“class action” contro pa e concessionari
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“class action” contro pa e concessionari
RIVISTA DI DIRITTO DEI GIOCHI E DELLE SCOMMESSE Federico Mazzella Avvocato in Roma La “class action” contro p.a. e concessionari; rectius: il “ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici” di cui al decreto legislativo n. 198/2009 I. L’azione ripristinatoria nei servizi pubblici: dalla sua previsione con l’art. 4 della legge delega 4 marzo 2009, n. 15 alla sua attuazione con il decreto delegato 20 dicembre 2009, passando per il rapporto con l’azione inibitoria collettiva e l’azione di classe previste dal Codice del Consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Nel quadro della riforma avviata dalla legge 4 marzo 2009, n. 15, recante la “Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni […]” (meglio nota come la cd. “riforma Brunetta”), un ruolo centrale deve essere riconosciuto, almeno nelle intenzioni del legislatore, al suo art. 4 che ha dettato “Principi e criteri in materia di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche e di azione collettiva […]”1. Per quel che in questa sede maggiormente interessa, tale norma ha delegato il governo “a prevedere mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati o che violano le norme preposte al loro operato” (art. 4, c. 1, l. n. 15/2009) e, a tal fine, ha indicato i principi ed i criteri direttivi ai quali l’esecutivo dovrà attenersi nell’esercizio della delega. E’ bene subito precisare come la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, abbia chiarito, in modo assolutamente consolidato, che i concessionari per la raccolta di scommesse e per la gestione di giochi e concorsi a premi riservati allo Stato svolgono a tutti gli effetti un servizio pubblico2 e, pertanto, rientrano a pieno titolo nell’ambito di applicazione della norma in esame. 1 Sul punto, v. A. SCOGNAMIGLIO, Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, su www.apertacontrada.it, 5.03.2010; la quale osserva come “Nel disegno complessivo della legge delega, l’azione rappresenta il tassello di chiusura «del sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti dell’amministrazione pubbliche» finalizzato ad «assicurare elevati standard qualitativi ed economici dell’intero procedimento di produzione del servizio reso all’utenza tramite la valorizzazione del risultato reso dalle singole strutture»”. 2 Si v., tra le tante, Tar Lazio – Roma, sez. II, 26 novembre 2009, n. 11859 e 31 ottobre 2008, n. 9500, in relazione al servizio di attivazione e conduzione operativa della rete telematica per il gioco lecito mediante apparecchi di divertimento ed intrattenimento; Tar Siclia – Catania, sez. II, 28 gennaio 2009, n. 196, in relazione all’attività di In particolare, ed in via riassuntiva, l’art. 4, c. 2, lett. l) della l. n. 15/2009 ha disposto che venisse data azione davanti al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva e di merito, ad ogni interessato, nonché ad associazioni e comitati a tutela degli interessi dei propri associati, nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di pubblici servizi, responsabili di aver provocato una lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori mediante una loro: i) violazione di standard qualitativi ed economici; ii) violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei servizi; iii) omissione nell’esercizio di poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori; iv) violazione dei termini o mancata emanazione di atti amministrativi generali. Tale azione, prosegue la norma di delega in esame, dovrà essere preceduta da una diffida dell’interessato all’amministrazione od al concessionario ad assumere le iniziative utili a soddisfare i propri interessi lesi e, in caso di accoglimento del relativo ricorso, dovrà concludersi con l’ordine del giudice all'amministrazione od al concessionario intimati “di porre in essere le misure idonee a porre rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati adempimenti” appena visti; con la precisazione che, nei casi di perdurante inadempimento da parte dei destinatari dell’ordine, il medesimo giudice disponga la nomina di un commissario. Resta fuori, per espressa scelta del legislatore, la possibilità del risarcimento del danno, il quale, pertanto, da un lato, non potrà essere disposto dal giudice né in sede di accoglimento della domanda dell’interessato né a seguito dell’inottemperanza di amministrazione o concessionario; e per il quale, quindi, dall’altro, “resta ferma la disciplina vigente”. L’esclusione, appena vista, del risarcimento del danno dall’azione introdotta dalla l. n. 15/2009, invero, ha portato i primi commentatori a rilevare come la definizione di “class action” apparisse inappropriata, stante la sua funzione meramente ripristinatoria e non anche risarcitoria3. In proposito, infatti, è stato notato che il ricorso in questione non costituisce una tradizionale “class action” costruita sul modello statunitense, ma “uno strumento che consente di rimediare, anche mediante un’azione in forma collettiva, alle inefficienze della pubblica amministrazione [e dei concessionari] mediante il recupero della qualità del servizio”, per cui la norma “esclude il risarcimento del danno proprio perché l’azione così delineata mira a ristabilire il corretto esercizio, per tutti, della funzione, con il sollecito ripristino dell’efficienza del servizio e della sua trasparenza, e non, invece, il risarcimento del danno per il singolo, comunque possibile attraverso le vie ordinarie consentite dal nostro ordinamento”4. raccolta delle scommesse sportive, che richiama Cons. Stato, sez. IV, n. 962/2006; Cons. Stato, sez. III, 20 maggio 2008, n. 3000/07 (parere), in tema di attività di raccolta di scommesse ed esercizio di concorsi pronostici riservata allo Stato, che richiama Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2006, nn. 927, 969 e 1017 e, infine, Tar Lombardia – Milano, sez. III, 22 gennaio 2008, n. 98 sul medesimo tema, che richiama Cass., sez. un., 1 aprile 2003, n. 4994 e Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 2004, n. 2330. 3 In tal senso, v. G. BUZZI, La Class action nella P.A., su www.altalex.it, 4.03.2010; per la quale “l’azione collettiva nella P.A. può, pertanto, essere considerata un mero reclamo per un disservizio ricevuto”; e A. BARTOLINI, La class action nei confronti della p.a. tra favole e realtà, su www.giustamm.it, 10.11.2009; per il quale “la locuzione class action è del tutto atecnica, poiché detto istituto, nella sua conformazione di derivazione statunitense, è un’azione collettiva volta a richiedere il risarcimento dei danni da parte di una pluralità di consumatori. Nel caso della legge Brunetta, invece, ci troviamo di fronte ad una azione, senza alcuna finalità risarcitoria, volta ad ordinare all’amministrazione l’adempimento di alcuni obblighi normativi (in senso kelseniano), che incidono su interessi diffusi degli amministrati: è dunque un’azione di adempimento a tutela di interessi di classe”. 