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DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONONOMICHE “HYMAN P.MINSKY”
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO
PROSPETTIVE ED EFFETTI MOLTIPLICATIVI DEGLI
INVESTIMENTI NEI SETTORI AD ALTA TECNOLOGIA NELLE
ECONOMIE AVANZATE. CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL
SETTORE SPAZIALE IN EUROPA
RAPPORTO FINALE DELLA
RICERCA PER AGENZIA SPAZIALE ITALIANA
Novembre 2009
Lo studio è stato eseguito con un contratto dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI)
1 INDICE
EXECUTIVE SUMMARY…………………………………………………………………………………pag. 5
PARTE I: ANALISI DELL’INDUSTRIA SPAZIALE
CAPITOLO 1- INTRODUZIONE: DEFINIZIONI E CONCETTI…………………………………….pag. 18
1.1 DEFINIZIONE DI INDUSTRIA SPAZIALE
1.2 CARATTERI E SPECIFICITA’ DELL’INDUSTRIA SPAZIALE
1.3 CLASSIFICAZIONI INTERNE ALL’INDUSTRIA SPAZIALE
1.4 L’INDUSTRIA SPAZIALE ED IL SETTORE DEI SERVIZI SATELLITARI NELLA CONTABILITA’
NAZIONALE
CAPITOLO 2 - RAPPORTI TRA INDUSTRIA SPAZIALE, SETTORE DEI SERVIZI SATELLITARI
E RESTO DELL’ECONOMIA……………………………………………………………………………pag. 30
2.1 IL MOLTIPLICATORE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE
2.2 CATENE E PIRAMIDI DEL VALORE SPAZIALE
2.3 DALL’INDUSTRIA SPAZIALE AI BENEFICI PER I CONSUMATORI CAPITOLO 3 – L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL CONTESTO EUROPEO: ANALISI
DEGLI AGGREGATI CON DATI ASD-EUROSPACE………………………………………………..pag. 45
3.1 L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL 2007
3.2 LE TENDENZE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL DECENNIO 1998-2007
CAPITOLO 4 – L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA OGGI E LA SUA EVOLUZIONE NEL
DECENNIO 1998-2007: ANALISI CON DATI A LIVELLO D’IMPRESA………………………...…pag. 58
4.1 UNA COSTRUZIONE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL 2007
4.2 CARATTERI STRUTTURALI
4.3 LA PRODUTTIVITA’ DELLE IMPRESE CON PRODUZIONI SPAZIALI NEL 2001-2007
2 APPENDICE AL CAPITOLO 4 – DATI SULLE IMPRESE ITALIANE CON PRODUZIONI SPAZIALI PER
IL CALCOLO DELLA PRODUTTIVITA’
CAPITOLO 5 – LE ISTITUZIONI E LE POLITICHE SPAZIALI EUROPEE……………………pag. 102
5.1 LE GRANDI LINEE DELLE POLITICHE SPAZIALI EUROPEE
5.1.1 INTRODUZIONE
5.1.2 LE POLITICHE DELLO SPAZIO IN AMBITO EUROPEO
5.1.3 I RAPPORTI TRA L’UNIONE EUROPEA E L’ESA ED I LORO RUOLI
5.1.4 LE LINEE DI POLITICA SPAZIALE NAZIONALI
5.1.5 LE POLITICHE SPAZIALI DEGLI STATI UNITI: CENNI
5.2 LA POLITICA SPAZIALE DEL REGNO UNITO
5.2.1 INTRODUZIONE
5.2.2 L’ECONOMIA DEI MERCATI SPAZIALI
5.2.3 LA POLITICA SPAZIALE DEL REGNO UNITO
5.2.4 L’INDUSTRIA SPAZIALE DEL REGNO UNITO
CAPITOLO
6
–
LE
SCELTE
DELLE
POLITICHE
SPAZIALI
E
LE
POLITICHE
D’APPROVVIGIONAMENTO SPAZIALE IN EUROPA…………………………………………….pag. 137
6.1 LA FORMAZIONE DELLE POLITICHE
6.1.1 INTRODUZIONE E TENDENZE GLOBALI
6.1.2 LA POLITICA SPAZIALE EUROPEA: AUTONOMIA E COLLABORAZIONE
6.1.3 LA POLITICA SPAZIALE DEGLI USA: LEADERSHIP E CONTROLLO
6.1.4 RUSSIA, CINA E ALTRI PAESI CON PROGRAMMI SPAZIALI
6.1.5 CONCLUSIONI
6.2 L’APPROVVIGIONAMENTO SPAZIALE EUROPEO
6.2.1 LE ISTITUZIONI DELLA POLITICA SPAZIALE
6.2.2 LA SCELTA DEL CONTRAENTE (APPALTATORE) E GLI EFFETTI DELLA CONCORRENZA
6.2.3 LA SCELTA DEL CONTRATTO E L’ECONOMIA DELLA CONTRATTAZIONE
6.2.4 LE POLITICHE ED I TREND DI APPROVVIGIONAMENTO DELLA NASA E
DELL’ESA
6.2.5 CONCLUSIONI
6.3 ECONOMIA DELLE COLLABORAZIONI INTERNAZIONALI
PARTE II : I MODELLI ED UN’ANALISI EMPIRICA DEGLI EFFETTI DEI
SETTORI HIGH TECH SULL’ECONOMIA
3 CAPITOLO 7 – CONCETTI E MODELLI DELL’ECONOMIA MAINSTREAM PER L’ANALISI
DEGLI SPILLOVERS TECNOLOGICI………………………………………………………………..pag. 212
7.1 IL PROGRESSO TECNICO ED I SUOI SPILLOVERS
7.1.1 PROGRESSO TECNICO, PRODUTTIVITA’ TOTALE E R&S
7.1.2 GLI SPILLOVERS DELLA TECNOLOGIA: DEFINIZIONI E TIPOLOGIE
7.1.3 MODELLI PER LA ANALISI DELLA R&S IN PRESENZA DI SPILLOVERS
7.2 SPILLOVERS INTERNI ALLE IMPRESE E AL SETTORE SPAZIALE
7.3 LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELLE IMPRESE CON PRODUZIONI SPAZIALI:
PRODUTTIVITA’, R&S E REDDITIVITA’
CAPITOLO 8 – IL PROGRESSO TECNOLOGICO ED I SUOI SPILLOVERS SECONDO I MODELLI
EVOLUTIVI………………………………………………………………………………………………pag. 240
8.1 INTRODUZIONE
8.2 LE IPOTESI DI BASE DELL’APPROCCIO EVOLUTIVO
8.3 LE PROPRIETA’ DELL’INNOVAZIONE E DEL PROGRESSO TECNOLOGICO NELL’APPROCCIO
EVOLUTIVO
8.4 GLI EFFETTI DELL’INNOVAZIONE, GLI SPILLOVERS E I FLUSSI DI CONOSCENZA
8.5 CONCLUSIONI
CAPITOLO 9 – LE ESTERNALITA’ DELLE SPESE IN R&S: ANALISI EMPIRICA…………...pag. 270
9.1 INTRODUZIONE
9.2 LE BANCHE DATI E LE VARIABILI
9.2.1 LE BANCHE DATI
9.2.2 LE VARIABILI
9.3 L’ANALISI UNIVARIATA DEI DATI A PREZZI COSTANTI
9.3.1 LE STATISTICHE DESCRITTIVE
9.3.2 LE CORRELAZIONI
9.4 L’ANALISI MULTIVARIATA
9.4.1 I MODELLI EMPIRICI
9.4.2 METODOLOGIA
9.4.3 ANALISI DEI RISULTATI DELLE STIME OTTENUTE
9.5 ANALISI DEI BREVETTI: ENTROPIA E DIVERSIFICAZIONE TECNOLOGICA
9.5.1 DESCRIZIONE DELLA BASE DI DATI
9.5.2 METODOLOGIA
9.5.3 L’ANALISI DELL’ENTROPIA
9.6 CONCLUSIONI
CAPITOLO 10 – CONCLUSIONI GENERALI.....................................................................................pag. 320
4 COLLABORATORI DELLA RICERCA................................................................................................pag. 322
EXECUTIVE SUMMARY La presente ricerca si è organizzata lungo due direttrici. La prima (capitoli 1 – 6) è stata
indirizzata, in primo luogo, ad una messa a fuoco dei caratteri dell’industria spaziale e dei suoi
rapporti con il resto dell’economia (capitoli 1-3) e, in secondo luogo, alla formulazione del quadro
recente dell’industria spaziale italiana nel contesto europeo (capitoli 3-4) con un approfondimento sul
ruolo svolto dalle politiche spaziali nel sostegno di quell’industria (capitoli (5-6). La seconda direttrice
della ricerca (capitoli 7 - 9) si è rivolta invece alla formulazione dei concetti e delle teorie utilizzate
dagli economisti per spiegare e misurare il fenomeno degli spillovers tecnologici, come passo
preliminare ad un’ampia ed approfondita verifica empirica di questo fenomeno relativamente agli
spillovers dei settori ad alta tecnologia (tra i quali spicca quello spaziale) nei confronti del resto del
settore manifatturiero negli ultimi venticinque anni.
Nel capitolo 1 si presenta una definizione di industria spaziale e si stabilisce la terminologia
che verrà usata. Nel presente rapporto il termine “industria spaziale” (ISP) viene riservato al settore
che produce i satelliti e con essi i loro lanciatori e attrezzature di terra. Con il termine “settore
spaziale” ci si riferirà invece all’insieme dell’ISP e del variegato e ben più ampio settore dei servizi
satellitari. Useremo però anche una terminologia abbastanza diffusa che parla di settore spaziale
upstream per riferirsi all’ISP e di settore spaziale downstream per il settore dei servizi satellitari.
In questo rapporto ci si concentrerà sull’industria spaziale perché essa, a differenza del settore
dei servizi spaziali, costituisce una fonte significativa di spillovers tecnologici che rappresentano,
come si vedrà, il contributo principale che le attività spaziali possono dare all’economia, in aggiunta al
valore dei beni prodotti.
L’industria spaziale si distingue per il carattere fortemente sistemistico dei suoi prodotti
(satelliti e lanciatori) e l’elevato livello tecnologico delle loro componenti. Questo carattere ne fa
un’industria con un profonda struttura verticale che da luogo, in funzione dei costi relativi delle
transazioni, ad un network di grandi imprese sistemiste e sub sistemiste e di PMI produttrici di
apparecchiature e componenti. L’industria spaziale è anche un’industria non solo ad alta tecnologia
ma che spazia su una vasta gamma di tecnologie sofisticate (apparecchi di TLC, sensori, robot, ecc.)
che danno luogo più che ad un prodotto ad una tipologia di prodotti (a seconda delle applicazioni del
satellite), ottenuti in quantità limitate. Inoltre ogni tipo di prodotto viene continuamente rinnovato dal
progresso tecnico. Un dato indicativo dell’intensità di ricerca di un settore è il rapporto tra spese per
R&S e valore della produzione. Questo rapporto raggiunge il 14% nel settore spaziale upstream,
5 contro un 3-4% in quello downstream; un 11% nell’aerospazio; un 4-5% nel complesso dei settori
high-tech e meno dell’1% nel settore manifatturiero.
Una conseguenza diretta del forte investimento in R&S per la progettazione, effettuato prima
dell’inizio del ciclo produttivo di un nuovo satellite, è il fenomeno delle economie di scala, cioè di un
costo medio che risulta funzione decrescente della quantità cumulativa prodotta. Economie di scala e
diversificazione dei prodotti comportano che i mercati commerciali dei satelliti siano caratterizzati da
forme di concorrenza monopolistica o oligopolio.
Un’altra caratteristica fondamentale dell’ISP è il ruolo determinante dell’operatore pubblico
che si manifesta attraverso la domanda pubblica per beni sociali (ricerca scientifica ed esplorazione
dello spazio, difesa, tutela dell’ambiente, ecc.) e per la promozione dello sviluppo economico; il
finanziamento pubblico della ricerca delle imprese e la ricerca pubblica intramurale; ed una gamma
di politiche industriali (impresa pubblica, domanda riservata ai “campioni nazionali”, ecc.).
