Sicurezza Passiva Introduzione.

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Sicurezza Passiva Introduzione.
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” -
Sicurezza Passiva Introduzione.
In campo aeronautico gli incidenti più frequenti sono quelli che coinvolgono i velivoli di piccole
dimensioni e gli elicotteri.
Le conseguenze dell’impatto al suolo di un elicottero in atterraggio di emergenza possono essere
tragiche.
Figura 1 Resti di un elicottero dopo un impatto al suolo
Si è diffuso, quindi, un interesse sempre maggiore nei confronti della capacità degli elicotteri di
garantire la maggior sicurezza possibile nell’eventualità che un incidente possa verificarsi.
La sicurezza, dunque, con il passare degli anni è divenuta sempre più uno dei temi fondamentali
nella progettazione dei velivoli. Essa si può dividere principalmente in due categorie:
-
sicurezza attiva;
-
sicurezza passiva;
1
La prima prende in considerazione tutti quei dispositivi studiati per evitare, per quanto possibile,
situazioni che possano mettere in pericolo di vita passeggeri ed equipaggio. Esempi di tali
dispositivi sono gli impianti di rilevamento e soppressione incendi, quelli per fornire energia od
ossigeno in emergenza e tutti quei sistemi d’allarme che segnalano il cattivo funzionamento della
macchina.
La seconda riguarda tutti quegli accorgimenti adottati per limitare i danni che possono sorgere a
causa di un incidente durante il volo. Tra questi accorgimenti, di fondamentale importanza è la
deformabilità della struttura del velivolo, in grado di assorbire opportunamente
gran parte
dell’energia che si sviluppa durante l’impatto. Assumono un ruolo sostanziale anche tutti quei
dispositivi atti alla soppressione di un eventuale incendio post-impatto o all’inibizione
dell’esplosione dei serbatoi di carburante.
A partire dagli anni ‘50 e ‘60 sono stati condotti degli studi riguardo alla sicurezza delle strutture
aeronautiche in caso di impatto.
Nel 1952 la NACA ( National Advisory Committee for Aeronautics) condusse le prime prove atte
ad identificare i meccanismi che portano ad un incendio post-impatto; nel 1964 la FAA (Federal
Aviation Administration) portò avanti una prova con due aerei da trasporto in scala reale per
raccogliere dati sul comportamento strutturale e sul comportamento dell’impianto carburante; nel
1967 la prima edizione della Crash Survival Design Guide fu pubblicata dall’U.S. Army [1].
Tali studi hanno evidenziato che se si evita il verificarsi di un incendio subito dopo l’impatto, la
penetrazione in cabina di masse sospese, lamiere ed altri elementi strutturali e lo svilupparsi di forti
accelerazioni sui passeggeri, vi sono molte più possibilità di sopravvivenza per gli occupanti
dell’elicottero.
Sfruttando i risultati ottenuti da questi studi si è giunti alla formulazione di normative riguardanti la
crashworthiness.
Per gli elicotteri militari sono state emanate le norme MIL; in particolare le norme MIL-STD-1290
e MIL-T-27422B riguardano la resistenza all’impatto dell’impianto combustibile, mentre per quel
che riguarda gli elicotteri civili le JAR 27 e JAR 29.
Numerosi studi [2,3,4] hanno mostrato, per quanto riguarda gli elicotteri militari della U.S. Army,
l’efficacia di un impianto combustibile “resistente all’impatto”, in quanto progettato con criteri di
crashworthiness, nel prevenire lo svilupparsi di incendi dopo l’impatto e quindi gravi conseguenze
per gli occupanti. Infatti se l’impianto combustibile cede, in seguito ad un impatto, il combustibile
esce dall’impianto e qualora sia esposto ad una qualsiasi fonte di calore si verifica un’esplosione.
Quindi per quei passeggeri che hanno riportato lesioni in seguito all’impatto la possibilità di
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” evacuare il velivolo si riduce ulteriormente. Per questa ragione , il contenimento del combustibile e
il suo isolamento da ogni fonte d’innesco è fondamentale per la sopravvivenza degli occupanti. Gli
studi e le sperimentazioni condotti dalla U.S. Army hanno mostrato che si possono prevenire gli
incendi anche in condizioni d’impatto molto sfavorevoli qualora si sfruttino le nuove tecnologie e i
nuovi criteri di progettazione con criteri di sicurezza passiva.
Il rispetto delle normative e dei requisiti di crashworthiness hanno influito sulla filosofia di
progetto degli elicotteri dell’ultima generazione e di quella futura comportando un miglioramento
della sicurezza passiva.
Il comportamento durante un impatto di una struttura aeronautica si rivela soddisfacente solo se, già
nella fase preliminare del progetto, si tengono presenti le specifiche di sicurezza passiva.
Il rispetto dei criteri di sicurezza passiva nel progetto di un particolare elicottero comporta un
piccolo aggravio di peso.
Infatti è stato stimato che l‘introduzione di sistemi avanzati di sicurezza passiva (ad esempio sedili
dotati si sistemi di assorbimento d’urto, sistemi di ritenuta per tutti i passeggeri, e impianti
combustibili resistenti all’impatto) su tre modelli di elicotteri simili comporta un aggravio di peso
dell’1.5% del peso totale. A fronte di questo aggravio di peso si è però ottenuto un incremento della
possibilità di sopravvivenza in caso d’incidente.
L’introduzione di requisiti di crashworthiness per una struttura aeronautica complica ancor più i
criteri e le procedure di progettazione. Ciò perché, essendo il fenomeno di impatto estremamente
rapido e dinamico, implica un comportamento della struttura molto complesso e la cui predizione
necessita di metodi di calcolo onerosi, sia in termini di tempo che di memoria necessaria alla
elaborazione da parte del calcolatore.
Per questo motivo l’attività di ricerca in ambito della sicurezza utilizza calcolatori con prestazioni
elevate e processori di ultima generazione e negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi codici di
calcolo nell’ambito strutturale che permettono uno studio accurato di questi eventi.
In seguito ad un impatto al suolo, dunque, è possibile che si sviluppi un incendio e ciò è dovuto
solitamente ad una perdita nell’impianto combustibile.
Negli ultimi dieci anni oltre ad alcuni studi per la ricerca di additivi da aggiungere al combustibile
che riducano la possibilità del verificarsi di deflagrazioni in caso di perdita nell’ impianto
combustibile dopo un impatto [6], sono state anche introdotte nuove soluzioni strutturali. Queste
3
ultime garantiscono che i serbatoi e le tubature dell’impianto combustibile siano resistenti ma anche
deformabili così da evitarne la rottura in caso d’incidente.
Durante le prove di certificazione dei serbatoi elicotteristici [7,8,9], quindi, uno dei requisiti che
deve essere soddisfatto è che, conseguentemente all’impatto, il serbatoio non abbia perdite. Ogni
norma stabilisce le caratteristiche principali di tali prove, ovvero l’ altezza di caduta e il grado di
riempimento del serbatoio.
Fino a pochi anni fa le ricerche fatte per aumentare le caratteristiche di crashworthiness dei serbatoi
erano condotte con prove esclusivamente sperimentali. Queste risultavano difficili da allestire ed
eseguire e dunque molto costose.
Oggi, per lo studio della sicurezza passiva in campo strutturale, sono disponibili diversi codici
numerici basati sul Metodo degli Elementi Finiti (FEM) che permettono di analizzare con successo
problemi caratterizzati da una dinamica molto veloce quale quella caratteristica di un impatto.
L’uso di questi codici, una volta che sia stata dimostrata l’affidabilità del modello numerico tramite
una correlazione numerico-sperimentale permette di ridurre il numero di prove che si devono
condurre per ottenere la certificazione.
Sicurezza passiva
Introduzione.
In passato l’attenzione dell’industria aeronautica era focalizzata principalmente sulla prevenzione di
incidenti aerei e quindi l’idea era progettare strutture più resistenti, motori più sicuri, strumenti di
navigazione più precisi.
Seguendo questa filosofia di progetto i progressi tecnologici sono stati talmente veloci e consistenti
che oggi il trasporto aereo è considerato più sicuro del trasporto terrestre dal momento che, come
mostrano alcuni studi statistici [10], il tasso di mortalità dovuto a incidenti aerei è
considerevolmente più basso di quello riguardante incidenti automobilistici.
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” Secondo tali studi [10] il trasporto aereo è sei volte più sicuro (vedi tabella 1.1) di quello
automobilistico.
Mezzo di trasporto
Aereo
Autobus
Treno
3 Camion
Automobile
Nave
Bicicletta
A piedi
Motocicletta
Tasso
0.05
0.1
0.1
0.1
0.3
1.0
4.3
5.4
9.9
Tabella 1.1 Tasso di mortalità negli incidenti
per diversi mezzi di trasporto
Molti di questi incidenti hanno conseguenze catastrofiche, poiché portano alla perdita di vite
umane, e risultano non sopravvivibili, come ad esempio un esplosione in volo. Vi sono però un
buon numero di incidenti che possono essere classificati come sopravvivibili ad esempio quelli che
si verificano in seguito ad un atterraggio d’emergenza durante il quale il pilota è costretto ad
avvicinarsi velocemente al suolo con una perdita parziale del controllo del velivolo.
