“Himalaya L`infanzia di un capo” di Eric Valli
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“Himalaya L`infanzia di un capo” di Eric Valli
Con il patrocinio del Comune di Bologna – Quartiere Savena Approfondimento bibliografico a cura della Biblioteca “Ginzburg” Oratorio Don Bosco via B. M. Del Monte, 12 40139 BOLOGNA C.G.S. “Vincenzo Cimatti” Progetto CINEMAINSIEME in collaborazione col circolo ARCI Benassi “Uomo e natura” Una rassegna di tre film per affrontare una riflessione sulla vita. 1. martedì 11 settembre 2012 “Himalaya – L’infanzia di un capo” di Eric Valli 2. martedì 18 settembre 2012 “Voci nel tempo” di Franco Piavoli 3. martedì 25 settembre 2012 “In mezzo scorre il fiume” di Robert Redford 1 martedì 11 settembre 2012 ore 20:45 verrà proiettato, in sala audiovisivi dell’oratorio, il film “Himalaya L’infanzia di un capo” di Eric Valli SCHEDA titolo Himalaya - L'infanzia di un capo (tit. orig.: Himalaya - l'enfance d'un chef) distribuito da Lucky Red Thilen Lhondup (Tinle) [dopp. da Omero Antonutti], Gurgon Kyap (Karma) [dopp. da Christian Iansante], Lhakpa Tsamchoe (Pema), Karma interpreti Wangel (Tsiren / Passang) [dopp. da Gabriele Patriarca], Karma Tensing (Norbou / Urgien), Labrang Tundup (Labrang), Jampa Kalsang Tamang (Jampa). fotografia Eric Guichard; Jean-Paul Meurisse musiche Bruno Coulais Nathalie Azoulai; Olivier Dazat; Louis sceneggiatur Gardel; Jean-Claude Guillebaud; a Joshua Sinclair; Eric Valli regia Eric Valli Francia/GB/Svi produzione zzera/Nepal, 1999 gen. drammatico durata 1h 41' Alture del Dolpo, nella zona nord-ovest dell'Himalaya. Venuto a conoscenza della morte del figlio, Tinlè, anziano e stanco, pensa che il colpevole possa trama essere Karma, figura ambiziosa all'interno del gruppo. Per reazione, prende l'iniziativa di organizzare in prima persona la carovana di yak che come ogni anno deve mettersi in movimento per il trasporto del sale ... Concorsi e premi Questo film ha partecipato a: • • • 25 edizione Académie des arts et techniques du cinéma (César) (2000) vincendo nell* categori* migliore fotografia (a Eric Guichard), migliore colonna sonora (a Bruno Coulais); 72 edizione Academy of Motion Picture Arts and Sciences Awards (premio Oscar) (2000) concorrendo nell* categori* miglior film straniero dell'anno; 13 edizione European Film Academy Awards (2000) concorrendo nell* categori* migliore fotografia (a Eric Guichard, Jean-Paul Meurisse). Recensioni. Morandini 2010 Nella regione del Dolpo, a 4500 m di altitudine nel Tibet nepalese, c'è un villaggio di pastori e contadini che per sopravvivere trasportano periodicamente il sale, merce di scambio con il grano, nelle valli del Nepal con carovane di yak (bovide dal mantello lanoso), sfidando freddo, neve, Pag. 2 di 4 valanghe. È lo sfondo di una vicenda romanzesca, ma radicata nella cultura locale, imperniata sul conflitto tra generazioni, tra tradizioni e ragione. Prodotto da Jacques Perrin, scritto, con Olivier Dazat, e diretto da Valli, collaboratore di National Geographic, Geo e Life, autore di una decina di libri sul Nepal e il Tibet, è il frutto di 9 mesi di riprese tra il '97 e il '98 e di una accorta mescolanza tra documentario antropologico, racconto di formazione e film di viaggio con cadenze epiche nella 2ª parte. Interpreti non professionisti, tranne la bella vedova Lapka Tsmachoe (Sette anni in Tibet). Vera protagonista è la montagna. Fotografia di Jean Paul Meurisse e Eric Guichard. Doppiaggio inevitabilmente stonato.. Roberto Nepoti (“La Repubblica”, 27 novembre 2000) Eric Valli è considerato una persona seria. Fa reportage per il National Geographic Magazine e Life, pubblica libri, ha diretto pluripremiati documentari. Per realizzare Himalaya. L’infanzia di un capo, si è comportato