Nel capitolo 2 si analizzano in maniera dettagliata i rapporti tra, da un lato, l’ISP e, dall’altro,
il settore dei servizi satellitari ed il resto dell’economia. Un primo tipo di rapporto riguarda gli effetti
di un investimento spaziale sui settori
a monte dell’ISP. cioè quelli
che gli forniscono
beni
intermedi. L’uso di un moltiplicatore input-output dell’investimento spaziale consente di tenere
conto non solo dei suoi effetti diretti (il cosiddetto “indotto”) ma anche di quelli via via più indiretti.
Un elevato moltiplicatore è spesso preso come un argomento in più a favore di ogni tipo
d’investimento ma, ad un esame attento, questa conclusione risulta valida solo in contesti particolari
(ad es. risorse inutilizzate a livello locale). Essa non è invece applicabile in un contesto generale di
risorse produttive normalmente utilizzate.
Guardando a valle dell’ISP si è portati ad evidenziare la presenza di “catene” o “piramidi” del
valore, ottenute confrontando un settore spaziale upstream , di dimensioni molto piccole, con dei
tipicamente molto più grandi settori spaziali downstream. Per quanto utili come informazioni
empiriche questi dati non devono indurre a pensare che gli investimenti nell’ upstream si moltiplicano
in fatturati nel downstream, visto che questi vengono a dipendere in modo determinante anche dagli
sviluppi della domanda pubblica e privata.
Nel capitolo si attira invece l’attenzione sul fatto che il sistema satellite è un bene capitale che
fornisce vari tipi di servizi, per cui ogni innovazione che migliora questo prodotto si traduce in effetti
in servizi di migliore qualità che aumentano il benessere (o surplus) netto dei consumatori (ricordando
qui che quello privato è più facilmente misurabile di quello pubblico, perché è più facile applicare il
metro monetario al primo di quanto non lo sia per il secondo). Quest’aumento di benessere rappresenta
il rendimento sociale dell’investimento spaziale nella ricerca, sviluppo e produzione del nuovo
prodotto e verrà suddiviso tra consumatori e proprietari delle imprese produttrici dei satelliti ed
erogatrice dei servizi a seconda di come si formano i prezzi sui mercati. Questo modo di guardare alle
6 conseguenze degli investimenti spaziali porta naturalmente a suddividere il loro rendimento
complessivo o rendimento sociale tra :
(i)
Rendimento per l’impresa che lo ha effettuato o rendimento diretto
(ii)
Rendimento per altre imprese che “copiano” o rendimento indiretto
(iii)
Surplus o rendimento per i consumatori.
Ad ogni tipo di rendimento corrisponde un tasso di rendimento. I pochi studi di caso, a causa
dell’alto costo della raccolta dei dati rilevanti, che hanno studiato situazioni simili alla nostra (come
quella delle vendite di mainframe PC a banche e assicurazioni) hanno fornito risultati interessanti
(elevati tassi di rendimento) e sarebbe interessante applicarli anche al settore spaziale.
Nei capitolo 3 si da un quadro sostanzialmente quantitativo e quindi sintetico dell’industria
spaziale italiana che risulta essere la terza in Europa subito dopo la Germania. Anche nel nostro paese
l’ISP si è sviluppata in gran parte all’interno di imprese o gruppi aeronautici e della difesa e con i suoi
4.000 addetti incide per quasi il 10% sull’industria aerospaziale italiana, vale a dire in misura
maggiore di quanto avviene per l’Europa (6%; dati ASD-Eurospace). L’ISP italiana presenta una
dipendenza dalla domanda istituzionale europea civile ben maggiore (2/3 contro 1/3) di quella delle
ISP di Francia e Regno Unito, ma simile a quella della Germania. Un altro dato significativo, in
qualche misura correlato al precedente riguarda la composizione della produzione: in Italia la quota
dei satelliti sul fatturato consolidato dell’ISP (45%) è proporzionalmente simile a quella della
Germania (48%), ma nettamente inferiore a quelle di Francia (70%)e Regno Unito (87%).
Questi dati rinviano a verificare le potenzialità delle imprese, grandi e piccole, dell’ISP
italiana di svilupparsi maggiormente nel settore commerciale e, ancor più, di espandersi attraverso
spinoffs (vedi sotto il capitolo 7) nei settori dei servizi satellitari commerciali, in presenza di una
domanda commerciale che dopo la contrazione del 1998-2003 sta dando segnali sempre più forti di
ripresa (nonostante la crisi globale!).
Un’ultima indicazione interessante dei dati sulle tendenze recenti (1998-2007) di vendite e
occupazione è quella di una sostanziale stazionarietà della produttività del lavoro (vendite reali per
addetto) nell’ISP italiana ed europea, come illustrato nella seguente figura che ne riporta i valori in
migl. € a prezzi 2000
7 Nel capitolo 4 si va dietro ai dati aggregati per l’ISP italiana, offerti da ASD-Eurospace, e si
ricostruisce quest’industria individuando attraverso varie fonti pubbliche (associazioni di categoria,
siti internet, stampa del settore, ecc.) le imprese con attività spaziali, in numero di 20. Poiché le attività
produttive spaziali sono spesso svolte da imprese impegnate anche in altre attività, tipicamente ma non
sempre aerospaziali, e poiché normalmente non sono disponibili dati pubblici disaggregati sulle
attività svolte all’interno delle imprese, la costruzione del quadro empirico dell’industria spaziale è
stata decisamente laboriosa. E’ stato comunque possibile calcolare i fatturati spaziali di tutte le venti
imprese, ottenendo il quadro riportato nella seguente tabella:
8 Fatturato
spazio Fatturato
totale % fatturato spazio
(000 €)
(000 €)
Alenia SIA SpA
2.105
21.046
10
AVIO SpA
220.303
1.540.578
14
CESI SpA
7.040
70.399
10
Elsag Datamat SpA
57.742
481.187
12
Galileo Avionica SpA
66.062
550.519
12
IRCA SpA
36.856
245.709
15
Microtecnica Srl
12.519
125.191
10
Rheinmetall Italia SpA
13.779
38.275
36
Telespazio SpA
105.047
312.641
34
Thales Alenia Space Italia SpA
576.995
576.995
100
Vitrociset SpA
43.874
141.529
31
Totale grandi imprese
1.142.322
4.104.069
28
Aerostudi
1.046
1.743
60
Aurelia Microelettronica
100
995
10
CAEN Aerospace
1.017
1.017
100
Carlo Gavazzi Space
33.464
33.464
100
Dataspazio
5.899
5.899
100
Next Ingegneria dei Sistemi
6.267
12.533
50
Space Engineering
9.896
9.896
100
Space Software Italia
8.297
10.371
80
Top-Rel
15.729
15.729
100
Totale PMI
81.715
91.647
89
Totale ISP-20
1.224.037
4.195.716
29
Grandi imprese (≥ 250)
PMI (< 250)
Da questa tabella si vede che l’ISP italiana può contare su importanti imprese sistemistiche e
sub sistemistiche, radicate in gruppi aerospaziali con solide tradizioni tecnologiche (Finmeccanica), ed
è saldamente inserita nel contesto europeo con la presenza di Thales Alenia Space Italia, uno dei due
player che ne dominano il mercato dei satelliti. Essa può però contare anche su un nucleo di PMI con
elevate competenze di nicchia.
9 La disponibilità di dati di bilancio(su valore aggiunto, capitale ed occupazione complessive:
spaziali e non) per le venti imprese dell’ISP italiana, ha permesso di valutare (adottando una delle
metodologie economiche standard), in aggiunta alle tendenze delle produttività parziali del lavoro
(valore aggiunto reale su lavoro: Y/L) e del capitale (valore aggiunto reale su capitale reale: Y/K), la
produttività totale dei fattori (A), un ingrediente fondamentale della competitività sui mercati. Il
risultato, esposto nella seguente figura
110
100
Y/L
90
A
Y/K
80
70
60
50
2001
2004
2007
La figura mostra chiaramente che la produttività totale, nel periodo in esame, è stata
determinata dal fattore tipicamente congiunturale del grado di utilizzazione della capacità produttiva,
diminuita nel primo sottoperiodo e aumentata nel secondo. Essa lascia però mostra anche che non c’è
stata una tendenza di fondo all’aumento rinviando così alla verifica empirica dei ruoli giocati dai vari
fattori potenzialmente associati a quella produttività: intensità della R&S (rapporto tra spesa per R&S
e valore della produzione), qualità del lavoro (rapporto laureati su totale degli occupati, ecc.), capacità
competitiva (quote di mercato commerciale o estero), grado di utilizzazione delle risorse produttive e
possibilmente altri.
Nel capitolo 5 si analizzano l’impostazione ed alcune caratteristiche speciali della politica
spaziale europea, dovute al ruolo predominante della collaborazione internazionale che in buona parte
è avvenuta e avviene attraverso la European Space Agency (ESA), alla quale si è affiancata in tempi
più recenti l’Unione europea (UE). L’importanza di questo tipo di analisi è dovuta al fatto che la
domanda spaziale pubblica, che è il terminale verso il mercato della politica spaziale, è sempre stata e
resta tuttora la componente predominante della domanda per l’ISP europea, rappresentando un 3/5
della sua domanda complessiva nel 2007.
Nella prima parte del capitolo 5 viene offerta una breve rassegna storica delle politiche
spaziali europee e dei ruoli giocati dall’ESA, dalla Commissione europea e dai governi nazionali, con
10 quello francese in primo piano, nei loro sviluppi. Il tema che emerge è l’ampiezza dello spettro di
quelle politiche, che vanno dalla promozione dello sviluppo industriale e dal soddisfacimento di
precise domande di beni privati (TV satellitare, ecc.) e pubblici (tutela dell’ambiente, ecc.) alla
promozione della ricerca scientifica e dell’esplorazione spaziale. Nel complesso si può dire che le
politiche spaziali europee hanno cercato di procedere sui binari paralleli degli investimenti spaziali coi
piedi per terra (se così si può dire!) mirati a specifici rendimenti economici e di quelli motivati da una
visione più ampia e di lungo periodo, che vede nel progresso della conoscenza il fattore di fondo,
indispensabile per i futuri progressi della tecnologia.
Nella seconda parte del capitolo 5 viene invece offerto un esame della politica per l’industria
spaziale del Regno Unito, che rappresenta invece un esempio importante di un approccio allo spazio
user-driven, cioè di un approccio che punta alla promozione di attività industriali rivolte a ben precise
domande dei mercati. Si tratta di un esempio di successo che si è manifestato non solo nelle posizioni
di eccellenza internazionale raggiunte da varie imprese del Regno Unito nella produzione di satelliti,
ma anche e soprattutto nella crescita e vitalità del settore dei servizi satellitari (in grande prevalenza di
TLC).
In un paragrafo metodologico si richiama il contributo che può dare l’analisi economica delle
scelte pubbliche nel campo delle politiche spaziali. Questa rivela come gli interessi dei vari attori
(pubblico, politici, esponenti del mondo scientifico ed industriale) può portare al sostegno pubblico a
programmi d’investimento che il mercato non farebbe, senza il supporto di convincenti analisi e dati
economici. Da ciò non segue la conclusione di abbandonare quel tipo di investimenti, ma ne segue
l’esigenza di giustificarli con argomenti il più possibile convincenti. E questo è un tema che ha
ispirato la presente ricerca.
Il capitolo 6 prosegue il discorso sulle politiche spaziali del capitolo 5 approfondendone una serie di
temi. Il primo riguarda il fatto che le politiche spaziali incidono non solo sulla domanda ma anche
sullo sviluppo della struttura produttiva dell’ISP, intesa sia come base industriale per i programmi con
obiettivi pubblici, civili e militari, sia come fonte di spin-offs di nuove attività produttive nel settore
dei servizi satellitari (su questo tema si ritorna nel capitolo 7).
Il secondo tema riguarda il ruolo (non esclusivo beninteso, ma reale) del fattore economico
nell’operare dell’ESA. Anzitutto la collaborazione dei paesi europei nel campo spaziale civile
attraverso quest’agenzia è necessaria per l’impossibilità di ogni singolo paese europeo a sostenere con
la sola sua domanda ed il suo solo contributo finanziario i costi ed i rischi dei programmi spaziali. Si
evidenzia poi la complessità di questa collaborazione, che fa sì che le istituzioni preposte alla
collaborazione spesso “vengano dopo” le iniziative con cui vari paesi europei, unilateralmente o
bilateralmente, avviano nuovi progetti. Il tema dei costi economici delle collaborazioni internazionali,
11 intesi come costi delle transazioni, è affrontato in una sezione a parte (sezione 6.3) dove viene messo a
fuoco, con un semplice esempio numerico e un richiamo dell’esperienza del progetto Galileo.