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Figura 2.2 Atterraggio d’emergenza di un Boeing 747
Lo studio e l’analisi di alcuni incidenti hanno portato all’idea che la possibilità di sopravvivenza
possa essere considerevolmente aumentata proteggendo gli occupanti qualora si verifichi un impatto
del velivolo inseguito ad un incidente.
Questa importante considerazione è quella che ha portato alla nascita del concetto di “
crashworthiness”. Il termine inglese crashworthiness è dato dall’ unione della parola “crash”, che
significa impatto, e “worthiness” che letteralmente significa valore, merito. Il termine si può
tradurre in italiano come “sicurezza all’impatto” o più comunemente “sicurezza passiva”.
Per “sicurezza passiva” si intende, dunque, l’insieme di tutte le soluzioni fisiche e strutturali atte a
limitare i danni che possono sorgere in seguito ad un incidente, quale può essere un impatto al
suolo. La struttura, ad esempio, deve essere tale da assorbire, nel caso si verifichi un impatto, gran
parte dell’energia che si sviluppa per ridurre le accelerazioni a cui i passeggeri sono sottoposti. Essa
inoltre deve essere in grado, pur deformandosi, di garantire uno spazio vitale per i passeggeri dopo
l’urto. Inoltre deve essere garantita una rapida evacuazione del velivolo per non mettere a rischio la
vita dei passeggeri dopo l’impatto.
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” -
1.1 Premessa storica
L’inizio degli studi sulla sicurezza passiva si possono far risalire al 1917 [6] quando Hug De Haven
fu l’unico di quattro passeggeri a sopravvivere in un incidente aereo. Egli infatti, durante
l’incidente, si trovava in una porzione dell’aereo che casualmente subì deformazioni moderate e non
fu sbalzato fuori dal velivolo perché era legato al sedile. Dopo questo incidente De Haven iniziò ad
indagare le dinamiche degli incidenti aerei e stradali e capì che in alcuni tipi di incidenti in cui si ha
un impatto aumenta la possibilità di sopravvivenza se sono soddisfatte alcune condizioni quali ad
esempio il fatto che gli occupanti non siano sottoposti ad accelerazioni eccessive.
Nel 1952 ebbero luogo le prime prove di impatto ad opera del
NACA, National, Advisory
Commitee for Aeronautics, grazie ai quali si individuarono le principali cause che favoriscono la
formazione di un incendio a seguito di un incidente [6].
I primi veri passi nell’ambito della sicurezza passiva sono stati mossi a partire dal 1964, quando la
FAA, Federal Aviation dministration, condusse le prime prove su velivoli da trasporto in scala reale
al fine di raccogliere dati sul comportamento a crash degli aeromobili.
Figura 1.3 Prova in scala reale sull'aereo da trasporto B720.1
Negli anni successivi al 1960, in base a studi e prove sperimentali sono stati redatti alcuni
documenti in cui venivano stilati i requisiti che le strutture aeronautiche devono rispettare per
essere considerate sicure.
Nel 1967 la U.S.Army pubblicò la “ Aircraft Crash Survival Design Guide” in cui venivano
presentati dei criteri di “progettazione sicura”.
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Questa guida ha poi subito negli anni successivi una serie di modifiche che hanno portato, nel 1971,
alla stesura delle MIL-STD-1290, una raccolta di normative sulla sicurezza passiva di velivoli
leggeri militari ad ala fissa e di elicotteri militari.
Nel 1972 iniziò una cooperazione tra la NASA, la FAA (Federal Aviation Administration) e le
industrie del settore per migliorare la sicurezza passiva in campo aeronautico. La ricerca consisteva
nel progetto e sviluppo di nuovi concetti strutturali per mezzo di prove sperimentali coadiuvate
dalle prime analisi numeriche in questo campo. Si effettuarono anche delle prove d’impatto su
piccoli aerei civili che fornirono una grande mole di informazioni sia dal punto di vista qualitativo
che quantitativo, sul comportamento del velivolo e su quello che accadeva agli occupanti in caso
d’incidente.
Successivamente il GASP (General Aviation Safety Pannel), elaborò tali dati, esaminando le
caratteristiche principali degli incidenti, come la durata e l’andamento delle accelerazioni in alcuni
punti dell’ aereo.
Numerose prove in scala reale sono state eseguite anche sugli elicotteri a partire dalla metà degli ani
’70.
Nel 1975-76 ad esempio, la U.S Army Aviation eseguì delle prove d’impatto in scala reale
sull’elicottero da trasporto CH-47 per studiare la deformazione della struttura, i carichi limite
tollerabili dai sedili e l’ integrità del sistema di ritenuta delle merci.
Figura 1.4 Deformazioni del CH-47 durante la prova d'impatto
(a)
(b)
Figura 1.5 Prova d’impatto del 1981 seguita su un elicottero Bell YAH-63:
(a) prima dell'impatto (b) dopo l'impatto
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” A partire dalle norme MIL e da dai numerosi studi condotti sono state redatte agli inizi degli anni
’90 delle normative che si occupano della sicurezza passiva degli elicotteri civili le JAR 27 e JAR
29.
1.2 Dati statistici
A sostegno delle varie campagne di prova si è cominciato a raccogliere dati riguardanti gli incidenti
in campo aeronautico.
Per quanto riguarda gli elicotteri dati completi ed esaurienti vengono ad esempio forniti da un ente
americano, il National Transportation Safety Board (NSTB).
Il National Transportation Safety Board (NSTB) ha effettuato uno studio statistico sugli incidenti
avvenuti nel periodo compreso tra il 1963 e il 1997 osservando con particolare attenzione i
miglioramenti in termini di sicurezza. In 34 anni l’NSTB ha registrato un totale di 8436 incidenti.
Grazie alle innovazioni introdotte si è notato una graduale diminuzione di tali eventi, come è
possibile osservare in figura 1.6.
Figura 1.6 Andamento incidenti annuali
Si può inoltre notare in figura 1.7 come questa diminuzione sia avvenuta nonostante la grande
crescita del numero degli elicotteri operativi.
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Figura 1.7 Andamento incidenti annuali per migliaio di elicotteri immatricolati
1.3 Cause degli infortuni
In caso di incidente aereo i danni sono provocati principalmente da tre cause:
-
il contatto con oggetti circostanti o con l’interno della cabina.
Ciò è tipico nel caso di forti decelerazioni longitudinali, in particolare se il passeggero non
allaccia la cintura di sicurezza. In tal caso le parti maggiormente esposte sono la testa, le
ginocchia e le braccia che possono urtare contro il sedile anteriore. All’interno di questa
categoria rientra anche l’urto da parte di oggetti che si trovano all’interno della cabina come i
bagagli a mano;
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” -
Figura 1.8 Possibili punti d’urto.
-
le elevate decelerazioni.
Si intendono i danni sui passeggeri dovuti alle reazioni trasmesse dai sedili e dai sistemi di
ritenuta. In questo caso tipiche conseguenze sono le possibili lesioni all’interno
dell’organismo. Per esempio, i danni alla spina dorsale e lesioni agli organi dell’addome a
causa dell’azione esercitata dalla cintura di sicurezza.
-
le complicazioni che nascono in seguito all’incidente e che ostacolano l’evacuazione del
mezzo.
Tra queste il generarsi d’incendi o il verificarsi di esplosioni è la più importante.
Concentriamo l’attenzione sulle elevate accelerazioni durante l’impatto. L’entità delle decelerazioni
dipende essenzialmente dalla velocità di collisione e dallo spazio di arresto. Di per se la velocità
non costituisce direttamente un pericolo ma, dipende da come questa viene dissipata durante l’urto.
Il problema è che spesso, durante un incidente, il processo di frenata non è uniforme ma, al
contrario, è caratterizzato da elevati picchi di decelerazione
e quindi da forze elevate sui
passeggeri. Ciò accade se la struttura non è in grado di assorbire energia in modo controllato. In
11
figura 1.8 si mostra il differente comportamento tra una struttura convenzionale ed una concepita
per assorbire energia in modo efficiente.
Figura 1.9 Confronto tra una struttura convenzionale ed una
capace di assorbire energia in modo efficiente
Sfruttando gli studi effettuati in passato nel campo della biomeccanica si sono riusciti a stabilire
quali sono le conseguenze delle accelerazioni sul corpo umano [11].
Non meno importante risulta la sopravvivenza di passeggeri ed equipaggio dopo l’impatto al suolo.
In tale ambito notevole importanza riveste l’analisi delle potenziali cause di lesione che portano al
decesso negli istanti successivi l’evento dell’impatto, fra i quali la possibilità che si sviluppi un
incendio.
