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Cyan Magenta Giallo Nero ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO “SANDRO TOPPINO” CAM CAMPO VERDE I misteri di …Favolando «Ma io non voglio fare nè arti nè mestieri» «Perché?» «Perché a lavorare mi par fatica» «Ragazzo mio», disse la Fata, «Quelli che dicono così finiscono quasi sempre o in carcere o in ospedale. L’uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbligato in questo mondo a fare qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall’ozio! L’ozio è una bruttissima malattia e bisogna guarirla subito, fin da ragazzi; se no, quando siamo grandi, non si guarisce più». Queste parole toccarono l’animo di Pinocchio, il quale rialzando vivacemente la testa disse alla Fata: «Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché, insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia, e voglio diventare un ragazzo a tutti i costi. Me l’hai promesso, non è vero?» «Te l’ho promesso, e ora dipende da te». CARLO COLLODI - Pinocchio - 2002 CONSORZIO SOCIO ASSISTENZIALE ALBA-LANGHE-ROERO I misteri di …Favolando LA METAFORA DELLA FAVOLA Immaginate di poter insegnare a un bambino a non dire bugie. Potete provare con le spiegazioni (la bugia è una cosa brutta, e mi fa piangere), con le minacce (se dici ancora bugie … !), o scivolare sul piano della psicologia (forse dici bugie perché non ti senti abbastanza valorizzato?) o magari lasciar perdere, e non dire nulla, incapaci di trovare le parole giuste. Riacquistata la lucidità, provate a dire: non fare più come Pinocchio! Eh sì, perché Pinocchio dice bugie, e quando le dice diventa di legno (quando si mente non si è se stessi), o gli si allunga il naso (la bugia rende brutti e innaturali), e – bugia oggi, bugia domani – si finisce tra i somari del Paese dei Balocchi (la bugia aggredisce, rovina, distrugge le doti migliori). Se il bambino conosce la fiaba di Pinocchio, anche i significati più maturi e laboriosi – così, improvvisamente – diventeranno chiari e immediati, comprensibili anche alla più tenera età. Parlare per metafore è una cosa molto simile a questo procedere dalla bugia a Pinocchio. Spesso vorremmo dire con parole normali qualcosa di molto profondo. E anche mettendocela tutta, raramente riusciamo. Se invece proviamo con l’immagine di una realtà parallela, con una metafora, il parlare diventa più sintetico, più dritto, ma anche più efficace, più adeguato. La grande sapienza dei popoli ha fatto delle metafore il nutrimento della tradizione di fiabe e favole. In ogni cultura l’educazione, i valori, gli esempi, sono passati attraverso immagini di luogo, di personaggi, di situazioni, con l’intenzione di lasciare un insegnamento a tutti, e soprattutto a chi si prepara all’età adulta. Lei crede che tutto il mondo, con il vento, i mari, le montagne, il fuoco, gli animali, le case, i deserti, le piogge … sia la metafora di qualcosa? Questa domanda, che il postino Mario Jiménez pone a Pablo Neruda nel famoso romanzo di Antonio Skàrmeta, trova la sua risposta affermativa in chi scopre nelle fiabe di tutto il mondo un oggetto di passione e di ricerca. Veramente le metafore hanno costruito le generazioni attraverso le morali delle favole. Veramente tutto il mondo richiama la vita profonda di ciascuno ed è a disposizione per dare corpo, con altre parole, alle realtà più difficili da esprimere. Veramente la metafora e il paragone (parenti stretti), la parabola e l’esempio (parenti stretti pure quelli), la morale e il proverbio (idem) collegano la nostra esperienza quotidiana e concreta a situazioni inventate, a storie che sono state scritte perché il nostro esistere trovasse un senso e delle indicazioni. Per questo, ogni volta che apriamo un libro in cui è raccolta la sapienza del raccontare, noi apriamo un libro sacro. È il sacro che nasce dalla gente, dalla cultura dei popoli, da chi intuisce la preziosità della vita, e si mette in cammino per custodirla. E, a ben guardare, è proprio di questo che l’oggi ha bisogno. MARCO BUCCOLO –2– COSA SONO I CENTRI DI ATTIVITÀ PER MINORI (CAM) I CAM sono un servizio offerto alle famiglie ed ai ragazzi/e delle elementari e delle medie di un certo territorio con la finalità principale di realizzare un punto di riferimento, di sostegno e di socializzazione per le attività dei preadolescenti; essi garantiscono: • Un supporto ai ragazzi, sia per quanto riguarda lo svolgimento dei compiti e sia della realizzazione di esperienze socializzanti con laboratori espressivi e/o manuali, uscite, … • Per le famiglie, una copertura delle ore pomeridiane per chi, per vari motivi, non può prendersi cura dei propri figli. Sono gestiti, con apposite convenzioni con il Consorzio, da: Parrocchie, Associazioni di Volontariato o Culturali (S.Toppino, VIDES 2000, Cinema VEKKIO,…), Cooperative (RO & RO, TINGOLO, …), Scuole. QUANTI SONO I RAGAZZI COINVOLTI In questo anno scolastico 2001/2002 i ragazzi/e coinvolti sia delle Scuole Elementari che Medie Inferiori sono circa 400. DOVE SONO UBICATI I CAM sono ubicati in buona parte del territorio del Consorzio Socio Assistenziale Alba-Langhe-Roero e precisamente: • ALBA - 6 - (Campo Verde, Spazio Aperto, Santa Margherita, Moretta, Mussotto, Officina Pedagogica); • Distretto di CANALE - 5 - (Canale Elementari e Medie, Montà Elementari e Medie, S. Stefano Roero); • Distretto di MAGLIANO - 2 - (Baraccone di Castagnito, Campus di Priocca); • Distretto di NEIVE - 1 - (Neive); • Distretto di GALLO GRINZANE - 1 - (Novello); • Distretto di CORNELIANO - 3 - (Corneliano Elementari e Medie, Vezza). Nell’ambito delle politiche sociali, il nostro Ente ha sempre considerato prioritarie le attività di prevenzione minorile. Lo sviluppo dei servizi offerti si è concretizzato con l’apertura di diciotto centri di attività per minori (supporto alla scuola, integrazione) e con la gestione diretta dell’Estate Ragazzi (duemila iscritti nell’anno 2001). Numeri così significativi dimostrano l’impatto positivo sul territorio e l’alta qualità dell’offerta: alta qualità dovuta sicuramente alla professionalità maturata dai nostri operatori. Il dialogo e la collaborazione con le Associazioni di volontariato hanno creato un ambiente prezioso a supporto di tutte le attività ma soprattutto la possibilità, per i ragazzi, di diventare loro stessi protagonisti. «Favolando» è un esempio significativo, un progetto che si concretizza in questa raccolta di favole, sognate, pensate e scritte dagli stessi ragazzi: «Grazie ragazzi», anche noi leggendo ricorderemo quanto è bello sognare. DOTT. TINO CORNAGLIA Presidente Consorzio Socio Assistenziale –3– COS’È L’ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO «SANDRO TOPPINO» Il Centro di Attività per Minori CAM «Campo verde» nasce da una convenzione tra l’Associazione di volontariato «Sandro Toppino» e il Consorzio socio assistenziale Alba, Langhe e Roero. L’Associazione «Sandro Toppino» con sede ad Alba, è un’associazione di volontariato che si ispira ai principi della solidarietà umana, nell’intento di agire a favore di tutta la collettività. Ha lo scopo di favorire: – l’inserimento sociale delle persone che si trovano in particolari situazioni di disagio fisico e psichico; – l’assistenza agli anziani ed alle persone in difficoltà; – attività di doposcuola e attività di animazione socio-culturale in favore di minori e adolescenti; – attività di prevenzione della marginalità e del disagio giovanile; – iniziative di accoglienza e di sostegno all’inserimento sociale dei cittadini stranieri immigrati; – attività culturali, ricreative, sportive per ragazzi, giovani ed adulti attraverso l’esperienza di soggiorni estivi e «vacanze in città»; – cura, pulizia, conservazione di reperti storici-artistici, quali la cattedrale di San Lorenzo e la chiesa di San Giuseppe, al fine di promuoverne la conoscenza da parte del pubblico; – l’attivazione di iniziative che promuovano una cultura di pace, solidarietà tra i popoli, cooperazione internazionale. L’Associazione è attiva dal 1993, inizialmente presso la Parrocchia di San Lorenzo, attualmente presso la Parrocchia di Cristo Re. L’intento è quello di realizzare gli obiettivi sopracitati specificandoli alle esigenze dei minori del Quartiere Piave. Il Consiglio Direttivo attuale è composto da persone che, pur con ruoli diversi (genitori, educatori, volontari), da diversi anni si occupano di problematiche educative minorili. DON VALENTINO VACCANEO Presidente –4– TECNICHE DI LABORATORIO Il laboratorio denominato «Favolando» è nato dall’idea di un gruppo di minori frequentanti il Centro di Attività «Campo verde». Gli operatori che hanno condotto il laboratorio hanno adottato uno schema tecnico per facilitare la stesura della favola. Partendo dal disegno si determinava una situazione di inizio della favola individuando in essa l’ambito del protagonista o l’evento da raccontare. Nel susseguirsi fantastico, prove del protagonista, dell’antagonista, ostacoli, situazioni da superare diventavano elementi indispensabili. Attraverso il disegno dei simboli divenuti magici entrava in gioco l’antagonista. Lo schema si concludeva, per dare la possibilità al bambino di uscire dalla favola, premiando e liberando il personaggio chiave, oppure non si concludeva lasciando il finale in dubbio, sulla tragica sconfitta o su un lieto fine. … «e quattro vecchi li guidano ed insegnano, e poi li fan giocare e correre per rinforzarli» Tommaso Campanella –5– Voi affermate che è difficile stare con i fanciulli. Avete ragione. Ma poi aggiungete, perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, curvarsi, piegarsi, farsi piccoli. Ebbene, in questo avete torto. Non sta qui la fatica peggiore, ma piuttosto nel dovere di elevarsi all’altezza dei loro sentimenti. Sta nell’impegno di distendersi, allungarsi, alzarsi in punta di piedi, per non ferirli. J. KOREZACK –6– Il pozzo oltre il muro Ardison Cobaj Il campetto da calcio confinava con un muro alto ed invalicabile, al di là un palazzo diroccato con finestre chiuse da cui di notte filtrava una luce sinistra ed inquietante. Dopo la scuola un gruppo di ragazzi passava il tempo giocando a calcio: ogni tanto un pallone, calciato un po’ più forte del solito, volava al di là del muro per cui non era possibile recuperarlo. Un giorno Andrea disse: «Andiamo a recuperare