Il terzo tema riguarda la natura strategica globale degli obiettivi delle politiche spaziali e i loro
stretti intrecci, in virtù della natura massimamente duale del satellite . Spostandosi al livello mondiale
si notano gli sforzi significativi e le allocazioni delle risorse da parte degli USA per il controllo e il
dominio dello spazio, facendo attenzione ad assicurarne la funzionalità, mentre gli altri principali paesi
spaziali cercano di sviluppare le proprie capacità e di raggiungere un’autonomia. In secondo luogo si
nota come la natura dual-use delle attività strategiche, come avviene nel caso dei sistemi di
posizionamento, osservazione terrestre e controllo dello spazio esterno, può essere considerata
vantaggiosa per lo sviluppo di mercati commerciali, che potrebbero così godere di servizi più precisi e
affidabili. Per contro, i rilevanti servizi militari e di sicurezza devono prendere in considerazione
questa “proliferazione” di servizi strategici sui mercati commerciali. Al riguardo si può concludere che
il settore spaziale aumenterà la sua importanza per la sicurezza nazionale e globale, data la
proliferazione di capacità e politiche per lo sviluppo di nuovi sistemi.
Il quarto tema (sviluppato ampiamente nella sezione 6.2) riguarda il rapporto tra l’acquirente
pubblico e l’impresa fornitrice o appaltatrice. Questo può assumere una varietà di forme che vanno
dall’impresa pubblica, alla PPP (Private Public Partnership) al contratto di acquisto. Relativamente a
quest’ultimo viene offerta un’analisi assai articolata (vedi sezione 6.2) delle implicazioni per costo e
prezzo dei tipi di contratti (prezzo fisso, tetto di prezzo convertibile in prezzo fisso, cost plus, ecc.)
usati soprattutto da NASA ed ESA. Più che le varie conclusioni di carattere tecnico, merita qui di
ricordare delle conclusioni di carattere più generale:
1. Sembrerebbero esserci dei costi sostanziali per il monitoraggio dei contratti. Ciò ha portato la
NASA ad usare agenti specializzati (DoD) per monitorare e gestire i processi rilevanti con
l’uso di strumenti sofisticati quali lo Earned Value Management System “aumentato” dalle
implicazioni di prezzo (EVMS-P). La mancanza di informazioni pubbliche disponibili sui
contratti di approvvigionamento nel settore spaziale europeo rende difficile fare analisi
rilevanti ed esprimere giudizi di efficienza; una maggiore trasparenza faciliterebbe una
valutazione più rilevante.
2. ESA sembra seguire un approccio rivolto al collocamento diretto di sottocontratti e questo
sembra che elimini alcuni degli effetti negativi del consolidamento industriale, ripristinando
l’equilibrio dei poteri nelle negoziazioni tra i prime contractors e le PMI. Le implicazioni di
questo approccio per la politica industriale ESA del juste retour non sono chiare. Inoltre
questo processo ha come risultato che l’ESA gestisce indirettamente i subappaltatori nei
programmi, e ciò pone problemi di attribuzione della responsabilità contrattuale, in quanto
l’appaltatore primario ha la responsabilità sull’esecuzione di tutto il programma
12 Nel Capitolo 7 si parte dal presupposto stabilito nel capitolo 2 secondo il quale la valutazione dei
benefici, privati e pubblici, di un investimento pubblico spaziale si può basare anzitutto su una loro
misura monetaria il che non deve escludere, possiamo qui aggiungere, la considerazione di altre
valutazioni di carattere più generale quali quelle strategiche o quelle riguardanti il progresso della
scienza di base e dell’esplorazione spaziale o anche quelle, sicuramente meno valide delle precedenti,
del “prestigio nazionale”. L’importante è che le differenti giustificazioni e le loro implicazioni siano
chiaramente distinguibili tra loro.
Una volta fissato l’obiettivo diretto dell’investimento spaziale resta da verificare quanto esso
sia rafforzabile, nei confronti di altri investimenti pubblici, dalla considerazione che esso può generare
benefici derivanti dalla circostanza che la sua (predominante) componente di R&S genera conoscenze
che, per la loro natura di bene pubblico, possono essere utilizzate in altri settori produttivi, con effetti
positivi sulle loro produttività. E’ questo il tema degli spillovers della conoscenza che costituiscono
l’oggetto centrale di questa ricerca. Ricollegandoci alle nozioni di rendimento dell’investimento
nell’innovazione di prodotto del capitolo 2, la considerazione degli spillovers tecnologici introduce
oltre al rendimento realizzato lungo la catena produttiva che va dal settore del bene capitale(satellite)
a quello dei suoi servizi ed alla variazione del benessere dei consumatori finali, anche il rendimento
da spillovers realizzato in una molteplicità di altri settori manifatturieri e dei servizi.
Nella sezione 7.1 viene richiamato lo schema concettuale mediante il quale l’economia
mainstream ha definito la successione degli effetti, che dall’investimento in R&S porta al suo
rendimento. Si tratta di un semplice schema teorico elaborato inizialmente da autori come Zvi
Griliches, M.I. Nadiri e sviluppato ed usato con successo nelle verifiche empiriche fino ai giorni
nostri. Questo schema si basa in sostanza sul concetto di una funzione di produzione (da noi utilizzata
per il calcolo della PTF dell’ISP nella sezione 4.3) “aumentata” dagli input (i) del capitale “interno” di
R&S di un’impresa o industria; e (ii) del capitale della R&S “importata” da altre imprese o industrie
ovvero gli spillovers. Con ciò si riesce a calcolare di quanto aumenta il prodotto per effetto di un
aumento degli spillovers, cioè a calcolare il loro rendimento.
Le verifiche empiriche delle ipotesi che (i) la R&S ha un significativo impatto sulla
produttività e (ii) quest’impatto è imputabile ai suoi spillovers in misura maggiore di quella imputabile
ai suoi effetti diretti nell’impresa o industria in cui è stata effettuata, hanno dato risposte costantemente
positive, pur nella grande diversità di periodi, paesi e particolari varianti del modello di base
impiegate.
L’analisi precedente è applicabile al rapporto tra la R&S dell’ISP e le imprese o industrie
esterne. Nelle sezioni 7.2 e 7.3 si ricorda comunque l’importanza degli spillovers anche all’interno di
una stessa impresa o del network delle imprese che formano l’ISP, la cui attenta gestione da parte della
politica economica può contribuire molto alla loro produttività. Al riguardo si ricorda che le politiche
di sviluppo di successo in altri paesi europei, grandi (Regno Unito) e piccoli (Norvegia, Danimarca)
13 hanno mostrato la centralità (i) del sostegno continuo della R&S (effettuata molto anche tramite i
contratti con ESA)di base non solo delle grandi imprese ma anche delle PMI; e (ii) della disposizione
ad operare su mercati commerciali più concorrenziali di quelli pubblici, ancora fortemente segmentati
per paese.
La lettura del capitolo 7 va integrata con quella del capitolo 8 nel quale vengono presentati gli
elementi di una teoria del progresso tecnico che è da molti ritenuta una teoria alternativa a quella
mainstream sulla quale si è basata la nostra ricerca. Una sua attenta lettura e confronto con l’analisi
riassunto nella sezione 7.1 ci sembra che mostri come la teoria evolutiva possa invece svolgere un
utile richiamo a non dimenticare che la realtà della produzione, della circolazione e dell’impatto
economico della conoscenza è più complessa di quelle che risulta dalle ipotesi su cui sono basati i
modelli qui presentati e le verifiche empiriche condotte nel capitolo 9. Tuttavia il compito di un
modello teorico è quello di evidenziare gli aspetti fondamentali della realtà studiata e quello qui
adottato sembra finora avere svolto bene il suo compito.
Nel capitolo 9 partendo da dati OECD e EU KLEMS, su 27 settori e per un periodo di tempo
che va dal 1980 al 2006 (periodo che si restringe se nelle analisi si vogliono inserire i dati sull’high
skilled labour (1980-2005), sugli stock di R&S (1980-2003) e sui brevetti (1980-1999)), il principale
obiettivo dell’analisi empirica presentata in questo capitolo è quello di catturare quantitativamente gli
spillover che la ricerca e sviluppo (R&S) e i processi innovativi in generale dei settori high-tech hanno
sulla performance del settore manifatturiero.
Già nei risultati dell’analisi uni variata si trova una prima indicazione del fatto che gli
investimenti in R&S, unitamente alla presenza di skills elevate, portino a migliori performance
economiche. Questo si pone in evidenza quando l’oggetto di studio sono i macro-settori dell’high tech,
del medium-high tech e del low tech. E’, infatti, nei settori ad alta tecnologia, dove le spese e gli stock
di ricerca e sviluppo, il numero di brevetti prodotto e le competenze dei lavoratori sono superiori (in
particolare se si osservano gli investimenti effettuati per dipendente), che si registrano un valore
aggiunto e una produttività del lavoro più alti. Anche le correlazioni prese in esame verificano
l’esistenza di un legame significativo e positivo tra investimenti in R&S e performance di settore, che
si perde, però, quando si considera il settore low tech per quanto riguarda la produttività del lavoro.
Le elaborazioni a prezzi costanti hanno permesso, inoltre, di portare in evidenza una struttura
temporale che sembra mostrare un aumento degli effetti degli investimenti in ricerca e sviluppo al
passare degli anni. Quando, poi, si prende in considerazione la correlazione tra investimenti in R&S e
produzione di brevetti del settore high-tech e la performance del settore manifatturiero (escluso l’hightech) possiamo notare che la correlazione è significativa e positiva ad eccezione dei tassi di crescita
delle variabili. Queste correlazioni sono una prima indicazione dell’esistenza di significativi spillovers
14 della ricerca e sviluppo finanziata e condotta nel settore high-tech sulla performance
del
manifatturiero.
Una conferma ulteriore e più robusta la si trova con l’analisi multivariata. Comunque si
misurino le attività innovative svolte all’interno del settore high-tech (in livelli o in crescita,
utilizzando i brevetti o le spese in R&S, o la quota di high-skill labour), un loro incremento sembra
portare ad un incremento in una qualsiasi delle proxy della performance del settore manifatturiero
(produttività del lavoro, crescita del valore aggiunto per dipendente, e crescita della produttività del
lavoro). Questo effetto diretto e positivo suggerisce l’esistenza di spillover di tipo tecnologico tra i
settori high-tech e il resto del manifatturiero. I miglioramenti della conoscenza e delle competenze
tecnologiche che si raggiungono nel settore high-tech hanno effetti diretti e positivi sulla performance
del settore manifatturiero,per cui gli investimenti in attività innovative del settore high-tech non porta
vantaggi in termini economici solo al settore high-tech, ma a tutti gli altri settori del manifatturiero. In
particolare, quello che emerge dai dati, è che c’è una relazione tra la dinamica degli investimenti in
attività innovative e la dinamica della performance del manifatturiero: la crescita negli investimenti in
attività innovative porta ad una crescita nella performance.
Infine, anche le analisi sull’entropia dei brevetti richiesti e concessi alle aziende facenti parte
del settore aerospaziale portano a conclusioni a sostegno dell’esistenza di spillovers positivi delle
spese in R&S dell’high tech sul settore manifatturiero nel suo complesso. I risultati mettono, infatti, in
evidenza che le imprese del settore aerospaziale sono sulla frontiera di molte ( se non quasi tutte) aeree
tecnologiche. Le loro conoscenze e il loro know-how spazia da aeree che costituiscono il core della
loro conoscenza tecnologica ad aeree decisamente più lontane e che potrebbero sembrare non avere
nulla a che fare con l’aerospazio. Infatti i brevetti richiesti dal settore aerospaziale vengono classificati
in molte classi tecnologiche assai diversificate tra di loro, per cui è plausibile pensare che si
verifichino esternalità di tipo tecnologico tra il settore aerospaziale e gli altri settori manifatturieri. In
un caso come questo, è infatti facile immaginare che gli spillovers di conoscenza tecnologica dai
settori aerospaziali siano facili e rilevanti. Le conoscenze tecnologiche sviluppate all’interno delle
imprese aerospaziale possono passare senza grande difficoltà in settori economici che nulla hanno a
che fare con l’aerospazio, proprio perché le avanzate competenze tecnologiche sviluppate dalle
imprese aerospaziale vanno a influire in modo significativo sulle conoscenze di aree tecnologiche tra
loro assai diversificate.