La causa dello svilupparsi di un incendio in caso di atterraggio d’emergenza è, ovviamente da
ricercarsi nella presenza dell’impianto combustibile installato sul velivolo. Dispositivi come i
“crash switch” possono aiutare a contenere, o almeno a circoscrivere, il possibile incendio
interrompendo l’alimentazione dei motori ed isolando il serbatoio, che dovrebbe essere almeno
parzialmente svuotato prima di effettuare un atterraggio d’emergenza. Ciò però non è sempre
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” possibile, soprattutto se l’avaria, che porta alla perdita del controllo del velivolo da parte del pilota,
si presenta in modo repentino.
E’ stato verificato che una delle cause primarie del verificarsi di un incendio è la presenza di
combustibile residuo all’interno delle tubature poiché in seguito all’impatto esse possono avere un
cedimento è necessario dunque che le tubature possano deformarsi senza rompersi. Limitata questa
possibile causa di innesco di un incendio, bisogna inoltre garantire che nel serbatoio non si aprano
falle che provocherebbero la fuoriuscita del combustibile ancora contenutovi, con ovvie disastrose
conseguenze. Diventa quindi di notevole importanza che questo apparato, in circostanze di
emergenza impedisca perdite di combustibile per garantire una maggiore probabilità di
sopravvivenza degli occupanti.
1.4 Incidenti sopravvivibili
Dagli studi condotti sulla sicurezza e la sopravvivibilità negli impatti di velivoli si sono dedotti
quali siano i requisiti in base ai quali un velivolo possa considerarsi “sicuro” e nel caso si verifichi
un incidente questo risulti “sopravvivibile”:
-
resistenza all’urto della struttura del velivolo; che si traduce nella capacità della struttura di
assicurare uno spazio vitale per i passeggeri;
-
bassa intensità e durata delle accelerazioni che i passeggeri devono sopportare nell’impatto;
quindi la capacità della struttura di assorbire energia che si sviluppa nell’urto sottoforma di
deformazioni permanenti;
-
riduzione dei rischi che si hanno dopo l’impatto; ad esempio la possibilità che si verifichi un
incendio in seguito alla fuoriuscita del combustibile dai serbatoi.
Più in generale un incidente è detto “soravvivibile” qualora le condizioni, in termini di velocità,
angolo d’impatto, tipologia del mezzo di trasporto sia tali che ci siano dei superstiti.
1.5 Sicurezza passiva nel progetto di elicotteri.
Uno dei requisiti di sicurezza più importanti che un elicottero deve soddisfare, in base a quanto è
stato detto fino ad ora, è quello di poter assorbire la maggior quantità di energia possibile attraverso
delle strutture in grado di deformarsi in maniera tale da limitare i livelli di accelerazione cui
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vengono sottoposti gli occupanti del velivolo e che garantiscano, al tempo stesso, la permanenza di
una cellula di sopravvivenza.
Gran parte dell’ energia di impatto dovrà essere assorbita dal carrello di atterraggio, anche subendo
notevoli deformazioni plastiche.
Il resto dell’energia andrà poi a deformare la struttura del sottopavimento dell’abitacolo che deve
sopportare il peso di tutto l’elicottero.
Figura 1.10 Sottopavimento prima e dopo l'impatto
Il sottopavimento degli elicotteri svolge un ruolo fondamentale nell’ assorbimento dell’energia in
caso d’impatto ed è quindi oggetto di numerose ricerche, volte al miglioramento della sicurezza
passiva, quali ad esempio quelle riguardanti i serbatoi integrati nel sottopavimento. Comunemente
il sottopavimento è costruito in lega leggera d’alluminio ed assorbe l’energia dell’impatto attraverso
deformazione plastica. I serbatoi per ottenere la certificazione devono avere una certa rigidezza e il
loro posizionamento interferisce con la deformabilità della struttura del sottopavimento. Tale
fenomeno risulta evidente soprattutto quando il serbatoio è pieno tipicamente nelle prime fasi di
volo. Risulta quindi vantaggioso lo svuotamento del serbatoio, come suggerito dalle procedure
d’emergenza, operazione che non sempre è realizzabile prima dell’impatto.
L’altro elemento preposto all’assorbimento dell’energia d’impatto è il sedile. Questo dovrà
deformarsi in modo tale da garantire l’assorbimento della massima quantità di energia possibile, ma
senza rompersi per limitare gli eventuali danni ai passeggeri. Numerosi studi sono stati compiuti per
testare questi componenti [12,13].
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” -
Figura 1.12 Prova di crash su sedili
Le ricerche e gli studi che si sono svolti tenendo presenti queste considerazioni sono orientati in tre
direzioni:
− lo studio dei materiali da impiegare per assorbire energia. In passato si utilizzavano solo leghe
metalliche leggere mentre oggi si usano anche nidi d’ape, schiume e soprattutto compositi, i
quali uniscono una grande capacità di assorbimento d’energia a pesi relativamente contenuti. Ad
esempio, dal Dipartimento d’ Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Milano sono state
svolte molte ricerche per verificare il comportamento di diverse soluzioni da utilizzare nei
sottopavimenti degli elicotteri, sia impiegando materiali metallici che compositi [15];
15
Figura 1.13 Prove sui materiali
− lo studio e l’ottimizzazione di nuove soluzioni in funzione sia dei materiali usati che della
struttura con lo sviluppo di nuove geometrie ad elevata efficienza. Ad esempio per i
sottopavimenti degli elicotteri sono state realizzate nuove strutture che sfruttano il
comportamento a buckling dei pannelli sottili. Per controllare il fenomeno di buckling ed evitare
la perdita totale di resistenza da parte della struttura si sono studiate principalmente due
soluzioni: la prima consiste nel rinforzare il pannello con altri materiali quali schiume, nido
d’ape, la seconda consiste nel modellare il pannello in modo che abbia una geometria non
planare [6];
Figura 1.14 Possibili soluzioni per la realizzazione del sottopavimento
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” − la correlazione tra i risultati delle prove sperimentali e delle analisi numeriche. L’obbiettivo di
queste ultime sarebbe quello di sostituire gran parte delle costose prove sperimentali.
Figura 1.15 Esempio di modello numerico
La progettazione di aeromobili sicuri riguarda anche, come si è più volte sottolineato, quei sistemi
e quelle componenti che assicurano la sopravvivibilità anche dopo l’impatto al suolo. Tra questi
aspetti della sicurezza quello più importante è sicuramente quello della prevenzione degli incendi e
delle esplosioni e quindi particolare attenzione viene data all’impianto combustibile. Per essere
certificati come “resistenti all’impatto” i serbatoi devono essere progettati con i criteri riportati nelle
normative MIL-STD-1290 e JAR 27 o JAR29. Le normative prevedono, come sarà approfondito
nel capitolo 3, che il serbatoio debba superare delle prove di caduta. Ogni normativa, poi, stabilisce
in particolare le caratteristiche di tale prova, come l’altezza di caduta, il grado di riempimento del
serbatoio la presenza di eventuali attrezzature.
17
Figura 1.16 Torre di caduta
Figura 1.17 Allestimento della prova di caduta
Alcuni studi [15], per fare un confronto tra gli elicotteri equipaggiati con impianti combustibili
“resistenti all’impatto”, CRF (crash resistant fuel system), e quelli senza tale equipaggiamento
hanno preso in considerazione elicotteri di simili dimensioni, prestazioni , profili di missione e
motori ed hanno analizzato gli incidenti che li hanno visti coinvolti tra il 1982 e il 2004. Gli
elicotteri presi in considerazione sono il Bell 206 equipaggiato con CFR e l’Aerospatial 350 che
non adotta tale impianto. Da tali studi è emerso che si è sviluppato un incendio dopo l’impatto nell’
11.3% degli incidenti in cui è rimasto coinvolto un elicottero Aerospatial 350, mentre solo nel
3.7% degli incidenti accaduti ai Bell 206 equipaggiati con CFR. Dunque il rischio che un incendio
possa innescarsi conseguentemente ad un impatto è circa 3.3 volte superiore per un elicottero senza
CFR.
I risultati di tali studi sottolineano l’efficacia degli impianti combustibili “resistenti all’impatto”
nella prevenzione degli incendi che potrebbero svilupparsi inseguito a tale evento.
Un buon comportamento a crash di ciascun componente considerato separatamente non è però
sufficiente a garantire necessariamente un buon comportamento della struttura considerata nella sua
interezza. Ad esempio, per certificare un impianto combustibile come resistente ad impatto si
richiede la verifica che il serbatoio non venga sollecitato dalla deformazione dei suoi attacchi alla
struttura, o dalla deformazione di quest’ultima. E’ necessario, quindi, studiare ed ottimizzare anche
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” il comportamento di tutti gli elementi di collegamento e la sequenza temporale degli eventi che si
verificano.
L’ opportunità di tenere conto dei diversi aspetti del fenomeno ha portato all’ allestimento di prove
in scala reale affiancate da studi numerici su intere strutture e non solo sui singoli componenti.
Figura 1.18 Prove in scala reale sull’elicottero Sikorsky ACAP
Le normative
Introduzione.