4 Così, S. DORE – G. LECCISI, Prime riflessioni sullo schema di decreto legislativo recante “Attuazione dell’articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici”, su www.giustamm.it, 13.11.2009; per i quali, in definitiva, “l’obiettivo di questa innovativa forma di azione collettiva nel settore pubblico – impropriamente definita “class action” contro la PA – non è il risarcimento del danno economico bensì il sollecito ripristino dell’efficienza del servizio, la trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione e dei concessionari di servizi pubblici, nonché il rafforzamento della valutazione e della responsabilità dei singoli operatori pubblici”. 2 A tale ultimo proposito, appare opportuno aprire una breve parentesi in merito alle azioni, per così dire parallele, previste dal cd. “Codice del Consumo”, disciplinato dal decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed affidate alla giurisdizione del giudice ordinario. In particolare, da un lato, il riferimento deve essere portato alle azioni inibitorie collettive di cui all’art. 37 – concernente quella cd. “tipica”, in quanto rivolta ad inibire l’utilizzo di condizioni generali di contratto abusive – ed agli artt. 139 e 140 – riguardanti, invece, quella cd. “generale”, poiché destinata all’inibizione di condotte commerciali plurioffensive ed all’adozione delle misure idonee a correggerne od eliminarne gli effetti dannosi – del suddetto d.lgs. n. 206/2005, proponibili dalle (sole) associazioni dei consumatori e degli utenti (ritenute rappresentative a livello nazionale ed inserite, ai sensi dell’art. 137, nell’apposito elenco istituito presso il Ministero delle attività produttive). Dall’altro, deve considerarsi l’azione di classe introdotta dall’art. 140-bis del medesimo Codice del Consumo, nel testo da ultimo modificato dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, al fine di consentire la tutela di “diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti”, in virtù della quale “ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni” (art. 140-bis, c. 1, d.lgs. n. 206/2005)5. Tali azioni, invero, si distinguono per essere, la prima “collettiva”, ossia promossa da enti esponenziali di interessi diffusi (facenti capo ad una collettività di individui alla quale appartengono gli associati), e la seconda “di classe”, in quanto la situazione giuridica fatta valere in giudizio dal singolo “al fine di tutelarne l’integrità o di assicurarne il ristoro è identica ad una serie di altre situazioni individuali, di guisa che esse, insieme considerate, compongano idealmente una classe omogenea”6. Rispetto ad esse, pertanto, l’azione prevista dall’art. 4 della l. n. 15/2009, si pone quale sorta di ibrido: della prima, infatti, condivide la natura collettiva della posizione giuridica tutelata ma se ne differenzia in ordine alla legittimazione attiva, estesa anche al singolo7 e non limitata alle sole associazioni rappresentative a livello nazionale; mentre, proprio tale estensione 5 Sia le azioni inibitorie collettive di cui agli artt. 37, 139 e 140 del d.lgs. n. 206/2005 che l’azione di classe prevista dal successo art. 140-bis possono avere come destinatari i soggetti gestori dei servizi pubblici e, quindi, anche i concessionari operanti nel settore dell’organizzazione della gestione dei giochi, delle scommesse e dei concorsi a premi. Indici normativi di questa conclusione possono rinvenirsi, per le prime, nel disposto dell’art. 140, c. 11, che ha cura di precisare come “resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80”; per la seconda, invece, nell’art. 140-bis, c. 11, che stabilisce espressamente che “in caso di accoglimento di un’azione di classe proposta nei confronti di gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, il tribunale tiene conto di quanto riconosciuto in favore degli utenti e dei consumatori danneggiati nelle relative carte dei servizi eventualmente emanate”. Infine, come si avrà modo di vedere più avanti (sub III), lo stesso d.lgs. n. 198/2009 ha dedicato un intero articolo ai “Rapporti […] con i giudizi instaurati ai sensi degli articoli 139, 140 e 140-bis del Codice del Consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206” (così, la rubrica dell’art. 2, d.lgs. n. 198/2009). In proposito, v. G. VELTRI, Class action pubblica: prime riflessioni, su www.lexitalia.it, 2/2010, per il quale “l’inibitoria di cui all’art. 139 ha un raggio di azione che comprende non solo quei comportamenti contrattuali che determinano uno squilibrio del sinallagma, ma anche tutte quelle fattispecie lesive, concretantisi in atti o comportamenti, commissivi ed omissivi, che pur non contemplati in clausole contrattuali, sono comunque fonte di potenziali effetti pregiudizievoli sulla collettività dei consumatori, ivi compresa la violazione degli “standard di qualità e di efficienza nell’erogazione di servizi pubblici”, per cui, “non v’è dubbio che, ancor prima del d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, le associazioni avessero azione nei confronti dei gestori di pubblici servizi che nell’erogazione degli stessi avessero violato gli standard di qualità e di efficienza, potendo chiedere al giudice […] di inibire gli atti e i comportamenti lesivi, nonché di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, escluso il risarcimento del danno”. 6 Così, G. VELTRI, cit. 7 In proposito, occorre precisare come l’art. 1, c. 1, del d.lgs. n. 198/2009 riconosca la legittimazione attiva a proporre il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, ai “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori”, e vi è chi ha notato come il legislatore abbia utilizzato il termine “titolari”, al plurale, invece di “titolare”, al singolare, ipotizzando, quindi, che l’azione debba essere proposta da almeno due soggetti e non solo da uno (in tal senso, si è espresso il cons. M. LIPARI in una relazione al seminario dal titolo “Lavoro pubblico dopo le riforme Brunetta”, svoltosi presso l’Avvocatura Generale dello Stato in data 31 marzo 2010). 