Città che si adattano

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Città che si adattano
ASSICURAZIONI
Il preventivo non basta
RC Auto: come funzionano
i confronti online
pag. 18
REFERENDUM
Cambia la Costituzione
Senato e non solo: tutti
gli elementi per decidere
pag. 34
FINANZA
Italiani mal-educati
Il nostro piccolo manuale
di educazione finanziaria
pag. 44
MUSICA
Storia di un cantautore
Intervista a Diodato,
tra Sanremo e Taranto
pag. 62
Città che si adattano
Da Rotterdam a Copenhagen,
viaggio tra i centri che si preparano
al cambiamento climatico
Spedizione in a.p. - d.l. 353/2003 Art.1,
Comma 1, DCB Milano - Contiene I.C.
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Numero 181 / Aprile 2016
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PAGINA UNO
Le società moderne
dipenderanno sempre
più dalla capacità
di essere comunità
creative, adattabili,
piene di inventiva, ben
informate e flessibili,
in grado di rispondere
generosamente le une
alle altre e ai bisogni,
ovunque essi sorgano.
Richard Wilkinson
e Kate Pickett
Richard Wilkinson è professore emerito all’Università
di Nottingham; Kate Picket è docente all’Università di York.
La citazione è tratta da “La misura dell’anima. Perché
le disuguaglianze rendono le società più infelici” (2009)
Altreconomia fa scuola:
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“Cambiamo registro!” è il progetto di Altreconomia,
sostenuto da Fondazione Cariplo, dedicato agli
studenti delle classi IV e V delle scuole superiori di
tutta la Lombardia: incontri formativi con i giornalisti
della rivista sui temi dell’economia solidale e degli stili
di vita sostenibili, direttamente a scuola. L’iniziativa
non ha alcun costo per studenti e istituti, e al termine
di ogni incontro ogni partecipante riceverà in omaggio
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cartaceo e digitale. Si va avanti per tutto il 2017!
Con il contributo di:
foto: istockphoto.com
PER INFORMAZIONI:
studenti
Editoriale
di Pietro Raitano
Una donna
di 49 anni. Il ritaglio di giornale è appeso dietro le nostre scrivanie dal settembre 2013. Poco più di un trafiletto, 360 parole
in tutto. Il titolo: “Quei tre italiani che tornano a vivere grazie
alla siriana morta dopo lo sbarco”. Una storia minima: l’infermiera era sbarcata in Sicilia
con il marito -un piccolo imprenditore- e i due figli adolescenti. La Sicilia sarebbe stata
solo una tappa: i quattro erano diretti in Svezia, per raggiungere il terzo figlio, il maggiore. Le condizioni della donna erano già gravi quando la Guardia costiera di Siracusa intercetta il barcone, dopo cinque giorni in mare. Poi l’arresto cardiaco. I medici dell’Umberto
I chiedono al marito l’assenso all’espianto degli organi, il quale “non ha un attimo di esitazione”, si legge nel pezzo. Che riporta anche le parole del medico rianimatore che ha assistito la donna: “È stata un’esperienza toccante, che insegna che cosa è la vera solidarietà.
Il marito e i due figli in un momento di grande disperazione ci hanno regalato tutto quello
che avevano con una dignità davvero esemplare”. Il fegato e i reni sono stati trapiantati a
due uomini calabresi e una donna di Catania. L’uomo che ha ricevuto il fegato era in attesa
dal 2009. L’articolo riferisce anche le parole del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin:
“Un gesto commovente. È l’esempio che anche in situazioni drammatiche di estremo bisogno come sono quelle dei profughi che arrivano sulle nostre coste, ci sono persone che
riescono a compiere gesti d’amore verso il prossimo che vanno silenziosamente a beneficio
di altri”. Non sappiamo altro di quella donna, e dei tre italiani la cui vita ha salvato.
Fine della storia.
Mentre si intravedono deboli segnali di pace -il 26 febbraio 2016 è entrato in vigore un
accordo per una cessazione temporanea delle ostilità-, a marzo si è concluso il quinto
anno di conflitto in Siria, “un conflitto che ha trasformato gli abitanti in ombre e le città
in cumuli di rovine”, come hanno scritto 30 organizzazioni umanitarie -tra cui Oxfam,
Save the Children, Norwegian Refugee Council, Care International e organizzazioni della
società civile siriana come The Syrian-American Medical Society, Big Heart e Syria Relief
and Development- nel rapporto “Siria: benzina sul fuoco”. “Il governo siriano e i suoi alleati, al pari delle opposizioni armate dei gruppi estremisti, hanno la responsabilità diretta e primaria dell’orribile realtà che i civili siriani sono costretti ad affrontare in questa
cupa ricorrenza. Hanno preso di mira i civili, posto sotto assedio città e villaggi e negato
l’accesso all’assistenza umanitaria, l’unica in grado di salvare vite”. I numeri sono sconcertanti: nell’ultimo anno ci sono state almeno 50mila vittime, gli attacchi contro strutture
mediche sono aumentati del 44%, sono state distrutte 200mila abitazioni in più rispetto al
2014, le persone bisognose di aiuto umanitario sono aumentate di 1,5 milioni, gli sfollati
sono un milione in più, oltre 4,5 milioni di persone vivono in località praticamente impossibili da raggiungere, 500mila persone vivono sotto assedio (il doppio rispetto al 2014).
L’aspettativa di vita -che nel 2010 era di 80 anni- oggi è di 55, la disoccupazione al 53%,
il tasso di povertà l’85%. Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Iran,
Qatar e Turchia hanno intensificato nel corso dell’ultimo anno -il più tragico dall’inizio
del conflitto- il proprio impegno militare in Siria. In particolare, i bombardamenti russi
hanno avuto “un impatto particolarmente negativo” sui civili.
Fermare la guerra
attraverso la guerra
è il paradosso che
sta cancellando un
intero Paese.
Nel 2015, il conflitto
in Siria ha prodotto
50mila morti e
distrutto altre
200mila abitazioni.
Pace e solidarietà
non sono utopie,
come dimostra una
drammatica vicenda
accaduta quasi 3
anni fa
“La guerra mi appare ignobile e spregevole -scrisse Albert Einstein, anch’egli profugo il
cui genio celebriamo da un secolo-. Sarei piuttosto disposto a farmi tagliare a pezzi che
partecipare a un’azione così miserabile. Eppure, nonostante tutto, io stimo tanto l’umanità
da essere persuaso che questo fantasma malefico sarebbe da lungo tempo scomparso se il
buon senso dei popoli non fosse sistematicamente corrotto, per mezzo della scuola e della
stampa, dagli speculatori del mondo politico e del mondo degli affari”.
3
Aprile 2016
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Colophon
Direttore responsabile
Pietro Raitano
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Redazione
Duccio Facchini
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Luca Martinelli
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Grafico
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Hanno scritto in questo numero
Piero Pelizzaro
Maurizio Bongioanni
Angelo Mastrandrea
Luigi Montagnini
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Paolo G. Graziano
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Tomaso Montanari
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Direzione e redazione
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646 soci, 595 persone fisiche e 51 persone giuridiche.
Il capitale sociale è di 192.950 euro.
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sono 30.
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n. 791, 24.12.1999 Sped. abb. postale
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Progetto grafico
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In copertina
Una veduta della città di Rotterdam
dalla torre Euromast: si vedono la zona
centrale e commerciale della città, il
parco Euromast, il fiume Mosa
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4
Altreconomia
Numero 181
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il 15 marzo 2016 alle 20.00
Sommario
Altreconomia
Aprile 2016
181
In copertina
Secondo tempo
Rubriche
AMBIENTE
FINANZA
OBIETTIVO
Città che si adattano
Reportage dalle capitali della resilienza
di Piero Pellizzaro
pag. 10
Primo tempo
CONSUMI
Assicurazione auto online: chi sono e
come operano i “comparatori”
di Maurizio Bongioanni
pag. 18
FINANZA
I “Big Three” della consulenza
mondiale, sconosciuti e potenti
di Duccio Facchini
pag. 22
Mercati, questi sconosciuti. Piccola
guida all’educazione finanziaria
di Luca Martinelli
pag. 44
ECONOMIE SOLIDALI
La filiera biodiversa del grano nel
Parco agricolo a Sud di Milano
di Duccio Facchini
pag. 50
TERRITORI
Un patrimonio nascosto
sulle rive dell’Adda
di Duccio Facchini
pag. 54
Terzo tempo
a cura della redazione
pag. 6
MONITOR
a cura della redazione
pag. 8
IL VOLO A PEDALI
di Luigi Montagnini
pag. 29
BUONE NOTIZIE SUL CLIMA
di Stefano Caserini
pag. 30
DISTRATTI DALLA LIBERTÀ
di Lorenzo Guadagnucci
pag. 42
SOCIAL COHESION DAYS
DIRITTI
Agro pontino, tra i migranti sfruttati
a tempo indeterminato
di Angelo Mastrandrea
pag. 26
FINANZA
Le banche e l’Euribor: gli effetti del
cartello sul tasso dei mutui
di Luca Martinelli
pag. 31
MUSICA
Antonio Diodato
Storia di un cantautore
di Pietro Raitano
pag. 62
di Paolo R. Graziano
pag. 49
AVVISO PUBBLICO
di Pierpaolo Romani
pag. 53
EDITORIA
Rigenerazioni: la riscossa
delle librerie indipendenti
di Stefano Zoja
pag. 65
PIANO TERRA
di Paolo Pileri
pag. 59
UN VOLTO CHE CI SOMIGLIA
INTERNI
Non solo Senato: ecco la “riforma”
che stravolge la Costituzione
di Duccio Facchini
pag. 34
LA PAGINA DEI LIBRAI
a cura di Cristina Di Canio
pag. 70
di Tomaso Montanari
pag. 69
AGENDA
a cura della redazione
pag. 71
ENTI LOCALI
Garanzie svanite, la città di Pisa
è in “seria sofferenza”
di Luca Martinelli
pag. 39
IDEE ERETICHE
di Roberto Mancini
pag. 72
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Aprile 2016
www.altreconomia.it
OBIETTIVO
La frontiera della Fortezza Europa
Foto di Nicola Marfisi / Agenzia Fotogramma
Secondo i dati pubblicati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
(data.unhcr.org), quasi 150mila persone hanno attraversato il Mediterraneo nei primi
60 giorni del 2016. Il 1.000% in più rispetto al 2015, anno in cui sono giunti in Europa
un milione di migranti. 440 i morti -accertati- durante il tragitto al primo marzo.
LE ROTTE DEI MIGRANTI NEL 2016
Oltre il 93% degli sbarchi registrati nei primi due mesi dell’anno è avvenuto in Grecia
148.917
GERMANIA
AUSTRIA
SLOVENIA
CROAZIA
9.482
ITALIA
BOSNIA
HERZEGOVINA
gli arrivi dal Mediterraneo
SERBIA
Arrivi
BULGARIA
MONTENEGRO
Le principali
rotte seguite
dai migranti
MACEDONIA
ALBANIA
138.977
GRECIA
TURCHIA
L’ANNO CHE VERRÀ
2016
2015
I primi due mesi del 2016 hanno misurato una pressione migratoria inedita
200.000
Febbraio 2015
7.217
150.000
Febbraio 2016
60.880
100.000
50.000
0
GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU.
CHI MIGRA
Un terzo sono bambini
LUG. AGO. SET.
OTT. NOV. DIC.
LE PRINCIPALI NAZIONALITÀ
Quasi la metà dei migranti sono siriani
46%
Siria
44%
uomini
Afghanistan
25%
Iraq
20%
donne
36%
bambini
Fonte: UNHCR, marzo 2016
6
Altreconomia
Numero 181
16%
Pakistan
3%
Iran
3%
In Italia, la nazionalità più rappresentata è quella nigeriana
(17%) seguita dai cittadini del Gambia (11%) e Guinea (10%)
Al confine greco
macedone, nel campo
profughi di Idomeni,
dove alla metà
di marzo 2016 sono
rimasti bloccati
16mila profughi
7
Aprile 2016
www.altreconomia.it
Osservatorio
sul mondo
I diritti dall’altra
parte dell’Oceano
Il lusso non frena: i conti di
Porsche e Lamborghini
Nord America
Europa
Il premier canadese Justin
Trudeau parteciperà al
Toronto Pride, la sfilata
per i diritti di lesbiche, gay,
bisessuali e transgender in
programma a inizio luglio.
Lo ha annunciato con un
post sul social network
Facebook, pubblicando
la foto sotto. Nel 2005 in
Canada è stato approvato
un Civil Marriage Act, che
ha garantito alle coppie
omesessuali il diritto al matrimonio. Negli Stati Uniti,
è stata una sentenza della
Corte Suprema -dieci anni
dopo, il 26 giugno 2015- ad
introdurre lo stesso principio nell’ordinamento federale, considerandolo fondamentale per garantire un
equo trattamento di fronte
alla legge. 37 dei 50 Stati
riconoscevano comunque
il matrimonio tra persone
dello stesso sesso.
In vista delle presidenziali
del novembre 2016, il candidato repubblicano Donald
Trump ha annunciato di
voler ribaltare la decisione.
Nel 2015 sono state consegnate oltre
225mila Porsche, un quinto in più
rispetto all’anno precedente. La casa
automobilistica tedesca ha registrato
un aumento del 25% del fatturato (a
21,5 miliardi di euro) e dell’utile operativo (a 3,4 miliardi).
8
Altreconomia
Numero 181
Attivisti nel mirino:
l’omicidio Cacéres
non è un caso isolato
America Latina
Nella notte tra il 2 e il 3 marzo scorso in Honduras
è stata uccisa l’attivista indigena Berta Cacéres:
nel 2015 aveva ricevuto il Goldman Prize, il più
importante riconoscimento ambientale a livello
globale. Cacéres, fondatrice e leader del COPINH,
aveva guidato le comunità di etnia lenca del
dipartimento di Intibucá contro una diga in
costruzione. Tra il 2014 e il 2015, la donna era stata
accusata di alcuni delitti, legati all’opposizione
al progetto idroelettrico: il “caso Cacéres” è uno
degli 8 “casi studio” censiti in un report della
Federazione internazionale dei diritti umani,
dedicato alla criminalizzazione dei difensori
impegnati nell’opposizione a progetti industriali in 8
Paesi. In Brasile, ad esempio, c’è il caso di Rosivaldo
Ferreira da Silva, leader della comunità Tupinambá
Serra do Padeiro, Bahía. Tra il 2008 e il 2014 è stato
più volte arrestato illegalmente.
Nel 2014 sono stati 116 i difensori dei diritti umani
uccisi nel mondo: 29 in Brasile, 25 in Colombia, 12 in
Honduras, secondo i dati della Ong Global Witness.
Anche per l’italiana Automobili
Lamborghini spa il 2015 è stato un
anno record: le vendite mondiali
delle vetture supersportive prodotte a
Sant’Agata Bolognese (BO) sono salite
del 28%, passando da 2.530 a 3.245
unità. Il fatturato nello stesso periodo
è passato da 629 a 872 milioni di euro.
Il 15 aprile 2016 si riunisce l’assemblea
dei soci di Ferrari spa, per approvare il
bilancio 2015 dell’azienda, che si è quotata in Borsa a Milano nel corso dell’anno. Il fatturato è di 2,59 miliardi di euro,
mentre gli utili sono pari a 284 milioni
di euro. L’azienda che ha i propri stabilimenti a Maranello, nel modenese,
è una società di diritto olandese, il cui
primo azionista è -con il 23,5%- Exor
spa, la holding della famiglia Agnelli.
facebook.com/JustinPJTrudeau - www.goldmanprize.org - car-brand-names.com - www.unhcr.org - www.flaticon.com
Monitor
Rassegna
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lunedì alle 13 le notizie scelte per voi
dalla redazione di Altreconomia
Dall’India al Vietnam.
I numeri del
continente armato
Costa d’Avorio, Kenya,
Nigeria. I Paesi sotto
attacco, feriti dal terrore
Asia
Al Qaeda ha rivendicato l’attentato del
14 marzo a Grand-Bassam, in Costa
d’Avorio, che ha visto i terroristi aprire
il fuoco con armi automatiche in tre
lussuosi hotel sulla spiaggia. Le vittime
sono almeno 18.
Nell’aprile del 2015, a Garissa, in
Kenya, c’era stata invece una strage in
un college, che aveva visto l’uccisione
di circa 150 studenti. Secondo il
Global Terrorism Index 2015, che è
elaborato dall’Institute for Economics
and Peace e pubblica dati riferiti
al 2014, l’Africa è diventata uno dei
continenti più “colpiti” dal fenomeno:
6 dei 10 peggiori attacchi del 2014
sono avvenuti lì, e tra i sei nuovi Paesi
che figurano nell’elendo di quelli che
hanno registrato oltre 500 vittime, ben
4 sono africani. Si tratta di Somalia,
Repubblica Centrafricana, Sud Sudan
e Camerun.
In Nigeria, dov’è attivo il gruppo di
Boko Haram, il numero di vittime
registrate nel 2014, 7.512, è del 300%
superiore rispetto al dato del 2013.
L’India ha acquistato il 14 per cento di tutte le
armi esportate nel mondo nel periodo compreso
tra il 2011 e il 2015. Secondo i dati diffusi dallo
Stockholm International Peace Research Institute
(SIPRI), il principale partner commerciale del
Paese asiatico -che mantiene circa un milione di
soldati lungo il confine con il Pakistan, vedi Ae
180- è la Russia, che ha venduto il 70 per cento
dei sistemi d’arma acquistati dall’India nel periodo.
Secondo il SIPRI, anche altri Paesi asiatici
figurano nella classifica della top-ten dei maggiori
importatori d’armi nel periodo considerato. Sono
la Cina (4,7%), il Pakistan (3,3%), il Vietnam (2,9%)
e la Corea del Sud (2,6%).
L’Arms Transfers Database evidenzia nell’ultimo
quinquennio un impressionante incremento del
699% nel volume di armi importante dal Vietnam,
rispetto al periodo 2006-2010. Anche in questo
caso, il 93% degli acquisti è di fabbricazione
sovietica. Il Paese del Sud-est asiatico ha
acquistato, tra gli altri, 4 sottomarini equipaggiati
con missili per l’attacco a terra. Gli analisti del
centro di ricerca svedese spiegano come il
Vietnam stia preparando il proprio esercito ad
affrontare un conflitto con la Cina per questioni
legali alla supremazia su aree del Mar cinese
meridionale.
La Cina è anche il terzo esportatore mondiale, con
il 5,9% del totale. Il suo primo cliente è il Pakistan,
seguito da altri due Paesi asiatici, il Bangladesh e
il Myanmar.
Sul sito sipri.org tutti i dati sui trasferimenti di sistemi d’arma nel mondo. Stati
Uniti e Russia sono i primi esportatori
Africa
Siria, alla ricerca
di un rifugio
Medio Oriente
A cinque anni dall’inizio
del conflitto siriano, sono
oltre 4,8 milioni i cittadini
registrati come rifugiati,
secondo dati dell’UNHCR
aggiornati al marzo 2016.
Il dato complessivo è più
che raddoppiato rispetto
al gennaio del 2014. Circa
il 20 per cento del totale è
rappresentato da bambini e
bambine di meno di 11 anni.
Sono 2,7 milioni le persone
che hanno trovato asilo in
Turchia; 1,06 milioni hanno
riparato in Libano, e 639
mila in Giordania.
Secondo l’Organizzazione
mondiale della Sanità, 12,6
milioni di morti ogni anno
sono attribuibili a fenomeni
di inquinamento ambientale.
Tra le 10 cause principali ci
sono tumori, malattie respiratorie ma anche la malaria.
9
Aprile 2016
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IN COPERTINA
Ambiente
REPORTAGE DALLE CAPITALI DELLA RESILIENZA, LE “100 RESILIENT CITIES”
Le città che resistono.
Da Rotterdam
a Copenhagen, ecco
le strategie per gestire
gli effetti del cambiamento
climatico. Anche in Italia
di Piero Pelizzaro
L'Università Erasmus di Rotterdam vista dall'alto. Conta oltre 20mila iscritti
ed è un punto di riferimento della rivoluzione verde della città olandese
10
Altreconomia
Numero 181
11
Aprile 2016
www.altreconomia.it
Ambiente
A
67
le città finora
finanziate dal
programma “100
Resilient Cities”
rrivo a Rotterdam in treno dall’aeroporto di Amsterdam Schipol.
Appena esco mi imbatto nelle indicazioni del parcheggio sotterraneo delle auto, non un un semplice posteggio ma un pezzo di futuro della città
più sostenibile e resiliente d’Europa. La stazione
dei treni è stata infatti progettata per essere essa
stessa un’area adibita allo stoccaggio delle acque.
Se i sette metri di dislivello rispetto al mare della
città e l’essere delta erano già una sfida, le sempre
più intense precipitazioni dovute al cambiamento climatico hanno portato nuovi rischi idraulici.
Rotterdam ne soffre gli effetti, come altre grandi
città del mondo. Quando l’uragano Sandy mette
in ginocchio New York, isolando milioni di persone, la Rockefeller Foundation comprende l’urgenza del problema, intravedendo una possibilità
di business. In occasione del suo 100esimo anniversario lancia il programma 100 Resilient Cities
(100RC), 100 milioni di dollari da distribuire a
100 città. Il programma parte nel 2013 e in due
anni vengono finanziate 67 città con un 1 milione di dollari ciascuna. Le città che partecipano al
programma -anche Roma e Milano- devono istituire all’interno della propria struttura comunale
la figura del CRO (Chief Resilience Officer - Direttore
della resilienza), responsabile dello sviluppo di una
Un giardino
pubblico nel
quartiere ZoHo
di Rotterdam,
dove lo studio di
urbanisti STIPO
si occupa della
vulnerabilità
della città
12
Altreconomia
Numero 181
strategia per la resilienza (ovvero l'adattamento)
territoriale a partire dai rischi che caratterizzano il tessuto urbano. Anche Rotterdam entra a far
parte della rete, ma la sua storia resiliente è più
lunga. II nostro parcheggio alla stazione fa parte infatti della Rotterdam Climate Initiative (RCI),
un programma ambizioso promosso dall’amministrazione nel 2008. I risultati più evidenti oggi
sono stati ottenuti grazie agli incentivi per i tetti verdi o coperture vegetalizzate (un concetto di
copertura che utilizza terra o un altro tipo di substrato e dei vegetali al posto della classica tegola). Storicamente, la costruzione di coperture vegetali è una tradizione in molti Paesi scandinavi
ed europei -i giardini pensili di Babilonia costruiti dal re Nabucodonosor sono uno degli esempi
più conosciuti di verde pensile-. Queste superfici
hanno un triplo vantaggio: favoriscono il drenaggio e il recupero delle acque piovane, migliorano
l’isolamento dell’edificio con conseguente riduzione dei consumi energetici e contribuiscono a
mitigare le isole di calore in città.
Nel 2008, il Comune di Rotterdam ha reso obbligatorie le coperture per le proprietà pubbliche.
In pochi mesi l’archivio comunale, la Biblioteca
Centrale, il porto Delfshaven, le banchine di
IJsselmonde/Feijenoord e l’ospedale per bambini
Sophia diventano così simbolo della rivoluzione
http://noord010inbeeld.blogspot.it - www.c40.org
IN COPERTINA
verde olandese. Negli anni successivi l’Erasmus
University, la sede della ROTEB Kleinfelder, gli
impianti comunali di pompaggio delle acque e il
parcheggio Zoomstraat completano la “nuova”
città. Dal pubblico si passa al privato. Per favorire l’installazione del verde sui tetti di proprietà
privata, l’amministrazione promuove un regime
di incentivi: per ogni metro quadro di copertura
verde vengono riconosciuti 30 euro, quasi il costo
sostenuto. In sette anni Rotterdam vede nascere così un “prato urbano” di circa 400mila metri quadrati, fatto anche di orti. Molti parcheggi
oggi in disuso -il 75% della popolazione preferisce la bici all’auto, ma va ricordato come nel
1979 erano solo il 4%- diventano orti sociali nelle
zone di edilizia popolare e punti di rifornimento per ristoranti e attività commerciali nel centro
della città. La città è inoltre diventata un vero e
proprio laboratorio a cielo aperto per la resilienza climatica, come da obiettivi della Rotterdam
Climate Initiative del 2008. Per tagliare il traguardo entro il 2025 e quindi dimezzare le emissioni
di CO2 rispetto ai livelli del 1990 e di diventare
100% Climate Proof, l’amministrazione si è dotata di una pianificazione economica importante.
Con un partenariato pubblico privato utilizza
una “leva” finanziaria di 26,5 milioni di euro che
nel periodo 2010-2014 comporta investimenti
per la sostenibilità e la resilienza pari a 400 milioni di euro.
Visti i risultati, il Comune ha da poco promosso il suo nuovo piano 2015-2018 con obiettivi
su verde, qualità della vita, resilienza e sviluppo
dell’energia pulita a costi inferiori. I piani di finanziamento stanno favorendo l’innovazione dei
processi e dei prodotti, aumentando la sicurezza
e la continuità delle attività industriali e commerciali di uno dei cinque porti più grandi al mondo.
Il distretto di Agniesebuurt è poco più a Nord-est
della stazione ed è caratterizzato da una piccola percentuale di residenti di fascia medio-alta
ed una maggioranza di residenti con salari medio-bassi. Un terzo degli immobili sono uffici che
fino agli anni Ottanta erano occupati da servizi
del terziario e ora sono vuoti.
Da due anni a questa parte uno studio di urbanisti (STIPO) sta contrattando con la società̀ edile proprietaria degli uffici rimasti sfitti in Zomerhofkwartier (un’area del distretto).
L’edificio, conosciuto con il nome het gele gebouw
(l’edificio giallo) nel quartiere ribattezzato ZoHo,
è pieno per due terzi e ospita studi di architettura e piccoli artigiani/designer dedicati allo spazio
pubblico (Studio Bas Sala), spazi-scrivanie flessibili affittati da freelancer e università̀, ed al piano
terreno, un ostello, uno spazio d’arte, cultura
13
In basso, la
piazza a inondazione controllata
di Benthemplein
(water plaza)
a Rotterdam.
Sicurezza e
fruibilità degli
spazi procedono
insieme
Aprile 2016
www.altreconomia.it
IN COPERTINA
Ambiente
50
milioni saranno
i “migranti
climatici” nel
2035 secondo
le Nazioni Unite
14
e performance (RoodKapje) ed un cinema popup (Kriterion). STIPO non parte da zero, nell’area
ci sono tante associazioni di quartiere, piccoli e
medi maker (artigiani), con le quali l'organizzazione collabora su progetti per la zona.
