Il Sole 24 Ore
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Il Sole 24 Ore Giovedì 8 Dicembre 2011 - N. 336 30 Mondo Panorama VIOLENZE IN SIRIA Assad: non ho mai detto di sparare Cina. Sesta seduta negativa per il renminbi che tocca il minimo di 6,36 con il dollaro INTERVENTO Yuan ancora in calo, la crisi spaventa Pechino Vacilla il pilastro di sostegno delle economie occidentali F La flessione In un’intervista alla tv americana Abc il presidente siriano Bashar al-Assad (nella foto) ha detto di «non essere responsabile» Renminbi per dollari Usa 30/11 07/12 6,355 6,361 6,367 dell’uccisione di migliaia di dimostanti. «Solo un matto colpirebbe il proprio popolo», ha detto Assad. Per la Casa Bianca il leader siriano non è credibile. Intanto la Turchia ha annunciato nuove sanzioni. «Imporremo una tassa del 30% sulle merci provenienti dalla Siria», ha reso noto il ministro del Commercio e Dogane, Hayati Yazici. LIBIA Dal Messico stop a Saadi Gheddafi Il Governo del Messico ha reso noto che, grazie all’intelligence locale, ha smantellato un piano per permettere l’ingresso nel paese di Saadi Gheddafi, figlio di Muammar Gheddafi, e dei suoi familiari. Il figlio del Colonnello è accusato dalle attuali autorità libiche di essere stato comandante delle forze speciali impegnate nella repressione della rivolta anti-regime. di Giuliano Noci AFP 6,373 Inversione di tendenza? Dopo una lunga performance rialzista lo yuan ha registrato sei cali consecutivi Inizia a defluire il denaro entrato nel Paese negli ultimi due anni Luca Vinciguerra SHANGHAI. Dal nostro corrispondente Il malessere serpeggiante sui mercati finanziari internazionali finisce per contagiare anche lo yuan. Da giorni ormai, la valuta cinese, che benché inconvertibile è considerata una sorta di porto sicuro nel mare in tempesta della finanza globale, continua a perdere terreno sul mercato dei cambi. Con la flessione di ieri (durante le contrattazioni ha raggiunto un minimo a 6,3659 contro dollaro, per poi riprendere fiato nel finale), lo yuan ha inanellato sei sedute negative consecutive. Un piccolo record per una moneta abituata ormai da tempo a rivalutarsi giorno dopo giorno, sebbene a piccoli passi, all’interno della banda di oscillazione fissata quotidianamente dalla People’s Bank of China. La recente stringa ribassista nonintaccalaperformancerialzista di lungo termine della moneta cinese,cheneiconfrontideldollaro ha guadagnato il 3,5% dall’inizio del 2011 e il 7,3% dal giugno 2010quandoilrenminbiabbandonò l’ancoraggio con la moneta americana. Ma pone qualche interrogativosulle aspettative della comunità finanziaria internazionale sulle prospettive dell’economia cinese. Nonostante lo stretto monitoraggio operato dalle autorità monetarie di Pechino, infatti, anche oltre la Grande Muraglia una moneta che perde valore significasostanzialmenteuna cosa: sul mercato c’è più gente che la vende che la compra. Edèesattamentequantostaaccadendo nelle ultime settimane. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Banca centrale cinese, per la prima volta negli ultimi quattro anni, a ottobre i flussi di yuan sul mercato dei cambi sono diminuiti. In sostanza, gli operatori hannovenduto più renminbi di quanti ne abbiano acquistati. E a novembre, dicono indiscrezioni di mercato, il trend non è cambiato. Ciòsignificachequellaimmensa quantità di denaro che negli ultimi due anni si era riversato sulla Cina, scommettendo sulla rivalutazione dello yuan spesso sotto forma di investimenti immobiliari,potrebbe aver iniziato a fuoriuscire lentamente dal Paese. D’altronde, anche la corazzata cinese non sembra più inaffondabile comefinoaqualchemesefa.Isegnali di preoccupazione sono molteplici. Il primo. Nel terzo trimestre 2011, la crescita del Pil è scesa al 9,1%,controil9,7eil9,5%rispettivamente del primo e del secondo trimestre dell’anno (a questo riguardo, bisogna considerare che, come ammette lo stesso Governo cinese, un tasso di espansione in- 6,379 feriore all’8% potrebbe mettere in crisi l’equilibrio macroeconomico della superpotenza asiatica). E a giudicare dall’indice Pmi elaborato dalla China Federation of Logistic and Purchasing, a novembre sceso a quota 49 contro 50,4 del mese precedente, il futuro non promette