattiti presidenziali, quando Romney prevaleva di quasi un punto percentuale.
Obama pare poter contare su un vantaggio nei collegi elettorali: viene dato in testa
in Stati incerti quali Iowa, Wisconsin, Nevada e soprattutto Ohio.
Stesseo in tal modo le cose, in mancanza di sorprese altrove, il presidente potrebbe
aggiudicarsi duecentosettantasette grandi elettori, varcando la soglia minima
necessaria a aggiudicarsi un secondo mandato alla Casa Bianca.
NB Non va dimenticato il già molte volte citato ‘margine statistico di errore’ che
rende praticamente nulli tutti questi sondaggi
404
4 NOVEMBRE 2012
Parliamo del ‘voto postale’
E’ un’opzione sempre più popolare tra gli elettori.
Consente di votare per posta prima della giornata elettorale.
In merito, ogni Stato ha regole differenti.
Alcuni chiedono che vengano rispettati determinati criteri per usufruire di questa
possibilità, altri restringono la possibilità di inviare materialmente il voto al giorno
stesso delle elezioni.
Due Stati del nord-ovest, l’Oregon e il Washington, lo hanno addirittura reso
obbligatorio per contenere i costi.
In altri (Colorado, Nevada, Texas, New Mexico, Tennessee, North Carolina e
Georgia) nelle elezioni del 2008 oltre la metà dei voti fu espressa prima del giorno
delle elezioni, con gran parte delle schede inviate per posta.
I voti degli americani residenti all'estero - storicamente in maggioranza democratici arrivano naturalmente con questo sistema.
405
4 NOVEMBRE 2012
Il caso Ohio in generale e l’importanza del voto postale in questo Stato
in particolare
Sulla possibilità di voto anticipato si è scatenata una vera battaglia giuridica in Ohio,
da sempre ed anche oggi decisivo per l'esito delle elezioni.
Lo Stato aveva deciso di chiudere il 2 novembre l'accesso al voto anticipato, ad
eccezione degli ‘absentee ballot’ (voto postale) dei residenti all'estero e dei militari,
mentre i democratici - consapevoli che gli ‘early voters’ sono statisticamente più
dalla loro parte - si sono battuti per il prolungamento della procedura.
La Corte Suprema ha dato loro ragione.
Nel 2008, secondo i democratici, furono circa centocinquemila gli elettori che
espressero il loro voto nei tre giorni precedenti le elezioni.
La seconda controversia che ha scosso questo fondamentale Stato su cui si
concentrano gran parte degli sforzi dei due sfidanti è quella che riguarda le ‘schede
provvisorie’.
Si tratta delle schede votate da persone la cui legittimità di elettori è dubbia o la cui
registrazione non riflette un nuovo nome o indirizzo.
Nel 2008 furono duecentomila su un totale di cinquemilioni settecentomila elettori.
Lo Stato ha prescritto che le schede vengano rifiutate se non corrispondono al
‘precinct’ - il distretto elettorale (una micro divisione territoriale utilizzata per voti e
referendum locali) assegnato all'elettore, anche se l'errore di assegnazione non
dipende dall'elettore ma dalle autorità.
Si tratta, nel caso dell'Ohio, di un'eventualità molto probabile perché l'ottanta per
cento dei seggi elettorali copre diversi distretti.
Nel 2008 furono quattordicimila i voti annullati per questo motivo, circa un terzo del
totale delle schede provvisorie respinte.
Ma il tema di maggior rilievo a proposito di questo Stato concerne lo spoglio del voto
postale, spoglio che verrà effettivamente portato a termine solo nel caso in cui il
numero dei suffragi in tal modo espressi possa davvero determinare il vincitore e
quindi a chi attribuire i diciotto delegati.
Per esempio: se un candidato prevale nelle urne di duecentomila voti e gli ‘absentee
ballot’ sono centonovantamila sarà inutile conteggiarli perché anche fossero tutti a
favore del soccombente (ed è comunque impossibile) non muterebbero la sostanza
delle cose.
Una seconda e assai importante – addirittura nella prospettiva della proclamazione
immediata del nuovo presidente - ipotesi: i predetti ‘ballot’ postali risultano in
numero superiore a quelli che nelle urne determinano il prevalere di uno dei
candidati.
Lo spoglio è necessario e deve essere accuratissimo anche e soprattutto per verificare
se e quanti abbiano in effetti espresso le loro preferenze sia di persona sia tramite
posta votando quindi due volte.
406
Il termine per compiere il lavoro è di dieci giorni il che significa che se l’Ohio
risultasse determinante e si trovasse nella situazione ora descritta, occorrerebbe
aspettare appunto dieci giorni dal voto (salvo ricorsi) per conoscere il nome del
nuovo capo di Stato USA.
407
4 NOVEMBRE 2012
I ‘morti presunti’ del Texas
Il Texas ha approvato l'anno scorso una legge per garantire che i deceduti vengano
eliminati dalle liste elettorali.
Nei casi dubbi - di omonimia o coincidenza di data di nascita - agli elettori (vivi)
sono arrivate lettere che intimavano di dimostrare entro trenta giorni di non essere
morti: passato il termine sarebbero stati eliminati dalle liste.
Solo nella contea di Harris - uno dei distretti più grandi - sono state mandate
quattromila comunicazioni in tal senso.
“Centinaia di persone ci hanno risposto: sì sono ancora vivo”, raccontano gli
amministratori.
Finché quattro ‘presunti morti’ non si sono irritati e hanno fatto un esposto contro la
legge dello Stato, ottenendone la revoca.
Ci sarà ancora una lista di ‘morti presunti’, ma verranno eliminati solo dopo verifiche
accurate.
408
4 NOVEMBRE 2012
Il referendum a Portorico
Il 6 novembre i cittadini di Portorico sono chiamati a votare per un referendum sullo
status politico dell’isola.
Porto Rico è oggi un ‘territorio non incorporato’, i cui residenti hanno anche la
cittadinanza Usa (dal 1917) ma non il diritto di voto, e la cui legislazione ricade in
gran parte nelle prerogative del congresso Usa.
Gli verrà chiesto se sono d'accordo con l’attuale situazione di Stato libero associato
oppure se vogliono diventare il cinquantunesimo membro degli Usa, o ancora se
vogliono la totale indipendenza.
E’ il quarto referendum tenuto nell'isola su questo tema: i precedenti sono stati nel
1967, nel 1993 e nel 1998.
Quest'anno la popolarità dell'opzione di ingresso nella federazione Usa è più alta che
in passato, arrivata al quarantuno per cento.
Se però l’attuale status verrà bocciato dal referendum, il governo di Portorico dovrà
rivolgersi all'amministrazione Usa e non è affatto detto che venga accolta.
Infatti, l’idea di aggiungere ai programmi federali di assistenza sociale uno Stato così
povero e con un altissimo tasso di criminalità - e la cui lingua ufficiale dovrebbe
essere lo spagnolo - è fortemente contrastata dai repubblicani.
409
4 NOVEMBRE 2012
Joe Biden vice di Mitt Romney?
Ho già detto che ove nessuno dei candidati raggiungesse la fatidica soglia dei
duecentosettanta delegati (la maggioranza assoluta), il presidente, secondo quanto
disposto da XII emendamento approvato nel 1804, verrebbe scelto dalla camera dei
rappresentanti.
Allo stesso modo, in caso di parità (duecentosessantanove voti elettorali a testa).
Ma, e a proposito del vice, come si procederebbe?
E’ anche a tale riguardo il XII emendamento a venire in soccorso.
Solo che la scelta nel caso spetterebbe al senato.
In ipotesi, quindi e per quanto improbabile ai limiti dell’impossibile, se Obama e
Romney finissero pari, una camera a maggioranza repubblicana sceglierebbe il
mormone nel mentre un senato nel quale i democratici prevalessero opterebbe per Joe
Biden.
Biden vice di Romney?
Fantascienza, anche se a ben guardare un vice appartenente a un partito diverso da
quello del presidente si era avuto, causa il differente sistema corretto appunto dal XII
emendamento, nei primi quattro mandati e anche nel secondo, interrotto, quadriennio
di Lincoln (Andrew Johnson, il vice e successore mortis causa, era proprio
democratico. La scelta era caduta su Johnson per dimostrare, in corso la Guerra di
Secessione, che anche parte dei democratici appoggiava il presidente nella lotta
contro lo schiavismo).
410
4 NOVEMBRE 2012
La salute necessariamente di ferro dei candidati. E tra quelli di una
volta?
Ma che salute, che fisico, che morale deve avere un candidato a White House che
intenda arrivare fino in fondo alla lunga corsa elettorale?
Obama, osservano oggi alcuni quotidiani, è bello e pimpante.
Gira come una trottola cinque, sei Stati al Giorno, affronta i problemi dati
dall’incarico, uragano Sandy incluso, e sta benone.
Ma, il vero miracolo, a ben guardare, lo sta compiendo Romney che è entrato in corsa
addirittura nel maggio del 2011, prima impegnato in tutto il Paese nel mettere in piedi
la ferrea struttura organizzativa della quale aveva bisogno, poi nel combattere e
sconfiggere gli altri concorrenti Gop alla nomination e infine a cercare di mandare a
casa Obama.
Ebbene, neppure un giorno, che dico? Un istante di defaillance.
Un miracolo, probabilmente assistito se non determinato da medici di primo ordine.
Guardando al passato tra i candidati delle diverse epoche, tutta gente dalla salute
inattaccabile, almeno durante la campagna elettorale e salvo poi schiattare
velocemente una volta in carica come William Harrison, durato solo un mese.
Con una notevole eccezione, invero.
Elezioni del 1824 (travagliatissime e ne ho ampiamente trattato parlando di John
Quincy Adams e di Andrew Jackson).
Nessuno dei quattro in corsa conquista la maggioranza assoluta dei delegati.
La camera viene chiamata a decidere e deve farlo scegliendo fra i primi tre (in tal
modo delibera il XII emendamento) classificati.
Primo è risultato Jackson, secondo J. Q. Adams e terzo il georgiano William
Crawford, designato come suo successore da James Monroe.
La scelta sarà obbligatoriamente tra i primi due perché Crawford si becca un bel
colpo apoplettico ed esce pertanto dai giochi.
411
5 NOVEMBRE 2012
Documenti
Obama, chi teme l'uomo nero, un articolo di Gian Giacomo Migone
per l’Unità (pubblico questo pezzo, scritto in alcuni punti in un mediocre
italiano e ricco di imprecisioni da un cosiddetto intellettuale di sinistra, a
futura memoria. Ecco a cosa conducono l’ansia del politicamente corretto,
la demagogia)
Ruth è seduta accanto a me su un autobus che da New York ci porta a Washington.
Sui Greyhound di solito s’incontra una sezione di popolo americano, multietnica e
multirazziale, di estrazione sociale medio-bassa (gli altri prendono l’aereo o il treno).
Ruth è atipica, scopro, di professione psicoterapeuta, insegna alla Columbia
University; bianca, ebrea, anche se fermamente laica e critica di Netanyahu.
Una nonna che, come me, va a trovare i suoi nipotini.
Porta una coccarda che la qualifica come sostenitrice di Barack Obama.
Non è difficile attaccare discorso, partendo da lì.
“Ma sono preoccupata perché potrebbe non farcela. C’è ancora molto razzismo negli
Stati Uniti”.
Mi meraviglio.
Non siamo mica nell’America degli anni Sessanta in cui chi traversava gli Stati del
Sud su un’auto targata New York o, peggio ancora, Massachusetts, rischiava di
prendersi una schioppettata.
E poi il razzismo c’era, anche quattro anni fa, quando Obama fu eletto.
“Ma è aumentato sotto la sua presidenza”, dice Ruth, “Me ne accorgo nella mia
famiglia.
Ho un marito e un fratello che odiano Obama.
Non sopportano un nero che si permette di essere più colto e più intelligente di loro”.
Ruth mi fa tornare in mente la mia prima reazione, quando fu eletto.
Più che il colore della pelle mi colpì il primato intellettuale del nuovo presidente, già
direttore della più prestigiosa rivista giuridica degli Stati Uniti e professore
all’Università di Chicago, che mi sembrava incompatibile con l’odio che molti
americani tuttora riservano agli intellettuali.
Ma Ruth mi ha fatto notare che è il combinato pelle nera-eccellenza intellettuale a
risultare micidiale anche per tipi come suo marito, malgrado abbia una nuora con lo
stesso colore di pelle del Presidente degli Stati Uniti.
Commentiamo alcuni articoli del ‘New York Times’, fortemente schierato con
Obama, che lo descrivono come il presidente democratico più odiato dai ricchi, dopo
Roosevelt.
Dico: “Ma se il suo errore è stato quello di credersi Lincoln, con il compito di
riunificare il paese, anziché scegliere come suo modello Franklin Roosevelt che
412
trascorse i primi due anni della sua presidenza ad inchiodare banchieri e repubblicani
alla loro responsabilità per lo scoppio della grande crisi del ’29.
Con il bel risultato che dopo sei mesi il disoccupato che continuava a non trovare
lavoro e la famiglia che perdeva la casa hanno cominciato ad attribuirne la colpa al
nuovo presidente.
Piove governo ladro, diciamo in Italia”.
“È vero”, dice Ruth, “ma l’uomo d’affari piccolo o grande” (o grandissimo: una
sentenza recente della Corte Suprema ha consentito all’alta finanza di versare una
fortuna nella campagna elettorale di Romney) “lo percepisce lo stesso come un
nemico”.
Roger Cohen, altro suo sostenitore, cita alcune sue affermazioni rivelatrici: ‘Non mi
sono candidato per tirare fuori dai guai un branco di banchieri ingordi di Wall Street’
e, ancora più provocatorio: ‘Se hai un’impresa, non sei stato tu a costruirla da solo!’
Ma si tratta soltanto di scatti rivelatori che lo differenziano dalle politiche cui si è
adeguato.
Certo, la riforma della sanità è stata fatta, pur con mille compromessi estorti dai
repubblicani in Congresso, puntuali rappresentanti delle lobby assicurative.
Per il resto il presidente ha ereditato gli economisti neo-liberisti di Clinton che a suo
tempo liquidarono la riforma delle riforme del New Deal: quel Glass- Steagall Act
che non consentiva ai finanzieri di speculare con i soldi dei risparmiatori, per poi
rifilare le perdite ai contribuenti quando scoppia la bolla.
Eppure ricordo il suo discorso, un grande discorso, sulle origini del razzismo negli
Stati Uniti.
Secondo la tesi di Obama quello che lui definì un equivoco storico, il razzismo,
impedì alle classi socialmente più deboli di unirsi, implicitamente privando gli Stati
Uniti di un’alternativa socialista.
“Ma per questo lo odiano”, m’incalza Ruth.
“Lo percepiscono come un socialista europeo.
Per te e anche per me può essere un complimento, ma da queste parti è motivo di
scandalo.
E poi la sua politica estera, pragmatica e moderata, viene percepita come una rinuncia
alla leadership americana.
Non hanno torto a percepire qualcosa di alieno, di non detto, nella personalità del
Presidente, quei moderati, spesso ma non sempre repubblicani, forse agganciati in
extremis da Romney dopo essere stato passato al vaglio degli estremisti dei Tea
Parties.
Barack Obama è il primo presidente ad avere percepito che il declino del potere
relativo degli Stati Uniti è un fatto, che questo non sarà un altro American Century,
che nuovi protagonisti stanno costruendo un mondo multipolare.
Anche se il suo linguaggio è prudente, per non dire reticente, la sfida è grossa.
Mai dimenticare il bisogno di orgoglio nazionale, bandiere al vento, caccia perpetua
al nemico esterno, per tenere insieme un paese costruito da strati successivi di
immigranti di ogni religione e razza.
413
“Speriamo soltanto che gli operai di Cleveland e di Detroit si ricordino dei loro
interessi materiali e che io e le mie amiche riusciamo a convincere donne e ragazzi
che vale ancora la pena di scommettere su chi li aveva entusiasmati, ma che pure
deve fare i conti con i poteri che tuttora controllano il paese.
Che l’Obama del secondo mandato potrebbe assomigliare di più all’Obama delle
origini, l’Obama schierato contro la guerra nell’Iraq.
L’Obama di Michelle” dice Ruth, che scende dal Greyhound per abbracciare la nuora
e nipotini del colore del Presidente.
414
5 NOVEMBRE 2012
Documenti
“Vincerà Romney”, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa
A sostenere la tesi che Mitt Romney diventerà il quarantacinquesimo presidente degli
Stati Uniti è chi prevede la trasformazione dell’Election Day in un referendum contro
Barack Obama, frutto della combinazione fra crisi economica, impoverimento della
classe media e delusione popolare per le promesse mancate rispetto al 2008.
I sondaggi
Lo scenario di un massiccio aumento di voti repubblicani è avvalorato dai sondaggi
di Gallup, che da sei settimane assegnano a Romney vistosi vantaggi.
I rilevamenti di Gallup hanno appurato un aumento di favori del quindici per cento
per i repubblicani, rispetto al 2008, e mentre altre società demoscopiche ritengono il
dato eccessivo al punto da essere un errore, Gallup ribatte che non è affatto uno
sbaglio ma la fotografia di una realtà mutata.
Se Gallup va in questa direzione dall’indomani del primo dibattito a Denver,
all’inizio di ottobre, Rasmussen ha previsto una sensibile crescita di favori per i
repubblicani sin dall’estate, sulla base del maggior entusiasmo del loro elettorato.
A confermare tale lettura è il Pew Research Center, secondo cui “fra chi ha già votato
la competizione Obama-Romney è serrata” indicando un aumento di mobilitazione
repubblicana in quanto il voto anticipato vede per tradizione una maggiore
partecipazione democratica.
Gli analisti
A prevedere con certezza che tale dinamica porterà Romney alla Casa Bianca è Karl
Rove, l’ex guru politico di George W. Bush, spingendosi anche a indicare il risultato:
“Un minimo di duecentosettantanove voti elettorali”.
“Il traguardo sarà raggiunto nelle prime ore del 7 novembre” aggiunge Rove,
riferendosi alla necessità di aspettare l’esito del conteggio dei voti nelle singole
contee di Stati in bilico come l’Ohio.
“Sandy ha giocato a favore di Obama ma non basterà a mutare l’esito - aggiunge
Rove - Romney vincerà per uno, due punti punti, non più per tre”.
Il politologo Michael Barone, fra i maggiori esperti di presidenziali, si spinge oltre
nella disamina degli Stati in bilico: “Romney vincerà facilmente strappando a Obama
Indiana, North Carolina, Florida, Ohio, Virginia, Colorado, Iowa, New Hampshire,
Pennsylvania e Wisconsin lasciando all’avversario Michigan, Minnesota, Nevada,
New Mexico e New Jersey” per un risultato finale di “trecentoquindici a
duecentoventitre”.
Ciò che accomuna Rove e Barone è la convinzione che l’Election Day non sarà un
testa a testa bensì un risultato netto, schiacciante.
415
Pur con maggiore prudenza Michael McDonald, esperto di flussi elettorali della
George Mason University, va nella stessa direzione quando si dice “sorpreso dal
livello di affluenza alle urne dei repubblicani nel voto anticipato”.
Gli strateghi
Sono valutazioni che premiano gli sforzi di Rich Beeson, direttore politico della
campagna di Romney, e Stuart Stevens, suo principale stratega, accomunati dalla
convinzione che la sfida a Obama dovesse essere impostata sin dall’inizio su una
ricetta semplice: unire tutti gli scontenti ovvero quel cinquantacinque per cento di
cittadini secondo cui l’America “va nella direzione errata”.
Non dunque creare una coalizione di più segmenti dell’elettorato, come in genere i
candidati fanno, ma puntare su un unico messaggio nazionale.
Il risultato più importante finora ottenuto è la mobilitazione dei bianchi: per
Washington-Abc Romney fra loro ha un vantaggio cinquantasette a trentanove per
cento, ben sei punti in più dei dodici che McCain inflisse a Obama, grazie soprattutto
alle donne.