L'approccio evolutivo e la SYS offrono strumenti interpretativi importanti per comprendere,
qualificare e distinguere gli effetti “indiretti” (spillover) dell'innovazione. In estrema sintesi, questo
approccio riconosce ed enfatizza che il progresso tecnologico non esaurisce il proprio impatto
all'interno di una singola impresa o di un singolo settore. Al contrario, la natura cumulativa
dell'innovazione implica l'instaurarsi di feedback positivi che possono potenzialmente portare ad una
crescita tecnologica sostenuta e non lineare. Tuttavia, la comprensione delle sostanziali differenze tra
15 informazione e conoscenza porta ad una analisi più approfondita delle modalità di creazione e
diffusione di nuove tecnologie e del loro impatto successivo. In particolare, occorre riconoscere che i
flussi di conoscenza passano attraverso una molteplicità di canali e in ogni caso sono strutturati da
variabili di mercato, organizzative, sociali ed istituzionali. Gli effetti indiretti dell'innovazione sono
inoltre determinati dalle caratteristiche specifiche di ciascun paradigma e regime tecnologico e dai
livelli e distribuzione delle competenze tecnologiche.
CONCLUSIONI GENERALI
1. Il fenomeno dell’importanza degli spillovers tecnologici dai settori high tech e dall’industria
spaziale in particolare risulta appurato attraverso una pluralità di modelli teorici e di verifiche
empiriche. Esso rappresenta quindi una variabile che va tenuta presente in ogni valutazione
“indipendente” della politica spaziale europea e delle sue implicazioni su domanda, finanziamento
pubblico alla ricerca, politiche industriali
2. Il fenomeno degli spillovers interni all’industria spaziale o, come vengono talvolta chiamati,
spinoffs è a sua volta appurato ed importante, anche se necessità di una quantificazione più precisa. La
sua considerazione da parte delle autorità responsabili può aiutare a formulare politiche di promozione
industriale dell’industria spaziale , congiuntamente con la promozione del settore dei servizi spaziali,
su una base di investimenti di R&S derivanti da contratti ESA e/o nazionali.
3. La varietà delle applicazioni spaziali richiede una pianificazione degli investimenti dell’ASI, anche
attraverso i suoi contributi ad ESA, che distingua chiaramente e faccia delle scelte di priorità tra, da un
lato, le diverse missioni pubbliche e la missione della promozione della loro base industriale; e
dall’altro, una politica industriale di promozione del settore spaziale. Nella formulazione di queste
scelte dovrebbero essere considerate le diverse intensità di spillovers dei progetti.
16 PARTE I : ANALISI DELL’INDUSTRIA SPAZIALE
17 CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE: DEFINIZIONI E CONCETTI
Nella sezione 1.1 di questo capitolo introduttivo daremo le nostre definizioni di settore o
economia spaziale, di industria spaziale (ISP) e di settore dei servizi satellitari (SESAT), che sono in
sostanziale accordo con quelle adottate dai principali enti internazionali e nazionali che si occupano a
vario titolo di economia spaziale. Nelle sezioni 1.2 e 1.3 vedremo invece come le caratteristiche
dell’industria spaziale ovvero la componente upstream dell’economia spaziale derivino in buona parte
dal fatto che il suo prodotto centrale, il satellite, è un sistema ad alta tecnologia assai complesso e
formato da un gran numero di componenti e da vari sub sistemi, necessari per la sua operatività e per
la sua missione, che a loro volta richiedono il supporto di sistemi di terra. La sezione 1.4 richiama
l’attenzione sul fatto che ne l’industria spaziale ne quella dei servizi satellitari sono
soddisfacentemente identificabili nelle classificazioni statistiche delle attività
industriali, il che
impone il non facile compito di raccogliere direttamente dalle imprese e dalle loro associazioni di
categoria e/o da banche dati private anche i dati più semplici ed essenziali (vendite, dipendenti, ecc.)
per un minimo di riscontri empirici.
1.1 DEFINIZIONE DI INDUSTRIA SPAZIALE
Economia dello spazio secondo OECD. Nello OECD Global Forum on Space Economics del 2007
(OECD, 2007, p.17) l’economia dello spazio è stata definita molto appropriatamente come:
“All public and private actors involved in developing and providing space-enabled products and
services. It comprises a long value-added chain, starting with research and development actors and
manufacturers of space hardware (e.g. launch vehicles, satellites, groundstations) and ending with
the providers of space-enabled products (e.g. navigation equipment, satellite phones) and services e.g.
satellite-based meteorological services or direct-to-home video services)”. Un problema nel rendere
operativa (quantificare) questa definizione è dato dalla problematicità della scelta del confine “a valle”
dei settori che forniscono servizi usando i satelliti. Ciò significa, in altre parole, che la scelta di questo
confine può dipendere, più di quanto normalmente avviene, dagli specifici interessi dell’analista. Ad
esempio, se si guarda alle caratteristiche dei comportamenti di mercato, più che alle affinità
tecnologiche, è abbastanza naturale escludere dall’economia dello spazio imprese come DirectTV,
XMSatellite Radio e Sirius Satellite Radio “who sell directly to consumers and compete with other
18 entertainment companies like broadcast network, radio stations and cable companies” dato anche le
prime si considerano come società d’intrattenimento piuttosto che spaziali1.
Industria satellitare secondo SIA. In (OECD, 2007), la quantificazione dell’economia dello spazio, a
livello mondiale e in parte a livello USA ed Europa per l’anno 2006, è basata sulle statistiche
presentate nel rapporto statistico annualmente predisposto da Futron Corporation per la Satellite
Industry Association (SIA, anni vari), nel quale il termine “industria dei satelliti” (satellite industry)
designa la stessa realtà chiamata dalla OECD economia dello spazio.
Per il 2006 il valore mondiale delle vendite delle imprese di quest’industria è stato calcolato in
106,1 mld $, suddivisi come segue:
(i) Produzione di satelliti, inclusi i loro sub sistemi e componenti
(ii) Produzione di lanciatori , inclusi i loro sub sistemi e componenti; e servizi di lancio
12,0mld$
2,7mld$
(iii) Produzione di attrezzatura di terra e loro servizi
28,8 mld$
(iv) Fornitura di servizi satellitari
62,6 mld$.
I settori (iii) e (iv) sono molto ampi. Nel primo è inclusa una vasta gamma di prodotti
suddivisi tra quelli di network (gateways, stazioni di controllo e Very Small Aperture Terminals
(VSAT)) e quelli per il consumatore (Dischi per Direct Broadcast Satellite (DBS), telefoni satellitari
manuali, attrezzature per servizi audio digitali (DARS) e materiali primari per il GPS). Il settore (iv) è
costituito invece da imprese che forniscono soprattutto servizi di trasmissione video, audio o testo
direttamente ai singoli consumatori (DBS/DTH o DARS) oppure servizi fissi (FSS, costituiti quasi
totalmente da
accordi per l’uso di transponders)
o mobili (MSS che includono telefonia e
trasmissione di dati mobili). Questo settore include anche i servizi di remote sensing che hanno
comunque un fatturato modesto (700 mln $) ed i servizi di global positioning che sono però messi
gratuitamente a disposizione in tutto il mondo dal DOD.
Upstream/downstream space technology secondo BNSC. Poiché nei rapporti SIA è riportato solo il
valore aggregato della produzione di attrezzature di terra non è possibile distinguere il fatturato delle
imprese che producono attrezzature terrestri di controllo e guida del satellite da quello delle imprese
che producono attrezzature terrestri che si interfacciano con quelle a bordo del satellite per erogare
uno o più tipi di servizio al consumatore finale. Non è quindi possibile distinguere in maniera
pienamente accurata il settore che produce i satelliti (intesi , economicamente, come beni capitali) da
quello che ne utilizza i servizi.
Attorno a questa distinzione sono invece organizzati i dati sull’industria spaziale del Regno
Unito presentati ogni biennio in un breve rapporto del British National Space Center (BNSC, per anni
vari). Questi dati riguardano 227 imprese suddivise
1
in un settore upstream, formato da quelle
Vedi, “Top 50. Space Industry Manufacturing and Services”, Space News, 20 giugno 2008 19 forniscono la tecnologia spaziale, e in un settore downstream, formato da quelle che la sfruttano.
Questi dati consentono di farsi un’idea delle dimensioni relative dei due settori in quel paese: tra il
2000 ed il 2007 il rapporto tra il fatturato del settore downstream e quello del settore upstream è salito
da 5,2 a 62.
La space industry secondo
ASD – EUROSPACE.
ASD-EUROSPACE è un’associazione di
produttori spaziali europei associata a sua volta ad ASD, l’unione di tutte le principali associazioni
aerospaziali e della difesa d’Europa. Essa guarda all’industria spaziale come a una branca o meglio,
viste le sue modeste dimensioni, una nicchia o una componente minoritaria
3
dell’industria
aerospaziale, ricordando però che si tratta di una componente strategica proprio perché le tecnologie
spaziali mettono in grado operatori pubblici e privati di fornire servizi altamente qualificati (ASDEUROSPACE 2009). Se nel periodo delle origini il ruolo strategico dell’industria spaziale riguardava
solo programmi militari e scientifici, a partire dall’inizio degli anni 90, con gli sviluppi delle
tecnologie DBS, essa assunse un analogo e via via crescente ruolo strategico nello sviluppo dei
mercati delle trasmissioni globali (televisione DTH, DARS, ecc.), telecomunicazioni, ecc.
Operativamente ASD-EUROSPACE costruisce la sua industria spaziale (ISP) europea
censendo le imprese che operano nel settore upstream del settore spaziale europeo, inteso
sostanzialmente come l’insieme di tutte e sole le attività produttive che sfociano nella messa (e
mantenimento) in orbita dei satelliti (vedi Figura 1). Queste attività sono suddivise in tre segmenti
ciascuno dei quali produce un sistema ed i suoi sub- sistemi, componenti e servizi: lanciatori, satelliti
ed attrezzature di terra relative al funzionamento del satellite (tracciare e manovrare lanciatori e
satelliti, ed effettuare test ed operazioni d’integrazione dei sistemi spaziali). Il numero delle imprese
censite è in una certa misura “aperto” o perché da un anno all’altro si possono individuare imprese
precedentemente non rilevate, soprattutto se non si pone il vincolo che il fatturato spaziale di
un’impresa debba essere non inferiore ad una certa soglia percentuale; o perché nuove imprese entrano
nel settore. Tuttavia il fatto che nella realtà una frazione molto elevata delle produzioni spaziali sia
concentrata in un numero limitato di imprese fa sì che l’allungamento o l’accorciamento della coda
delle piccole non incida in maniera particolarmente significativa sui valori totali.
2
Secondo il rapporto BNSC per il 2008, in quell’anno il fatturato downstream era pari a 4.102 mln£ mentre
quello upstream era di 725mln£ . Questi dati naturalmente sono anche in funzione delle scelte relative alle
imprese da includere in ciascun settore. Si osservi che anche il rapporto tra la somma di attrezzature di terra e
servizi satellitari e quella di satelliti e lanciatori, nei sopracitati dati SIA è di nuovo 5,2. Questa cifra è però
distorta verso il basso perché la parte di fatturato delle attrezzature di terra relative al funzionamento dei satelliti
dovrebbe essere sottratta dal numeratore e sommata al denominatore. Ritorneremo tra poco sull’interpretazione
economica di questo rapporto.
3
Per un’indicazione del peso dell’industria spaziale su quella aerospaziale vedi più avanti la tabella 3.1. 20 …e la Industria spaziale secondo noi. In questo rapporto adotteremo la stessa definizione di ISP di
ASD-EUROSPACE e costruiremo la ISP italiana integrando l’elenco delle imprese spaziali italiane
che si può estrapolare da quello delle imprese europee di ASD-EUROSPACE pubblicato in ASDEUROSPACE 2008, con informazioni ottenute da annuari, repertori, siti web, ecc. di associazioni
italiane di imprese aerospaziali, nonché da informazioni sui contratti assegnati ad imprese messe a
disposizione da ASI, nell’ambito della ricerca svolta per il presente rapporto (vedi sezione 4.1 per
un’esposizione dettagliata delle fonti).