3 della legittimazione ad agire la avvicina alla seconda, dalla quale, tuttavia, se ne discosta per la finalità meramente ripristinatoria e non anche risarcitoria8. E’ in questo quadro, quindi, che la previsione dell’art. 4 della l. n. 15/2009 ha trovato attuazione nel decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, il quale ha introdotto nell’ordinamento il cd. “ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici”, disciplinandolo come una forma di giudizio speciale9 volto a “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio” (art. 1, c. 1). Prima di entrare nello specifico di tale disciplina10, tuttavia, occorre premettere due – prime (in quanto, si vedrà, non uniche) – divergenze tra la legge delega ed il decreto delegato, le quali assumono particolare rilevanza nel settore dei giochi e delle scommesse (e sulle quali, nel prosieguo del presente commento si avrà modo di tornare per verificarne le conseguenze e provare ad indagarne le ragioni). La prima: se la l. n. 15/2009 aveva inteso devolvere l’azione alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo (art. 4, c. 2, lett. l, n. 2, l. n. 15/2009), il d.lgs. n. 198/2009, invece, ne ha limitato la competenza alla sola giurisdizione (esclusiva) di legittimità, escludendo l’estensione di questa anche al merito (art. 1, c. 7, d.lgs. n. 198/2009). La seconda: l’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo e sanzionatori indicato dalla legge delega tra le cause di lesione degli interessi della pluralità degli utenti o dei consumatori da questi azionabili, 8 Sul punto, v. G. VELTRI, cit.; il quale osserva come, comunque, l’azione prevista dall’art. 4 della l. n. 15/2009 sia “radicalmente diversa da quella di classe poiché ad essere tutelati non sono gli interessi individuali di tutti i componenti della classe, quanto, piuttosto, l’interesse collettivo ed indifferenziato ad un’amministrazione esente da disfunzioni ed inefficienze: interesse collettivo eccezionalmente impersonato da singoli, sebbene al solo fine di correggere il comportamento deficitario e di indirizzarlo verso standard qualitativamente accettabili”. Sempre in relazione ai profili distintivi tra le azioni previste dal Codice del Consumo ed il ricorso per l’efficienza nei servizi pubblici di cui al d.lgs. n. 198/2009, il medesimo Autore, dopo aver rilevato, in riferimento a quest’ultimo, che “l'aspetto qualitativo della prestazione offerta all'utente è assicurato, oltre che dalle determinazioni dell'autorità di regolazione, dalle disposizioni normative che impongono l'adozione delle c.d. carte dei servizi pubblici mediante le quali il gestore assume unilateralmente una serie di obbligazioni volte a garantire predeterminati livelli di qualità nell'erogazione del servizio”, nonché, con particolare riferimento alla devoluzione di tale azione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che “il coacervo di queste fonti di regolazione danno rilievo pubblicistico alle scelte organizzative e gestionali del concessionario che incidono sulla corretta ed efficiente erogazione del servizio, di guisa da giustificare, in chiave costituzionale, la presenza di una giurisdizione esclusiva sulle azioni che siffatta corretta ed efficiente erogazione sono tese a conseguire”, così conclude “posta in questi termini, la controversia, non concerne diritti soggettivi collettivi, riservati, come tali, alla giurisdizione del giudice ordinario in sede di inibitoria collettiva, ex art. 139 e 140, né tantomeno diritti patrimoniali tutelabili ex art. 140 bis (azione di classe), ma, piuttosto, interessi legittimi collettivi ad una buona ed efficiente organizzazione del soggetto privato investito dell’esercizio del pubblico servizio, avuto riguardo alle risorse assegnate e disponibili”. 9 Attualmente, infatti, le disposizioni del d.lgs. n. 198/2009 risultano riprodotte nel Capo III “Azione collettiva per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici” Titolo V “Riti abbreviati relativi a speciali controversie” del Libro IV “Ottemperanza e riti speciali”, del disegno di legge recante il riassetto della disciplina del processo amministrativo, ed ivi inserite agli artt. 136 e ss. del relativo testo. In proposito è interessante notare come la rubrica del Capo III usi l’espressione “azione collettiva”, laddove il d.lgs. n. 198/2009 parli di “ricorso”. 10 Disciplina che invero, attende ancora di essere resa effettiva, in virtù della norma transitoria dettata dall’art. 7 del d.lgs. n. 198/2009, ai sensi del quale: “In ragione della necessità di definire in via preventiva gli obblighi contenuti nelle carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici di cui all'articolo 1, comma 1, e di valutare l'impatto finanziario e amministrativo degli stessi nei rispettivi settori, la concreta applicazione del presente decreto alle amministrazioni ed ai concessionari di servizi pubblici è determinata, fatto salvo quanto stabilito dal comma 2, anche progressivamente, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e di concerto, per quanto di competenza, con gli altri Ministri interessati (comma 1). In ragione della necessità di definire in via preventiva gli obblighi contenuti nelle carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici di cui all'articolo 1, comma 1, e di valutare l'impatto finanziario e amministrativo degli stessi nei rispettivi settori, la concreta applicazione del presente decreto alle regioni ed agli enti locali è determinata, anche progressivamente, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, su conforme parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (comma 2)”. 4 non viene riportato dal decreto delegato; per il quale, quindi, la lesione azionabile può (solamente) derivare, nell’ordine, da: a) “violazione di termini o mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento”; b) “violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei servizi”; c) “violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150” (art. 1, c. 1, d.lgs. n. 198/2009). II. La disciplina del ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici: le parti. Ai sensi dell’art. 1, c. 1, del d.lgs. n. 198/2009 la legittimazione attiva a proporre il “ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici” è riconosciuta, in primo luogo, ai “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori”, i quali devono lamentare “una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi” in conseguenza delle violazioni od omissioni che si sono da ultimo viste in fine del precedente paragrafo. In dottrina si è dibattuto sulla natura che deve essere attribuita ai suddetti “interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità” di soggetti11. Da un lato, si è sottolineato il merito della riforma di trasformare la pretesa degli amministrati, intesi come utenti dei servizi pubblici, ad una “buona amministrazione” da interesse di mero fatto a giuridicamente rilevate12. Dall’altro, poi, si è osservato come “l’espressione pluralità di interessi omogenei, impiegata dall’art. 1 ha un preciso significato tecnico: essa sottintende la distinzione tra tutela collettiva, intesa come riferita ad un bene di natura superindividuale e dunque non suscettibile di appropriazione e godimento