i palloni al di là del muro, altrimenti non potremo più giocare». Così tentarono di fare. Andrea fece scaletta, Toni posò il piede sulle sue mani congiunte e con un balzo si arrampicò sul muro. Da lassù potè osservare meglio il parco del palazzo e vide decine di palloni colorati sparsi qua e là. Andrea corse a recuperarne uno: il sole era già calato e nella penombra, dalla finestra del palazzo diroccato, si accese come un bagliore una luce tremolante e da dentro le mura una voce di un bambino che urlava: «Aiuto, liberatemi! Sono un bambino come voi, prigioniero in questo palazzo a causa di un tragico evento, condannato per sempre ad essere invisibile ed a farmi sentire soltanto da voi! Sono io che vi ho rubato i palloni perché era l’unico modo per attirare la vostra attenzione». Toni ed Andrea a quelle parole si sentirono spaventati ed increduli: «Scappiamo, qui è un posto pericoloso, non dovevamo venire!». Mentre tentavano la fuga il fantasma li chiamò e li implorò di liberarlo. «Cosa dobbiamo fare?» risposero. «Dovrete riempire di terra il pozzo del parco dove io sono caduto molti anni fa e piantare dei fiori». I ragazzi risposero che lo avrebbero fatto, ma che ci sarebbe voluto molto tempo. Scavalcarono di nuovo il muro, tornarono nel campetto e subito parlarono dell’avventura con i compagni che aspettavano il pallone. Da quel giorno tutti i ragazzi, all’insaputa dei loro genitori, scavalcarono il muro ed entrarono nel parco con zappe e badili: riempirono più velocemente possibile di terra quel maledetto pozzo. Terminato il lavoro piantarono rami di rose rosse e di fiori colorati. Il giorno dopo Andrea fece scaletta, Toni si arrampicò sul muro, allungò una mano per aiutare il compagno a salire e tutti e due saltarono giù nel parco del ragazzo invisibile. Il sole stava tramontando dietro la collina, dalla finestra si accese la luce tremolante e si sentì la voce del fantasma: «Grazie ragazzi, mi avete liberato, potete prendere i vostri palloni e ricordate, quando giocherete io sarò con voi, anche se non mi vedrete: sarò libero grazie alla vostra generosità!». –7– I lupi dagli occhi gialli Katia Gastaldi C’era una volta una famiglia formata da una mamma, un papà e una figlia di nome Antonella. Antonella e la mamma andarono a fare una passeggiata dirette a casa della nonna che abitava fuori paese, mentre il papà era intento ad addobbare l’albero di Natale. Cammina, cammina si trovarono davanti ad un laghetto che prima non c’era e dentro videro tre papere che sguazzavano: si sentiva dal loro starnazzare che avevano fame. La mamma mandò Antonella dalla nonna a chiederle del pane raffermo per sfamare le tre papere. Nel frattempo nel bosco si sentì un fruscio di battiti di ali, il ronzare degli insetti, i cinguettii degli uccellini: tutti questi animali erano amici delle papere. La mamma pensò che quel lago fosse stregato perché si avvicinò in quel momento una lucciola scintillante di luce che le disse: «Vedi? Ogni volta che sorge la luna piena qui si forma un laghetto dove le tre papere che vedi non sono altro che una famiglia come la tua, soltanto che è stata una famiglia sfortunata perché su di loro ho sbagliato a compiere un incantesimo: anziché addormentare i lupi cattivi della luna piena che volevano mangiarli, ho trasformato in papere un papà, una mamma ed un figlio». La mamma era impietrita dallo spavento pensando alla piccola Antonella che sarebbe arrivata di lì a poco. La lucciola tranquillizzò la mamma e le suggerì nelle orecchie quello che doveva fare. Giunse la notte, la luna nel cielo era immensa e piena e dalla boscaglia, come fari nel buio della notte, si vedevano luccicare degli occhi gialli che facevano paura solo a vederli. Erano gli occhi di tre lupi che si stavano avvicinando. Le papere restarono immobili, l’acqua sembrava uno specchio che rifletteva la luna: quella notte era piena di terrore. La lucciola, che si era posata in quel momento tra i capelli della mamma, incominciò ad emettere luce ad intermittenza, prima accesa, poi spenta, poi accesa, spenta, accesa, spenta… I tre lupi non guardavano più le papere, ma erano stregati dalla lucciola, mentre la mamma, seguendo quello che le aveva detto la nuova compagna d’avventura, intonò un canto antico e misterioso che rassicurò i lupi fino a farli addormentare. Giunse proprio in quel momento Antonella che, senza sapere cosa stava succedendo disse alla madre: «Mamma, ho le briciole di pane…». Era proprio «Briciole di pane» la frase magica da pronunciare: in un attimo le tre papere uscirono come per magia dallo stagno e ripresero le sembianze di come erano prima dell’incantesimo: ritornarono ad essere una mamma, un papà ed il loro figlio. Da quel giorno il laghetto continuò ad esistere e la «magica» famiglia si costruì una casa di legno ai bordi del lago. E i lupi? Si dice che tornarono nella foresta per sfamarsi di quegli alimenti consoni alla loro natura. La saggia lucciola ancora oggi gira e vola ogni notte a rischiarare la strada dei viandanti che attraversano al buio il bosco. –8– Cecco lo stambe cco Erika Diguida C’era una volta una bambina che abitava in montagna in compagnia di un cane, un cavallo e una pecora. Un giorno mentre cavalcava per la montagna incontrò uno stambecco cattivo che non la lasciò passare. La bambina ritornò indietro ma, il giorno dopo, si ritrovò lo stambecco nel cortile che continuava a fare dispetti a lei ed agli altri animali: arrivò addirittura a rompere una parte della stalla. La bambina chiese il perché di tutti quei dispetti e lui le rispose: «Lo faccio perché mi diverto!». La bambina allora decise di andare a chiedere consiglio al cane magico che abitava sulla cima della montagna incantata. Per raggiungere la grotta del cane magico dovette fare tanta strada in mezzo alla neve, ma finalmente arrivò alla grotta dove il cane magico le fece un sacco di feste e le diede un consiglio prezioso: «Mia cara, guarda che lo stambecco non fa i dispetti perché è cattivo ma solo perché è geloso di te e dei tuoi amici animali, lui vorrebbe stare con voi ma ha paura e allora vi fa i dispetti; prova ad avvicinarti a lui e a dargli un nome come hai fatto con gli altri animali, vedrai che le cose come per magia cambieranno». La bambina lo ringraziò e gli diede il dolce che aveva preparato per lui, poi tornò verso casa. Una volta arrivata tutti i suoi amici animali le andarono incontro per festeggiarla, solo lo stambecco rimase lontano con lo sguardo triste. La bambina, allora, cominciò a chiamarlo: «Cecco, Cecco lo stambecco, Cecco vieni qui»; lo stambecco subito non capì cosa stesse succedendo e cominciò a guardarsi intorno. Diceva: «Ma chi è ’sto Cecco, sarò mica io? Nessuno mi aveva mai chiamato per nome». Intanto la bambina continuava a chiamarlo: «Cecco, Cecco lo stambecco, vieni qui, non avere paura!». Anche gli altri animali cominciarono a chiamarlo in coro: «Cecco, Cecco, vieni qui con noi, possiamo diventare amici». Finalmente lo stambecco si decise e si avvicinò piano piano e capì che la bambina e gli altri animali non ce l’avevano con lui per i dispetti del giorno prima, anzi, tutti lo chiamavano a gran nome e gli facevano un sacco di feste. «Che bello» disse Cecco «avrò anch’io tanti amici, non sarò mai più da solo!». Da quel giorno Cecco lo stambecco andò a vivere con la bambina e gli altri animali e non fece mai più dispetti a nessuno. –9– Il talismano Rafael Alves Rodriguez C’era una volta un bambino che non sapeva risolvere i problemi di matematica, le radici quadrate, le espressioni: si può dire che non fosse proprio un matematico. Dopo tanti brutti voti e tante giornate passate sui libri per non concludere niente, leggendo un vecchio libro di magie scoprì che c’era qualcuno in grado di aiutarlo: era il mago Palla, specialista in magie matematiche e capace di preparare un talismano magico che indossato faceva capire ed imparare le radici quadrate, le espressioni e le potenze: la matematica dall’A alla Z. Gigi, il bambino, lesse ad alta voce la formula magica per evocare il mago e, in un batter d’occhio, se lo ritrovò davanti, vestito con un lungo abito azzurro e con in testa un cappello a cono, anch’esso azzurro, con tante stelle gialle. Il mago Palla vedendo che il bambino era davvero in difficoltà gli disse di stare tranquillo e di aspettare soltanto pochi minuti. Iniziò a pronunciare alcune parole magiche: «Per la matematica imparare, una cosa sola si deve fare, c’è bisogno di un talismano che compaia subito nella tua mano!». Alcuni istanti e come per magia in mano a Gigi comparì un talismano rosso, di forma quadrata, diviso in quattro parti su cui c’erano in rilievo le quattro operazioni fondamentali: la somma, la sottrazione, la moltiplicazione e la divisione. Il ragazzo se lo attaccò immediatamente alla collana, ringraziò l’amico mago che in men che non si dica scomparì in una nuvola di fumo magico. Da quel giorno la matematica non fu più una cosa difficile per lui: le espressioni e le radici quadrate diventarono facilissime, la cosa più semplice del mondo! Sarà stato davvero l’amuleto a far capire a Gigi le regole della matematica? Sarà perché si è concentrato di più e ha studiato meglio? Cosa ne pensi tu?… Allora, che ne diresti di concludere tu la favola?