Industria spaziale e industria dei servizi satellitari. La suddivisione del settore spazio in un’industria
spaziale (ISP) e in un’industria dei servizi satellitari (SESAT) è illustrata nella Figura 1.1. Per una
corretta lettura di questa figura è necessario tenere presente due circostanze. In primo luogo, essa è
solo un’illustrazione schematica della griglia tecnologica dei settori della produzione dei satelliti e
dell’utilizzazione dei loro servizi. Questa griglia costituisce un fattore che certamente influisce sulla
struttura industriale di quei settori, senza esserne l’unico e probabilmente nemmeno il più importante.
Com’è ben noto il compito fondamentale dell’economia delle organizzazioni, e dell’impresa in
particolare, è quello di rispondere alla domanda su quali sono i fattori che determinano
l’organizzazione delle attività produttive all’interno delle imprese piuttosto che attraverso i mercati; o,
più specificamente, spiegare perché si verificano processi di aggregazione piuttosto che
disintegrazione verticale; oppure di focalizzazione produttiva piuttosto che agglomerazione
orizzontale; ed altri simili. Le risposte a queste domande rinviano alle caratteristiche economiche delle
transazioni e dei loro soggetti.
21 sistemi e Subsistemi e componenti per e loro payloads
lanciatori Satelliti e Loro Lanciatori e rampe di lancio
loro payloads servizi Servizi di lancio Satelliti in Capitale spaziale
esercizio
Attrezzature terrestri (di rete e Attrezzature terrestri; sub sistemi e componenti Servizi pubblici dei Servizi satelliti
commerciali dei per consumatori); sub sistemi e satelliti Loro Loro servizi servizi Beni e servizi pubblici: Scoperte scientifiche, difesa, Contenuti dei servizi: TV, Radio, Dati, Internet, protezione dell’ambiente, previsioni meteo, gestione Immagini, ecc. Nei settori dell’ISP e dei SESP non mancano esempi d’imprese integrate orizzontalmente e
verticalmente. La Astrium del gruppo EADS, ad esempio, produce non solo satelliti, lanciatori ed
attrezzature terrestri (le sue produzioni storiche), attraverso le divisioni Astrium space transportation
ed Astrium satellites, ma anche una vasta gamma di servizi (TLC, Secure Satcom systems, EO e
navigazione) attraverso la divisione Astrium services. Astrium è invero uno, dei non molti esempi, di
impresa che opera sia nell’ISP che nel SESP.
In secondo luogo, l’importanza della R&S nel settore spaziale, con i suoi costi e rischi elevati,
e i rilevanti risvolti strategici delle tecnologie spaziali fanno si che l’operatore pubblico intervenga non
solo nella fase finale della domanda, dove esso svolge un ruolo tuttora predominante rispetto agli
operatori commerciali, ma anche nelle varie fasi upstream della produzione di satelliti, dalla
22 SESAT o Settore DOWNSTREAM = Uso dei servizi del
capitale spaziale
Attrezzature di controllo a terra; sub Subsistemi e componenti per satelliti ISP o Settore UPSTREAM = Produzione del
capitale spaziale
FIGURA 1.1 Relazioni tecnologiche interne al settore spazio o economia spaziale
progettazione iniziale ai test dei prototipi e alla stessa promozione di iniziative commerciali, come
dimostrano ampiamente molti programmi dell’ESA.
1.2 CARATTERI E SPECIFICITA’ DELL’INDUSTRIA SPAZIALE
Un’industria sistemistica. L’industria spaziale, come quella aeronautica, produce sistemi e ciò
richiede la capacità di assemblare, secondo complesse tempistiche, una molteplicità di sub sistemi e
componenti che devono rispondere a ben precise specificazioni tra loro compatibili. Le difficoltà di
gestire nell’ambito di un’unica organizzazione
produttivo riguardano sia
(un’impresa o una divisione) l’intero processo
il coordinamento delle varie unità interne (che richiede un’efficiente
trasmissione ed elaborazione delle informazioni) sia l’individuazione di un sistema d’incentivi interni,
che inducano i responsabili delle varie unità a prendere linee di condotta coerenti con l’efficiente
svolgimento del processo produttivo. Non sorprende quindi, anche se ci sarebbe molto da imparare da
dei case studies, che la produzione nell’ISP sia caratterizzata da una spiccata disintegrazione verticale
delle attività produttive di un satellite o di un lanciatore. Si noti che non stiamo qui parlando del fatto
generale per cui in ogni economia basata sulla divisione del lavoro ogni produttore va sul mercato per
comprare una molteplicità di beni intermedi o di materiali da produttori di altre industrie, ma
dell’acquisto da parte di un produttore, diciamo, di satelliti di componenti, congegni e sub sistemi
specifici per la loro produzione, che rientrano così nei prodotti della stessa industria.
… con un significativo sistema di mercati verticali interni. L’esistenza di una sviluppata struttura di
rapporti di mercato verticali interni all’ISP impone di distinguere, nel descrivere i risultati dell’attività
produttiva in un certo anno, tra il fatturato non consolidato, ottenuto come la somma dei fatturati di
tutte le imprese di un’industria spaziale, ad esempio, nazionale, e il fatturato consolidato, definito
come il valore delle vendite esterne all’industria (= fatturato non consolidato – fatturato derivante dalle
vendite interne all’industria). Quest’ultimo è costituito essenzialmente dai fatturati degli assemblatori
finali (i prime contractors per la produzione del sistema), ma include anche le vendite di produttori di
parti e sub sistemi dell’industria in esame ad imprese di altre industrie spaziali (esportazioni dell’ISP
in esame). In assenza di esportazioni, il fatturato consolidato dell’ISP coincide con la somma dei
fatturati delle imprese sistemiste (prime contractors).
Il fatturato consolidato non è però ancora una misura corretta del contributo produttivo di un
settore, perché non tiene conto dei consumi di beni intermedi, acquistati da altri settori e tra i quali
possono esservi anche acquisti di beni intermedi (componenti e subsistemi) spaziali importati. Com’è
ben noto la grandezza che si ottiene sottraendo ai ricavi i costi degli acquisti intermedi è il valore
aggiunto.
23 Quantità limitate di prodotto eterogeneo. Un’industria che produce sistemi opera necessariamente su
quantità limitate di un prodotto eterogeneo, in funzione delle necessità dell’acquirente. Ciò è vero per
l’industria dei satelliti il cui output fisico totale è limitato (77 satelliti lanciati nel 2008, vedi SIA2009)
e significativamente segmentato in funzione di due distinti ordini di fattori, tra loro connessi: (i) le
funzioni delle attrezzature di bordo o payloads, tradizionalmente raggruppate in TLC, osservazione
della terra (earth observation, EO) e navigazione/localizzazione/posizionamento; e (ii) le
caratteristiche tecniche del satellite vero proprio, diverse in funzione dell’orbita in cui viene immesso
(satelliti GEO, MEO e LEO), del peso e delle attrezzature necessarie per il suo funzionamento (tipi di
pannelli solari, motori, sistemi TTC, ecc.).
Numeri limitati e mercati segmentati e, comunque,
eterogeneità dei prodotti dentro i segmenti implicano che il mercato dei satelliti sia caratterizzato da
forme di concorrenza monopolistica.
Alta tecnologia e ruolo della R&S. L’ISP è una delle industrie a più alta tecnologia. Prendendo come
indicatore del livello tecnologico il rapporto tra spese annuali in R&S e fatturato, si trovano per l’ISP
valori sul 14 %, cioè massimi nella stessa fascia dei settori high tech e molto più alti del valore medio
del settore manifatturiero4. Si può qui notare che l’alta intensità di R&S è anche un importante fattore
di distinzione tra l’ISP e SESAT, perché il secondo è caratterizzato da una bassa intensità di ricerca.
Ad esempio, nel caso del Regno Unito nel 2005, l’ISP (upstream) investiva in R&S il 14,1% del suo
fatturato a fronte di un 4,3% del SESAT (downstream) (vedi BNSC,2006).
Le implicazioni economiche di grandi investimenti in R&S, prolungati nel tempo, al fine di
ottenere un nuovo tipo di satellite, dalle prestazioni migliori rispetto a quelli già in orbita, sono ben
note: il costo medio di produzione è influenzato più che dal costo di produzione del singolo prodotto,
dalla quota imputata del costo della R&S che sarà tanto più contenuta quanto maggiore sarà la
produzione cumulativa5. Se RS è la R&S ; C il costo di produzione di un satellite; n, il numero di
satelliti prodotti per anno, supposto per semplicità costante; N il numero cumulativo dei satelliti; e t il
tempo in anni, allora il CME quando si producono N satelliti sarà:
CME(N) =RS/N+ C = RS/nt + C
(*)
una funzione decrescente di N (e, in definitiva di n e t) . In questo caso si parla comunemente di
economie di scala anche se sarebbe più corretto chiamarle economie di production run, in quanto
dipendono da N e non da n. A proposito di queste va precisato che, a differenza di quanto suggerisce
la (*), la riduzione del costo medio si arresta quando la produzione ha raggiunto una certa scala, che
4
Secondo i dati STAN‐OECD per l’Italia l’intensità della R&S basata sul valore della produzione, tra il 1997 ed il 2003, è sta mediamente dell’11,5% per C353‐Aircraft and spacecraft; del 5% per i settori high tech del manifatturiero e dello 0,7% per il settore manifatturiero (C15T37) 5
Questa è uno stock che cresce nel tempo e non va confuso con il flusso della produzione annua 24 separa le imprese più grandi che operano al costo medio minimo da quelle più piccole che operano a
costi medi maggiori e che in un mercato della produzione dei satelliti pienamente concorrenziale
verrebbero escluse dal mercato6.
Per quanto riguarda la componente C del costo medio va notato che se, in certi settori con
costi medi decrescenti per effetto del forte costo iniziale della R&S, quella componente è molto bassa
se non praticamente zero (come avviene nei settori delle tecnologie dell’informazione), nell’ISP il
costo di produzione del satellite è mediamente elevato perché include oltre al costo della sua
costruzione anche il costo del suo lancio, dato dalla somma del costo di costruzione del lanciatore e
del costo del servizio di lancio. Infine, per completezza, C, dovrebbe includere il valore attuale dei
costi di funzionamento del satellite nella sua vita utile, dati dai servizi forniti dalla stazione di terra.
Nel caso di un satellite per la ricerca scientifica (come Planck o Herschel) si avrà N = 1 ed il
costo medio coinciderà con il costo totale, costituito quasi esclusivamente dai costi di R&S per le
attrezzature di bordo e per il satellite stesso. Per un satellite commerciale il costo medio sarà invece
tanto minore quanto più ampio (maggiore n) e prolungato nel tempo (maggiore t) sarà il mercato e ciò
darà alla grande impresa un vantaggio competitivo sulla piccola.
D’altra parte gli elevati costi della ricerca e sviluppo per i tradizionali satelliti GEO ed il
lungo periodo del programma che dall’avvio della R&S porta all’esaurimento della loro produzione di
serie, comportano che solo una grande impresa possa affrontare il relativo cospicuo e rischioso
investimento7.
In conclusione, limitatezza dei mercati, eterogeneità del prodotto, costi medi decrescenti, alti
costi e rischi della R&S contribuiscono al potere di mercato della grande impresa e quindi alla
formazione di un mercato con poche imprese in concorrenza fra loro (oligopolio).
Ruolo della domanda pubblica ed intervento pubblico. L’ISP è nata negli anni Sessanta per
soddisfare una domanda essenzialmente pubblica di utilizzazione dello spazio, ma ben presto la
possibilità di usare i satelliti per fornire servizi di TLC e, a seguire, di altro tipo ha stimolato una
domanda commerciale che è cresciuta nel tempo più rapidamente di quella pubblica8. Ciò nonostante
quest’ultima è rimasta a tutt’oggi la componente principale della domanda di satelliti. Per l’Europa, ad
esempio, agli inizi degli anni Novanta la domanda pubblica (2,4 mld€ correnti) era pari al 66% del
6
Il calcolo empirico diretto delle economie di scala si basa sulla stima di una funzione di costo, con dati
raccolti a livello d’impresa. Non ci risulta che siano stati pubblicate stime delle funzioni di costo dei satelliti,
mentre è pubblicato almeno uno studio (Neven e altri (1993)) che stima la funzione di costo della produzione di
servizi satellitari FSS. In questo studio il costo è posto in funzione del numero dei satelliti in esercizio, dei
prezzi del lavoro e del capitale, del grado di utilizzazione della capacità dei transponders e del livello tecnologico
medio dei satelliti. I risultati della stima danno un costo medio per transponder decrescente fino ad un impiego di
20 satelliti e costante per numeri maggiori. 7
Quest’argomento non riguarda la produzione di micro satelliti nella quale sono entrate anche delle piccole
imprese come la britannica Surrey Satellite Technologies e l’italiana Carlo Gavazzi 8
Il primo sistema di comunicazioni satellitari globali fu realizzato da Intelsat nel 1965. 25 totale della domanda spaziale, mentre, nel 2007, la prima era salita a 3,2 mld€ correnti, pari al 60%
della seconda.