416
5 NOVEMBRE 2012
I sondaggi secondo Daily Poll Summaries
(riporto le previsioni di voto in trentacinque Stati
e nel District of Columbia)
Arizona, PPP, 11/2 - 11/3: Obama 46, Romney 53
Arizona, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 44, Romney 52
California, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 55, Romney 40
Colorado, Ipsos Poll for Reuters, 11/2 - 11/4: Obama 48, Romney 48
Colorado, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 48, Romney 47
Connecticut, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 54, Romney 39
Delaware, Townhall Polling, 8/22 - 8/22: Obama 52, Romney 37
Florida, Ipsos Poll for Reuters, 11/2 - 11/4: Obama 46, Romney 46
Florida, JZ Analytics, 11/1 - 11/3: Obama 47, Romney 49
Florida, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 47, Romney 48
Georgia, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 44, Romney 52
Idaho, Huffington Post Projection, 11/4 - 11/4: Obama 30, Romney 65
Illinois, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 57, Romney 38
Indiana, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 44, Romney 51
Iowa, PPP, 11/3 - 11/4: Obama 50, Romney 48
Iowa, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 48, Romney 47
Louisiana, Huffington Post Projection, 11/4 - 11/4: Obama 37, Romney 58
Maine, Obama 49, Romney 42
Maryland, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 59, Romney 37
Massachusetts, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 57, Romney 37
Michigan, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 51, Romney 44
417
Minnesota, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 50, Romney 43
Mississippi, PPP, 11/4 - 11/6: Obama 36, Romney 54
Missouri, PPP, 11/2 - 11/3: Obama 45, Romney 53
Missouri, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 42, Romney 53
Montana, PPP, 11/2 - 11/3: Obama 45, Romney 52
North Carolina, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 47, Romney 49
Nevada, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 49, Romney 45
New Hampshire, PPP, 11/3 - 11/4: Obama 50, Romney 48
New Hampshire, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 47, Romney 43
New Jersey, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 53, Romney 41
New Mexico, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 49, Romney 43
New York, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 59, Romney 36
Ohio, Ipsos Poll for Reuters, 11/2 - 11/4: Obama 48, Romney 44
Ohio, JZ Analytics, 11/1 - 11/3: Obama 50, Romney 42
Ohio, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 49, Romney 46
Pennsylvania, Morning Call, 11/1 - 11/3: Obama 49, Romney 46
Pennsylvania, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 52, Romney 44
South Dakota, Nelson Brothers, 10/31 - 11/4: Obama 41, Romney 53
Tennessee, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 42, Romney 53
Texas, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 38, Romney 57
Virginia, Ipsos Poll for Reuters, 11/2 - 11/4: Obama 47, Romney 46
Virginia, JZ Analytics, 11/1 - 11/3: Obama 50, Romney 44
Virginia, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 48, Romney 46
Washington, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 54, Romney 40
Wisconsin, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 50, Romney 46
418
Washington DC, Huffington Post Projection, 11/4 - 11/4: Obama 87, Romney 8
Wyoming, Townhall Polling, 8/20 - 8/22: Obama 36, Romney 54
419
Si vota anche per la camera e per un terzo dei senatori
L’attenzione giustamente rivolta alla corsa verso White House costringe in secondo
piano l’importantissimo fatto che in questo stesso 6 novembre si tengono anche le
votazioni per il rinnovo totale della camera dei rappresentanti e per quello di un
terzo dei senatori.
Le previsioni in proposito parlano di una affermazione repubblicana alla camera
bassa e della conservazione, sia pure a fatica, della maggioranza che hanno nella
camera alta ad opera dei democratici.
I referenda sui quali si voterà
Gli americani il 6 novembre saranno chiamati ad esprimersi, in trentasette Stati,
anche su diversi quesiti referendari: dalla legalizzazione della marijuana ai
matrimoni gay, alla messa al bando dell’uso di finanziamenti pubblici per pagare
l’aborto.
Complessivamente i referendum su questi temi saranno centosettantaquattro, il
numero più alto dal 2006.
Di solito, i cittadini erano chiamati a votare sul bando alle nozze gay ma quest’anno
in Maine, Maryland e Washington il quesito riguarderà invece la legalizzazione delle
di quei matrimoni.
‘Provisional ballots’
Nei casi in cui i documenti presentati al seggio elettorale presentino qualche
problema, nei casi in cui il cittadino, anche per responsabilità della pubblica
amministrazione, si presenti al voto in un seggio diverso da quello do competenza e
in qualche altra ipotesi particolare del suffragio espresso si terrà conto in modo
provvisorio salvo poi effettuare le necessarie verifiche.
E’ questo il cosiddetto ‘provisional ballot’.
420
LA PREVISIONE
VORREI PREVALESSE LA ‘VECCHIA AMERICA’
DI MITT ROMNEY,
REPUTO E TEMO
FINISCA PER PREVALERE
L’AMERICA ‘SOCIALISTA’
DI BARACK OBAMA
(solo chi ha il coraggio di fare una previsione può sbagliarla)
5 novembre 2012
L’ho detto e scritto infinite volte e qui lo ripeto: la vittoria di Barack Obama nel 2008
(in qualche modo prefigurata e annunciata dai due mandati di Bill Clinton, non per
niente definito da molti “il primo presidente ‘nero’”) ha rappresentato il compimento,
il punto di arrivo - e quasi certamente, almeno in prospettiva, di non ritorno - di quel
lungo iter che, partendo da alcune visioni del ‘New deal’, di Franklin Delano
Roosevelt e soprattutto a seguito della vera rivoluzione legislativa in specie nel
sociale voluta ed attuata da Lyndon Johnson, ha portato gli USA sulla via del
socialismo, come confermato in modo evidente dalla esaltata riforma sanitaria,
giustamente chiamata, a rappresentare nel nome e in relazione al disposto tanto poco
americano, ‘Obamacare’.
Era, è questa una ‘evoluzione’ (per molti, una ‘involuzione’) inevitabile in un mondo
USA in dapprima lenta e infine precipitosa trasformazione in particolare dal punto di
vista etnico?
E’, pertanto, questa la necessaria, obbligata conseguenza del deflettere, del declinare
dell’America di una volta, quella mitica e del ‘sogno’, del cosiddetto
‘eccezionalismo’, in conseguenza, nei differenti casi, dell’emergere, dell’arrivo e alla
fine del prevalere di ‘non americani’ quali sono neri, ispanici e quanti altri non
‘wasp’ (white, anglosaxon, protestant) vanno conquistando – hanno già raggiunto? nel Paese la maggioranza?
Non solo, naturalmente, infinite altre essendo le incidenze (e vanno sottolineate
quella religiosa, l’ateismo apertamente professato, nonché, tra gli acculturati, tra gli
421
intellettuali delle due coste, il tramonto per non dire il rifiuto irridente di dottrine
quali quella del ‘destino manifesto’), ma fondamentalmente sì.
E lo si vede, lo si può constatare semplicemente dando un’occhiata non superficiale,
non disattenta in giro, in particolare nei ‘blue States’, quelli usi a votare democratico.
Quando mai la ‘vecchia America’ ci aveva, ci avrebbe, proposto, come oggi la
prevalente ‘nuova America’ fa, milioni e milioni di grassoni nullafacenti, impegnati
ad abbuffarsi di merendine e pollo fritto, che trascinano una vita senza neppure
immaginate e quindi non ricercate prospettive in quartieri periferici degradati e
degradanti o, a seconda della collocazione territoriale nell’immenso Paese, in roulotte
oramai significativamente ancorate al terreno e casupole fatiscenti dipendendo
praticamente in tutto e per tutto da uno Stato assistenziale?
Nessuno, in questi diffusissimi ambienti tanto ‘obamiani’, accetterebbe di far suo il
dettato di Ronald Reagan che, all’inizio degli anni Ottanta del Novecento, in
opposizione all’allora già annunciato precipitare della situazione, disse “Lo Stato non
è la soluzione, lo Stato è il problema”.
In un contesto quale quello or ora rappresentato e che piace tanto agli europei e a noi
italiani che da tempo abbiamo adottato, spesso senza rendercene conto ed essendone
stati conquistati surrettiziamente, un sostanziale socialismo legislativo e
comportamentale, ripeto, quasi ‘inconsapevole’, quali le reali possibilità di vittoria il
6 novembre del ‘sorpassatissimo’ Mitt Romney?
Del candidato mormone che si batte contro il da tutti voluto, osannato, sognato e nei
fatti deleterio ‘cambiamento’, che richiama ed esalta il Paese che fu, gli ideali e la
spinta propulsiva, individualista di una volta?
Del candidato che, del tutto consapevole delle difficoltà, ha sottolineato di non poter
contare su quel quasi cinquanta per cento della popolazione che non paga le tasse e
vive a spese o alle dipendenze dello Stato?
Esiste un’America diversa, quella dei ‘red States’ nei quali un Obama non può
neppure immaginare, non può sognare di prevalere.
Se a questa non piccola ma periferica fetta del Paese si unissero larga parte degli
‘swing States’, quelli in bilico, laddove le due anime, l’antica e la nuova si
fronteggiano ancora, Romney potrebbe farcela.
A dispetto dei sondaggi che proponevano a tre giorni dal voto i due alla pari, penso e
temo che questo non succederà e che Barack Obama sarà confermato, sia pure,
probabilmente, con una ridotta maggioranza.
Potrebbe, con un Romney vincente, essere questo ‘il canto del cigno’ dell’America
che fu, prospettando il futuro, comunque, una lunga prevalenza di un partito
democratico destinato a trasformarsi in un movimento fondamentalmente socialista in
grado di raccogliere larghe maggioranze in un Paese in qualche modo a quel punto
non più ‘americano’!
422
5 NOVEMBRE 2012
L’ipotesi Gallup
Tutto quanto or ora vergato in merito alle prospettive politiche nel medio e lungo
termine degli USA resterebbe valido anche se, contro le aspettative e in disaccordo
con la gran parte dei sondaggi, domani, come previsto invece da Gallup, prevalesse
Romney.
Va, comunque, segnalato che appunto Gallup ritiene che il repubblicano vincerà ed
anche nettamente.
L’autorevole istituto segnala oramai da giorni l’aumento notevole dei suffragi Gop
sia tra gli elettori già andati alle urne sia nelle intenzioni di voto.
423
I Redskins hanno perso, per la cabala vince Romney
Anche l’anglosassone America, fredda e raziocinante (ma quando mai?), patisce le
sue scaramanzie.
Ed ecco che la sconfitta odierna dei Redskins, la squadra di football americano di
Washington, secondo la cabala ‘Made in Usa’ è segno che il 6 novembre Mitt
Romney batterà Barack Obama.
Come scrive il Washington Post, sin dal 1937, l'anno in cui i ‘pellerossa’ (Redskins)
si sono trasferiti nella città della Casa Bianca, vige una sorta di legge non scritta: se
la squadra perde la partita il week end precedente alle elezioni, il candidato del
partito che ha vinto le elezioni precedenti non ripete lo stesso successo.
Dal ‘37 si sono tenute diciotto elezioni presidenziali, e questa sorta di superstizione
tra sport e politica, é stata rispettata diciassette volte.
Unica eccezione nel 2004, ma i suoi seguaci la spiegarono con il fatto che l’inquilino
della Casa Bianca, George W. Bush, quattro anni prima non aveva vinto nel voto
popolare.
Insomma, oggi i Redskins hanno perso in casa contro i mediocri Panthers della
North Carolina.
Dal punto di vista sportivo, non é una gran notizia, visto che la squadra della
capitale americana ormai da anni fa penare i suoi fans.
Ma stavolta, il risultato era seguito con attenzione da chi, anche da queste parti,
dichiara candidamente: “'Non e' vero, ma ci credo”.
Ovviamente la cosa é finita su internet.
E su twitter alcuni elettori obamiani hanno sfottuto i repubblicani: '”Se sperate di
vincere citando i Redskins, allora siete veramente messi male”.
424
OBAMA:
ANCORA QUATTRO ANNI
Parte prima
Non tutti i voti sono stati conteggiati, ma già è possibile dire che
Obama ha vinto perdendo a livello nazionale rispetto al 2008
circa tre punti percentuali e parecchi milioni di voti, tanto da
conquistare con quasi certezza nell’occasione meno suffragi di
quanti ne ebbe a catturare allora il bistrattato John McCain.
Romney, per parte sua, perde a propria volta e nettamente il
confronto per somma di voti con il precedente candidato Gop.
La prima considerazione da fare?
Il voto non è stato condizionato quanto si pensava dalla crisi
economica e dagli alti livelli di disoccupazione.
Avevo previsto esattamente (si legga il capitolo che ho riservato appunto
alle previsioni) l’esito delle elezioni USA del 6 novembre.
Riservandomi di tornare a breve alle riflessioni conseguenti (sul filo,
peraltro, di quanto da me esposto nel saggio USA 2012), di seguito,
espongo i dati maggiormente significativi.
I risultati (non ancora definitivi)
Nelle elezioni del 6 novembre 2012, Barack Obama ha sicuramente
conquistato un totale di trecentotre (303) delegati ed ha conseguentemente
ottenuto l’investitura per un secondo mandato alla Casa Bianca (ricordo
che la maggioranza assoluta è fissata a duecentosettanta, 270).
Mitt Romney ha dalla propria con sicurezza duecentosei (206) voti
elettorali.
425
Incerta ancora in queste ore (è la mattina del 9 novembre) l’attribuzione
dei ventinove delegati (29) della Florida laddove i suffragi raccolti dai due
sono talmente vicini da non permettere una sicura attribuzione dello Stato
(“too close to call”).
Rispetto al 2008, Obama ha perso all’incirca undici milioni di voti
popolari a livello nazionale prevalendo comunque sul rivale anche da
questo punto di vista.
Sempre con riferimento al 2008, il presidente ha dovuto sicuramente
cedere a Romney l’Indiana e il North Carolina (vedremo, come detto,
quanto alla Florida) dove allora aveva prevalso.
Guardando ai singoli Stati, i risultati percentualmente migliori colti dai due
sfidanti sono, ovviamente ma non troppo (Al Gore, per esempio, nel 2000,
perse proprio nel suo), nel loro Stato di nascita: Hawaii, settanta e sei
(70,6%) per cento quanto ad Obama e Utah, settantadue e sette (72,7)
quanto a Romney.
Nel contempo, alla camera dei rappresentanti i repubblicani hanno
mantenuto la maggioranza con duecentotrentadue (232) deputati finora
attribuiti (il totale dei rappresentanti è di quattrocentotrentacinque).
Al senato, i democratici restano il partito con il maggior numero di seggi.
Cosa è successo negli ‘swing States’
Nel corso dell’intera campagna, si è parlato a mille riprese degli Stati in
bilico, i cosiddetti ‘swing States’.
Attribuendo, difatti, con un notevole margine di sicurezza al repubblicano
e al democratico gli Stati tradizionalmente e in base ad univoci sondaggi
rispettivamente ‘rossi’ e ‘blu’ (i colori dei due partiti), determinanti per la
vittoria dell’uno o dell’altro risultavano sostanzialmente nove/dieci Stati.
Orbene, ripetuto che l’esito del voto in Florida è ancora ignoto, possiamo
dire che Romney ha perso in ragione del fatto di non essere riuscito a
sfondare proprio in questo ambito.
Il mormone ha alla fine prevalso in Indiana e North Carolina ma ha perso,
a volte davvero di stretta misura, in bel altri sette territori: Nevada,
Colorado, Iowa, Wisconsin, Ohio, Virginia e New Hampshire per un
totale, decisivo, di sessantasei (66) delegati.
426
Gli altri candidati
Due parole a proposito degli altri candidati soprattutto per sottolineare
l’esito, buono e non scontato, della campagna di Gary Johnson.
L’esponente del Libertarian Party, benché non presente in tutti gli Stati, ha
conseguito il miglior risultato ‘all times’ per il suo partito con circa un
milione e centoquarantamila voti a livello nazionale e con punte anche del
tre e mezzo per cento nel New Mexico e del due punto nove nel Montana.
Non male davvero.
Il voto: donne, neri, ispanici
Come previsto, alla fine, al fianco e a sostegno di Romney sono rimasti
quasi solamente i bianchi maschi mentre le donne, di qualsivoglia etnia sia
pure in percentuali diverse, hanno preferito Obama.
Detto che i neri si sono espressi per il presidente in carica oltre il novanta
per cento, va sottolineato che gli ispanici – i ‘latinos’, infinite volte
ricordati e sollecitati dai due candidati – hanno costituito il dieci per cento
dei votanti e votato Obama nella misura del sessantanove per cento e
Romney solo in quella del ventinove.
Il web
E’ con ogni probabilità giunta l’ora di cancellare dalle nostre menti quanto
occorso in una trascorsa circostanza ad Howard Dean, l’allora beniamino
di internet per ciò stesso dato per favorito da tutti nelle primarie
democratiche e subito battuto quando dal suffragio della rete si passò a
quello reale, nei seggi.
Già nel 2008, Obama aveva impostato parte notevole della sua campagna
sul web e lo sforzo aveva dato confortanti esiti.
In questo 2012, viepiù.
Internet, facebook, twitter, sms: tutte le possibili diavolerie sono state
brillantemente cavalcate dal suo entourage dando frutti copiosi.
Sempre più in futuro ci si combatterà in cotal modo.
Tempi e mezzi che, velocemente, assai velocemente, cambiano.
427
Michelle
Michelle Robinson: ho più volte sottolineato il particolare appeal di questa
signora alla quale il presidente deve davvero molto.
Ancora una volta in questa campagna, la first lady si è dimostrata
indispensabile.
Gradita alla gran parte dei cittadini, è stata capace di attirare sul coniuge il
consenso non solo delle donne.
Ha combattuto per lui tenacemente credendo fortemente nella vittoria che,
forse, lei assente, non sarebbe stata raggiunta.
Chapeau!
428
Parte seconda
Anche la Florida va a Obama: risultato finale trecentotrentadue e
duecentosei
Mitt Romney ha perso anche la Florida.
E' quanto ha ammesso il suo staff.
Il presidente Barack Obama avrebbe dunque conquistato anche il Sunshine
State, i cui risultati erano rimasti in sospeso da martedì notte.
Obama è in vantaggio di cinquantacinquemilaottocentoventicinque voti, e
avrebbe ottenuto il quarantanove punto nove per cento delle preferenze
contro il quarantanove punto due di Romney.
Secondo i membri dello staff però fra i voti rimasti da contare non ci
sarebbero abbastanza aree repubblicane per far sperare in una peraltro
inutile vittoria dello sfidante in Florida.
Romney aveva comunque già ammesso la sconfitta a livello nazionale
nella notte di martedì, prima con una telefonata di congratulazioni a
Obama, poi con un breve ‘concession speech’ da Boston.
Si chiude così per mormone una campagna elettorale lunghissima,
cominciata il 2 giugno 2011 in una fattoria di Stratham, in New Hampshire
e andata avanti per un anno e mezzo fra primarie ed elezioni presidenziali.
Con i ventinove grandi elettori della Florida Obama sale così a
trecentotrentadue (332) voti elettorali, mentre Romney si ferma a
Duecentosei (206).
Nel 2008 il presidente in carica ne ottenne trecentosessantacinque (365),
mentre lo sfidante repubblicano John McCain si fermò a centosettantatre
(173).
Le sfide del secondo mandato di un’anitra zoppa
Dopo la non esaltante vittoria del 6 novembre, Barack Obama avrà poco
tempo per riprendersi dalle fatiche della lunga campagna elettorale.
Il presidente dovrà infatti rimettersi immediatamente al lavoro per
affrontare le sfide principali del secondo mandato, a cominciare
dall'enorme debito pubblico che ne ridurrà notevolmente la libertà di
azione.
A minacciare i prossimi quattro anni di Obama sarà innanzitutto il pericolo
del 'fiscal cliff', ovvero la combinazione della fine di sgravi fiscali e di
tagli automatici alla spesa pubblica.
429
Per affrontare questo ‘precipizio fiscale’ in arrivo nei prossimi mesi, il
presidente dovrà infatti fare i conti con la Camera, a maggioranza
repubblicana, probabilmente pronta a rendere difficile un accordo.
Per i prossimi due anni, fino alle elezioni di metà mandato del 2014 e
ammesso che le cose allora cambino, Obama – da ‘anatra zoppa’ come
viene definito un presidente USA che si trovi nella sua situazione riguardo
ad almeno uno dei rami del parlamento - dovrà continuare a confrontarsi
con un congresso diviso.
Martedì sera – come or ora ripetuto - i repubblicani hanno mantenuto il
controllo della Camera, mentre il Senato è rimasto ai democratici.
Per Obama la difficoltà principale consisterà nel raggiungere un accordo
fra i democratici, che non vogliono fermare l'espansione di programmi
come Medicare e Medicaid, e i repubblicani, che sostengono invece come
il debito debba essere ridotto attraverso tagli alla spesa e non con nuove
tasse.
Obama incontrerà la disponibilità dei moderati in forza ai due partiti, ma si
scontrerà con le frange più radicali.
Il 2 gennaio scadranno gli sgravi fiscali dell'era Bush e una serie di tagli
automatici alla spesa potrebbero entrare in vigore immediatamente
colpendo tutti i programmi federali fatta eccezione per il Social Security e
il Medicaid.
Obama cercherà di imporre al congresso l’estensione di detti sgravi fino
alla fine del suo mandato e potrebbe cercare di far approvare un progetto
di riduzione del debito che ritardi i tagli alla spesa almeno alla fine del
2013.
Un eventuale accordo potrebbe aumentare temporaneamente il tetto del
debito che sarà raggiunto all'inizio del 2013.
Obama in campagna elettorale ha promesso di voler estendere gli sgravi
fiscali per tutti, fatta eccezione per coloro che guadagnano oltre
duecentomila dollari (duecentocinquantamila per le coppie).
I repubblicani vorrebbero invece mantenere gli sgravi per tutti, ma hanno
poca possibilità di successo.
Il presidente si impegnerà a mantenere la struttura di Medicare e Medicaid,
i programmi di assistenza sanitaria gratuita per anziani e poveri.