esclusivi da parte dei singoli … e come riferita ad una pluralità di interessi individuali, che rinvengono la loro dimensione collettiva nella circostanza di ritrovarsi con identico contenuto in capo a più soggetti”, per cui “l’impiego da parte del legislatore di una precisa locuzione tecnica (pluralità di interessi omogenei) lascia intendere che la situazione, contemplata e tutelata dall’art. 1, è esclusivamente la seconda: quella cioè della pluralità di diritti individuali dello stesso contenuto, lesi da un’unica condotta o anche da più condotte contestuali o parallele”13. In secondo luogo, il successivo c. 4 del medesimo art. 1 attribuisce la legittimazione ad agire, anche alle “associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori di cui al comma 1”; con una formulazione che, invero, lascia alcuni dubbi interpretativi, soprattutto, in rapporto agli altri tipi di azione previsti dal cd. “Codice del Consumo” di cui al d.lgs. n. 206/2005. Anche a tale proposito, la dottrina ha avuto di che discutere, rilevando come il testo della norma non chiarisca se le associazioni ed i comitati in questione siano le medesime “associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale”, inserite nell’elenco di cui all’art. 137 del Codice e legittimate a proporre l’azione di cui al successivo art. 139, ovvero, in parallelo con il novellato disposto dell’art. 140-bis, quelle “associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa” il singolo portatore dell’interesse di classe (giuridicamente rilevante ed omogeneo per una pluralità di soggetti)14; ed optando per quest’ultima 11 Per una vasta disamina, anche in parallelo con le altre forme di azione di tutela previste dal Codice del Consumo, v. G. VELTRI, cit.. 12 In tal senso, v. A. BARTOLINI, cit.. 13 Così, A. SCOGNAMIGLIO, cit.. 14 Sul punto v., S. DORE – G. LECCISI, cit.. 5 ipotesi, sulla base, da una parte, del dato letterale della norma, che non fa alcun riferimento alle associazioni di cui all’art. 137 cit., e, dall’altra, della circostanza che nella medesima direzione è intervenuta la novella dell’art. 140-bis, coeva della nascita dell’azione (collettiva) per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari in commento15. La legittimazione passiva rispetto all’azione ripristinatoria nei servizi pubblici, invece, coinvolge le amministrazioni pubbliche ed i concessionari16 di tali servizi (art. 1, c. 1, d.lgs. n. 198/2009) – e, nello specifico, “gli enti i cui organi sono competenti a esercitare le funzioni o a gestire i servizi cui sono riferite le violazioni e le omissioni di cui al comma 1” (art. 1, c. 5) – con la espressa esclusione delle autorità amministrative indipendenti, degli organi giurisdizionali, delle assemblee legislative e degli altri organi costituzionali, nonché della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 1, c. 1-ter). Tali esclusioni, invero, hanno destato non poche perplessità in dottrina, perché se appare condivisibile la sottrazione degli organi giurisdizionali, delle assemblee legislative e degli altri organi costituzionali17, meno comprensibile – e giustificabile, sotto il profilo della legittimità costituzionale, con particolare riferimento agli artt. 3, 97 e 113 Cost. – appare il regime di favore di cui verrebbe a godere la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un lato, rispetto proprio agli altri dicasteri che è chiamata a presiedere18, così come le autorità amministrative indipendenti, dall’altro, le quali, proprio in ragione della particolare autonomia che viene loro riconosciuta dal ruolo di garanti dell’efficienza e del buon andamento dell’azione amministrativa che sono chiamate a svolgere, non per questo debbono essere sottratte da qualsivoglia forma di controllo19. Per quel che più specificamente attiene la materia dei giochi, delle scommesse e dei concorsi a premi, destinatari dell’azione in commento devono ritenersi, da un lato, le pubbliche amministrazioni aventi potestà nel settore, e, in particolare, l’A.A.M.S. – Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (che, ai sensi dell’art. 4 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, 15 Sul punto v., A. SCOGNAMIGLIO, cit., la quale, dopo aver rilevato come “l’evoluzione della formulazione dell’art. 140-bis costituisce una ulteriore conferma della conclusione raggiunta, che l’omessa espressa menzione delle associazioni rappresentative tra i soggetti legittimati è intenzionale: la legittimazione delle associazioni rappresentative a proporre l’azione collettiva per l’efficienza dell’amministrazione, non espressamente prevista, deve essere esclusa”, osserva, di seguito, che “il dubbio è semmai se, così facendo, il legislatore delegato non abbia tradito le indicazioni della legge delega ed in particolare del criterio enunciato al numero 1) della lett. l), per il quale la proposizione dell’azione deve essere consentita «anche alle associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati» (senza alcun riferimento alla necessaria rappresentanza di una pluralità di interessi omogenei)”. 16 In proposito, deve rilevarsi come la lettera della norma utilizzi il termine “concessionari” e non “gestori”, per cui potrebbero sorgere dubbi interpretativi in merito all’ampiezza dei destinatari “privati” del ricorso per l’efficienza nei servizi pubblici: se solo quelli che esercitano tali servizi sulla base di una concessione o se anche quelli che operano in virtù di un diverso rapporto gestorio con l’amministrazione pubblica. 17 Sul punto, v. A. BARTOLINI, cit., il quale definisce ultronea “l’esclusione dal proprio ambito di operatività degli organi costituzionali e giurisdizionali, essendo già chiaro e palese che questi ultimi non rientrino nel concetto di amministrazioni pubbliche”. 18 In proposito, v. A. BARTOLINI, cit., il quale richiama “la pronuncia della Consulta sul lodo Alfano, dove si è precisato che il Presidente (ma anche la Presidenza) del Consiglio non può beneficiare di privilegi e soprattutto di esenzioni in termini di responsabilità, non essendo, alla luce del quadro costituzionale, primo super pares, ma primo inter pares” e ne deriva che “per la proprietà transitiva le medesime regole considerazioni dovrebbero valere per l’organo Presidenza del Consiglio laddove disposizioni legislative sottraggano la medesima al controllo giudiziario previsto per gli altri ministeri e più in generale per tutte le pubbliche amministrazioni”. 