Nell’ultimo anno, sotto la spinta del gruppo di architetti (De Urbanisten), che ha ideato e costruito
la piazza a inondazione controllata Benthemplein
(water plaza), il dipartimento di pianificazione ha
deciso d’investire in attività̀ di micro-adattamento ai cambiamenti climatici in ZoHo. In base allo
studio di vulnerabilità̀ della città, il quartiere è
per il 75 % costituito di superfici non-permeabili e il 50% dei parcheggi non è in uso. In più̀, a
seguito di livelli di marea più intensi, alcuni dei
plinti delle case si stanno deteriorando. Dopo un
percorso partecipativo, guidato dagli architetti
ed esponenti del distretto, cittadini, piccoli architetti freelance e gruppi di quartiere si stanno
mobilitando per realizzare micro progetti che mirano ad incrementare le aree permeabili, socializzare i parcheggi non in uso e recuperare le acque
piovane per mezzo di cisterne intelligenti disegnate dallo Studio Bas Sala. È uno strumento per
unire i più giovani, il gruppo sociale più̀ numeroso del quartiere, e i professionisti, sotto forma di
occupazioni dopo-scuola che possano dare l’opportunità̀ di acquisire competenze ed esperienze.
Altreconomia
Numero 181
Una sfida più̀ grande è quella di creare opportunità̀ sia di guadagno sia di risparmio, per quella
fascia di persone che sta perdendo i sussidi a causa dei tagli sul bilancio del governo olandese. Una
città resiliente, infatti, è un sistema urbano che
non si limita ad adeguarsi ai cambiamenti in atto
-in particolare quelli climatici di fronte ai quali
le aree urbane si stanno dimostrando sempre più
vulnerabili- ma è una comunità che si modifica
progettando risposte sociali, economiche e ambientali innovative che le permettano di resistere
nel lungo periodo alle sollecitazioni dell’ambiente e della storia.
L’iniziativa della Rockefeller Foundation si propone di sostenere le città di tutto il mondo nel diventare più̀ resilienti alle sfide economiche, sociali, e
climatiche di un mondo sempre più̀ globalizzato, turbolento e imprevedibile (le Nazioni Unite
stimano che a causa del cambiamento climatico
nel 2035 avremo 50 milioni di climate refugees).
Della rete delle 100 Città Resilienti fa parte, oltre
a Rotterdam, Roma e Milano, anche Copenhagen.
Come ci racconta Lykke Leonardensen, responsabile del Piano della Resilienza Urbana del comune
danese: “Il cambiamento climatico è una realtà e
dobbiamo essere preparati alle inondazioni, alle
tempeste e all’innalzamento del livello del mare.
Il nubifragio del 2011 è stato un vero campanello
www.pixator.net - www.flickr.com/photos/kaibates
La nuova sede
della SEB Bank,
a Copenhagen.
L'edificio è
stato progettato
secondo criteri di
“clima-resilienza”
La falda ribassata del Sankt
Jørgens Lake,
nella capitale
danese. Un serbatoio intorno al
quale sono stati
sviluppati spazi
funzionali per
attività ricreative
d’allarme”. Insieme alla più grande società di consulenza danese la RAMBOLL (che ha contribuito
anche alla pianificazione resiliente di Singapore,
Hong Kong e Kuala Lampur) definiscono un piano d’intervento urbano. La prima opera già portata a termine in appena 24 mesi (2013-2015) è
la riqualificazione del quartiere di San Kjelds in
una vera e propria fortezza anti nubifragio. Un
sistema di percorsi e passerelle tra aree verdi pedonali per non ostacolare la fruizione degli spazi durante gli eventi meteo: “Quando ci colpirà
il prossimo nubifragio ci sarà una grande quantità d’acqua da orientare verso il mare. Abbiamo
esaminato Skt. Kjelds e pensato 'tutto questo
asfalto non ha una funzione', e abbiamo deciso
di usare lo spazio per dei bacini idrici” ci racconta l’architetto Flemming Rafn Thomsen, uno
dei progettisti. Se si percorre la strada che collega Bryggervangen a Skt. Kjelds Plads, si vede
un sistema di canali a cielo aperto che serve a far
defluire naturalmente le acque, evitando pericolose inondazioni in caso di emergenza.
Dei piccoli bacini di raccolta di acqua piovana
sono previsti anche nelle altre piazze del quartiere. Il disegno di percorsi nel verde caratterizza in modo molto affascinante il quartiere danese e favorisce il gioco, il contatto con la natura,
la socializzazione e la nascita di piccoli servizi di
ristoro all’aperto. Oltre a questa iniziativa pilota, la città affacciata sul Mare del Nord ha attuato una serie di altre misure per migliorare la resilienza in città. Durante la progettazione della
nuova sede della SEB Bank si è tenuto in considerazione del clima del futuro e l’edificio è stato reso “clima resiliente” in vari modi. Il Climate
Resilient Office Building utilizza cemento bianco
per evitare un inutile riscaldamento della superficie, aree verdi per il riutilizzo e per un migliore
drenaggio dell’acqua piovana. La maggior dispersione dell’acqua piovana aiuta a prevenire effetti di isole di calore urbane e favorire la crescita
di alberi e piante. Questo edificio privato è stato
il primo costruito come modello ma soprattutto
come effetto del nuovo regolamento edilizio resiliente dell’amministrazione locale. Il Søpassagen,
esempio di edilizia residenziale resiliente, situato
nel centro di Copenhagen, è invece un blocco di
edifici residenziali costruito come modello dell’edilizia abitativa. I pannelli solari sono stati installati sul tetto e la pioggia viene raccolta e convogliata nelle cantine dove viene utilizzata dalle
lavatrici comuni o per innaffiare le piante in strada. L’acqua residua finisce in due pozzi a secco.
Il risultato è che l’acqua piovana da questi edifici
non raggiunge i sistemi di trattamento, ma viene
trattata a livello locale.
La priorità delle
città resilienti del
nord Europa è la
gestione dell'acqua, in caso di
nubifragi o forti
precipitazioni
15
Aprile 2016
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IN COPERTINA
100
gli orti comunitari che cingono il grande
parco urbano di
Copenhagen
16
Ambiente
Spostandoci nelle vicinanze della stazione
ferroviaria si raggiunge invece il Sankt Jørgens
Lake, laghetto e serbatoio d’acqua. Lo spazio ha
un ruolo importante per prevenire le inondazioni
presenti e future. Come previsto nel piano adottato dal Comune nel 2012, la falda è stata abbassata in modo che il lago possa funzionare come
un immenso serbatoio, nei momenti di criticità idraulica. Insieme alla falda più bassa si sono
sviluppate delle aree ribassate funzionali per attività ricreative che all’occorrenza possono essere utilizzate per la gestione di eventi estremi.
Allontanandoci dal lago per raggiungere il porto,
ci si imbatte in Sankt Annæ Plads, uno spazio futuristico nella sua semplicità per la gestione dei
nubifragi. Durante la sua ristrutturazione, Sankt
Annæ Plads è stata migliorata per la gestione delle piogge quotidiane e straordinarie. La soluzione
identificata è semplice, l’integrazione nella piazza di un piccolo parco. Quest'ultimo è stato progettato con un forma concava in grado di trattenere grandi quantità di acqua, che vengono poi
canalizzate verso il porto.
Altri interventi simili si stanno realizzando nella città danese grazie all'arrivo di capitali privati interessati a ridurre i danni alle proprie infrastrutture. Tra questi c’è il grande parco urbano
di Copenhagen, Enghaveparken, dove l’acqua è al
centro della riprogettazione. Il confine del parco
sarà caratterizzato da una diga che filtrerà l’acqua intorno al giardino e in 100 piccoli orti comunitari. Tutte queste iniziative fanno parte di
un piano che coinvolge tutta la città per creare
“quartieri resilienti ai cambiamenti climatici”. La
trasformazione socio-culturale della capitale danese si percepisce quando nelle gelide mattine di
febbraio (-10°C) si trovano allegre famiglie -compresa quella reale- andare a scuola in bicicletta.
I cittadini sanno che per aumentare il verde ed i
sistemi di canalizzazione c’è bisogno di spazio ed
il primo modo è eliminare le macchine dalla città.
Roma e Milano sono tra le città della rete 100
Resilient Cities, il percorso verso per la definizione della Strategia della Resilienza è cominciato
da poco per poter essere paragonate a Rotterdam
o Copenhagen. Chi invece ha già uno strumento
per migliorare la resilienza climatica è il Comune
di Bologna. Il piano di adattamento ai cambiamenti climatici è stato finanziato con 1 milione
di euro dall’Unione europea nell’ambito del progetto BLUE AP (Bologna Local Urban Environment
Adaptation Plan for a Resilient City) avviato nel 2012
e nato con l’obiettivo di aumentare l'adattamento
della città. Il piano è comprensivo di alcune misure concrete da attuare a livello locale, per rendere
Altreconomia
Numero 181
“Il cambiamento climatico è una
realtà e a Copenhagen dobbiamo
essere preparati alle inondazioni,
alle tempeste e all’innalzamento
del livello del mare”
la città meno vulnerabile e in grado di agire in
caso di alluvioni, siccità e altre conseguenze del
mutamento del clima. Le vulnerabilità individuate per il territorio bolognese sono tre: siccità
e carenza idrica, ondate di calore in area urbana
ed eventi estremi di pioggia e rischio idrogeologico. Relativamente alla prima vulnerabilità, le
strategie del Comune riguardano la riduzione dei
prelievi di risorse idriche naturali, l’eliminazione
delle acque parassite e della commistione tra acque bianche e nere, la regolazione delle portate
del fiume Reno e la tutela della produzione agricola locale. Sul secondo fronte l’impegno è per la
tutela e valorizzazione delle aree verdi estensive
alberate, l’incremento delle superfici verdi e delle alberature all’interno del territorio strutturato, il miglioramento dell’isolamento e il greening
degli edifici pubblici e privati, la diminuzione
della vulnerabilità della popolazione esposta a
rischi sanitari collegati con l’aumento delle temperature. Le strategie relative alla terza vulnerabilità riguardano il miglioramento della risposta
idrologica della città, la maggiore “resistenza” del
territorio alle precipitazioni intense, la riduzione
del carico inquinante sulle acque veicolato dalle
piogge, l’aumento della resilienza della popolazione e dei beni a rischio.
Tra le azioni pilota indicate troviamo: la riduzione dei consumi idrici a F.I.CO (la cittadella del
cibo che sorgerà a Bologna nel 2016), il risanamento di due corpi idrici sotterranei della città
(Torrente Aposa e Canaletta Fiaccacolli), la sistemazione del Parco Lungo Navile, la realizzazione del nuovo polo di ricerca CNR-Università
e la riqualificazione urbana dell’area dell’ex mercato ortofrutticolo, un nuovo regolamento del
verde, la realizzazione di parcheggi permeabili e la gestione sostenibile delle piogge nel complesso commerciale “Via Larga - Via dell’Industria”, nuove linee guida per il drenaggio urbano
sostenibile.
Oggi Bologna, domani Milano, Roma e più avanti
forse Genova e Venezia.
Primo tempo
17—42
Bilancio
“Come fanno i terzi a relazionarsi o fidarsi
di queste strutture estere senza sapere
di che cosa si tratta? Com’è possibile
cioè un rapporto di natura commerciale
senza la minima cognizione economica
e patrimoniale? È la base dell’economia,
altrimenti che cosa ci stanno a fare i
pubblici registri?”
Gian Gaetano Bellavia
a pag. 22
PRIMO TEMPO
Consumi
Assicurazione auto online: chi sono
e come operano i “comparatori”
IN ITALIA, IL MERCATO DELLA RCA IN RETE VALE OLTRE 820 MILIONI DI EURO
di Maurizio Bongioanni
18
Altreconomia
Numero 181
http://www.istockphoto.com
Da Facile.it a Segugio.it, cresce l'interesse dei consumatori per le piattaforme
intermediarie. Ma un'indagine dell'Istituto di vigilanza sul settore ne contesta
l'attendibilità. Il caso di Eticar, la polizza nata per i gruppi di acquisto solidali
S
ei italiani su dieci nel 2015 si sono
rivolti a un comparatore online per informarsi sui costi relativi
all’assicurazione RC per la propria
auto. L’ha rilevato l’Osservatorio
Assinext in un’analisi condotta da Nextplora,
istituto specializzato in metodologie di ricerca.
Secondo l’analisi, i comparatori online sono considerati veloci, affidabili ma soprattutto competitivi. Incrociando però i dati di Ania (Associazione
Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) sulle vendite di assicurazioni RCA, quest’ultimi sottolineano come solo il 5,4% del totale effettivamente stipuli la polizza dell’auto tramite internet. In
ogni caso parliamo di una fetta di mercato, quella
della RCA online, di 821 milioni di euro (per l’anno 2014, contando che il totale di premi raccolti è
stato di 15,2 miliardi).
I comparatori sono motori di ricerca che comparano, appunto, i prezzi delle polizze assicurative.
Sono sei quelli più popolari e su questi si è concentrata nel 2015 un’indagine dell’Istituto per la
vigilanza sulle assicurazioni (IVASS).
Di questi sei Facile.it è uno dei più noti. La Facile.
it Broker di assicurazioni S.p.A, che possiede il
portale di comparazione, nel 2013 fatturava 30
milioni di euro e fino al 2014 uno dei tre azionisti di riferimento (20%) era la holding italiana
Quattordicesima dei tre figli di Silvio Berlusconi
e Veronica Lario. Non mancava Silvio Berlusconi
stesso, socio azionista con Fininvest al 21%. Il terzo socio era la Chiesi Farmaceutici, terzo gruppo farmaceutico italiano, gruppo con a capo Titti
Chiesi, coniuge di Calisto Tanzi. A fine 2014 la famiglia Berlusconi ha ceduto Facile.it per 100 milioni di euro al fondo inglese Oakley Capital e oggi
Facile.it ha come unico socio la Facile.it Group
LTD con sede a Londra (il 100% delle azioni è in
pegno a Cassa di risparmio di Parma e Piacenza).
Il secondo motore per importanza è Segugio.it
dietro al quale c’è CercAssicurazioni Srl che fa
capo a sua volta a Gruppo MutuiOnline S.p.A
E poi Chiarezza.it (di Chiarezza Société par
Actions Simplifiée, società di diritto francese che non deposita il bilancio in Camera di
Commercio), Comparameglio.it (della britannica Daina Finance Ltd), 6Sicuro.it (del Gruppo
Assiteca) e Supermoney.it (di proprietà di Do It
Now Spa).
L’indagine dell’IVASS ha evidenziato che i risultati restituiti dai comparatori online rispondono
“esclusivamente al fattore prezzo mentre non si
tiene conto dei contenuti contrattuali delle coperture assicurative r.c. auto (massimali, franchigie, rivalse ed esclusioni)”. Inoltre i siti di
I numeri
dei sei
“comparatori”
fatturato 2014
8.220.081 euro
CercAssicurazioni.it Srl
comparazione online mettono a confronto solo i
prodotti delle compagnie con le quali hanno stipulato un contratto e da cui percepiscono provvigioni in relazione a ciascun contratto stipulato. Si
tratta di motori di ricerca gestiti da broker del mondo assicurativo che fanno da tramite tra le compagnie assicurative e i clienti, garantendosi una
commissione, di solito compresa tra il 2,5 e il 14%.
Raramente, però, il contraente ha chiare queste
dinamiche tanto che nel 2015 l’Autorità garante
della concorrenza e del mercato ha accertato violazioni di pratiche commerciali concernenti la
trasparenza e l’inserimento di elementi accessori
non richiesti dal consumatore, rendendo disomogenee le comparazione tra compagnie. Sul punto,
peraltro, la legge annuale per la concorrenza in
discussione al Senato ha previsto al terzo articolo
degli obblighi in capo agli “intermediari”, “tenuti
a informare il consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le
imprese di assicurazione di cui sono mandatari”.
Abbiamo provato a compilare preventivi tramite i
siti comparatori citati. I criteri di selezione sono
tanti rispetto a quelli richiesti da una compagnia
tradizionale: oltre al sesso, all’età e alla residenza,
etc. contano il titolo di studio, la professione, il
numero di figli, la distanza percorsa in un anno.
Più condizioni vi sono in fase di stesura di una polizza, più condizioni ci sono sulle quali rivalersi in
caso di sinistro. Ad esempio esistono rivalse fino
a 5.000 euro per sinistri causati da guidatori
Nel 2014, la famiglia Berlusconi ha
ceduto il portale Facile.it al fondo
inglese Oakley Capital per 100
milioni di euro
19
fatturato 2014
3.264.203 euro
Facile.it Spa
fatturato 2014
1.496.547 euro
6sicuro Spa
fatturato 2014
mancante
Chiarezza Sas
fatturato 2014
mancante
Daina Finance
LTD
fatturato 2014
0, neonata
Supermoney Srl
Aprile 2016
www.altreconomia.it
PRIMO TEMPO
16%
la percentuale dei
sinistri denunciati a rischio frode
secondo l'Associazione italiana
dell'industria
assicurativa
Consumi
minori di 23 anni o di franchigie sui danni da
circolazione: se fai un incidente e hai torto, semplicemente l’assicurazione paga il danno a terzi
dopodiché procede al recupero della franchigia e
vi sono costi di riattivazione o di sostituzione di
una polizza che vanno da 25 a 50 euro.
Per non parlare del servizio post-vendite: Facile.
it, ad esempio, ha affidato il suo “contact center” a
una società con sede a Tirana.
Le compagnie sottostanti ai comparatori “estremizzano” la valutazione di alcuni aspetti tecnici,
tra cui principalmente la territorialità, evitando
cioè determinati territori considerati maggiormente a rischio mediante l’applicazione di tariffe
molto più elevate. Per questo i vantaggi di prezzo
delle compagnie (o dei comparatori) online sono
calcolati e riservati a una clientela di nicchia, a
clienti assicurati con un basso profilo di rischio:
senza sinistri pregressi, residenza in territori “a
minor rischio”, non neopatentati etc. Provando a
compilare dei preventivi, la sola differenza tra essere un operaio diplomato separato invece di un
impiegato, laureato e coniugato comporta una variazione che va dai 20 ai 90 euro a favore del secondo caso. Oppure, come scrive la stessa Facile.
it in una sua ricerca di mercato, dal momento che
i medici sono la categoria con più sinistri e i vigili
quella con meno sinistri, abbiamo provato a parità di condizioni a fare due preventivi cambiando
solo la professione: la differenza si aggira intorno
ai 35 euro.
Ma è la territorialità, ovvero la residenza, a modificare in maniera più consistente il costo di una
polizza: addirittura la differenza a parità di condizioni arriva a sfiorare i 1.500 euro. Questo è
dovuto al fatto che l’Italia è divisa in centinaia di
aree e ogni anno le compagnie assicurative calcolano la differenza tra quanto incassato e quanto
pagato in sinistri in una determinata area: si chiama “andamento tecnico”. Se l'andamento tecnico
supera determinate soglie critiche la compagnia
ci perde e per questo alza il premio in maniera
molto più incisiva solo nell’area “incriminata” invece di meglio redistribuire o spalmare la perdita su tutto il territorio sulla falsariga di quanto si
faceva un tempo, quando l’assicurazione non era
altro che una tassa di circolazione: l’andamento
tecnico veniva fatto una volta l’anno e si fissava
un prezzo unico del premio assicurativo identico, da Nord a Sud. Insomma, l’assicurazione fungeva davvero da strumento sociale di sostegno al
disagio e in questo modo si impediva il formarsi di differenze di trattamento così disomogenee.
Certo, alle perdite delle assicurazioni contribuiscono anche le truffe: Ania stima che il 16% circa
dei sinistri denunciati siano a rischio frode.
In una direzione alternativa va Eticar, un prodotto di Responsabilità Civile Auto dedicato al mondo del consumo critico. È nata come polizza dedicata ai Gas (Gruppi di acquisto solidale) ma si
sta allargando anche ad altri soggetti che ne riconoscono la peculiarità, in particolare ai soci di
In passato l'assicurazione
fungeva da strumento sociale di
sostegno al disagio e in questo
modo contrastatava il formarsi di
differenze di trattamento
20
Altreconomia
Numero 181
Banca Etica. Eticar si differenzia dalle altre polizze sul mercato: dal lato tecnico è un prodotto
normativamente adeguato alle esigenze dell’automobilista medio, mentre la novità sta nella proposta “politica”. Per due ragioni. La prima è che
si basa ad oggi su una ridottissima diversificazione tariffaria legata al territorio mentre nel
mondo assicurativo le diversificazioni tariffarie sono innumerevoli; CAES (www.consorziocaes.org/) -il Consorzio Assicurativo Etico Solidale
che ogni anno promuove un tavolo di confronto
tra una rappresentanza di clienti e la compagnia
Assimoco, con la quale il progetto Eticar è stato
formulato- persegue l’applicazione del concetto
di mutualità quanto più possibilmente senza differenze di premio (prezzo) a seconda della zona
di residenza dell’assicurato: “Partendo dal principio che l’assicurazione è uno strumento sociale di sostegno al disagio, la nostra polizza è già
strutturata in modo tale che i premi pagati siano
relativamente omogenei sul territorio nazionale” spiega Gianni Fortunati, presidente di CAES.
“Le tariffe devono essere il più possibile simili e
questo per evitare discriminazioni: all’interno del
circuito dell’economia solidale, formato da consumatori consapevoli, questa omogeneizzazione
del premio appare possibile”.
E qui sta la seconda ragione politica del progetto Eticar, e cioè il sostegno economico rivolto alla
rete dell’economia solidale: sulla base dell’entità dei premi raccolti e dell’andamento tecnico (rapporto sinistri/premi) delle polizze Eticar,
CAES eroga annualmente un contributo tanto
maggiore quanto più alto è il numero di persone che aderiscono al progetto e quanto più esse
hanno comportamenti automobilistici virtuosi
(cioè non sono responsabili di sinistri). Gli utili
vengono reinvestiti e i contributi erogati ai singoli Distretti di economia solidale di appartenenza
(e che ne fanno richiesta). I gasisti hanno così la
possibilità di alimentare concretamente il mondo
dell’altra economia sul proprio territorio.
Per garantire la trasparenza di questo vero e
proprio fondo di solidarietà, il progetto prevede che annualmente si riunisca un’apposita Commissione di valutazione formata dai rappresentanti dei Gas, di CAES e di Assimoco. Nel
2013 tale contributo ammontava a 800 euro, nel
2014 ad 1.775 euro, parte dei quali sono stati versati alla Rete di economia solidale nazionale, che
sono serviti poi per l’organizzazione dell’Incontro Nazionale dell’Economia Solidale (INES). Per
il 2015 il contributo è ancora in fase di definizione ma CAES ritiene che possa essere più cospicuo
degli anni precedenti.
Segugio.it è una
delle sei più importanti piattaforma di comparazione online nel
Paese, fa riferimento a Gruppo
MutuiOnline
S.p.A
IN DETTAGLIO
GLI IMPEGNI DI GENIALLOYD
La società Genialloyd S.p.A. del gruppo Allianz è uno dei colossi
del settore delle polizze RC Auto online. Il bilancio della società
chiuso al 31 dicembre 2014 presentava infatti un fatturato pari a
circa 565 milioni di euro. Il gigante, come ricordato dall'Antitrust
in un recente provvedimento del febbraio 2016, avrebbe però
“fornito indicazioni ingannevoli e/o incomplete con riferimento
[...] alla promozione sul proprio sito internet www.genialloyd.it”.
Per questo è stato costretto a presentare degli “impegni” per
sanare la pratica commerciale finita sotto la lente dell'Autorità
dal luglio 2015 e chiudere il procedimento “senza accertare l’infrazione”. L'Autorità guidata da Giovanni Pitruzzella ha accolto le
proposte dell'azienda e chiuso l'iter, promuovendo -come emerge
dal provvedimento finale- anche una rassicurazione sulle “ipotesi
di default per le quali è attiva una preselezione” ritenuta però
insufficiente da un parere di fine gennaio a cura dell'Istituto per
la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS). (df)
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Aprile 2016
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PRIMO TEMPO
Finanza
I “Big Three” della consulenza
mondiale, sconosciuti e potenti
NEL MARZO 2013 IL RAPPRESENTANTE LEGALE DI MCKINSEY IN ITALIA ARRESTATO PER RICICLAGGIO
Stilano rapporti e affiancano le banche: Bain, McKinsey, Boston Consulting
Group sono multinazionali che ricoprono ruoli strategici e poco noti in diverse
operazioni finanziarie. Le prime due non depositano alcun bilancio in Italia
di Duccio Facchini
22
Altreconomia
Numero 181
A
metà marzo di quest’anno, l’agenzia di stampa Ansa ha dato conto
di una ricerca commissionata da
Utilitalia -“la Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia
elettrica e del gas”- presentata al fine di sminuire
il valore della raccolta dei rifiuti porta a porta.
Chi aveva curato lo studio su commissione era
stata una società di consulenza di nome Bain &
Company, una delle tre più importanti nel nostro Paese insieme a McKinsey & Company e The
Boston Consulting Group (BCG), le cosiddette
“Big Three” del settore, nate negli Stati Uniti.
Tutte e tre occupano oltre mille addetti. Due di
queste, però, non depositano in Italia alcun bilancio fin dal 1994, rendendo di fatto impossibile
qualsiasi approfondimento sulla loro natura, sviluppo e operatività. Un paradosso, visto che proprio queste società sono sempre più al centro di
importanti dinamiche economiche.
Quella della gestione dei rifiuti non è l’unica materia trattata da società di questo tipo, ma è frequentemente al centro dei report commissionati
da terzi e poi ripresi dalla stampa. Ne è la dimostrazione un altro articolo, questa volta del Sole
24 Ore, risalente al novembre 2013: “Raccolta
rifiuti: con la differenziata i costi su del 48%”.
Autore della ricerca? Bain & Company. Che queste “ricerche” siano attendibili è un passaggio
successivo che conosce purtroppo minor attenzione mediatica (lo sa bene il professor Enzo
Favoino, che lavora presso il centro di ricerca
della Scuola Agraria del Parco di Monza, autore
di una lunga confutazione della tesi “differenziare costa”).