La ricerca effettuata nell’ambito della sicurezza passiva e l’analisi della dinamica e dello sviluppo
degli incidenti in campo elicotteristico hanno permesso di sviluppare, nel corso degli anni, materiali
e tecnologie costruttive che hanno portato alla realizzazione di serbatoi in cui si è ridotta la
possibilità che si verifichi un cedimento in caso d’urto. E’ inoltre aumentata la capacità di tali
serbatoi di assorbire energia e quindi il loro livello di sicurezza passiva.
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L’impianto combustibile è un impianto che deve soddisfare criteri alquanto restrittivi per quanto
riguarda la certificazione poiché il collasso di tale sistema provoca, nel caso di impatti
sopravvivibili, un aumento dei rischi per i passeggeri dovuto allo sviluppo di incendi o esplosioni.
Nel 1962 uno studio condotto dalla U.S Army evidenziò, prendendo in considerazione gli incidenti
in cui erano coinvolti elicotteri civili o militari, che sebbene solo nel 9% degli incidenti si
innescasse un incendio dopo l’impatto, nel 60% degli incidenti in cui si sviluppava un incendio si
verificava la morte degli occupanti il velivolo [16].
Incendio
Postimpatto
9%
Assenza
incendio
91%
Figure 2.1 Incidenti di elicotteri civili e militari
Incidenti
non fatali
40%
Incidenti
fatali
60%
Figure 2.2 Incidenti con sviluppo d'incendio dopo l’impatto
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” Studi successivi hanno confermato lo svilupparsi di un incendio dopo l’impatto come la causa
primaria di morte tra gli occupanti in quegli incidenti che altrimenti sarebbero risultati
sopravvivibili [2, 16].
La U.S. Army ha poi sviluppato, sulla base di numerose ricerche e prove sperimentali, i requisiti
che un impianto combustibile deve possedere per risulltare resistente all’impatto. I risultati di tali
studi sono stati pubblicati prima nella Crash survival Designe Guide e successivamente si è giunti
agli inizi degli anni ‘70 alla redazione delle normative per elicotteri militari quali le MIL-STD-1290
[7] e la MIL-DTL-2742C entrata in vigore in sostituzione della vecchia MIL-T-27422B.
Tali normative, come si mostrerà in seguito, richiedono che i serbatoi contenenti il combustibile
superino delle prove di caduta senza riportare rotture o perdite e l’installazione di alcune valvole
nell’impianto che interrompono il flusso di combustibile qualora si verifichi un impatto.
Dopo la redazione di tali normative la maggior parte degli elicotteri militari della U.S.Army furono
equipaggiati con impianti combustibili resistenti all’impatto con il risultato che negli incidenti
avvenuti tra il 1979 e il 1985 si verificò solo una morte dovuta allo sviluppo di un incendio
innescatosi dopo un impatto che altrimenti sarebbe risultato sopravvivibile [16].
La tecnologia degli impianti combustibili resistenti all’impatto è stata introdotta solo
successivamente nel progetto di elicotteri civili sebbene alcuni studi [18, 5, 17, 3], anche per questa
categoria di elicotteri, abbiano identificato gli incendi post-impatto come causa principale di morte
tra i passeggeri in incidenti altrimenti sopravvivibili.
In base a tali osservazioni nella metà degli anni ’80 l’Aerospace Industries Association of America
(AIA), il Rotorcraft Airworthiness Requirements Committee, l’Helicopter Crashworthiness Project
Group elaborarono alcuni requisiti che un impianto combustibile per elicotteri civili deve soddisfare
per essere resistente all’impatto [18, 19]. Osservando che gli elicotteri civili impattano con una
velocità verticale minore rispetto a quelli militari i requisiti che gli impianti combustibile di aerei
civili devono soddisfare risultano meno severi rispetto a quelli degli elicotteri militari. Ad esempio,
l’altezza rispetto a cui viene condotta la prova di caduta del serbatoio può essere ridotta a 15.2 m,
rispetto ai 19.8 m richiesti dalle MIL con una diminuzione dell’energia d’impatto del 41%.
In base ai requisiti evidenziati da tali studi e da ricerche e osservazioni successive sono state in fine
redatte le normative relative agli elicotteri civili JAR27 e JAR29.
Queste normative sono state prese come riferimento dalle case costruttrici che progettano i nuovi
elicotteri secondo i criteri della sicurezza passiva.
21
2.1 MIL-STD-1290
Questa normativa riguarda i requisiti richiesti per la progettazione e la certificazione di velivoli
militari con caratteristiche di sicurezza all’impatto.
Essa è entrata in vigore il 25 Gennaio 1974 ed in seguito è stata modificata il 26 Settembre 1988.
In particolare, per quanto riguarda la realizzazione dei serbatoi combustibile viene prescritto che:
I. I serbatoi combustibile non devono essere installati in aree occupabili dai passeggeri, nel
vano motori, nel compartimento elettrico, o in altra area dove il carburante spillato o
nebulizzato può velocemente essere ingerito dal motore o infiammato dall’ugello di scarico.
Se possibile i serbatoi combustibile non dovrebbero essere installati nei seguenti punti:
immediatamente adiacenti alle aree occupabili
immediatamente adiacenti ai comparti motore
immediatamente adiacenti ai comparti elettrici
sotto masse pesanti, come trasmissioni motori
vicino al fondo della fusoliera
II. I serbatoi combustibile devono essere lisci, di forma regolare, con l’area del pozzetto
raccordata gradualmente nel fondo del serbatoio.
Per le prove sperimentali cui devono essere sottoposti i serbatoi al fine di ottenere la certificazione,
tale normativa rimanda alla MIL-T- 27422B, riportata in seguito.
2.2 MIL-T-27422B
La normativa, redatta il 24 Febbrai 1970, è stata costituita dalla nuova normativa MIL-DTL72422C introdotta il 14 Gennaio 2002.
Le prove per al certificazione dei serbatoi vengono suddivise in due tipologie principali:
Prove della Fase I: sono eseguite su campioni di materiali ed esempi di realizzazione, da
utilizzare nella produzione dei serbatoi.
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” -
Prove della Fase II: sono eseguite su serbatoi in scala reale o su porzioni di essi.
2.2.1 Fase I
I campioni:
quattro simulacri di geometria cubica che devono riempire il contenitore
metallico riportato in figura 4.1, ciascuno avente una flangia centrata nella
superficie superiore del cubo.
Figura 2.3 Struttura di supporto per le prove della Fase I
Prova di caduta:
Il cubo, con un coperchio attaccato alla flangia, riempito con 770lb (349.3Kg)
di acqua (senza aria all’interno) e sostenuto da una imbracatura fatta a nastri
(come mostrato in figura 2.4), deve essere sollevato fino ad un’altezza di 65
ft (19.81m), misurata dal fondo del cubo. Con il fondo del cubo in posizione
orizzontale, deve essere attivato il meccanismo di sgancio ed il cubo lasciato
cadere liberamente, su una superficie indeformabile. Qualsiasi rottura con
conseguente perdita di liquido costituisce il fallimento della prova.
23
Figura 2.4 Imbracatura per i test della fase I
2.2.2 Fase II
I campioni:
consistono in almeno tre serbatoi o celle combustibili completamente
equipaggiati e dalla slitta di sostegno. Le celle devono essere dello stesso
materiale, e costruite nello stesso modo, come i cubi usati nella Fase I, e
devono essere disegnate per adattarsi in una particolare posizione di un
velivolo specifico.
Prova di caduta:
per questa seconda fase, la prova di caduta viene effettuata su serbatoi di preproduzione in scala reale. Ogni configurazione di serbatoio deve essere
testata usando una piattaforma come mostrato in figura 1.5:
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” -
Figura 3.5 Installazione per la prova di crash
Per i velivoli ad ala rotante, il serbatoio con tutte le sue aperture
opportunamente chiuse, deve essere riempito con acqua fino alla normale
capacità e l’aria rimossa. Il serbatoio deve essere posto sulla piattaforma e
sollevato fino ad un’altezza di 65ft (19.81m). La piattaforma deve, quindi,
essere lasciata cadere liberamente su una superficie non deformabile in
maniera tale che il serbatoio impatti in posizione orizzontale con una
tolleranza di ± 10°. Dopo il test di caduta non si deve verificare alcuna
fuoriuscita di liquido.
2.3 JAR 27 e JAR 29
Tra le normative relative a velivoli civili si trovano le JAR 27 e le JAR 29.
Le JAR 27, entrate in vigore il 6 Dicembre 1993, sono applicate a “ piccoli” (come sono definiti
dalla normativa) elicotteri con peso inferiore a 3175Kg o con meno di 9 passeggeri.