Le dimensioni ed i rischi degli investimenti in R&S spaziale e la rilevanza strategica, in campo
economico e militare, delle tecnologie spaziali hanno fatto sì che gli stati siano intervenuti non solo
sostenendo la domanda dell’ISP, ma anche svolgendo R&S spaziale all’interno di strutture pubbliche e
finanziando ed indirizzando la ricerca privata. In Europa l’ente strategico nello svolgimento di queste
due funzioni è l’ESA, che coopera strettamente con le agenzie spaziali nazionali e con la UE. Nel
2007 il suo bilancio presentava circa 2,8 mld€ di impegni di spesa, mentre i contratti firmati, con
imprese europee e canadesi ammontavano a circa 1,7 mld€ (ESA, Annual Report 2007, p.60 e p.66).
Quei contratti sono tipicamente inseriti e/o conseguenti a programmi di sviluppo promossi (con
relativo apporto finanziario) dall’ESA, in collaborazione con le Agenzie spaziali nazionali, relativi a
nuovi satelliti e lanciatori (come, per quanto riguarda i secondi, i programmi ARTA, FLPP, VEGA,
VERTA). Queste attività di ESA rientrano a pieno titolo nell’ambito delle politiche industriali, così
come e ancor più vi rientrano iniziative come quella che ha visto ESA promuovere la nascita
dell’operatore satellitare Eutelsat.
La teoria della scelta pubblica e l’esperienza insegnano che quando l’operatore pubblico
svolge un ruolo importante nel sostenere i ricavi e contenere i costi delle imprese, le sue scelte non
riflettono mai interamente gli obiettivi di efficienza ed equità dell’elettore, essendo condizionate da
interessi “privati” nell’ambito della burocrazia pubblica e delle imprese
1.3 CLASSIFICAZIONI INTERNE ALL’INDUSTRIA SPAZIALE
La profondità in verticale dell’ISP rende molto utile una classificazione delle imprese che
costituiscono l’ISP sia secondo il ruolo che svolgono nel processo produttivo del satellite sia secondo
il tipo di prodotto. La prima porta a raggruppare le imprese dell’ISP nelle seguenti categorie di
business (vedi BNSC 2006):
1) Sistemisti,
2) Sub sistemisti
3) Produttori di equipaggiamenti
4) Produttori di componenti
5) R&S, progettazione e consulenza per contratto
La seconda classificazione porta a raggrupparle nei seguenti segmenti di prodotto o, se si
vuole, secondo l’elemento nel sistema del satellite:
1) Satelliti
2) Lanciatori
26 3) Attrezzature di terra
In ASI s.d., sezione 1.2.4, si riporta una variante di questa classificazione, data da:
1) Sistemi di lancio e trasporto spaziale
2) Infrastrutture spaziali
3)Infrastrutture di terra
4) servizi applicativi.
In entrambe le classificazioni l’attribuzione di un’impresa ad un gruppo avviene in base alla
preminenza del tipo di business o di prodotto al suo interno. Sulla base dei gruppi così trovati si
possono poi facilmente calcolare le distribuzioni per gruppo di grandezze come l’occupazione o il
fatturato consolidato totale dell’ISP. Infine, se risultasse utile, le due classificazioni potrebbero essere
incrociate per ottenere voci come sistemisti satellitari, equipaggiamenti per lanciatori, ecc..
Due fondamentali tipi d’informazioni sulla performance dell’ISP sono ottenute disaggregando
le vendite di ogni impresa secondo il tipo di acquirente e di attività produttiva. Tale disaggregazione
richiede una conoscenza dettagliata dei risultati di ogni singola impresa, come avviene solo quando si
può realizzare la raccolta di non comunemente noti attraverso la somministrazione di questionari. Per
l’ISP ciò è fatto regolarmente su base annua da parte di ASD-EUROSPACE, che utilizza le due
seguenti tipologie:
1) Tipologia di clienti, che evidenzia la distinzione tra clienti istituzionali europei militari e civili
(tra cui ESA, ASI, EU, Eumetsat e altri) e clienti commerciali (acquirenti di sistemi satellitari
GEO, come Intelsat, SES Global, etc. ed altri sistemi). Va notato che le vendite di lanciatori da
imprese dell’ISP europea ad Arianespace ed altre società di lancio sono considerate come
esportazioni dell’ISP stesso e sono pertanto sommate in una voce “Vendite commerciali ed
esportazioni”, ancorché una parte dei lanci di Arianespace riguardino la messa in orbita di
satelliti delle istituzioni pubbliche;
2) Tipologia di attività produttive. Queste sono utilmente divise in produzioni di beni e servizi,
inclusive delle fasi di ricerca e sviluppo, finalizzati alla produzione e funzionamento dei (i)
satelliti (suddivisi nelle tre categorie delle telecomunicazioni, osservazione della terra e
navigazione/localizzazione); (ii) lanciatori (quasi totalmente per Arianespace; Vega e parti per
Atlas) e connesse attività di sviluppo; (iii) ricerca scienti tifica ed esplorazione spaziale. Le
attività dell’ISP finalizzate alla ricerca ed esplorazione spaziale riguardano la produzione (e la
vendita) di beni e servizi relativi a (1) infrastrutture spaziali (ISS, programmi umani, ecc.); (2)
programmi scientifici come Jason o i previsti Gaia e LISA; (iii) ricerche sulla microgravità.
In ASI s.d. (sezione 1.2.4) si riportano un’ulteriore classificazione, basata sulla fase del ciclo
produttivo in cui opera l’impresa:
1) R&S e progettazione
2) Produzione e integrazione
27 3) Commercializzazione prodotti di terzi
4) Esercizio e manutenzione;
1.4 L’INDUSTRIA SPAZIALE ED IL SETTORE DEI SERVIZI SATELLITARI
NELLA CONTABILITA’ NAZIONALE
Le nozioni di settore o industria che interessano agli studiosi e alle autorità pubbliche non
trovano sempre un diretto o facile riscontro nelle voci delle classificazioni industriali. Ciò avviene per
la nostra nozione di ISP, visto che essa non è identificabile né con una voce particolare né con un
insieme di voci più fini della precedente in nessuna delle esistenti classificazioni.
Ciò è vero sia per quelle che fino al 2007 erano basate sulla ISIC, rev.3.1 (di fonte UN) sia
per quelle basate sulla nuova ISIC, Rev.4, tra le quali vi è la nomenclatura delle attività economiche
della Comunità Europea, NACE rev.2 , la cui versione nazionale è data dalla ATECO 2007. In questa
classificazione infatti nell’ambito della Divisione 30 – Fabbricazione di altri mezzi di trasporto – si
trova la classe 3030 - Fabbricazione di aeromobili, di veicoli spaziali e dei relativi dispositivi , ma
questa non viene disaggregata in modo da evidenziare la fabbricazione di veicoli spaziali allorché si
scende dalla classe fino alla sottocategoria 303009 (il risultato della disaggregazione più fine): questa
infatti porta lo stesso
nome della classe. D’altra parte, questa sottocategoria pur includendo la
“costruzione di veicoli spaziali e relativi veicoli di lancio, satelliti, sonde spaziali, stazioni orbitali,
navette spaziali”, non include(i) la fabbricazione delle attrezzature di terra per la gestione del
satellite, con i relativi servizi, (ii) i servizi di lancio e
(iii) la “fabbricazione di apparecchi di
telecomunicazioni per satellite” (ISTAT, Classificazione delle attività economiche – ATECO 2007)
che invece normalmente e nella presente ricerca sono incluse nei prodotti dell’ISP, così come lo sono
gli altri tipi tipi di payload. E’ interessante osservare, per inciso, che nella ricerca FAA/AST la
fabbricazione dei satelliti è inclusa nell’industria “Radio and Television Broadcasting and Wireless
Communications Equipment manufacturing2 (codice NAIC 334220).
Il settore dei servizi satellitari (SESAT) è meglio rappresentato dell’ISP nella classificazione
industriale perché è presente con le telecomunicazioni satellitari, il suo segmento più ampio, che
definiscono la classe 61.30 – Telecomunicazioni satellitari . Gli altri tipi di servizi satellitari
(osservazione della terra, localizzazione, ecc.) non trovano invece riscontro in proprie voci o aggregati
di voci della classificazione industriale.
E’ importante notare che la principale difficoltà che si incontra nel costruire le statistiche
industriali è data dal fatto che molte imprese e, in particolare, le grandi producono beni diretti in
diversi settori industriali. L’individuazione di questi settori richiede quindi la raccolta di dati a livelli
inferiori a quello dell’impresa (divisione, unità di business, ecc.) e, al limite ed idealmente, a livello
d’impianto produttivo. Evidentemente un tale problema risulta acuito nel caso di produzioni che
rappresentano per l’impresa nicchie o componenti minori di aggregati produttivi più ampi, come
28 avviene per molte imprese le cui produzioni spaziali rientrano nel complesso delle loro attività
aerospaziali. Nel capitolo 4 vedremo come questa difficoltà ci obbligherà a distinguere tra il concetto
di ISP italiana e quello di imprese italiane con produzioni spaziali.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
ASD-EUROSPACE, anni vari, Facts and Figures
ASI, s.d., Piano Aero Spaziale Nazionale 2006-2008
BRITISH NATIONAL SPACE CENTER, BNSC, anni vari, Size and Health of the UK space
industry____. Executive Summary
FEDERAL
AVIATION
ADMINISTRATION,
OFFICE
OF
COMMERCIAL
SPACE
TRANSPORTATION ( FAA/AST), (2006), The Economic Impact of Commercial Space
Transportation on the U.S. Economy: 2004
NEVEN D.J., L.H. ROELLER e L. WAVERMAN, 1993, The European Satellite Industry: Prospects
for Liberalization, CEPR, Discussion paper series, n. 813, settembre, Londra
OECD, 2007, The Space Economy at a Glance
SATELLITE INDUSTRY ASSOCIATION, SIA, anni vari, State of the Satellite Industry Report
29 CAPITOLO 2 - RAPPORTI TRA INDUSTRIA SPAZIALE, SETTORE
DEI SERVIZI SATELLITARI E RESTO DELL’ECONOMIA
Per giustificare qualsiasi tipo d’investimento (un nuovo aeroporto, una nuova fabbrica, un
nuovo centro commerciale, una nuova scuola, un nuovo satellite per previsioni meteorologiche, etc.) si
ricorre spesso all’argomento dei posti di lavoro che esso crea direttamente e indirettamente, attraverso
una successione di effetti moltiplicativi nei settori a monte di quello in cui è avvenuto l’investimento.
Gli investimenti dell’industria spaziale (nuovi satelliti, lanciatori, ecc) sono spesso giustificati
anche con un’argomentazione di segno opposto alla precedente, con la quale si postula che il fatturato
dell’industria spaziale venga moltiplicato a valle nei molto più cospicui fatturati dei settori dei servizi
spaziali. In questo capitolo esamineremo la validità economica di queste argomentazioni per
concludere che la prima dipende dal particolare contesto economico degli investimenti spaziali (vedi
sezione 2.1), mentre la seconda è semplicemente falsa (vedi sezione 2.2).
Nella sezione 2.3 mostreremo invece che il legame importante tra le sezioni upstream e
downstream del settore spaziale è dato dal fatto che la prima, grazie ai suoi investimenti in R&S,
consegna alla seconda satelliti di qualità superiore ovvero capaci di fornire servizi migliori e/o meno
costosi, che si traducono in un aumento dei benefici che i consumatori finali traggono da quei servizi.