In senato però i moderati di entrambi i partiti stanno vagliando l’ipotesi di
introdurre modifiche sostanziali ai due programmi.
Obama dovrà inoltre riuscire a portare avanti la riforma dell'immigrazione
che aveva promesso durante il suo primo mandato.
430
Il presidente potrebbe spingere per l'approvazione del Dream Act, la
proposta di legge che aiuterebbe un milione settecentomila giovani
immigrati, arrivati in America da bambini, ad ottenere la cittadinanza.
La legge era stata bocciata dal Senato nel 2010, ma l'amministrazione
Obama si è impegnata a portarla avanti nel secondo mandato.
Siamo sicuri che nel secondo quadriennio i presidenti facciano meglio?
Da sempre, si sostiene che una volta rieletto il capo dello Stato USA,
svincolato dal problema e dai vincoli operativi relativi alla rielezione,
possa dare il meglio di sé.
Ora, guardando ai precedenti, verrebbe voglia di dire il contrario visto che
è praticamente sempre all’inizio che il presidente americano gode di
maggiore autorevolezza, non è stanco ed è in grado di agire.
Si pensi, per esempio e per restare a tempi a noi vicini, al pessimo, ingrato,
pieno di trappole e problemi secondo mandato di George Walker Bush e a
quello non certo esaltante del pur fortunato Bill Clinton.
In lontanissimi anni, nella prima metà dell’Ottocento, il partito whig
sostenne inutilmente la proposta di ridurre ad un solo quadriennio
l’impegno dell’eletto.
Come ho già scritto, i due whig effettivamente arrivati a White House,
William Harrison e Zachary Taylor, mantennero fede all’impegno preso
morendo nel corso appunto del primo mandato
431
COMMENTI E PROSPETTIVE
Vauro
8 novembre 2012 Corriere della Sera
In una magnifica vignetta, Vauro rappresenta Obama che sotto la dicitura
“Il meglio deve ancora venire” dice “Per ora accontentavi di me”
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Luigi Zingales
Non ha vinto Obama, ma ha perso Romney
8 novembre 2012 - Il Sole 24 Ore
Obama ha vinto.
Ma il clima (anche atmosferico) della sua vittoria è molto diverso da quello di quattro
anni fa.
Nel 2008 la notte della vittoria era tiepida, con una luna piena che illuminava a
giorno un Grant Park dove a celebrare non c'erano solo i democratici, ma tutta
l'America.
Dopotutto, in quella campagna elettorale Obama era andato ripetendo che in America
non esistono Stati repubblicani e Stati democratici, ma solo gli Stati Uniti d'America.
E l'America unita aveva celebrato l'alba di quella che sembrava una nuova era.
Ieri a Chicago invece faceva freddo, pioveva, e le celebrazioni erano rinchiuse nella
sede locale delle fiere aziendali.
A partecipare c'erano solo i democratici, felici solo che non aveva vinto il loro
nemico.
Ebbene sì.
Ieri non ha vinto Obama, ma ha perso Romney.
Un presidente che in quattro anni ha aumentato il debito del cinquanta per cento, non
è riuscito a far scendere la disoccupazione al di sotto del sette e otto, e non ha
presentato un piano serio per ridurre l'esplosione futura delle spese sanitarie per gli
anziani (il cui fondo diventerà insolvente tra undici anni), era facilmente battibile.
Romney non è stato in grado di farlo, nonostante gli americani abbiano rinnovato la
loro fiducia ai candidati repubblicani, che hanno mantenuto la maggioranza in
Congresso.
È stato sconfitto il Romney tecnocratico: competente, ma incapace di parlare al cuore
degli Americani.
È stato sconfitto il Romney super tattico, bravissimo (forse troppo) ad adattarsi agli
umori degli elettori, ma incapace di generare fiducia.
È stato sconfitto il Romney troppo succube a quell'America bigotta che crede che il
concepimento a seguito dello stupro sia “un dono del Signore” (come ha detto in un
dibattito il candidato repubblicano al senato in Indiana) e che la migliore educazione
sessuale sia l'insegnamento dell'astinenza.
Questa vittoria suo malgrado, rende difficile al presidente Obama gestire il suo
secondo mandato, soprattutto con un congresso a maggioranza repubblicana.
Difficoltà aumentata dalla mancanza di chiarezza del suo programma.
Una delle poche proposte chiare è un aumento delle imposte per chi ha un reddito
familiare maggiore di duecentocinquantamila dollari l'anno.
433
Questo provvedimento è lungi dal risanare il deficit federale che viaggia al dieci per
cento e non dà segnali di ridursi.
Una politica fiscale accomodante nel colmo della più grande crisi economica dal
1929 poteva andare bene, ma continuare quattro anni dopo mette a repentaglio la
stabilità finanziaria degli Stati Uniti.
La piattaforma elettorale di Obama contiene anche delle proposte utili per combattere
la disoccupazione, come un piano per riqualificare due milioni di disoccupati ed
assumere più insegnanti di matematica e scienze.
Contiene infine settantacinque miliardi di dollari di spese in infrastrutture.
Ma siamo ad una vecchia strategia di ‘tassa e spendi’ che ha fallito nella Spagna di
Zapatero e sta fallendo nella Francia di Hollande.
E siamo lungi dalle speranze di un nuovo modo di fare politica promesso quattro anni
fa.
Questo nuovo modo di fare politica non si è visto neppure nella regolamentazione
finanziaria.
La legge Dodd-Frank ha certamente degli aspetti positivi, come la creazione di
un'agenzia di protezione dei consumatori, ma non risolve il problema del ‘troppo
grande per fallire’.
Ed è difficile pensare che la stessa amministrazione che l'ha approvata possa
cambiarla.
L'unica speranza del secondo mandato è che, libero da preoccupazioni elettorali,
Obama ritorni ad essere quello che aveva promesso di essere nella sua prima
campagna elettorale: un presidente bipartisan che tratti i suoi elettori come cittadini
adulti e responsabili, dicendo loro le verità (anche amare) e non vendendo illusioni.
Se volesse fare questo dovrebbe nominare come ministro del Tesoro Erskine Bowles,
co-presidente della commissione sulla sostenibilità fiscale, impegnandosi ad
approvare le conclusioni di quella commissione.
Sono proposte molto serie e coraggiose per risanare il bilancio federale, tra cui
l'eliminazione dei sussidi all'agricoltura, un aumento dell'età pensionabile, ed un
aumento dei contributi sociali per sostenere il peso pensionistico futuro.
Sarebbe difficile per i repubblicani opporsi a questo piano, cui hanno in parte
contribuito.
Libero da necessità di raccogliere ulteriori fondi elettorali, Obama potrebbe anche
dedicarsi ad una riforma dei finanziamenti elettorali.
Oggi il tipico rappresentate al congresso è costretto a fare quattrocento eventi di
raccolta di fondi all'anno (più di uno al giorno).
È un sistema infernale in cui le imprese si sentono ricattate e i parlamentari costretti a
mendicare, ma da cui nessuno può deviare, pena la non rielezione.
Per questo solo un presidente nel suo secondo mandato può farsi promotore di una
riforma di questo tipo.
Solo se si impegnasse in queste riforme e diventasse quel presedente che aveva promesso di essere,
Obama potrebbe passare alla storia per qualcosa di più che essere il primo presidente nero degli
Stati Uniti.
434
Guido Mariani
In prospettiva: cambi nel governo degli Usa (Hillary lascia, Geithner e
Panetta lasceranno). Possibili aperture ai repubblicani
8 novembre 2012 Lettera 43
Vinte le elezioni, per Barack Obama è tempo di scelte.
A partire dai membri della squadra di governo per il suo secondo mandato.
Il suo primo quadriennio si è contraddistinto per una grande e insolita stabilità nei
membri del cabinet che i presidenti hanno facoltà di cambiare a piacere (sono poi
sottoposti solo a una conferma da parte del Senato a maggioranza semplice).
In quattro anni sono stati sostituiti solo il segretario alla difesa Robert Gates,
nominato da George W. Bush e al fianco di Obama per due anni, e i segretari al
Commercio Gary Locke, diventato ambasciatore in Cina, e John Bryson che ha
dovuto lasciare per motivi di salute.
Si attende ora un profondo rinnovamento.
La voce più affascinante circolata nelle ultime ore e lanciata dal giornalista della Cnn
Wolf Blitzer è quella che il presidente potrebbe nominare Mitt Romney nella sua
squadra affidandogli il nuovo ruolo di ‘secretary of business’, una sorta di ministro
dello sviluppo economico.
Per Obama sarebbe un modo per mettere in pratica le parole del suo discorso dopo la
vittoria elettorale, quando ha chiesto allo sfidante sconfitto di lavorare insieme per
andare avanti.
Sarebbe anche un’apertura verso un mandato ispirato a un dialogo e a un costruttivo
rapporto con una Camera dei rappresentanti controllata dai repubblicani.
La mossa avrebbe anche un precedente illustrissimo: il «team of rivals» di Abramo
Lincoln che nel 1861 nominò nel suo governo quattro ministri scelti tra i suoi
oppositori elettorali.
Il ruolo più delicato per l’Obama bis è quello occupato da Timothy Geithner, il
segretario al Tesoro.
Al momento la sua posizione è intoccabile, si deve infatti discutere in queste
settimane il destino degli sgravi fiscali che scadono alla fine 2012, così come il
rinnovo delle aliquote: il cosiddetto 'fiscal cliff' che sarà certamente al centro di un
tiro alla fune tra Casa Bianca e Congresso.
Geithner dovrà essere lo stratega di un compromesso.
Solo alla fine di questo delicatissimo passaggio l’ex economista della Federal reserve
potrà essere sostituito.
Ci sono già alcune ipotesi in discussione.
La più accreditata parrebbe quella di Jack Lew, attuale capo di gabinetto di Obama,
già vice-segretario di Stato, ma con un’esperienza pluriennale come responsabile
dell'Ufficio management e budget con le amministrazioni Clinton e Obama.
435
Circolano anche voci su una scelta di profilo più alto con il reclutamento di un
manager di una grande corporation.
Sono stati fatti i nomi di Larry Fink di BlackRock, Tony James di Blackstone Group,
David Cote di Honeywell o Eric Schmidt di Google.
Più stimolante l’ipotesi Sheryl Sandberg, attualmente direttore operativo di
Facebook: sarebbe la prima donna a occupare la posizione.
Obama ha un debole per lei (politicamente) e ha già un’esperienza nell’esecutivo
come capo dello staff nel National economic council.
Ricambio in vista anche per il segretario di Stato.
Hillary Clinton ha già annunciato la sua intenzione di farsi da parte: ufficialmente il
suo desiderio è quello di ritirarsi a vita privata, ma in molti sperano in una sua
candidatura alle primarie democratiche del 2016, anche se l’ex first lady ha appena
compiuto sessantacinque anni.
Per il suo posto si sprecano le ipotesi.
D’alto profilo sono quelle dell’ex candidato alla presidenza John Kerry, che però
lascerebbe libero un cruciale seggio senatoriale, oppure Susan Rice, attuale
ambasciatrice all’Onu, che però è stata al centro di molte critiche per la sua reticenza
sull’attacco all’ambasciata americana a Bengasi.
Altri nomi sono quelli del senatore Richard Lugar e di Howard Berman che ha
appena perso il suo seggio alla Camera.
Alla difesa per ora rimarrà Leon Panetta che avrà il compito di gestire le eventuali
conseguenze del 'fiscal cliff' sulle spese militari.
Sciolto questo nodo, la sua poltrona potrebbe liberarsi a vantaggio del suo vice, Ash
Carter, oppure per Michèle Flournoy già sottosegretario al Pentagono e che sarebbe la
prima donna a occupare la posizione.
Il ministro della giustizia Eric Holder non sembra avere le valigie in mano
nell’immediato, ma si pensa comunque a un successore.
Buone le chance di un altro afro-americano come il governatore del Massachusetts
Deval Patrick, ma sono stati fatti i nomi anche del senatore Sheldon Whitehouse e di
Preet Bharara, il ‘mastino di Wall street il procuratore distrettuale che sta mettendo
sotto inchiesta banchieri e trader coinvolti negli scandali finanziari.
Alla giustizia potrebbe anche finire Janet Napolitano, attualmente responsabile della
sicurezza nazionale al cui posto potrebbe andare il giudice federale Merrick Garland
o Matt Olsen, direttore del National counterterrorism center.
È previsto anche un rinnovo di alcuni dicasteri minori come il dipartimento degli
Interni (che non corrisponde al nostro ministero dell'Interno, ma gestisce solo alcune
agenzie federali) che vedrà l’uscita di Ken Salazar, probabilmente a favore del vice
David Hayes.
Nel dipartimento dell’energia sarà sostituito Steven Chu.
Si fa il nome di due donne. Cathy Zoi, già amministratore delegato dell'Alleanza per
la protezione del clima fondata da Al Gore e di Kathleen McGinty presidente del
consiglio per la qualità del clima sotto l’amministrazione Clinton.
436
Sicuramente Obama non deve dimenticarsi di chi lo ha rieletto alla Casa Bianca e la
presenza femminile nel nuovo riassetto del gabinetto sarà assai più che una semplice
quota rosa.
437
APPENDICI
438
BREVE GLOSSARIO
DELLA POLITICA AMERICANA
Caucus: 'Consiglio ristretto' - secondo Maldwyn Jones - è uno dei sistemi con i quali
vengono prescelti i candidati alla Presidenza (l'altro è quello delle 'primarie'). Il
vocabolo, per alcuni, deriverebbe dal tardo greco 'kaukos', che significa 'boccale', e
indicherebbe il fatto che le riunioni così chiamate si svolgevano originariamente nei
saloons e nelle bettole. Per altri, risalirebbe alle riunioni dei capi tribù algonchini, in
tal modo definite in quella particolare lingua. Sorto nei primi decenni del secolo
scorso, il meccanismo in questione è tuttora vigente in alcuni Stati. Il più famoso
caucus è quello dello Iowa che, tradizionalmente, inaugura la campagna elettorale in
febbraio (dal 2000, in gennaio). Nella sostanza si tratta di una riunione ristretta agli
attivisti del partito che in questo modo scelgono i delegati alla Convenzione.
Convention: la Convenzione nazionale è il momento conclusivo verso il quale tende
tutto il sistema dei caucus e delle primarie e altresì l'unico Congresso dei due partiti,
che, quindi, si riuniscono al massimo livello ogni quattro anni, in estate, per scegliere
il candidato alla Presidenza ed il suo vice, nonché per discutere ed approvare la
'piattaforma' elettorale e cioè il programma del partito.
Dark horse: è il candidato inizialmente sconosciuto che improvvisamente ottiene un
sorprendente successo (lo stesso Clinton, allora quasi ignoto governatore
dell'Arkansas, quando nel 1992 riuscì a raggiungere imprevisti consensi nelle
primarie e nei caucus di 'inizio corsa', fu definito 'cavallo scuro').
Endorsement: la dichiarazione ufficiale di appoggio ad una candidatura resa da un
personaggio di spicco, governatore, parlamentare, ex presidente od altro che sia.
Front runner: è, invece, il candidato da battere, colui che si porta in testa alla
maratona elettorale e che conduce la corsa verso la nomination.
Maverick: è il nome che si affibbia al candidato di uno dei partiti nazionali che sia
ritenuto un po’ troppo indipendente (deriva dalla definizione del ‘vitello non
marchiato’ che non si sa pertanto a chi davvero appartenga).
Mid term elections: espressione che indica le elezioni che si tengono a metà del
mandato presidenziale (quindi, a metà del termine). A livello nazionale riguardano
tutti i Rappresentanti - la cui Camera si rinnova totalmente ogni due anni - ed un
terzo dei senatori, il cui mandato è di sei anni e che, a partire dal 1913 - prima erano
nominati dalle Assemblee degli Stati di provenienza - debbono presentarsi agli
elettori, appunto, un terzo alla volta.
439
Nomination: è l'investitura ufficiale che un partito dà al proprio candidato alla
Presidenza nel corso della Convention nazionale.
Platform: è il programma elettorale del movimento politico nel quale sono espresse
le sue posizioni sulle questioni più importanti in discussione nel Paese.
Primaries: le 'primarie' - la cui origine è relativamente recente visto che furono
tenute per la prima volta nel 1903 nello Stato del Wisconsin - sono elezioni pubbliche
dei delegati alle Convenzioni. A seconda degli Stati e dei loro regolamenti, possono
essere 'aperte' (è consentito il voto non solo agli elettori del partito registrati come tali
ma anche a quelli negli altri movimenti o agli indipendenti), o 'chiuse', che sono la
maggioranza, nelle quali votano solo i citati elettori del partito in questione
dichiaratisi tali.
La più famosa primaria resta quella del New Hampshire che è la prima in ordine di
tempo nel calendario elettorale (si svolgeva in febbraio – dal 2000 a gennaio - subito
dopo il caucus dello Iowa).
Rednecks: definizione dei contadini degli Stati del ‘profondo Sud’ (che hanno il
collo rosso perché esposto al sole nel mentre lavorano i campi) considerati un tempo
rozzi bifolchi profondamente razzisti.
Running mate: è il compagno prescelto dal candidato alla Presidenza; in caso di
vittoria sarà il vice presidente.
Term: così è definito il mandato, a termine perché quadriennale, del presidente. Tutte
le cariche pubbliche elettive negli Stati Uniti sono a termine (non è previsto, quindi,
per esempio, l'istituto della 'fiducia' e, conseguentemente, quello della 'sfiducia') e la
teoria, a tale riguardo, parla di 'importanza dell'orologio'.
Ticket: l'accoppiata dei candidati alla Presidenza e alla vice Presidenza.
Turnout: è la percentuale d'affluenza alle urne, tradizionalmente molto bassa se
paragonata a quelle europee (raramente si avvicina e, a maggior ragione, supera il
sessanta per cento degli aventi diritto al voto).
Winner take all: è il sistema con il quale vengono attribuiti i delegati dei singoli
Stati (Nebraska e Maine esclusi) al Collegio Nazionale che dovrà successivamente
eleggere ufficialmente il presidente.
In ogni Stato, chi vince anche per un solo voto popolare conquista tutti i delegati ai
quali lo Stato stesso ha diritto.
440
I QUARANTAQUATTRO PRESIDENTI
Presidente
e
appartenenza
partito
George Washington (F)
John Adams (F)
Thomas Jefferson (R-D)
James Madison (R-D)
James Monroe (R-D)
John Quincy Adams (R-N)
Andrew Jackson (D)
Martin Van Buren (D)
William H. Harrison (W)
John Tyler (D)
James K. Polk (D)
Zachary Taylor (W)
Millard Fillmore (W)
Franklin Pierce (D)
James Buchanan (D)
Abraham Lincoln (R)
Andrew Johnson (D)
Ulysses S. Grant (R)
Rutheford B. Hayes (R)
James A. Garfield (R)
Chester A. Arthur (R)
Grover Cleveland (D)
Benjamin Harrison (R)
Grover Cleveland (D) *
William McKinley (R)
Theodore Roosevelt (R)
William H. Taft (R)
Woodrow Wilson (D)
Warren G. Harding (R)
Calvin Coolidge (R)
Herbert Hoover (R)
Franklin Delano Roosevelt (D)
Harry S. Truman (D)
Dwight D. Eisenhower (R)
John F. Kennedy (D)
Lyndon B. Johnson (D)
Richard M. Nixon (R)
Gerald R. Ford (R)
Jimmy Carter (D)
Ronald Reagan (R)
George Bush (R)
Bill Clinton (D)
George W. Bush (R)
Barack Obama (D)
di In carica dal al
30.4.1789
4.3.1797
4.3.1801
4.3.1809
4.3.1817
4.3.1825
4.3.1829
4.3.1837
4.3.1841
6.4.1841
4.3.1845
4.3.1849
10.7.1850
4.3.1853
4.3.1857
4.3.1861
15.4.1865
4.3.1869
4.3.1877
4.3.1881
20.9.1881
4.3.1885
4.3.1889
4.3.1893
4.3.1897
14.9.1901
4.3.1909
4.3.1913
4.3.1921
3. 8.1923
4. 3.1929
4. 3.1933
12. 4.1945
20. 1.1953
20. 1.1961
22.11.1963
20. 1.1969
9. 8.1974
20. 1.1977
20. 1.1981
20. 1.1989
20. 1.1993
20. 1.2001
20. 1.2009
3.3.1797
3.3.1801
3.3.1809
3.3.1817
3.3.1825
3.3.1829
3.3.1837
3.3.1841
4.4.1841
3.3.1845
3.3.1849
9.7.1850
3.3.1853
3.3.1857
3.3.1861
15.4.1865
3.3.1869
3.3.1877
3.3.1881
19.9.1881
3.3.1885
3.3.1889
3.3.1893
3.3.1897
14.9.1901
3.3.1909
3.3.1913
3.3.1921
2.8.1923
3.3.1929
3.3.1933
12.4.1945
20.1.1953
20.1.1961
22.11.1963
20.1.1969
9.8.1974
20.1.1977
20.1.1981
20.1.1989
20.1.1993
20.1.2001
20.1.2009
_________
441
I RISULTATI DELLE ELEZIONI
Anno
Presidente eletto
1789
1792
George Washington (F)
George Washington (F)
1796
1800
1804
1808
1812
1816
1820
1824
1828
1832
Avversari
John Adams (F)
John Adams (F)
George Clinton (R-D)
John Adams (F)
Thomas Jefferson (R-D)
Thomas Pinckney (F)
Aaron Burr (R-D)
Thomas Jefferson (R-D) Aaron Burr (R-D)
John Adams (F)
C.C. Pinckney (F)
John Jay (federalista)
Thomas Jefferson (R-D) C.C. Pinckney (F)
James Madison (R-D)
C.C. Pinckney (F)
George Clinton (R-D)
James Madison (R-D)
De Witt Clinton (F)
James Monroe (R-D)
Rufus King (F)
James Monroe (R-D)
John Q. Adams (R-N)
John Quincy Adams (R- Andrew Jackson (R-D)
N)
William Crawford (RD)
Henry Clay (R-D)
Andrew Jackson (D)
John Q. Adams (R-N)
Andrew Jackson (D)
Henry Clay (R-N)
John Floyd (Indip.)