Le JAR 29, entrate in vigore il 5 Dicembre 1993, sono applicate a “grandi” elicotteri suddivisi in
due categorie:
Categoria A: elicotteri con un peso superiore ai 9072Kg e con 10 o più passeggeri;
25
Categoria B: elicotteri con un peso superiore di 9072kg e con 9 o meno passeggeri;
elicotteri con un peso minore di 9072kg e con 10 o più passeggeri;
elicotteri con un peso minore di 9072kg e con 9 o meno passeggeri;
Le differenze che si possono riscontrare tra le JAR29 e le JAR27 si riferiscono solo ad alcune
specifiche che devono essere soddisfatte dai componenti dell’impianto combustibile come i filtri, le
pompe combustibile e di drenaggio, l’impianto di ventilazione, le valvole di sicurezza, differenze
necessarie vista la diversa categoria di elicotteri trattata.
Per quello che riguarda, invece, tutte le specifiche necessarie per la certificazione a crash del
serbatoio, le due normative non presentano alcuna differenza. In particolare la prova di caduta è
condotta nello stesso modo, e anche i carichi inerziali da applicare staticamente sono identici.
2.3.1 JAR 29.952 Resistenza agli impatti dell’ impianto combustibile
Si riporta di seguito una parte della norma JAR 29.952 che riguarda la resistenza agli impatti
dell’impianto combustibile:
Salvo che altri mezzi, accettati dagli organi competenti, non siano impiegati per minimizzare il
rischio di incendio per gli occupanti, inseguito ad un impatto sopravvivibili, l’impianto
combustibile deve incorporare le caratteristiche di progettazione di questo paragrafo.
Questi sistemi devono essere verificati per essere capaci di sostenere i carichi di decelerazione
statici e dinamici di questo paragrafo, considerati come gli unici carichi ultimi applicati, misurati
nel centro di gravità dei componenti del sistema, ai serbatoi di combustibile, o ai loro accessori che
potrebbero perdere combustibile creando una sorgente d’accensione.
a) Richieste del test di caduta.
Ogni serbatoio o il più critico serbatoio, deve essere testato accaduta come segue:
1) L’altezza di caduta deve essere almeno di 15.2m (50ft);
2) La superficie d’impatto deve essere indeformabile;
3) Il serbatoio deve essere riempito per l’80% della sua capacità totale d’acqua.
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” 4) Il serbatoio deve essere incluso in una struttura che lo circondi, rappresentativa
dell’installazione salvo che non possa essere stabilito che la struttura circostante sia
libera di sporgersi o che altri elementi di progettazione possano contribuire alla
rottura del serbatoio,
5) Il serbatoio deve cadere liberamente e impattare in una posizione di ± 10° rispetto
all’orizzontale;
6) Dopo la prova di caduta non deve essere presente nessuna perdita di liquido.
……………..
1.3.1 Prove di certificazione per sedili elicotteristici
In caso di impatto al suolo, i seggiolini aeronautici contribuiscono a dissipare l’energia
d’impatto e quindi hanno un ruolo fondamentale nel garantire la sopravvivenza degli
occupanti.
Nell’ambito del presente lavoro di tesi, per lo sviluppo del modello numerico del manichino
antropomorfo è stato considerato lo scenario tipico delle prove per la certificazione dei
seggiolini degli elicotteri e quindi nel seguito vengono presentate le caratteristiche generali
di queste prove.
Le prove di impatto per la certificazione dei seggiolini degli elicotteri sono essenzialmente di due
diversi tipi: prove verticali e prove orizzontali.
Per entrambi i tipi di prove viene usata una slitta orizzontale. Usando questo tipo di attrezzatura,
viene a mancare il contributo dell’accelerazione di gravità. D’altro canto questo contributo è
trascurabile rispetto ai valori tipici dell’accelerazione in questo tipo di prove (ordine dei 30 g).
Sulla slitta scorre un carrello sul quale viene montata una struttura di prova poco deformabile (che
idealmente riproduce la struttura dell’abitacolo) dove viene montato il seggiolino.
La struttura di prova può essere ruotata ottenendo in questo modo le componenti di accelerazione
nelle direzioni desiderate. Prima della prova, l’ATD viene posto sul seggiolino e fissato mediante
cinture di sicurezza.
In particolare, il manichino viene imbracato con apposite cinture di sicurezza al seggiolino e
posizionato in modo che vengano rispettate alcune condizioni specificatamente prescritte dalle
normative : la schiena deve essere ben appoggiata allo schienale, le mani devono essere appoggiate
sulle cosce appena dietro il ginocchio, la distanza fra le ginocchia deve essere 25 cm e i piedi
devono essere ben appoggiati alla pavimentazione oppure sui pedali.
Le prove, sia verticali che orizzontali, possono essere inoltre ad accelerazione o decelerazione
imposta e vengono condotte sfruttando una slitta orizzontale con il simulacro orientato a 60°
(configurazione che, fra l’altro, ha permesso una più semplice disposizione degli apparati di prova e
quindi ha agevolato la procedura di allestimento della prova).
27
1.3.2 Prove di Impatto Verticale / orizzontale
Prove di impatto verticale. Una prova verticale (down test) riproduce una condizione di
atterraggio di emergenza con componenti di accelerazione e velocità prevalentemente verticali che
vanno a sollecitare la zona lombare con conseguente rischio di danni permanenti o morte
dell'occupante.
Facendo riferimento a studi condotti dalla US Army [9], è stato dedotto che, statisticamente,
durante un incidente di questo tipo, per diverse categorie di velivoli, l’occupante è sottoposto ad una
forma triangolare dell’impulso di decelerazione (Fig. 8). Per questa ragione, è previsto dalle norme
che nelle prove le slitte che alloggiano il simulacro, in cui viene posizionato l’ATD, abbiano un
profilo di decelerazione triangolare.
Come già affermato, in una prova verticale l’asse longitudinale del sedile deve formare con
l’orizzontale (o, meglio, con la direzione di impatto) un angolo attorno a 60°. Il picco massimo di
decelerazione deve raggiungere un minimo di 30 g in un intervallo di tempo non inferiore a 0,031 s
dopo l’impatto.
Prova di impatto orizzontale. Una prova orizzontale (foward test) riproduce una tipica situazione
di incidente automobilistico (tamponamento), in cui la velocità di impatto ha componente
predominante in direzione normale alla colonna vertebrale dell’occupante. In questo tipo di prove,
hanno importanza rilevante i sistemi di ritenuta e le accelerazioni della testa e del torace del
manichino.
In una prova orizzontale il picco massimo di decelerazione deve raggiungere un minimo di 18.4 g in
un intervallo di tempo non inferiore a 0,071 s dopo l’impatto.
50
Dati sperimentali
Approssimazione triangolare
Accelerazione [g]
40
30
20
10
0
0
0,02
0,04
Tempo [s]
Figura 1 : Esempio di storia temporale di decelerazione d’impatto[9].
0,06
0,08
- Capitolo 1. Sicurezza ad impatto : la “Crashworthiness” -
1.3.3 Prove ad Accelerazione/Decelerazione Imposta
Prove ad accelerazione imposta. La slitta giace su due guide orizzontali. Un sistema pneumatico
pistone-cilindro collegato ad un serbatoio d’aria in pressione imprime al carrello una accelerazione
con profilo temporale voluto.
Prove a decelerazione imposta. La slitta viene messa in movimento lungo due guide orizzontali da
un sistema puramente pneumatico, che consiste in un serbatoio d’aria in pressione che comunica
con un cilindro all’interno del quale scorre un pistone il cui stelo traina, attraverso un sistema di
funi e carrucole, il carrello su cui è installata la slitta.
Una volta che la slitta viene lanciata, essa esegue una corsa di circa 20 metri prima di raggiungere
la velocità richiesta per la specifica prova ( pari a 9,1 m/s per una prova di tipo verticale e 12,8 m/s
per una prova di tipo orizzontale). Alla fine della corsa, la slitta viene arrestata bruscamente da un
sistema oleopneumatico (del tutto analogo ad un classico ammortizzatore oleopneumatico) avente
una strozzatura regolabile nel condotto idraulico in modo da ottenere il profilo di decelerazione
voluto (con questo tipo di sistemi si ottengono generalmente dei profili di decelerazione con
andamento triangolare nel tempo). Questo sistema è più economico del precedente, ma il controllo
del profilo di accelerazione è ben più complicato.
29
Le normative
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__________________________________________________________________
27
Analisi numeriche
_________________________________________________________
Analisi numeriche
Introduzione.
Fino a pochi decenni fa le prove sperimentali erano l’unico mezzo di studio dei
fenomeni di impatto. Ora invece, lo sviluppo di calcolatori ad elevate prestazioni
ha messo a disposizione dei ricercatori una vasta gamma di codici numerici per il
calcolo strutturale che permettono uno studio dettagliato e accurato di questi
eventi. In particolare, sono molto diffusi i codici di calcolo strutturale basati sul
Metodo degli Elementi Finiti in grado di analizzare problemi di contatto/impatto
tridimensionali fortemente non-lineari caratterizzati da spostamenti finiti e grandi
deformazioni delle strutture. Attraverso l’uso di questo tipo programmi si può
studiare nel dettaglio la dinamica dell’evento valutando non solo l’ordine di
grandezza di spostamenti e deformazioni, ma anche il livello di importanti
grandezze quali velocità ed accelerazione
Il metodo degli elementi finiti costituisce una tecnica numerica per la soluzione di
problemi di Meccanica del Continuo che consiste nella discretizzazione del
continuo in volumi di dimensione finita. Le soluzioni che si ottengono
rappresentano approssimazioni della soluzione esatta del problema ed è, quindi,
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56
Analisi numeriche
________________________________________________________
estremamente importante poter valutare a priori l’accuratezza dei risultati che
sono stati ottenuti per poterli trattare in modo adeguato.