Rifiuti ma non solo. “Fashion&Finance” -curato da repubblica.it- quando si è occupato del
“settore lusso” nel maggio 2015 ha citato ancora
Bain & Company (il committente era Fondazione
Altagamma). Il Sole 24 Ore, titolando nell’aprile 2015 sulle banche popolari e le “nozze” che
avrebbero consentito “un miliardo” di “risparmi”, ha ripreso un “report” di BCG. Per non
dimenticare McKinsey & Company, che spazia dall’occupazione giovanile -con la ricerca
“Studio ergo Lavoro. Come facilitare la transizione scuola-lavoro per ridurre in modo strutturale
la disoccupazione giovanile in Italia” del 2014all’“l’impatto economico potenziale dell’#IoT,
l’internet delle cose”.
L’attività di questi soggetti non si esaurisce nella redazione di report su commissione. Bain &
Company e McKinsey & Company, in particolare,
Bain ha operato ad Arezzo, sede
di Etruria, nel 2009 e nel 2014,
ma anche a Vicenza, presso un
altro istituto di credito rivelatosi in
condizioni finanziarie delicate
hanno ricoperto incarichi strategici in rilevanti operazioni finanziarie. Per quanto riguarda la
prima -che a livello mondiale ha chiuso lo scorso
anno con 2,2 miliardi di dollari di fatturato ed è
uno dei 100 partner del World Economic Forum
di Davos- si tratta di un ruolo di cui poco si è
scritto durante il cosiddetto commissariamento
di Banca popolare dell’Etruria. È sufficiente recuperare il piano industriale stilato in vista del
triennio 2009-2011: “Con il nuovo piano industriale, realizzato in collaborazione con Bain &
Company Italy Inc -si legge nel documento ancora pubblicato sul sito di Borsa Italiana- Banca
Etruria punta a sviluppare maggiore redditività
ed efficienza operativa”. Obiettivo: “maggiore attenzione alla qualità del credito”.
Bain ha operato ad Arezzo, sede di Etruria, nel
2009 e nel 2014, ma anche a Vicenza, presso un
altro istituto di credito rivelatosi in condizioni
finanziarie estremamente delicate. Si tratta di
Banca Popolare di Vicenza, il cui Consigliere delegato e Direttore generale attualmente in carica,
Francesco Iorio -colui che ha guidato il recente
processo di quotazione in Borsa dell’istituto- ha
lavorato in passato “con società di consulenza,
quali Accenture e Bain & Company” (la fonte è
la sua biografia pubblicata su www.popolarevicenza.it). Anche il settore assicurativo coglie l’interesse di queste società, tant’è vero che l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici
(Ania) ha lanciato a fine 2015 un “osservatorio”
in collaborazione proprio con Bain.
McKinsey & Company, invece, è stata scelta
nel maggio 2015 come capofila degli “advisor
23
2,2
miliardi di dollari, il fatturato
consolidato della
società Bain &
Company
Aprile 2016
www.altreconomia.it
PRIMO TEMPO
Finanza
Carta d’identità
dei “tre grandi”
della consulenza
industriali” per il processo di privatizzazione
di Ferrovie dello Stato Italiane, nell’associazione temporanea di imprese con Ernst & Young
Financial Business Advisors Spa e The Brattle
Group Limited Italiana Branch. Un incarico che
ha preceduto di pochi mesi le nomine dei vertici di FSI: Renato Mazzoncini in qualità di amministratore delegato e Gioia Ghezzi nelle vesti di
presidente del gruppo. La stessa Ghezzi che, da
quanto emerge dal curriculum, ha lavorato per
oltre dieci anni proprio in McKinsey.
Una nota biografica che condivide -oltreché con
l’ex ministro dello Sviluppo economico Corrado
Passera- anche con Gianni Vittorio Armani, dal
maggio dello scorso anno presidente e amministratore delegato di Anas Spa (il gestore della rete
stradale ed autostradale italiana), che tra il 1998
e il 2003 ha operato a Roma per la stessa società
di consulenza.
Non tutte le consulenze sono fortunate: nel caso
della compagnia aerea Alitalia, ad esempio, risale a fine settembre 2015 la sentenza emessa dal
collegio arbitrale di Milano contro McKinsey,
chiamata a risarcire la compagnia in amministrazione straordinaria per circa 11,8 milioni di
euro. Aveva ricevuto l’incarico durante la gestione dell’ex presidente e amministratore delegato
di Alitalia Giancarlo Cimoli, condannato per il
crac a otto anni e otto mesi.
Una storia controversa, come quella dell’ex rappresentante legale in Italia di McKinsey, Gabriele
Bravi, indagato da diverse Procure e arrestato
nel marzo 2013 con l’accusa di riciclaggio. Bravi
ha cessato l’incarico nella società di consulenza
solo nel dicembre 2013, a 30 anni dalla nomina. Dall’analisi della sua rete, nel maggio 2015 la
Procura di Milano ha scoperchiato una presunta
associazione a delinquere composta tra gli altri
da Bravi e il suo socio svizzero Filippo Dollfuss
(arrestato anch’egli) responsabile di “una serie
indeterminata di delitti di riciclaggio” attraverso
una “poderosa struttura organizzativa transnazionale […] posizionata a Lugano”.
BAIN &
COMPANY
ITALY, INC.
in Italia
dal 1988
dipendenti
375
sede secondaria
Milano
MCKINSEY &
COMPANY, INC.
ITALY
in Italia
dal 1968
dipendenti
360
sede secondaria
Milano
THE BOSTON
CONSULTING
GROUP S.R.L.
in Italia
dal 1985
dipendenti
305
sede legale a
Milano
24
BCG ha puntato sulla didattica e sull’incontro
con gli studenti universitari di Bologna, collaborando entro corsi accademici ad hoc nell’ambito di un neonato master presso la “Bologna
Business School”, insieme a Yoox, Google e Ibm.
Ma il rapporto tra le società di consulenza e l’Università è consolidato da tempo. Il caso emblematico è quello del Politecnico di Milano,
che alla consulenza ha dedicato uno spazio importante della piattaforma “CareerService”.
L’ultima “Fiera dei settori” rivolta a studenti o
Altreconomia
Numero 181
A fine settembre 2015 McKinsey, è
stata chiamata a risarcire Alitalia
in amministrazione straordinaria
per circa 11,8 milioni di euro.
Aveva ricevuto l’incarico durante
la gestione di Giancarlo Cimoli
condannato per il crac a otto anni e
otto mesi.
laureati in Ingegneria fisica, gestionale, matematica o informatica si è tenuta il 7 marzo scorso, al Campus Bovisa. “Il mondo della consulenza
vede l’università come un bacino di assunzione
di quelli che sono a suo avviso i talenti -spiega ad
Ae Federico Colombo, responsabile dell’Area sviluppo e rapporti con le imprese del Politecnico di
Milano-. In base a questo viene strutturata una
definizione dei target di riferimento, si identificano le forme di corsi di laurea e la tipologia delle persone che le aziende ritengono i candidati
ideali”. La “Fiera” è l’ultimo tassello: “L’elemento
caratterizzante del rapporto tra il Politecnico e
l’impresa è la costruzione di un piano di comunicazione. Noi non facciamo semplice intermediazione tra persone ma ci poniamo come agevolatori del dialogo tra docenti, studenti e mondo
delle imprese”.
Come? “Attraverso presentazioni delle singole
aziende, comunicazione verso gli studenti con
social e comunicazione ‘on campus’, con opzioni verticali di job-offert o momenti d’incontro anche all’interno di singoli corsi, fino a momenti
di fiera”. È una partnership. “L’azienda riconosce
al Politecnico un contributo annuo che ammonta
mediamente dai 5mila ai 10mila euro per servizi che hanno un forte valore aggiunto, dato che
le consentono di trovare in tempo limitato le risorse che cercano. Consideri che il CareerService
è tra le pagine più visitate dell’ateneo. Inoltre,
dall’ultima indagine occupazionale che abbiamo realizzato è emerso che il 33% degli studenti
di ingegneria sono entrati a lavorare nei settori
consulenza e finanza, e che le società che hanno
partecipato alla fiera del 7 marzo scorso hanno
assunto almeno 200 laureati del Politecnico nei
primi sei mesi del 2015”. Bain & Company, come
recita la locandina dell’ultimo “Business Course”
promosso nelle Università di Trento, Torino,
Bologna, alla Bocconi, all’Università Cattolica di
Milano e alla LUISS Guido Carli, “cerca i migliori
studenti”.
A parte BCG e la Srl che opera in Italia, però,
né Bain & Company (BAIN & COMPANY ITALY,
INC.) né McKinsey (MCKINSEY & COMPANY,
INC. ITALY) depositano alcun bilancio alla
Camera di Commercio di Milano -dove hanno la sede secondaria- dal 31 dicembre 1994.
Un’anomalia che Gian Gaetano Bellavia, esperto
di diritto penale dell’economia e consulente della
Procura di Milano in materia di riciclaggio, commenta così: “Le stabili organizzazioni in Italia di
società di diritto estero non hanno una autonomia civilistica di bilancio italiano ma hanno solo
l’obbligo di depositare un bilancio fiscale in allegato alla dichiarazione dei redditi, o meglio i
dati tributari per determinare il reddito prodotto
in Italia. Debbono però, secondo le mie modeste
conoscenze di obblighi camerali, depositare ogni
anno il bilancio della casa madre che contiene
anche la stabile organizzazione italiana, francese, tedesca, eccetera. Mi risulta strano che abbiano depositato entrambe solo il 1994 e poi nulla
più per i vent’anni successivi”.
“Bain & Company è una società Inc. e i nostri
global headquarters sono a basati a Boston”, si è
limitata a rispondere ad Ae Bain, imitando di fatto McKinsey, che invece il quartier generale l’ha
domiciliato nello Stato USA del Delaware, “con
tutte le implicazioni fiscali ma soprattutto dell’anonimato connesse a quella giurisdizione”, come
spiega Bellavia.
“Dobbiamo verificare la natura con cui queste
società si sono iscritte al momento della creazione del registro imprese -hanno fatto sapere
dall’ufficio stampa della Camera di Commercio
milanese-. Sfortunatamente, essendo nate prima
del 1996, il fascicolo è cartaceo e si trova fuori
città”.
Al dottor Bellavia resta un dubbio: “Come fanno
i terzi a relazionarsi o fidarsi di queste strutture
estere senza sapere di che cosa si tratta? Com’è
possibile cioè un rapporto di natura commerciale
senza la minima cognizione economica e patrimoniale? È la base dell’economia, altrimenti che
cosa ci stanno a fare i pubblici registri?”.
25
200
i laureati del
Politecnico di
Milano assunti
nei primi sei
mesi del 2015
dalle società di
consulenza che
partecipano al
CareerService
PRIMO TEMPO
Diritti
Agro pontino, tra i migranti
sfruttati a tempo indeterminato
REPORTAGE DALLA CAMPAGNA LAZIALE, DOVE LAVORANO 25MILA BRACCIANTI STRANIERI
Gli escamotage formali nella “zona grigia” costruita per coprire
condizioni di lavoro disumane. L’operato dell’associazione In Migrazione
di Angelo Mastrandrea
foto di Andrea Sabbadini
La
“Io prendo 800
euro ma il padrone scrive sempre
1.200”. È il più
classico dei modi
per occultare il
nero e lucrare
sulla differenza
26
busta paga è apparentemente in
regola: quattro giorni di lavoro dichiarati in un mese, retribuiti come
da contratto. Ammontare netto del
salario: duecento euro. Il padrone,
in queste campagne del Lazio che ancora portano i segni delle migrazioni venete e friulane dei
tempi del Duce, è ironicamente magnanimo: ha
riconosciuto al lavoratore immigrato, in regola
con il permesso di soggiorno, un “premio presenza” di venti euro e un compenso analogo per gli
“straordinari”. Un “escamotage formale” che serve
al datore di lavoro per dimostrarsi irreprensibile
in caso di un controllo e che in realtà crea quella
che l’associazione In Migrazione (www.inmigrazione.it) definisce come “una zona grigia dello
sfruttamento”.
Allo sportello per i migranti, il primo in assoluto
di questo genere in Italia, aperto dall’associazione
e dalla Flai-Cgil in un residence low cost a un passo dalle dune di Sabaudia ideato per i vacanzieri
e oggi subaffittato a migranti, in particolare sikh
del Punjab, quando l’hanno vista sono sobbalzati.
Era la prima volta che uno schiavo delle campagne, superando paure e diffidenze, si presentava
da loro a denunciare il suo sfruttatore. Ad attenderlo ha trovato l’avvocato Diego Maria Santoro,
Altreconomia
Numero 181
che un paio di volte alla settimana viene qui per
tentare di convincere chi si rivolge allo sportello
che è necessario battersi per far valere i propri diritti. “Si è aperta una crepa nel muro di diffidenze
nei confronti degli italiani e nella nostra giustizia,
spesso troppo lenta”, spiega.
Nel volgere di pochi mesi, grazie al passaparola
le denunce sono aumentate. Allo sportello di In
Migrazione e Flai-Cgil, solitario avamposto di legalità in quella terra di nessuno che dalla prima
campagna romana si estende fino al casertano,
ci si rivolge per problemi di ogni genere. Mentre
Santoro sciorina le diverse modalità che può assumere lo sfruttamento, arriva un indiano che ha
seri problemi alla schiena, spaccata dalle 12 ore
al giorno, a volte pure di più, trascorse piegato in
una serra a raccogliere zucchine. Non riesce più a
lavorare, non va nei campi da due settimane e non
sa come fare perché in famiglia è l’unico che porta
a casa un reddito. Alcuni, nelle sue condizioni, si
riempiono di antidolorifici per non sentire la fatica. Lui avrebbe bisogno forse di cure più serie.
Ho l’impressione che trascorrere una giornata da
queste parti sia più istruttivo di un dossier di un
istituto di ricerca. Ne è convinto pure il sociologo Marco Omizzolo, che con l’associazione In
Migrazione ha raccolto le denunce dei migranti
laziali in un dossier intitolato “Sfruttamento a
tempo indeterminato” perché, se la precarietà è
la condizione esistenziale degli almeno 25mila
braccianti stranieri dell’agro pontino, le modalità del loro lavoro non lo sono affatto. Le testimonianze raccolte sono numerose e concordanti:
“Io devo avere 1.200 euro, ma il padrone me ne
dà solo 600, ho il contratto ma decide lui. Lavoro
dieci ore al giorno e lui ne segna solo due. Il mese
scorso ho lavorato tutti i giorni, anche la domenica mattina, e ha segnato solo sei giorni, mi dato
300 euro per otto ore di lavoro, ma io ne ho lavorato 80 e anche di più”, dice un migrante. “Io ho
lavorato per cinque anni in cooperativa a Latina,
sempre senza contratto. Solo qualche volta ne
avevo uno di due o tre mesi. Poi ho chiesto più
soldi: me ne dava 600 e ne volevo mille. E mi ha
mandato via”, aggiunge un altro. Un terzo sostiene di aver accumulato un credito di 26mila euro
in sette anni di lavoro.
Santoro mi mostra un altro foglio. Ci sono dei numeri scritti a mano, quasi degli scarabocchi. È il
conteggio fatto dal padrone, prevede un acconto e
una rateizzazione dei pagamenti in cinque rate, al
nero e senza busta paga. Chi si era indignato per il
primo caso dovrà ricredersi: nella gerarchia dello
sfruttamento in agricoltura esiste di ben peggio.
Anche perché, come si intuisce dal racconto della moglie di un lavoratore sikh, non sempre viene
corrisposto quanto pattuito: “il padrone scrive su
un foglio che deve dare a noi 2.600 euro e poi invece ce ne dà solo 200 perché dice che c’è la crisi e guadagna di meno”. Addentrarsi nella giungla
del lavoro migrante nei campi pontini, grazie ai
Caronte di In Migrazione, è un po’ come scendere
negli inferi della condizione umana.
Santoro mi spiega un altro fenomeno emergente:
molti immigrati vengono forzati dai datori di lavoro ad aprirsi una partita Iva. In questo modo il
lavoro viene subappaltato a finti lavoratori autonomi e il committente esce pulito da ogni controllo, mentre gli sfruttati sono costretti ad assumersi
pure “il rischio d’impresa”. Ma, come abbiamo visto, non è che un contratto regolare tuteli molto
di più. Non c’è solo il fenomeno delle buste paga
con un numero di giorni di lavoro dichiarato che
non corrisponde al vero. K. Singh racconta che il
compenso dichiarato dal datore di lavoro è superiore a quello reale: “Io prendo 800 euro ma il padrone scrive sempre 1.200”. È il più classico dei
modi per occultare il nero: si dichiara una cifra
falsa e si lucra sulla differenza.
Un fenomeno
emergente è
l’apertura di
partite Iva in
capo ai braccianti
migranti
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Aprile 2016
www.altreconomia.it
PRIMO TEMPO
Diritti
“Quando arriva
il controllo la
guardia avvisa il
padrone che allontana gli indiani
irregolari”
3
anni, la durata
media di una
causa di lavoro
in Italia
28
Non mancano i paradossi, come quando sono i
lavoratori stessi a chiedere una busta paga con un
ammontare più elevato. Accade quando bisogna
dimostrare allo Stato di poter mantenere la famiglia per ottenere il ricongiungimento. “Fanno
registrare 800 euro quando ne guadagnano 500”,
dice Santoro. L’effetto è doppiamente penalizzante per i lavoratori: non solo guadagnano meno di
quanto dichiarato ma, aumentando formalmente
il reddito oltre la soglia prevista per accedere ai
servizi sociali, rimangono tagliati fuori dal welfare locale.
I ricercatori di In Migrazione parlano di “un sistema rodato di illeciti fondati su arruolamenti del
personale via cellulare, buste paga irregolari, ricatti e intimidazioni che svelano il vero business
del settore: evasione fiscale e contributiva a fare
da cornice a una zona grigia di sfruttamento”. Un
contesto che “favorisce la criminalità organizzata
e una cricca di faccendieri (avvocati, commercialisti, impiegati pubblici, imprenditori e consulenti del lavoro compiacenti) dedita al reclutamento e all’intermediazione illecita di manodopera e
all’evasione, spesso anche attraverso metodi coercitivi e violenti finalizzati a impedire la denuncia
con percosse, aggressioni, spedizioni punitive”.
È per questo che, quando è arrivata la prima “confidenza”, allo sportello di Sabaudia l’hanno considerata come una faglia in un muro fino a quel
momento mai scalfito. Il fatto che le prime segnalazioni siano sfociate in alcune vertenze sindacali
Altreconomia
Numero 181
e perfino in un processo a carico di un datore di
lavoro è una novità assoluta. Il problema, spiega
Omizzolo, è che “da queste parti lo Stato non riesce ad arrivare”. Troppo pochi i controlli e i controllori, troppo oliate le vie di fuga (“davanti alla
cooperativa c’è una persona che fa la guardia e
quando arriva il controllo avverte il padrone che
manda via gli indiani irregolari. Quando sono andati via li richiama”, dice un lavoratore), troppo
forte il timore di rimanere disoccupati. “Il problema è che non abbiamo molto da offrire: una causa di lavoro dura mediamente tre anni e chi viene da noi di solito ha un problema immediato da
risolvere, uno stipendio non pagato, paghe troppo basse. Quando arriva la risposta dei giudici è
troppo tardi”, spiega Santoro. Il risultato è che gli
schiavi delle campagne continuano a diffidare di
chi vuole spingerli a denunciare e i datori di lavoro ormai non si spaventano più. Anche le denunce
penali sono un’arma a doppio taglio: i “clandestini” temono di essere espulsi e comunque sanno
che se lo fanno non li impiegherà più nessuno.
Sono le dure regole di un mercato sregolato in cui
domanda e offerta di lavoro non hanno canali regolari d’incontro e l’unica via è quella informale.
Nel febbraio 1974, passeggiando tra le dune a pochi metri da qui, lo scrittore Pier Paolo Pasolini
alla Rai denunciò l’appiattimento culturale, la devastazione estetica e l’imbarbarimento civile della
società dei consumi. Cosa avrebbe detto oggi nel
vedere cosa sono diventati quegli stessi luoghi?
Il volo a pedali
Vaccini, la volontà che manca. La guerra
stravolge le campagne vaccinali, come dimostra
il caso del conflitto siriano. Il nodo dei costi
di Luigi Montagnini
Credo che sui vaccini ci siano due certezze. La prima è che
sono uno strumento molto efficace per ridurre la mortalità.
Il capostipite è stato quello contro il vaiolo, prodotto dal medico inglese Edward Jenner alla fine del 1700. Da allora ne
sono stati sperimentati parecchi, alcuni dei quali hanno domato epidemie devastanti e le hanno relegate all’interno dei
trattati di microbiologia: se oggi nessun ragazzo sa che cosa
significhi vivere in un polmone d’acciaio, il merito è tutto del
vaccino contro la poliomielite.
Non mi addentrerò nel dibattito sull’attualità della vaccinoprofilassi che ciclicamente si accende nel nostro Paese, mi
limiterò a parlare di due malattie.
Iniziamo dal morbillo, una delle febbri della nostra infanzia,
una di quelle che forse, col senno di poi, ricordiamo anche
abbastanza innocua. Il morbillo in realtà è un killer da centomila bambini all’anno. Non esiste trattamento, solo il vaccino. I morti furono quasi tre milioni nel 1980, prima della
vaccinazione di massa, poi sono via via diminuiti.
Davanti all’ingresso dell’ospedale di Jahun, Nord-Est della
Nigeria, campeggia lo striscione rosa della campagna governativa per promuovere la vaccinazione di tutti i bambini
sotto i cinque anni di età: “Il vaccino per il morbillo è gratis, sicuro e salva vite!”. Una campagna che funziona e che,
dal 2000 a oggi, è riuscita a ridurre il numero di bambini
che muoiono nel Paese ogni anno per morbillo da 150.000 a
8.000 (dati 2015 dell’Organizzazione mondiale della Sanità).
Sempre morbillo, altra nazione. In Siria nel 2010, prima
dell’inizio della guerra, la copertura vaccinale per il morbillo
era superiore al 90% sia nelle aree urbane sia in quelle rurali
(nello stesso anno in Nigeria, nelle aree rurali, era al 34%).
Ebbene, sono bastati solo due anni di guerra perché il crollo
dell’efficiente sistema sanitario siriano e la conseguente sospensione delle campagne vaccinali facessero esplodere epidemie di morbillo nel Nord del Paese.
Un altro esempio, la polmonite: pesa per il 15% tra le cause
di morte dei bambini sotto i 5 anni di età ed è al primo posto
tra le malattie infettive in questa triste classifica mondiale.
Nel 2015 sono morti per polmonite più di 900.000 bimbi.
Il principale responsabile della polmonite è lo streptococco
230 milioni
Sono i bambini che si stima abbiano vissuto in Paesi e aree
interessate da conflitti armati nel corso del 2014 (Rapporto
annuale Unicef 2014)
e anche per questo batterio abbiamo un vaccino molto efficace. Ha un solo problema: costa parecchio. Lo producono
Pfizer e GlaxoSmithKline, che dalla sua vendita si stima abbiano già guadagnato 28 miliardi di dollari. Non gli basta e
così continuano a venderlo a 21 dollari: il prezzo del vaccino
per la polmonite rappresenta da solo il 45% della spesa totale necessaria per vaccinare un bambino, spesa che è cresciuta dal 2001 al 2014 del 68% (da 0,67 a 45,59 dollari). Troppo
per quei Paesi in cui le malattie infettive colpiscono più duro
perché si avvantaggiano della malnutrizione.
È questa la seconda certezza: tra un bambino esposto a una
malattia infettiva e il vaccino che dovrebbe proteggerlo, vi
sono molte insidie. La prima è la ricerca scientifica necessaria per fabbricarlo, poi vi sono la produzione in larga scala e
il trasporto con metodi che ne preservino l’efficacia. Poi servono un’informazione capace di abbattere gli ostacoli culturali nella popolazione, un’organizzazione logistica capillare
per somministrarlo e un’appropriata sorveglianza sanitaria
per valutare efficacia e sicurezza clinica.
Insomma ci vuole volontà politica.
Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo
aver vissuto a Varese e Londra, oggi è a Genova, dove lavora
presso l’Istituto Gaslini. Da diversi anni collabora con Medici
Senza Frontiere.
29
Aprile 2016
www.altreconomia.it
Buone notizie sul clima
Editorialisti sull’orlo di una crisi di nervi.
Il cambiamento climatico è innegabile, ai
negazionisti non resta che deligittimare chi
presenta le notizie
di Stefano Caserini, Climalteranti.it
Quando, fra qualche decennio, qualche storico cercherà di
capire i motivi per cui gli esseri umani hanno tardato così
tanto ad agire contro il riscaldamento globale, un capitolo
corposo dovrà dedicarlo al ruolo giocato dai mass media.
L’informazione sul riscaldamento globale è spesso un misto
di confusione e ambiguità, reticenze ed esagerazioni. Da una
parte la negazione, il rifiuto di credere a quanto la comunità scientifica in modo sostanzialmente unanime sostiene
da decenni. Una parte in ritirata, fortunatamente il negazionismo è quasi scomparso in televisione: sulla carta stampata gli articoli negazionisti sono ormai pubblicati solo su Il
Giornale, Libero e Il Foglio. Dall’altra parte l’allarmismo come
strategia editoriale, per vendere più copie o alzare l’audience. Se i fatti non rispondono ai requisiti del catastrofismo
giornalistico (e molti degli impatti del riscaldamento globale
son così, sono lontani e spostati nel tempo) sono resi più sexy
per colpire il cuore o la pancia. I toni allarmisti sono in genere abbandonati rapidamente, sostituiti con altre emergenze,
anche questi eventi epocali, gravi pericoli o incubi che assediano milioni di persone. Alla fine si perde la differenza fra
le notizie, perché il bombardamento delle breaking news nel
mondo della comunicazione globalizzata rende più difficile
l’approfondimento della notizia stessa, la verifica della sua
fondatezza, della sua rilevanza effettiva, la sua corretta contestualizzazione; l’ansiosa attesa delle novità che faccia impennare i contatti finisce con il richiedere strutturalmente
notizie effimere, o fa apparire come effimere per contaminazione anche comunicazioni epocali.
In questo contesto disastrato, iniziano a vedersi degli sprazzi di informazione di qualità: dal 2015 il meteorologo e climatologo Luca Mercalli, da sempre in prima linea nella divulgazione scientifica sui cambiamenti climatici, conduce
una bella trasmissione televisiva, “Scala Mercalli”, sei puntate in onda in prima serata il sabato, in cui il clima che cambia
è il tema principale, con servizi approfonditi e interessanti.
Finalmente si inizia a capire qualcosa del problema, le cause,
gli impatti già in corso o attesi per il futuro, gli strumenti a
disposizione per cambiare direzione.