Questo fenomeno rientra in quello più generale della diffusione delle innovazioni e su di esso
torneremo nel capitolo 7, dove chiariremo come esso vada rapportato al fenomeno, centrale in questa
ricerca, degli spillovers della conoscenza.
2.1 IL MOLTIPLICATORE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE
Il concetto di moltiplicatore della spesa spaziale. L’idea generale del moltiplicatore è che la
variazione della spesa di un operatore economico (variabile esogena) mette in moto una successione
di variazioni di spesa da parte di altri operatori economici, dando così luogo ad una spesa totale
(variabile endogena) che risulta essere un multiplo, maggiore di 1, della spesa iniziale. La Figura 2.1
dà un’idea puramente esemplificativa dei successivi round di input richiesti per ottenere un lanciatore.
In parallelo a quelle variazioni della spesa si hanno variazioni di altre grandezze come i redditi e
l’occupazione. La grandezza del moltiplicatore dipende dalle grandezze dei parametri delle equazioni
dello specifico modello economico che si sta considerando, tenendo presente che i parametri di uno
stesso modello possono avere valori diversi quando esso sia applicato a realtà diverse.
30 FIGURA 2.1 – Successione di round produttivi attivati dalla produzione di lanciatori *
Motori Laminati L & SE L & SE Serbatoi Saldature L & SE L & SE Lanciatori Batterie Plastica L & SE L & SE L & SE Antenne Alluminio L & SE L & SE Computer Microprocessori L & SE L & SE * Adattato da FAA/AST, fig.10
LEGENDA
1. L indica il lavoro dipendente; SE indica i servizi esterni all’impresa. In generale e forse ancor
più nel settore spaziale si tratta di servizi di lavoro ad elevata qualificazione (engineering,
consultancy, legali, amministrativi, e altro). Nel testo abbiamo trascurato, per semplicità, i
servizi esterni.
2. Qui e nel testo abbiamo considerato per semplicità solo i servizi del lavoro, trascurando quelli
delle risorse naturali e dei beni capitali. L’utilizzo della risorsa naturale spazio da parte dei
vari segmenti del SESAT è, al momento, gratuito: lo spazio è ancora un common pool, come
gli oceani (per le implicazioni economiche di questo fatto vedi sub 6)
Nel caso della ISP si può pensare di calcolare un moltiplicatore della spesa per ogni suo
segmento (lanciatori, satelliti e attrezzature terrestri), tenendo presente che quella spesa ha due
31 componenti: la spesa per beni e la spesa per il lavoro (qui semplifichiamo trascurando altre risorse
produttive come quelle naturali ed i beni capitali). Il calcolo del moltiplicatore si basa (vedi Riquadro
2.1) sulla conoscenza dei (i) coefficienti tecnologici o coefficienti input-output che determinano le
quantità dei vari beni o input richiesti per produrre una quantità unitaria di un altro bene o output; (ii) i
coefficienti o input di lavoro (quantità di lavoro per una quantità unitaria del bene); e (iii) i prezzi degli
input dei beni e del lavoro. Una volta calcolato il moltiplicatore, e nota la spesa diretta di un
segmento dell’ISP, si ottiene immediatamente la corrispondente spesa totale (= spesa diretta + spesa
indiretta), moltiplicando la prima per il suo moltiplicatore. Si possono poi calcolare la spesa diretta e
la spesa totale dell’ISP, sommando le rispettive spese dei segmenti che lo costituiscono. Dividendo la
spesa totale per quella diretta, si ottiene quello che possiamo chiamare il moltiplicatore ex-post della
spesa dell’ISP.
Infine, com’è intuitivo (vedi Riquadro 2.1), il calcolo del moltiplicatore della spesa fornisce
anche i valori dei moltiplicatori della spesa per beni e dei redditi da lavoro9 ed il valore del
moltiplicatore dell’occupazione.
RIQUADRO 2.1
ALGEBRA DEL MOLTIPLICATORE
BENI: Vi sono tre beni; le loro quantità sono indicate con Xi , i =1,2,3
TECNOLOGIA: Consideriamo il bene finale 1; per produrre un’unità del bene 1 sono necessarie a21
unità del bene 2; e per produrre un’unità del bene 2 sono necessarie a32 unità del bene 3.
La quantità di lavoro necessaria per un’unità del bene i è data da: ali , i =1.2.3
PREZZI: W è il prezzo del lavoro e Pi è il prezzo del bene i =1,2,3
Abbiamo le seguenti definizioni:
SPESA DIRETTA: SD(X1)
=
al1X1W + X1P1
SPESA INDIRETTA: SIND (X1) =
al2 X2 W + X2P2 = al2 a21 X1W + a21 X1P2
al3 X3W + X3P3 = al3 a32 a21 X1W + a32 a21 X1P3
primo round
secondo
round
SPESA TOTALE : ST(X1) = SD(X1) + SIND (X1)
Data la linearità di tutte le spese nelle quantità dei beni e, in definitiva, nella quantità del bene 1
finale, il moltiplicatore sarà indipendente dalla spesa diretta e potrà quindi essere usato per calcolare la
spesa totale una volta nota la spesa diretta. Si ha, infatti,
9
Nel nostro modello semplificato il reddito da lavoro coincide con il valore aggiunto. 32 MOLTIPLICATORE: M = ST/SD = X1 {W[ al1 + al2 a21 + al3a32a21] + [P1 + a21P2 + a32 a21 P3] }/X1
[al1W + P1
Ovvero
M = {W[ al1 + al2 a21 + al3a32a21] + [P1 + a21P2 + a32 a21 P3] }/ [al1W + P1 ],
che evidenzia come il moltiplicatore della spesa diretta dipenda solo dai coefficienti input-output, dai
coefficienti di lavoro e dai prezzi dei beni e del lavoro.
Quando le relazioni input-output sono più complesse e, soprattutto, quando esse presentano
delle circolarità, per cui vi sono beni che sono reciprocamente, direttamente o indirettamente, input ed
output l’uno dell’altro, il calcolo del moltiplicatore (quando siano soddisfatte certe condizioni
d’esistenza, dal significato economico molto intuitivo) può essere effettuato invertendo la matrice dei
coefficienti input –output.
La difficoltà fondamentale10 nel calcolo empirico dei moltiplicatori dipende dal fatto che le
tavole dei coefficienti input-output costruite dai vari uffici statistici nazionali, fanno tipicamente
riferimento a settori con un maggiore grado di aggregazione rispetto a quello realizzato con i settori
della classificazione industriale delle attività, nei quali peraltro è già problematico collocare le attività
dell’ISP (vedi sopra 1.4).
Un esempio di calcolo empirico del moltiplicatore della spesa spaziale. Nonostante queste difficoltà
l’Office of Commercial Space Transportation della statunitense Federal Aviation Administration
(FAA/AST), ha calcolato, per gli Stati Uniti,
il moltiplicatore di un’industria denominata
Commercial Space Transportation (CST), che include (i) il settore della produzione dei lanciatori e
del lancio dei satelliti commerciali; e (ii) i settori produttivi da esso “resi possibili” (“enabled”), vale
a dire la costruzione di satelliti commerciali, i loro servizi (sia end-users sia basati sul leasing di
transponders), le relative attrezzature terrestri (da un lato stazioni di controllo e, dall’altro0, gateways,
VSAT terminals, telefoni mobili, ecc.), il remote sensing ed il trasporto delle componenti da
un’impresa all’altra nel corso dei processi produttivi dei beni sopracitati11. Per poter usare le tavole
input-output, il FAA/AST ha stabilito delle
corrispondenze inevitabilmente approssimative tra i
segmenti del suo CST e gli appropriati settori industriali della tavola input-output elaborata per gli
Stati Uniti dal Bureau of Economic Analysis del Department of Commerce. I risultati sono riassunti
nella seguente Tabella 2.1, ripresa, con rielaborazioni, da AST/AST (2006)
10
Che può essere aggirata andando a trovare in quale industria della tavola input-out-put ricade il segmento
dell’ISP per cui si vuole calcolare il moltiplicatore, contando sul (o sperando nel) fatto che i coefficienti inputoutput dell’industria siano delle medie ponderate non molto diverse dai corrispondenti coefficienti delle sue
varie componenti. 11
In pratica il CST viene a coincidere con l’aggregato di quella parte delle attività della ISP che forniscono
satelliti commerciali e dei loro servizi, aumentato delle attività di trasporto. 33 TABELLA 2.1. Impatti economici del Trasporto commerciale spaziale e delle industrie da esso
dipendenti negli Stati Uniti: 2004 (migliaia $)
Industria
Spese
dirette
Spese
indirette
Spese
totali
Moltiplicatore
Spese
indotte
Spese
totali
aumentate
Moltiplicatore
aumentato
(1)
(2)
(3)=(1)+(2)
(4)=(3)/(2)
(5)
(6)=(3)+(5)
(7)=(6)/(1)
Fabbricazione di
veicoli di lancio e loro
servizi
286.936
759.171
1.046.107
3,65
612.277
1.658.384
5,78
Fabbricazione di
satelliti
626.307
1.654.746
2.281.053
3,64
1.185.058
3.466.111
5,53
Fabbricazione di
attrezzature di terra
5.722.370
15.118.905
20.841.275
3,64
10.827.507
31.668.782
5,53
Servizi satellitari
9.428.956
26.684.009
36.112.965
3,83
20.346.240
56.459.205
5,99
Remote sensing
69.529
279.196
348.725
5,02
332.474
681.199
9,80
Industrie dei trasporti
532.049
1.866.862
2.398.911
4,51
1.734.366
4.153.278
7,77
Spese totali del CST
16.666.148
46.382.890
63.049.038
3,78
35.037.924
98.086.960
5,89
FONTE: FFA/AST 2006, Figura 3 e nostre elaborazioni
La tabella ci permette di ottenere i moltiplicatori delle spese dei vari segmenti di CST
dividendo le loro spese totali per quelle dirette. A parte il valore (4,51) del moltiplicatore dei trasporti
(un segmento trasversale all’ISP e al SESP) e di quello (5,02) del remote sensing, che è comunque un
settore quantitativamente secondario, i moltiplicatori dell’industria dei satelliti commerciali e di quella
dei loro servizi sono sostanzialmente uguali, attorno ad un 3,7; mentre il moltiplicatore ex-post del
CST risulta uguale a 3,78. Da ciò segue che, assumendo che non vi siano significative differenze nei
livelli dei prezzi degli input impiegati nei vari segmenti, le strutture produttive che supportano i vari
prodotti dell’ISP e del SESP sono ugualmente “profonde”.
Infine si può notare che il valore di 3,7 è coerente con i valori dei moltiplicatori ex post (o
puramente descrittivi) ottenuti mediante la raccolta di dati sulla spesa (o occupazione) diretta e sulla
spesa (o occupazione) indotta, e calcolati come: (spesa diretta +spesa indotta)/spesa diretta.
I moltiplicatori di cui abbiamo finora trattato rientrano nel tradizionale concetto di
moltiplicatore dell’analisi input-output, che sintetizza le ripercussioni di una domanda finale (nel
nostro caso, la spesa diretta per un prodotto dell’ISP o SESAT), pubblica o privata, attraverso la
struttura produttiva.
Dove si finisce di moltiplicare? Naturalmente, nella realtà e anche nelle nostre esemplificazioni, i
redditi da lavoro generati nel round produttivo iniziale ed in quelli successivi, una volta distribuiti ai
lavoratori, verranno spesi in (buona) parte in beni di consumo generando così una nuova spesa e
34 nuova occupazione. Nello studio del FAA/AST questa spesa, chiamata spesa indotta viene aggiunta
alla precedente ottenendo così una spesa totale aumentata. Dal rapporto tra questa e la spesa iniziale
si ottengono così dei moltiplicatori aumentati per ogni segmento del CST ed un nuovo moltiplicatore
ex-post per questo settore, con un valore di 5,89.