… – 10 – I ladri di cavalli Serena Quartarone C’era una volta una bambina che non conosceva nessun gioco, non era abituata a stare con i suoi coetanei, abitava in un villaggio distante dalla città. Sotto le colline c’era un boschetto e attorno un grande prato: lì pascolava un cavallo solitario. Un giorno la bambina si avvicinò al cavallo: lentamente, senza spaventarlo, con molta calma gli disse: «Vuoi essere mio amico?». Con meraviglia il cavallo gli rispose: «Sì, però dovrai essere molto gentile, dovrai mangiare con me, correre con me e difendermi quando gli uomini vorranno rapirmi per addomesticarmi: ma non basta, uno degli uomini di cui ho paura ha due figli della tua età che non fanno altro che mettere trappole per togliermi la libertà». La bambina riflettè a lungo, pensò: «Dovrò incontrare i due bambini, diventare loro amica così impedirò loro di rapire il cavallo». Il giorno dopo si nascose dietro un albero, vide i due lestofanti che armeggiavano con corde e teli: stavano preparando la trappola. La bambina aspettò che tutto fosse pronto, si avvicinò furtivamente e la fece scattare. Velocemente i due ragazzi corsero per acciuffare il cavallo ma con stupore e sorpresa videro che al posto del cavallo c’era la bambina, tutta legata, imbrigliata, spettinata ma comunque felice. Dal boschetto il cavallo osservò tutta la scena e pensò: «Quella ragazza è veramente in gamba!». La bambina osservò a sua volta i ragazzi, che sembravano sbigottiti nel vedere un cavallo «trasformato», e disse loro: «Finalmente mi avete liberata, io cercavo amici come voi, non dei cacciatori di cavalli ma ragazzi capaci di comprendere la natura, di rispettarla lasciandola libera come lo è il mio cavallo: se volete con un fischio lo chiamo, così potremo giocare con lui cavalcando nel grande prato». I ragazzi acconsentirono, la bambina fece un fischio e dal boschetto uscirono tre cavalli con lunghe criniere: il cavallo della ragazza aveva portato con se due «amici»! Da quel giorno il verde prato ed il boschetto diventarono ambiente sicuro di gioco e armonia tra i tre bambini e la natura circostante. – 11 – La «Comunità se nza speranza» Cinzia Tafuni Un giorno del 2015, alla periferia di una grande città costruita su una montagna di rifiuti lasciati da un popolo «distratto», viveva una comunità di bambini chiamata «Comunità senza speranza». La vita di tutti i giorni era piena di suoni, di rumori, di colori come quella di tanti anni fa. Gli alberi, le case e i palazzi avevano gli stessi significati di quelli di tanti anni fa. La vita trascorsa dai bambini era più o meno la stessa di tanti anni fa. Le bevande e gli alimenti per nutrirsi non erano diversi da quelli di tanti anni fa. Cosa c’era di diverso allora? Una città costruita su una montagna di rifiuti urbani dove la comunità dei bambini trascorreva la maggior parte del tempo libero. Un giorno un bambino giocando a scavare il suolo scoprì alcuni oggetti che appartenevano a tanti anni fa: bottiglie di plastica, tubi di gomma, lattine di bevande, involucri di stagno: raccolse tutto, lo portò a casa dove iniziò il suo cammino fantastico costruendo una macchina del tempo. Incollò, legò e incastrò tutti gli oggetti lavorando per pomeriggi interi: finalmente la macchina fu pronta. Si caricò di energie fantastiche immaginando chissà cosa avrebbe trovato nel futuro, visto che il passato lo conosceva già avendolo studiato sui libri di scuola. Si sedette, il sedile era il residuo di una vecchia bicicletta; la sua mente incominciò a volare e la sua immaginazione oltrepassò il limite del tempo, tanto da spaventarlo a tal punto da costringerlo a scendere dalla macchina e rientrare velocemente nella realtà. Si sedette per terra, guardò la macchina del tempo e pensò: «Perché voler conoscere a tutti i costi il futuro,… io sono già il futuro!!!». Da quel giorno la macchina fu custodita nel museo della sua scuola come testimonianza di un passato non sempre ordinato e pulito. Cambiò persino la targa che diceva «Comunità senza speranza» cambiandola con un altro nome. – 12 – I cinque sovrani Jasmina Maloku Nadir era un ragazzo di undici anni che non aveva più i genitori e i fratelli, persi durante le battaglie che incombevano in quei paesi. Era diventato forte e autonomo, era curioso perché voleva sapere il perché delle cose che accadevano, girava di città in città alla ricerca di un saggio che sapesse rispondere alle sue domande. Un giorno, quando il sole stava per tramontare, scorse all’orizzonte la figura di un’anziana donna che portava con sè un fagotto ingombrante e pesante: gli andò incontro e gli domandò se voleva essere aiutata. La donna capì che quel ragazzo aveva coraggio, che era gentile e che era solo. «Cosa vuoi in cambio?» chiese la donna, «Nulla» rispose il ragazzo, «Se tu hai bisogno di me vuol dire che anche io ho bisogno di te». «Io sono vecchia e stanca, ho 5 figli che governano 5 paesi, ma sono nemici fra loro: se tu mi aiuterai forse tornerà la pace e tu diventerai un eroe». Il ragazzo comprese il messaggio, si caricò sulle spalle il pesante fagotto, salutò la donna e si allontanò verso il deserto. Giunse alle porte della prima città, entrò, si trovò davanti un palazzo di mattoni gialli e sulla torretta una bandiera che sventolava. «Devo consegnare il pane e l’acqua» disse ad una guardia, «Entra pure, il sovrano lo troverai nella reggia». Consegnò al re quanto l’anziana donna gli aveva suggerito. Tornò nel deserto, in cima ad una grande duna scorse la seconda città, si incamminò e giunse sotto le mura dove chiese alle guardie di poter entrare: queste acconsentirono. Il palazzo era identico al precedente: era fatto di mattoni gialli con la bandiera issata in cima alla torretta. Consegnò al sovrano il secondo dono, un libro di favole, lo salutò e se ne andò. Al terzo sovrano portò una moneta, al quarto una colomba in gabbia con la promessa che l’avrebbe liberata. Al quinto portò i saluti e l’affetto di una anziana donna che aveva incontrato nel deserto. I cinque sovrani compresero il significato di quei doni, chiamarono il giovane Nadir e lo nominarono ambasciatore di pace di tutti quei paesi in lotta fra loro. La donna del deserto continuò a girovagare per il mondo cercando un altro ragazzo cui affidare il fagotto ingombrante e pesante. Nadir finalmente comprese il significato del pane e dell’acqua, del libro di favole, della moneta, della colomba e dell’affetto, monete di quella madre per i «suoi» 5 sovrani. – 13 – L’ogge tto strano Cristian Collufio Due ragazzotti passavano il pomeriggio sul bordo del fiume a pescare. In quel momento un raggio di sole colpì un piccolo oggetto che affiorava dall’acqua. I due ragazzi incuriositi videro che quella strana cosa colpita dalla luce brillava di uno strano colore viola. Cricri e Alby (così si chiamavano i due ragazzi protagonisti di questa strana storia) decisero di buttare la lenza per pescarlo o perlomeno per avvicinarlo alla riva: l’amo si agganciò all’oggetto e delicatamente fu tirato a riva, lo sganciarono e si misero ad osservarlo attentamente. La curiosità era così tanta che lo avvolsero in un foulard che portava al collo Cricri e lo portarono a casa. Con il microscopio lo osservarono nel dettaglio e videro dei segni che già conoscevano dai libri di storia che studiavano. Cercarono anche sul libro delle ricerche notizie su questo strano oggetto ma non ne trovarono alcuna. Dopo lunghe ed intense ricerche decifrarono la misteriosa scritta: «Qui siete, lì non siete!». Immediatamente si trovarono in un posto diverso da quello che occupavano: c’erano strani ragazzotti che camminavano per la strada, case costruite con materiali strani, alberi con enormi fiori: tutto era diverso. Improvvisamente si avvicinarono loro due guardie che li invitarono a seguirle al cospetto del re di quel luogo strano. Il re domandò loro: «So chi siete, so da dove venite, so che nel vostro mondo c’è abbastanza caos, so che voi due andate a scuola ma fate casino e disturbate le lezioni; adesso vi chiedo se volete rimanere qui oppure se volete ritornare nel vostro mondo. Se volete restare dovrete ubbidire a delle regole severissime, se decidete il contrario me lo farete sapere. Adesso, guardie, portateli in cella!». Alby e Cricri erano esterrefatti e spaventati, parlarono fra loro per molto tempo prima di giungere ad una decisione, quella di chiamare le guardie per farsi riportare di nuovo davanti al re. Quest’ultimo li accolse e gli chiese: «Cosa avete deciso?», i due ragazzi risposero timidamente: «Abbiamo deciso che vogliamo ritornare nel nostro mondo». Il re rispose: «Allora sbrigatevi a leggere la frase scritta sulla pietra, ma questa volta leggetela al contrario». I due pronunciarono la frase magica «Lì siete, qui non siete!» e si ritrovarono di nuovo sul bordo del fiume a pescare i pescegatti come stavano facendo prima di vedere «l’oggetto strano». Cricri si rivolse ad Alby dicendogli: «Perché queste regole ci fanno così tanta paura?». Alby non gli diede alcuna risposta ed alcuna spiegazione e continuò a pescare fino a quando il pesce non abboccò all’amo. – 14 – Tutto da mangiare Roberta Fulgito Un giorno tre fratellini si sono messi a frugare in cucina alla ricerca di cose da mangiare perché erano molto golosi ed insaziabili. Trovano biscotti, pane tostato, patatine fritte, grissini, marmellata, cioccolato, pezzi di panettone, insomma, tutto quello che si può trovare negli armadi, in dispensa, nei cassetti e nel frigorifero. Incominciano a mangiare, mangiare e mangiare fino a sentirsi scoppiare. Sul tavolo è posato un libro di ricette culinarie: incominciano a leggere sfogliando pagine e pagine di quel libro fino ad esserne… divorati!!!. Ebbene sì, il ricettario aveva divorato, mangiato i bambini. I tre non si trovavano più in cucina ma dentro le ricette di succulenti piatti: il più grande incominciò a mangiare tutti gli ingredienti di un antipasto. Il mediano mangiò quelli del primo piatto, il più piccolo quelli del secondo piatto e tutti e tre insieme, poi, mangiarono anche gli ingredienti di un dolce. C’era rimasto solo un arancio: si sa che i bambini non mangiano volentieri gli aranci ma ne bevono solo il succo. Il frutto era intatto, pronto per essere spremuto ed usato come bevanda. I tre gli chiesero se potevano berlo e lui rispose di sì, ma avrebbero dovuto pelarlo senza rompere la buccia che sarebbe diventata, se usata correttamente, lo scivolo su cui sarebbero ritornati in cucina, nella realtà di tutti i giorni. Seguirono alla lettera la richiesta dell’arancio, tagliarono la buccia senza romperla, la piegarono, la fecero scivolare lungo la pagina del ricettario, ci salirono sopra e via, scivolarono finalmente fuori dal libro!!! Ritornati in cucina si guardarono attorno ed iniziarono ad osservarsi a vicenda. Ad un certo punto il più piccolo disse: «Sembro un pallone!», il mediano rispose «Devo incominciare a prestare attenzione alla mia forma!», il più grande, riflettendo, disse ai suoi due fratelli: «Non credete anche voi che così ciccio le ragazze non mi guarderanno più?» – 15 – L’amico orsacchiotto Joel Narito Biondo Era il mese di giugno, periodo di vacanza, la maggior parte delle famiglie indaffarata a preparare i bagagli per trasferirsi nei luoghi marini per riposare con tutta la famiglia. Antonio aveva 5 anni, osservava la mamma intenta a riempire le valigie di vestiti, costumi da bagno, asciugamani, ecc: non c’era traccia di alcun giocattolo. «Ci stanno i miei giocattoli nella valigia?» chiese Antonio alla mamma, «Quest’anno i tuoi giocattoli non li porteremo» rispose la mamma. Il bambino si rattristì per la brusca decisione dei genitori e tacque. La mamma chiuse le valigie, sistemò gli altri bagagli e attese la partenza. Antonio era inquieto, non capiva perché papà e mamma lo privavano dei suoi giocattoli preferiti: di nascosto recuperò il suo piccolo orsacchiotto, aprì velocemente la valigia e lo nascose tra gli asciugamani. Salì in macchina con il papà e con la mamma e iniziò il lungo viaggio. Giunsero nel campeggio in cui avevano prenotato alcuni giorni prima un bungalow e presero possesso della loro «casa». Il bambino chiese se poteva portare lui la valigia in casa e la mamma acconsentì: Antonio trascinò con fatica la valigia nella stanza dei genitori, la aprì e recuperò subito l’orsacchiotto che andò subito a nascondere sotto al cuscino del suo letto. Giunse la sera ed il bambino, con sbadigli e segnali di stanchezza, chiese di andare a dormire. I genitori gli diedero il bacio della buona notte e subito dopo si diresse nella sua camera desideroso di abbracciare il suo orsacchiotto. Dormì tutta la notte sognando cose meravigliose in compagnia del suo amico che lo seguiva in fantastiche avventure. Al mattino il sole illuminò la stanzetta di Antonio, che come aprì gli occhi vide la mamma sorridente che lo salutava e gli diceva: «Buon giorno Antonio, buon giorno orsacchiotto!!». Fu in quel momento che i genitori compresero che giochi e giocattoli aiutano a crescere un bambino di 5 anni. – 16 – «La pie tra magica» disegno di: Fatima Takhama «Bofim, un mostro per amico» – 17 – disegno di: Andrea Ambrosano «Il portafortuna» disegno di: Maria Bastone «Il miste ro de lla pie tra» disegno di: Xiao Xiao Yang – 18 – «Il gruppo de lle anatre » disegno di: Ylenia Molinaro «Un pae se di nome M iaomo» – 19 – disegno di: Angela Barresi «C’e ra una volta una bambina che sognava» disegno di: Diana Cannatella «I 5 sovrani» disegno di: Jasmina Maloku – 20 – «L’ucce llo rosso che …» disegno di: Anja Kovacevic «Un vase tto giallo» disegno di: Valentina Barresi – 21 – «Un se me smarrito» disegno di: Shaplarani Nath «La ve nde tta» disegno di: Andrea Leppa – 22 – «Le piume ve rdi di una cicogna» disegno di: Davide Fulgito «I bracconie ri» disegno di: Pier Paolo Cossu – 23 – «La puzzola» disegno di: Ylenia Barresi «Gli occhiali schifosi» disegno di: Pallabdeb Nath – 24 – «La miste riosa tazza di cioccolato» disegno di: Antonio Pellicanò «L’amico orsacchiotto» disegno di: Joel Narito Biondo – 25 – «La comunità se nza spe ranza» disegno di: Cinzia Tafuni «Tutto da mangiare » disegno di: Roberta Fulgito – 26 – «The cyborg’s cry» disegno di: Mattia Maccaferri – 27 – «L’ogge tto strano» disegno di: Cristian Collufio – 28 – – 29 – – 30 – – 31 – – 32 – I bracconieri Pier Paolo Cossu C’era una volta un marinaio che ogni giorno si recava al grande faro per osservare gli stormi di gabbiani che popolavano l’intera spiaggia. Un giorno però si accorse che la spiaggia era deserta, gli uccelli non c’erano più: ebbe il sospetto che fossero stati uccisi dai bracconieri che da qualche giorno erano soliti navigare nelle acque di quel mare azzurrissimo. Andò ad ispezionare la zona e dietro uno scoglio ne trovò a centinaia ormai privi di vita. Il suo sospetto purtroppo era diventato tristemente realtà. Decise quindi di passare all’azione: il suo primo obiettivo era quello di scovare i bracconieri. Un giorno il marinaio si alzò all’alba ma, mentre si recava come sempre al faro, notò una barca sospetta ferma sulla riva. Si avvicinò cautamente e vide alcuni uomini che richiamavano i gabbiani con dei fischietti che riproducevano il loro verso. Come aerei in picchiata arrivavano planando sulla spiaggia e gli uomini gettavano loro dei bocconi che li facevano stramazzare al suolo all’istante. Il marinaio corse a chiedere aiuto e in men che non si dica arrivò la capitaneria di porto che catturò i bracconieri e li gettò in mare. La leggenda narra che non vi fu più traccia dei terribili bracconieri e che i loro fantasmi vagano di notte per spaventare il marinaio e per accendere a intermittenza il faro. – 33 – La miste riosa tazza di cioccolato Antonio Pellicanò Pasquale, il protagonista di questa storia, è un bambino che vive con i suoi genitori in un cantone della Svizzera, famosa per il formaggio ma, soprattutto, per il cioccolato; è molto grasso perché il suo passatempo preferito è quello di mangiare ogni tipo di cioccolato, da quello bianco a quello al latte, fino a quello fondente. Tra tutti, però, quello che preferisce è sicuramente quello al latte di cui è capace di mangiarne anche venti barrette al giorno. Il suo sogno è quello di andare a vivere in un pianeta fatto tutto di cioccolato, dalle case agli alberi, il famosissimo Cioccolandia, dove avrebbe potuto addirittura fare il bagno ogni giorno nel cioccolato. Una mattina Pasquale, con davanti la sua tazza di cioccolato e latte sta per iniziare a fare colazione: siccome mancano i biscotti va di corsa a prenderli in dispensa. Quando ritorna in cucina si siede al suo posto ed incomincia a trangugiare i biscotti. Passano i minuti e Pasquale continua a mangiare: ne ha mangiati talmente tanti che il sonno lentamente lo assale. …Sorpresa!!! La scodella della colazione si è trasformata in una grossa navicella spaziale di color viola con una grossa scritta, Chocolate, sui fianchi. Incuriosito si avvicina e vede che sul pannello di comando, fatto rigorosamente di cioccolato incastonato di praline colorate, è stata impostata, come per magia, la meta del lungo viaggio che lo attende: Cioccolandia. Finalmente il suo sogno sta per realizzarsi, può finalmente circondarsi di cioccolato e mangiarne a più non posso. Sale immediatamente al posto di comando, si mette il casco, schiaccia il pulsante dell’avviamento e parte. Inizia il suo viaggio verso la terra fatta di cioccolato al latte sorvolando Fondentelandia, la città del cioccolato fondente, Biancolandia, quella del cioccolato bianco, per arrivare poi sopra Nocciolandia, la patria del cioccolato alla nocciola e poi finalmente all’orizzonte Cioccolandia. Accelera per raggiungerla prima possibile ma mentre sta azionando il pulsante per il carrello di atterraggio, alle sue orecchie giunge una voce famigliare; si volta indietro a vedere chi è e vede con stupore che si tratta di Filippina, sua madre che lo rimprovera perché riaddormentandosi ha buttato a terra tutti i biscotti presi in dispensa. Pasquale riflette sulle parole dette dalla mamma, va nella sua stanza, si mette davanti allo specchio e tra sè e sè dice: «A Pasquà, un ragazzo come te deve nutrirsi per vivere e non vivere per nutrirsi come stai facendo!». Da quel giorno continua a mangiare le sue tanto amate barrette di cioccolato, ma con molta moderazione. – 34 – L’ucce llo rosso che … Anja Kovacevic Questa è la storia di Anit, piccolo uccellino sempre preso in giro dai suoi compagni perché diverso da loro. Infatti, il colore delle sue piume era rosso, a differenza degli altri che avevano le piume gialle, di un giallo limone. Per poter essere come loro, ma soprattutto per giocare ed essere considerato uno di loro, decise di trovare un trucco per cambiare colore. Un giorno, mentre volava solo soletto, dall’alto del cielo vide in lontananza la casa di un vecchio contadino: la casa era fatta tutta in pietra di montagna con il tetto in legno. Proprio sul tetto si andò a posare Anit, per vedere da vicino cosa succedeva nella stalla vicino alla casa del contadino. Lì vivevano due mucche, un cavallo, un maialino e cinque caprette: ad attirare l’attenzione del piccolo uccellino, però, non erano stati questi animali, bensì uno stormo di uccelli dalle piume verdi e blu che entravano in quel momento dal portone in legno della stalla. Si avvicinò e vide da una finestra del retro che il contadino, armato soltanto di pennello, li stava «cambiando di colore», da verdi e blu come erano entrati uscivano tutti quanti con le piume di un bel giallo limone. Anit aveva finalmente trovato il modo di diventare un uccellino come tutti gli altri. Aspettò qualche minuto che il contadino uscisse ed entrò silenziosamente nella stalla, chiuse gli occhi e il becco e via, si tuffò nel secchio colmo di color giallo. Finalmente il suo desiderio si era avverato, era diventato giallo come aveva sperato e adesso poteva tornare a giocare e a volare con tutti gli altri. Dopo alcuni minuti di volo si accodò allo stormo degli altri uccelli che lo riconobbero e lo accolsero con loro. Gli dissero: «Anche se non fossi diventato giallo come noi, ma fossi rimasto rosso com’eri, avresti potuto comunque giocare e divertirti con noi, perché ciò che conta sei tu e non il colore delle tue piume!!!». – 35 – Le piume ve rdi di una cicogna Davide Fulgito Ercolina è una cicogna che vive nella Piana delle Cicogne. Nel piccolo paese si ergevano i ruderi di un’antica storia; non erano semplici ammassi di pietre lasciate lì, ma la testimonianza di un antico castello. E lì, si racconta, ha dimorato un mago ostile, malvagio e senza scrupoli. Infatti non sopportava il frastuono delle cicogne che proprio sui resti del castello nidificavano e allevavano la prole. Ercolina non è una cicogna come tutte le altre: non è bianca con il becco e le zampe arancioni, ma ha le piume di un verde acceso, il suo becco e le sue zampe sono rosa: insomma, una cicogna a dir poco particolare. Ha avuto un destino molto strano: fin da quando era ancora dentro all’uovo ha subito i malefici del mago che viveva tra le mura del castello. Il giorno in cui il guscio dell’uovo si fosse rotto Ercolina avrebbe avuto il suo destino segnato: doveva liberare i cieli dell’intera piana da tutte le cicogne starnazzanti di gioia e di libertà. La cicogna senza saperlo ha anch’essa dei poteri straordinari, dati dal colore verde delle sue piume, tant’è che tutte le cicogne la vedono come colei che dà buoni consigli, che aiuta le più deboli e sfortunate: la vedono addirittura come grande maestra nel costruire i nidi. Una notte, mentre Ercolina è appollaiata dentro il suo nido, sente una voce sgraziata e malefica: «Ercolina, non dimenticarti della missione che devi compiere perché se così non fosse con