William
Wirt
(Antimassonico)
1836
Martin Van Buren (D)
1840
William Harrison (W)
1844
James Polk (D)
1848
Zachary Taylor (W)
1852
Franklin Pierce (D)
1856
James Buchanan (D)
1860
Abraham Lincoln (R)
William Harrison (W)
Hugh White (W)
Daniel Webster (W)
W.P. Mangum (Indip.)
Martin Van Buren (D)
J.G. Birney (Libertà)
Henry Clay (W)
J.G. Birney (Libertà)
Lewis Cass (D)
Martin
Van
Buren
(Freesoil)
Winfield Scott (W)
John Hale (Freesoil)
John Fremont (R)
Millard
Fillmore
(Americano)
Stephen Douglas (D)
John Breckinridge (D)
John Bell (Union)
442
1864
1868
1872
1876
1880
1884
1888
1892
Abraham Lincoln (R)
Ulysses Grant (R)
Ulysses Grant (R)
Rutheford Hayes (R)
James Garfield (R)
Grover Cleveland (D)
Benjamin Harrison (R)
Grover Cleveland (D)
1896
William McKinley (R)
1900
William McKinley (R)
1904
Theodore Roosevelt (R)
1908
William Taft (R)
1912
Woodrow Wilson (D)
1916
Woodrow Wilson (D)
1920
Warren Harding (R)
1924
Calvin Coolidge (R)
1928
Herbert Hoover (R)
1932
Franklin D. Roosevelt (D)
1936
Franklin D. Roosevelt (D)
1940
1944
1948
Franklin D. Roosevelt (D)
Franklin D. Roosevelt (D)
Harry Truman (D)
1952
1956
Dwight D. Eisenhower (R)
Dwight D. Eisenhower (R)
George McClellan (D)
Horatio Seymour (D)
Horace Greeley (D-L-R)
Samuel Tilden (D)
Winfield Hancock (D)
James Blaine (R)
Grover Cleveland (D)
Benjamin Harrison (R)
James
Weaver
(Populista)
William Jennings Bryan
(D)
William Jennings Bryan
(D)
Alton Parker (D)
Eugene
Debs
(Socialista)
William Jennings Bryan
(D)
Eugene
Debs
(Socialista)
Theodore Roosevelt
(Progressista)
William Taft (R)
Eugene
Debs
(Socialista)
Charles Hughes (R)
A.I. Benson (Socialista)
James Cox (D)
Eugene
Debs
(Socialista)
John Davis (D)
Robert La Follette
(Progressista)
Alfred Smith (D)
Norman
Thomas
(Socialista)
Herbert Hoover (R)
Norman
Thomas
(Socialista)
Alfred Landon (R)
William Lemke (Union)
Wendell Wilkie (R)
Thomas Dewey (R)
Thomas Dewey (R)
J. Strom Thurmond
(D-Dixiecrats)
Henry Wallace
(Progressista)
Adlai Stevenson (D)
Adlai Stevenson (D)
443
1960
1964
1968
John F. Kennedy (D)
Lyndon B. Johnson (D)
Richard M. Nixon (R)
1972
1976
1980
Richard M. Nixon (R)
Jimmy Carter (D)
Ronald Reagan (R)
1984
1988
1992
Ronald Reagan (R)
George Bush (R)
Bill Clinton (D)
1996
Bill Clinton (D)
2000
George W. Bush (R)
2004
2008
George W. Bush (R)
Barack Obama (D)
Richard M. Nixon (R)
Barry Goldwater (R)
Hubert Humphrey (D)
George Wallace
(Indipendente)
George McGovern (D)
Gerald Ford (R)
Jimmy Carter (D)
John Anderson
(Indipendente)
Walter Mondale (D)
Michael Dukakis (D)
George Bush (R)
Ross
Perot
(Indipendente)
Bob Dole (R)
Ross Perot
(Reform Party)
Al Gore (D)
Ralph Nader (Verdi)
John Kerry (D)
John McCain (R)
SIGLE DEI PARTITI (esclusi quelli citati per intero):
D (democratici); D-L-R (democratici-liberal-repubblicani); F (federalisti); R (repubblicani); R-D (repubblicani-democratici); R-N
(repubblicani-nazionali, conservatori); W (whigs).
444
LA COSTITUZIONE FEDERALE
E GLI EMENDAMENTI
PREAMBOLO
Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di perfezionare ulteriormente la nostra Unione, di garantire
la giustizia, di assicurare la tranquillità all'interno, di provvedere alla comune difesa, di promuovere
il benessere generale e di salvaguardare per noi stessi e per i nostri posteri il dono della libertà,
decretiamo e stabiliamo questa Costituzione degli Stati Uniti d'America.
ARTICOLO I
SEZIONE 1. - Tutti i poteri legislativi conferiti col presente atto sono delegati ad un Congresso
degli Stati Uniti, composto di un Senato e di una Camera dei Rappresentanti.
SEZIONE 2. - 1. La Camera dei Rappresentanti sarà composta di membri eletti ogni due anni dal
popolo dei vari Stati, e gli elettori di ciascuno Stato dovranno avere i requisiti richiesti per essere
elettori della Camera più numerosa del Parlamento dello Stato (1).
2. Non può essere Rappresentante chi non abbia raggiunto l'età di 25 anni, non sia da sette anni
cittadino degli Stati Uniti e non sia; nel periodo delle elezioni, abitante dello Stato in cui sarà eletto.
3. I Rappresentanti e le imposte dirette saranno ripartiti fra i diversi Stati che facciano parte
dell'Unione secondo il numero dei loro abitanti (2); numero che verrà determinato aggiungendo al
totale degli uomini liberi - compresi quelli sottoposti a prestazione di servizio per un periodo
limitato ed esclusi gli Indiani non soggetti a imposte - tre quinti del rimanente della popolazione
(3).
Il censimento deve essere fatto entro tre anni dalla prima riunione del Congresso degli Stati Uniti, e
successivamente ogni dieci anni, secondo le norme che verranno stabilite per legge.
Il numero dei rappresentanti non supererà quello di uno per ogni trentamila abitanti (4), però
ciascuno Stato avrà almeno un Rappresentante; e fino a che quel computo non sarà effettuato, lo
Stato del New Hampshire avrà il diritto di eleggere tre Rappresentanti: il Massachusetts otto, il
Rhode Island e le Piantagioni di Providence uno, il Connecticut cinque, lo Stato di New York sei,
quello del New Jersey quattro, la Pennsylvania otto, il Delaware uno, il Maryland sei, la Virginia
dieci, la Carolina del Nord cinque, la Carolina del Sud cinque, la Georgia tre.
4. Quando nella rappresentanza di uno Stato rimarranno seggi vacanti, gli organi del potere
esecutivo indiranno le elezioni per ricoprire tali seggi.
5. La Camera dei rappresentanti eleggerà il suo Presidente e le altre cariche ed essa sola avrà il
potere di mettere in stato di accusa il Presidente o i membri del Congresso.
SEZIONE 3. - 1. Il Senato degli Stati Uniti sarà composto da due Senatori per ogni Stato, eletti
dalla Legislatura locale (5) per un periodo di sei anni; ed ogni Senatore disporrà di un voto.
2. Immediatamente dopo la riunione successiva alla prima elezione, i Senatori saranno divisi in tre
classi, in numero possibilmente eguale. I seggi dei Senatori della prima classe diverranno vacanti
allo scadere del secondo anno, quelli della seconda classe allo scadere del quarto anno, quelli della
terza allo scadere del sesto anno, in modo che ogni due anni venga rieletto un terzo del Senato; e
ove nell'intervallo tra le sessioni della Legislatura di ciascuno Stato, in seguito a dimissioni o per
altra causa qualsiasi, alcuni seggi rimangano vacanti, l'Esecutivo potrà procedere a nomine
provvisorie fino alla prossima sessione della Legislatura, che conferirà i seggi vacanti (6).
3. Non potrà essere Senatore chi non abbia compiuto l'età di 30 anni, non sia da nove anni cittadino
degli Stati Uniti, e non sia, nel periodo della elezione, abitante dello Stato da cui sarà eletto.
4. Il Vice-Presidente degli Stati Uniti sarà Presidente del Senato, ma non avrà voto, salvo nel caso
in cui, in sede di votazione, l'assemblea sia pariteticamente divisa.
445
5. Il Senato nominerà le altre sue cariche, come pure un Presidente pro-tempore, il quale presiederà
in assenza del Vice-Presidente, o quando questi svolga le funzioni di Presidente degli Stati Uniti
(7).
6. Il Senato avrà il potere esclusivo di giudicare gli atti d'accusa contro membri del Governo e
parlamentari. Ove si riunisca per tale scopo, i suoi membri presteranno giuramento o impegneranno
la loro parola. Ove si debba giudicare il Presidente degli Stati Uniti, presiederà il Presidente della
Corte Suprema; nessun accusato potrà essere dichiarato colpevole senza una maggioranza dei due
terzi dei membri presenti.
7. Le condanne pronunziate in tali casi non avranno altro effetto se non di allontanare l'accusato
dalla carica che occupa e di interdirgli, negli Stati Uniti, l'accesso a qualsiasi carica onorifica, di
fiducia o retribuita; ma il condannato potrà nondimeno essere soggetto o sottoposto ad
incriminazione, processo, giudizio e punizione secondo le leggi ordinarie.
SEZIONE 4. - 1. La data, i luoghi e le modalità delle elezioni dei Senatori e dei Rappresentanti
saranno fissati in ogni Stato dalle relative Legislature; ma il Congresso federale potrà in qualsiasi
momento emanare o modificare queste norme, salvo per quanto riguarda i luoghi in cui i Senatori
debbono essere eletti.
2. Il Congresso si riunirà almeno una volta all'anno e tale riunione dovrà aver luogo nel primo
lunedì di dicembre, a meno che non venga fissato per legge un altro giorno (8).
SEZIONE 5. - 1. Ciascuna delle due Camere sarà giudice delle elezioni, delle rielezioni e dei
requisiti dei propri membri. Il numero legale per ciascuna delle due camere sarà costituito dalla
metà più uno; qualora non si raggiunga il numero legale, ciascuna Camera può aggiornare la seduta
di giorno in giorno, ed essere autorizzata a costringere i membri assenti ad intervenire, ricorrendo a
quei mezzi e comminando quelle sanzioni cui essa riterrà di ricorrere.
2. Ciascuna Camera elaborerà il proprio regolamento, punirà i suoi membri per condotta scorretta, e
potrà, a maggioranza di due terzi, procedere ad espulsioni.
3. Ciascuna Camera redigerà un verbale delle proprie sedute e lo pubblicherà periodicamente, ad
eccezione di ciò che crederà debba rimanere segreto; i voti favorevoli e contrari dei membri di
ciascuna Camera, sopra una qualsiasi questione, saranno, su domanda di un quinto dei membri
presenti, inseriti a verbale.
4. Nessuna delle due Camere, durante la sessione del Congresso, potrà, senza il consenso dell'altra,
rinviare la seduta per più di tre giorni, né spostarla ad un luogo diverso da quello in cui seggono le
due Camere.
SEZIONE 6. - 1. I Senatori e i Rappresentanti riceveranno per le loro funzioni un'indennità che
verrà determinata per legge e pagata dal Tesoro degli Stati Uniti. In nessun caso, salvo che per
tradimento, fellonia e turbamento della quiete pubblica, essi potranno essere arrestati, sia durante la
sessione, sia nel recarsi a questa o nell'uscirne; né per i discorsi pronunziati o per le opinioni
sostenute nelle rispettive Camere potranno essere sottoposti a interrogatori in alcun altro luogo.
2. Nessun Senatore e Rappresentante, per tutto il periodo per cui è stato eletto, potrà essere
chiamato a coprire un qualsiasi ufficio civile alle dipendenze degli Stati Uniti che sia stato istituito,
o la cui retribuzione sia stata aumentata durante detto periodo; e nessuno che abbia un impiego alle
dipendenze degli Stati Uniti potrà essere membro di una delle due Camere finché conservi tale
impiego.
SEZIONE 7. - 1. Tutti i progetti di legge relativi all'imposizione di tributi debbono aver origine
nella Camera dei Rappresentanti; il Senato pero può concorrervi, come per gli altri progetti di legge,
proponendo emendamenti.
2. Qualsiasi progetto di legge che abbia ottenuto l'approvazione del Senato e della camera dei
Rappresentanti, deve essere presentato, prima di divenire legge, al Presidente degli Stati Uniti.
Questi, qualora lo approvi, vi apporrà la firma; in caso contrario, lo rinvierà con le sue osservazioni
alla camera da cui è stato proposto, e questa inserirà integralmente a verbale tali osservazioni e
discuterà di nuovo il progetto. Se, dopo questa seconda discussione, due terzi dei membri della
Camera interessata si dichiarano in favore del progetto, questo sarà mandato, insieme con le
446
osservazioni del Presidente, all'altra Camera, da cui verrà discusso in maniera analoga; e se anche in
questa sarà approvato con una maggioranza di due terzi, acquisterà valore di legge. In tali casi, però,
i voti di entrambe le Camere debbono esser dati per appello nominale, e i nomi dei votanti pro e
contro saranno annotati nei verbali delle rispettive Camere. Se entro dieci giorni (escluse le
domeniche) dal momento in cui gli sarà stato presentato, il Presidente non restituirà un progetto di
legge, questo acquisterà forza di legge come se egli lo avesse firmato, a meno che il Congresso,
aggiornandosi, non renda impossibile che il progetto stesso gli sia rinviato; nel qual caso il progetto
non acquisterà forza di legge.
3. Tutti i mandati, deliberazioni o voti, per i quali sia necessario il concorso delle due Camere (salvo
che si tratti di aggiornamento) debbono essere sottoposti al Presidente degli Stati Uniti, e da lui
approvati prima che entrino in vigore; oppure; se egli li respinge, debbono nuovamente essere
approvati dai due terzi delle due Camere, conformemente a quanto prescritto per i progetti di legge.
SEZIONE 8. - 1. Il Congresso avrà facoltà:
Di imporre e percepire tasse, diritti, imposte e dazi; di pagare i debiti pubblici e di provvedere alla
difesa comune e al benessere generale degli Stati Uniti. I diritti, le imposte, le tasse e i dazi
dovranno però, essere uniformi in tutti gli Stati Uniti;
2. Di contrarre prestiti per conto degli Stati Uniti;
3. Di regolare il commercio con le altre nazioni, e fra i diversi Stati e con le tribù indiane;
4. Di fissare le norme generali per la naturalizzazione, e le leggi generali in materia di fallimenti
negli Stati Uniti;
5. Di battere moneta, di stabilire il valore di questa e quello delle monete straniere, e di fissare i vari
tipi di pesi e di misure;
6. Di provvedere a punire ogni contraffazione dei titoli e della moneta corrente degli Stati Uniti;
7. Di stabilire uffici e servizi postali;
8. Di promuovere il progresso della scienza e delle arti utili, garantendo per periodi limitati agli
autori e agli inventori il diritto esclusivo sui loro scritti e sulle loro scoperte;
9. Di costituire tribunali di grado inferiore alla Corte Suprema;
10. Di definire e di punire gli atti di pirateria e di fellonia compiuti in alto mare, nonché le offese
contro il diritto delle genti;
11. Di dichiarare la guerra, di concedere permessi di preda e rappresaglia e di stabilire norme
relative alle prede in terra e in mare;
12. Di reclutare e mantenere eserciti; nessuna somma, però, potrà essere stanziata a questo scopo
per più di due anni;
13. Di creare e mantenere una Marina militare;
14. Di stabilire regole per l'amministrazione e l'ordinamento delle forze di terra e di mare;
15. Di provvedere a che la milizia sia convocata per dare esecuzione alle leggi dell'Unione, per
reprimere le insurrezioni e per respingere le invasioni;
16. Di provvedere a che la milizia sia organizzata, armata e disciplinata e di disporre di quella parte
di essa che possa essere impiegata al servizio degli Stati Uniti, lasciando ai rispettivi Stati la nomina
degli ufficiali e la cura di addestrare i reparti secondo le norme disciplinari prescritte dal Congresso;
17. Di esercitare esclusivo diritto di legiferare in qualsiasi caso in quel distretto (non eccedente le
dieci miglia quadrate) che per cessione di Stati particolari, e per consenso del Congresso, divenga
sede del Governo degli Stati Uniti e di esercitare analoga autorità su tutti i luoghi acquistati, con
l'assenso della Legislatura dello Stato in cui si trovano, per la costruzione di fortezze, di depositi, di
arsenali, di cantieri e di altri edifici di utilità pubblica;
18. Di fare tutte le leggi necessarie ed adatte per l'esercizio dei poteri di cui sopra, e di tutti gli altri
poteri di cui la presente Costituzione investe il Governo degli Stati Uniti o i suoi Dicasteri ed uffici.
SEZIONE 9. - 1. L'immigrazione o l'introduzione di quelle persone che gli Stati attualmente
esistenti possono ritenere conveniente di ammettere, non potrà essere vietata dal Congresso prima
dell'anno 1808: ma può essere imposta sopra tale introduzione una tassa o un diritto non superiore
ai dieci dollari per persona (9).
447
2. Il privilegio dell'habeas corpus non sarà sospeso se non quando in caso di ribellione o di
invasione lo esiga la sicurezza pubblica.
3. Non potrà essere approvato alcun decreto di limitazione dei diritti del cittadino, né alcuna legge
penale retroattiva.
4. Non potrà essere imposto testatico o altro tributo diretto, se non in proporzione del censimento
(10) e della valutazione degli averi di ciascuno, che dovranno essere effettuati come disposto più
sopra nella presente legge.
5. Nessuna tassa e nessun diritto potrà essere stabilito sopra merci esportate da uno qualunque degli
Stati.
6. Nessuna preferenza dovrà essere data dai regolamenti commerciali o fiscali ai porti di uno Stato
rispetto a quelli di un altro; e le navi dirette ad uno Stato o provenienti dai suoi porti non potranno
essere costrette ad entrare in quelli di un altro Stato o a pagarvi alcun diritto.
7. Nessuna somma dovrà essere prelevata dal Tesoro, se non in seguito a stanziamenti decretati per
legge; e dovrà essere pubblicato periodicamente un rendiconto regolare delle entrate e delle spese
pubbliche.
8. Gli Stati Uniti non conferiranno alcun titolo di nobiltà; nessuna persona che occupi un posto
retribuito o di fiducia alle dipendenze degli Stati Uniti potrà, senza il consenso del Congresso,
accettare doni, emolumenti, incarichi o titoli da un Sovrano, da un principe o da uno Stato straniero.
SEZIONE 10. - 1. Nessuno Stato potrà concludere trattati, alleanze o patti confederali; o accordare
permessi di preda o rappresaglia; o battere moneta; o emettere titoli di credito; o consentire che il
pagamento dei debiti avvenga in altra forma che mediante monete d'oro o d'argento; o approvare
alcun decreto di limitazione dei diritti del cittadino, alcuna legge penale retroattiva, ovvero leggi
che portino deroga alle obbligazioni derivanti da contratti; o conferire titoli di nobiltà.
2. Nessuno Stato potrà, senza il consenso del Congresso, stabilire imposte e diritti di qualsiasi
genere sulle importazioni e sulle esportazioni, ad eccezione di quanto sia assolutamente
indispensabile per dare esecuzione alle proprie leggi di ispezione; e il gettito netto di tutti i diritti e
di tutte le contribuzioni imposte da qualsiasi Stato sulle importazioni e sulle esportazioni sarà a
disposizione della Tesoreria degli Stati Uniti; e tutte le leggi relative saranno soggette a revisione e
a controllo da parte del Congresso.
3. Nessuno Stato potrà, senza il consenso del Congresso, imporre alcuna imposta sulle navi in base
al tonnellaggio, mantenere truppe o navi da guerra in tempo di pace, concludere trattati o unioni con
altri Stati o con potenze straniere, o impegnarsi in una guerra, salvo in caso di invasione o di
pericolo così imminente da non ammettere alcun indugio.