La realizzazione del modello numerico assume dunque un ruolo centrale poiché
comporta una opportuna modellazione di tutti gli aspetti del problema:
semplificazione
della
geometria,
discretizzazione
del
continuo
(tipo
e
formulazione degli elementi da impiegare), materiali (legge costitutiva ed
eventualmente equazione di stato), carichi esterni, condizioni al contorno
(discretizzazione dei carichi e imposizione delle condizioni di vincolo),definizione
dei contatti.
Comprendere a fondo i meccanismi che governano il fenomeno è fondamentale in
questa fase, che spesso consiste in una lunga transizione attraverso modelli
sempre più accurati, fino alla realizzazione di un modello finale in grado di
rappresentare adeguatamente il fenomeno.
Il vantaggio nell’utilizzo del calcolatore risiede nell’abbattimento del numero di
prove sperimentali da effettuare e quindi in una sensibile riduzione in termini di
tempo e costi dello sviluppo delle strutture.
Il ricorso alle prove sperimentali a dimensione reale rimane comunque necessario
in diverse fasi della progettazione: infatti, a dispetto della crescente diffusione dei
codici citati, l’attività sperimentale non ha perso d’importanza, ma ha assunto il
ruolo (non secondario) di strumento di verifica e controllo.
In questo lavoro accanto alle prove sperimentali sono state condotte simulazioni
numeriche attraverso il codice esplicito ad elementi finiti LSTC/LS-Dyna 970.
5.1 Il codice LSTC LS-DYNA.
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57
Analisi numeriche
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Il codice, come molti altri di questo tipo, nasce dal dyna3d e viene per la prima
volta implementato nel 1976 da John Hallquist. Inizialmente erano disponibili
elementi piastra (shell) a 4 e 8 nodi, elementi solidi a 16 e 20 nodi con
integrazione del secondo ordine, un elemento membrana a 8 nodi ed un elemento
asta a 2 nodi. L'unico algoritmo di contatto disponibile era il vincolo nodale. Nel
corso degli anni è stata apportata una serie continua di aggiornamenti, mettendo a
disposizione dell'utente nuovi materiali, nuove formulazioni di elementi e nuovi
algoritmi di contatto. In particolare, nel 1994 è stato introdotto l'elemento solido
con formulazione euleriana e nel 1997, la formulazione Euleriana arbitrariamente
Lagrangiana (ALE).
Il solutore primario di LSTC LS-Dyna adotta uno schema d'integrazione
temporale di tipo esplicito e consente di eseguire analisi numeriche utilizzando
approcci di tipo lagrangiano ad elementi finiti, euleriano/ALE e ultimamente
Lagrangiano a pseudo particelle diffuse (SPH).
5.1.2. Approccio lagrangiano ad elementi finiti
Nell'approccio di tipo lagrangiano, il continuo è discretizzato con elementi solidali
con il corpo. Per descriverne la dinamica è necessario risolvere le relative
equazioni.
Se il corpo è considerato come un continuo, il problema sarà caratterizzato da un
numero infinito di incognite; questo significa che non è possibile ottenere una
soluzione in forma chiusa per geometrie complesse. Viceversa, se il continuo
viene suddiviso in un numero finito di elementi di geometria semplice, si riduce
ad un numero finito di incognite costituite dagli spostamenti, ed eventualmente
dalle rotazioni, dei nodi che caratterizzano gli elementi stessi. Interpolando questi
gradi di libertà tramite opportune funzioni di forma, si ottengono gli spostamenti
del punti all'interno degli elementi.
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58
Analisi numeriche
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Questo approccio risulta efficiente nella trattazione di problemi non lineari in cui
prevalgono le piccole deformazioni e non si ha un'eccessiva distorsione della
griglia. I problemi relativi ai contatti tra le parti sono stati risolti in parte grazie
all'implementazione di diversi tipi di algoritmi di contatto.
La partizione del continuo (mesh) è fissa sul materiale, e quindi si deforma con
quest'ultimo, problemi possono essere dati dall'eccessiva distorsione, una
soluzione è stata trovata nella ridefinizione della mesh (rezoning) caratterizzata da
grandi deformazioni. Con l'aumentare delle deformazioni degli elementi, errori e
inaccuratezza dell'approssimazione numerica divengono inaccettabili. Inoltre il
passo di integrazione (time step) diminuisce al crescere delle distorsione degli
elementi, portando la durata di una simulazione a tempi eccessivamente lunghi.
Lo schema di integrazione è di tipo esplicito e quindi arbitrariamente stabile. In
prima approssimazione il passo di integrazione stabile viene calcolato come
segue:
∆t ∝ min
l
E
ρ
A parte la stabilità dello schema di integrazione temporale, il passo di
integrazione deve essere sufficientemente piccolo in modo da non causare perdita
di accuratezze nella soluzione.
5.1.2 Algoritmi di contatto
__________________________________________________________________
59
Analisi numeriche
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Nel corso degli anni in LS-Dyna sono stati implementati diversi algoritmi per la
gestione dei contatti. In particolare, sono tre le categorie principali di contatto:
vincolo cinematico, metodo di penalizzazione, e contatto a parametri distribuiti.
Con riferimento al contatto fra continui deformabili, poi, ci sono tre diversi tipi di
contatto che si distinguono a seconda che la parte asservita (slave) sia
rappresentata come un insieme di nodi o come una superficie o che la parte sia
nello stesso tempo asservita e dominante (auto-contatto).
Il metodo di vincolo cinematico. Il metodo di vincolo cinematico consiste nel
vincolare i nodi slave a muoversi sulla superficie master una volta che il contatto è
avvenuto. Questi vincoli sono imposti a livello delle equazioni globali che
reggono la dinamica del continuo scomponendo lo spostamento del nodo slave
nelle componenti parallele e ortogonali alla superficie master.
Problemi sorgono quando la superficie “master” presenta una discretizzazione più
fine di quella della superficie “slave”. In questo caso, infatti, alcuni nodi master
possono penetrare attraverso la superficie “slave” creando delle distorsioni della
linea di contatto.
Il metodo di penalizzazione. Il metodo di penalizzazione introduce una matrice
di rigidezza complessiva con termini che comportano forze di tipo repulsivo,
perpendicolari alle superfici di contatto e applicate nei nodi del contatto stesso. Il
valore di tali forze è proporzionale alla pressione che preme sulle superfici di
contatto.
Svantaggi derivano dal fatto che se le pressioni di contatto divengono elevate,
possono verificarsi compenetrazioni inaccettabili che, in ogni caso, possono
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60
Analisi numeriche
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essere ridotte aumentando la rigidezza a scapito del passo di integrazione e quindi
del tempo di calcolo richiesto dall’analisi.
Il vincolo di contatto, quando imposto in accordo con il Metodo di Penalizzazione
(penalty approach), è attivato tramite l’introduzione di molle fittizie tra il
generico nodo slave e la superficie master. La rigidezza di queste molle fittizie
determina le forze applicate tra il nodo slave e quello master nel caso in cui si
abbia compenetrazione.
Esistono due modi differenti per il calcolo della rigidezza delle molle e la scelta
tra i due metodi avviene tramite il parametro SOFT:
1.
SOFT = 0
Penalty-based approach
La rigidezza delle molle fittizie di contatto è definita sulla base delle
dimensioni delle parti in contatto e delle proprietà meccaniche dei
materiali di cui sono costituite per determinare la rigidezza delle molle.
Questo modo di determinare la rigidezza delle molle è particolarmente
efficace quando le proprietà dei materiali in contatto sono simili. In caso
contrario, il vincolo di contatto potrebbe essere imposto in modo non
corretto – dato che, comunque, la rigidezza delle molle è,
approssimativamente, la minima tra le rigidezze delle parti in contatto.
2.
SOFT = 1, SOFT = 2
Soft Constrained-based approach
La rigidezza delle molle fittizie di contatto è definita sulla base della
massa nodale delle parti in contatto e dal passo d’integrazione.
L’indipendenza dal materiale delle parti in contatto permette di trattare
contatti tra corpi caratterizzati da materiali anche molto differenti. In
particolare,
SOFT = 1
(nodes_to_segment based algorithm) permette di
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61
Analisi numeriche
__________________________________________________________________
definire il contato fra parti con proprietà meccaniche molto differenti;
SOFT = 2
(segment_to_segment based algorithm) attiva l’algoritmo delle
biglie, pinball algorithm, che permette di trattare in modo efficace
impatti ad alta velocità.