19 In questi termini, v., S. DORE – G. LECCISI, cit., e A. BARTOLINI, cit., il quale osserva come le autorità indipendenti “proprio perché godono di uno statuto giuridico particolare, non sembrano poter essere sottratte al controllo giudiziario previsto per le p.a.: dette amministrazioni, difatti, essendo sganciate dal circuito politicorappresentativo, a maggior ragione devono essere soggette al controllo giudiziario, diventando, altrimenti, istituzioni autoreferenziali”. Sempre in relazione all’esclusione della legittimazione passiva delle autorità indipendenti, A. SCOGNAMIGLIO, suggerisce un contrasto con i criteri enunciati dalla legge delega, che aveva previsto che l’azione potesse essere esperita anche nel caso di mancato esercizio di poteri di vigilanza, di controllo e sanzionatori, “ovvero rispetto ad attività spesso assegnate ad amministrazioni indipendenti” (così, op. cit.). 6 convertito in legge con modificazioni dall’art. 1 della legge 8 agosto 2002, n. 178, “svolge tutte le funzioni in materia di organizzazione ed esercizio dei giochi, scommesse e concorsi pronostici”) e, dall’altro, i privati concessionari, sia a livello nazionale che locale20, i quali, come si è detto all’inizio, devono considerarsi, a tutti gli effetti di legge, gestori di servizi pubblici. Per quanto riguarda la prima, occorre tuttavia rilevare come uno dei ruoli principali da questa svolti, quale soggetto regolatore del settore dei giochi, non sembra essere ricompreso nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 198/2009, per lo meno in quello dal suo art. 1 ristretto rispetto alla originaria previsione dell’art. 4 della l. n. 15/2009. Si è avuto modo di vedere nel precedente paragrafo, infatti, come la legge delega, tra i presupposti dell’azione, avesse indicato la lesione di interessi giuridicamente rilevanti derivata anche “dall’omesso esercizio di poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori” (art. 4, c. 2, lett. l, l. n. 15/2009); previsione che, tuttavia, è rimasta nella penna del legislatore delegato, che non ha inserito tale ipotesi tra quelle legittimanti l’azione. Anche per quel che concerne i secondi, invero, l’azione in esame potrebbe rivelarsi un’arma spuntata: come si è già anticipato, infatti, la giurisdizione del giudice amministrativo che nel disegno della legge delega avrebbe dovuto essere “esclusiva e di merito”, nell’attuazione di cui al decreto delegato è diventata solo “esclusiva”. Si tratta di un altro profilo, gemello del precedente, che è rimasto anch’esso nella penna del legislatore delegato e che appare, altresì, limitante dei poteri che il giudice può esercitare nel corso del giudizio instaurato con il ricorso per l’efficienza nei servizi pubblici. Appare difficile comprendere, infatti, come tale giudice, munito della sola potestà che è propria della giurisdizione amministrativa di legittimità, possa sindacare le questioni relative al merito della gestione effettiva e concreta del servizio pubblico (di cui si lamenta il non corretto svolgimento o la non corretta erogazione) – le quali necessariamente coinvolgono anche le scelte organizzative del concessionario – e, conseguentemente, disporre le misure più idonee per consentirne il ripristino (sul punto si tornerà più avanti, sub IV). Non a caso, del resto, come è stato rilevato in dottrina21, la formulazione dell’art. 4, c. 2, lett. l, n. 4, della l. n. 15/2009 (di delega), stabiliva che il legislatore delegato avrebbe dovuto “prevedere che, all'esito del giudizio, il giudice ordini all'amministrazione o al concessionario di porre in essere le misure idonee a porre rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati adempimenti”; misure che, quindi, sarebbe stato lo stesso giudice a poter – in quanto dotato di una potestà giurisdizionale esclusiva e di merito (art. 4, c. 2, lett. l, n. 2) – individuare e, pertanto, a dover imporre. Mentre, il d.lgs. n. 198/2009 (delegato) ha escluso la cognizione di merito del giudice amministrativo (art. 1, c. 7) e, conseguentemente, ha soppresso ogni riferimento alle “misure idonee”, sfumando l’ordine giudiziale alla pubblica amministrazione o al concessionario in una mera assegnazione di un “congruo termine” – sulla perentorietà del quale si tornerà più avanti – entro il quale “porvi rimedio” (art. 4, c. 1); con ciò, quindi, lasciando agli intimati la concreta individuazione delle misure da adottare. A tale proposito, invero, la medesima dottrina ha avuto modo di sostenere che proprio la presenza di soggetti privati tra i concessionari di servizi pubblici potrebbe essere una delle ragioni che ha spinto il legislatore delegato ad escludere, in sede di adozione del d.lgs. n. 198/2009, l’estensione anche al merito della giurisdizione del giudice amministrativo (con le conseguenze che si sono viste), al fine di salvaguardare l’autonomia organizzativa e gestionale di tali soggetti22. 20 In tal senso, v., S. DORE – G. LECCISI, cit., i quali sottolineano come, in relazione ai concessionari di servizi pubblici “la genericità della formulazione consente di fare riferimento sia ai gestori nazionali sia a quelli locali”. 21 In proposito, v. A. SCOGNAMIGLIO, cit. 22 Sul punto, v. A. SCOGNAMIGLIO, cit., la quale osserva come, nel passaggio dalla legge delega al decreto delegato, “la diversa formulazione della norma e la diversa qualificazione del tipo di giurisdizione attribuita al giudice 7 III. (segue): il giudizio. Sotto il profilo procedurale, il d.lgs. n. 198/2009, sulla scorta dello schema già previsto dall’art. 140-bis del d.lgs. n. 206/2005 per l’azione di classe, impone un adempimento preliminare alla proposizione dell’azione giudiziaria, per cui “il ricorrente notifica preventivamente una diffida all'amministrazione o al concessionario ad effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi utili alla soddisfazione degli interessati” (art. 3, c. 1). Destinatario di detta diffida è “l'organo di vertice dell'amministrazione o del concessionario”, il quale, è conseguentemente tenuto a: i) assumere “senza ritardo le iniziative ritenute opportune”; ii) individuare “il settore in cui si è verificata la violazione, l'omissione o il mancato adempimento”; iii) curare “che il dirigente competente provveda a rimuoverne le cause”; nonché iv) comunicare all’autore della diffida tutte le iniziative assunte (art. 3, c. 1)23. Pertanto, “il ricorso è proponibile se, decorso il termine di cui [alla diffida], l'amministrazione o il concessionario non ha provveduto, o ha provveduto in modo parziale, ad eliminare la situazione denunciata”; con l’avvertenza che l’azione deve essere promossa “entro il termine perentorio di un anno dalla scadenza del termine di cui [alla medesima diffida]” (art. 3, c. 2). La proposizione del ricorso – che deve avvenire “nei confronti degli enti i cui organi sono competenti a esercitare le funzioni o a gestire i servizi cui sono riferite le violazioni e le omissioni” contestate (art. 1, c. 5) – comporta una serie di adempimenti in capo ai suoi destinatari che rispondono ai principi di pubblicità e di trasparenza, per cui ne deve essere “data immediatamente notizia sul sito istituzionale