bene. Il secondo. Il mercato immobiliare, da anni surriscaldato anche per effetto dei colossali flussi di hot money provenienti da tutto il mondo, si è finalmente fermato. E ora la tanto temuta bolla speculativa rischia di scoppiare mettendo in seria difficoltà le banche e il sistema finanziario nazionale. Il terzo. La crisi debitoria europea e la debolezza della domanda americana hanno già iniziato a farsi sentire sulle esportazioni del made in China. Fluttuazione fisiologica o inversione di tendenza? Il mercato inquesteoreselochiede,assistendo con inquietudine al ripiegamento dello yuan. © RIPRODUZIONE RISERVATA inoa pochi giornifa la Cina rappresentava la speranza del mondo occidentale in crisi; con un’economia che è cresciuta in termini reali di oltre 17 volte in trent’anni e gli oltre 3mila miliardidi dollari di riserve, molti leader occidentali in difficoltà nutrivano concrete speranze sul gigante asiatico. Da questa settimana, in molti hanno iniziato a guardare all’eximperodi mezzo con occhi diversi. In questi giorni, l’indice Pmi cinese è, infatti, sceso sotto 50: i rappresentanti del sistema industriale guardano al futuro assumendo una prospettiva di contrazione. La crescita economica ha rallentato per la terza volta consecutiva in tre trimestri - passando dal +9,5% del Pil a +9,4% fino ad arrivare al valore attuale intorno al 9,1 per cento. Il surplus commerciale e le esportazioni sono diminuiti a causa della crisi economica dell’Europa, principale area di destinazione dei prodotti cinesi. Sono tutti segnali che inducono a ritenere certo un rallentamento dell’economia cinese. A voler ben guardare, non è però sulla crescita dell’economia che dobbiamo puntare l’attenzione per trarre indicazioni utili sul futuro di Pechino; in fondo, grazie alle enormi riserve monetarie, sono ancora ampi i gradi di libertà a disposizione del Governo cinese per intervenire a sostegno della propria economia e per mantenere un livello di crescita del Pil dell’8%, valore ritenuto come soglia minima per sostenere l’occupazione dei circa 15 milioni di cinesi che dalle campagne ogni anno mi- grano verso le città per trovare lavoro. Ben più problematici sono invece altri aspetti, che rischiano di minare il futuro del Paese. L’enorme liquidità in circolazione- pari a circa10.500 miliardi didollari: un valore quasi doppio rispetto al Pil e comunque superiore alla massa monetaria in circolazione negli Stati Uniti - ha alimentato una bolla immobiliare e delle commodity, che rischiano di esplodere e hanno contribuito a far crescere l’inflazione a livelli preoccupanti: quest’annosi è infatti registrato unpicco del 6,5% contro un target del piano quinquennale del 4 per cento. L’economia cinese appare inoltre "obesa": eccessivoè, infatti,ancora oggiilpeso chela componente degliinvestimenti infrastrutturali ri- LA CONDANNA DEL DRAGONE Una crescita oltre l’8% indispensabile per dare un posto a 15 milioni di cinesi che ogni anno migrano verso le città veste rispetto al Pil (circa il 50%), mentre appare di conversotroppodebolelacomponente dei consumi domestici (35% del Pil). Ancora troppo rilevante è infine il peso che le aziende di Stato hanno nel sistema industriale cinese: oltre il 70% dei profitti deriva, infatti, da aziende pubbliche o assimilabili e ancora troppi sono i privilegi che queste ricevonosul fronte deifinanziamenti a discapito delle imprese private. In questa prospettiva, il problema della Cina non è tanto di crescita quanto piuttosto di individuare un percorso sostenibile ed equilibra- to di sviluppo. La mossa varata in questi giorni dalle autorità finanziarie di Pechino per ridurre la riserva obbligatoria delle banche dello 0,5% una misura che, da sola, metterà in circolo circa 65 miliardi di dollari - va nella direzione sbagliata. L’introduzione di ulteriori misure di quantitative easing e di pacchetti di stimolo sortirebbe l’effetto di far aumentare inflazione e prezziimmobiliari: andrebbero, quindi, nella direzione esattamente opposta rispetto a quanto necessario. Servirebbe invece un’operazione volta a favorire l’ulteriore rivalutazione del renminbi così da sostenere la domanda interna con l’aumento del potere di acquisto dei consumatori. Sarebbe utile il varodi politichevolte