ARTICOLO II
SEZIONE 1. - 1. Il Presidente degli Stati Uniti d'America sarà investito del potere esecutivo. Egli
rimarrà in carica per il periodo di quattro anni, e la sua elezione e quella del Vice-Presidente, eletto
per lo stesso periodo, avranno luogo nel modo seguente:
2. Ogni Stato nominerà, nel modo che verrà stabilito dai suoi organi legislativi, un numero di
elettori, pari al numero complessivo dei Senatori e dei rappresentanti che lo Stato ha diritto di
mandare al Congresso; nessun Senatore e Rappresentante, però, né alcuna persona che abbia un
pubblico incarico o un impiego retribuito dagli Stati Uniti, potrà essere nominato elettore.
3. Gli elettori si riuniranno nei rispettivi Stati e voteranno a scrutinio segreto per due persone,
delle quali una almeno non dovrà appartenere allo stesso Stato degli elettori. Essi compileranno
una lista di tutti coloro che hanno ottenuto voti e del numero dei voti raccolti da ciascuno; questa
lista sarà da essi firmata, autenticata e trasmessa, sotto Sigillo, alla sede del Governo degli Stati
Uniti, indirizzata al Presidente del Senato. Il Presidente del Senato, in presenza del Senato e della
Camera dei Rappresentanti aprirà le liste autenticate e quindi si procederà al computo dei voti.
La persona che avrà ottenuto il maggior numero di voti sarà Presidente, sempre che questo numero
rappresenti la maggioranza del numero totale degli elettori nominati: e se vi sarà più di uno che
abbia ottenuto tale maggioranza, con un egual numero di voti, allora la Camera dei Rappresentanti
448
procederà immediatamente a scegliere uno di essi per Presidente, mediante scrutinio segreto;
qualora invece nessuno raccogliesse la maggioranza, la Camera procederà in modo analogo a
eleggere il Presidente tra i cinque che abbiano raccolto il maggior numero di voti. Nell'elezione del
Presidente, tuttavia, i voti saranno dati per Stato e la rappresentanza di ciascuno Stato avrà un
solo voto. Il numero legale sarà costituito a tale scopo dalla rappresentanza, composta di uno o più
membri, dei due terzi degli Stati, ma per la validità dell'elezione saranno necessari i voti della metà
più uno di tutti gli Stati. In ogni caso, dopo l'elezione del Presidente, la persona che abbia raccolto
il maggior numero di voti degli elettori sarà nominata Vice-Presidente. Se due o più candidati si
trovassero con egual numero di voti, il Senato eleggerà fra questi il Vice-Presidente a scrutinio
segreto (11).
4. Il Congresso può determinare l'epoca per la designazione degli elettori, e il giorno in cui questi
dovranno dare i loro voti; giorno che dovrà essere lo stesso per tutti gli Stati Uniti.
5. Nessuna persona, che non sia per nascita o comunque cittadino degli Stati Uniti nel momento in
cui questa Costituzione sarà adottata, potrà essere eleggibile alla carica di Presidente; né potrà
essere eleggibile a tale carica chi non abbia raggiunto l'età di 35 anni e non sia residente negli Stati
Uniti da 14 anni.
6. In caso di rimozione del Presidente dalla carica, o di morte, o di dimissioni, o di inabilità ad
adempiere le funzioni e i doveri inerenti alla sua carica, questa sarà affidata al Vice-Presidente, ed il
Congresso potrà provvedere mediante legge, in caso di rimozione, di morte, di dimissioni o di
inabilità sia del Presidente che del Vice-presidente, dichiarando quale pubblico funzionario dovrà
adempiere le funzioni di Presidente: tale funzionario le adempirà fino a quando la causa di inabilità
cessi, o venga eletto il nuovo Presidente (12).
7. Il Presidente riceverà per i suoi servizi, a epoche stabilite, una indennità che non potrà essere
aumentata né diminuita durante il periodo per il quale egli è stato eletto, ed egli non dovrà percepire
durante tale periodo alcun altro emolumento dagli Stati Uniti o da uno qualsiasi degli Stati.
8. Prima di entrare in carica, il Presidente dovrà fare la seguente dichiarazione con giuramento o
impegnando la sua parola d'onore: «Giuro, (o affermo) solennemente che adempierò con fedeltà
all'ufficio di Presidente degli Stati Uniti e che con tutte le mie forze preserverò proteggerò e
difenderò la Costituzione degli Stati Uniti».
SEZIONE 2. - 1. Il Presidente sarà Comandante in Capo dell'Esercito, della Marina degli Stati Uniti
e della milizia dei diversi Stati quando questa sia chiamata al servizio attivo degli Stati Uniti; egli
può richiedere il parere per iscritto del principale funzionario di ciascuno dei dicasteri esecutivi su
ogni argomento relativo ai doveri dei loro rispettivi uffici, e avrà anche l'autorità di concedere
diminuzioni di pena e grazia per tutti i crimini compiuti contro gli Stati Uniti, salvo nel caso dei
procedimenti di incriminazione da parte della Camera.
2. Egli avrà il potere, su parere e con il consenso del Senato, di concludere trattati, purché vi sia
l'approvazione di due terzi dei Senatori presenti; designerà, e su parere e con il consenso del Senato,
nominerà gli ambasciatori, gli altri diplomatici e i consoli, i giudici della Corte Suprema e tutti gli
altri pubblici funzionari degli Stati Uniti, la cui nomina non sia altrimenti disposta con la presente
Costituzione, e che debba essere stabilita con apposita legge; ma il Congresso può mediante legge,
devolvere quelle nomine di funzionari di grado inferiore che riterrà opportuno al solo Presidente,
alle Corti Giudiziarie, ovvero ai capi dei singoli dicasteri.
3. Il Presidente avrà il potere di assegnare le cariche che si rendessero vacanti nell'intervallo tra una
sessione e l'altra del Senato, mediante nomine provvisorie, le quali avranno validità fino alla fine
della sessione successiva.
SEZIONE 3. - Il Presidente informerà di tanto in tanto il Congresso sulle condizioni dell'Unione e
raccomanderà all'esame del Congresso quei provvedimenti che riterrà necessari e convenienti;
potrà, in contingenze straordinarie, convocare entrambe le Camere, oppure una di esse, e, in caso di
dissenso tra le camere circa la durata dell'aggiornamento, potrà fissare quella che gli parrà
conveniente; riceverà gli ambasciatori e gli altri diplomatici; avrà cura della piena osservanza delle
leggi e sanzionerà la nomina di tutti i funzionari degli Stati Uniti.
449
SEZIONE 4. - Il Presidente, il Vice-Presidente e ogni altro funzionario civile degli Stati Uniti
saranno rimossi dall'ufficio ove, in seguito ad accusa mossa dalla Camera, risultino colpevoli di
tradimento, di concussione o di altri gravi reati.
ARTICOLO III
SEZIONE 1. - Il potere giudiziario degli Stati Uniti sarà affidato ad una Corte Suprema e a quelle
Corti di grado inferiore che il Congresso potrà di volta in volta creare e costituire. I giudici della
Corte Suprema e quelli delle Corte di grado inferiore conserveranno il loro ufficio finché non se ne
renderanno indegni con la loro condotta, e ad epoche fisse riceveranno per i loro servizi
un'indennità, che non potrà essere diminuita finché essi rimarranno in carica.
SEZIONE 2. - 1. Il potere giudiziario si estenderà a tutti i casi di diritto e di equità che si
presenteranno nell'ambito della presente Costituzione, delle leggi degli Stati Uniti e dei trattati
stipulati o da stipulare, sotto la loro autorità; a tutti i casi concernenti gli ambasciatori, gli altri
rappresentanti diplomatici ed i consoli, a tutti i casi che riguardino l'ammiragliato e la giurisdizione
marittima; alle controversie in cui gli Stati Uniti siano parte in causa; alle controversie tra due o più
Stati, tra uno Stato e i cittadini di un altro Stato (13), tra cittadini di Stati diversi, tra cittadini di uno
stesso Stato che reclamino terre in base a concessioni di altri Stati, e tra uno Stato e i suoi cittadini,
e Stati, cittadino o sudditi stranieri.
2. In tutti i casi che riguardino ambasciatori, altri rappresentanti diplomatici o consoli e in quelli in
cui uno Stato sia parte in causa, la Corte Suprema avrà giurisdizione originaria. In tutti gli altri casi
sopra menzionati la Corte Suprema avrà giurisdizione d'appello, sia in diritto che in fatto, con le
eccezioni e le norme che verranno fissate dal Congresso.
3. Il giudizio per tutti i crimini, salvo nei casi di accusa mossa dalla Camera dei Rappresentanti,
dovrà avvenire mediante giuria; e tale giudizio sarà tenuto nello Stato dove detti crimini siano stati
commessi; quando il crimine non sia stato commesso in alcuno degli Stati, il giudizio si terrà nel
luogo o nei luoghi che saranno stati designati per legge del Congresso.
SEZIONE 3. - 1. Sarà considerato tradimento contro gli Stati Uniti soltanto l'aver impugnato le armi
contro di essi, o l'aver fatto causa comune con nemici degli, Stati Uniti, fornendo loro aiuto e
soccorsi. Nessuno sarà dichiarato colpevole di alto tradimento, se non su testimonianza di due
persone che siano state presenti a uno stesso atto flagrante, ovvero quando egli confessi la sua colpa
in pubblico processo.
2. Il potere di emettere una condanna per alto tradimento spetta al Congresso; ma nessuna sentenza
di tradimento potrà comportare perdita di diritti per i discendenti, o confisca di beni se non durante
la vita del colpevole.
ARTICOLO IV
SEZIONE I. - In ogni Stato saranno attribuiti piena fiducia e pieno credito agli atti, ai documenti
pubblici e ai procedimenti giudiziaria degli altri Stati; e il Congresso, potrà, mediante leggi generali,
prescrivere il modo in cui la validità di tali atti, documenti e procedimenti debba essere determinata,
nonché gli effetti della validità stessa.
SEZIONE 2. - 1. I cittadini di ogni Stato hanno diritto in tutti gli altri Stati a tutti i privilegi e a tutte
le immunità inerenti alla condizione di cittadini.
2. Qualsiasi persona accusata in uno Stato di alto tradimento, di fellonia o di altro crimine e che si
sia sottratta alla giustizia e sia trovata in altro Stato sarà - su richiesta degli organi esecutivi dello
Stato da cui è fuggita - consegnata e condotta allo Stato che abbia giurisdizione per il reato ad essa
imputato.
3. Nessuna persona sottoposta a prestazioni di servizio o di lavoro di uno degli Stati, secondo le
leggi ivi vigenti, e che si sia rifugiata in un altro Stato, potrà, in virtù di qualsiasi legge o
regolamento quivi in vigore, essere esentata da tali prestazioni di servizio o di lavoro; ma, su
richiesta dell'interessato, verrà riconsegnata alla parte di cui tali prestazioni sono dovute (14).
450
SEZIONE 3. - 1. Nuovi Stati potranno essere ammessi nell'Unione per decisione del Congresso; ma
nessuno Stato nuovo potrà essere costituito entro la giurisdizione di qualsiasi Stato già esistente; e
nessuno Stato potrà essere formato dalla riunione di due o più Stati già esistenti, o di parte di essa,
senza il consenso della Legislatura degli Stati interessati, oltre che del Congresso.
2. Il Congresso avrà l'autorità di disporre del territorio e delle altre proprietà appartenenti agli Stati
Uniti e di stabilire tutte le norme e le misure che in detto territorio si ritenessero necessarie. Nessuna
disposizione della presente Costituzione potrà essere interpretata in modo pregiudizievole a
qualsiasi diritto che possa essere accampato dagli Stati Uniti o da uno dei singoli Stati.
SEZIONE 4. - Gli Stati Uniti garantiranno a ogni Stato dell'Unione la forma di governo
repubblicana, e proteggeranno ogni Stato, contro qualsiasi invasione: e - su richiesta degli organi
legislativi o del potere esecutivo (quando il legislativo non possa essere convocato) - contro
violenze interne.
ARTICOLO V
Il Congresso, ogniqualvolta i due terzi delle Camere lo riterranno necessario, proporrà emendamenti
alla presente Costituzione, oppure, su richiesta dei due terzi delle Legislature dei vari Stati,
convocherà un'Assemblea per proporre gli emendamenti. In entrambi i casi, gli emendamenti
saranno validi a ogni effetto, come parte di questa Costituzione, allorché saranno stati ratificati dalle
Legislature di tre quarti degli Stati, o dai tre quarti delle Assemblee di cui sopra, a seconda che l'uno
o l'altro modo di ratifica sia stato prescritto dal Congresso; tuttavia resta stabilito che nessun
emendamento, prima dell'anno 1808, potrà modificare in alcun modo i capoversi primo e quarto
della Sezione 9 dell'articolo 1 (15), e che nessuno Stato, senza il suo proprio consenso, potrà essere
privato della parità di rappresentanza nel Senato.
ARTICOLO VI
1. Tutti i debiti contratti e le obbligazioni assunte prima della presente Costituzione, saranno validi
per gli Stati Uniti sotto la presente Convenzione, come lo erano sotto la Confederazione.
2. La presente Costituzione e le leggi degli Stati Uniti che verranno fatte in conseguenza di essa, e
tutti i trattati conclusi, o che si concluderanno, sotto l'autorità degli Stati Uniti, costituiranno la
legge suprema del Paese; e i giudici di ogni Stato saranno tenuti a conformarsi ad essi, quali che
possano essere le disposizioni in contrario nella Costituzione o nella legislazione di qualsiasi
singolo Stato.
3. I Senatori e i Rappresentanti sopra menzionati, i membri delle Legislature dei singoli Stati e tutti
i rappresentanti del potere esecutivo e di quello giudiziario, sia degli Stati Uniti, che di ogni singolo
Stato, saranno tenuti, con giuramento o con dichiarazione sul loro onore, a difendere la presente
Costituzione; ma nessuna professione di fede religiosa sarà mai imposta come necessaria per
coprire un ufficio o una carica pubblica degli Stati Uniti.
ARTICOLO VII
La ratifica da parte delle Assemblee di nove Stati sarà sufficiente a far entrare in vigore la presente
Costituzione negli Stati che l'abbiano in tal modo ratificata.
Redatto in Assemblea, per unanime consenso degli Stati presenti, il giorno diciassettesimo del
settembre dell'anno del Signore 1787, e dodicesimo dell'indipendenza degli Stati Uniti d'America.
In fede di che abbiamo qui sotto apposto le nostre firme.
451
EMENDAMENTI
BILL OF RIGHTS(*)
(15 dicembre 1791)
ARTICOLO I
Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, o per proibirne
il libero culto; o per limitare la libertà di parola o di stampa, o il diritto che hanno i cittadini di
riunirsi in forma pacifica e di inoltrare petizioni al Governo per la riparazione di torti subiti.
ARTICOLO II
Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben ordinata milizia, il diritto dei cittadini
di tenere e portare armi non potrà essere violato.
ARTICOLO III
Nessun soldato, in tempo di pace, potrà essere alloggiato in una casa privata senza il consenso del
proprietario; né potrà esserlo in tempo di guerra, se non nei modi che verranno prescritti per legge.
ARTICOLO IV
Il diritto dei cittadini a godere della sicurezza per quanto riguarda la loro persona, la loro casa, le
loro carte e le loro cose, contro perquisizioni e sequestri ingiustificati, non potrà essere violato; e
nessun mandato giudiziario potrà essere emesso, se non in base a fondate supposizioni, appoggiate
da un giuramento o da una dichiarazione sull'onore e con descrizione specifica del luogo da
perquisire, e delle persone da arrestare o delle cose da sequestrare.
ARTICOLO V
Nessuno sarà tenuto a rispondere di reato che comporti la pena capitale o comunque infamante, se
non per denuncia o accusa fatta da una Grande Giuria, a meno che il reato non sia compiuto da
individui appartenenti alle forze di terra o di mare, o alla milizia, quando questa si trovi in servizio
attivo, in tempo di guerra o di pericolo pubblico; né alcuno potrà essere sottoposto due volte, per un
medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica; né potrà
essere obbligato, in qualsiasi causa penale, a deporre contro sé medesimo, né potrà essere privato
della vita, della libertà o dei beni, se non in seguito a regolare procedimento legale; e nessuna
proprietà potrà essere destinata a un uso pubblico, senza un giusto indennizzo.
ARTICOLO VI
In ogni processo penale, l'accusato avrà diritto di essere giudicato sollecitamente e pubblicamente
da una giuria imparziale dello Stato e del distretto in cui il reato è stato commesso (i limiti di tale
distretto saranno stati precedentemente determinati per legge); e avrà diritto di essere informato
della natura e del motivo dell'accusa; di esser messo a confronto con i testimoni a carico, di far
comparire i testimoni a suo favore, e di farsi assistere da un avvocato per la sua difesa.
ARTICOLO VII
Nelle cause che dovranno essere giudicate a norma della «Common Law», il diritto al giudizio a
mezzo di giuria sarà mantenuto ogni volta che l'oggetto della controversia superi il valore di venti
dollari; e nessun fatto giudicato da una giuria potrà essere sottoposto a nuovo esame in qualsiasi
altra Corte degli Stati Uniti, se non secondo le norme della «Common Law».
(*)
I primi dieci emendamenti approvati nel 1791 costituiscono la cosiddetta “Dichiarazione dei Diritti” (Bill of
Rights).
452
ARTICOLO VIII
Non si dovranno esigere cauzioni esorbitanti, né imporre ammende eccessive, né infliggere pene
crudeli e inusitate.
ARTICOLO IX
L'enumerazione di alcuni diritti fatta nella Costituzione non potrà essere interpretata in modo che ne
rimangano negati o menomati altri diritti mantenuti dai cittadini.
ARTICOLO X
I poteri non delegati dalla Costituzione agli Stati Uniti, o da essa non vietati agli Stati, sono riservati
ai rispettivi Stati, ovvero al popolo.
EMENDAMENTI APPROVATI DOPO IL «BILL OF RIGHTS»
ARTICOLO XI (8 gennaio 1798)
Il potere giudiziario federale degli Stati Uniti non potrà essere chiamato a decidere in qualsivoglia
processo, di legge o di equità, iniziato o perseguito contro uno degli Stati Uniti da cittadini di un
altro Stato o sudditi di qualsivoglia Stato estero.
ARTICOLO XII (25 settembre 1804)
1. Gli elettori si riuniranno nei loro rispettivi Stati e procederanno con voto a scrutinio segreto alla
nomina del Presidente e del Vice-Presidente, uno dei quali almeno non potrà essere abitante dello
stesso Stato degli elettori; questi designeranno in una scheda la persona per cui votano come
Presidente e in una scheda distinta quella per cui votano come Vice-Presidente; compileranno liste
distinte di tutte le persone designate per la Presidenza e di tutte quelle designate per la vicePresidenza, e del numero di voti da ciascuna raccolti; tali liste saranno dagli elettori firmate,
autenticate, e trasmesse, sigillate, alla sede del Governo degli Stati Uniti, indirizzate al Presidente
del Senato. Il Presidente del Senato, presenti le due Camere, aprirà tutti i verbali e si procederà al
computo dei voti. Colui che avrà ottenuto il maggior numero di suffragi per la Presidenza, sarà
Presidente, sempre che tale numero rappresenti la maggioranza del numero totale degli elettori
nominati. Se nessuno raggiungesse tale maggioranza, la camera dei rappresentanti sceglierà
immediatamente il Presidente, per scrutinio segreto, fra i tre candidati (e non più) che hanno
ottenuto per la Presidenza il maggior numero di voti. Ma, in questa scelta del Presidente, i voti si
conteranno per Stato, avendo la rappresentanza di ciascuno Stato un solo voto. Il numero legale per
questo scrutinio sarà costituito dalla rappresentanza di due terzi degli Stati, composta di uno o più
membri, e la maggioranza di tutti gli Stati sarà necessaria per la scelta. Se la camera dei
Rappresentanti non sceglie il Presidente, allorché questa scelta le sia devoluta, prima del quarto
giorno del seguente mese di marzo (16), il Vice-Presidente fungerà da Presidente, come nel caso di
decesso o d'altra incapacità costituzionale del Presidente.
2. Colui che ottiene maggior numero di suffragi per la Vice-Presidenza, sarà Vice-Presidente,
sempre che tale numero rappresenti la maggioranza del numero totale degli elettori riuniti; e se
nessuno raggiungesse questa maggioranza, il Senato sceglierà il Vice-Presidente fra i due candidati
che hanno ottenuto il maggior numero di voti: la presenza dei due terzi dei Senatori e la
maggioranza del numero totale sono necessarie per questa scelta. Peraltro, nessuno che sia
453
costituzionalmente ineleggibile alla carica di Presidente, sarà eleggibile a quella di Vice-Presidente
degli Stati Uniti.