dell'amministrazione o del concessionario intimati” e deve essere “altresì comunicato al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione” (art. 1, c. 2). La finalità di tali prescrizioni appare duplice: da un lato, infatti, mirano a consentire ai “soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente [di] intervenire nel termine di venti giorni liberi prima dell'udienza di discussione del ricorso” (art. 1, c. 3); e, dall’altro, correlativamente, attivano un processo di responsabilizzazione interno agli enti intimati, cui spetta l’ulteriore incombente di informare “immediatamente della proposizione del ricorso il dirigente responsabile di ciascun ufficio coinvolto, il quale può intervenire nel giudizio” (art. 1, c. 5). Il giudice (amministrativo), ricevuto il ricorso, deve, in primo luogo, fissare d’ufficio la prima udienza di discussione del ricorso “in una data compresa tra il novantesimo ed il centoventesimo giorno dal deposito” dello stesso (art. 1, c. 3) e, in secondo luogo, verificare la sussistenza dei presupposti dell’azione, giudicando la sussistenza della lesione dell’interesse (giuridicamente rilevante ed omogeneo per una pluralità di utenti e consumatori) fatto valere, tenendo conto “delle risorse strumentali, finanziarie, e umane concretamente a disposizione delle parti intimate” (art. 1, c. 1-bis)24; quindi, “nella prima udienza, se ritiene che le violazioni o le amministrativo sembrano scontare proprio la difficoltà di sottoporre i concessionari privati, che godono di autonomia costituzionalmente protetta, all’esercizio di poteri così penetranti da parte del giudice”. 23 La medesima norma prevede, altresì, che “l'amministrazione o il concessionario destinatari della diffida, se ritengono che la violazione, l'omissione o il mancato adempimento sono imputabili altresì ad altre amministrazioni o concessionari, invitano il privato a notificare la diffida anche a questi ultimi”. 24 In proposito, A. SCOGNAMIGLIO, cit., ha rilevato l’anomalia di tale previsione, in quanto afferente “un ordine di valutazioni che intervengono in genere nella fase conclusiva del processo e riguardano non già l’esistenza del diritto, ma le modalità, ed anche i limiti, della sua concreta soddisfazione: nel caso del comma 1 bis, invece, le valutazioni circa l’eccessiva onerosità o l’impossibilità di adempiere, per l’amministrazione intervengono nella fase introduttiva e condizionano la stessa procedibilità della domanda”, avvertendo come, in tal modo, la norma in questione “offre all’amministrazione un’arma agevole per paralizzare il ricorso fin dal suo nascere, solo che essa dimostri la limitatezza delle risorse strumentali, finanziarie ed umane (prova che non è difficile fornire)”. 8 omissioni sono ascrivibili ad enti ulteriori o diversi da quelli intimati, ordina l'integrazione del contraddittorio” (art. 1, c. 5). Si è visto come nel giudizio sia ammesso l’intervento, da un lato, dei “soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente” (art. 1, c. 3) e, dall’altro, dal “dirigente responsabile di ciascun ufficio [dell’amministrazione o del concessionario intimati] coinvolto” (art. 1, c. 5). Per il primo, invero, la norma prescrive il termine di “venti giorni liberi prima dell'udienza di discussione del ricorso”, mentre per il secondo non viene indicata alcuna scadenza: tuttavia, in un’ottica sistematica, si è portati a ritenere che l’intervento in giudizio del dirigente dell’ente intimato debba comunque avvenire entro l’udienza fissata dal giudice, per non dilatare i tempi del giudizio medesimo per il quale il decreto delegato sembra aver dettato una disciplina improntata ad un principio di celerità (come dimostra la disposizione di natura acceleratoria contenuta nell’art. 1, c. 3, che prevede che “l'udienza di discussione del ricorso … viene fissata d'ufficio, in una data compresa tra il novantesimo ed il centoventesimo giorno dal deposito del ricorso”)25. L’unica ipotesi di “rallentamento” processuale, invero, è stabilita dall’art. 2, c. 2, del d.lgs. n. 198/2009, che disciplina i “Rapporti con le competenze di regolazione e controllo e con i giudizi instaurati ai sensi degli articoli 139, 140 e 140-bis del Codice del Consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206”26. Il primo comma di tale art. 2 riguarda i casi in cui “un organismo con funzione di regolazione e di controllo istituito con legge statale o regionale e preposto al settore interessato [che si deve ritenere essere, nella materia specifica che qui interessa, l’A.A.M.S.] ha instaurato e non ancora definito un procedimento volto ad accertare le medesime condotte oggetto dell'azione” ovvero “in relazione alle medesime condotte, sia stato instaurato un giudizio ai sensi degli articoli 139, 140 e 140-bis del Codice del Consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206”, e ne fa derivare la non proponibilità del ricorso27. Il successivo secondo comma, invece, concerne le ipotesi opposte, in cui i suddetti procedimenti – amministrativo (da parte dell’organismo di regolazione e di controllo del settore) o giudiziale (ai sensi degli artt. 139 e 140 del Codice del Consumo, ma non anche, in questo caso, dell’art. 140-bis) 25 In riferimento all’intervento in giudizio del dirigente, G. VELTRI, cit., mettendolo in relazione con la mancata estensione anche al merito della potestà giurisdizionale del giudice cui è devoluta l’azione ripristinatoria nei servizi pubblici, osserva come “l’intervento in giudizio del dirigente cui è imputabile la disfunzione è evidentemente strumentale ad introdurre nel giudizio cause di giustificazione di carattere organizzativo, problematicità ambientali, difficoltà strutturali, condizioni oggettive e soggettive del personale assegnato, insomma, gli elementi concreti che hanno indotto a privilegiare alcune scelte organizzative piuttosto che altre o che hanno reso oggettivamente inevitabile la violazione degli standard: è in questo giudizio che il dirigente predispone la difesa dell’operato svolto, in vista della sua eventuale chiamata in responsabilità da parte dell’amministrazione”, conclude sottolineando come tale giudizio dovrebbe essere – al contrario di come è stato disciplinato dal d.lgs. n. 198/2009 e, viceversa, in linea con quanto originariamente previsto dalla l. n. 15/2009 – “caratterizzato da un sindacato profondo ed intrinseco sull’azione amministrativa, ben diverso dai consueti schemi del giudizio di legittimità”. 