a rafforzare il sistema pensionistico e quello di assistenza sanitaria così da conferire alla popolazione, la cui età media è alta, una maggiore tranquillità rispetto al futuro e favorire una maggiore propensione alla spesa. Appare, infine, cruciale la riforma delsistema finanziario:gli istituti di credito devono diventare più efficienti nell’allocazione del loro capitale: meno capitali alle imprese di Stato e più alle imprese private; minore propensione a una logica di sviluppo tout court e maggiore selettività nell’allocazione delle risorse devonodiventare inuovi principi guida delle banche cinesi. Insomma, la Cina si potrebbe ammalare di troppa crescita; paradossale dirlo ma quello che ora serve al Dragone è meno moneta in circolazione, meno inflazione e più attenzione all’equilibrio sociale. Twitter@giuliano_noci © RIPRODUZIONE RISERVATA Prorettore del Polo territoriale cinese, Politecnico di Milano USA/1 A Blagojevich 14 anni di carcere L’ex governatore dell’Illinois, Rod Blagojevich, è stato condannato a 14 anni di carcere per corruzione e diversi altri capi d’accusa, tra cui aver cercato di vendere il seggio lasciato vacante al Senato dal neo presidente americano Barack Obama. Blagojevich fu arrestato il 9 dicembre del 2008 dall’Fbi, poche settimane dopo l’elezione di Obama alla Casa Bianca. USA/2 Abu Jamal non sarà giustiziato L’attivista delle Pantere Nere, lo scrittore e giornalista Mumia Abu-Jamal (nella foto), uno dei prigionieri politici più conosciuti al mondo, non sarà giustiziato. Il tribunale di Philadelphia ha annullato la condanna a morte dopo 30 anni di battaglia legale. Abu-Jamal era stato condannato morte per l’uccisione del poliziotto Daniel Faulkner nel dicembre del 1981, in un processo ritenuto ingiusto da molti attivisti. Secondo la legge della Pennsylvania, la pena è tramutata ora in ergastolo. FRANCIA Bayrou si candida alle presidenziali Il presidente dei MoDem francesi, Francois Bayrou, ha annunciato la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2012. Il leader centrista si era candidato già nel 2002 e nel 2007. INFORMAZIONE INFORMAZIONE PUBBLICITARIA PUBBLICITARIA Sondaggio. Interviste in Medio Oriente e Nordafrica La primavera araba sceglie L’eccellenza dell’ospitalità Made in Italy Erdogan come leader ideale PREMIO CONFINDUSTRIA AWARDS FOR EXCELLENCE - ANDREA PININFARINA 2011 UNA Hotels & Resorts sul podio ai “Confindustria Awards for Excellence Andrea Pininfarina 2011” come “Impresa campione della valorizzazione del territorio” U NA Hotels & Resorts, la catena alberghiera nazionale che ha il suo quartier generale a Firenze, si è classificata seconda nella categoria “Impresa campione della valorizzazione del territorio” nell’ambito dei “Confindustria Awards for Excellence Andrea Pininfarina 2011”. “Questo Award arriva in un momento storico difficilissimo per l’economia italiana e internazionale. Per questo vedo nel premio non solo il riconoscimento della capacità della nostra Compagnia di saper lavorare sempre, e in qualsiasi condizione, puntando all’eccellenza, ma anche il riconoscimento al coraggio di porsi obiettivi ambiziosi. Il già prestigioso Premio, assume così un valore intrinseco ancora più importante e rappresenta certamente un ulteriore stimolo a guardare avanti”, afferma Elena David, Amministratore Delegato di UNA Hotels & Resorts. La motivazione sulla base della quale, il 24 ottobre al Centro Congressi Unione Industriale di Torino ha ricevuto l’importante Award, premia il ruolo chiave e trainante che UNA Hotels & Resorts ha svolto nella promozione del Mugello, in Toscana, dove è presente da tre anni con due strutture, perfettamente integrate nel contesto paesaggistico in cui sono inserite. La Compagnia ha portato avanti molteplici attività di valorizzazione del territorio, prima fra tutte l’importantissimo intervento di recupero che ha restituito l’antico splendore Sopra, Elena David, AD di Una Hotels & Resort e Presidente Confindustria AICA, durante la premiazione dei “Confindustria Awards for Excellence”. A lato, l’ingresso di Villa le Maschere e sotto, UNA Poggio dei Medici a Scarperia (FI) a Villa Le Maschere, uno dei simboli del Mugello, (villa tardo-rinascimentale, datata 1585 - monumento