Ma le azioni per contrastare il cambiamento climatico hanno
30
Altreconomia
Numero 181
9
Sono i mesi consecutivi in cui le temperature globali hanno
stabilito dei record rispetto ai rispettivi mesi degli ultimi 125
anni, ossia da quando esistono le misurazioni delle temperature globali.
delle conseguenze. Ci sono delle scelte che dovranno essere fatte, degli interessi di business che dovranno essere fermati. Alcuni cambiamenti riguardano anche le nostre azioni
quotidiane.
È per questo che sta emergendo una nuova figura, quella
dell’editorialista sull’orlo di una crisi di nervi. È un tipo di
editorialista abituato a parlare del nulla, campione del cerchiobottismo, un alfiere del “diamine, non preoccupiamoci
troppo”. Davanti agli aumenti di temperature senza precedenti, ai ghiacci che si fondono, agli impatti delle attività di
fracking, agli incidenti a centrali nucleari, l’editorialista ha
un problema: non è più possibile fare finta di niente, e non
è neppure possibile negare la realtà. La soluzione è quella di
prendersela con chi presenta le notizie.
Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere, è uno di questi.
Ogni anno trova un modo per attaccare Luca Mercalli, descrivendolo come “incattivito”, “ideologico”, “profeta di
sventura”, addirittura “sadico”, con frasi come: “addio allo
stile rassicurante di Piero Angela. Qui si sceglie la strada del
catastrofismo”. Chi disturba il manovratore va bastonato.
Meglio dire che tutto va bene, con le splendide meteorine o
la ventisettesima replica della storia dell’impero romano.
Stefano Caserini è titolare del corso di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è
“Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente)
Finanza
Le banche e l’Euribor: gli effetti
del cartello sugli interessi dei mutui
NEL DICEMBRE 2013 LA COMMISSIONE EUROPEA HA SANZIONATO 4 COLOSSI PER 1,04 MILIARDI DI EURO
Dal settembre 2008, quando è fallita la banca d’affari Lehman
Brothers, il tasso sarebbe stato manipolato grazie a un accordo tra
importanti istituti di credito. Le ricadute sul sistema bancario italiano
di Luca Martinelli
Ci
23
Gli istituti di
credito che partecipano al panel
per l’elaborazione
dell’EURIBOR
sono 23. Nel 2013
erano 39
sono segni meno che fanno bene al
portafoglio. Per molti italiani, tutti quelli che intorno alla metà degli
anni Duemila hanno contratto un
mutuo per l’acquisto di un immobile, la discesa dell’Euribor rappresenta un “regalo”:
questo tasso influenza infatti il calcolo dell’interesse variabile che pagano ogni mese alle banche
che hanno erogato quel prestito. Il 10 marzo 2015
l’Euribor “a 3 mesi” (ovvero il tasso relativo a un
prestito in scadenza dopo tre mesi) era negativo,
fissato a -0,229%. Nell’ottobre del 2008, lo stesso
valore era al 5,1%. A pagare il prezzo dell’Euribor
sottozero sono le banche, ma c’è un paradosso:
la scelta di portarlo così in basso l’hanno presa
loro stesse, o meglio un loro gruppo selezionato, il “panel Euribor”. Accanto al nome avremmo
infatti dovuto indicare la ®, perché Euribor è in
realtà un marchio registrato, nato alla fine degli
anni Novanta nell’ambito dell’European Banking
Federation, dal 1960 “la voce del mondo bancario
europeo”, www.ebf-fbe.eu.
Il nome è un acronimo: l’Euro InterBank Offered
Rate rappresenta il tasso a cui le banche sarebbero disposte a prestarsi denaro tra loro. Viene
comunicato ogni giorno, ma è un dato virtuale:
rappresenta, infatti, solo un’intenzione, e non è
collegato a contratti reali di prestito interbancario. Albino Zabbialini è un commercialista bresciano, e per un triennio (fino al 2014) ha guidato
la Banca di credito cooperativo (BCC) di Bedizzole
Turano Valvestino, dopo aver presieduto tra il
1993 e il 2011 gli organi di controllo dello stesso istituto. Oltre duemila soci, 19 sportelli, circa
120 dipendenti, la BCC ha visto i proprio conti
peggiorare nel periodo 2008-2011, quando l’utile
d’esercizio s’è contratto da 4,8 milioni a 42mila
euro. Secondo Zabbialini, ciò è dovuto -in larga
parte- all’Euribor. Che a partire da una data “fatidica”, quel 15 settembre del 2008 che vede la
banca d’affari statunitense Lehman Brothers dichiarare fallimento, sarebbe stato manipolato
al ribasso grazie a un accordo tra le banche che
compongono il panel, cioè alcuni tra i più grandi
istituti di credito della “zona Euro”: nel 2013 erano 39; in precedenza, una quarantina; oggi sono
appena 23, tre dei quali italiani -Intesa Sanpaolo,
Unicredit e Monte dei Paschi di Siena-. In nove
mesi, dopo l’ottobre del 2008, l’Euribor perde oltre 4 punti percentuali, e scende sotto l’1 per cento. “Ciò significa -spiega Zabbialini-, che è andato
sotto il costo medio della raccolta”, che è il tasso d’interesse che gli istituti di credito pagavano
in quel momento ai depositanti, a coloro che
31
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Cronologia
30 dicembre 1998
Viene pubblicato
per la prima volta
l’Euribor: è il tasso di riferimento
interbancario
europeo
1 gennaio 1999
L’euro diviene la
moneta ufficiale
per 11 Paesi europei (“area euro”)
15 settembre
2008
La banca USA
Lehman Brothers
annuncia il proprio fallimento:
è l’inizio della
“crisi”
Finanza
detenevano un conto corrente. È logica quella
che muove il commercialista bresciano: per quale
motivo, nell’economia reale, dovrei essere disposto a prestare del denaro -offrendo prestiti veloci,
e impiegando così la mia liquidità- a un altro istituto di credito, chiedendo in cambio una remunerazione inferiore rispetto a quella che dovrò riconoscere a chi ha prestato quei soldi a me, e cioè
il correntista? Tradotto significa che se qualcuno
mi presta mille euro, sarei quanto meno incauto
se scegliessi di “investirli” sapendo di guadagnare
appena 10, quando a fine anno dovrò restituirne
1.015.
Per capire qual è il motivo che porta alcune banche a comportarsi in modo apparentemente irrazionale manca un elemento: “Tra le maggiori banche, che hanno il portafoglio ‘gonfio’ di strumenti
finanziari, come i derivati, ce ne sono molte che
sono ‘pagatrici nette’ dell’Euribor” spiega l’avvocato Marco Rossi, presidente del Comitato scientifico di Alma Iura (www.almaiura.it), un centro
per la formazione e gli studi giuridici bancari e
finanziari con sede a Verona, e co-autore con
Maddalena Mandarà di un saggio sull’ipotesi di
manipolazione al ribasso dell’Euribor. “Le banche
piccole -continua- sono invece normalmente ‘ricevitrici nette’, perché vedono nell’erogazione di
mutui, che in molti casi dipendono direttamente
dalla quotazione dall’Euribor, una della loro principali attività”. Guardiamo alla BCC di Bedizzole,
quella presieduta fino al 2014 da Zabbialini: nel
periodo che va dal 2009 al primo trimestre del
2012 ha in essere mutui per circa 300 milioni di
PAROLA CHIAVE
EURIBOR
L’Euribor è l’Euro Interbank Offered Rate, ovvero il tasso d’interesse a cui le banche sono disposte a prestarsi denaro tra loro.
Viene pubblicato ogni giorno dall’European Money Markets
Institute (www.emmi-benchmarks.eu), un’associazione con sede
in Belgio di cui fanno parte le realtà che in ogni Paese dell’Eurozona rappresentano gli interessi delle banche, e indicat un dato
medio rispetto alle rilevazioni di un gruppo selezionato di banche,
che sono 23 e hanno sede in 10 diversi Paesi europei. Si tratta di
un tasso “virtuale”, nel senso che i soggetti che contribuiscono
alla sua fissazione non devono effettivamente aver sottoscritto
contratti sul mercato interbancario.
32
Altreconomia
Numero 181
“Le banche avrebbero comunicato
al mercato un tasso artificialmente
più basso di quello che avrebbe
dovuto essere, con l’intento di
apparire in migliori condizioni”
euro, e il commercialista ha stimato un danno tra
i 13 e i 20 milioni di euro. Lo ha fatto utilizzando alcune stime contenute nel saggio di Mandarà
e Rossi, che evidenziano una differenza media
dell’1% tra la quotazione dell’Euribor nel periodo
considerato e quella che avrebbe dovuto essere.
Lo studio è stato pubblicato nel 2013 da “Banca
Impresa Società”, una rivista scientifica edita da
Il Mulino. Il modello utilizzato nella ricerca di
Mandarà e Rossi trae spunto da analisi già realizzate -e pubblicate- negli Stati Uniti e relativi al
tasso Libor, il London Interbank Offered Rate, “gemello” dell’Euribor. “È possibile scomporre il tasso interbancario in una quota risk free e una che
tiene conto del rischio implicito legato alla salute
della banca -racconta l’avvocato Rossi-: se lei presta del denaro a me, ed io sono ‘rischioso’, lei si
farà pagare di più. Questo valore può essere misurato, guardando al differenziale relativo ai credit
default swap di ogni singola banca del panel, che è
ciò che abbiamo fatto. Scoprendo così che fino al
2008 l’evoluzione del tasso Euribor e la ‘curva di
rischio’ è sovrapponibile, mentre le cose cambiano diametralmente dopo il break strutturale a seguito del fallimento di Lehman Brothers. Da lì in
poi, l’Euribor effettivo è più basso, e le due curve
si divaricano”. Per dirla con le parole dello studio,
“[le banche] avrebbero scientemente comunicato
www.db.com/newsroom
SECONDO TEMPO
Dicembre 2008 marzo 2012
L’assemblea
annuale 2015 di
Deutsche Bank
Secondo la
ricerca di Alma
Iura, in questo
periodo le quotazioni dell’Euribor
sarebbero state
inferiori rispetto
a quelle attese
18 ottobre 2011
La Commissione
europea annuncia
l’avvio
di ispezioni nei
confronti di
soggetti attivi
nel settore dei
derivati finanziari
connessi al tasso
Euribor
al mercato un tasso artificialmente più basso di
quello che avrebbe dovuto essere, con l’intento di
apparire in migliori condizioni finanziarie rispetto a quelle reali”. Rossi non nasconde che l’ipotesi iniziale di Alma Iura fosse quella di dimostrare che l’Euribor fosse stato manipolato ma in su.
Negli stessi mesi in cui veniva avviato lo studio,
nell’ottobre del 2011, anche la Commissione europea, e in particolare la DG Competition, quella
che si occupa di concorrenza, iniziava un’indagine a partire dall’ipotesi di un cartello, un accordo
illegale tra le banche in grado di modificare l’andamento dell’Euribor.
Il 4 dicembre 2013 è arrivata anche la decisione
della Commissione, che evidenzia l’effettiva esistenza di un cartello e che questa ha coinvolto
quattro istituti di credito tra quelli che fanno parte del panel, e cioè Barclays, Deutsche Bank, Royal
Bank of Scotland e Société Générale, quest’ultima oggi presieduta dall’italiano Lorenzo Bini
Smaghi. Le ultime tre nell’elenco sono state multate, per un cifra che complessivamente supera
il miliardo di euro, mentre Barclays ha ricevuto
uno sconto del 100% “per aver rivelato l’esistenza del cartello”, spiega un comunicato stampa
della Commissione europea. Joaquín Almunia, vice-presidente della Commissione europea, commenta così la sentenza: “È scioccante [...] aver
provato una collusione tra banche che dovrebbero
competere l’una con l’altra”; contemporaneamente, si avviò -sempre in seno alla Commissione- un
dibattito sulla modifica delle procedure di calcolo dell’Euribor, ma è stato abbandonato. E dopo
due anni, la sentenza in merito al “cartello” non
è ancora stata resa pubblica. Una lettura integrale aiuterebbe a capire la bontà dell’ipotesi di
Mandarà e Rossi, oggi che il “cartello” è accertato.
Che la manipolazione possa essere avvenuta al ribasso sarebbe provato anche da alcuni verbali del
comitato di direzione per l’Euribor (l’Italia è rappresentata da Alberto Covin, capo della divisione
Short Term Funding di Unicredit, ndr). Tra le protagoniste dell’accordo, due -Barclays e Deutsche
Bank- fanno ancora parte del panel Euribor, e
nel frattempo in Inghilterra è iniziato -a gennaio 2016- un procedimento giudiziario contro 11
impiegati dei due istituti di credito, a seguito di
un’inchiesta del Serious Fraud Office. In Italia,
invece, l’Associazione bancaria italiana (ABI), che
rappresenta il nostro Paese all’interno dell’European Banking Federation, non ha nemmeno avviato una valutazione del possibile danno subito
dalle associate.
Secondo Zabbialini, potrebbe essere di 1,5 miliardi di euro per le BCC, e di 19 miliardi per tutto il
sistema bancario italiano.
33
4 dicembre 2013
La Commissione
stabilisce
l’esistenza di
un “cartello”
che ha coinvolto 4 istituti di
credito, Barclays,
Deutsche Bank,
RBS e Société
Générale. Le
multe elevate ammontano a 1,04
miliardi di euro
Marzo 2016
Barclays e
Deutsche Bank
continuano a far
parte del “panel”
per l’elaborazione
dell’EURIBOR
Aprile 2016
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PRIMO TEMPO
Interni
Non solo Senato: ecco la “riforma”
che stravolge la Costituzione
ENTRO L’AUTUNNO IL DISEGNO DI LEGGE PRESENTATO DEL GOVERNO AL VAGLIO DEL REFERENDUM
Camera alta non eletta, più poteri al Governo, più difficile l’iniziativa legislativa
popolare: quasi 60 articoli (su 139) della Carta saranno modificati. “Una norma
problematica sin dal titolo” secondo il costituzionalista Alessandro Pace
di Duccio Facchini
E
34
Altreconomia
Numero 181
regionali, o quelle su introduzione o deroghe di
norme costituzionali).
Il testo della
Costituzione
italiana è lungo
9.369 parole. Il
“vocabolario di
base” ne copre
il 92,13%. Per il
linguista Tullio
De Mauro, si può
“scorgere uno
straordinario
impegno dei
costituenti nella
direzione dello
scegliere parole
di massima
accessibilità”
Secondo Alessandro Pace -professore emerito di Diritto costituzionale dell’Università “La
Sapienza” di Roma e presidente del “Comitato
per il NO” (coordinamentodemocraziacostituzionale.net) - il Ddl è “problematico” a partire
dal titolo: “Disposizioni per il superamento del
bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di
funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”. È una revisione, ampia,
globale e che in quanto tale, secondo Pace, “non
è prevista dall’articolo 138 della Carta, che invece regola il processo di modifica attraverso manutenzioni, puntuali”. Sul punto, l’avvocato Felice
Besostri, promotore con gli avvocati Aldo Bozzi e
Claudio Tani dei ricorsi che hanno portato alla dichiarazione di incostituzionalità della legge elettorale conosciuta come il “Porcellum”, suggerisce
di guardare al caso di due Paesi europei, Spagna
e Svezia. In quei contesti, quando interviene una
revisione costituzionale, è previsto che tra la prima deliberazione e quella definitiva si tengano
nuove elezioni politiche. Una forma che per
www.flickr.com/photos/palazzochigi
ntro l’autunno del 2016, i cittadini italiani saranno chiamati alle
urne per votare al referendum
“confermativo” sulla revisione della Costituzione messa a punto dal
Governo. Potranno cioè approvare (con il “sì”) o
respingere (con il “no”) gli effetti di un disegno
di legge costituzionale (Ddl) che non modifica soltanto la natura e l’operato del Senato della
Repubblica, ma cambia il volto a quasi 60 articoli
della Carta (che complessivamente ne conta 139).
Il disegno di legge -che a metà marzo si trova
alla Camera dei Deputati per la seconda e finale lettura e approvazione- è di iniziativa governativa. Non è un’eccezione -come vuole invece il
pretesto che sta alla base della proposta, e cioè
che l’esecutivo sia in qualche modo “frenato” dal
Parlamento- ma è la regola: dalle statistiche parlamentari emerge infatti che l’83% delle leggi approvate nella 17esima legislatura (Monti, Letta,
Renzi) sono “nate” dall’esecutivo. Nella 16esima,
2008-2013, erano a quota 76%. L’interferenza
parlamentare è un falso mito, così come la circostanza che una “riforma” sia attesa da “70 anni”.
In realtà, sono state già 16 le leggi costituzionali intervenute sulla Costituzione tra il 1963 e il
2012 (senza considerare quelle relative a statuti
L’aula del Senato,
a Palazzo
Madama.
La “Camera alta”
oggi è composta
da 315 senatori
eletti, cui vanno
sommati i senatori a vita
35
Aprile 2016
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PRIMO TEMPO
Interni
Che cosa prevede la “riforma”
1. LA COMPOSIZIONE DEL NUOVO SENATO
Ecco chi sarebbero i nuovi ospiti di Palazzo Madama
95
tra consiglieri
regionali
e sindaci
5
nominati
dal Quirinale
2. IL NUOVO PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
Le tappe forzate della futura “produzione” normativa del Parlamento
Un Ddl approvato
dalla Camera viene
trasmesso
al nuovo Senato
Entro 10 giorni
e su richiesta di 1/3
dei membri il nuovo
Senato può disporre
di esaminarlo
Entro i 30 giorni
successivi il nuovo
Senato può deliberare
proposte, anche se
non vincolanti
FASE 1
FASE 2
FASE 3
Se il Ddl è relativo a materie
di bilancio, l’iter deve
concludersi entro 15 giorni
3. IL GOVERNO
POTRÀ DETTARE
L’AGENDA DELLA
CAMERA
Il Governo potrà
dichiarare un
Disegno di legge
come “essenziale
per l’attuazione
del programma”,
chiedendo alla
Camera di iscriverlo
“con priorità”
all’ordine del giorno
36
Altreconomia
Numero 181
4. PIÙ DIFFICILI LE
LEGGI DI INIZIATIVA
POPOLARE
La quantità di
firme richiesta per
poter depositare
una proposta di
legge di iniziativa
popolare triplica,
passando da 50mila
a 150mila. Introdotto
il referendum
abrogativo senza
quorum: 800mila le
firme necessarie
5. MENO POTERI
ALLE REGIONI
Il Governo centrale
si riappropria della
potestà legislativa
esclusiva in diverse
materie, sottraendola
alle amministrazioni
regionali, riservandosi
di intervenire in
qualunque tematica
nel nome della
“tutela dell’interesse
nazionale”
Besostri sarebbe più garantista di un referendum onnicomprensivo, esposto a strumentalizzazioni personalistiche. “Nel titolo, inoltre, manca
l’elemento più importante -spiega Pace- e cioè
il mutamento profondo della forma di governo
italiana, visto che la cosiddetta ‘riforma’ costituzionale tende ad accentrare nel presidente del
Consiglio tutti i poteri”. In che modo? “Non esistono più contro poteri esterni -afferma Pacedato che il nuovo Senato è totalmente irrilevante. Inoltre, non sono stati previsti contro poteri
interni, come il rafforzamento delle commissioni
d’inchiesta o le inchieste di minoranza. Inoltre, il
testo rivisto prevede che i diritti delle minoranze
parlamentari e lo statuto delle opposizioni vengano disciplinati da un regolamento successivo”.
La mutazione del Senato è sancita dal primo articolo del Ddl costituzionale, che interviene sulle “Funzioni delle Camere” (l’articolo 55 della
Carta). Il Senato (oggi composto da 315 membri
più i senatori a vita) non scompare ma cambia
natura. Non rappresenta più la Nazione -come
da Costituzione vigente- ma più genericamente
le “istituzioni territoriali”. Gli vengono sottratti il rapporto di fiducia con l’esecutivo, il potere
di controllo dell’operato del Governo, la funzione legislativa (con limitate eccezioni) e l’indirizzo politico. I componenti diventano 100: 95 tra
consiglieri regionali e sindaci eletti dai consigli regionali e 5 di nomina del presidente della
Repubblica. E la durata del mandato dei nuovi
senatori coincide con quella degli “organi delle
istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti”.
Tradotto: ogni volta che decade un Consiglio regionale o comunale -o si rinnova-, il Senato perde
un pezzo dei propri appartenenti.
Tra i nodi più significativi spicca la cancellazione dell’elezione diretta da parte dei cittadini della camera alta (ad essere abrogato è l’articolo 58
della Costituzione): “Aver conservato la potestà
di rivedere la Costituzione e far parte del processo legislativo ancorché gli si è negata l’elettività diretta da parte dei cittadini è una bruciante
sconfitta del costituzionalismo -commenta Pace-.
Quando si attribuisce la potestà legislativa a un
organo, la fonte, com’è scolpito all’Articolo 1 della nostra Costituzione -la sovranità appartiene al
popolo- non può che derivare dai cittadini”.
L’articolo 68 relativo all’immunità parlamentare, invece, è rimasto intatto. In questo modo, le
maggiori garanzie in materia di arresto, indagini
e intercettazioni interesseranno così sia i deputati (legittimamente) sia i “nuovi” senatori (consiglieri regionali e sindaci). In prima lettura il testo aveva limitato l’immunità ai soli deputati, ma
con l’avanzare dell’iter la modifica è stata via via
stralciata.
Quanto “costa”
il Senato oggi
Il cuore delle modifiche costituzionali, ad ogni
modo, sta nel “nuovo” articolo 70, quello sul
“Procedimento legislativo”. Prima di entrare nel
merito, l’avvocato Felice Besostri riflette su quella che definisce la “comprensibilità delle costituzioni”. Pensa al linguaggio, all’accessibilità dei
periodi. “Nel testo della revisione ci sono punti
incomprensibili persino a conoscitori della materia o docenti di diritto costituzionale -spiega-. L’articolo 70 della nostra Costituzione conta
oggi nove parole e un solo comma: ‘La funzione
legislativa è esercitata collettivamente dalle due
Camere’. Il ‘nuovo’, invece, è fatto di sei commi,
di cui solo il primo ha 195 parole”. Nel merito, la
Camera dei Deputati accentra su di sé il potere
legislativo, dettando al “nuovo” Senato tempi e
modalità di partecipazione al processo. A seguito dell’approvazione di una legge da parte della
Camera il Senato avrà 10 giorni di tempo per decidere se esaminarlo (a patto che a richiederlo sia
un terzo dei componenti) e 30 giorni per deliberare proposte di modifica. Dopodiché la Camera
sarà chiamata a “pronunciarsi” sulle proposte,
che comunque non sono vincolanti. Le scadenze
si fanno ancora più stringenti per le leggi in materia di bilancio (articolo 81 della Carta), rispetto alle quali il Senato sarà chiamato a deliberare
le proprie “proposte di modificazioni” -mai vincolanti- entro 15 giorni. Al contrario, qualora il
Senato -sempre che la maggioranza assoluta dei
suoi componenti lo deliberi- volesse proporre alla
Camera l’esame di un Ddl, questa avrà sei mesi di
tempo per pronunciarsi. “Per garantire l’efficienza del sistema bicamerale -commenta Besostrisarebbe stata sufficiente una modifica del regolamento. Nella Costituzione, infatti, non è scritto da
nessuna parte che quando termina una legislatura
tutti i progetti di legge debbano decadere”. Il peso
del Governo cui si riferiva Pace è rappresentato
dal nuovo articolo 72, all’interno del quale è stata
aggiunta una sorta di “binario preferenziale” per i
Ddl che il Governo dovesse dichiarare “essenziali
per l’attuazione del programma”, chiedendo alla
Camera di iscriverli “con priorità” all’ordine del
giorno. È il rovesciamento di quel che la Carta in
vigore stabilisce oggi: e cioè che non si possa delegare all’esecutivo se non “per tempo limitato e
per oggetti definiti”. Anche gli strumenti di partecipazione popolare cambiano, seguendo però
quella che Besostri definisce una “procedura inutilmente aggravata”. La quantità di firme necessarie per poter depositare una proposta di legge
valori in €
Competenze
dei senatori
21.800.000,00
Rimborsi spese
sostenute per lo
svolgimento del
mandato
42.185.000,00
Altro (spese
correnti e in conto
capitale)
461.049.000,00
di iniziativa popolare, infatti, triplica, passando
da 50mila a 150mila (nuovo articolo 71). E nello
stesso tempo il referendum abrogativo (articolo
75) resta identico (500mila firme) ma comunque
soggetto al nodo del quorum, eliminabile soltanto tramite la raccolta di 800mila firme e annessi
certificati elettorali.
Sia Pace sia Besostri concordano su un punto:
la “pericolosità” della revisione costituzionale è
data dalla sua combinazione con un altro provvedimento, approvato nel maggio 2015 e prossimo
alla sua applicabilità a partire dal 1 luglio 2016.
Si tratta della nuova legge elettorale (52/2015,
“Italicum”), che per l’avvocato Besostri rappresenta il compiuto aggiramento della sentenza
1/2014 con la quale la Corte costituzionale aveva
dichiarato illegittimo il cosiddetto “Porcellum”.
In particolare per quel che riguarda il premio di
maggioranza di 340 seggi alla Camera (su 630, il
54%), “attribuito sia a una lista che abbia ottenuto il 40% dei seggi al primo turno sia a una lista
che abbia vinto al ballottaggio, senz’alcuna soglia
di partecipazione o di voti ottenuti al primo turno”. Un premio la cui entità “è inversamente proporzionale al consenso elettorale ottenuto”, come
spiega Besostri, e che non consente all’elettore di
avere un’idea precisa del destino del proprio voto,
e che stride con il divieto di mandato imperativo
per un parlamentare.
IN DETTAGLIO
COME SI RISCRIVE LA COSTITUZIONE
La revisione costituzionale è regolata dall’articolo 138 della
nostra Carta. Questo stabilisce che le “leggi di revisione” e le
“altre leggi costituzionali” debbano essere adottate da ciascuna
Camera “con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi”. E che siano approvate a maggioranza assoluta
dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Se,
a tre mesi dalla pubblicazione, dovessero farne richiesta un quinto dei membri di una Camera, cinque consigli regionali o 500mila
elettori, allora si ricorrerebbe al referendum (che sarebbe invece
escluso se la legge fosse stata approvata in seconda votazione
da ciascuna Camera a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti). Nel caso del Ddl del Governo in discussione (descritto a
partire da pag. 34), è già scontato il raggiungimento della soglia
del quinto dei parlamentari per la richiesta del passaggio referendario. Non è detto che raccogliere comunque le firme sia inutile.