26 In relazione a tale articolo, S. DORE – G. LECCISI, cit., rilevano come l’art. 4, c. 2, lett. l), n. 7 della l. n. 15/2009 delegasse a “prevedere strumenti e procedure idonei ad evitare che l’azione […] nei confronti dei concessionari di servizi pubblici possa essere proposta o proseguita, nel caso in cui un’autorità indipendente o comunque un organismo con funzioni di vigilanza e controllo nel relativo settore abbia avviato sul medesimo oggetto il procedimento di propria competenza” e che, quindi, “il perimetro della delega, alla luce di un’interpretazione letterale della disposizione, sembra riguardare solamente i procedimenti relativi ai concessionari di pubblici servizi e non anche quelli instaurati nei confronti delle altre pubbliche amministrazioni: la previsione di strumenti di sospensione o arresto del ricorso per l’efficienza anche nei confronti di queste ultime potrebbe quindi non essere consentita dal perimetro della delega e, quindi, risultare costituzionalmente illegittima”. 27 In proposito, si è portati a ritenere che una delle finalità sottese all’intervento in giudizio dei dirigenti degli enti intimati possa rintracciarsi proprio in quella di consentire l’ingresso nel medesimo giudizio delle informazioni relative alla pendenza di altri procedimenti volti alla rimozione di identiche condotte lesive degli stessi enti intimati. In tal senso, infatti, sembra operare il terzo comma dell’art. 2, in esame, che stabilisce che: “Il soggetto contro cui è stato proposto il ricorso giurisdizionale di cui all'articolo 1 comunica immediatamente al giudice l'eventuale pendenza o la successiva instaurazione del procedimento di cui ai commi 1 e 2, ovvero di alcuno dei giudizi ivi indicati, per l'adozione dei conseguenti provvedimenti rispettivamente previsti dagli stessi commi 1 e 2”. 9 – vengano iniziati dopo la proposizione del ricorso di cui al d.lgs. n. 198/2009: il quale, viene sospeso dal giudice “fino alla definizione dei predetti procedimenti o giudizi”28. A tale riguardo, occorre dar conto delle perplessità suscitate in dottrina dalla disposizione di cui al primo comma dell’art. 2 in esame, la quale, a differenza di quella di cui al successivo secondo comma, sembra porre tutte le azioni previste dal Codice del Consumo, indistintamente, in posizione di alternatività rispetto a quella di cui al d.lgs. n. 198/2009 in commento. Si è osservato, infatti, come “mentre per l’azione collettiva esperita nei confronti del gestore del servizio pubblico e tesa all’eliminazione delle cause del disservizio (inibitoria) sussiste la giurisdizione esclusiva del GA, ex art. 140 comma 11 del Codice del Consumo e art. 1 comma 7 del d.lgs 198/2009, per quella individuale o di classe, ex art. 140 bis del Codice del Consumo, sussiste quella ordinaria, trattandosi di danni da inadempimento contrattuale”, con la conseguenza che “correttamente la norma di coordinamento fissa il principio di alternatività fra ricorso per l’efficienza e inibitoria collettiva (electa una via non datur recursum ad alteram): trattasi, infatti, di controversie del tutto analoghe, salvo che per i profili di legittimazione attiva”; laddove “ciò che non è invece comprensibile è la relazione di alternatività individuata fra il ricorso per l’efficienza e la class action di cui all’art. 140 bis [in quanto] non dovrebbe esser in teoria possibile che la “medesima condotta” possa risultare posta a base di entrambe le azioni, essendo la stessa traguardata, da un lato, nei suoi aspetti organizzativi e gestionali (disservizio), e dall’altro in quelli contrattuali connessi al rapporto con l’utenza (inadempimento)”29. IV. (segue): la sentenza e la sua esecuzione. Il giudice, qualora accerti la violazione, l’omissione o l’inadempimento lamentati dal ricorrente, ne accoglie la domanda, per l’effetto “ordinando alla pubblica amministrazione o al concessionario di porvi rimedio entro un congruo termine” – che, nel silenzio della legge, dovrà presumibilmente assegnare ed indicare nella sentenza –, con la precisazione, di nuovo, che tale rimedio debba intervenire “nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” (art. 4, c. 1). In proposito, occorre notare come la lettera della norma parli di “congruo termine”, senza espressamente qualificarlo come perentorio; e la dottrina ha subito rimarcato “la necessità fondamentale di prevedere la perentorietà del termine per l’esecuzione dell’ordine del giudice che definisce il giudizio con sentenza di accoglimento: infatti, in assenza di un termine perentorio, la possibilità di eseguire la sentenza rischierebbe di essere vanificata dall’eccezione, prevista dal medesimo comma, dei limiti delle risorse strumentali, finanziarie e umane nonché degli oneri per la finanza pubblica”30. Tale ultimo limite ai poteri del giudice connesso all’esclusione di ogni eventuale aggravio di spesa pubblica, invero, oltre a rappresentare un limite alla stessa operatività dell’azione in 28 Il medesimo art. 2, c. 2, in esame, conclude prevedendo, da un lato, l’improcedibilità del ricorso, “a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che definisce nel merito il giudizio instaurato ai sensi dei citati articoli 139 e 140”; e, dall’altra, la sua perenzione in caso di mancata riassunzione entro 120 giorni dalla definizione del procedimento avviato da parte dell’organismo di regolazione e di controllo del settore “ovvero dalla definizione con pronuncia non di merito sui giudizi instaurati ai sensi degli stessi articoli 139 e 140”. 29 Così, G. VELTRI, cit., il quale osserva ulteriormente come “anche a voler sostenere che la condotta sia in fondo sostanzialmente la medesima, id est, la violazione degli standard previamente stabiliti, ciò che continua a rimanere oscura è la ragione della prevista alternatività; i due giudizi tendono ad risultanti affatto diversi: il ripristino della qualità del servizio, l’una, secondo una logica di diretto intervento nel processo di produzione, il risarcimento dei danni derivanti dall’illecito contrattuale l’altra, secondo una diversa logica riparatoria che, solo indirettamente può riverberare sul processo di produzione”. 