i miei poteri paralizzerò le tue ali, sbiadirò le tue piume e inchioderò il tuo becco!». Ercolina spaventata non riesce più a dormire: nel frattempo prepara un piano. Il mattino seguente tutte le cicogne della piana si radunano sul monte viola dalla punta verde e da lì partono tutte insieme per cacciare una volta per tutte il mago dalla loro terra. Incominciano a volare starnazzando, sbattendo vorticosamente le ali, spostando le correnti d’aria fino a far straripare il fiume che lambisce la dimora del terribile mago facendolo impazzire dal fastidio e dal tormento. La leggenda narra che un mantello nero, sdrucito ed un cappellaccio rattoppato sono stati trovati a galleggiare sul fiume. Da quel giorno le cicogne vivono felici, contente e soprattutto libere di nidificare nei centri abitati. – 36 – Bofim, un mostro per amico Andrea Ambrosano Questa è la storia di Andrea, quando era piccolo, cioè quando aveva solo otto anni. Amava l’avventura, era molto intraprendente e vivace. Un giorno decise di uscire in mare con la sua barca a forma di guscio di uovo. Decise però di non andare da solo: con se portò suo fratellino più piccolo Roberto, di tre anni, e suo padre Franco. Partirono senza avere una meta precisa, come si suol dire andarono all’avventura. Navigarono per mezza giornata prima di approdare su un’isola. Quest’isola era abitata da un mostro bruttissimo, con venti teste, quaranta occhi, ventiquattro gambe e due code. Si chiamava Bofim ed era conosciuto da tutti come il terribile mostro dell’isola nera. Si narrava infatti che molte altre barche, con i loro equipaggi, non avessero più fatto ritorno alle loro case dopo aver fatto conoscenza con il «guardiano» dell’isola. Andrea e il suo equipaggio, sprezzanti del pericolo che avrebbero dovuto affrontare, si avventurarono nell’isola. Dopo qualche ora di cammino, superati gli ostacoli della natura, sentirono tutto d’un tratto tremare la terra sotto i loro piedi. Non era un terremoto ma era il mostro che aveva sentito la loro presenza nell’isola. Franco, appena vistolo, si mise ad urlare ma il mostro, sentendolo, anziché corrergli incontro scappò via e si rifugiò in una caverna. I tre sbalorditi dall’accaduto lo seguirono, entrarono anche loro nella caverna per vedere da vicino cosa gli era successo. Bofim, che sapeva parlare, disse ai tre avventurieri che era costretto a vivere da solo nell’isola per il volere di una vecchia maga che era giunta nel suo villaggio per rapire il capovillaggio. Lui, che non voleva che tutto ciò accadesse, attaccò la maga che per fermarlo fece una magia che lo costrinse a restare da solo in un’isola deserta per il resto dei suoi giorni. Da quel giorno ogni notte di luna piena veniva a controllare che lui non scappasse. Siccome quella ricorrenza scadeva due giorni dopo Franco, Andrea e Roberto decisero di aiutare Bofim. Avrebbero preparato un’imboscata per imprigionare la strega costringendola ad annullare definitivamente l’incantesimo. Scavarono un buco che ricoprirono con delle foglie: sarebbe stata la trappola dove sarebbe caduta. Due giorni dopo, esattamente a mezzanotte, i quattro si appostarono dietro un grosso cespuglio per vedere se arrivava. Puntualissima la maga arrivò, iniziò a cercare il «mostro», girò tra i cespugli e ad un tratto cadde nella trappola. Non riuscendo ad uscire da sola si mise ad urlare: «Aiuto, aiuto, venitemi a salvare!». Era il momento di uscire allo scoperto: andarono sul bordo della fossa e la costrinsero ad annullare il terribile incantesimo fatto contro Bofim. La maga in cambio della libertà accettò, annullò il vecchio incantesimo e scappò via promettendo di non dare più fastidio a Bofim ed al suo popolo. Il giorno dopo costruirono una grossa zattera per il loro amico che subito si mise in mare per raggiungere finalmente dopo tanti anni la sua terra. I tre avventurieri, soddisfatti per il bel gesto compiuto, tornarono a casa con la promessa fatta loro dal nuovo «grande» amico: per riconoscenza Bofim li avrebbe aiutati ogni volta che loro avrebbero avuto bisogno. – 37 – Il gruppo de lle anatre Ylenia Molinaro C’era una volta un gruppo di anatroccoli che andavano in giro per i fiumi divertendosi un sacco. Un giorno incontrarono un altro anatroccolo che andava in giro tutto il giorno da solo e con un’aria veramente triste. Carlo, questo era il nome dell’anatroccolo, disse loro che se ne stava rintanato perché aveva paura dei cacciatori e che, proprio qualche giorno prima, uno di loro gli aveva sparato contro e per fortuna non l’aveva beccato ma lui si era spaventato tantissimo. Gli altri anatroccoli gli dissero che sbagliava ad andare in giro tutto da solo e che avrebbe dovuto unirsi a loro per difendersi meglio dai cacciatori e per divertirsi girovagando tutto il giorno. Carlo accettò la proposta e si unì al gruppo di anatroccoli. Sfortunatamente un cacciatore l’aveva seguito e non gli parve vero di poter catturare tutto lo stormo invece di un solo anatroccolo. Nascosto dietro una siepe il cacciatore prese la mira e sparò ma, per fortuna, non ci vedeva tanto bene e non beccò nessun anatroccolo. Questi però si spaventarono tantissimo e un po’ nuotando e un po’ volando, scapparono via e si nascosero in un posto sicuro. Qui si riunirono e cominciarono a studiare un piano per difendersi dai cacciatori. Alla fine decisero una cosa molto semplice: uno di loro avrebbe fatto da esca uscendo fuori e quando il cacciatore fosse uscito dal suo nascondiglio per sparargli gli altri anatroccoli gli sarebbero saltati addosso e a colpi di becco lo avrebbero fatto scappare. Così fecero e quando il cacciatore tirò fuori il suo fucile tutti gli saltarono addosso facendo una grande confusione: tra colpi d’ala e colpi di becco il cacciatore si spaventò moltissimo e scappò via a gambe levate. Da quel giorno Carlo l’anatroccolo fu di nuovo un animale felice e continuò a gironzolare con i suoi nuovi amici. Morale della favola: «L’unione fa la forza!!!!!!». – 38 – La ve ndetta Andrea Leppa Tigre è il soprannome di uno dei più grandi campioni di rally. Vince ogni corsa a cui partecipa con un distacco netto sugli avversari, che prima di partire sanno già di dover lottare per il secondo posto. Trud è anche lui un abile pilota ma, per superare Tigre, ha bisogno di ricorrere a stratagemmi talvolta pericolosi. E’ passata alla storia la grande corsa di Medif, famosa località desertica, in cui lo sfidante ha cercato di superare il campione affiancandolo e bucandogli le gomme con degli spuntoni montati sulle sue. Questo è solo uno dei suoi malvagi stratagemmi per vincere le gare. Altre volte aveva manomesso il motore della sua auto, aveva fatto una buca nascosta nel bel mezzo della pista, altre volte aveva cercato di manomettere la vettura dello sfidante entrando furtivamente nel suo garage nel cuore della notte quando tutti i meccanici erano a dormire. Ma Tigre, abile e astuto come sempre, è riuscito ogni volta ad uscirne illeso e alla fine vittorioso. Siccome mancano solamente due gare al termine del campionato e il distacco sta per diventare incolmabile, Trud decise di farsi aiutare da suo fratello Alfred per cercare il modo di mettere fuori gara definitivamente il campione. I due studiarono un piano ed arrivarono in breve tempo ad una conclusione: per fargli perdere tempo dovevano bloccare la strada provocando una frana. Al segnale di Trud Alfred spinse un grosso macigno giù per il burrone di modo che il pesante ostacolo impedì a Tigre di vincere l’ennesima gara. La corsa tra mille difficoltà si concluse, ma ancora oggi non si conosce il nome del vincitore. Certo è che i due ragazzi hanno riflettuto a lungo sulle strategie usate per vincere e si sono chiesti: «È più importante vincere con le proprie capacità o facendo ricorso a stratagemmi e astuzie?». – 39 – Il miste ro de lla pie tra Xiao Xiao Yang C’era una volta un bambino di nome Giorgio che viveva con suo padre in un piccolo paesino di montagna. Non molto distante dalla loro casa c’era un enorme castello abbandonato tutto fatto di pietra grigiastra, con un grande ponte levatoio in legno che serviva per attraversare il fossato, scavato in passato per difesa, che lo circondava. Il bambino, dopo aver sentito che nel castello era nascosta una pietra miracolosa in grado di esaudire ogni desiderio, decise di andare di nascosto senza farsi vedere. La sera stessa partì con in mano soltanto una vecchia lampada ad olio per poter vedere la strada nel buio della notte. Ad aiutarlo nel suo cammino c’era anche il chiarore della luna che splendeva alta nel cielo di quella serenissima notte. Dopo un’ora di cammino arrivò finalmente di fronte al castello: era disabitato, non trovò nessuno, scricchiolii di porte, riflessi di luna che creavano tenebrosi giochi di luce filtrando dalle finestre. Quei rumori e quell’inquietante silenzio facevano paura. Incominciò a girare in ogni stanza alla ricerca della pietra. Ad un tratto, nel silenzio del castello, sentì al fondo del corridoio un rumore proveniente da una stanza chiusa: andò immediatamente a vedere cosa c’era. Impaurito e con il cuore in gola aprì la porta: un gatto nero con gli occhi rossi come il fuoco scappò via tra le sue gambe ed il terrore lo assalì ancora di più. Entrò dentro la stanza e fu colpito da una luce fortissima che proveniva da un camino in pietra in cui, appeso ad una grossa catena, c’era un pentolone grigio dal fumo. Incuriosito si avvicinò cauto e prudente per vedere di che cosa si trattava. Intuì che quella luce era emanata da un oggetto fantastico: una pietra magica. Come fare a prenderla? Fece oscillare il pentolone come fosse un pendolo e passò tra un dondolio e l’altro entrando nel camino. Era veramente luccicante la pietra che cercava! Rapidamente se ne impossessò e la nascose in una scarpa. Con le mani si tinse la faccia del nero grasso della pentola così che al buio nessuno potesse vederlo. Improvvisamente apparve di nuovo il gatto nero che per una strana magia si trasformò in un’orribile strega dal naso rosso e brufoloso, con un solo dente in bocca e con una gobba che si intravedeva dal suo vestito nero. Urlò: «Guai a chiunque violi il mistero della pietra magica! Perché mi appartiene, mi aiuterà a riprendere le sembianze della principessa che regnava in questo castello e che io ho trasformato in una quercia del