nazionale) trasformata, dopo 5 anni di accurato restauro, in resort UNA Poggio dei Medici. Credendo nelle potenzialità del Mugello, ricchissimo di storia, arte, cultura, natura e tradizione enogastronomica, UNA ha investito importanti risorse ed energie per la valorizzazione di questo territorio e delle sue produzioni d’eccellenza, con l’obiettivo di posizionarlo quale destinazione turistica di riferimento per un turismo nazionale e internazionale, facendo propri i principi della sostenibilità e puntando sulla destagionalizzazione dei flussi turistici. Attraverso pubblicità, eventi, partnership e iniziative originali e di richiamo, e grazie alla strettissima collaborazione con le istituzioni e con gli operatori privati locali, UNA Hotels & Resorts ha contribuito in maniera significativa e documentata, a dare al Mugello ampia visibilità, anche oltre i confini nazionali. Gli effetti delle attività e degli investimenti della Compagnia sul territorio emergono chiaramente dall’analisi dei dati relativi ai flussi turistici della zona, con particolare riferimento al turismo internazionale. I dati evidenziano, infatti, un incisivo incremento di presenze turistiche nell’area dal 2008 ad oggi. Alberto Negri LaTurchiae ilprimoministro Erdogan sono i vincitori della primavera araba, afferma un sondaggio condotto in Medio Oriente e Nordafrica dalla FondazioneSadatdell’Univerità del Maryland. Sfogliando i dati della ricerca, guidata da un esperto come Shibley Telhami della Brookings Institution, la Turchia, secondo l’opinione pubblica araba, è il Paese che ha giocato il ruolo più costruttivo negli eventi che quest’anno hanno cambiato il volto della Regione. Con il 50% dei consensi la Turchia distacca la Francia, che pure ha avuto un ruolo fondamentale nell’attacco alla Libia di Gheddafi, e sopravanza di gran lunga gli Stati Uniti di Barack Obama. L’affermazione personale del premier Recep Erdogan era quasi scontata. Entrando nella sala riunioni del partito islamico tunisino Ennhada, trionfatore alle elezioni, i visitatori sono accolti da una gigantografia del leader turco in giacca e cravatta che ha mandato qui i suoi consiglieri per sostenere la campagna di Il sondaggio un resort di lusso. La comunicazione della “destinazione Mugello” ha rappresentato il fil rouge di tutte le attività di promozione della Villa e del golf Fonte: Brookings Institution Rashid Gannouchi. Il tour di Erdoganin Egitto, Tunisia e Libia, è stato un bagno di folla, in qualche caso poco gradito dai capi locali dei Fratelli Musulmani che hanno contestato le sue dichiarazioni a favore della netta separazione tra Stato e religione, eredità della repubblica laica di Ataturk. Ma i musulmani marocchini, anche lo- I RISULTATI Per il 50% del campione la Turchia ha giocato il ruolo più costruttivo negli eventi, segue la Francia per la guerra in Libia ro vincitori alle urne, hanno chiamato il loro partito Giustizia e Sviluppo, come l’Akp di Erdogan, per superare le diffidenze di moderati e secolaristi ancorati alla monarchia. Erdogan fa scuola e gli egiziani, poco prima del voto, lo indicavano come il leader preferito, al quale avrebbero affidato, se fosse stato possibile, la guida del Paese. Sono molto meno popolari di lui il monar- ca saudita Abdallah e l’iraniano Ahmadinejad, che negli anni precedenti riscuoteva più consensi: l’isolamento dell’Iran non paga, così come la storica contrapposizione tra sciiti e sunniti. Perché i turchi hanno fatto breccia in Medio Oriente? Fino a qualche anno fa, per la secolarediffidenzaarabaneiconfronti dell’Impero Ottomano e poi della repubblica di Ataturk, sarebbe stato impensabile. I punti di forza sono: l’identità musulmana del Paese, il boom dell’economia, il sistema democratico, le prese di posizione contro Israele e gli autocrati arabi.Quella dellaTurchia di Erdogan, nonostante giustificate riserve occidentali, è una storia di successo e Ankara ha saputo sfruttare il suo soft power, la capacità di penetrazione commerciale e culturale. Ma il cosiddetto modello turcoèun’altracosa:presuppone una storia e una società ben diversa da quella del Medio Oriente e del Nordafrica dove a nessuno, nel secolo scorso, è riuscitaunarivoluzioneepocale come quella di Ataturk. © RIPRODUZIONE RISERVATA