come faceva il padre di tutti i documentaristi, il grande Robert Flaherty (chi se lo può più permettere, con i brevissimi tempi di lavorazione che corrono?): ha vissuto per mesi nei luoghi dell’azione, conoscendone i futuri protagonisti e diventando loro amico. Questa volta, però, non ha voluto realizzare un documentario, ma un film narrativo; anche se basato su una drammaturgia ridotta all’essenziale e su fatti molto reali per le popolazioni tibetane. Il film ci porta in un villaggio a nordest dell’Himalaya, a cinquemila metri d’altezza, abitato da un popolo metà contadino, metà nomade. L’unica risorsa per sopravvivere è trasportare il sale dell’alto Tibet nelle valli del Nepal, viaggiando con carovane di yak per piste a strapiombo, sfidando la neve e le valanghe. Il capo Tinlé non vuole lasciare il comando della spedizione a Karma, che ritiene responsabile della morte del suo primogenito. Karma organizza una propria carovana e parte prima della data fissata. Allora il capo ne allestisce un’altra assieme al figlio minore, il lama Norbou, e al nipote e sfida ancora una volta la montagna. La prima parte del film, più contemplativa, serve a installare i personaggi. La seconda è occupata dal lungo viaggio, che evoca quasi una lunga marcia biblica. Valli, però, preferisce definire il suo film un «western tibetano», con memorie di Jack London e di Joseph Conrad. Non ha mica torto. I cowboy a cavallo trasportavano bovini, mentre quelli degli yak portano sale; però sono molto simili il senso dell’epica, l’immanenza del pericolo, l’itinerario attraverso una natura incontaminata dalla "civiltà". Come recita il sottotitolo, «L’infanzia di un capo», il viaggio ha anche un valore iniziatico. La cosa straordinaria è che Himalaya (nominato all’Oscar due anni fa come migliore film straniero) riesca a essere tutto questo documentario antropologico, western, racconto di formazione a partire dalla realtà e senza farle violenza. Gli attori sono i veri abitanti del villaggio nepalese; i luoghi (e le altidudini) sono rigorosamente autentici. Solo nel racconto la realtà è un po’ truccata. Ma Flaherty, ai tempi di Nanook l’eschimese o dell’Uomo di Aran, non faceva forse lo stesso? Lietta Tornabuoni (“La Stampa”, 26 novembre 2000) Come produttore, l’attore Jacques Perrin ha almeno il merito di sfuggire la banalità e il cinema medio, di inseguire i grandi temi o le grandi avventure, i popoli remoti, le culture quasi ignote: stavolta ha scelto per «Himalaya» il Dolpo, un deserto minerale inaccessibile sull’altopiano tibetano a cinquemila metri di altezza, luogo segreto dai paesaggi selvatici e grandiosi, dai villaggi isolati. Un posto capace d’entusiasmare il regista francese Eric Valli, fotografo per il «National Geographic» e altri periodici, autori di libri d’immagini etnografiche. L’impresa si proponeva ambizioni inconsuete: descrivere una popolazione buddista, la sua terra, la sua cultura e insieme raccontare un’avventura epica, un western documentario. In spedizioni parallele per condurre da una zona all’altra mandrie di yak, i pelosi bufali tibetani, emerge la rivalità e si acuisce lo scontro tra due generazioni rappresentate dal vecchio capo del villaggio e dal giovane che aspira a succedergli; si accanisce la lotta tra l’uomo che vuole resistere ed esistere, e la Natura glaciale, tempestosa, nevosa della montagna; i contadini si mutano in nomadi, gli uomini comuni in eroi alla London o alla Conrad. La politica è lontana, i temi politici non vengono affrontati: la sfida è quella dell’uomo per la propria sopravvivenza nel «paese della neve». Siamo così poco abituati a simili esplorazioni geografiche, etnografiche e psicologiche, mescolate a un sentimento mistico della Natura e della propria etnia, che a tratti