bosco. Guai a chiunque mi impedirà di raggiungere il mio scopo!». Giorgio ormai tutto tinto di nero sembrava invisibile nella notte: con la pietra nascosta nella scarpa, facendo oscillare il pentolone, riuscì con un balzo ad uscire dal camino e a scappare di corsa verso l’uscita. La strega si trasformò nuovamente nel gatto nero per essere più veloce ed incominciò ad inseguire Giorgio che, per fortuna, vide venirgli incontro il suo cane: abbaiando furiosamente contro il gatto lo spaventò a tal punto da farlo cadere dal ponte facendolo cadere nelle rapide e gelide acque del ruscello che scorreva in paese. In quel momento Giorgio espresse il desiderio di trasformare il gatto nero nella principessa del castello affinchè regnasse in pace, annullando così l’idea della strega di dominare il paese con avida stupidità. – 40 – Un vase tto giallo Valentina Barresi Giulia è una bambina che ama leggere libri di favole, ne legge talmente tanti che a volte non riesce a distinguere la realtà dalla fantasia. La mamma le ricordava sempre: «Giulia, mi raccomando, quando finisci di leggere la centesima favola ricordati che devi tornare nella realtà di tutti i giorni!!». Giulia da un’orecchio ascoltava i consigli della mamma, dall’altra dimenticava. Un mattino, nella biblioteca della scuola, Giulia vede nello scaffale un piccolo libro con la copertina tutta blu; allunga la mano, lo estrae e vede che è una raccolta di brevi favole. Incomincia a leggere… «C’era una volta una bambina di nome Giulia che amava fare lunghe passeggiate nel bosco. Mentre camminava il suo stupore cresceva nel vedere che tutto cambiava continuamente. I suoi occhi puntavano verso un oggetto a forma di vasetto con sopra disegnato un fiore rosa; lo prese, lo aprì e tirò fuori da dentro un biglietto verde in cui era scritto: Corri, corri più veloce del vento sali sulle torri troverai il grande evento Lì ti fermerai e davanti a te la fata troverai! Giulia rimise il biglietto nel vasetto e di corsa attraversò il bosco. Davanti a sè vide un grosso castello con due torri, ci salì sopra: il forte vento gli scompigliava i lunghi capelli. Giulia incominciò ad avere paura, le sembrava di essere entrata nella favola, scese velocemente le scale della torre, uscì, attraversò il più velocemente possibile il ponticello e si diresse verso casa». Con un grosso sbadiglio si rese conto di aver di nuovo sognato. Trovò la mamma in cucina intenta a preparare la colazione prima di recarsi come ogni mattina a scuola. Giulia pensò e disse: «Mamma, perché tutte le notti sogno di essere la protagonista delle favole che leggo?». La mamma rispose: «Perché le favole fanno bene allo spirito e alla fantasia, ma raccontano anche che la realtà è un’altra cosa!». Giulia pensò per alcuni minuti alla frase che le disse la madre, ma alla fine capì. – 41 – Un pae se di nome Miaomo Angela Barresi Nel paese di Miaomo viveva una colonia di gatti speciali, la loro razza era chiamata Rosiv. Erano molto belli, il loro colore era rosa, avevano il nasino a forma di cuore ed il loro miagolio era come una melodia. Gli abitanti del paese erano orgogliosi di tanta bellezza. Nidio, invece, era l’unico gatto diverso, non abitava in paese con gli altri perché non era amato e rispettato. La sua casa era ai margini del paese, in un boschetto, viveva con i suoi genitori che erano uguali a lui: avevano il pelo grigio chiaro con tanti pallini verdi, il naso era un po’ storto e i suoi baffi erano increspati. Era un gatto girovago, solitario e anche un po’ pigro. Un giorno mentre si crogiolava al sole di primavera, si avvicinò Olindo, un ragazzo che aveva marinato la scuola e stava gironzolando da solo sotto le mura del paese per non farsi vedere. Nidio il gatto iniziò a miagolare come per dirgli: «Sei da solo anche tu? Sei l’unico ragazzo del paese che marina la scuola!». Olindo gli rispose: «Anche tu sei l’unico gatto a pallini verdi! Anche tu sei qui da solo mentre i gatti Rosiv banchettano e fanno festa!». «Il mio essere diverso» rispose Nidio «rende la vita del paese meno monotona e più colorata!». «Anch’io sono l’unico dei ragazzi che marina la scuola, così i miei docenti hanno di che scrivere sul registro!». Tutti e due sdraiati sulle pietre del grande muro tacquero e si riempirono di idee e di pensieri. Improvvisamente sbottarono insieme: «Ho un’idea!» disse il primo, «Quale?» disse il secondo, «Dipingeremo un murales coloratissimo dal titolo “Le diversità”, lavoreremo di nascosto come fanno i grandi artisti e lo inaugureremo al solstizio d’estate, così tutte le persone, i gatti e quelli che si sentono diversi che cammineranno sotto le mura del paese, capiranno che essere unici in ogni genere non è una cosa tanto brutta di cui vergognarsi!». Da allora Nidio e Olindo divennero il simbolo del paese, tant’è che i Rosiv alla domenica si dipingevano sul pelo pallini verdi e si cotonavano i baffi inventando una nuova moda! – 42 – The cyborg’s cry Mattia Maccaferri In un paese dell’estremo oriente dominato da morte e distruzione, dominava un cyborg chiamato Rifton. Il suo potere era quello di lanciare sfere plasmatiche che avevano la capacità di distruggere ampi territori, radendo al solo tutto ciò che toccavano. Shaona era una cittadina piena di ricchezze, monumenti, natura rigogliosa, ridotta ormai ad un inferno. Dante era un giovane ormai allo strenuo della sopportazione nel vedere la sua città quasi distrutta dal malvagio Rifton. Portava con se una scimmietta di nome Rabà e una spada con un rubino rosso incastonato nell’impugnatura: la spada l’aveva ereditata dal coraggioso padre ucciso dal cyborg. Un giorno Dante con la sua scimmietta e la spada decise di vendicare il suo popolo tenendo all’oscuro di tutto la madre, poiché la donna non approvava che il proprio figlio rischiasse la vita in un’impresa così difficile. Il giovane partì con l’intenzione di affrontare il creatore del flagello, che aveva il suo laboratorio a Robusc, una città spettrale già in suo possesso. Dopo parecchi giorni di cammino finalmente raggiunse la meta e si accorse che era quasi impossibile trovare la dimora segreta di Logan, il fantomatico creatore. Una notte, mentre dall’alto di un promontorio osservava la spettrale città, vide una enorme esplosione di luce proveniente dalle viscere della terra: capì che li era ubicato il laboratorio. La stessa notte si avvicinò lentamente al luogo dell’esplosione per cercare un’entrata: scoprì però che l’ingresso era fatto dello stesso materiale quasi indistruttibile di cui era costruita la corazza del cyborg. Osservò attentamente, scorse una piccola crepa tra la botola e un muro diroccato e capì che soltanto Rabà poteva infiltrarsi in quella stretta apertura. Rabà era stata addestrata da Dante tanto che intuì qual era il suo compito: balzò veloce dalla spalla del ragazzo e si infilò in quella fessura. Pochi minuti e la botola si aprì, il ragazzo scese gli undici scalini della scala e arrivò in un ampio spazio dov’erano custoditi gli esperimenti falliti del malvagio scienziato. Improvvisamente suoni di sirene assordarono Dante che si trovò davanti alla porta del laboratorio, a pochi centimetri dal nemico. Capì di non poterla aprire a mani nude, allora sguainò la spada e con un maestoso colpo tagliò in due la porta blindata. Logan era di fronte a lui: senza pensare spinto solamente dall’istinto uccise il nemico. Non rimase altro che cercare i progetti del cyborg per scoprirne i punti deboli e poterlo così affrontare con maggiori probabilità di vittoria. Trovatili, incominciò a distruggere i progetti e la fabbrica della morte. Fatto ciò si preparò ad affrontare il terribile Rifton. Il mattino dopo, il ragazzo e la scimmietta si appostarono di nuovo sul promontorio in attesa che il cyborg uscisse allo scoperto per le solite azioni distruttive. Dante, che ormai conosceva il punto debole del nemico (una sfera che a intermittenza di trenta secondi usciva dalla sua schiena) si preparò per l’attacco. Con la sua spada e con molta cautela si avvicinò, con un preciso fendente colpì la sfera che rientrò nel corpo di Rifton facendolo implodere e facendolo diventare un ammasso di ferraglia. Ormai tutto era finito, con quel gesto era riuscito a vendicare il suo popolo e suo padre. Ma per quanto ancora? – 43 – Un se me smarrito Shaplarani Nath Il bosco è in tutti i miei sogni: elfi, folletti, animali di ogni specie e alberi diventano per me un magico posto. Un giorno, all’insaputa dei miei genitori, decisi di recarmi in un bosco ad un’ora di distanza da casa mia; il cielo era sereno e l’odore della primavera si sentiva nell’aria: volevo verificare se quanto sognavo assomigliava alla realtà. Presi una stradina che lo attraversava, ai bordi alberi giganteschi, dai cespugli schizzavano via lepri ed altri roditori, rumori di uccelli intenti a preparare un nido. Quello che mi colpì fu uno spazio senza alberi e cespugli, solo erba e, in mezzo, maestosi fiori in piena fioritura: gambo lunghissimo, petali sgargianti, foglie a forma di spada. Mi avvicinai, la tentazione era troppa, volevo portarmeli a casa, ma c’era qualcosa che me lo impediva: era come uccidere qualcosa di meraviglioso. Non raccolsi quei fiori anche se il desiderio era tanto, mi limitai a prendere un seme che da solo sembrava smarrito. Lo portai a casa e decisi che lo avrei messo nella terra dentro un vaso in attesa della sua fioritura. Così feci; passarono molti giorni: un bel mattino scoprii che un piccolo germoglio era uscito dalla terra, ero felice. Di lì a poco avrei avuto la possibilità di avere quella meraviglia di fiore a casa mia. Il germoglio diventò una piccola pianta con tanti boccioli piccoli, le foglie non avevano la forma di lame, il colore era diverso e cambiava anche il profumo. Fui molto delusa; ritornò la primavera, in un angolo del mio terrazzo in quel vaso dimenticato vidi germogliare una pianticella, mi ricordai di quei meravigliosi fiori del bosco e capii che tutto si rigenerava, che si può rinascere e che i fiori, come del resto tutta la natura, possono avere lunga vita se l’uomo lo permette. – 44 – C’era una volta… una bambina che sognava Diana Cannatella Serena era il nome di una ragazzina che viveva in una casa in cima ad una collina, non conosceva nessuno al di fuori di sua mamma che lavorava nell’orto tutto il giorno. Per passare il