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Aprile 2016
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Enti locali
Garanzie svanite, la città
di Pisa è in “seria sofferenza”
LE POLIZZE “TOSSICHE” IN MANO ALL’ENTE SAREBBERO ALMENO UNA TRENTINA, PER 15,8 MILIONI DI EURO
Alcuni costruttori hanno presentato fideiussioni prive di valore per
il pagamento degli oneri. Bocciata la proposta di una commissione
comunale d’indagine. La Banca d’Italia: “Il fenomeno è importante”
Fabio Muzzi
di Luca Martinelli
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Aprile 2016
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PRIMO TEMPO
Enti locali
In apertura, il
porto turistico
di Marina di
Pisa costruito
dalla Boccadarno
Porto di Pisa Spa.
L’impresa ha deliberato il concordato preventivo
nel gennaio 2016
via del Gargalone, a Pisa, c’era un
centro di raccolta per i rifiuti ingombranti. Serviva ai cittadini del
quartiere di Porta a Mare. Costato
circa 300mila euro, era stato inaugurato dal Comune nel 2013.
Oggi non c’è più, ed è diventato un “caso”: la richiesta di “smontarlo”, infatti, era arrivata da
Ikea, che aveva acquistato l’area su cui costruire
il proprio grande magazzino, inaugurato a marzo 2014, da una società privata di nome Sviluppo
Navicelli. La stessa che avrebbe dovuto occuparsi
della sua ricostruzione, ma non lo ha fatto. Così a
fine novembre 2015 il consiglio comunale è stato costretto ad approvare una variazione di bilancio, per autorizzare una spesa di 240mila euro e
farsene carico. A maggio dello scorso anno, infatti, la Sviluppo Navicelli è fallita, e il Comune s’è
accorto che le “garanzie” prestate non valevano
niente. Tecnicamente questo strumento si chiama fideiussione, ed è una sorta di assicurazione
sul pagamento degli oneri legati a un intervento
urbanistico o sulla realizzazione di eventuali opere pubbliche in carico al privato. Qualora il privato non faccia quanto stabilito, il Comune può
rivalersi sul soggetto che ha prestato la garanzia, cioè “escutere” la fideiussione. Quelle delle
Sviluppo Navicelli, due, per un valore complessivo di 4,7 milioni di euro, erano state rilasciate da
Union Credit Finanziaria spa, un soggetto escluso
a fine 2008 dall’elenco degli intermediari abilitati, che è disponibile sul sito della Banca d’Italia.
Oggi questa società non esiste più. Le due fideiussioni di Sviluppo Navicelli erano state depositate in Comune in una data successiva, nel febbraio
2009.
Solo a novembre 2015 l’ente ha avviato un censimento delle “fideiussioni tossiche”, che sarebbero almeno una trentina, per un valore complessivo di 15.854.675 euro. Come dimostra il caso del
centro rifiuti di via del Gargalone, il bilancio comunale può subire il colpo delle fideiussioni prive
di valore. E per capire quanto potrebbero pesare
15,8 milioni di euro di investimenti non realizzati sul bilancio di una città che ha meno di 90mila
In
“Ad alcuni imprenditori sono stati
stesi tappeti rossi -spiega un
consigliere comunale- in cambio
di poche opere di urbanizzazione,
nemmeno realizzate”
40
Altreconomia
Numero 181
abitanti, basti pensare che il bilancio preventivo
2016 del Comune evidenzia entrate -da tributi,
trasferimenti, alienazioni di beni- per circa 180
milioni di euro.
Secondo il gruppo consiliare “Una città in comune-Rifondazione Comunista”, guidato dal
consigliere Francesco Auletta, l’analisi avviata dal Comune è tardiva: “Il Comune si era accorto dell’esistenza di un problema già a gennaio 2015, quando aveva indirizzato ad Union
Credit Finanziaria spa delle comunicazioni, che
però tornavano indietro: all’indirizzo indicato, a
Torino, in via Susa, quel soggetto era irrintracciabile. Non si era mosso, però”. A settembre 2015 i
due esponenti la lista d’opposizione chiede di poter accedere a tutti gli atti relativi alle fideiussioni
presentate da Sviluppo Navicelli spa: il Comune
si era “insinuato” nella procedura fallimentare dell’azienda, chiedendo il riconoscimento di
un credito di circa 3 milioni di euro. Le risposta arrivano il 28 ottobre 2015: il nome di Union
Credit Finanziaria spa è pubblico. È solo in quel
momento che il Comune si muove, inviando una
nota al Servizio supervisione intermediari finanziari della Banca d’Italia: la lettera è datata 29 ottobre 2015.
La vicenda Sviluppo Navicelli spa -una società
che avrebbe dovuto sviluppare una nuova area
dedicata alla cantieristica, lungo il Canale dei
Navicelli che collega per 17 chilometri la darsena
di Pisa a Livorno- non è isolata. A ottobre 2015 la
città della Torre pendente è scossa da un’inchiesta
della Direzione distrettuale antimafia di Firenze
A fine 2015, un funzionario del
Comune di Pisa aveva segnalato
al segretario generale che una
polizza “non avrebbe dovuto essere
accettata da parte del Comune”
sull’imprenditore edile Andrea Bulgarella, che a
Pisa sta costruendo -tra le altre cose- il Parco delle torri a Cisanello e la Piazza del terzo millennio
a Ospedaletto.
La sua società si chiama Edilcentro, e risulta garantita da una decina di fideiussioni per un importo di circa 5 milioni di euro. La più importante vale 2,9 milioni, e l’ha emessa Medusa Leasing,
cancellata nel 2007 dagli elenchi di Banca d’Italia (oggi è in fallimento, e risulta controllata da
una società fiduciaria, che è un modo per “schermare” il nome dei veri proprietari). Un altro paio
sono della Union Credit Finanziaria (UCF), e tre
dalla United Consulting Finance, “cancellata” nel
2011, stessa sede torinese della prima. Il Comune
di Pisa non si muove nemmeno quando il nome di
quest’ultima società finisce sui giornali, nel giugno del 2014: l’inchiesta della Guardia di finanza di Torino riguarda Antonio Castelli, assicuratore cui le Fiamme gialle riconducono la UCF. La
Repubblica Torino titola: “False fideiussioni, la
truffa da mezzo miliardo del Madoff torinese: tra
le vittime 200 Comuni”.
L’ultimo tessera del mosaico a gennaio 2016,
quando la Boccadarno Porto di Pisa Spa -società
che ha costruito il nuovo porto turistico di Marina
di Pisa- delibera il concordato preventivo, una misura della legge fallimentare cui possono accedere
le aziende in stato di crisi o di insolvenza. Solito
accesso agli atti e nuova conferma: due le fideiussioni, ed entrambe sono del Consorzio Garanzia
Fidi Confidi Centrale, fallito nel corso del 2015.
“A quel punto ci rendiamo conto che è un fatto
sistemico -sottolinea Auletta-, e così avanziamo
formalmente richiesta di istituire una commissione d’indagine”. Il consigliere della lista “Una
città in comune” spiega che questo è un normale strumento che il consiglio comunale può darsi:
“L’accesso agli atti è facilitato, e serve ad individuare eventuali responsabilità, che sono di carattere politico. Ha 30 giorni di tempo per completare il lavoro, con una relazione poi consegnata in
consiglio comunale”.
Il 28 gennaio 2016 l’istituzione della Commissione
viene bocciata in consiglio. Il giorno prima il sindaco, Marco Filippeschi del Partito democratico,
aveva protocollato una nuova lettera alla Banca
d’Italia, nella quale chiede un rafforzamento del
sistema d’informazioni e di vigilanza preventiva.
Che però già esiste: un elenco di Bankitalia evidenzia come siano 62 gli intermediari finanziari
“cancellati” complessivamente tra il 2011 e il 2015
in seguito ad atti del ministero dell’Economia e
delle finanze. “Sulla base del numero degli esposti che sono pervenuti, il fenomeno è importante” spiega Banca d’Italia ad Ae. Per questo, “dal 12
maggio 2016, gli intermediari finanziari che concedono finanziamenti al pubblico saranno sottoposti al regime di vigilanza prudenziale equivalente a quella bancaria. Gli intermediari che
offrono garanzie al pubblico dovranno disporre
di un patrimonio minimo più elevato e di requisiti organizzativi più stringenti di quelli previsti
per gli altri intermediari finanziari”.
A fine novembre 2015 Laura Tanini, che lavora per
la Direzione supporto giuridico gare e contratti del Comune di Pisa, ha evidenziato come (almeno) una delle polizze -nello specifico quella di
Union Credit numero 595119, a favore di Sviluppo
Navicelli spa- “non avrebbe dovuto essere accettata da parte del Comune”. Ed è a questo livello che,
secondo Auletta, “sono mancati i controlli”. “Ad
alcuni imprenditori sono stati stesi tappeti rossi
-sottolinea il consigliere d’opposizione- in cambio di poche opere di urbanizzazione, nemmeno
realizzate”. A Sviluppo Navicelli spa, Boccadarno
spa ed Edilcentro srl fanno capo -in termini di valore- il 67% delle false fideiussioni. Tra le persone
coinvolte negli interventi della Sviluppo Navicelli
e di Boccadarno ci sono Stefano Bottai e l’avvocato
Paolo Carrozza, entrambi in passato vice-sindaco
della città. Il secondo è fratello dell’ex ministro
Maria Chiara, presente nel 2013 all’inaugurazione del porto turistico di Marina di Pisa. La “Pisa
dei miracoli” (il titolo di un libro del 2008 dall’allora sindaco Paolo Fontanelli, oggi Questore della
Camera) non c’è più. E a Ignazio Visco il sindaco
Filippeschi scrive che la città vive “un caso di seria
sofferenza”.
41
62
gli intermediari
finanziari “cancellati” tra il 2011
e il 2015 dall’apposito elenco di
Banca d’Italia
Aprile 2016
www.altreconomia.it
Distratti dalla libertà
La notte dei diritti umani. Nel 2015, come
racconta Amnesty International, hanno toccato il
loro “punto più basso”. Dall’Egitto a Guantanamo
di Lorenzo Guadagnucci
Il Rapporto annuale di Amnesty International svolge una
funzione sociale e mediatica ben precisa: serve a scuotere le coscienze assopite e a portare nell’agenda politica, almeno per qualche giorno, lo stato reale (pessimo) dei diritti
umani nel Pianeta. I volumi prodotti dalla Ong che nel 1977
fu insignita del Nobel per la Pace sono dunque testi tanto
vitali per la conoscenza del mondo contemporaneo, quanto politicamente scomodi. La loro sorte, mediaticamente
parlando, è sempre incerta. In certe congiunture, anche il
rassicurante confronto fra occidente democratico e Paesi e
regioni del mondo più autoritarie o addirittura dittatoriali non è più sufficiente a garantirne la divulgazione a mezzo stampa. È successo anche quest’anno. L’introduzione al
nuovo Rapporto, firmata dal segretario generale Salil Shetty,
è dirompente. I diritti umani nell’anno 2015, scrive Shetty,
hanno toccato “il punto più basso, proprio nell’anno che celebrava il 70° anniversario della fondazione delle Nazioni
Unite”. Esecuzioni capitali, tortura, repressione, esclusione
delle minoranze culturali e di genere sono ancora pratiche
diffuse e ben radicate; in aggiunta, e proprio in Europa, l’afflusso di profughi in fuga da guerre e persecuzioni ha portato alla “negazione dell’accesso alle procedure di asilo”. Salil
Shetty si pone così una domanda decisiva e drammatica, che
lui stesso definisce sgradevole: “L’intero sistema delle norme
e delle istituzioni internazionali è in grado di far fronte alla
sfida urgente di proteggere i diritti umani?”
Una traccia di risposta è nel silenzio mediatico e politico seguito a quest’affermazione. E nelle diaboliche coincidenze di
cronaca. Negli stessi giorni della pubblicazione del Rapporto
2016 di Amnesty, o poco dopo, l’Italia è stata condannata
dalla Corte di Strasburgo per i diritti umani per il caso Abu
Omar, l’imam rapito il 17 febbraio 2003 a Milano da dieci
agenti della CIA e spedito in Egitto: un caso tipico di “delocalizzazione” della tortura. Una condanna, altra sinistra
coincidenza, arrivata nel pieno del “caso Regeni”, il ricercatore torturato e ucciso nello stesso Egitto, stretto alleato
dell’occidente e guidato da un generale -il tetro Abd Al Sisia suo tempo definito “grande statista” dal nostro premier,
che si è anche detto “proud”, orgoglioso, d’esserne amico.
42
Altreconomia
Numero 181
122
Gli Stati (sui 205 esistenti) che nel corso del 2015 hanno
praticato maltrattamenti inumani e degradanti o torture su
persone private della libertà
Negli stessi giorni da Washington il presidente Obama ha
espresso il (tardivo) desiderio di chiudere il carcere-mostro
di Guantanamo sull’isola di Cuba, antica e dimenticata promessa elettorale (da leggere a tale riguardo il libro “12 anni a
Guantanamo” di Mohamedou Ould Slahi, edito da PIEMME
nel 2015). Proposito magari sincero, ma certo inapplicato e inapplicabile, se pochi giorni dopo lo special rapporteur
dell’Onu sulla tortura, Juan Mendez, ha rinunciato a visitare Guantanamo, come lui stesso chiede da anni all’amministrazione Usa, di fronte alle troppe limitazioni che tale visita avrebbe avuto: “Non posso accettare tanti vincoli, creerei
un precedente pericoloso”, ha spiegato Mendez, un uomo
che fu vittima di tortura negli anni del regime militare in
Argentina.
Infine, ulteriore, sgradevolissima coincidenza, l’Europa dei
28 si è trovata a trattare con la Turchia il “blocco dei profughi” a suon di miliardi, senza alcun riguardo per i sacri princìpi di protezione sanciti da Carte e Trattati e incurante dei
progetti turchi di costruire una sorta di striscia di Gaza abitata da milioni di profughi nel sud-est del Paese.
Facciamoci la vera domanda: resta ancora qualcosa della
dottrina dei diritti umani?
Lorenzo Guadagnucci è un giornalista del “Quotidiano
Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, “Noi della
Diaz” e “Parole sporche”
Secondo tempo
43—60
Adda
“Il sito è abbandonato dalla fine degli
anni Novanta e i macchinari esistenti
sono stati tutti ceduti. La nostra idea era
di recuperare il più possibile. Purtroppo
certe ‘vicissitudini amministrative’ ci
hanno bloccato. È un male nazionale,
ma non ho più voglia di parlarne. Quello
che più dispiace è vedere l’avanzata del
degrado. Se uno parte con l’idea di radere
al suolo tutto e costruire 400mila metri
cubi gli può anche andar bene il degrado,
anzi lo vuole. Per noi non era così”
Fausto Crippa
a pag. 54
SECONDO TEMPO
Finanza
Mercati, questi sconosciuti. Piccola
guida all’educazione finanziaria
NOVE PUNTI CHIAVE PER IMPARARE AD ORIENTARSI NELL’ECONOMIA E NELLA FINANZA GLOBALE
Al mondo, due adulti su tre sono considerati “analfabeti finanziari” e l’Italia è
il Paese peggiore tra le sette economie più “sviluppate”. Da un report di un
istituto di ricerche statunitense, i più penalizzati sono i giovani e gli anziani
Ansa/Luciano Del Castillo
di Luca Martinelli
44
Altreconomia
Numero 181
“I
mmagina di aver bisogno di un prestito di 100
euro. Qual è l’ammontare più basso da restituire: 105 o 100 più il tre per
cento?”; “immagina che nei prossimi
10 anni il prezzo dei beni raddoppi. Se
anche il tuo reddito raddoppia, sarai in
grado di acquistare meno prodotti, gli
stessi beni di oggi o più di quel che puoi
comprare oggi?”. Se non sapete rispondere correttamente a queste domande,
sappiate di non essere i soli: due adulti su tre, in tutto il mondo, sono considerati “analfabeti finanziari”, e non
sono stati in grado di rispondere alle
domande qui sopra, nell’ambito della prima indagine globale dedicata al
fenomeno, e pubblicata da Standard
& Poor’s (vedi a p. 48). Secondo la ricerca, l’Italia è il Paese peggiore del
G7. Ce ne siamo resi conto verso la
fine di novembre del 2015, quando si
è fatto un gran parlare di “obbligazioni subordinate”. Tra i correntisti di 4
banche fallite (Etruria, Carife, Banca
Marche, Cassa di risparmio di Chieti)
molti avevano investito in questo tipo
di strumento, senza essere al corrente
del grado di rischio. Subordinato, infatti, identifica il diritto che il titolare dell’obbligazione può esercitare in
caso di difficoltà di chi l’ha emessa, che
dipende dalla soddisfazione degli altri
creditori. A dicembre 2015 il direttore
della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha
chiesto una norma che ne impedisca la
vendita al dettaglio. Agli italiani, che
non sono “campioni” di alfabetizzazione finanziaria.
01
02
RISPARMIO
CREDITO AL CONSUMO
Tra “propensione”,
depositi e impieghi
Chi si indebita, quanto
e perché
La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è -a fine 2015del 9,5%. Ciò significa che, secondo
le indicazioni dell’Istat, per ogni mille euro di reddito, il risparmio lordo
è pari a 95 euro. Le famiglie italiane
a fine 2014 (l’ultimo dato disponibile,
della Banca d’Italia) avevano depositato complessivamente presso gli sportelli di un istituto di credito o le Poste
1.071 miliardi di euro. Chi “deposita”
riceve in cambio una remunerazione,
sotto forma di interessi: il tasso medio,
a gennaio 2016, è dello 0,53%. In cambio, chi raccoglie ha la disponibilità di
quelle risorse, che può offrire sul mercato: il 51,8% del totale degli “impieghi” del sistema bancario italiano avviene a favore delle imprese, mentre il
28,3% delle risorse vengono destinate
alle famiglie (in larga parte sotto forma di un mutuo per l’acquisto di un’abitazione). Le statistiche aggregate in
merito agli “impieghi”, le uniche disponibili, non spiegano però “come”
vengano utilizzate quelle risorse.
Quando acquistiamo un bene a rate,
che sia una lavatrice o un’auto, chiedendo un finanziamento tra i 200 e i
75mila euro, stiamo fruendo di “credito al consumo”. Tra il 2000 e il 2014,
questo tipo di esposizione per le famiglie italiane è passata da 35,9 a 111,9
miliardi di euro. Nel periodo, l’incidenza sul totale dei “prestiti” -che
comprende anche i mutui- è passata
dall’12,8% al 16,1%: questo significa
che ci s’indebita di più per acquistare
beni durevoli.
Nei primi 9 mesi del 2015 le operazioni di finanziamento sono state, in
totale, ben 124 milioni: due per ogni
italiano. Tra le modalità di accesso al
credito al consumo vi è la cosiddetta
“cessione del quinto”: prevede una rata
mensile che non supera il 20% dello stipendio o della pensione. Il rimborso avviene in busta paga o sul cedolino della pensione. Dal gennaio del
2012 è in vigore in Italia una legge relativa alla “Composizione della crisi da
sovraindebitamento”.
L’AMMONTARE DEI DEPOSITI
DELLE FAMIGLIE ITALIANE
FAMIGLIE E CONSUMI “A CREDITO”
miliardi di euro
miliardi di euro
2000
714,2
2014
357,4
2000
Depositi bancari
Risparmio postale
35,9
111,9
L’INCIDENZA SUL TOTALE
DELLE PASSIVITÀ FINANZIARIE
8,3%
2014
12,3%
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SECONDO TEMPO
Finanza
04
05
ATTIVITÀ FINANZIARIE
DELLE FAMIGLIE
LA BORSA
Chi scommette sul
listino di Piazza Affari
Le forme di
investimento
03
CARTE DI CREDITO
La crescita dei
pagamenti elettronici
Nel 2014 in Europa sono state effettuate oltre 47 miliardi di operazioni
utilizzando come mezzo di pagamento
una carta, per un valore complessivo
di 2.400 miliardi di euro.
Secondo le statistiche diffuse dalla
Banca centrale europea, le carte -che
possono essere di credito, bancomat
(o di debito) e ricaricabili- in funzione alla fine dell’anno erano 766 milioni, segnando un aumento dello 0,9%
rispetto a quello precedente. In pratica, 1,5 per ogni europeo. Quando realizziamo un pagamento con carta di
credito stiamo chiedendo alla banca di
cui siamo correntisti di anticipare per
noi una spesa. Il rimborso può avvenire “a saldo” (ovvero a una scadenza
prefissata), ma alcune opzioni offerte dagli istituti di credito permettono
-pagando un interesse- di rateizzare il
rimborso di un singolo acquisto, di un
gruppo di acquisti o di tutti gli acquisti
effettuati nell’arco del mese. Le carte
di credito diventano strumenti da maneggiare con cura, calcolando gli “interessi composti”.
46
Altreconomia
Numero 181
La ricchezza maggiore delle famiglie
italiane è rappresentata dalle abitazioni di proprietà, nelle quali sono “immobilizzati” oltre 5.500 miliardi di
euro (Banca d’Italia, 2015). Valgono
poco meno, invece, le attività finanziarie, pari a circa 4mila miliardi di
euro (ABI, 2016): depurando il dato da
biglietti e monete (la somma del contante in circolo) e dai depositi, capiamo quali sono le forme d’investimento preferite dai nostri connazionali.
Quella prevalente sono azioni e partecipazioni, con 954 miliardi di euro su
un totale di 2.774.
A seguire vengono le assicurazioni sulla vita, i fondi pensione e il TFR (trattamento di fine rapporto), con 807 miliardi di euro: compagnie assicurative
e fondi pensione sono soggetti che “investono” i capitali a disposizione, per
garantirne una remunerazione. I cittadini detengono buoni del tesoro per
124 miliardi di euro: i titoli emessi dallo Stato per finanziare il “debito pubblico” sono considerati un investimento sicuro.
20,1%
assicurazioni
ramo vita,
fondi
pensione
e TFR
45,3%
Altro
23,8%
azioni
e partecipazioni
La misura del valore di una Borsa è
dato dalla capitalizzazione complessiva delle imprese quotate: a gennaio 2016, quella di Milano valeva 519
miliardi di euro. Le statistiche della
Banca d’Italia evidenziano come alle
famiglie italiane “non piaccia” investire sul listino di Piazza Affari -appena
64,7 miliardi di euro, a fine 2014-. Una
delle caratteristiche della Borsa è, infatti, la volatilità: tra dicembre 2015 e
gennaio 2016 ha perso il 6,6 per cento della capitalizzazione; sul sito www.
borsaitaliana.it chiunque può verificare le performance a 6 mesi o a 1 anno del
titolo prescelto, anche se le dinamiche
che ne regolano l’andamento sono influenzate da variabili difficili da prevedere, e non necessariamente legate ad
elementi di natura industriale -come il
fatturato, un nuovo piano industriale
o le evoluzioni attese nel settore di riferimento-. Il 30% delle azioni scambiate a Milano, dove sono quotate 356
società, nel 2015 fanno riferimento ad
appena cinque gruppi, tutti bancari.
miliardi di euro
Capitalizzazione complessiva Borsa
italiana (gennaio 2016)
519
10,1%
Obbligazioni
- 37 miliardi
di euro rispetto
a dicembre
2015
+ 32 miliardi
di euro rispetto
a gennaio
2015
06
08
IL RISCHIO
FINANZA GLOBALE
I mercati e le regole
di trasparenza
Il gigante finanziario
dagli algoritmi d’argilla
Markets in Financial Instruments
Directive, MIFID, è il nome di una direttiva europea in vigore dal 2007,
promossa dalla Commissione con l’obiettivo di armonizzare la tutela degli investitori a livello europeo. Tra gli
elementi chiave, la previsione che gli
operatori professionali debbano fornire al potenziale cliente informazioni
appropriate, complete, corrette, chiare e non fuorvianti, e offrire servizi
che tengano conto della situazione individuale, in particolare mediante l’analisi del profilo di rischio.
Il 3 gennaio 2017 avrebbe dovuto entrare in vigore la direttiva MIFID 2,
che è il frutto di una revisione della prima avviata nel 2010, ma con un
comunicato nel mese di febbraio la
Commissione europea ha annunciato
che il termine è posticipato al 3 gennaio 2018. MIFID 2 punta ad espandere le regole di trasparenza e maggior
controllo anche ai mercati non regolamentati (cosiddetti over-the-counter OTC) ed ai derivati legati ai prezzi della materie prime.
2014/65/EU
Il numero della direttiva MIFID 2
Fornisce indicazioni
su investimenti e rischio.
Sarà in vigore
dal gennaio 2018
07
LE OBBLIGAZIONI
“Bond”, questo
sconosciuto
Le obbligazioni, o bond, rappresentano una forma d’investimento, capace
di attrarre però poco più del 10% della ricchezza finanziaria degli italiani,
436 miliardi di euro, che diventano
circa 300 al netto dei titoli del debito
pubblico. In media, il tasso d’interesse riconosciuto è del 2,93%. Se un’azienda o un istituto di credito decide
un’emissione, significa che ha bisogno di liquidità (per finanziare il piano industriale, ad esempio) e che preferisce “cercarla” senza indebitarsi nei
confronti del sistema bancario e senza
prospettare agli azionisti un aumento
di capitale. Non sempre le obbligazioni vengono offerte anche al correntista
(il cliente retail): quando questo avviene, devono essere corredate da un adeguato profilo di rischio, che identifichi
anche i potenziali conflitti d’interesse dell’istituto di credito incaricato di
collocare il bond. In molti casi, infatti, l’emissione serve a un’azienda per
rimborsare un prestito in scadenza nei
confronti proprio del soggetto incaricato di “piazzare” l’obbligazione.