ARTICOLO XIII (18 dicembre 1865)
SEZIONE 1. - Né schiavitù né servitù involontaria potranno sussistere negli Stati Uniti, o in luogo
alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non per punizione di un crimine per il quale l'imputato sia
stato debitamente condannato.
SEZIONE 2. - Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per imporre l'osservanza di
questo articolo.
ARTICOLO XIV (23 luglio 1868)
SEZIONE 1. - Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro
giurisdizione sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato emanerà o
darà vigore ad alcuna legge che restringa i privilegi e le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; così
pure nessuno Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà, o della proprietà, senza una
procedura legale nella dovuta forma, né rifiuterà a chicchessia nei limiti della sua giurisdizione
l'eguale protezione delle leggi.
SEZIONE 2. - I Rappresentanti saranno ripartiti fra i diversi Stati in proporzione alla popolazione di
questi, computando la totalità degli abitanti di ciascuno Stato, ad esclusione degli Indiani non
tassati. Ma se il diritto di voto in una qualsiasi elezione per la scelta degli elettori del Presidente e
del Vice-Presidente degli Stati Uniti, o dei Rappresentanti al Congresso, o dei rappresentanti del
potere esecutivo e giudiziario di uno Stato o dei membri della sua Legislatura, è rifiutato ad alcuno
degli abitanti maschi (17), di tale Stato che abbiano compiuto ventuno anni d'età (18) e siano
cittadini degli Stati Uniti, o se questo diritto è ristretto in qualsiasi modo, ove non sia per avere
partecipato a una ribellione o per altro crimine, la base della rappresentanza di questo Stato sarà
ridotta in proporzione al numero dei cittadini che saranno stati esclusi, confrontando con il numero
totale dei cittadini maschi dello Stato suddetto che abbiano compiuto i ventuno anni di età (18).
SEZIONE 3. - Non potrà essere Senatore o Rappresentante al Congresso, né elettore del Presidente
o del Vice-Presidente, né ricoprire alcun impiego civile o militare dipendente dagli Stati Uniti o da
qualche Stato chi, avendo antecedentemente - come membro del Congresso o pubblico funzionario
degli Stati Uniti, o membro della Legislatura di uno Stato, o rappresentante del potere esecutivo o
giudiziario di uno Stato - prestato giuramento di difendere la Costituzione degli Stati Uniti, abbia
preso parte a un'insurrezione o ribellione contro la nazione stessa, o prestato aiuto o concorso ai
suoi nemici. Ma il Congresso potrà, col voto di due terzi dei membri di ciascuna camera, eliminare
questo motivo di incapacità(*).
SEZIONE 4. - La validità del debito pubblico degli Stati Uniti, contratto secondo la legge, compresi
i debiti derivanti dal pagamento di pensioni e ricompense in ragione di servizi resi per la repressione
di insurrezioni o ribellioni, non potrà mai essere messa in discussione. Ma né gli Stati Uniti, né
alcuno Stato potranno prendere a loro carico o pagare alcun debito o alcuna obbligazione contratti
per venire in aiuto all'insurrezione o ribellione contro gli Stati Uniti, né alcuna indennità reclamata
per la perdita o l'emancipazione di alcuno schiavo; tutti i debiti, le obbligazioni, i reclami per simili
titoli saranno tenuti per illegali e nulli.
SEZIONE 5. - Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per l'applicazione di questo
articolo.
ARTICOLO XV (30 Marzo 1870)
SEZIONE 1. - Il diritto di voto spettante ai cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato né
limitato dagli Stati Uniti, né da alcuno Stato per ragioni di razza o di precedente condizione servile.
(*)
Nel 1895 il Congresso, col voto di due terzi, abrogò questa Sezione (la terza).
454
SEZIONE 2. - Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per l'applicazione di questo
articolo.
ARTICOLO XVI (25 Febbraio 1913)
Il Congresso avrà la facoltà di stabilire ed esigere imposte sui redditi derivanti da qualunque fonte,
senza ripartirle tra i vari Stati e senza voler tenere conto di alcun censimento o valutazione.
ARTICOLO XVII (31 Maggio 1913)
SEZIONE I. - Il Senato degli Stati Uniti sarà composto di due Senatori di ciascuno Stato, eletti dalla
popolazione di questo per la durata di sei anni; e ogni Senatore avrà diritto ad un solo voto. Gli
elettori di ogni Stato dovranno possedere gli stessi requisiti per essere elettori del più numeroso dei
due rami della Legislatura dello Stato.
SEZIONE II. - Allorché nel Senato dovesse rendersi vacante uno dei seggi spettanti ad uno Stato, il
potere esecutivo di quello Stato ordinerà che si proceda alle elezioni per la copertura del seggio
vacante; a meno che la Legislatura dello Stato in parola non autorizzi il potere esecutivo locale a
procedere a nomine provvisorie, valide sino a che il popolo non provveda a coprire la vacanza con
elezioni da tenersi quando la Legislatura stessa disponga.
SEZIONE III. - Il presente emendamento non dovrà essere interpretato nel senso che possa influire
sull'elezione o la permanenza in carica di un qualunque Senatore prescelto prima che,
l'emendamento stesso entri a far parte integrante della Costituzione.
ARTICOLO XVIII (16 Gennaio 1920)
SEZIONE 1. - A partire da un anno dopo la ratifica del presente articolo, e per effetto del
medesimo, sono vietati entro i confini degli Stati Uniti la fabbricazione, la vendita e il trasporto a
scopo di consumo dei liquori nocivi nonché l'importazione e l'esportazione dei medesimi da e per il
territorio degli Stati Uniti e di tutte le regioni soggette alla loro giurisdizione.
SEZIONE 2. - Il Congresso ed i vari Stati sono autorizzati a emanare le norme necessarie per
l'applicazione del presente articolo.
SEZIONE 3. - Il presente articolo non sarà valido, sinché non sarà stato ratificato dagli organi
legislativi dei singoli Stati, quale emendamento alla Costituzione e come previsto da quest'ultima,
entro sette anni dalla data in cui esso sarà stato sottoposto dal Congresso ai singoli Stati per tale
ratifica (19).
ARTICOLO XIX (26 Agosto 1920)
SEZIONE l. - Il diritto di voto conferito ai cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato o
limitato dagli Stati Uniti o da uno degli Stati in considerazione del sesso.
SEZIONE 2. - Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per l'applicazione di questo
articolo.
ARTICOLO XX (23 Febbraio 1933)
SEZIONE 1. - La durata in carica, del Presidente e dei Vice-Presidente avrà termine a mezzogiorno
del 20 gennaio, mentre la durata in carica dei Senatori e dei Rappresentanti cesserà alle dodici del
giorno 3 gennaio degli anni in cui dovrebbero scadere i rispettivi mandati se il presente articolo non
fosse stato ratificato; alle stesse date entreranno in carica i loro successori.
SEZIONE 2. - Il Congresso si riunirà almeno una volta l'anno, e la sessione dovrà aver inizio a
mezzogiorno del 3 gennaio, a meno che il Congresso stesso non fissi per legge un altro giorno.
SEZIONE 3. - Se all'epoca fissata per l'inizio del mandato presidenziale, il Presidente eletto fosse
deceduto, il Vice-Presidente diverrà Presidente. Se non si fosse proceduto alla designazione di un
Presidente, prima del momento fissato per l'inizio del mandato, o se il Presidente eletto non avesse
dimostrato di possedere i requisiti necessari, il Vice-Presidente fungerà da Presidente sino a quando
non sia stato proclamato formalmente un Presidente; e, nel caso in cui né un Presidente eletto, né un
455
Vice-Presidente eletto avessero dimostrato di possedere i requisiti necessari, il Congresso
provvederà per legge ad indicare chi dovrà fungere da Presidente o il modo in cui dovrà essere
designata la persona che dovrà fungere da Presidente; la persona così designata eserciterà le
funzioni presidenziali sino a quando non vengano formalmente proclamati un Presidente o un VicePresidente.
SEZIONE 4. - Il Congresso può, per legge, prendere i provvedimenti necessari nel caso di morte di
una delle persone tra le quali la Camera dei Rappresentanti sceglie il Presidente, ove il diritto di
scelta le sia devoluto, e per il caso di morte di una delle persone tra le quali il Senato sceglie il VicePresidente, ove il diritto di scelta gli sia devoluto.
SEZIONE 5. - Le Sezioni 1) e 2) entreranno in vigore il 15 ottobre successivo alla ratifica del
presente articolo.
SEZIONE 6. - Il presente articolo non sarà valido sinché non sarà stato ratificato come
emendamento alla Costituzione dalle legislature di tre quarti degli Stati, entro sette anni dalla data
in cui esso sarà stato sottoposto alla loro approvazione.
ARTICOLO XXI (5 Dicembre 1933)
SEZIONE 1. - L'articolo XVIII di emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti è abrogato.
SEZIONE 2. - Il trasporto o l'importazione in qualunque Stato, Territorio o possedimento degli Stati
Uniti dei liquori nocivi a scopo di vendita o di consumo, in violazione delle leggi ivi vigenti, sono
vietati con il presente articolo.
SEZIONE 3. - Il presente articolo non sarà valido finché non sarà ratificato come emendamento alla
Costituzione, e, come da questa previsto, dalle Assemblee dei vari Stati, entro sette anni dalla data
in cui sarà stato sottoposto dal Congresso agli Stati stessi per la ratifica.
ARTICOLO XXII (l° marzo 1951)
Nessuno potrà essere eletto per più di due volte alla carica presidenziale e nessuno che abbia
occupato tale carica o fatto funzione di Presidente per più di due anni durante il mandato di altro
Presidente eletto potrà essere eletto per più di una volta alla carica presidenziale. Questo articolo
non si applicherà al Presidente in carica al momento in cui l'articolo stesso è stato proposto dal
Congresso e non impedisce a colui che occupi la carica di Presidente o funga da Presidente nel
corso del mandato durante il quale questo articolo entra in vigore di occupare tale carica o farne
funzione per il restante periodo del mandato stesso.
ARTICOLO XXIII (29 marzo 1961)
SEZIONE 1. - Il Distretto che è sede del Governo degli Stati Uniti nominerà, nella maniera che il
Congresso potrà indicare:
Un numero di elettori del Presidente e del Vice-Presidente pari al numero complessivo dei Senatori
e dei Rappresentanti che il Distretto stesso avrebbe diritto di inviare al Congresso qualora fosse uno
Stato, ma in nessun caso superiore a quello dello Stato meno popolato; essi saranno in aggiunta agli
elettori nominati dagli Stati ma verranno considerati, ai fini dell'elezione del Presidente e del VicePresidente, elettori nominati da uno Stato; ed essi si riuniranno nel Distretto ed assolveranno agli
obblighi prescritti dall'Articolo XII di emendamento.
SEZIONE 2. - Il Congresso avrà i poteri per far applicare questo articolo mediante opportuni
provvedimenti legislativi.
ARTICOLO XXIV (23 gennaio 1964)
Il diritto conferito ai cittadini degli Stati Uniti di votare nelle elezioni primarie o d'altro genere per
la scelta del Presidente o del Vice-Presidente, degli elettori del Presidente o del Vice-Presidente o di
un Senatore o di un Rappresentante al Congresso, non potrà essere negato o limitato dagli Stati
Uniti o da qualsiasi Stato per omesso pagamento di una tassa elettorale o di altro genere.
456
ARTICOLO XXV (10 Febbraio 1967)
SEZIONE 1. - In caso di rimozione del Presidente dalla carica o di morte, o di dimissioni, il VicePresidente diventerà Presidente.
SEZIONE 2. - Ogniqualvolta la carica di Vice-Presidente sarà vacante, il Presidente nominerà un
Vice-Presidente che assumerà la carica non appena la sua nomina sarà stata confermata da un voto
di maggioranza delle due Camere del Congresso.
SEZIONE 3. - Ogniqualvolta il Presidente trasmetterà al presidente pro-tempore del Senato ed allo
Speaker della Camera dei Rappresentanti una sua dichiarazione scritta che egli non è in grado di
adempiere le funzioni e i doveri della sua carica e fino a quando egli non invierà loro una
dichiarazione scritta in senso contrario, tali funzioni e doveri saranno espletati dal Vice-Presidente
in qualità di facente funzioni di Presidente.
SEZIONE 4. - Ogniqualvolta il Vice-Presidente e una maggioranza o dei funzionari più elevati in
grado dei dipartimenti esecutivi o di qualsiasi altro organo che potrà essere per legge indicato dal
Congresso, trasmetteranno al presidente pro-tempore del Senato ed allo Speaker della Camera dei
Rappresentanti una loro dichiarazione scritta che il Presidente non è in grado di adempiere le
funzioni e i doveri del suo ufficio, il Vice-Presidente assumerà immediatamente le funzioni e i
doveri dell'ufficio quale facente funzioni di Presidente.
Successivamente, quando il presidente trasmetterà al Presidente pro-tempore del Senato e allo
Speaker della camera dei rappresentanti una sua dichiarazione scritta che non esiste più alcuna
incapacità, egli riassumerà le funzioni e i doveri del suo ufficio, a meno che il Vice-Presidente e la
maggioranza, o dei funzionari più elevati in grado o di qualsiasi altro organo che potrà essere
indicato per legge dal Congresso, non trasmettano entro quattro giorni al Presidente pro-tempore del
Senato ed allo Speaker della Camera dei Rappresentanti una loro dichiarazione scritta che il
Presidente non è in grado di adempiere le funzioni ed i doveri del suo ufficio. Spetterà allora al
Congresso decidere la questione riunendosi a tale scopo entro 48 ore, qualora non fosse in sessione.
Se il Congresso, entro 21 giorni da quando gli è stato chiesto di riunirsi, deciderà con il voto dei due
terzi di ambedue le Camere che il Presidente non è in grado di assolvere le funzioni e di doveri del
suo ufficio, il Vice-Presidente dovrà continuare ad assolverli quale facente funzioni; in caso
contrario, il Presidente dovrà riassumere le funzioni e di doveri del suo ufficio.
ARTICOLO XXVI (30 Giugno 1971)
SEZIONE 1. - Il diritto al voto dei cittadini degli Stati Uniti che hanno compiuto il diciottesimo
anno non potrà, a causa dell'età, essere negato né limitato da parte degli Stati Uniti né dai singoli
Stati.
SEZIONE 2. - Il Congresso è autorizzato ad emanare le norme necessarie per l'applicazione di
questo articolo.
ARTICOLO XXVII (1992)
Nessuna legge che modifichi il compenso per i servigi di Senatore o di Rappresentante potrà avere
effetti fino a che non sia intervenuta una [nuova] elezione dei Rappresentanti.
457
NOTE
Cfr., ad integrazione e complemento, gli Emendamenti XV, XIX, XXIII, XXIV e XXVI.
Si veda, peraltro, l’Emendamento XVI.
Decaduto per effetto dell’Emendamento XIV, Sezione 2.
Il rapporto è attualmente un rappresentante per 412.000 persone.
Decaduto a seguito dell’Emendamento XVII.
Decaduto per effetto dell’Emendamento XVII.
Cfr. anche l’Emendamento XXV, Sezione 2.
Decaduto a seguito dell’Emendamento XX, Sezione 2.
Decaduto in seguito al divieto di importazione degli schiavi, deciso dal Congresso nel 1808.
Cfr., tuttavia, l’Emendamento XVI.
Decaduto per effetto dell’Emendamento XII.
Integrato e completato dall’Emendamento XXV.
Cfr., l’Emendamento XI.
Decaduto a seguito dell’Emendamento XIII.
Decaduto.
Medicato dall’Emendamento XX.
Cfr. l’Emendamento XIX.
Cfr. l’Emendamento XXVI.
Decaduto a seguito dell’Emendamento XXI.
….
458
Indice dei nomi
Adams, Charles Francis
Adams, John
Adams, John Quincy
Adelson, Sheldon
Agnelli, Umberto
Agnew, Spiro
Albright, Madeleine
Alesina, Alberto
Alfieri, Paolo
Alito, Samuel
al-Maliki, Nouri
Alvarez, Anita
Anderson, Rocky
Arthur, Chester
Asness, Cliff
Assange, Julian
Axelrod, David
Ayotte, Kelly
Ayrault, Jean Marc
Babich, Dmitri
Bachmann, Michele
Barone, Michae
Barreto, Matt
Barrett, Tom
Bastasin, Carlo
Becker, Jo
Beeson, Rich
Bell, John
Berman, Howard
Bernanke, Ben
Berry, Michael
Bharara, Preet
Bickers, Timothy
Biden, Joe
Bigelow, Kathrin
Bin Laden, Osama
Bismarck-Schoenhausen, Otto von
Blaine, James
Blair, Dennis
Blitzer, Wolf
Bloomberg, Michael
459
Borglum, Gutzon
Booker, Cory
Bowless, Erskine
Brader, Ted
Branstad, Terry
Breckinridge, john
Bryan, William Jennings
Bryson, John
Buchanan, James
Buchanan, Pat
Buffett, Warren
Bullock, Fraser
Burke, Martyn
Burr, Aaron
Bush, George Herbert
Bush, George Walker
Bush, Jeb
Caddell, Patrick
Caillat, Patrice
Cain, Herman
Cantor, Eric
Carieri, Dan
Cardenas, Al
Carlucci, Antonio
Carney, Jay
Carter, Ash
Carter, Jimmy
Carville, James
Casini, Pierferdinando
Castro, Joaquin
Castro, Julian
Castro, Mariela
Castro, Raul
Cheney, Dick
Chavez, Hugo
Cher
Chiapparino, Valerio
Chomsky, Noam
Chon, Nate
Christie, Chris
Chu, Steven
Clapper, James
Clay, Henry
Cleveland, Grover
460
Clinton Rodham, Hillary
Clinton, Bill
Clinton, George
Clooney, George
Coen, Ethan
Coen, Joel
Cohen, Roger
Coluccino, Anna
Conard, Ed
Cortella, Attilio
Cote, David
Coolidge, Calvin
Cox, Chris
Cox, James
Crawford, Broderick
Crawford, William
Crawley, Candy
Cuneo, Gianfilippo
Cuomo, Andrew
Cuomo, Mario
D’Addesio, Angelo
Dalton, Timothy
Daniels, Mitch
Dante, Joe
Davis, Gray
Davis, Jim
Davis, John
Dean, Howard
Debs, Eugene
de Koshko, Dmitri
De Niro, Robert
Dewey, Thomas
Diaz, Porfirio
Dickens, Charles
Dillon, Tom
Dimon, Jamie
Dolan, Timothy
Dole, Bob
Douglas, Alfred
Downey jr, Robert
Dukakis, Michael
Duvall, Robert
Dylan, Bob
Eastwood, Clint
461
Edison, Thomas
Eisenhower, Dwight
Edwards, John
Emanuel, Rham
Erdogan, Recep T.
Fabius, Laurent
Faggionato, Giovanna
Fallin, Mary
Faubus, Oral
Fehrnstrom, Eric
Ferraro, Geraldine
Fillmore, Millard
Fink, Larry
Fleischer, Ari
Flournoy, Michèle
Folsom, Frances
Fonda, Henry
Ford, Gerald
Fortuno, Luis
Foster, William Zebulon
Frazier, Lynn
Freeman, Morgan
Fremont, John
Friedman, Thomas
Gaggi, Massimo
Gallup, George
Gardiner, Julia
Gardini, Raul
Garfield, James
Garland, Merrick
Garner, John
Gates, Bill
Gates, Robert
Gethner, Timothy
Geraci, Angela
Gillespie, Ed
Gingrich, Newt
Giuliani, Rudolph
Giulio Cesare
Goeas, Ed
Goldwater, Barry
Gonzalez, Antonio
Goode, Virgil
Gore, Al
462
Grant, Ulysses
Granzotto, Paolo
Grenell, Richard
Griffin, Kenneth
Gruenewald, Herbert
Hackman, Gene
Hamm, Harold
Hamilton, Alexander
Hanks, Tom
Harding, Warren
Harrison, Benjamin
Harrison, William
Hart, Gary
Hatch, Orrin
Hayes, David
Hayes, Rutherford
Holder, Eric
Hoover, Herbert
Horowitz, Jason
Houston, Whitney
Hughes, Charles
Hughes, Chris
Humphrey, Hubert
Huntsman, John
Iacocca, Lee
Jackson, Andrew
Jackson, Jesse
Jackson, Michael
Jagger, Mick
James, Hamilton ‘Tony’
Jefferson, Thomas
Jindal, Bob
Johnson, Andrew
Johnson, Gary
Johnson, Lyndon
Johnson, Ron
Jolie, Angelina
Jones, Maldwyn
Judd, Keith
Karzai, Hamid
Kaufman, Ron
Keenan, Nancy
Kennedy, Anthony
Kennedy, John
463
Kennedy, Ted
Kerry, John
King, Martin Luther
Koch, Bill
Koch, Charles
Koch, David
Krugman, Paul
La Follette, Robert sr
Land, Richard
Landon, Alfred
LaPierre, Wayne
Lake, Celinda
Lavine, Jonatha
Leavitt, Mike
Lee, Mike
Lee, Spike
Leno, Jay
Leone, Sergio
Leone, Vincenzo
Letterman, David
Lew, Jack
Lincoln, Abraham
Locke, Gary
Lohan, Lindsay
Lombardo, Steve
Long, Earl
Long, Huey
Longoria, Eva
Love, Mia
Luce, Edward
Lugar, Richard
Lund, Steven
Madison, James
Madonna
Magni, Stefano
Maher, Bill
Maraniss, David
Marcy, William
Mariani, Guido
Marriott, Bill
Marriott, J. Willard sr
Marriott, Richard
Marshall, John
Marti, Jonathan
464
Martinez, Susana
McAdoo, William Gibbs
McCain, John
McCarthy, Kevin
McConnell, Mitch
McDonald, Michael
McDonnell, Bob
McGinty, Kathleen
McKinley, William
Medvedev, Dmitry
Mercer, Robert
Messina, Jim
Migone, Gian Giacomo
Molinari, Maurizio
Moltedo, Guido
Mondale, Walter
Monroe, James
Montanelli, Indro
Morrison, Toni
Mourdock, Richard
Munter, Cameron
Murdoch, Rupert
Nader, Ralph
Napoleone Bonaparte
Nast, Thomas
Netanyahu, Benjamin
Neville, Allan
Newman, Paul
Newmark, Craig
Nixon, Richard
Noonan, Peggy
Norquist, Grover
Norris, Chuck
Norris, Gena
Obama, Barack
Obama, Michelle (nata Robinson)
Ogrodowski, Monica
Olsen, Matthew
Pacino, Al
Palin, Sarah
Panetta, Leon
Paris, Michele
Parker, Sarah Jessica
Parrish, Michael
465
Patrick, David
Paul, Rand
Paul, Ron
Paulson, John
Pawlenty, Tim
Pelosi, Nancy
Penn, Mark
Penn, Sean
Perkins, Tony
Perot, Ross
Perry, Bob
Perry, Rick
Petraeus, David
Pfeiffer, Michelle
Pierce, Franklin
Pinckney, C.C.