tempo, quando arrivava da scuola, amava raccogliere tutti gli oggetti che sembravano inutili e manipolandoli con altri materiali li trasformava facendoli diventare giocattoli, soprammobili, ecc. Un giorno la mamma, preoccupata di tutte quelle cose, disse a Serena: «Perché non ti trovi altri interessi? Degli amici con cui passare il tempo, così non mi riempi più la casa di cianfrusaglie!». Serena tacque e continuò nel suo unico gioco. Un giorno, mentre era in cortile a selezionare le cose raccolte, vide, dietro un cespuglio, un personaggio strano con le sembianze di un bambino. Si avvicinò curiosa, gli domandò chi era e lui le rispose che abitava nel «Palazzo dei sogni» e che era da molto tempo che la osservava mentre era intenta a trafficare con quegli oggetti. La bambina non fu per niente sorpresa, perché già pensava di chiedere al bambino se poteva portare al palazzo dei sogni tutti quegli oggetti che aveva preparato per metterli in mostra. Il bambino rispose di sì, ma c’era un problema: il palazzo esisteva soltanto nei sogni e quindi per poterci entrare doveva insegnare ad altri bambini l’arte del riciclaggio. Serena capì, da quel giorno invitò alcuni amici nella sua casa in cima alla collina: incominciarono ad incollare, tagliare, pinzare e colorare cartone, cartoncino, lattine, bottiglie e bicchieri di plastica e dalle loro mani nacquero oggetti meravigliosi. – 45 – Gli occhiali schifosi Pallabdeb Nath Tre bambini andavano nella stessa scuola, frequentavano lo stesso doposcuola, si volevano bene: uno di loro portava gli occhiali, si chiamava Simone e gli amici, Matteo e Umberto, lo prendevano in giro dicendogli che i suoi occhiali facevano schifo. Simone, abituato a sentirsi dire sempre quella frase, ormai non ci faceva più caso, non si offendeva più perché ormai ci aveva fatto l’abitudine. Ogni giorno la stessa storia: litigando non si accorgevano che rientravano a casa sempre in ritardo facendo arrabbiare le loro mamme che li sgridavano. Un pomeriggio Simone decise di non indossare gli occhiali, nonostante fosse «cieco come una talpa»: Matteo ed Umberto erano stupiti nel vederlo e gli chiesero: «Come farai a tornare a casa senza occhiali? E se ci riuscirai sarai capace di riconoscerla?». Simone li rassicurò: «Se mi aiuterete vi dimostrerò che troverò la mia casa». «Cosa dobbiamo fare?» chiesero gli amici, «Dovrete farmi da guida aiutandomi a superare gli ostacoli ed i pericoli che io non riesco a vedere». I due ragazzi sorrisero perché per loro questo poteva essere un nuovo gioco: era bastato veramente poco perché i litigi di tutti i giorni si fossero trasformati in un gioco. Incominciarono l’avventura, uno davanti e l’altro dietro. I loro comandi erano: avanti, indietro, attenzione c’è un gradino, aspetta c’è una macchina, gira a destra, adesso a sinistra, sei quasi arrivato. Fu così che i tre ragazzi poterono inventare nuovi giochi ma soprattutto diventare ancora più amici grazie ad un paio di occhiali schifosi. – 46 – Il portafortuna Maria Bastone C’era una volta una bambina senza amiche, si chiamava Chiara. Non era una bambina molto allegra: amava molto giocare ma non trovava mai amiche pronte ad accoglierla. Un mattino davanti alla scuola trovò un volantino di una pubblicità che diceva: «Vuoi essere allegra? Vuoi avere tante amiche? Raccogli tre foglie di edera, tre foglie di quadrifoglio, un bastoncino di ginepro e una ghianda: mettile in un sacchetto di tela azzurra e portalo sempre con te». Chiara fece quello che c’era scritto, mise nello zaino ben nascosto sotto i libri il sacchettino, e da quel giorno incominciò l’avventura. A scuola tutte le sorridevano, volevano giocare con lei, ma soprattutto volevano stare con lei. Un giorno la mamma vedendo che lo zaino di Chiara era tutto macchiato, tolse i libri, il diario ed il portapenne e mise lo zaino in lavatrice. Lavato ed asciugato, ripose i libri e le altre cose dentro. Chiara notò che il suo zaino era di nuovo tutto pulito, sembrava appena acquistato! Giunse a scuola, trovò le sue compagne che l’aspettavano come ogni giorno, giocarono un po’ prima che incominciassero le lezioni e durante l’intervallo. Così fu per tanto tempo, fino a quando si ricordò del suo portafortuna: preoccupata guardò al fondo dello zaino, lo trovò ma vide che era diventato un grumo senza colore. Capì così che le amicizie si possono avere anche senza portafortuna, basta volerle! – 47 – La pie tra magica Fatima Takhama C’era una volta Carlotta, una bambina che viveva in montagna. Un giorno, in una calda giornata d’estate, decise di andare a fare un giro nel bosco per raccogliere i mirtilli. Andò da sola visto che i mirtilli servivano per fare una torta a “sorpresa” per il compleanno della sua mamma. Felice di raccogliere questi frutti partì una mattina di buon’ora e si diresse verso il bosco, che non distava molto dalla sua casetta. Dopo qualche minuto di cammino vide di fronte a sè un sasso, che non era grigio come tutti gli altri: era un sasso blu. Incuriosita Carlotta si avvicinò, ma appena lo prese in mano, il sasso si animò, iniziò a parlare e le disse che se voleva raccogliere i mirtilli doveva superare tre prove. La prima prova era quella di trovare almeno dieci fiori con dieci petali rosa. Per la seconda prova, invece, Carlotta dovrà superare i tre ponti in legno che sono sul fiume: superatili dovrà risalire il fiume fino alla foce dove troverà una pietra gialla. Quando avrà trovato sia i fiori sia il sasso, dovrà tornare da lui che le dirà quale sarà l’ultima decisiva prova da superare. Carlotta, infelice, partì di corsa e andò subito a cercare i fiori magici. Dopo ore e ore di cammino vide in lontananza un mazzo di fiori rosa: corse velocemente per andare a controllare se avevano almeno dieci petali rosa come voleva la prima prova. Contò petalo per petalo e vide che i fiori andavano bene. Di corsa si diresse verso il fiume in cerca del sasso giallo. Sbuffando, sbuffando superò uno dopo l’altro i tre ponticelli e lentamente risalì fino alla foce del fiume. Arrivata alla cima, con gli occhi spalancati cercò tra le foglie e l’erba il sasso giallo. Dopo un po’ di ricerca lo trovò, lo prese e tornò di corsa nel bosco dalla pietra blu. Giunta a destinazione consegnò gli oggetti trovati e aspettò con ansia di sapere qual era la terza ed ultima prova. Il sasso blu le disse di andare nel giardino della chiesa di pietra dove c’è un’anfora: li dovrà immergere i fiori rosa insieme alla pietra gialla, dovrà pronunciare una frase magica: «Fai che questi oggetti diventino una cosa sola». In questo modo la pietra diventerà rosa come lo era stata la sua compagna. Carlotta si diresse velocemente nel giardino della chiesa, vide l’enorme anfora di terracotta, immerse i fiori e la pietra e pronunciò la frase magica. In un attimo la pietra cambiò colore: diventò rosa. Carlotta la prese e la portò dalla pietra blu, che la ringraziò ed in cambio gli diede i frutti di bosco per preparare la torta per il compleanno della mamma. – 48 – La puzzola Ylenia Barresi C’era una volta una bambina che non conosceva il mondo animale perché il padre la richiudeva sempre in casa. Sapeva però che nei pressi di casa sua in un boschetto viveva una puzzola con altri animali. Un giorno la bambina decise di scappare attraverso la finestra ed andò in quel luogo che solo lei conosceva per conoscere finalmente quel mondo per lei ancora sconosciuto. Incontrò la puzzola che le disse: «Cosa ci fai qui da sola nel mio regno popolato di animali? Qui non ci sono bambini!». La bambina rispose: «Mio papà vuole proteggermi dai pericoli del mondo e perciò mi tiene sempre chiusa in casa». La puzzola, sentendo questa frase, le diede il permesso di andarla a trovare ogni tanto ma nel frattempo la invitò a frequentare delle amicizie adatte a lei. La bambina riflettè a lungo sul consiglio datole ma non essendo soddisfatta, il giorno dopo ritornò nel luogo che solo lei conosceva e andò dal leone: entrò nella sua tana, rimanendoci per un po’ di tempo, e raccontò la stessa storia raccontata alla puzzola. Il leone le disse: «Tu sai che io sono il re della foresta e sono visto come l’animale più feroce del pianeta? Quando sono con i miei cuccioli, però, faccio di tutto per difenderli, proprio come fa il tuo papà». Lei rispose: «Ma io sono una bambina, ho bisogno di conoscere tutto ciò che mi sta intorno!». Il leone stette per alcuni secondi in silenzio per poi dirle: «Aggrappati alla mia criniera, ti accompagnerò a casa così tuo padre vedrà che se i pericoli vengono affrontati non da soli, fanno meno paura! Tutti i papà possono diventare dei leoni per far crescere i propri figli!!!». Il papà osservò la scena e capì che tenere chiusa in casa la bambina per la paura dei pericoli esterni era una forma di egoismo che impediva alla figlia di crescere e di diventare grande. – 49 – Cucon Cucon, Cucon dove sei? Cucon, Cucon torna in fretta! Cucon vieni a casa Perché un uccellino ti sta mangiando tutto il riso! Questa è una breve filastrocca tradizionale raccontata in Bangladesh dalle mamme ai loro bambini che fanno i capricci e non vogliono mangiare. La storiella è stata raccontata da Reba Rani Nath, mamma di Shaplarani e Pallabdeb Nath. Nonna Maria C’era una volta in un paese molto lontano una nonna di nome Maria. Questa nonna era molto generosa: appunto per questo tutti i giorni preparava una minestra di verdura da donare alla povera gente del suo paese. Quella gente era molto contenta quando nonna Maria gli portava la sua pentola con la minestra. Una sera mentre stava camminando con la sua pentola scivolò per terra. I poveri anziani, non vedendola arrivare, si preoccuparono molto e decisero di mandare il loro cane a cercarla. Nonna Maria vedendo arrivare il cane tolse dalla sua tasca una penna e un foglio di carta di pane su cui scrisse: «Non preoccupatevi, questa sera mangerete più tardi perché ci sono stati dei problemi con la legna». Dopo aver scritto il biglietto lo legò al collo del cane che ritornò immediatamente dai poveri vecchietti. Un’ora più tardi nonna Maria come sempre portò la sua minestra ai poveri vecchietti che la mangiarono felici e contenti. Questa è una favola della tradizione portoghese che ci è stata raccontata da Ana Maria Pereira, mamma di Valentina Barresi. – 50 – Il bambino capriccioso In un piccolo villaggio del