Liquidità, efficienza informativa, stabilità e volatilità sono i principali parametri dei mercati finanziari “intaccati” dall’high frequency trading, “una
modalità operativa basata sull’impiego di algoritmi che consentono
di acquisire, elaborare e reagire alle
informazioni di mercato con una velocità elevata” come spiega la Consob,
la Commissione nazionale di vigilanza
sulle società quotate. Riguarda ormai
circa il 40 per cento delle operazioni
svolte in Europa, ed è la rappresentazione di un modello di scambio rapidissimo in cui la redditività è garantita
da un volume gigantesco di scambi. È
uno degli elementi che fanno dei mercati finanziari un “gigante” che vale
almeno 8 volte l’economia reale.
miliardi di euro
552.909
Il mercato globale dei derivati OTC
(giugno 2015)
63.312
Il mercato dei contratti derivati future
e options (dicembre 2015)
77.845
Pil globale (2014)
47
Aprile 2016
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SECONDO TEMPO
Finanza
09
FINANZA ETICA
L’alternativa c’è: da
Banca Etica alle MAG
Un emendamento alla legge di conversione del decreto legge di riforma
del credito cooperativo, in discussione alla Camera a marzo 2016, elenca
i principi della finanza etica: è quella
che svolge una valutazione anche di
carattere sociale e ambientale per i finanziamenti erogati a persone giuridiche; dedica a organizzazioni nonprofit o imprese sociali almeno il 30% del
proprio portafoglio crediti; non distribuisce profitti; è caratterizzata da governance a forte orientamento democratico e partecipativo. L’esempio più
importante è quello di Banca popolare etica (bancaetica.it): nata nel 1999,
oggi conta oltre 38mila soci e una raccolta complessiva di oltre 1,05 miliardi
di euro.
La finanza mutualistica e solidale nel
nostro Paese è nata però alla fine degli anni Settanta, con l’esperienza
-tutt’ora esistente- della MAG, Mutue
AutoGestione. Segnaliamo, tra le altre,
le esperienze di Mag2 a Milano, Mag4
a Torino e MagVenezia.
GLI IMPIEGHI DI BANCA ETICA
869
milioni di euro
I PROGETTI FINANZIATI
8.128
in essere al 31 gennaio 2016
48
Altreconomia
Numero 181
Appena il 37% della popolazione nel nostro Paese è stata
in grado di rispondere correttamente a poche domande
elementari poste nell’ambito dell’indagine “finanziaria”
dell’istituto Gallup
IN DETTAGLIO
CINQUE DOMANDE PER
IL PIANETA ANALFABETA
Quando si parla di “alfabetizzazione finanziaria”, il riferimento è alla capacità di identificare tre concetti base, cioè l’inflazione, il tasso d’interesse
(semplice e composto) e la diversificazione del rischio. L’istituto di ricerche
Gallup ha rivolto cinque domande in merito a questi temi a 150mila persone, un campione rappresentativo di cittadini in 143 Paesi, nell’ambito della
prima indagine globale sulla financial literacy, diffusa a novembre 2015 da
Standard & Poor’s.
La professoressa Annamaria Lusardi, un’italiana, è la direttrice del Global
Financial Literacy Excellence Center (http://gflec.org) della George
Washington University di Washington, e con Leora Klapper e Peter van
Oudheusden della Banca mondiale ha curato il report “Financial Literacy
Around the World”, che ne analizza i risultati: “Appena il 37% della popolazione nel nostro Paese è stata in grado di rispondere correttamente a tre delle
quattro domande poste nell’ambito dell’indagine -spiega ad Altreconomia-.
Siamo i peggiori del G7 (Usa, Canada, Giappone, Germania, Francia, Gran
Bretagna, oltre all’Italia, ndr), con una percentuale di alfabetizzazione finanziaria ben inferiore rispetto alla media delle nazioni più ricche del Pianeta,
che è del 55%”. Alcuni indicatori non danno grandi speranze nemmeno per
il futuro: “Per quanto riguarda le economie sviluppate -continua Lusardi- la
suddivisione per classi di età dell’alfabetizzazione finanziaria presenta un
andamento ad ‘U rovesciata’. Sono i giovani e gli anziani quelli che ne sanno
meno; non sappiamo, al momento, se questo sia un fattore legato all’età o
generazionale, perché i secondi sono cresciuti in un mondo molto meno
finanziarizzato. Nelle economie emergenti, invece, i giovani sono coloro che
presentano un dato migliore”. Dall’indagine emergono anche altri numeri
significativi: la metà degli americani che usano quotidianamente una carta
di credito non sa calcolare adeguatamente il tasso d’interesse; in Francia,
il 70% degli adulti non risparmia pensando alla vecchiaia, e solo la metà di
questi soggetti può essere considerata “alfabetizzata”; il 63% dei cinesi che
possiedono una carta di credito non è in grado di riconoscere concetti come
interesse o debito.
Social Cohesion Days
“Più Gas per tutti”. I gruppi d’acquisto solidali
producono coesione sociale, alimentando legami
intensi e duraturi tra le persone e ponendo al
centro la fiducia interpersonale
di Paolo R. Graziano
Insieme a “innovazione sociale”, negli ultimi anni il termine aggettivato “coesione sociale” è diventato un riferimento d’obbligo nei discorsi pubblici di politici e operatori del
mondo del non profit. Senza addentrarsi troppo in questioni definitorie -che cominciano ad occupare più di uno scaffale di librerie specializzate- possiamo definire la coesione
sociale come una situazione in cui i legami tra le persone
sono intensi, duraturi e solidali. In altri termini, legami che
pongono al centro la fiducia interpersonale. A tal riguardo,
i lettori di Altreconomia conoscono bene i gruppi di acquisto
solidali (GAS), che sono collettivi di persone che socializzano la spesa e che acquistano prodotti locali, possibilmente
biologici.
Spesso, però, si trascura un altro aspetto molto importante dei GAS: essi sono anche generatori di relazioni sociali
e di fiducia. In altri termini, i GAS producono coesione sociale. E lo fanno senza saperlo. Rielaborazioni recenti di alcuni dati provenienti dal CORES, l’Osservatorio sui consumi, reti e pratiche di economia sostenibili dell’Università di
Bergamo (www.unibg.it/cores), dimostrano proprio questo:
i GAS incentivano la collaborazione, creando maggiori legami di fiducia. L’80% delle persone coinvolte nell’indagine del
CORES, e che fanno parte dei gruppi d’acquisto lombardia,
ritiene di sentirsi, grazie alla partecipazione al GAS, più capace di collaborare con gli altri. E la capacità di collaborare,
che presuppone la presenza di interazioni frequenti e basate
sulla presenza di un altro grado di fiducia, è un indicatore di
coesione sociale. La produzione di coesione sociale emerge
anche da un altro dato: oltre l’80% degli intervistati ritiene
che partecipare ai GAS abbia modificato il proprio agire sociale attraverso l’adozione di forme di consumo più responsabili, il sostegno a produttori locali e la creazione di maggiori legami sociali. Tutti fenomeni che riguardano da vicino
la sostenibilità ambientale e -ancora una volta- la coesione
sociale. Attraverso la creazione e il rafforzamento di legami di fiducia, i gruppi di acquisto generano coesione sociale
dando vita a nuove forme di partecipazione sociale (ad esempio, in occasione degli incontri tra i membri che si tengono
perlopiù una volta al mese o in occasione delle distribuzioni
80%
è la percentuale tra gi appartenenti ai gruppi di acquisto
solidali lombardi che, grazie alla partecipazione ai GAS,
hanno acquisito maggiore fiducia e capacità di collaborare
con altre persone
settimanali dei prodotti) e anche politica (ad esempio, attraverso la promozione di liste civiche che partecipano alle elezioni municipali).
Tanto la partecipazione sociale quanto la partecipazione politica richiedono fiducia negli altri membri della comunità,
oltre che nelle istituzioni. I GAS, quindi, non solo sono importanti perché promuovono un’altra cultura dell’alimentazione (con l’attenzione alla stagionalità, ai prodotti genuini,
ai prodotti locali) ma anche -e forse soprattutto- perché forniscono l’occasione per creare o consolidare coesione sociale
all’interno di comunità sempre più fragili. La critica più comune che viene rivolta ai GAS è che sono solo per “ricchi”,
visti i prezzi (spesso presunti) dei prodotti. In realtà, i “gasisti” sono perlopiù donne e uomini dotati di redditi medi,
non particolarmente elevati, come sa chiunque abbia frequentato i gruppi di acquisto. Insomma, non solo generano
fiducia e coesione sociale, ma non hanno costi proibitivi: se
lo slogan “più GAS per tutti” fosse realtà, la coesione sociale
ne risentirebbe molto positivamente.
Paolo R. Graziano insegna Scienza politica e
Politica comparata presso l’Università di Padova.
È membro dell’Osservatorio per la coesione
sociale, www.socialcohesiondays.com
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SECONDO TEMPO
Economie solidali
La filiera biodiversa del grano
nel Parco agricolo a Sud di Milano
FARINE E TRASFORMATI -COME PANE E COLOMBE- DISTRIBUITE A UNA RETE DI CONSUMATORI CRITICI
Compie tre anni il progetto del Distretto di economia solidale rurale che
coinvolge agricoltori biologici, panificatori, la “logistica” della fabbrica
recuperata Ri-Maflow e i giovani reclusi all’interno del carcere minorile Beccaria
Testo e immagini
di Duccio Facchini
“E
35
I quintali di
granella, riferibili
a 11 famiglie di
grani antichi:
sono quelli conferiti nel 2015 alla
Filiera solidale
50
cco, sono arrivate le colombe”. È
quasi l’ora di pranzo a Trezzano sul
Naviglio (MI), dentro la fabbrica recuperata “Ri-Maflow”, e Franco ha
da poco finito di scaricare settantasette dolci infiocchettati. Dietro le scaffalature,
in un piccolo magazzino, Gina sistema gli scatoloni che li contengono, impilandoli con ordine.
Luciana infila delle piccole etichette sotto i nastri
colorati: “La farina degli 11 grani è il frutto di una
sperimentazione in corso nel Parco agricolo Sud
Milano -si legge-, a cura della Filiera del Grano
DESR per recuperare vecchie varietà della tradizione contadina”. Il DESR è il Distretto di economia solidale rurale attivo nell’area del Parco agricolo Sud Milano (desrparcosudmilano.it), il cui
obiettivo è “difendere la biodiversità e il territorio
da asfalto e cemento, emancipando gli agricoltori
dalle aziende sementiere multinazionali”.
Restano da ritirare ancora 37 colombe, dopodiché si potrà partire con le consegne ai gruppi di
acquisto solidale (Gas) che le hanno ordinate per
Pasqua: questa forma di logistica è un pezzo della
rinascita autogestita della Maflow, azienda che in
passato produceva anche tubi per condizionatori d’auto. Il collettivo dei venti lavoratori animato anche da Franco Costa, Gina Iacovelli, Stefano
Altreconomia
Numero 181
Quitadamo e Spartaco Codevilla, ne ha immaginato prima la resistenza -con l’occupazione e un
presidio permanente a seguito del dissesto finanziario lasciato dalla proprietà- e poi la rinascita -ne abbiamo scritto nel marzo 2013, vedi Ae
147-. Oltre al recupero una parte dei 17mila metri quadrati dello stabilimento, destinati al rimessaggio di camper, a un laboratorio dell’altra
economia e a un grande spazio di lavoro condiviso, da qualche mese Ri-Maflow è entrata a far
parte di un “quadrilatero solidale” che affonda le
radici nei campi. L’ha fatto con il “progetto collettivo” dello spazio “Fuori Mercato” (spaziofuorimercato.org/fuorimercato.com), già attivo nella distribuzione delle arance biologiche di S.O.S.
Rosarno, e che si traduce in un mezzo (il furgone
di Franco), un magazzino (da Ri-Maflow) e l’organizzazione dei tre responsabili. È il polo della
filiera solidale fondata anche sulla sperimentazione quinquennale della coltivazione di 11 grani della tradizione antica (preesistenti cioè alla
cosidetta “Rivoluzione verde” dell’agrochimica)
indicati sul “petto” di ogni colomba: Mentana,
Terminillo, Inallettabile, Frassineto, Gamba di
ferro, Marzuolo, senatore Cappelli, Verna, Gentil
rosso, Orso, Asita. Sono grani biologici e naturali, non trattati e perciò dal glutine “gentile”, in
grado -come hanno dimostrato gli studi del professor Giovanni Dinelli dell’Università di Bologna
e dell’agronoma Daniela Ponzini di Aiab, che affiancano il DESR- di prevenire le malattie degenerative dell’intestino.
Il percorso è stato sviluppato negli ultimi anni
da diversi soggetti, su iniziativa e col coordinamento del Distretto di economia solidale. Luciana
Maroni, del Gas Baggio (www.gasbaggio.it), è una
delle due coordinatrici della Filiera del Grano del
Distretto (abbiamo scritto dei primi passi nell’aprile 2013, vedi Ae 149). Nella sala da pranzo di
Ri-Maflow, accanto a Vincenzo Vasciaveo del
DESR, ripercorre a voce alta le tappe del progetto: “Il primo obiettivo che ci siamo posti -racconta Luciana- è stato quello della difesa del territorio del Parco agricolo, poi l’intervento ci ha
visti difendere anche aziende limitrofe al Parco
del Ticino e di un pezzo del lodigiano, sottoposti a continue pressioni edilizie e infrastrutturali”. I dati dell’Osservatorio del Centro di ricerca sul consumo di suolo (http://consumosuolo.
org/) sottolineano l’importanza dell’iniziativa del
Distretto: “tra il 1999 e il 2007/2009”, infatti, il
Parco Agricolo Sud Milano, ha perduto 1.042 ettari di suolo fertile. Tutela del territorio ma anche
“conversione all’agricoltura biologica, sostegno a
una nuova economia fondata sulla cooperazione
tra produttori e consumatori critici, costruzione
‘concertata’ del prezzo”.
Nel 2015, la filiera del grano del Distretto, che
comprende anche il progetto degli 11 grani, ma
non si esaurisce in quello, ha assorbito circa un
quarto della produzione degli agricoltori biologici coinvolti, 250 quintali di granella su poco più
di mille. Di questi 250 quintali, circa 35 sono riferibili alle coltivazioni degli 11 grani. È un’evoluzione continua: “La sperimentazione prosegue
-spiega Luciana, scorrendo l’ultimo rendiconto
annuale del settore che coordina- e ha consentito agli agricoltori di imparare modalità colturali
nuove, come la pulizia della granella in vista della risemina e dello stoccaggio, la concia biologica
del seme per preservare la coltivazione dalla carie
e garantire così un prodotto sano al consumo”.
I “complici” del DESR, come li definisce bonariamente Luciana, sono cinque agricoltori biologici
(Cinzia Rocca del Podere Monticelli, Lia Brambilla
delle Tre Cascine, Anna Baroni dell’Agriturismo
L’Aia, Mattia Zuffada di Cascina Lassi, Luca e
Giorgio Sala di Cascina Selva), altrettanti panificatori (Rinaldi a Corsico, Tornaghi a Bareggio,
Manzoni a Milano, Bignanimi a Melegnano),
“Fuori Mercato” -con il suo servizio di
51
Le colombe capovolte nel laboratorio di “Pezzi di
pane”, il negozio
di piazza Bettini,
a Milano, collegato al laboratorio dell’istituto
penale minorile
Beccaria
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www.altreconomia.it
SECONDO TEMPO
Economie solidali
60
I gruppi d’acquisto solidali
coinvolti nel progetto di logistica
“Fuori Mercato”
di Ri-Maflow
52
logistica per farine, dolci e trasformati-, quasi 60 gruppi di acquisto solidale e la cooperativa
di commercio equo Chico Mendes, che all’ultimo
Banco di Garabombo -a Milano durante il periodo natalizio- ha distribuito 100 chilogrammi di
farine degli 11 grani “antichi” e i panettoni fatti
con il 25% di questa farina nei laboratori di Buoni
Dentro. In occasione del suo primo ordine in gestione, nel novembre scorso, “Fuori Mercato”
ha movimentato tra i 1.500 e 1.600 chilogrammi di farine, riso, biscotti e panettoni (il secondo è in preparazione quando andiamo in stampa).
Costruendo quelli che Stefano di Ri-Maflow chiama “legami naturali”. Com’è stato quello intessuto con il quinto dei panificatori coinvolti, un altro dei vertici del “quadrilatero”: il forno interno
all’istituto penale minorile del Beccaria. Sulla carta che avvolge le colombe, infatti, si legge “Buoni
Dentro”, il progetto sociale coordinato da Claudio
Nizzetto che da quasi quattro anni coinvolge giovani ristretti, fornendo loro competenze e nuove
professionalità. Al laboratorio interno al Beccaria
si è aggiunto il negozio di piazza Bettini (“Pezzi di
pane”), aperto a tutti (che distribuisce il pane a 4
Gas), dove Lorenzo Belverato e Giorgio Fumagalli
insegnano il mestiere anche a giovani adulti di
San Vittore, oltreché del Beccaria. Quando mettiamo piede nel negozio le colombe sono ancora
capovolte, infilate dentro corridoi che le sostengono e impediscono di afflosciarsi. È la sintesi di
Altreconomia
Numero 181
“Buoni Dentro”, che “non si limita a far panettoni o colombe, ma aiuta ad appassionare i ragazzi
mostrando loro un’alternativa al contesto delinquenziale” dice Claudio Nizzetto.
Percorrendo al contrario la filiera si giunge fino
al Podere Monticelli di Cinzia Rocca (www.poderemonticelli.it), a Villanova del Sillaro, in provincia di Lodi, uno degli agricoltori coinvolti. Prima
di dedicarsi al “Podere” -differenziandosi dalla
diffusa produzione di latte e carne suina, e dando vita tra le altre cose anche ad un’ottima birra, la “Poderina”, con orzo biologico e farro mono
cocco- Cinzia ha fatto l’infermiera in ospedale.
Dei 40 ettari che compongono la sua tenuta, 3 e
mezzo sono coltivati con la popolazione degli 11
grani del progetto coordinato dal DESR. Ai primi
di marzo, dopo una pioggia torrenziale, quei terreni appaiono come una distesa verde con qualche punta ingiallita. “Questi grani così vecchi,
senza modifiche, o incroci da laboratorio, hanno individuato per loro natura degli strumenti di
conservazione”, racconta Cinzia. Si era pensato
all’acquisto collettivo di un mulino: 70mila euro
d’investimento -con il supporto di Banca Etica-.
La Ri-Maflow lo avrebbe accolto nei suoi spazi,
garantendo un conferimento agevole agli agricoltori. L’idea è stata “congelata”, dato che un mulino
analogo è stato nel frattempo acquistato da una
riseria, ad Albairate (MI). Che potrebbe entrare a
far parte della Filiera del Grano DESR.
Le foto di questo servizio sono di Jason Nardi per l’Agenzia
Cinzia Rocca,
titolare dell’azienda agricola
Podere Monticelli
che si trova a
Villanova del
Sillaro (LO). È
uno degli agricoltori coinvolti
nel progetto di
Filiera del Grano
Avviso Pubblico
I beni confiscati e il cambio di passo. La legge
popolare sul riutilizzo dei patrimoni mafiosi
compie vent’anni. Una rivoluzione quasi riuscita
di Pierpaolo Romani
Vent’anni fa, il Parlamento italiano approvava all’unanimità la legge 109, che stabiliva la possibilità di utilizzare per
finalità di carattere sociale i beni e le aziende confiscate alle
mafie. A quattro anni dalle stragi di Capaci e di Via d’Amelio,
grazie alla mobilitazione di un milione di cittadini che decisero di firmare la petizione lanciata da Libera, la politica
italiana approvò un provvedimento spartiacque nella lotta
alle mafie. Finalmente, si era data forma alla straordinaria
intuizione di Pio La Torre, sindacalista, parlamentare e autorevole membro della Commissione antimafia: per sconfiggere le cosche non occorrono solo la magistratura e le forze
dell’ordine. I mafiosi vanno impoveriti e le loro ricchezze illecitamente accumulate devono essere restituite alla collettività. I beni confiscati devono diventare beni comuni. Parlare
di lotta a Cosa nostra, alle camorre, alla ‘ndrangheta e alla
Sacra corona unita, pertanto, significa non solo garantire la
sicurezza sui territori, ma anche battersi per assicurare l’esistenza e il funzionamento di un sistema economico libero,
sano ed efficiente.
“I beni confiscati sono diventati palestre di cittadinanza ed
occasioni di occupazione; luoghi di dignità e di lavoro” ha
affermato don Luigi Ciotti. Essi, per restare nel solco delle
parole del presidente di Libera, hanno permesso di porre a
fondamento della lotta alle mafie sia lo sviluppo economico
che il lavoro educativo-culturale. Sottrarre i beni e le aziende
ai boss, trasformarli in occasioni concrete di lavoro, in centri
di aggregazione e di formazione, ha dimostrato che le mafie
non sono né invisibili né invincibili e che quando lo Stato riesce in questa impresa, dimostra concretamente la sua presenza, credibilità e autorevolezza.
Sono più di 23mila i beni immobili e più di 3.500 le aziende
definitivamente confiscate dal 1982 ad oggi, secondo quanto
riferito dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. Una dimensione rilevante dal punto di vista patrimoniale, economico e finanziario. Diversi di questi beni, soprattutto immobili (e quindi terreni) sono utilizzati grazie
all’azione portata avanti dagli enti locali insieme alle cooperative sociali. Molti altri, purtroppo, o non vengono adoperati o, peggio, sono ancora abitati e usati dai mafiosi. Nel
23.000
I beni immobili confiscati alle mafie dal 1982 ad oggi.
Le aziende definitivamente sottratte alla criminalità
organizzata, invece, sono 3.500. Di queste solo il 2% è in
funzione
caso delle aziende, si registra la maggiore criticità: soltanto
70 sono attualmente in funzione.
Serve un cambio di passo nella lotta alle mafie. E, in Italia,
questa consapevolezza è partita dal basso, dal mondo delle
associazioni e delle forze sindacali. Due anni fa è stata lanciata la campagna “Io riattivo il lavoro”, capeggiata dalla Cgil
e sostenuta da Libera, Avviso Pubblico e da altre realtà della
cosiddetta “antimafia sociale”. Sono state raccolte migliaia
di firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare che
propone di modificare in punti specifici la normativa vigente in materia di beni e aziende confiscate. Il provvedimento, insieme a quello proposto dalla Commissione parlamentare antimafia, è stato discusso in seno alla Commissione
giustizia della Camera dei deputati. Ne è scaturito un testo unificato che è già stato approvato nel primo ramo del
Parlamento italiano.
Nelle prossime settimane, forti anche del fatto che il Governo
ha recentemente presentato il Piano di azione nazionale sui
beni confiscati e le politiche di coesione, è prevista la calendarizzazione della discussione al Senato. Bisogna vigilare. Le mafie sono ritornate ad alzare la testa e i mafiosi non accettano
facilmente di essere impoveriti.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le
mafie”, www.avvisopubblico.it
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SECONDO TEMPO
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Territori
Altreconomia
Numero 181
Un patrimonio
nascosto sulle
rive dell’Adda
REPORTAGE TRA EX CARTIERE E CANAPIFICI
Il villaggio operaio di Crespi d’Adda
è riconosciuto dall’Unesco, ma lungo
il corso del fiume -tra le province di
Lecco, Bergamo e Milano- ci sono
altri insediamenti industriali da
recuperare e valorizzare
Testo e immagini di Duccio Facchini
La navata centrale della “cattedrale” all’interno
della ex cartiera
Binda di Vaprio
d’Adda, in provincia di Milano. È
in disuso da 100
anni. L’immobile
è in stato di
abbandono
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SECONDO TEMPO
Territori
Una veduta
dell’Adda a
Trezzo, in prossimità di una centrale idroelettrica
in uso ad Enel.
In alto, il tetto
della filanda Rolla
porte della cattedrale sono sbarrate
da teli scuri e bancali. All’ingresso
della navata centrale è appoggiato un cartello con su scritto “Black
site”. A terra, tutto intorno, oltre ai calcinacci si calpestano migliaia di pallini
di gomma sparati dai ragazzi che qui vengono a
giocare alla guerra, a “soft air”. Marco Locatelli,
il proprietario, non ha trovato un altro modo per
presidiare i 35mila metri quadrati della ex cartiera Binda, una sorta di isola raccolta tra il Naviglio
Martesana e l’Adda nel cuore di Vaprio d’Adda
(MI), e tra i primi insediamenti industriali che
si affacciano sul fiume che dà acqua al Serio, a
Milano, al Ticino e al Po, che incontra nel lodigiano. “Questa parte l’abbiamo chiamata cattedrale
per le sue tre navate con volte in mattoni e pilastri in ghisa -spiega Locatelli-. Le macchine erano
collocate sotto al pian terreno, dove grandi rulli muovevano le tre linee della produzione grazie
all’acqua che entrava da nord e usciva dalle bocche più a sud. È in disuso da 100 anni ma i soffitti
sono perfettamente integri, nonostante mi abbiano spaccato i vetri e rubato tutto. Tutto questo a
Crespi d’Adda non c’è”.
A due chilometri in linea d’aria dall’ex cartiera
Binda, infatti, sorge il villaggio operaio di Crespi
Le
56
Altreconomia
Numero 181
d’Adda: è -dal dicembre 1995- nella lista Unesco
del Patrimonio mondiale dell’umanità, ed è il più
conosciuto tra gli insediamenti industriali che
sorgono lungo tutto il corso fiume. Partendo da
Nord, tra gli altri, s’incontrano la filanda Abegg
a Garlate (Lecco, oggi Museo della seta), la filanda Molinazzo di Brivio (LC) il setificio Monti di
Abbadia Lariana (LC, oggi Museo Civico), il vellutificio Velvis di Vaprio, la filanda Fumagalli a
Sotto il Monte (BG), la filanda della Rasica a Osio
Sotto (BG).
Andrea Biffi, cooperatore sociale, è tra coloro che,
nei primi anni 90, hanno contribuito a predisporre la candidatura di Crespi tra i beni patrimonio
dell’Umanità. “Il mio interesse per l’Adda e il suo
Parco nasce da un’esperienza associativa dei primi anni 90 che si chiamava Centro sociale Fratelli
Marx, una piccola associazione di Capriate San
Gervasio (BG) -racconta Biffi-. All’epoca ci scontrammo con una proposta di piano regolatore
per Crespi d’Adda dove si prevedevano nuove costruzioni, villette, impianti sportivi. Decidemmo
di contrastarla, in tutti i modi. Eravamo a conoscenza dell’esistenza della lista del patrimonio mondiale dell’Unesco, e della possibilità di
iscrivere nuovi siti. In due anni convincemmo
l’amministrazione ad abbandonare l’idea edificatoria, che avrebbe distrutto il genius loci del sito e a
sposare quella di tutela e conservazione”.
Oggi Biffi presiede la cooperativa Coclea, una
“agenzia per lo sviluppo locale sostenibile, la progettazione territoriale partecipata e il fund raising”. Tramite un recente bando della Fondazione
Cariplo ha coordinato un progetto di fruizione
leggera del Parco, in acqua o in bicicletta, predisponendo guide e mappe interattive che illustrano il patrimonio “sconosciuto” dell’Adda, provando a far conoscere quel che c’è al di là di Crespi. “È
un itinerario sconosciuto perché quasi tutto non
visitabile -spiega Biffi-, e in buona parte di proprietà di privati”.