il film sembra avere qualcosa di nobil-pomposo-tedioso, di eccessivamente agiografico ed accomodante: ma le immagini restano meravigliose anche quando la storia si fa meno interessante. Enrico Magrelli (“Film TV”, 28 novembre 2000) Documentario flahertyano e reportage etnografico. Inchiesta fotografica e antropologica sulla vetta del mondo. Il conflitto tra padre e figlio e la disobbedienza che prepara un uomo ad essere il futuro capo. Sono alcune delle figure narrative e formali che innervano la fiaba realistica filmata da Pag. 3 di 4 Eric Valli (le sue foto sono pubblicate dal National Geographic Magazine, da Geo e da altre riviste specializzate) in un angolo inesplorato del mondo. Nel Dolpo, a cinquemila metri d’altitudine, nel Nord Est dell’Himalaya. Tra quelle vette ardite, sublimi e spoglie, in un villaggio isolato, vive una comunità di contadini che per sopravvivere deve ogni anno intraprendere un lungo viaggio per scambiare il sale con il grano di un villaggio delle pianure. Il vecchio Tinlè ha perduto il suo primogenito e non vuole lasciare a Karma il comando della carovana. Il giorno, la notte, la neve, i sassi, l'acqua, la polvere: la natura é la protagonista assoluta, la madre-matriqna di un tempo che ha il passo lento e saldo degli yak. Le facce degli attori, presi dai sentieri angusti e pericolosi, dalle case fumose e scure, dai monti, sono scolpite dal sole e dal vento. Sarà la legge della montagna a imporre la sua legge, tra sciamani, avvoltoi e segreti di un mondo così vero da sembrare inventato. Dario Zonta (“Duel”, 1 gennaio 2001) Sarebbe stato meglio se Eric Valli invece di costringere un documentario nelle maglie di un racconto a tesi lo avesse lasciato respirare, il documentario, in tutta la sua forza naturalistica. Perché quello che più non convince di questa operazione é proprio l'impianto da fiction. La narrazione della nascita di un capo, dello scontro tra il vecchio e il nuovo sa di costruzione dogmatica, di lezione scolastica. La sconcertante ripetitività dell'assunto nuoce alla struttura narrativa che in vero si fonda su pochi elementi. Uno di questi, sul quale gira l'intera vicenda, é quello della vittima espiatoria, il figlio del capo del villaggio, erede legittimo che muore incolpevolmente, lasciando "vagante" il trono e scatenando rigurgiti anarchici. Secondo la tesi accreditata dell'antropologo René Girard tutti i sistemi "sociali" si reggono sull'elezione di una capro espiatorio, per principio incolpevole, su cui far scaricare la tensione violenta della comunità. Qui avviene il contrario, ma solo apparentemente, perché l'ordine si ricostituirà sostituendo a una vittima un'altra. Si tratta del capo anziano che si immolerà lasciando la pace dietro la sua benedizione. Così l'assunto svolge i suoi effetti in un film che potremmo conservare alla memoria solo per le mirabili e incredibili riprese sulle creste dell'Himalaya (in particolare quella del passaggio lungo il lago) tanto efficaci da far sbiancare tutti gli effetti speciali dell'ultima ora. Il regista: Eric Valli Éric Valli, nato a Digione nel 1952, fotografo. Ha lavorato a lungo per “National Geographics” ed ha vissuto a lungo tra i tibetani, coi quali ha maturato l'idea di scrivere un affresco della loro cultura, affinché non venga dimenticata. Dagli abitanti del Ḍolpā, tale film è considerato il loro namdar, che in tibetano significa "libro delle memorie". Arrivederci a martedì 18 settembre, per vedere, “Voci nel tempo” di Franco Piavoli. ________________________________________________________________________________ C.G.S. “Vincenzo Cimatti” – presso Oratorio San Giovanni Bosco via Bartolomeo M. dal Monte 14, 40139 Bologna tel.051467939 sito web: http://www.donbosco-bo.it e-mail: [email protected]