30 Così, v., S. DORE – G. LECCISI, cit.. 10 commento, potrebbe costituire una discriminazione nei confronti dei concessionari privati, per i quali tale limitazione potrebbe non operare (salvo il caso in cui l’esecuzione della sentenza non comporti, ad esempio, una revisione di quanto stabilito in concessione che, quindi, in ultima analisi, si traduca in un maggiore onore per la finanza pubblica). Sempre in tema di limitazioni, si è detto (sub I) dell’esclusione della possibilità di chiedere il risarcimento del danno con l’azione in commento: delle ragioni di tale scelta del legislatore già in sede di delega, e delle critiche che le sono state mosse in dottrina, preoccupata dalla ridotta efficacia del rimedio giudiziale così previsto. Invero la rilevata inefficacia viene paventata sia nei confronti dei destinatari stessi dell’azione, i cui comportamenti contrastanti con la corretta erogazione del servizio pubblico cui sono preposti non verrebbero stigmatizzati con la forza necessaria per imporre loro un miglioramento, sia in relazione all’appeal che tale azione può avere per coloro che sono legittimati a proporla31. Un qualche forza cogente alla sentenza potrebbe, tuttavia, derivare dalla previsione secondo cui le devono essere garantite le medesime forme di pubblicità che si sono viste accompagnare la proposizione del ricorso; e, quindi, ne deve essere notizia sul sito istituzionale dell'amministrazione o del concessionario intimati, nonché comunicazione al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione (v. l’art. 4, c. 2, che richiama l’art. 1, c. 2). Non solo: sono previste anche ulteriori forme di pubblicità diverse a seconda che la sentenza accolga una domanda nei confronti della pubblica amministrazione ovvero di un concessionario. Nel primo caso, “è comunicata, dopo il passaggio in giudicato, agli organismi con funzione di regolazione e di controllo preposti al settore interessato, alla Commissione e all'Organismo di cui agli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 32, alla procura regionale della Corte dei Conti per i casi in cui emergono profili di responsabilità erariale, nonché agli organi preposti all'avvio del giudizio disciplinare e a quelli deputati alla valutazione dei dirigenti coinvolti, per l'eventuale adozione dei provvedimenti di rispettiva competenza” (art. 4, c. 3). Nel secondo, invece, “è comunicata all'amministrazione vigilante [che si deve ritenere essere, anche qui, l’A.A.M.S.] per le valutazioni di competenza in ordine all'esatto adempimento degli obblighi scaturenti dalla concessione e dalla convenzione che la disciplina” (art. 4, c. 4); valutazioni che, in teoria, potrebbero anche arrivare a sfociare, nei casi di gravi inadempimenti, in una sospensione o, addirittura, in una revoca della concessione. I principi di pubblicità e trasparenza informano anche la fase ripristinatoria del corretto esercizio del servizio, successiva all’adozione della sentenza, per cui “le misure adottate in ottemperanza alla sentenza sono pubblicate sul sito istituzionale del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e sul sito istituzionale dell'amministrazione o del concessionario soccombente in giudizio” (art. 4, c. 6). Qualora, invece, amministrazione o concessionario non ottemperino, il d.lgs. n. 198/2009 consente, solo nei confronti della prima, di agire con il ricorso per 31 In proposito, S. DORE – G. LECCISI, cit., hanno proposto di inserire la previsione, in caso di accoglimento del ricorso, della condanna della parte resistente (amministrazione o concessionario) al pagamento delle spese di giudizio, osservando come “una previsione del genere consentirebbe ai ricorrenti di evitare di sostenere oneri patrimoniali di qualsiasi natura in caso di accertata violazione degli obblighi da parte della Pubblica Amministrazione” e dei suoi concessionari. 32 Nello specifico, l’art. 13 disciplina la “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche”, la quale “opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica e con il Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ed eventualmente in raccordo con altri enti o istituzioni pubbliche, con il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale, informando annualmente il Ministro per l'attuazione del programma di Governo sull'attività svolta”; mentre il successivo art. 14 gli “Organismi indipendenti di valutazione della performance” di cui devono dotarsi le amministrazioni, singolarmente o in forma associata, in sostituzione dei servizi di controllo interno di cui al d.lgs. n. 286/1999. 11 l’ottemperanza di cui all’art. 27, c. 1, n. 4, del regio decreto 26 giugno 1924 n. 1054, mentre nulla è detto nel caso di inottemperanza del secondo. In proposito della possibilità di ricorrere al giudizio di ottemperanza, occorre svolgere una serie di considerazioni, sia sull’operatività in generale di tale istituto nel caso di specie, sia sull’esclusione dal novero dei legittimati dei concessionari privati. Sotto il primo profilo, si è già avuto modo di sottolineare (sub II) come i poteri del giudice siano limitati in modo rilevante dalla mancata loro estensione anche al merito, in quanto “molte delle questioni coinvolte dall’azione di classe sono tradizionalmente considerate come questioni attinenti al merito amministrativo, e come tali non sindacabili in sede di legittimità”33. Tale limitazione, a ben vedere, riverberandosi sulla portata – e, quindi, in ultima analisi, sull’incisività stessa – dell’ordine che può essere disposto in sentenza, finisce inevitabilmente per pregiudicare anche l’efficacia del rimedio giudiziale dell’ottemperanza ad essa. Quest’ultimo, “com’è noto esteso anche al merito, ha infatti ad oggetto una pronuncia che costituisce, al contempo, il fondamento ed il limite dell’area di cognizione” e, pertanto, “si risolve in uno strumento spuntato se nella pronuncia non sono già state vagliate le cause attuali e remote che si annidano fra le pieghe dell’organizzazione amministrativa, nonché le soluzioni, compatibili con le risorse assegnate, idonee ad assicurare il rispetto degli standard”34. Per quel che concerne, invece, il secondo profilo di criticità, connesso alla limitazione del ricorso al giudizio di ottemperanza nei confronti delle sole amministrazioni pubbliche, con l’esclusione dei concessionari, in dottrina è stato osservato come, nei confronti di questi ultimi, la mancata previsione dei poteri sostitutivi di cui all’art. 27, c. 1, n. 4 del r.d. n. 1054/1924 sia da ritenere ammissibile, trattandosi di soggetti di autonomia privata; ma che, tuttavia, “è riscontrabile un difetto di coordinamento con la disciplina dell’inibitoria civile, di cui all’art. 140 cod. cons.”, il cui settimo comma “prevede un sistema di astreinte35: per ogni inadempimento rispetto agli ordini contenuti nella sentenza che definisce il giudizio, o per ogni giorno di ritardo, il giudice dispone il pagamento di una somma di denaro, la cui entità è commisurata alla gravità del fatto”, con la conclusione che “la mancata previsione di un sistema analogo, nell’art. 5, non solo compromette l’effettività delle pronunce rese ex d.lgs. n. 198/2009 nei confronti dei privati concessionari di pubblici servizi, ma determina una disparità di trattamento tra soggetti privati, che è difficilmente giustificabile”36. 33 Così, A. BARTOLINI, cit.. Così, G. VELTRI, cit.. 35 Le astreintes, com’è noto, sono modelli giurisprudenziali presenti nell'ordinamento francese di coercizione indiretta al fine di spingere un obbligato inadempiente alla coazione all’adempimento, e consistono in una somma da pagare da parte del debitore inadempiente qualora questo si rifiuti di ottemperare all'ordine del giudice di eseguire la prestazione dovuta. 36 Così, A. SCOGNAMIGLIO, cit.. 34 12