Pioli, Giampaolo
Pitt, Brad
Pitt, Jane
Podhoretz, Norman
Poli, Carlandrea
Polk, James
Portman, Robert ‘Rob’
Powell, Colin
Pratt, Anna Amelia
Priebus, Reince
Putin, Vladimir
Rampini, Federico
Rand, Ayn
Rasmussen, Scott
Reagan, Nancy
Reagan, Ronald
Redford, Robert
Reeves, Rosser
Renard, Andrè
Rice, Condoleezza
Rice, Susan
Ricketts, Joe
Roberts, John
Robertson, Cliff
Robertson, Julian
Rocca, Christian
Romney, Ann Lois (nata Davies)
Romney, Gaskell
466
Romney, George
Romney, Lenore
Romney, Miles Archibald
Romney, Miles Park
Romney, Mitt
Roosevelt, Franklin Delano
Roosevelt, Theodore
Rosen, Hilary
Rossen, Robert
Rove, Karl
Roveda, Daniela
Rubio, Marco
Ryan, Paul D.
Saakashvili, Mikahil
Sabato, Larry
Salazar, Ken
Sandberg, Sheryl
Santorum, Rick
Scagliarini, Luca
Scalia, Antonin
Schoen, Douglas
Schaffner, Franklin
Schieffer, Bob
Schmidt, Eric
Scott, Robert
Sembler, Mel
Shelton, Ron
Schmidt, Eric
Shane, Scott
Simmons, Harold
Singer, Paul
Smith, Alfred
Smith, Joseph
Smith, Will
Spielberg, Steven
Springsteen, Bruce
Stalin
Stein, Jill
Steinhorn, Leonard
Stevens, Christopher
Stevens, Stuart
Stevenson, Adlai
Stiglitz, Robert
Stone, Sharon
467
Story, Joseph
Sullivan, Andrew
Taft, William
Tamman, Maurice
Taylor, Zachary
Thomas, Clarence
Thune, John
Tornquist, Peter
Truman, Harry
Trump, Donald
Twain, Mark
Tyler, John
Van Buren, Martin
Vauro
Vidal, Gore
Voight, John
Walesa, Lech
Walker, Scott
Wallace, George
Wallace, Henry
Warren, Earl
Warren, Robert Penn
Washington, Denzel
Washington, George
Wayne, John
Webster, Daniel
Westen, Drew
Whitehouse, Sheldon
Wilkie, Wendell
Wilson, Woodrow
Winfrey, Oprha
Wintour, Ann
Wirt, William
Wolfe, John
Woodward, Bob
Wright, Jeremiah
Zakaria, Fareed
Zingales, Luigi
Zoi, Cathy
Zuckerberg, Mark
Zurleni, Michele
Zwick, Spencer
468
MAURO DELLA PORTA RAFFO
IL GRAN PIGNOLO
Mauro Maria Romano della Porta Rodiani Carrara Raffo di casa Savelli, semplicemente noto come
Mauro della Porta Raffo
è nato a Roma il 17 aprile del 1944, sotto il segno dell’Ariete, e vive da sempre a Varese con viva
soddisfazione.
Pessimo studente e ciò malgrado laureato in Giurisprudenza alla Cattolica di Milano, nella vita ha fatto i
più diversi mestieri (da direttore di un ente pubblico locale a patrocinatore legale, da consulente
commerciale ad agente di assicurazione, da formatore assicurativo e finanziario a giocatore di carte
professionista e così via) trovandoli tutti più o meno interessanti per qualche tempo e cercando sempre
nuove possibilità in altri campi.
Ha alle spalle una più che discreta carriera politica nel defunto Partito Liberale, ultimamente follemente
ripresa candidandosi da indipendente quale sindaco di Varese, ha giocato a carte e a biliardo con Piero
Chiara – il suo vero maestro – per circa quindici anni ed ha soprattutto seguito ed amato la storia, la
letteratura, il teatro, il cinema, lo sport e l’amore.
Dal 1996, per caso e su sollecitazione di Giuliano Ferrara, che lo ha ribattezzato ‘il Gran Pignolo’, ha
intrapreso l’attività giornalistica.
Dopo una veloce incursione al Corriere della Sera e una lunga stagione a Il Giornale al quale è
saltuariamente tornato, è stato columnist de La Stampa e de Il Tempo.
Ha collaborato a La Gazzetta dello Sport (era ‘ Il Rompiscatole’) nel periodo in cui la ‘rosea’ fu diretta da
Pietro Calabrese.
Per Il Foglio ha creato e poi curato praticamente dalla fondazione del giornale (1996) e fino al 2009 la
famosissima ed impietosa rubrica ‘Pignolerie’.
Su Il Giorno, a far luogo dall’aprile del 2004 e per buona parte del 2005 ha proposto, in ‘Il lunedì (e, in
seguito, La domenica) di Mauro della Porta Raffo’, le sue Memorie dal Varesotto, i Racconti ambientati
nel mondo del gioco d’azzardo (e dintorni), il romanzo breve ‘Albergo a ore’.
Dall’estate del 2007 scrive, quando e se gli viene il ghiribizzo, per QN (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La
Nazione).
E’ apparso di frequente sulle pagine dei settimanali Oggi, Vanity Fair, Gente e de Il Giornale del Popolo di
Lugano, del mensile Capital e, a volte, sul Sole 24 Ore all’epoca di Ferruccio de Bortoli.
Per Panorama (settimanale al quale, dopo un lungo intervallo, ha collaborato anche tra il 2005 il 2007) ha
redatto una celebre rubrica, ‘The Other Place’, dedicata agli errori del concorrente L’Espresso.
Ha scritto per il Borghese di Vittorio Feltri, di quando in quando per il suo Libero e per il settimanale
femminile Anna.
Suoi articoli appaiono quando gli aggrada nelle pagine de La Prealpina nel mentre nell’inserto Lombardia
oggi ha proposto per anni la rubrica ‘Mille battute (spazi inclusi)’.
E’ collaboratore del mensile Studi Cattolici.
Spesso ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche della Rai e della TV svizzera, ha ideato e realizzato
anche due documentari dedicati l’uno al gioco d’azzardo e l’altro a Piero Chiara.
Con Onofrio Pirrotta, nella primavera del 2000, ha contribuito su Rai 3 al successo della trasmissione TV
‘E’ la stampa, bellezza!’.
E’ stato ed è consulente storico di diversi programmi televisivi in specie di RAI 1.
Dal 1999, in Varese, organizza e conduce gli incontri culturali denominati ‘Il salotto di Mauro della Porta
Raffo’ ai quali incontri sono intervenuti finora oltre duecento personaggi di rilievo: attori, artisti, cantanti,
giornalisti, scrittori…
Nel 2012, massimo conoscitore europeo della storia politica degli Stati Uniti e del loro sistema elettorale
temi ai quali ha dedicato esaustivi saggi, ha seguito la campagna elettorale americana per la Fondazione
Italia/USA con video interventi visibili sul portale www.italiausa.org .
469
Nel 2009 gli è stato conferito il Premio Controcorrente Luca Hasdà con la seguente motivazione:
“Per l’anticonformismo che da sempre lo contraddistingue.
Per la tenacia con cui nella vita si è battuto e si batte tuttora in difficili battaglie a difesa della libertà.
Per la passione per la cultura e lo studio.
Per l’amore che ha nutrito e nutre per le idee meno conformiste.
Per il coraggio dimostrato quale ‘Gran Pignolo’ nel dissacrare i ‘mostri sacri’ della politica, del
giornalismo e della cultura italiana e nel puntare l’indice anche su personaggi ritenuti ‘intoccabili’”.
Da sempre studia con passione ogni giorno, sperando (e gli manca ben poco!) di arrivare al livello di
conoscenza a suo tempo raggiunto da Adalbert Pösch, il maestro ebanista del giovane Karl Popper, che
poteva tranquillamente sfidare l’allievo dicendogli: “Mi chieda pure quello che vuole. Io so tutto (Ich weiss
alles)!”.
E’ semplicemente bellissimo.
OPERE:
1999, Sale, tabacchi e...;
2000, Un amico, un certo Piero Chiara
2001, Tato fuma
2002, Prendere la vita di petto e guadagnarci in salute. Memorie di uno scioperato
2003, Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente (già on line per il Corriere della Sera nel 2000)
2003, Vecchi barbieri, antiche barberie
2004, La prima squadra non si scorda mai (con Luca Goldoni) finalista al ‘Premio Bancarella Sport 2005’
2004, I signori della Casa Bianca (già on line per il Corriere della Sera nello stesso anno con il titolo Casa
Bianca 2004)
2005, Dodici giorni in un’altra città
2005, I signori della Casa Bianca (seconda edizione ampliata e aggiornata)
2005, Piero Chiara
2006, Eminenti varesini
2006, Dieci anni di Pignolerie
2007, Mi dia del lei!
2007, C’è posta per Liala
2008, Albergo a ore (romanzo breve, già proposto nel 2004 a puntate su Il Giorno)
2008, I film della nostra vita
2009, La volpe rossa
2010, Il continente della speranza? Storia e storie dell’America Latina
2011, La vita come viene (edizione fuori commercio)
2011, Americana (edizione fuori commercio)
2011, Pignolerie 1996/2009 (edizione fuori commercio)
2011, Varesini. Non solo Piero Chiara (edizione fuori commercio)
2012, Figura e memoria del tempo presente (edizione fuori commercio)
2012, Varie ed eventuali (edizione fuori commercio)
2012, USA 2012 (edizione fuori commercio
PLAQUETTES
2006, Viacard
2007, Tre storie
2008, La casa, la vita
2010, Il terzo quarto 1951/1975
2011, Ernest (1961/2011). In memoria
470
2012, La città bianca. Tre giorni a Belgrado
FASCICOLI
2011, White House
471
Indice generale
I motivi del contendere
Un’impresa davvero difficile
Il cimento di Obama. Tutti i precedenti
I numeri delle elezioni del 2008
I poteri del presidente
Saggio introduttivo
Parte prima
Storia delle elezioni presidenziali americane
Capitolo primo
Cinquanta semidei
1824/1828 La rivoluzione jacksoniana
Capitolo secondo
Nascono il partito democratico e quello repubblicano
Capitolo terzo
I repubblicani a White House
Capitolo quarto
Il Nord progressista e repubblicano, il Sud conservatore e segregazionista
democratico
Capitolo quinto
La crisi e il New Deal
Capitolo sesto
Eisenhower va a Sud
Capitolo settimo
Lyndon Johnson
Capitolo ottavo
Il credo reaganiano
Capitolo nono
Il terzo millennio
472
Potrà il partito repubblicano riconquistare White House in questo 2012 o comunque
in futuro?
Capitolo decimo
Una domanda
Parte seconda
Come e in qual modo si elegge il presidente degli Stati Uniti d’America.
Come e in qual modo si scelgono i candidati
Capitolo primo
Come si svolge la votazione
Capitolo secondo
Come si scelgono i candidati
Le primarie
I caucus
Le convention
Capitolo terzo
Un’ultima annotazione
Parte terza
Domande e risposte a proposito del sistema elettorale americano: regole,
primati, curiosità
Parte quarta
Numeri
Parte quinta
I quarantaquattro presidenti
Parte sesta
I risultati delle elezioni
Appendice
La seconda volta: cosa è successo quando un presidente, come Obama
oggi, ha chiesto un secondo mandato?
473
Cronaca della campagna elettorale 2012
Introduzione
Calendario delle primarie e dei caucus repubblicani
Nota in premessa
A giochi ancora non ufficialmente aperti
22 novembre 2011 – Romney guida il gruppo Gop
- Qualche democratico pensa sia meglio mettere in campo Hillary
Confronti, dibattiti, Hillary e Condoleezza
1 gennaio 2012 – Lo scenario
Parte prima
La lunga corsa repubblicana
3 gennaio 2012 – Il caucus dell’Iowa
- Conseguenze
10 gennaio 2012 – New Hampshire: la conferma di Mitt
Texas Meeting
Cosa dicono i sondaggi?
Huntsman si ritira
Alla vigilia della primaria del South Carolina
Super Pac (Political Action Committee)
22 gennaio 2012 – Dopo il South Carolina
Ipotesi ‘terzo uomo’
Turbolenze
1 febbraio 2012 – Romney vince bene in Florida
Confluenza dei voti conservatori su Gingrich?
Sondaggio Gallup su base nazionale
4 febbraio 2012 – Romney vince il caucus del Nevada
- Il totale dei delegati conquistati
5 febbraio 2012 – Il cammino di Romney
Dell’attendibilità dei sondaggi ieri e oggi
7 febbraio 2012 - Minnesota, Colorado, Missouri: la resurrezione di Santorum
11 febbraio 2012 – Il lungo caucus del Maine
Lotta dura, senza paura
‘Brokered Convention’?
474
Rimonta?
28 febbraio 2012 – Michigan e Arizona a Mitt
La situazione
Il caucus del Washington
In vista del ‘supermartedì’
3 marzo 2012 – I risultati del caucus del Washington
Nota a margine dopo il caucus del Washington
6 marzo 2012 – Sei Stati a Romney, tre a Santorum, uno a Gingrich
- Ad oggi i delegati complessivamente conquistati sul campo
Della necessità di compattare i Gop
9 marzo 2012 – Romney vince nelle isole
Santorum chiede a Gingrich di ritirarsi
10 marzo 2012 – Dopo Kansas, Wyoming e Virginia Islands
Aspettando Mississippi e Alabama
Romney supera Obama nelle intenzioni di voto
13 marzo 2012 – Alabama, Mississippi ma anche Hawaii e American Samoa, ovvero
‘vincere perdendo e perdere vincendo’
E se Gingrich si ritirasse?
L’attuale attribuzione dei delegati
16 marzo 2012 - Aspettando Illinois e Louisiana
18 marzo 2012 – A Puerto Rico Mitt vince per KO
- Delegati: la situazione
20 marzo 2012 – Illinois ‘handly’
Jeb Bush appoggia Mitt Romney
La Louisiana nei sondaggi è per Santorum
24 marzo 2012 - Santorum alla grande in Louisiana
I capi Gop si schierano con Romney
La Corte Suprema e la riforma sanitaria obamiana
Santorum è vicino alla resa?
Romney attacca Obama sulla politica estera
Gingrich sull’orlo del ko
Marco Rubio, G.H.Bush e Scott Walker per Romney
Prospettive
Dove vanno i dollari?
Novantotto a zero?
Si parla dei possibili vice
In economia, gli americani preferiscono le ricette Gop
Il Tea Party è con Mitt. E gli evangelici?
3 aprile 2012 – Maryland, Wisconsin e Washington DC con Romney
- Obama ottiene ufficialmente la nomination democratica
Il ‘peso’ di Ann Romney e Michelle Obama
Si parla già del 2016!
Ricordiamoci di Reagan
Chi è Rob Portman e perché si parla di lui?
475
Aspettando il 24 aprile
10 aprile 2012 – Santorum getta la spugna!
Sette mesi (o quasi) di battaglia elettorale
Ricordate Ross Perot?
Casalinghe disperate?
‘Restore our Future’
‘Swing States’
16 aprile 2012 – Si comincia a parlare della religione di Romney
17 aprile 2012 - Documenti: Come battere Obama puntando sulla politica estera, un
Articolo di Karl Rove e Ed Gillespie per Foreign Policy
Due sondaggi per Obama e due per Romney!
Dieci possibili vice presidenti Gop
La base preferisce Condoleezza
Cani e Casa Bianca
19 aprile 2012 – Un bel problema: le primarie a venire contano poco o nulla
Jeb Bush si propone, Marco Rubio si sottrae ma fa campagna con Mitt
Secondo il New York Times Romney deve ‘riposizionarsi’
24 aprile 2012 – Cinque a zero e la corsa Gop è davvero finita
“Oggi prende il via una nuova America”
26 aprile 2012 – Il ritiro di Newt Gingrich
- Romney ha vinto prima del prevedibile
Polemiche, confronti, wikipedia, antiche amicizie, prove e successivi sondaggi,
attese…
30 aprile 2012 – Ipotesi e conteggi del Washington Post
Mie, conseguenti osservazioni
Giuliani appoggia Mitt, Bloomberg tergiversa ma probabilmente, Gingrich
ufficializza…
2 maggio 2012 – Documenti: La politica energetica di Mitt Romney, un articolo di
Monica Ogrodowski
Del difficile rapporto Gop/gay
3 maggio 2012 – Michele Bachmann dichiara il proprio appoggio a Romney
Dell’identificazione di Obama con Jimmy Carter
Indiana, North Carolina, West Virginia
I cattolici da che parte stanno?
6 maggio 2012 – 3.2.1. Come, secondo Karl Rove, Romney vincerà
7 maggio 2012 - Documenti: A proposito di ‘Southern Strategy’, di MdPR
8 maggio 2012 - Santorum si schiera con Romney
9 maggio 2012 – Oltre i novecento delegati
Matrimoni gay, sondaggi nazionali, Mary Fallin, Cher…
Gallup a proposito delle capacità dei contendenti nel campo economico
Una tendenza?
Romney corteggia gli evangelici
14 maggio 2012 – Ron Paul sospende la campagna elettorale
Gente di Hollywood e riccastri
476
15 maggio 2012 – Documenti: La religione e la Casa Bianca, di MdPR
George Walker Bush endorsement
Parte seconda
Verso le convention
15 maggio 2012 - Obama contro la Romneyeconomics
16 maggio 2012 – I risultati in Oregon e nel Nebraska
17 maggio 2012 – Documenti: Polemiche e affari, un articolo di Michele Paris
pubblicato on line su ‘Altrenotizie’
La crisi economica europea favorisce Romney
Ci si deve fidare delle promesse dei candidati?
18 maggio 2012 – Un possibile colpo sotto la cintura
Raccolta fondi in aprile
Sondaggi e gradimento
Il presidente più ricco
18 maggio 2012 – Documenti: Come si distribuiscono i contributi dei piccoli
finanziatori, Superpac, quindi, esclusi, un articolo di Michele
Zurleni per Panorama.it
19 maggio 2012 - Documenti: Il primo giorno, di MdPR
Herman Cain: il penultimo endorsement
Poteva mai mancare la notizia di un attentato ad Obama?
"Soy Mitt Romney y apruebo este mensaje"
21 maggio 2012 - Le primarie del mese di maggio nei due campi: riflessioni
22 maggio 2012 - Dubbi e perplessità della stampa USA a proposito della
Campagna elettorale di Obama
Obama: “Romney è un Robin Hood al contrario”
22 maggio 2012 – Documenti: Guerra di religione, un articolo di Michele Zurleni per
Panorama.it
23 maggio 2012 – Primarie nel Kentucky e in Arkansas
Pennsylvania, Florida, Ohio: almeno due su tre
Colin Powell torna a galla
Obamiani pronti a risfoderare l’arma del razzismo
24 maggio 2012 - Documenti: Ora Mitt Romney fa paura, un articolo di Guido
Moltedo per Europaquotidiano.it
Con chi si schiera la Silicon Valley?