Marocco si racconta di un bambino capriccioso che viveva in una famiglia di un povero fabbro. Il papà lavorava il ferro, la mamma accudiva alla casa e cresceva il bambino. Karim aveva nove anni, non voleva mai mangiare, perché i pochi alimenti a disposizione erano costituiti da patate. Un giorno la mamma invitò il bambino a mangiare, ma lui si rifiutò. «Abbiamo solo patate da mangiare» gli disse la mamma. Karim capriccioso espresse ancora una volta un netto rifiuto. La mamma che aveva il potere su tutti gli oggetti della casa, ordinò al bastone della scopa di picchiare il bambino, per punirlo, ma il bastone si rifiutò perché non era giusto. Allora ordinò al fuoco di bruciare il bastone perché non aveva ubbidito, ma il fuoco non lo fece, allora ordinò all’acqua di spegnere il fuoco e questa rispose che la notte sarebbe stata più fredda. Allora chiamò la mucca affinché bevesse tutta l’acqua, ma essa le rispose che senza l’acqua non si sarebbe potuto vivere, ordinò al coltello di uccidere la mucca, ma il coltello si rifiutò. «Come farete senza latte?». In quel momento arrivò a casa il papà che faceva il fabbro e si sentì ordinare dalla moglie di fondere il coltello: il fabbro si rifiutò perché il coltello serviva per pelare le patate. Subito ordinò alla corda di legare il fabbro alla sedia. La corda si rifiutò perché serviva a legare la mucca nella stalla. La mamma vide un topo nell’angolo della casa che rosicchiava una corteccia: «Rosicchia la corda!», ordinò al topo, ma il topo le rispose «Non mi piace, preferisco la corteccia». La mamma si infuriò tantissimo, cercando altri oggetti da comandare, ma nessuno le ubbidì. Sconsolata, stanca, arrabbiata si sedette alla finestra guardando fuori tra gli alberi. Improvvisamente un gatto affamato saltò attraverso la finestra ed entrò in casa facendo sobbalzare la mamma suggerendole la soluzione per far mangiare il proprio figlio. La donna ordinò al gatto di mangiare il topo, che avrebbe rosicchiato la corda che sarebbe servita a legare il padre che doveva fondere il coltello per ammazzare la mucca che doveva bere l’acqua che serviva a spegnere il fuoco che avrebbe dovuto bruciare il bastone che serviva a picchiare il bambino che faceva i capricci perché non voleva mangiare le patate che la mamma gli aveva preparato. Il bastone non picchiò il bambino che alla fine mangiò le patate e capì. Questa è una favola tradizionale popolare del Marocco tradotta da Atifi Abdelkebir. – 51 – La le onessa e l’indio Tucuman C’era una volta nella foresta amazzonica una tribù di indio che si chiamava «Tupi-guarani»; erano uomini forti e coraggiosi, ma c’era qualcosa che loro temevano. Ma cosa poteva essere? Che cosa era tutta questa paura che non poteva essere rivelata a nessuno? Loro erano i più coraggiosi di tutte le tribù ma temevano una leonessa che pochi erano riusciti a vedere perché appariva sempre di notte camminando intorno alla tribù e controllando gli indios che dalla paura si chiudevano nelle loro tende sperando che venisse al più presto giorno. Un giorno un indio di nome «Tucuman» giovane, forte, coraggioso e senza paura decise di andare a cercare nella foresta la leonessa, l’incubo maggiore della sua gente. Prese la sua arma artigianale e partì per una missione tanto importante. Passarono alcuni giorni e di lui non si seppe più nulla, fino a quando un giorno si incontrarono uno di fronte all’altra. La leonessa faceva paura con quegli occhi così grandi: cosa doveva fare? All’indio venì in mente di cantare. Si mise a cantare e cantò per tutta la notte fino a quando la leonessa non si addormentò. Tucuman molto piano si avvicinò e incominciò ad accarezzare il suo pelo. Velocemente la leonessa aprì gli occhi e i due incominciarono a guardarsi intensamente rimanendo immobili: il giovane continuò ad accarezzarla fino a quando si accorse che la leonessa non gli faceva più così tanta paura: era diventata sua amica. L’indio ritornò nella sua tribù con la leonessa al suo fianco, dando così una grande lezione a tutti. «Molte volte la violenza non serve a niente!». Questa è una favola originaria del Brasile che ci è stata raccontata da Rafael Alves Rodriguez. – 52 – I magici pote ri de lla Dea Sufe ng Il centro della Terra è governato dalla dea Sufeng che decide di fare una visita sul pianeta per vedere in che condizioni è: scopre che tutti gli uomini lentamente lo stanno distruggendo. Infatti, tutto ciò che prima era bello, gioioso ed allegro sta diventando improvvisamente ed inspiegabilmente incolore, triste, invivibile. Come fare per porre un freno a questa lenta ma inesorabile catastrofe? L’unica soluzione possibile per salvare la Terra è quella di andare a prendere nella lontana e inesplorata Shangai l’acqua magica. Quest’acqua è di due colori: azzurro e rosso e ribolle continuamente. La dea estrae due colori dell’acqua e li mischia insieme formando una specie di gommone che, grazie alla magia della dea, rimane sospeso in cielo e vola fin sopra al centro della terra. Qui lascia precipitare i due colori che riportano la Terra al suo stato normale. Purtroppo, però, una parte di questi colori rimane sospesa nell’atmosfera. Col passare del tempo si trasforma in una pietra che precipita sulla terra. Di notte mantiene le sue sembianze ma di giorno invece si colora di un rosso acceso. Dopo milioni di anni da questa pietra fuoriesce un gorilla che distrugge tutto ciò che vede. La dea viene a conoscenza di tutto ciò e per porre un rimedio scende di nuovo sulla terra trasformando il gorilla in un uomo scimmia, mettendogli in testa una corona d’oro magica che ha il potere di tenerlo sotto controllo. …continua. Questa è una storia della tradizione cinese che ci è stata raccontata da Xiao Xiao Yang. – 53 – INTERVISTE A… STEFANIA LIBRIZZI - 12 anni, 1ª Media • Sai raccontare le favole? Sì, ho imparato al CAM. • Tua mamma ti raccontava le favole per farti addormentare? Non mi ricordo più! • Secondo te, le favole cosa raccontano? Raccontano di magie, di personaggi strani. A volte finiscono bene, a volte male. • Ti piacerebbe essere il personaggio di una favola? Certo che mi piacerebbe! Vorrei essere la fata che vive in un castello. • Ci credi al Principe Azzurro? Ci credo, ma non tanto. Il principe azzurro mi piace trovarlo nelle favole. • A cosa servono le favole? A me servono quando sono triste, ma anche quando sono allegra. VERONICA MURIALDO - 8 anni, 2ª Elementare • Che cos’è una favola? E’ un racconto. • Chi ti racconta le favole? Quasi ogni sera, prima di dormire, me le racconta mia mamma. • Quali sono i personaggi che preferisci? Mi piacciono le fate, i cavalli, gli unicorni, i draghi e i coccodrilli. • Che personaggio ti piacerebbe essere? Mi piacerebbe essere un unicorno. • Qual è la tua favola preferita? La mia favola preferita si intitola «La lepre e la tartaruga»: l’ho letta l’altro giorno a scuola. • Ogni tanto le sogni le favole che leggi o che ti raccontano? Sì, mi capita di sognarle perché le favole mi insegnano molto. NEZHA TABTI - 11 anni, 5ª Elementare • Sai raccontare delle favole? No, però mi piace molto leggerle. • Tua mamma ti racconta le favole per farti addormentare? Me le raccontava qualche volta quando ero più piccola. • Le favole cosa raccontano? Raccontano delle cose che fanno paura, ma anche delle cose che fanno sognare. • Ti piacerebbe essere un personaggio di una favola? Sì, mi piacerebbe, ma non saprei quale essere, mi piacciono tanti personaggi! • Secondo te a cosa servono le favole? Servono per far stare bravi i bambini. – 54 – I RAGAZZI DI «FAVOLANDO» …quelli delle MEDIE BARRESI Valentina BARRESI Angela COSSU Pier Paolo RODRIGUEZ Alves Rafael MACCAFERRI Mattia LEPPA Andrea BIONDO Narito Jaworski COBAJ Ardison PELLICANO’ Antonio MALOKU Jasmina TAFUNI Cinzia YANG Xiao Xiao LIBRIZZI Stefania COLLUFIO Cristian GASTALDI Katia TAKHAMA Fatima FULGITO Roberta FULGITO Davide NATH Shaplarani BASTONE Maria AMBROSANO Andrea 12 12 12 13 14 13 13 13 13 12 12 14 12 12 12 12 12 13 12 13 12 anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni anni 1ª 1ª 1ª 2ª 2ª 2ª 2ª 1ª 2ª 1ª 1ª 1ª 1ª 1ª 1ª 1ª 1ª 2ª 1ª 1ª 1ª Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media Media …quelli delle ELEMENTARI TABTI Mohamed TABTI Nezha NATH Pallabdeb MURIALDO Veronica BARRESI Ylenia QUARTARONE Serena DIGUIDA Erika MOLINARO Ylenia CANNATELLA Diana KOVACEVIC Anja 9 anni 11 anni 9 anni 8 anni 9 anni 10 anni 11 anni 11 anni 11 anni 10 anni 2ª 5ª 3ª 2ª 3ª 4ª 5ª 5ª 5ª 4ª Elementare Elementare Elementare Elementare Elementare Elementare Elementare Elementare Elementare Elementare Il lavoro è stato coordinato dagli operatori: SCHINCA ROBERTO, frequentante l’Università di Torino con indirizzo Educatore professionale. MARENGO LAURA, laureanda in Psicologia all’Università di Torino; LAVAGNA DINO, animatore nel settore del teatro e tutor per gli inserimenti lavorativi presso il Consorzio socio assistenziale Alba, Langhe e Roero. – 55 – Il lavoro è stato realizzato con il contributo di: Associazione di Volontariato «Sandro Toppino» Consorzio Socio Assistenziale Alba - Langhe - Roero BANCA REGIONALE EUROPEA Gruppo Banca Lombarda e Piemontese Rotary Club Alba - Bra Associazione Promozione Centro Commerciale Piave «Albauno» Finito di stampare maggio 2002 Litografia Tipografia «l’artigiana» - Alba Cyan Magenta Giallo Nero ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO “SANDRO TOPPINO” CAM CAMPO VERDE I misteri di …Favolando «Ma io non voglio fare nè arti nè mestieri» «Perché?» «Perché a lavorare mi par fatica» «Ragazzo mio», disse la Fata, «Quelli che dicono così finiscono quasi sempre o in carcere o in ospedale. L’uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbligato in questo mondo a fare qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall’ozio! L’ozio è una bruttissima malattia e bisogna guarirla subito, fin da ragazzi; se no, quando siamo grandi, non si guarisce più». Queste parole toccarono l’animo di Pinocchio, il quale rialzando vivacemente la testa disse alla Fata: «Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché, insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia, e voglio diventare un ragazzo a tutti i costi. Me l’hai promesso, non è vero?» «Te l’ho promesso, e ora dipende da te». CARLO COLLODI - Pinocchio - 2002 CONSORZIO SOCIO ASSISTENZIALE ALBA-LANGHE-ROERO