È il caso di Vaprio d’Adda e della cartiera acquistata da Locatelli, dove il degrado e l’abbandono
han fatto sì che il bosco si riprendesse l’affaccio
alla riva. Per godere la vista è necessario salire al
secondo piano della cattedrale. Le scale in ceppo,
però, non ci sono più, rubate pure quelle. Locatelli
e la sua “GestEdil” hanno acquisito la cartiera dal
gruppo finlandese “Munksjo”, tra il 2010 e il 2011,
per un valore compreso tra i 7 e i 10 milioni di
euro. Da allora, l’imprenditore edile ha atteso che
il cambio di destinazione -da produttivo a residenziale- fosse inserito nel Piano di governo del
territorio. Il progetto definitivo, ancora, non c’è,
tant’è vero che sul portone all’ingresso è ancora
attaccato il pannello di un convegno organizzato
nel 2012 dal Politecnico di Milano sulla mai nata
“Isola della cultura”. A parole, Locatelli rassicura sul fatto che i volumi esistenti -115mila metri
cubi, che in buona parte verranno demoliti perché
ritenuti “di nessun pregio”, salvo la cattedrale, destinata a eventi musicali o laboratori di artigianato- non verranno replicati. In ogni caso, Locatelli
ha in testa un intervento che gli permetta quanto meno di riequilibrare quelli che indica come “i
costi finanziari sostenuti a fronte di un’area immobilizzata per anni”: almeno 60 milioni di euro.
1995
Il villaggio operaio di Crespi d’Adda, costruito nel
1877, entra nella
World Heritage
List Unesco
Questa alternativa “privata” all’obsolescenza e
all’abbandono di un patrimonio d’interesse pubblico è molto simile a quella di Crespi d’Adda.
Nell’ottobre del 2013, Antonio Percassi, l’uomo
che porterà la multinazionale Starbucks in Italia
(vedi Ae 179), ha acquistato, attraverso la holding
“Odissea”, lo stabilimento industriale di Crespi
d’Adda -90mila metri quadrati tra locali interrati e fuori terra e 35mila metri quadrati di boscoper poco più di 5 milioni di euro. L’intenzione è
quella di riunire all’interno dello stabilimento
gli uffici delle diverse attività imprenditoriali
L’ingresso di uno
degli edifici che
compongono
il gigantesco
complesso
dell’ex Linificio
Canapificio
Nazionale di
Cassano d’Adda
(MI). È prossimo a una
riqualificazione
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SECONDO TEMPO
15%
La percentuale di
funzioni pubbliche secondo
il progetto di
trasformazione di
Crespi elaborato dal Gruppo
Percassi
130
mila metri quadrati: la superficie
dell’ex Linificio
Canapificio di
Cassano d’Adda
58
Territori
del suo Gruppo, oggi distribuite tra Milano e
Bergamo. Secondo una “ipotesi preliminare non
formalizzata” (dal Piano di gestione 2014-2018
di Crespi), l’intervento di Percassi interesserebbe
circa 36.400 metri quadrati, con “funzioni pubbliche” non oltre il 15% della superficie.
Andrea Biffi e Coclea dialogano con il Gruppo
Percassi. “Stiamo cercando di accreditarci come
partner locali più importanti per quanto riguarda i pezzi di ‘economia della cultura’ da inserire
all’interno degli spazi -racconta il cooperatore-.
La fabbrica culturale di prossimità può rappresentare una risposta per il riuso e il riutilizzo di
questi luoghi, ma non rappresenta l’intera soluzione. È triste riconoscerlo ma non si scappa da
dinamiche economiche che prevedono quote di
residenziale e quote di commerciale. Anche perché molti di questi piccoli Comuni che ospitano
sul proprio territorio strutture del genere non
hanno le risorse per affrontare un problema così
complesso”.
Talvolta non hanno le risorse, talvolta hanno interessi di altra natura. Per rendersene conto basta
percorrere pochi chilometri a Sud di Vaprio lungo
la “Cassanese”, fino al gigantesco ex stabilimento del Linificio Canapificio Nazionale (LCN) di
Cassano d’Adda (MI). “Il complesso si trova accanto al canale della Muzza, e in passato era destinato
alla produzione di cordami e al riciclaggio dei sottoprodotti della canapa”, racconta Biffi, poco prima di raggiungere il portale d’ingresso. Ad attenderci c’è Fausto Crippa, presidente dell’Alauda srl,
la società edile che nel 2005 ha acquistato dalla
famiglia Marzotto tutta l’area: 130mila metri quadrati, 20 milioni di euro circa. Prima di fare strada tra ciò che è rimasto di un insediamento industriale in grado di occupare fino a 3mila persone,
Crippa cita Alfredo Robledo, già procuratore aggiunto della Procura di Milano. “La grande parola che attira tutti è l’avidità”, gli disse. Qualche
anno fa, infatti, venne scoperta una rete d’interessi fatta di tangenti e corruzione che dai palazzi
dell’amministrazione comunale guardava (anche)
allo sviluppo immobiliare dell’ex Linificio. Sono
passati 11 anni dall’acquisto dell’area e Crippa sta
ancora aspettando. “Il sito è abbandonato dalla
fine degli anni Novanta e i macchinari esistenti
sono stati tutti ceduti -racconta-. La nostra idea
era di recuperare il più possibile, anche perché
c’erano numerosi edifici meritevoli. Purtroppo
certe ‘vicissitudini amministrative’ ci hanno un
po’ bloccato. È un male nazionale, ma non ho più
voglia di parlarne. Quello che più dispiace è vedere l’avanzata del degrado. Se uno parte con l’idea
Altreconomia
Numero 181
Gli enti che ospitano le strutture
sono spesso molto piccoli, e non
hanno le risorse per affrontare
un problema di recupero così
complesso. Così interviene il privato
di radere al suolo tutto e costruire 400mila metri
cubi gli può anche andar bene il degrado, anzi lo
vuole. Per noi non era così, la distruzione c’è stata
perché non ci è stata data la possibilità di intervenire puntualmente. Così gli edifici sono crollati e
le corderie praticamente sparite. Venivevano realizzate corde destinate ovunque, anche sull’Amerigo Vespucci”. A differenza della cartiera Binda di
Vaprio d’Adda, il cantiere dell’ex stabilimento in
mano a Crippa dovrebbe sbloccarsi (il costo per
il recupero dovrebbe aggirarsi intorno a 70 milioni di euro, con 154mila metri cubi di intervento), visto anche il cambio di amministrazione nel
Comune di Cassano d’Adda.
A Fara Gera d’Adda (BG), invece, è tutto fermo.
I 90mila metri quadrati dei grandi spazi di un
altro stabilimento del LCN nel centro del paese
sono abbandonati e deserti. Giuseppe Petruzzo,
funzionario del Parco Adda Nord a Fara, immagina un grande mercato coperto, recuperando lo
stabile centrale che si innalza per quattro piani.
La proprietà, però, è ancora del gruppo Marzotto
-che ha delocalizzato la produzione in Tunisia e
Lituania-. Una parte dello stabilimento è stata riconvertita a funzione residenziale, senza grande
fortuna, mentre la centrale idroelettrica funzionante è stata ceduta a Luca Gnali, presidente della società Adda Energi Srl che ha fatto lo stesso a
Crespi d’Adda. Sfrutta l’acqua proveniente da un
canale derivato dall’Adda nel 1870 per far funzionare la motrice dell’opificio. Dentro la centrale
ci sono ancora i vecchi alternatori “Tecnomasio
Italiano Brown Boveri” di Milano.
È il patrimonio dell’Adda, oltre Crespi, oltre
Percassi.
Piano Terra
Il suolo e il gioco delle tre carte. Ecco perché la
legge regionale della Lombardia sul consumo di
suolo non “tutela” -ma “trasforma”- i terreni liberi
di Paolo Pileri
Una dopo l’altra, le Regioni stanno approvando leggi per ridurre il consumo di suolo. Purtroppo lo stanno facendo senza
regia, ognuna come le va. E non tutto va dritto. La Lombardia
dal 28 novembre 2014 ha la legge n. 31: “Disposizioni per la
riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato”. Il titolo è promettente, ma dobbiamo guardare dentro per comprenderlo. Occupiamoci delle definizioni
(art. 2), perché da lì capiamo tante cose. Vediamone tre. Alla
lettera a) si inizia con il definire la superficie agricola che è
data dai terreni qualificati dagli strumenti di governo del territorio come agro-silvo-pastorali. Primo scossone. Chi conosce
la combinazione tra minacce a cui è esposto il suolo e comportamento ‘allegro’ di molti piani urbanistici, rabbrividisce perché qui si sta dicendo che quello che voi vedete come
un campo, il piano può legalmente chiamarlo “non-campo”.
Basta una linea e due frasi. La prosopopea del diritto (de iure)
si impone sulla contingenza del reale, il de facto. Che bisogno
c’è di alterare i concetti se non per alimentare il dubbio che
mosse così siano più un lasciapassare per chi vuol mettere
le mani sopra i suoli, che un atto per tutelarli? Passiamo alla
lettera b) dove avviene una fusione a freddo: la superficie urbanizzata e quella urbanizzabile diventano, di fatto, dei sinonimi. Sarà una “semplificazione” per qualcuno. D’ora in
poi, quando passeggerete fuori città accanto a un prato, sappiate che se il piano urbanistico ha pensato di urbanizzarlo,
solo voi lo vedete prato, perché in realtà è già urbanizzato.
Una immobil-dream definition: la legge anticipa i tempi e trasforma i sogni immobiliari in solide realtà. Infine la lettera
c), quella sul consumo di suolo: il terzo miracolo. Già perché
il consumo di suolo è definito come la trasformazione, per la
prima volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento
di governo del territorio. Detta così non sarebbe male, ma ricordiamoci che chi decide cos’è una superficie agricola è il
piano (lettera a)) e non l’evidenza del reale. Allora potrebbe
bastare, un attimo prima, un ritocco al piano per decidere
che una certa area non è legalmente agricola e così quando
ci si troverà a calcolare il consumo di suolo, il risultato potrà addirittura essere zero. Capite? È il gioco delle tre carte,
anzi dei tre nuovi significati: un attentato non solo ai suoli
55
In Italia tra il 2008 e il 2013 il suolo consumato ogni giorno è
stato di 55 ettari, tra i 6 e i 7 metri quadrati al secondo. Persi
per sempre. La superficie nazionale urbanizzata è circa l’11%
(oltre 21.000 chilometri quadrati nel 2014), ma l’impatto
ecologico e quello paesistico pesano molto di più: il 55% del
nostro Paese è già compromesso (ISPRA 2015).
ma anche al vocabolario. Una volta si diceva “fatta la legge
trovato l’inganno”, ma ora neppure quella fatica dobbiamo
fare. Tutto ciò è un esercizio di manomissione delle parole
e delle azioni e decisioni che seguiranno, e getta tutti noi in
confusione lasciando campo libero a chi vuole disfare senza
scocciature paesaggi e suoli. Non è forse questa una vera e
propria de-regolazione elegantemente vestita da regolazione? Davanti a tutto ciò non basta stupirsi o preoccuparsi, ma
occorre indignarsi. E non solo per la legge. Anche il fragoroso silenzio che ne è seguito è una pugnalata. Troppi silenzi. E
questo mi buca letteralmente il cervello. Esiste un principio,
quello delle responsabilità differenziate, secondo il quale chi
ha competenze e conoscenze e non agisce è più responsabile di chi non sa e non agisce. Non possiamo pretendere che
i cittadini si rendano conto di come stanno le cose se chi sa
smette di fare la propria parte. Se si spezzano le cinghie di
trasmissione del sapere critico saranno guai e domani avremo novelli scrittori di leggi che si periteranno di dirci che il
colore rosso è verde. E noi ci schianteremo al primo incrocio.
Paolo Pileri è professore associato di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è
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Antonio Diodato
Storia di un cantautore
INTERVISTA AL GIOVANE ARTISTA CHE SI È FORMATO ALLO SPAZIO “ANGELO MAI” DI ROMA
La trasformazione della produzione musicale vista da un “artigiano” che ha imparato il
mestiere suonando dal vivo, lontano dai talent. Con il cuore a Taranto
Antonio Diodato,
(al centro): 34
anni, ha inciso
due album in studio (E forse sono
pazzo, 2013; A
ritrovar bellezza,
2014) con molte
collaborazioni. Tra queste,
quella con Roy
Paci (accanto a
lui nella foto)
62
Altreconomia
Numero 181
Simone Cecchetti
di Pietro
Raitano
“Forse si è persa un po’ la forza nella scrittura che
c’era negli anni 90. Nelle tematiche trattate leggo
meno cattiveria. Peccato, perché questo è un
momento in cui si potrebbero dire tante cose”
A
ntonio Diodato (o più semplicemente Diodato) è un artista trasparente e solido come la sua voce.
Trentaquattro anni, ha alle spalle due dischi, la partecipazione a
Sanremo e in programmi televisivi, importanti
collaborazioni e quasi 10 anni di esperienza. Da
un palco all’altro. “Ho imparato la mia professione suonando dal vivo. Oggi può sembrare una
cosa di altri tempi, ma reputo sia ancora la strada migliore, specie considerando come si muove
la musica oggi. Ho iniziato per gioco, come credo
sia giusto fare. Poi mi sono trasferito a Roma a
studiare e da lì le cose si sono fatte via via più serie. Salire sul palco, con una band, ti aiuta a imparare a usare la voce, a dosarla, e a capire come
si cura il rapporto con il pubblico. Tuttavia c’è anche dell’altro. Quando ho cominciato a comporre
ho capito che la musica dal vivo ti dice molto della
‘verità’ delle tue parole. In camera tua magari le
cose che scrivi ti sembrano eccezionali, ma è solo
sul palco che capisci se davvero ti ci puoi identificare. La mia musica si è plasmata facendo molti concerti, in situazioni anche piuttosto diverse.
All’estero mi capita spesso di suonare da solo, chitarra e voce. Anche questa è una dimensione importante, una questione di sfumature”.
Come componi i tuoi pezzi?
AD Il processo creativo parte soprattutto da
qualcosa di intimo e personale. Poi certo è capitato anche che in studio di registrazione, tra un
pezzo e un altro, si improvvisi con gli altri musicisti. A quel punto lavoro sulla melodia, e poi sul
testo. A volte può succedere invece di partire non
dalla musica. Magari anche solo da una frase, o
un pensiero, mentre passeggio per strada. Non
c’è un metodo preciso, tutto dipende molto dallo
stato d’animo del momento. Quel che conta è poi
sapersi distaccare. È importante riascoltarsi e capire se quella è la verità che rappresenta ciò che
volevi dire, se ti ci ritrovi. O se è solo parte di una
veemenza che provavi in quell’istante. Ecco perché può accadere di non cantare più alcuni brani.
Sono cresciuto ascoltando molto musica britannica, e solo dopo ho prestato maggiore attenzione
alla musica italiana, che da ragazzino avevo stupidamente snobbato. Cerchi sempre di scoprire
cose distanti ma crescendo ti rendi conto che per
quanto tu possa andare lontano con i tuoi ascolti, le tue radici musicali apparterranno a sonorità
e scrittura tipiche della tua lingua. Entro il 2016
dovrebbe uscire il mio nuovo album: scriverlo è
un percorso bello ma molto doloroso. Vuol dire
mettere le mani in una ferita. Ci sono un sacco di
trappole nella nostra coscienza, quando vogliamo
essere il più sinceri possibile.
Come è cambiato il mercato musicale?
AD Credo in peggio. La produzione musicale
è ancora legata al supporto fisico, il compact disc,
che però non ha più mercato. I big della musica
italiana -che con le loro vendite permettevano alle
case discografiche di investire su cose maggiormente di nicchia, di sperimentare- vendono anche un decimo rispetto a 15 anni fa.
Si muovono altre economie: il passaggio a modelli di musica “liquida” -come Spotify e Deezernon riesce a mantenere il sistema, a soppiantare
quell’economia. Vedo un paesaggio desolante. Le
case discografiche hanno un timore, che capisco:
come investire. Si fa molto meno e non sempre in
direzione della qualità. C’è chi ha detto che oggi
forse Lucio Battisti o Lucio Dalla non sarebbero
stati notati. Sappiamo che la Rete dà grandi possibilità, e che il messaggio, se è forte, arriva. Ma
Internet è anche piuttosto ingolfato da migliaia
di progetti e l’attenzione è calata. Inoltre, i cosiddetti talent hanno creato un problema importante, perché è chiaro che una casa discografica -in
crisi- preferisce scommettere su un artista la cui
promozione te la fa già la tv. A livello artistico
Il secondo album
dell’artista, pubblicato nell’ottobre 2014. 10 brani
reintrepretati
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Aprile 2016
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TERZO TEMPO
Musica
però si tratta quasi sempre di ragazzi molto
giovani che ancora si devono formare. Dall’altra
parte conosco tanti artisti di livello che però hanno difficoltà ad andare avanti.
Cambia anche la professione?
AD Siamo tornati un po’ artigiani. E forse va
anche bene, è ciò che cerco di fare. La dimensione
è più familiare, l’attenzione maggiore. Sono consapevole che il periodo di magra economica non
coincide con la perdita di qualità musicale. Solo,
forse si è persa un po’ la forza nella scrittura che
c’era negli anni 90. Nelle tematiche trattate leggo
meno cattiveria. Peccato, perché questo in realtà è un momento storico in cui si potrebbero dire
tante cose. C’è un po’ di paura, e in parte è anche
un’autocritica.
Ha ancora senso parlare di musica
indipendente?
AD Negli anni 90 essere indie era una scelta di
vita. Io non mi considero tale, anzi detesto le classificazioni, che ghettizzano la musica. Tanti giocano su questo, per dare maggior forza alle cose
che fanno. Io penso che la cosa migliore sia abbattere i confini. Con il mio percorso musicale, anche
se molto limitato, cerco di dimostrarlo. L’incontro
con Manuel (Agnelli, degli Afterhours, ndr) è stata da questo punto di vista un’illuminazione: una
persona umile, con un’apertura mentale sorprendente. Mi ha fatto capire che quelle barriere sono
stupide, che la musica ti dice qualcosa o non ti
dice nulla. Ieri, oggi, domani. Le possibilità sono
talmente tante che è inutile chiudersi in steccati.
La prossima
manifestazione
dell’uno maggio
a Taranto durerà
una settimana,
a partire dal 23
aprile. S’intitola
“Riconversioni”
64
La musica si sta riprendendo gli spazi
pubblici?
AD Da anni collaboro con un progetto, che in
realtà è una famiglia: l’esperienza dell’Angelo Mai
di Roma (www.angelomai.org). Lì mi sono formato come artista. Ho ricevuto tanto, in progetti
molto belli. L’Angelo Mai è uno di quei luoghi importanti che danno spazio a iniziative che avrebbero difficoltà a trovarlo altrove. Lotto perché
uno spazio come quello sia tutelato: dovrebbe essere considerato una risorsa e non un problema.
La cultura crea lavoro, muove l’economia, può essere un punto di forza in un Paese come il nostro.
La cultura ha bisogno di progetti anche più complessi, più difficili, spazi dove creare e fare. Non
solo musica, anche teatro. La politica degli ultimi
anni ha soffocato questo spazi a Roma. Non sono
nessuno per giudicare ma a volte provo un senso
di frustrazione di fronte all’appiattimento culturale che osserviamo: voluto, deciso, attuato.
Altreconomia
Numero 181
Sei nato ad Aosta ma le tue origini sono a
Taranto, città dove hai vissuto importanti
anni delle tua vita. Sin dal 2013 hai partecipato al concerto del primo maggio di
Taranto, alternativo a quello romano.
AD Ho vissuto a Taranto anni fondamentali,
per i quali mi sento tarantino. Taranto è una città cui non è stata data una scelta. È stata imposta una soluzione col miraggio della risoluzione
di tutti i problemi -non solo il polo siderurgico
dell’Ilva, sono tante le industrie dell’area-, creandone di ben peggiori. E non c’è solo l’inquinamento, ma un territorio distrutto. Ma l’Ilva è destinata a chiudere, non è al passo coi tempi. Possono
fare tutti i decreti salva-Ilva del mondo -sono già
9!- e pagare tutte le multe che l’Unione europea
erogherà perché l’impianto produce senza essere a norma. Ma alla fine non sarà più competitiva. Si parla della possibilità di convertire le multe dell’Unione Europea in fondi per la bonifica a
cui lavorerebbero gli stessi operai oggi impegnati nella produzione. Sarebbe un’ottima cosa e in
questo modo si risolverebbe anche la questione
occupazionale.
Ma se il destino è questo allora è importante costruire un’alternativa. Quello del primo maggio
per noi non è un festival, ma una manifestazione
che si serve del supporto dei musicisti per far arrivare un messaggio preciso. E il messaggio è che
non è da Paese civile che si muoia per produrre
acciaio. Fino ad oggi la manifestazione del primo
maggio è stata un vero e proprio miracolo, frutto
della determinazione di pochi, con 300mila persone ogni anno (questo sarà il quarto) e senza appoggi politici o di lobby, finanziata solo dalla gente con crowdfunding e donazioni. Tutti gli artisti
vengono gratuitamente. Quest’anno la manifestazione durerà una settimana intera, dal 23 aprile,
e si chiamerà “Riconversioni”: mostre, concerti,
workshop, artisti. Un assaggio di come potrebbe
essere il futuro sempre.
Editoria
Rigenerazioni: la riscossa
delle librerie indipendenti
SECONDO UNA STIMA, I “PICCOLI” LIBRAI ITALIANI SAREBBERO ALMENO 3MILA
Dalla cura sartoriale dell’ambiente al rapporto diretto con i propri lettori. Viaggio
da Roma a Milano, da Venezia fino a Caltagirone: le innovazioni vincenti in un
mercato asfittico dominato da grande distribuzione e vendita online
di Stefano Zoja
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Aprile 2016
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TERZO TEMPO
Editoria
24 milioni di persone hanno letto
almeno un libro
lo scorso anno. I
lettori forti (oltre
i 10 titoli all’anno) sono circa 5
milioni
libri, quasi tutti di faccia e non di
costa, creano disomogenee macchie
di colore lungo le pareti. Gli scaffali
non hanno etichette e la disposizione dei libri non segue i generi. Resta
spiazzato chi entra da Spazio BK, giovane libreria
milanese consacrata alle pubblicazioni illustrate
e al visivo. “Il pensiero funziona per associazioni
di idee e questa è l’esperienza che abbiamo voluto
ricreare: se osservi l’area sulla cucina, puoi trovare un fumetto che parla di cibo accanto a un saggio di Agamben sul gusto e a un libro fotografico di ricette”, raccontano Chiara Bottani e Diletta
Colombo, 34 e 35 anni, fondatrici di una “libreria della pazienza, quella che avremmo desiderato
frequentare da clienti”. Dopo un anno di progettazione, hanno aperto a dicembre 2012 nel mezzo
del rinnovato quartiere Isola. In 50 metri quadri
ospitano in media 4mila volumi, a fronte di un assortimento di 3.500 titoli. Se un libro ha successo,
come è stato il caso lo scorso anno delle 80 copie
di Le cose inmisurabili, autoproduzione dell’illustratrice Ayumi Kudo, riassortiscono, ma la flessibilità è basilare. “Di tanti libri ordiniamo una
copia sola”, spiegano, ed è la stessa cura sartoriale
che mettono nella definizione dei corsi e dei laboratori di artigianato, l’altra attività portante della
Stefano Zoja - Libreria Marco Polo (Venezia) - Libri e bar Pallotta (Roma)
I
libreria. Una doppia anima, una formula ancora
in divenire, che ha fruttato una crescita di fatturato del 20% all’anno.
Siamo alla frontiera del rinnovamento delle librerie indipendenti, un universo eterogeneo che
l’anno scorso ha dato inattesi segni di ripresa.
Secondo l’Associazione Editori (Aie) nel 2015 le librerie a conduzione familiare hanno recuperato
lo 0,3% sugli altri canali di vendita del libro cartaceo rispetto al 2014. Lo stesso mercato del libro, da sempre asfittico, tanto più in questi anni
di crisi, ha guadagnato nel 2015 lo 0,7% (vale 1,2
miliardi di euro) e segnato un leggero aumento
dei livelli di lettura: 24 milioni di persone leggono
almeno un libro all’anno, anche se i lettori forti
(sopra i 10 titoli all’anno) sono solo 4 o 5 milioni.
La ripresa per le librerie indipendenti è modesta
(fatturato +1,8%), ma è molto significativa dopo
anni di netto calo: oggi valgono il 31% del mercato, nel 2010 erano al 38,8%. Secondo Gianni
Peresson, responsabile Ufficio studi Aie, “in realtà nel 2015 le indipendenti sono andate anche
meglio. Il fatto è che, dopo essere passate sotto il
rullo compressore delle librerie di catena prima e
di Amazon poi, le indipendenti che hanno saputo
rinnovarsi oggi sono in buono stato”.
Carlo Savarese di Pea Italia, società di promozione
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Altreconomia
Numero 181
libraria, si muove nel mercato dagli anni Settanta:
“Per decenni è proseguita una desertificazione
delle librerie a conduzione familiare: in un mercato povero, non reggevano i costi degli affitti e
del personale. Oggi rinascono diverse nuove iniziative, anche se spesso molto piccole”. Quante
siano le librerie indipendenti è difficile stimarlo,
anche perchè aperture e chiusure sono continue.
Messaggerie Libri, il più grande distributore italiano, e Fastbook, il principale grossista, entrambi controllati dal gruppo Messaggerie, forniscono
una stima ponderata di circa 3mila rapporti aperti con librerie indipendenti in Italia.
Carmelo Calì ha 35 anni e gestisce “Libri e bar
Pallotta”, sorta a Roma nel 2012, fra i muri che
per decenni aveva ospitato un bar sport presso
ponte Milvio. Ancora oggi il locale integra la libreria e un locale. Ma l’intuizione più spettacolare di Carmelo e della sua collega Carla si chiama
Libri a mollo. “Due estati fa ci è venuta l’idea di
portare all’aperto alcuni degli incontri che avevamo pensato per la libreria”, racconta Carmelo. “Ci
siamo accordati con i gestori dello storico chioschetto del Ponte Milvio, detto anche ‘ponte mollo’, zona di movida. Il risultato è stato che persone
che erano lì per l’aperitivo si trovavano un piccolo
palco e qualcuno come lo scrittore (Premio Strega
2015) Nicola Lagioia che presentava il suo nuovo libro”. Visto il successo del 2014, si è strutturata la seconda edizione come una vera rassegna
estiva: un appuntamento a settimana per tre mesi
con scrittori e, talvolta, eventi musicali o poetici.