Succede verso fine maggio
26 maggio 2012 – Documenti: Questa è la via che Mitt Romney deve seguire per
andare alla Casa Bianca, Karl Rove per il ‘Wall Street Journal’
‘Barry’ Obama e la marijuana
Dopo Hollywood, Broadway
28 maggio 2012 – Documenti: Red, Blue and Swing: lo stato delle cose, di MdPR
477
I veterani di guerra preferiscono Romney
Dagli amici mi guardi Iddio
30 maggio 2012 – Dopo il Texas: per Romney nomination in tasca
A centosessanta giorni dal 6 novembre
Gli astrologi dicono Obama
I principali finanziatori di Mitt Romney
Aumenta il tasso di disoccupazione negli USA
Nancy Reagan
4 giugno 2012 – Wisconsin, supertest per Obama e Romney
Gary Johnson, il terzo candidato
5 giugno 2012 – Il Gop Scott Walker mantiene il Wisconsin
6 giugno 2012 – California, Montana, New Jersey, New Mexico e South Dakota con
Mitt Romney
La crisi economica? Per Obama è colpa dell’Europa
Raccolta fondi elettorali
Vogue è con Obama (!?)
La replica Gop
Valanga di spot
Una colonscopia senza anestesia
Obama e l’industria farmaceutica
11 giugno 2012 – Documenti: Ben meritato da Obama il Nobel per la pace! Un
articolo del Movimento Internazionale per i diritti civili
E se per White House votasse il mondo intero?
Il voto di Wall Street a favore di Romney
Il ‘cane democratico’
Dollari come se piovesse per Mitt
15 giugno 2012 – Documenti: Romney-Obama, botta e risposta in Ohio. Duello a
distanza sull'economia nello Stato chiave per la vittoria alle
presidenziali, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa
Obama concede il permesso di soggiorno a ottocentomila clandestini
Romney critica la politica a suo dire anti israeliana di Obama
Il clan Bush a proposito dei latinos
La scuola in crisi
18 giugno 2012 – Documenti: Quali i presidenti non rieletti dopo un solo mandato?
di MdPR
25 giugno 2012 - Molta carne al fuoco
27 giugno 2012 – Documenti: Donna, nera e mormone, Mia Love si candida per la
Camera, di MdPR
Sondaggi ballerini
Condoleezza: “non corro per la vicepresidenza”
27 giugno 2012 – Utah, le ultime primarie
27 giugno 2012 – Documenti: Mitt Romney è il ventottesimo candidato repubblicano
A White House, di MdPR
28 giugno 2012 – La riforma sanitaria obamiana è costituzionale
478
28 giugno 2012 – Documenti: La Corte Suprema USA, di MdPR
29 giugno 2012 – Documenti: Obamacare: il presidente è nei guai, un articolo di
Gianbattista Rosa per Cartalibera.it
Hillary fa campagna elettorale a favore di Romney (!!??)
Trentamila piccole donazioni in dodici ore
Fine giugno: raccolta fondi, Murdoch per i Gop, Romney va in Israele
A giugno Romney raccoglie oltre cento milioni in piccole donazioni
A fine luglio, Romney verrà in Europa
Guai per Obama: la disoccupazione non cala
Morga Freeman: “Obama non è il primo presidente nero!”
La madre di Brad Pitt appoggia Romney
“Too close to call”, sondaggio ai primi di luglio del Washington Post
Condoleeza è nuovamente in corsa nel mentre Dick Cheney dichiara di appoggiare
Romney con tutte le sue forze
30 luglio 2012 – Documenti: Obama e Romney tra religione, economia e colpi bassi,
un articolo di Anna Coluccino per Fanpage.it
Dopo un luglio di normale combattimento eccoci a cento giorni dal voto
Agosto comincia male per Obama, economicamente parlando
Agosto comincia bene per Obama, stando ai sondaggi
2 agosto 2012 – Documenti: Romney e la colpa di essere americano, un articolo di
Stefano Magni per L’Opinione
3 agosto 2012 – Giovani con Obama, anziani con Romney
Clint Eastwood è con Romney
5 agosto 2012 – Documenti: Quando John Wayne appoggiava Barry Goldwater, di
MdPR
Romney vince la raccolta fondi anche in luglio
6 agosto 2012 – Documenti: Romney? Conosciamolo meglio, un articolo
pubblicato dal Washington Post e da Panorama.it
7 agosto 2012 – Cerchiamo di capire chi sarà il vice di Romney
Come la vedono gli allibratori
Si torna a dubitare della nascita negli USA di Obama
9 agosto 2012 – Documenti: In attesa di Tampa e Charlotte, Storia e storie delle
Convention Usa, di MdPR
I conservatori vogliono Paul Ryan
La delusione di Spike Lee
11 agosto 2012 – Il running mate è Paul Ryan, secondo le previsioni
15 agosto – Paul Ryan: le ragioni di una scelta
16 agosto 2012 – Documenti: Ryan, l’asso delle lobby conservatrici, un articolo di
Giovanna Faggionato per Lettera 43
Sondaggi ballerini
Prime indicazioni sugli interventi dei big alla convention Gop di Tampa
16 agosto 2012 – Hillary Clinton vice in luogo di Joe Biden? Ok, ma non porta bene
18 agosto 2012 – Ma che brutta campagna!
19 agosto 2012 – Incredibile: Newsweek invita Obama a levarsi dai piedi
479
22 agosto 2012 – Come sempre, l’Ohio
Bernanke out se vince Romney
Romney: “A me nessuno chiede il certificato di nascita”
Il presidente dei vescovi americani sarà a Tampa
24 agosto 2012 – Documenti: Il piano energetico di Romney: una manna per i
petrolieri, un articolo di Federico Rampini (sempre iper critico
nei confronti dei repubblicani) pubblicato da Repubblica
Eva Longoria è con Obama
Il ‘libertarian’ Gary Johnson presente in tutti gli Stati
25 agosto 2012 – Tampa
Sembler: “Obama sarà seppellito dagli spot avversi”
Parte terza
Le convention
(ma non solo, ovviamente)
26 agosto 2012 – A Tampa, a Tampa!
Il via della kermesse spostato al 28 causa maltempo
26 agosto 2012 – Gli ‘swing States’ al 25 agosto secondo Rasmussen
28 agosto 2012 – Tampa, il primo giorno: Ann Romney alla ribalta
Il testo inviato via mail a MdPR da Ann Romney dopo il suo intervento
29 agosto 2012 – Tampa, il secondo giorno: Ryan come Goldwater?
Il testo della mail inviata a MdPR da Paul Ryan dopo l’accettazione della
nomination
Perché Romney è in grado di vincere a detta dei giornali a lui avversi
Sarà Clint Eastwood ad introdurre il discorso di accettazione di Mitt Romney
30 agosto 2012 – Tampa, il terzo giorno: il discorso di accettazione di Mitt Romney
Il testo della mail inviata a MdPR da Mitt Romney dopo il suo discorso di
accettazione della nomination a candidato del partito repubblicano USA alla
presidenza
L’intervento di Condoleezza Rice
1 settembre 2012 – Documenti: Romney punta sugli Stati chiave, un articolo di
Christian Rocca per Il Sole 24 Ore
Il voto degli ispanici
La cortesia di una volta
3 settembre 2012 – Fissato al 3 ottobre il primo dibattito in tv
Continua il testa a testa nei sondaggi (?!)
I coniugi Norris, con toni un po’ forzati, a sostegno di Romney
3 settembre 2012 – Documenti: Obama verso la convention di Charlotte, un articolo
di Antonio Carlucci per L’Espresso Blog
4 settembre 2012 – Charlotte
5 settembre 2012 – Charlotte, il primo giorno: Michelle all’attacco
480
Denver dice 320 a 218 per Romney
Obama (a detta di Obama) in economia merita un ‘incomplete’
Perché Hillary Clinton e Andrew Cuomo non sono a Charlotte?
6 settembre 2012 – Charlotte, il secondo giorno: il ciclone Bill Clinton
7 settembre 2012 – Charlotte, il terzo giorno: il discorso di Obama
Una domanda
8 settembre 2012 - Occupazione, colpo duro per Obama, un commento di Federico
Rampini per Repubblica dopo Charlotte
Parte quarta
La sfida finale
9 settembre 2012 - I giochi sono tuttora aperti
Quattro i dibattiti televisivi in programma
10 settembre 2012 – Documenti: Altro che l’economia: determinante sarà l’assenza o
presenza di Dio nei due schieramenti?, di MdPR
Nuovi quattrini e nuovi sondaggi
11 settembre 2012 – C’è chi ‘rimbalza’ e chi no: giorni difficili per Mitt Romney
Come e perché si trucca un sondaggio elettorale
12 settembre 2012 – L’uccisione dell’ambasciatore USA in Libia e i moti anti
americani nei Paesi arabi
Come voterebbero gli europei dei quali solo il trentotto per cento ha una vaga idea
di chi sia Romney?
I bookmaker, gli scommettitori e le elezioni USA 2012
Elettori sposati e non sposati (‘marriage gap’)
La disinformazione giornalistica ai danni del Gop e di Mitt Romney
Gene Hackman nei panni di Romney
16 settembre 2012 – Documenti: Alle ‘anime belle’ Romney non piace, di MdPR
Obama teme che gli elettori di fronte all’attuale esplosione anti USA dubitino del suo
operato ai tempi della ‘primavera araba’
16 settembre 2012 – Documenti: Diamo voce ai complottisti: ‘Come distruggere
Barack Obama con la nuova Guerra Santa’, un fantastico
Articolo di Angelo D’Addesio
Inquietudini settembrine e prospettive Gop
18 settembre 2012 – Documenti: Nuovo video imbarazza Mitt Romney: “Chi sta con
Obama non paga le tasse”, un articolo di Angela Geraci per il
Corriere della Sera
Bob Woodward contro Obama
“La promessa repubblicana di ridurre le tasse non interessa chi non le paga”
Cosa ha veramente detto Mitt Romney
19 settemnre 2012 – Documenti: Il ‘rimbalzo’ di Obama nei sondaggi è già finito?
un articolo di Alessandro Tapparini per America 24
481
Romney difeso dai danesi (?!)
20 settembre 2012 – Rasmussen assegna il New Hampshire a Romney
Ann Romney si arrabbia e intanto Tim Pawlenty se ne va
22 settembre 2012 – Documenti: I razzisti votano Obama, di MdPR
I sondaggi cambiano di giorno in giorno
23 settembre 2012 – Documenti: In America già si vota in venticinque Stati, un
articolo di Giampaolo Pioli per Quotidiano.net
I veterani a favore di Romney
Madonna: “Votate tutti Obama, un fottuto mussulmano nero alla Casa Bianca”
26 settembre 2012 – Documenti: L’imbecillità (per non dire altro) del web, di
MdPR
Romney in difficoltà: gli ebrei americani gli voltano le spalle e i sondaggi in Florida
e Ohio lo vedono indietro
28 settembre 2012 – Documenti: Romney: “Con Obama deriva europea”, un articolo
di Daniela Roveda per Il sole 24 Ore
Porno falsificati e perfino la carpe asiatiche
Chavez dal Venezuela vota Obama, Denzel Washington e Colin Powell si dicono
delusi
30 settembre 2012 – I due sfidanti si allenano in vista di Denver
La relativa incidenza dei faccia faccia tv
Su Mitt Romney le gentili espressioni di Madeleine Albright
Sondaggi che vanno e vengono
Biden: “La classe media è stata sepolta negli ultimi quattro anni”, quelli nei quali
con Obama ha governato lui stesso!
3 ottobre 2012 - Le preoccupazioni e le promesse non mantenute di Obama. I
temi che Mitt Romney dovrebbe mettere in campo a Denver
Il migliore nei faccia a faccia tv? Ronald Reagan
4 ottobre 2012 – Denver: Romney per ko!
L’analisi semantica del confronto di Denver
La lobby delle armi è con Romney e i sondaggi lo danno in ripresa
Polemica dura sui dati relativi alla disoccupazione
Obama in crisi a Denver? Colpa dell’altitudine!
Obama in crisi a Denver? Gli mancava il ‘gobbo’!
7 ottobre 2012 – Documenti: Obama/Romney e milioni di tweets, un articolo di
Maurizio Molinari per La Stampa.it
8 ottobre 2012 – Obama ha paura di perdere
Romney attacca Obama a proposito della politica estera
Gallup vede oggi 8 ottobre i due contendenti in parità
Pew Research Center vede oggi 9 ottobre Romney avanti
La lobby delle armi contro Obama. Spot in alcuni ‘swing States’
Goldman Sachs, JPMorgan, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley da Obama
a Romney
Ulteriori considerazioni sulla base del sondaggio indipendente di Pew Research
Center
482
“Lasciate che Mitt sia Mitt”, ha detto Ann Romney
10 ottobre 2012 – Domani sera il faccia a faccia Biden/Ryan
Obama ha problemi anche con ‘Big Bird’
11 ottobre 2012 – Accenni di panico in casa democratica?
Biden/Ryan: chi ha vinto?
12 ottobre 2012 – Documenti: L’autogol di Obama, un articolo di Jason Horowitz
per Internazionale
Florida: Romney oltre il cinquanta per cento
Lindsay Lohan si dichiara pro Romney
Il prossimo faccia a faccia? Nella forma ‘town hall’
Il ‘boss’ Springsteen a Parma (Ohio) con Obama
13 ottobre 2012 – Documenti: Podhoretz: Romney come John F. Kennedy su tasse,
patriottismo e aborto, un articolo di Maurizio Molinari per La
Stampa
Cosa dicono oggi i bookmaker: Obama ancora favorito ma Romney migliora le
proprie quotazioni
Murdoch a piedi uniti contro Obama
Vincere senza l’Ohio? Difficile, non impossibile
La gara dell’entusiasmo
Incertezza negli ‘Stati chiave’
Agenzia del 16 ottobre: Romney in vantaggio di quattro punti
Hillary Clinton protegge Obama alla vigilia del secondo dibattito
Fallisce una seconda società ‘verde’ sostenuta da Obama
17 ottobre 2012 – Obama prevale nettamente nel secondo dibattito televisivo
Dopo Hofstra, in giro con maggiore accanimento per gli ‘swing States’
18 ottobre 2012 – Documenti: Dopo Hofstra: un’agenzia Agi conferma l’obiettività
della denuncia di Romney contro Obama a proposito del ‘caso
Bengasi
Il terzo appuntamento
18 ottobre 2012 – La corsa alla Casa Bianca Stato per Stato secondo i sondaggi
Gallup il 16 ottobre vedeva Romney in netto vantaggio, Chi ci capisce qualcosa è
bravo
Redford per Obama, Lee Iacocca per Romney mentre Gallup dà il mormone avanti di
sette punti
Il film su Bin Laden in programma due giorni prima del voto
Ann Romney: “Dovesse perdere, Mitt lascerebbe la politica attiva”
Le cose cambiano: Obama 2008, Obama 2012 secondo Grover Norquist
Secondo un sondaggio Cbs, Obama avrebbe favorito l’incremento della vendita delle
armi (?!)
In vista del terzo dibattito tv
20 ottobre 2012 – Documenti: Romney, il pareggio di bilancio per tornare a crescere,
un articolo di Carlandrea Poli per Termometro politico
Gallup insiste e vede Romney davvero in grande spolvero
22 ottobre 2012 – Documenti: Obama/Romney in tv, ecco come si rovescia l’utopia
483
Democratica, un articolo di Carlo Bastasin per Il Sole 24 Ore
23 ottobre 2012 – Boca Raton pro Obama
Della sostanziale inutilità di un dibattito sulla politica estera nell’opinione di
Antonio Carlucci
24 ottobre 2012 – Documenti: La rete mette le ali a Romney, un articolo di
‘Voices from the Blogs’ per il Corriere della Sera
L’importantissima contea di Cuyahoga
Eastwood negli ‘swing States’ in uno spot anti Obama
Trump sfida Obama, cinque milioni di dollari in beneficenza in cambio del certificato
di nascita
Romney in Nevada, Obama in Colorado: in giro per gli ‘swing States’
Bernanke, Ayrault e lo spray abbronzante
I primi duecento giorni alla Casa Bianca di Mitt Romney
Endorsement di autorevoli organi di stampa
Obama ha già votato
26 ottobre: ancora nessuna certezza guardando ai sondaggi
Una campagna da due miliardi di dollari e passa
26 ottobre 2012 – Documenti: La dinastia dei Romney: il vero mito è papà George,
un articolo di Valerio Chiapparino per Meridiani Relazioni
Internazionali
27 ottobre 2012 – Documenti: Possibile che Obama e Romney pareggino? di MdPR
Documenti: Romney-Obama, ecco la strada per la vittoria secondo
i consiglieri, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa
28 ottobre 2012 – La marginalità dell’Europa: né Obama, né Romney ne parlano
Aziende in campo: “Non votate per Obama”
Il ‘Chicago Tribune’ appoggia Obama che perde tra i giovani rispetto al 2008
28 ottobre 2012 – Documenti: Testa a testa: i precedenti ricordando che è possibile
Vincere perdendo, di MdPR
29 ottobre 2012 – Documenti: USA 2012, e adesso pubblicità: sfida tra Obama e
Romney a tutto schermo, un articolo di Vinccenzo Leone per
Meridiani Relazioni Internazionali
Documenti: Romney-Obama, quale America sarà? Un articolo di
Paolo Alfieri per Avvenire
Rasmussen dà Romney in vantaggio in Ohio!
Colpi e contraccolpi: reciproci attacchi!
‘Effetto Sandy’: Obama e Romney fanno a gara per dimostrarsi impegnati a riparare
i danni prodotti dal ciclone. Demagogia?
30 ottobre 2012 - Il sorprendente sondaggio Gallup tra chi ha già votato: Romney
stacca Obama di sei punti. Aumentano i repubblicani alle urne,
calano i democratici (!?)
Il peso del fattore razziale
Gallup a favore di Romney anche per quanto riguarda i dibattiti tv
1 novembre 2012 – Alberto Alesina sul Corriere della Sera e Valerio Chiapparino
484
su Meridiani Relazioni Internazionali intervengono a
proposito della distorta considerazione della gran parte
dei media in merito alla candidatura di Mitt Romney e
in genere delle posizioni politico/sociali/economiche
dei repubblicani
Romney ricomincia dalla Florida, parla dell’uragano e invita a donare denaro per i
sinistrati
Endorsement di Bloomberg per Obama
“Obama ridurrà gli USA come l’Italia”
2 novembre 2012 – Documenti: Obama o Romney: dubbio amletico per la Russia, un
articolo di Dmitri Babich per Russia Oggi
Parte quinta
Gli ultimi fuochi
(e gli ultimi chiarimenti)
2 novembre - Dopo ‘Sandy’, lo scontro alle fasi conclusive
Centosettantamila nuovi posti di lavoro escono dal cilindro
Per quel che conta, gli italiani voterebbero alla grande Obama
Il mitico ‘margine d’errore statistico’
Tutto il Grand Old Party in Ohio per Romney
“Devi dimetterti”, intima ad Obama Rudolph Giuliani
3 novembre 2012 – Non solo Obama e Romney: trattiamo degli altri quattro candidati
La media delle ‘polls’ oggi 3 novembre dice Obama
4 novembre 2012 – Parliamo del ‘voto postale’
Il caso Ohio in generale e l’importanza del voto postale in questo
Stato in particolare
I ‘morti presunti’ del Texas
Il referendum a Portorico
Joe Biden vice di Mitt Romney?
La salute necessariamente di ferro dei candidati. E tra quelli di
Una volta?
5 novembre 2012 – Documenti: Obama, chi teme l’uomo nero, un articolo di Gian
Giacomo Migone per l’Unità
Documenti: “Vincerà Romney”, un articolo di Maurizio
Molinari per La Stampa
I sondaggi secondo Daily Poll Summaries
Si vota anche per la camera e per un terzo dei senatori
I referenda sui quali si voterà
‘Provisional ballots’
485
La previsione
5 novembre 2012
Vorrei prevalesse la ‘vecchia America’
di Mitt Romney.
Reputo e temo
finisca per prevalere
l’America ‘socialista’
di Barack Obama
(solo chi ha il coraggio di fare una previsione può sbagliarla)
5 novembre 2012 – L’ipotesi Gallup
I Redskins hanno perso, per la cabala vince Romney
L’esito
Obama: ancora quattro anni
Parte prima
I risultati (non ancora definitivi)
Cosa è successo negli ‘swing States’
Gli altri candidati
Il voto: donne, neri, ispanici
Il web
Michelle
Parte seconda
Anche la Florida va a Obama:
risultato finale trecentotrentadue a duecentosei
Le sfide del secondo mandato di un’anatra zoppa
Siamo sicuri che nel secondo mandato i presidenti facciano meglio?
486
Commenti e prospettive
Vauro: Una magnifica vignetta
Luigi Zingales: Non ha vinto Obama, ha perso Romney
Guido Mariani: In prospettiva, cambi nel governo
Breve glossario della politica americana
La Costituzione federale e gli Emendamenti
MdPR, ovvero ‘Il Gran Pignolo’
Indice dei nomi
Indice generale
487