Il metodo a parametri distribuiti. Il metodo a parametri distribuiti consiste nel
distribuire metà della massa degli elementi della parte asservita in modo da
ricoprire l’area di contatto sulla superficie della parte dominante. Lo sforzo
interno degli elementi determina una distribuzione di pressione per la porzione di
superficie dominante che riceve la massa. Completata questa distribuzione di
massa e pressione, viene aggiornata l’accelerazione della superficie della parte
dominante. Vincoli sono imposti alle velocità ed alle accelerazioni dei nodi della
parte asservita per assicurarsi che il loro movimento avvenga sulla superficie
“master”.
5.1.3 Il fenomeno dell’hourglass.
Usando elementi finiti sotto-integrati l’integrazione numerica della matrice di
rigidezza avviene valutando l’integranda in un numero di punti minore di quello
necessario, secondo la regola di quadratura di Gauss, per avere una valutazione
esatta dell’ integrale.
Utilizzando tali elementi uno dei problemi che nascono frequentemente è quello
del fenomeno chiamato hourglass. Nome questo che deriva dalla tipica forma a
clessidra che l’elemento assume quando sollecitato.
La valutazione dell’integrale necessario per calcolare la matrice di rigidezza
dell’elemento determina, da un punto di vista strettamente matematico, il fatto che
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62
Analisi numeriche
________________________________________________________
questa presenti un rango che è inferiore al numero dei gradi di libertà
dell’elemento al quale viene sottratto il numero dei gradi di libertà rigidi, o in
modo equivalente un numero di autovalori nulli superiore a quello dei modi rigidi
dell’ elemento.
All’autovalore
nullo,
quindi,
corrispondono
non
solo
gli
autovettori
rappresentativi dei modi rigidi ma altri modi detti appunto di clessidra.
A questi modi corrisponde una deformazione dell’elemento senza che questo
opponga resistenza.Non c’è nessuno sforzo.
Pertanto, anche l’energia assorbita dall’elemento è nulla e questo viola il principio
di conservazione dell’energia totale, fenomeno che si traduce nella diminuzione di
quest’ultima durante l’analisi.
La perdita d’energia può diventare rilevante nel momento in cui i modi di
hourglass si propagano negli elementi vicini, passando da un’instabilità
dell’elemento ad una di schema.
La sottointegrazione della matrice di rigidezza porta ad alcuni vantaggi nell’
ambito del metodo degli elementi finiti. Il primo vantaggio è relativo al tempo
computazionale. Il solutore impiega meno tempo nel calcolo della matrice
utilizzando meno punti di integrazione, vantaggio che diventa consistente quando
si ha a che fare con un numero elevato di elementi. Il secondo vantaggio è dovuto
al fatto che una sottostima della matrice di rigidezza rende il comportamento del
modello ad elementi finiti più simile al vero, infatti una discretizzazione del
continuo, riducendo i gradi di libertà, porta il modello a comportarsi in modo più
rigido del vero dovendo essere, la sua deformazione “vincolata” alle funzioni di
forma che interpolano i relativamente pochi spostamenti nodali calcolati.
Per mantenere questi vantaggi ma allo stesso tempo tenere sotto controllo il
fenomeno dell’ hourglass si introducono dei controlli.
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63
Analisi numeriche
__________________________________________________________________
I controlli agiscono, tipicamente introducendo una rigidezza fittizia sull’elemento,
rendendo in generale il modello ad elementi finiti più rigido di uno che non adotta
il controllo.
La necessità di un controllo può essere valutata osservando l’energia di hourglass,
in particolare questa non dovrebbe essere più di un decimo dell’energia totale.
Il solutore mette a disposizione dei controlli basati sul calcolo di una forza di
hourglass la quale risulta proporzionale agli spostamenti o alle velocità di
spostamento dei nodi, e quindi definisce i controlli rispettivamente in rigidezza e
in viscosità.
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Analisi numeriche
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Manichini Antropomorfi.
I manichini antropomorfi sono correntemente usati in fase di ricerca per la
valutazione delle conseguenze sul corpo umano causate da un incidente. Attenti e
scrupolosi studi sulla struttura del corpo umano hanno permesso di sviluppare
manichini antropomorfi in grado di riprodurre le caratteristiche biomeccaniche di
un essere umano quali dimensioni, forme, rigidezza e proprietà inerziali.
Il modello antropomorfo attualmente più evoluto ed usato è l’HYBRID III, di cui
sono disponibili varie versioni (per lo studio di differenti tipi di impatti) e varie
dimensioni.
Lo scopo del presente lavoro è stato lo sviluppo, la validazione (con riferimento
alle specifiche contenute nella normativa vigente) e l’applicazione di un modello
numerico di manichino antropomorfo Hybrid III nelle versioni 50° percentile, 5°
percentile e 95° percentile con colonna vertebrale di tipo aeronautico.
Generalità
A partire dagli inizi del secolo scorso l’avvento, lo sviluppo e la diffusione in
larga scala dei mezzi di trasporto ha reso gli spostamenti più facili che in passato.
Questo ha portato ad un rapido sviluppo tecnologico-industriale e ad una
progressiva riduzione dei tempi e dei costi di trasporto.
Parallelamente, si è registrato anche un considerevole aumento della mortalità a
causa di incidenti. Solo nell’anno 2004 sono stati registrati in Italia quasi
duecentoquarantamila incidenti che hanno interessato più di trecentoquarantamila
persone. Una grossa percentuale di questi incidenti (quasi il 99%!) sono avvenuti
in ambito stradale. Molto è stato fatto per migliorare la sicurezza dei trasporti.
Come risultato, negli ultimi 30 anni la mortalità per incidente stradale è
sensibilmente diminuita passando da venticinque a quindici morti ogni centomila
abitanti l’anno, ovvero una diminuzione del 40%.
Parlando più in generale di sicurezza, sono due gli ambiti principali in cui operare:
sicurezza passiva e sicurezza attiva.
Con il termine sicurezza passiva vengono indicati tutti quegli accorgimenti di
protezione utili per limitare i danni agli occupanti in caso d’incidente quali, per
citarne i più conosciuti, cinture di sicurezza, airbag, barre anti-intrusione laterali, e
simili.
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65
Analisi numeriche
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Con il termine di sicurezza attiva viene indicato l’insieme dei dispositivi idonei a
prevenire il verificarsi di un incidente quali, riferendosi all’ambito
automobilistico, il sistema antibloccaggio delle ruote (ABS), il sistema di
controllo attivo della dinamica di marcia (DSTC) e simili. Nello specifico della
sicurezza passiva, di notevole importanza sono le prove di impatto (meglio note
come crash test) condotte per valutare la severità degli incidenti e per sviluppare e
verificare i sistemi di sicurezza.
Lo scopo principale dei sistemi di sicurezza (passivi) è garantire, in caso di
incidente (automobilistico o aeronautico), la sopravvivenza dei passeggeri ovvero
di mantenere le accelerazioni, le forze e i momenti che si trasmettono agli
occupanti entro limiti umanamente ammissibili in modo che questi non riportino
lesioni mortali o irreversibili.
Data la pericolosità di queste prove, l’impiego di volontari umani è vietato o
limitato a prove a bassa velocità e decelerazione.
Nel corso degli anni sono stati sviluppati particolari manichini antropomorfi, gli
ATD (acronimo inglese di Attrezzatura di Prova Antropomorfa, Anthropomorphic
Test Device) che rappresentano veri e propri surrogati umani che permettono di
valutare (anche quantitativamente) le conseguenze su un essere umano di
fenomeni estremi quali impatti ad alta velocità, esplosioni, detonazioni a distanza
ravvicinata.
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66
Analisi numeriche
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Attrezzature di prova antropomorfe
(ATD)
La necessità di valutare le sollecitazioni che un corpo umano subisce durante un
incidente e stabilire dei limiti entro i quali un incidente potesse essere definito
sopravvivibile ha portato, nel corso degli anni, a condurre accurati studi
biomeccanici sul comportamento del corpo umano sottoposto alle violente
decelerazioni tipiche negli incidenti.
In larga parte queste ricerche sono state promosse dai vari Ministeri dei Trasporti
delle nazioni più sviluppate e condotte da Laboratori Nazionali in collaborazione
anche con Case Costruttrici di autovetture, treni o aeroplani al fine sviluppare
conoscenze in grado di limitare le conseguenze di incidenti caratterizzati da
impatti violenti.
Da queste ricerche sono stati raccolti dati che hanno permesso di determinare i
limiti fisiologici umani con riferimento a peso e posizione dell’occupante al
momento dell’impatto. In particolare, sono due le grandezze fisiche che si sono
dimostrate fondamentali per determinare la severità di un impatto: accelerazione
(ampiezza, direzione, durata e forma nel tempo) e carichi agenti lungo la colonna
vertebrale [6, 7] – questi ultimi di grande interesse in campo aeronautico in
relazione anche ai rischi connessi ad un impatto al suolo in condizione
d’emergenza.