“Tutto questo, insieme al rinnovo di alcune formule commerciali, ci ha portato a crescere fra il 5
e l’8% ogni anno”.
Un’immagine di qualità e insieme di creatività “è
necessaria per qualunque libreria”, dice Romano
Montroni, presidente del Centro per il libro e docente alla Scuola Librai Uem. “Il mercato è troppo
piccolo, i lettori forti sono una nicchia e i meccanismi di standardizzazione in questo business non
funzionano”. Alla Marco Polo di Venezia la miscela di creatività e cultura l’hanno declinata con
le serate di lettura su barche storiche. Racconta
uno dei tre soci, Claudio Moretti: “Negli ultimi
tre anni, assieme all’associazione Il Caicio, abbiamo organizzato dei Freschi libreschi, che si sono
svolti navigando per i canali di Venezia su imbarcazioni in legno a remi. Gruppi da 4 a 10 persone
leggevano ciascuno per conto proprio ciò che volevano, poi, in determinati luoghi, ciascuno aveva l’opportunità di condividere a voce alta con gli
altri qualcosa che trovava significativo”. Nata negli anni Duemila come libreria di viaggio di una
trentina di metri quadri, la Marco Polo ha aperto
lo scorso settembre un secondo e più grande negozio in campo Santa Margherita, una zona della vita notturna. “Da un po’ di tempo crescevamo
del 10% all’anno, il mercato c’è e ci vogliamo provare, con le iniziative speciali e sopprattutto con
la selezione dei libri. In fondo la parte principale del nostro mestiere resta comunque leggere e
consigliare”.
Francesco Cataluccio, scrittore con un importante passato nell’editoria, concorda e collega il ragionamento al contrasto fra virtuale e reale: “C’è
sempre la possibilità di comprare un libro su
Amazon, ti arriva in un giorno e mezzo e a prezzo
scontato. Se scelgo il libraio è proprio per questa
sua funzione insostituibile di selezione e proposta di qualità. E questa qualità è ciò che si percepisce anche nella relazione col libraio e fra i lettori:
le librerie sono fra i pochi luoghi di una socialità ‘calda’ rimasti nelle nostre città. Del resto, le
librerie ben curate sono l’estensione naturale dei
libri originali e confezionati bene, anch’essi di
grande successo di questi tempi, con buona pace
dei tablet”. È d’accordo Alberto Ottieri, amministratore delegato di Messaggerie: “il punto fondamentale dell’attività dei librai è il rapporto di
fiducia con i clienti. Oggi il libraio è un soggetto
imprenditoriale forte in grado di fare scelte autonome, anche controcorrente”.
“Posso dire una parolaccia? La libreria è anche
un’azienda, e prima lo capiamo e meglio stiamo”. Danilo Dajelli, 35 anni, è il libraio di Gogol
& Company, nel pieno dello storico quartiere milanese del Giambellino. L’ha fondata nel 2010
67
Sopra, Carmelo
e Carla che
gestiscono Libri
e bar Pallotta a
Roma. A fianco,
i tre soci della
libreria Marco
Polo di Venezia.
In apertura,
Chiara e Diletta
dello Spazio BK
di Milano
Aprile 2016
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TERZO TEMPO
183
librerie indipendenti si sfidano
nell’ambito
dell’Italian Book
Challenge
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Editoria
e oggi la conduce con la compagna, Tosca, e
ben nove dipendenti, molti dei quali part-time.
Nei 200 metri quadri del locale trova posto un
bistrot che porta circa metà del fatturato. Su cibo
e bevande, del resto, i margini sono superiori rispetto al libro, dove si resta fra il 30 e il 45%: per
questo, in tutta Italia, molti librai hanno scelto
di integrare la loro offerta con la vendita di altri
beni e servizi. “Anche se il nostro assetto si fonda sul libro, il bistrot è una componente essenziale
dell’attività. Libri e cibo cerchiamo di interpretarli allo stesso modo, nella selezione e nella proposta, e di fare sintesi fra loro”. Del resto, tendenze
comuni ad altri ambiti del commercio si stanno
propagando anche nell’editoria: attenzione alla
qualità, scelta diretta, accorciamento della filiera. Tra gli esiti spicca una rafforzata tendenza al
dialogo fra librerie e case editrici indipendenti,
piccole e medie. Un’attenzione reciproca che passa dall’organizzazione di eventi e presentazioni,
fino a sfociare talvolta nella fornitura di libri in
conto deposito, qualora non sussistano contratti di esclusiva con i distributori tradizionali. “Per
il libraio questo significa migliori margini e soprattutto nessuna esposizione, perché paga solo
ciò che vende”, dice Danilo. Diverse case editrici
trovano anch’esse convenienza nel dialogo diretto: “Un rapporto virtuoso con i librai indipendenti permette a noi piccoli e medi editori di venire a
galla e di essere valorizzati”, spiega Fabio Ferretti,
direttore commerciale di Quodlibet. Conferma
Alberto Ibba, suo omologo presso la neonata NN
Editore: “La relazione diretta ci conduce a lavorare di più, ma ci porta visibilità e margini più
ampi, aiutandoci a gestire i seri rischi imprenditoriali che sopportano le piccole case editrici”.
Non è sorpreso Alberto Ottieri di Messaggerie: “Il
fenomeno in realtà esiste da tempo e non cambia il fatto che gli strumenti migliori per leggere
l’andamento del mercato a librai ed editori li fornisca ancora la grande distribuzione. Del resto le
librerie sono il nostro primo riferimento e, considerando l’efficienza di una distribuzione che può
contare su un magazzino di 130mila titoli circa,
restiamo una ricchezza per questo mercato”.
È un confronto di modelli, sullo sfondo della trasformazione delle librerie. Per dirla con la pluridecennale esperienza di Savarese: “siamo in una
di quelle cicliche fasi di caos, di entropia del mercato librario, nelle quali cambia tutto”. Rispetto al
decennio precedente, il modello ideale della libreria di successo è mutato, come spiega Peresson:
“si riducono di molto le superfici e soprattutto gli
assortimenti presenti in negozio: nell’epoca di internet e degli approvvigionamenti rapidi e mirati,
Altreconomia
Numero 181
calano da 70-80mila volumi a meno di 10mila”,
lasciando in certi negozi lo spazio per altro: i bistrot, la vendita del no book, le poltrone e l’arredo creativo, gli eventi.“In un mercato con queste
caratteristiche di ristrettezza, i piccoli non possono fare a meno di autorganizzarsi”, dice Paola
Dubini, docente alla Bocconi di Milano ed esperta
di economia del libro.
C’è il caso di Letti di notte, manifestazione nata
nel 2012 come notte bianca della lettura diffusa,
cui hanno aderito molte decine di librerie in tutta
Italia. O quello recente dell’applicazione Libricity,
imperniata su un motore di ricerca che mette in
rete i cataloghi di tutte le librerie aderenti, “e
che può rivelarsi in prospettiva una fonte di reperimento libri più ricca di Amazon”, dice Marco
Zapparoli. “L’Italian Book Challenge, invece è il
primo caso di autorganizzazione collettiva dei librai”, racconta Daniela Alparone, proprietaria di
Dovilio, piccola libreria nel centro di Caltagirone.
Si tratta di una sfida di lettura patrocinata da una
rete di 183 librerie italiane, cui stanno accostandosi migliaia di lettori. Lo scopo è leggere più libri
possibile, facendosi ispirare da 50 tracce diverse.
I librai certificano l’avanzamento di ciascun partecipante, nomineranno il loro lettore più forte,
mentre a fine anno verrà premiato l’iperlettore nazionale. “La sfida, che si ispira ad analoghe
iniziative straniere, è un pretesto per leggere e
divertirci. La particolarità è che l’abbiamo messa in piedi a partire da un semplice gruppo su
Facebook, dove, in una trentina di librai, avevamo
già cominciato a scambiarci informazioni e consigli”. Daniela parla di questo gruppo con gratitudine: “quando alcuni anni fa ha aperto una grande
Mondadori qui a Caltagirone, il mio giro d’affari
era molto calato. Avevo anche pensato di chiudere, finchè l’anno scorso mi sono riorganizzata e in
novembre ho rinnovato il locale e inaugurato una
filosofia più dinamica, fatta di tanti eventi e presenza sui social. Nel definire tutto questo i consigli del nostro gruppo online sono stati davvero importanti”. Da Lecco, con la Libreria Volante, dove
è stata ideata l’iniziativa, alla Sicilia di Dovilio e
della storica Modusvivendi di Palermo, passando
per Le notti bianche di Vigevano, Il mio libro di
Milano, la Ghibellina di Pisa e tante altre, il giro si
è allargato a quasi duecento librerie.
“È la prima volta in assoluto che organizziamo
qualcosa del genere”, dice Fabrizio Piazza della
Modusvivendi, “e sono convinto che in prospettiva, se sapremo continuare a coordinarci, potremo
cominciare a esercitare anche un certo peso politico e commerciale”.
Un volto che ci somiglia
Napoli, la rivoluzione dell’Asilo. Una parte del
complesso monumentale di San Gregorio Armeno
rinasce grazie ad un regolamento sugli “usi civici”
www.flickr.com/photos/lasilo
di Tomaso Montanari
Napoli: non c’è città al mondo in cui il rapporto tra le eccezionali qualità e importanza storica del patrimonio culturale e la sua conservazione e apertura ai cittadini sia così
svantaggioso, anzi rovinoso. La cosa è tanto più paradossale
se si pensa che il patrimonio, a Napoli, è diffuso capillarmente: ogni strada del suo gigantesco centro storico, anche
la più degradata, è in qualche modo monumentale. In particolare, l’enorme “Napoli sacra”, la cittadella religiosa fatta di chiese, oratori, confraternite, conventi, monasteri, innerva altrettanto capillarmente il corpo della città: e ne è, in
qualche modo, l’anima. Un’anima non solo religiosa, ma civile: la Napoli religiosa di ieri offre alla Napoli civile di oggi
un’enorme quantità di spazio pubblico di straordinaria qualità. Ma come è possibile rendere di nuovo accessibile questo straordinario patrimonio negato, questo cruciale bene
comune?
Ebbene, dopo anni di inerzia, di incuria, di abbandono, una
via si è aperta. Quattro anni fa, nel 2012, un gruppo di lavoratori della conoscenza ha occupato una parte del complesso monumentale di San Gregorio Armeno, il monastero
femminile benedettino noto in tutto il mondo per la via dei
presepi che lo fiancheggia. Già nel Cinquecento quegli spazi erano stati destinati ad opificio, e dopo la Guerra Giulia
Filangieri di Candida vi fondò un orfanotrofio: da allora, per
tutti, quello è l’Asilo Filangieri.
Come moltissime altre parti del centro storico, anche l’Asilo
venne abbandonato dopo il disastroso terremoto del 1980:
e quando, nel 2012, si pensò di destinarlo al Forum delle
Culture (un carrozzone grottesco che si tradusse in una vera
danza macabra giocata su una città in disfacimento), una comunità di artisti e intellettuali ne occupò gli spazi.
Da allora l’Asilo è resuscitato, diventando un luogo di incontro, di cultura, di cittadinanza. Nel dicembre del 2015, la
giunta De Magistris ha approvato una delibera che consente
l’uso civico dell’Asilo, con un apposito regolamento, ispirato
alla più eletta dottrina costituzionale. “Gli ‘usi civici’ -vi si
legge- sono la più antica forma di uso collettivo di beni destinati al godimento e all’uso pubblico (sent. Cort. Cost. n.
142/1972); vi è una stretta connessione fra l’interesse della
Il refettorio dell’Asilo Filangieri a Napoli
collettività alla conservazione degli usi civici e il principio
democratico di partecipazione alle decisioni in sede locale
(sent. Cort. Cost. n. 345/1997)”. Il regolamento del Filangieri
è un’innovazione giuridica, sociale e politica che viene già
vista come un traguardo, in Italia e in Europa. In un Paese e
in una città in cui la norma è l’esercizio pubblico di interessi
privati, l’uso civico dell’Asilo è -diciamolo con le parole con
cui Piero Calamandrei, nel 1956, difese Danilo Dolci, che per
protestare si era messo a ricostruire una strada pubblica- un
“esercizio privato di pubbliche funzioni volontariamente assunte dai cittadini a servizio della comunità”.
La delibera sull’Asilo garantisce “l’uso consentito a tutti i cittadini che attraversano il territorio, e comunque all’intera
collettività; il funzionamento in base a processi partecipativi”. Così la Napoli sacra torna a vivere: con una sacralità
nuova, quella dell’eguaglianza costituzionale.
Tomaso Montanari è professore ordinario di Storia dell’arte
moderna all’Università di Napoli. Il suo ultimo libro è “Privati
del patrimonio” (Einaudi, 2015)
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Aprile 2016
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La pagina dei librai
In breve, sette titoli
da non perdere
di Cristina Di Canio, libreria “Il mio libro”, Milano
ON THE ROAD
NOIR
POESIA
Quel che disse
il cactus
Ritrovare Narciso
50 anni dopo
Parole come gatti
Quattro amici e una strada,
la Route 66, che li aspetta.
Un libro che inizia dalla fine
perché l’autore decide di raccontarci la storia a ritroso: la
storia della ricerca di Kristof
Katrakowsky Kazachenko.
Nicolò Gianelli riesce a
tenere il lettore incollato
dalla prima all’ultima pagina.
Stringerete un patto con
l’autore sin dalle prime righe,
accetterete i suoi dialoghi
surreali, anche quando sarà
un cactus a raccontare cosa
sia la solitudine, oppure
quando leggerete che dalle
acque dello Spring River
dipende l’economia di un’intera cittadina (i postini vi
pescano lettere, i birrai birre,
gli spacciatori droga e le
ostetriche neonati). Sarete
così immersi nella storia e
nel suo modo di raccontarvela che tutto vi sembrerà
plausibile. E come ogni viaggio che si rispetti, non può
mancare la colonna sonora
che troverete a chiusura di
ogni capitolo.
Vangelo
Yankee
Nicolò
Gianelli
‘round
midnight
edizioni –
235 pp.
€ 9,00
70
Altreconomia
Numero 181
L’estate
del cane
bambino
Mario
Pistacchio
Laura
Toffanello
66TH A2ND
218 pp.
€ 16,00
È l’estate del 1961, a
Brondolo, vicino a Venezia.
È la storia di un gruppo di
ragazzini quasi adolescenti
e delle loro scorribande. Il
fratello minore di uno dei
protagonisti cerca in ogni
modo di farsi accettare dai
grandi, seguendoli in ogni
occasione, fino al giorno in
cui, durante una partita di
calcio, Narciso, così si chiama il più piccolo del gruppo,
sparisce senza far più ritorno
a casa. I ragazzini sono
scossi dall’accaduto, il paese
in un primo momento si mobilita per cercare il bambino,
ma più passano i giorni e più
i cittadini si rassegnano. A
distanza di 50 anni, Vittorio
-il narratore della storia- farà
ritorno nel suo paese natale
svelando al lettore il mistero
del bambino scomparso.
Una favola nera, un libro
che spiazza, che parla di
violenza, omertà e innocenza
perduta.
Un poeta milanese e il suo
secondo libro di poesie.
Vincenzo Costantino è
tornato in libreria dopo il
successo di “Chi è senza
peccato non ha un cazzo da
raccontare” (2010). In questa
raccolta, che inizia con due
gatti che si contendono la
stessa femmina scegliendo tuttavia di non lottare
perché non ne vale la pena,
ritroviamo la sua capacità
di giocare con le parole, di
spogliarle per restituirne
il vero senso, per dar loro
nuova vita; riesce a trasmettere il profumo di ciò che sta
descrivendo, il rumore della
strada che sta percorrendo,
il senso del viaggio.
“Mi interessa l’odore che
sento. Mi interessa come
quando provi a spacciare
gentilezza, ma ormai è tardi
la tua storia è arrivata. Mi interessa il vento che mi porta
via ogni emozione / lasciandomi sepolto da una risata di
gioia. / Mi interessa l’arrivo.
/ Mi interessa il ritorno. / Mi
interessa il mentre”.
Nati
per lasciar
perdere
Vincenzo
Costantino
Marcos y
Marcos
160 pp
€ 10,00
Antipodi
Raffaele Napoli
Casasirio, 2015
L’inconfondibile tristezza
della torta al limone
Amee Bender
Minimum Fax, 2011
La casa della moschea
Kader Abdolah
Iperborea, 2008
Nel regno degli amici
Raul Montanari
Einaudi, 2015
La solitudine di un riporto
Daniele Zito
Hacca, 2013
La resa
Fernando Coratelli
Gaffi, 2013
Oceano Padano
Mirko Volpi
Laterza, 2015
La libreria di Cristina (che
lei chiama “la scatola lilla”)
si trova in via Sannio 18. L’ha
aperta nel novembre 2010,
quando aveva solo 26 anni.
“Un sogno che ho realizzato”
www.lascatolalilla.it
Agenda
Aprile-Maggio 2016
REFERENDUM
dichiarato guerra alle sostanza stupefacenti, senza successo.
A New York verrà discusso un nuovo
approccio al fenomeno.
Per approfondire, leggi l’articolo pubblicato sul numero 178 di Altreconomia,
http://bit.ly/droghe-pena
COMMERCIO EQUO
in tutta Italia
www.notriv.com
CAMBIAMENTI CLIMATICI
in tutto il mondo
wfto.com/events/world-fair-trade-day
17 aprile
Vota sì per dire
no alle trivelle
Il governo ha indetto una consultazione popolare: il quesito è relativo allo
sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi in mare, al largo delle coste della
Penisola. In particolare, l’unico quesito
ammesso (dei 6 presentati) riguarda la
durata delle autorizzazioni già rilasciate per le esplorazioni e le trivellazioni.
Nell’ambito del Testo unico dell’ambiente prevede l’abrogazione al comma
17 dell’articolo 6 delle parole “per la
durata di vita utile del giacimento, nel
rispetto degli standard di sicurezza e di
salvaguardia ambientale”. Oggi, infatti,
le trivellazioni possono proseguire fino
a quando il giacimento lo consente. Al
tema abbiamo dedicato il libro “Trivelle
d’Italia” scritto da Pietro Dommarco.
22 aprile
Paris Agreement,
le prime firme
New York, USA
www.unfccc.int
Il segretario generale delle Nazioni
Unite ha convocato una cerimonia di
alto livello per celebrare le prime firme
in calce all’Accordo di Parigi sul clima,
quello scaturito dalla Conferenza che si
è tenuta tra fine novembre e dicembre
nella capitale francese (COP21), e che
chiede di contenere l’innalzamento
delle temperature globali entro 1,5°C.
La raccolta delle firme è aperta fino al
21 aprile 2017.
NAZIONI UNITE
19-21 aprile
Assemblea
generale Onu
sulle droghe
MOBILITÀ SOSTENIBILE
New York, USA
www.unodc.org/ungass2016
In occasione della Giornata nazionale
della bicicletta, il capoluogo campano
-nella cornice di piazza Plebiscito- ospita la manifestazione nazionale promossa dalla Federazione italiana amici della
bicicletta per promuovere l’uso della
bicicletta tra i giovani e giovanissimi.
Sul sito l’elenco di tutte le città aderenti.
Secondo il World Drug Report 2015
dell’United Nations Office on Drugs and
Crime, nel 2013, 246 milioni di persone
hanno fatto uso di una droga illecita.
Vent’anni fa le Nazioni Unite hanno
8 maggio
Bimbimbici
a Napoli, e in tutta Italia
www.bimbimbici.it/
14 maggio
World Fair Trade
Day 2016
“Il commercio equo è un agente di cambiamento”. Dal 2001, la World Fair Trade
Organization promuove -in occasione
del secondo sabato di maggio- una
Giornata mondiale per diffondere i
valori del fair trade, “una soluzione al
problema della povertà, uno
strumento di sviluppo sostenibile”.
In Italia informazioni sul sito internet
di Equo Garantito (www.equogarantito.
org), l’associazione di categoria delle
organizzazioni di commercio equo e
solidale italiane.
COMUNITÀ OSPITALI
22 maggio
Giornata
nazionale dei
Borghi autentici
in tutta Italia
www.borghiautenticiditalia.it/
Una grande festa diffusa, promossa
dall’associazione Borghi autentici
d’Italia (BAI) coinvolgendo i Comuni
che fanno parte della rete, in tutta Italia.
In programma incontri, convegni, concerti, degustazioni enogastronomiche,
visite guidate.
Nel 2015 Altreconomia ha pubblicato con BAI il libro “I racconti delle
Comunità Ospitali”.
71
Aprile 2016
www.altreconomia.it
Idee eretiche
“L’altreconomia
è una forma
di autentica
migrazione: chi vi
s’impegna deve
saper sostenere
la pressione e le
mortificazioni di
chiunque sia in
cammino verso la
libertà e trova una
frontiera sbarrata”
Roberto Mancini
insegna Filosofia
teoretica all’Università
di Macerata
72
Altreconomia
Numero 181
di Roberto Mancini
Accoglienza, restituzione e cammino comune. Queste parole rappresentano l’orizzonte che
si delinea agli occhi di chi sa vedere la contraddizione insostenibile costituita dalle migrazioni forzate di massa del nostro tempo. Parole che indicano il giusto orientamento per il
futuro e ridefiniscono l’asse del nostro (peraltro quasi spento) dibattito culturale, politico
ed economico. L’accoglienza è il contrario di quel respingimento che considera gli altri, soprattutto quelli che più sono in pericolo, come bestie, oggetti o entità da ignorare. La restituzione dei diritti è il contrario della continua espropriazione che gli antichi colonizzatori
europei fecero e continuano a fare in forme aggiornate. Il cammino comune è quello che
si deve cominciare a svolgere quando comprendiamo finalmente che la risposta che sapremo
dare al grido dei migranti è la base per la società futura. Il termine “migrazione” è ambivalente: da una parte si riferisce a una costrizione insopportabile, che obbliga allo sradicamento violento dalla propria terra, dalla casa, dagli affetti, dalla lingua materna, dalla propria
identità. Questo fenomeno è il pervertimento orribile del significato autentico del migrare,
che come tale è da sempre una dinamica essenziale della condizione umana. Infatti l’esistenza di tutti è un viaggio che tende alla sua vera destinazione, non è un esercizio di sopravvivenza fine a se stessa.
Il filosofo e giornalista della Guinea-Bissau Filomeno Lopes, nel suo libro Dalla mediocrità all’eccellenza. Riflessioni filosofiche di un immigrante africano (Edizioni SUI, 2015), sostiene
che questo vero significato va liberato e realizzato, il che accade quando transitiamo dal
paradigma della migrazione coattiva, funzionale agli interessi dei dittatori e degli speculatori, al paradigma dell’ospitalità. Le migrazioni coattive sono una delle contraddizioni più
gravi della società globale e derivano dall’intreccio tra il retaggio del vecchio colonialismo,
la complicità di molti governi locali, più o meno dittatoriali e corrotti, e le dinamiche di
conquista messe in atto da multinazionali e gruppi speculativi. Di fronte a questa contraddizione l’Unione europea e molti governi dell’area reagiscono con l’ottusa politica di chiusura delle frontiere e di delega della gestione del problema a singoli Paesi. La nostra politica
manca di coscienza etica, di respiro culturale, di fondamenti costituzionali e di progettualità. Perciò è urgente la costruzione di una risposta completamente diversa, che preveda:
un progetto europeo per l’accoglienza e per il transito sicuro dei migranti dalle loro terre;
una politica internazionale, con respiro mondiale e non solo europeo, tendente a guarire
le situazioni incancrenite che causano le migrazioni forzate; un progetto di sviluppo della
democrazia che, ascoltando le istanze dei migranti, allestisca condizioni decenti di vita per
tutti, Paese per Paese. Si dirà che è un’opera immensa e utopica.
Provate però, quando vi viene questo scetticismo, a sostituire alla parola “utopia” la parola
“scelta”: le cose migliori e giuste che molto facilmente etichettiamo come “impossibili” in
realtà possono maturare e accadere purché ci siano persone e comunità che hanno il coraggio di assumerle a riferimento delle loro scelte quotidiane. In questa prospettiva si capisce
che l’altreconomia è una forma di autentica migrazione. Infatti chi vi si impegna deve saper sostenere la pressione (emotiva e mentale, esistenziale ed economica) e le mortificazioni
di chiunque sia in cammino verso la libertà e invece trova una frontiera sbarrata.
Qui si tratta dell’esodo dalla trappola mortale dell’economia finanziarizzata verso un’organizzazione economica democratica, mite, equa, rispettosa delle persone e della natura.
I soggetti dell’altreconomia devono ascoltare i migranti e riunirsi con le comunità di lavoratori stranieri residenti in Italia: nel dialogo con loro potremo comprendere meglio come agire e anche guarire dalla tentazione di
arrenderci.
Il bio delle piccole cose
Pagine che profumano di terra e cibo autentico
Il consumo critico, con il dono della sintesi
Una piccola guida pratica per passare dal dire
al comprare, dai gruppi d’acquisto solidali
alla finanza etica, dalle parole alle infografiche
Le nostre scelte quotidiane possono cambiare il mondo: questo libro
raccoglie, seleziona e illustra in modo chiaro le prassi quotidiane di
consumo critico -dal cibo ai vestiti, dai cosmetici ai prodotti per l’igiene
di casa- e spiega come adottare “stili di vita” responsabili. Una mappatura
sintetica ed esaustiva, a partire dai criteri per stilare la nostra “lista della
spesa” e ai luoghi dove attendere al rito: i Gruppi d’acquisto solidali,
le botteghe del commercio equo e i nuovi mercati contadini. Ma anche
le istruzioni per aprire un conto in una banca “etica”, per mantenere
un’impronta ecologica leggera, per scegliere energie da fonti rinnovabili
e una mobilità slow o per viaggiare in punta di piedi. Tutte le informazioni
sulle “reti di economia solidale” per chi vuole impegnarsi in prima persona
e 10 infografiche, che permettono al lettore di cogliere, in un solo sguardo,
le principali prassi di consumo consapevole.
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Le altre uscite di Altreconomia
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Il suolo, i suoi segreti,
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difenderlo ed essere
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101 piccole
rivoluzioni
Non aprite
quella pappa!
Storie di buone prassi
dal basso e di economia
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