Il Diagramma di Eiband
Uno dei risultati più importanti emerso della ricerca in campo di sicurezza ad
impatto è il diagramma di Eiband (Fig. 1-2).
A. Martin Eiband, ricercatore della NASA, stilò nel 1959 un rapporto che ancora
oggi rappresenta un punto di riferimento in campo di sicurezza passiva [1], in cui
vengono presentati dei diagrammi in funzione della direzione dell’ accelerazione
che delimitano regioni all’interno delle quali l’organismo umano è in grado di
sopportare accelerazioni senza subire danni permanenti.
In particolare, dal diagramma di Eiband emerge come, fra gli aspetti che
caratterizzano la decelerazione durante un impatto, è la durata della decelerazione
quello che discrimina la gravità dell’incidente. Un’accelerazione anche di
notevole intensità può esser tollerata dal fisico umano purché di breve durata.
All’aumentare della durata il limite fisiologicamente sopportabile decresce
rapidamente.
Nel diagramma di Eiband sono riconoscibili tre regioni, le quali rappresentano
rispettivamente: l’area di esposizione volontaria – in cui le accelerazioni non
provocano alcun danno all’organismo; l’area di danno moderato – in cui le
accelerazioni provocano ferite non preoccupanti per l’organismo; e l’area di
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Analisi numeriche
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danno grave – in cui le accelerazioni provocano lesioni gravi e permanenti
all’organismo. Quindi durante uno specifico impatto si manifestano accelerazioni
sull’occupante di una data intensità e durata, che si traducono sul diagramma di
Eiband in un punto nel piano.
Accelerazione [g]
1000
100
AREA DANNO
GRAVE
AREA DANNO
MODESTO
AREA ESPOSIZIONE
VOLONTARIA
10
1
0,001
0,01
0,1
Durata accelerazione [s]
1
Figura 2 : diagramma di Eiband relativo ad accelerazione orizzontale.
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Analisi numeriche
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1000
Accelerazione [g]
AREA DANNO GRAVE
100
AREA DANNO MODESTO
10
AREA ESPOSIZIONE VOLONTARIA
1
0,001
0,01
0,1
1
Durata accelerazione [s]
Figura 3 : diagramma di Eiband relativo ad accelerazione verticale.
Dai diagrammi di Eiband, emerge chiaramente come gli effetti sull’organismo
dipendono dalla direzione e dal profilo temporale dell’accelerazione.
I dati usati per tracciare i diagrammi si riferivano a prove effettuate su volontari
umani o animali sottoposti a profili temporali di accelerazione di tipo
trapezoidale.
I manichini antropomorfi
L’utilizzo di soggetti umani (vivi o cadaveri) in prove di laboratorio comporta
però numerosi inconvenienti: non ultimo la questione etica.
Come conseguenza, a partire dagli anni settanta, sfruttando le numerose
informazioni acquisite in anni di ricerca sulla meccanica e sulla fisiologia umana,
si è cercato di sviluppare attrezzature di prova antropomorfe (ATD), in grado di
sostituire l’uomo in prove di impatto. Un primo significativo risultato in questo
senso è stato l’Hybrid – in seguito rinominato Hybrid I.
Storicamente, l’Hybrid I non è il primo ATD. Alla fine degli anni quaranta, prima
dell’Hybrid I, un rudimentale manichino, denominato Sierra Sam (Fig. 3), fu
realizzato da un’azienda americana in collaborazione con l’aeronautica militare
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Analisi numeriche
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con lo scopo di simulare l’espulsione del sedile della cabina di pilotaggio di un
aereo usando una slitta spinta da un razzo. Il Sierra Sam era un ATD abbastanza
elementare e quindi non in grado di riprodurre le complesse caratteristiche
fisiologiche umane. Inoltre, la mancanza di strumentazione che potesse fornire
dati sulle sollecitazioni subite durante il fenomeno, di fatto lo resero un modello
inattuale.
ATD Sierra Sam
ATD Hybrid II
ATD Hybrid III
Figure 4 : evoluzione dei modelli antropomorfi
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Analisi numeriche
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Il primo Hybrid subì immediatamente una notevole evoluzione che portò in breve
(fine anni settanta) alla realizzazione di due nuovi modelli: l’Hybrid II e l’Hybrid
III. Differenza sostanziale tra questi due modelli di ATD è il grado di dettaglio:
l’Hybrid III è in alcune sue parti quali il collo (Fig. 4 e 5), le spalle e la spina
dorsale, più vicino all’anatomia umana.
Ci sono poi diverse versioni dell’Hybrid III che sono state realizzate nel corso
degli anni per tener conto di diversi fattori. In particolare, oltre al modello con
corporatura maschile, esistono modelli con corporatura femminile, con
corporatura di adolescenti, con corporatura di bambini e modelli specializzati a
determinati tipi di impatti, come il modello per il impatti laterali, il SID (Side
Impact Dummy) o il modello adatto per riprodurre incidenti in cui vengono
coinvolti pedoni, il POLAR II.
Inoltre, esistono diverse taglie di Hybrid III (Fig. 6). Fra queste le più diffuse nelle
prove di laboratorio sono: il quinto percentile, il cinquantesimo percentile, e il
novantacinquesimo percentile - dove “percentile” indica la percentuale di
individui che possiede una corporatura minore o uguale a quella del manichino
preso a riferimento (ad esempio, il 95% della popolazione mondiale ha
corporatura e peso inferiore o uguale a quella del novantacinquesimo percentile).
In Tab. 1 sono riportati i dati antropometrici che competono alle tre categorie di
percentile.
Figura 5 : Dettaglio del collo dell’Hybrid II.
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Analisi numeriche
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Figura 6 : Dettaglio del collo dell’Hybrid III.
Figura 7 : Famiglia di modelli Antropomorfi Hybrid III adolescenti e adulti.
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Analisi numeriche
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DATI ANTROPOMETRICI
5°
a = peso [Kg]
b = altezza [cm]
c = altezza cervicale [cm]
d = altezza testa e collo [cm]
e = altezza da seduto [cm]
f = altezza coscia [cm]
g = altezza ginocchio [cm]
h = altezza polpaccio [cm]
i = lunghezza natica-polpaccio
[cm]
j = lunghezza natica-ginocchio
[cm]
PERCENTILE
50°
95°
60.37
164.18
139.77
25.41
85.66
12.41
48.91
38.38
77.35
174.58
149.68
25.9
90.9
14.71
52.93
42.26
99
185.02
159.51
26.51
96.3
17.04
57.4
46.56
44.86
49.07
53.41
55.91
60.15
64.58
Tabella 1 : Dati antropometrici di diversi percentile dell’Hybrid III.
Lo sviluppo dell’Hybrid III riceve un forte impulso agli inizi degli anni ottanta,
quando la National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA) riconosce
Hybrid III come strumento alternativo di prova per gli accertamenti di conformità
nelle prove d’urto automobilistiche. Nel 1997, l’Hybrid III diventa l’unico
strumento di prova accettato: la possibilità di usare volontari umani viene
definitivamente abolita.
Correntemente, gli ATD Hybrid III vengono maggiormente utilizzati in collaudi
effettuati per l’industria automobilistica ed aeronautica.
La grossa differenza tra le prove effettuate da queste due categorie è la direzione
dell’accelerazione: in ambito automobilistico, le accelerazioni hanno componente
principale in direzione orizzontale; in campo aeronautico, le accelerazioni di
rilievo sono quelle verticali (ovvero dirette lungo la colonna vertebrale).
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Analisi numeriche
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Come conseguenza, le normative aeronautiche (FAA e CASA) richiedono
specificatamente che nelle prove d’impatto siano usati ATD con il tratto di
colonna vertebrale lombare rettilineo
in
modo da poter misurare mediante
apposita cella di carico la forza trasmessa dal sedile all’occupante.
Studi condotti sulla resistenza alle sollecitazioni del corpo umano hanno
dimostrato che, per un uomo appartenente alla categoria 50° percentile, superando
carichi con valore medio di 6670 N si possono avere lesioni permanenti della
colonna vertebrale tra le vertebre T12 e L2 causando, nella peggiore delle ipotesi,
anche il decesso dell’ occupante [1].
Analogamente, per corporature appartenenti alle altre due categorie di percentili,
si ha che il valore critico del carico lombare è pari a 4000 N per il 5° percentile e
8000 N per il 95° percentile.
In Fig. 7 A-B, è messo a confronto il tratto lombare di due diversi modelli di
Hybrid III: quello con il tratto di colonna vertebrale lombare rettilineo usato in
campo aeronautico e quello con il tratto di colonna vertebrale lombare curvo usato
in campo automobilistico. Presso il LAST ( acronimo di Laboratorio di Sicurezza
nei trasporti) del Politecnico di Milano, sono disponibili tre modelli di Hybrid II
50° percentile e un modello di Hybrid III 50° percentile con spina lombare
intercambiabile: curva o rettilinea.
(A)
(B)
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Analisi numeriche
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Figure 8: Tratto lombare di un Hybrid III per prove di tipo aeronautico (A) e di tipo
automobilistico (B).
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