Si osservi però che la spesa indotta per beni di consumo metterà in moto ulteriori processi
moltiplicativi del tipo input-output. Seguendo questi processi si entrerebbe in un circuito
produzione/consumo/produzione che coinvolgerebbe l’intera economia e per la cui interpretazione e
verifica empirica bisognerebbe ricorrere a modelli di Computable General Equilibrium12. Questi
modelli consentono, infatti, di rispondere alla domanda su che cosa cambia nell’intera economia se si
verifica un cambiamento in una variabile esogena, ad esempio il livello della spesa pubblica. Nel
nostro caso si tratterebbe di chiedersi che cosa cambia nell’intera economia per effetto di un nuovo
programma d’investimento spaziale (ad esempio, il lancio di nuovi satelliti per ricerche scientifiche o
esplorazione spaziale). I modesti valori della variabile esogena e gli ancor più modesti valori delle
variazioni che si verificherebbero nelle variabili endogene dell’economia fanno sì che una tale
domanda abbia senso solo in linea di principio. D’altra parte, se si considera che tra le grandezze
esogene dei CGE vi è la tecnologia, si capisce come le risposte a quella domanda prescindano da
quello che potrebbe essere il canale più importante attraverso il quale l’ISP influisce sull’economia, e
cioè gli spillovers tecnologici del progresso tecnologico messo in moto dagli investimenti spaziali
verso gli altri settori dell’economia. Questo sarà naturalmente il tema della seconda parte di questo
lavoro.
Cosa significa il moltiplicatore? Talvolta si afferma, per rafforzare le argomentazioni a favore di
investimenti pubblici in nuovi programmi spaziali che un bonus aggiuntivo di questi investimenti è
costituito dai loro effetti moltiplicativi per l’economia. Se con ciò ci si riferisce agli effetti
moltiplicativi discussi sopra, allora il ragionamento rischia di essere fuorviante. Si è visto sopra,
infatti, che il processo moltiplicativo mette in moto insieme alla domanda derivata di beni anche una
domanda di lavoro e, in un modello più articolato, di beni capitali e di risorse naturali diverse dal
lavoro. Se vi fosse abbondanza di risorse inutilizzate o sottoutilizzate, allora varrebbe il tradizionale
argomento keynesiano in favore di ogni investimento: esso produrrebbe un sicuro beneficio sociale
netto, misurato dai nuovi redditi creati. Invece in presenza di risorse pienamente (o quasi pienamente)
utilizzate l’aumento della domanda dei loro servizi da parte del settore spaziale e di quelli coinvolti nel
processo moltiplicativo finirebbe col sottrarre risorse ad altri settori produttivi, le cui produzioni si
ridurrebbero. Questo effetto di spiazzamento (crowding out) di altri beni da parte degli investimenti
spaziali sarebbe invero tanto più forte quanto più elevato fosse il moltiplicatore! La nuova situazione
di piena occupazione potrebbe essere preferita a quella iniziale solo se gli elettori fossero favorevoli
12
Il tradizionale moltiplicatore di Kahn - Keynes può invero essere considerato come un modello altamente
miniaturizzato di CGE! 35 agli investimenti spaziali, accettando di pagarne il costo in definitiva in termini di minori consumi. La
situazione è illustrata nella figura 2.2.
FIGURA 2.2 - LA FRONTIERA SPAZIO - CONSUMO
Consumi (€)
D
C
UA
U’A
F
U’B
UB
0
A
E
B
Spazio (€)
LEGENDA
1. La variabile “Spazio” va intesa come la spesa (a dati prezzi) per ottenere un bene pubblico
(come la prevenzione delle catastrofi, la ricerca scientifica spaziale, ecc.) da un programma
spaziale. La variabile “Consumi” va intesa come un aggregato di consumi valutati a prezzi
costanti
2. Ogni coppia (“Spazio”, “Consumi”) corrispondente ad un punto sulla frontiera è ottenuta solo
se si utilizzano tutte le risorse disponibili
3. Un moltiplicatore elevato della spesa per Spazio implica una frontiera spazio-consumo più
ripida: con piena occupazione delle risorse bisogna sacrificarne di più e quindi sacrificare più
beni di consumo per un dato incremento di quella spesa.
4. Il fatto che le curve d’indifferenza della società A siano più piatte di quelle della società B
significa che la prima è disposta a rinunciare ad una quantità di Spazio maggiore di quella a cui
è disposta a rinunciare la seconda, per la stessa quantità addizionale di Consumi. La società A
valuta maggiormente al margine il Consumo rispetto allo Spazio di quanto non faccia la società
B: la curva d’indifferenza sociale per A è più piatta di quella per B
5. Partendo dal punto (OA, OD) la società A è disposta ad accettare un programma spaziale meno
impegnativo di quello che la società B potrebbe accettare. La scelta sociale ottima per A è data
da (OB, OC) che giace sulla curva d’indifferenza sociale più alta (con utilità sociale massima).
La scelta sociale ottima per B è (OE, OF)
2.2 CATENE E PIRAMIDI DEL VALORE SPAZIALE
I mercati dei servizi spaziali e le loro determinanti. Un secondo argomento a favore degli
investimenti spaziali, più usato di quello del moltiplicatore, per rafforzare la giustificazione che si può
dare degli stessi in termini dei loro benefici diretti (i servizi privati e pubblici dei satelliti), consiste
36 nell’esibire dati che mostrano come i settori commerciali “a valle” dell’ISP abbiano delle dimensioni
per fatturato o valore aggiunto (alle volte non è precisato a quale di queste due grandezze si riferiscono
i dati) che arrivano fino a multipli di dieci del fatturato dell’ISP. Se si fa una pila dei settori, mettendo
i più grandi alla base, si ottengono delle piramidi o catene di valori, come quelle che si vedono in
ESA2000, pag.6; o in Bierett 2007 ripresa in OECD 2007, cap.3 e riprodotta nella Figura 2.3.
FIGURA 2.3 - The three value chains in commercial satellite applications in 2005
Revenues in billions of US dollars
TELECOMMUNICATIONS
EARTH
OBSERVATION
Satellite manufacturing1
<20 companies
1.8
0.5
Launch
service provision1
<10 companies
1.5
0.4
Lease or sale
of satellite capacity
7
User ground
equipment and
terminals
Satellite
based services
Large number of
companies, some global
30
<50 companies,
highly concentrated
0.3
<10 companies,
highly concentrated
0.5
Few companies,
often “space primes”
Many companies
incl. consumer
electronics leaders
No commercial
companies
Few companies,
usually electronics
and aerospace
7
21
1.2
55
NAVIGATION
4.82
2. With meteorological-related funding (not only satellite)
1. Market value at space launch date
1. Market value at space launch date.
2. With meteorological-related funding (not only satellite).
Source: R. Bierett (2007), Presentation for Telecom Info Days 2007, European Space Agency, ESTEC, April (data from Euroconsult, 2006).
Source: R. Bierett (2007), Presentation for Telecom Info Days 2007, European Space Agency, ESTEC, April (data from Euroconsult, 2006). FONTE. OECD 2007
Figure di questi tipo sono molto utili per richiamare l’attenzione sull’importanza dell’ISP in
quanto settore che produce i beni capitali essenziali per ottenere una gamma di servizi sofisticati di
grande rilevanza per i consumi privati e pubblici, così come fa l’industria aeronautica per l’industria
del trasporto aereo civile. Queste figure non devono però indurre a ritenere che le industrie a monte
siano per così dire il fattore causale che genera la piramide o la catena del valore. Le dimensioni
37 assolute e relative dei vari settori della catena dipendono dai fattori che regolano i rispettivi mercati.
Questi fattori operano influenzando le domande e le offerte dei vari servizi satellitari, e queste a loro
volta determinano in equilibrio i tipi di beni prodotti, le loro quantità e i loro prezzi: in definitiva i
valori di ciò che viene prodotto e i redditi distribuiti nel processo produttivo. Tra i fattori che
influenzano le domande di servizi satellitari vi sono non solo l’evoluzione dei redditi dei consumatori
(oggi la variabile predominante nei paesi emergenti ) e la natura delle loro preferenze rispetto ai vari
tipi di servizi, ma anche i prezzi e la qualità degli stessi tipi di servizi offerti attraverso tecnologie
terrestri (nel campo della HD TV, ad esempio, vi è ora una forte concorrenza tra sistemi satellitari e
sistemi cablati terrestri). Tra i fattori che influiscono sulle offerte domina il progresso tecnologico
nella produzione dei satelliti e dei loro payloads. Esso, infatti, permettendo riduzioni dei costi dei
servizi satellitari, miglioramenti della qualità dei servizi esistenti e nuovi tipi di servizio (la HD TV,
il Digital Audio Radio Service – DARS, ecc.), determina nel tempo modificazioni nei vantaggi
competitivi tra i vari segmenti dei servizi satellitari e tra questi e gli analoghi servizi terrestri.
2.3 DALL’INDUSTRIA SPAZIALE AI BENEFICI PER I CONSUMATORI
Benefici per i consumatori dell’industria spaziale in un contesto di equilibrio economico parziale.
Nella sezione 2.1 abbiamo concluso che il tradizionale moltiplicatore, pure quando si verificano le
condizioni alle quali esso è utile per tracciare l’impatto delle attività spaziali sull’economia, non può
dare indicazioni sui benefici netti per i consumatori, che ne derivano. Sempre nella Sezione 2.1 si è
anche visto che l’idea di utilizzare dei modelli CGE per calcolare gli effetti degli investimenti spaziali
sull’intera economia non è realistica date le dimensioni quantitativamente limitate di quel fenomeno.
Nella sezione 2.2 si è invece visto che i dati su fatturati o valori aggiunti impilati nelle varie
piramidi o catene del valore non ci dicono nulla di conclusivo sui fattori che li determinano. Tuttavia
quelle piramidi sono un invito a studiare i mercati dai quali quei dati vengono, analizzando i fattori
che determinano le domande e le offerte. Una tale analisi rientra nella metodologia dell’analisi di
equilibrio parziale, perché prende come date le condizioni di tutti gli altri settori dell’economia,
ancorché a rigore ciò non sarebbe ammesso. Il presupposto di un’analisi di equilibrio parziale è quindi
che le interrelazioni tra il mercato o, nel nostro caso, il complesso di mercati che si considera siano di
un ordine di grandezza inferiore di quelle di cui ci si sta occupando.
Un aspetto estremamente interessante di questo tipo di analisi è che, almeno in linea di
principio, essa consente non solo di tracciare l’impatto delle attività dell’ISP sulle industrie a valle,
ma anche di valutarne il beneficio finale per i consumatori. Nel caso di un’innovazione tecnologica
spaziale diventa così possibile mettere a confronto il costo dell’investimento in R&S per
quell’innovazione con il beneficio finale netto per i consumatori, calcolando così un vero e proprio
tasso di rendimento di quell’investimento.
38 La Figura 2.4 aiuta a fissare le idee sui punti appena esposti. Si immagini il mercato dei
servizi TV satellitari e si supponga, solo per amore di semplicità, che il costo di un satellite sia
costante e che sia costante anche il costo del suo servizio. Se le imprese che producono satelliti e gli
operatori televisivi che li acquistano e li utilizzano per trasmissioni DTH sono in concorrenza, allora
ogni satellite verrà venduto allo stesso prezzo ed i servizi TV verranno venduti ad un prezzo costante
(= costo medio costante = costo per unità di servizio per l’operatore TV + margine d’ammortamento
per unità di servizio, anch’esso preso per semplicità costante). Il mercato dei servizi TV sarà quindi
caratterizzato da:
(i) una curva d’offerta che coincide con la retta orizzontale del costo marginale, CMA (= costo
medio);
e
(ii) una curva di domanda con pendenza negativa.
L’equilibrio di mercato sarà dato dalla quantità di servizi in corrispondenza della quale la
curva di domanda interseca la retta orizzontale d’offerta, ad un prezzo = CMA. A questi servizi
corrisponderà un certo numero di satelliti GEO utilizzati tutti pienamente (tranne probabilmente quello
marginale!). In questa situazione, infine, il beneficio o surplus dei consumatori coinciderà con
l’area del triangolo ABC nella Figura 2.4.
Si supponga ora un’innovazione nella qualità dei satelliti che permette trasmissioni di TV
analogica a costi minori, a parità di costo del satellite. La Figura 2.4 illustra l’equilibrio che alla fine
verrà raggiunto: il CMA degli operatori di TV sarà ora più basso (CMA’) e, di conseguenza, a parità di
domanda, si avrà un nuovo equilibrio nel mercato dei servizi TV, che comporterà non solo una
maggiore quantità di servizi (e un maggior numero di satelliti in orbita), ma anche un incremento del
surplus dei consumatori misurato dall’area del trapezio ombreggiato. Il rapporto tra il valore di
quest’area ed il costo della R&S per il miglioramento della qualità del satellite rappresenta
l’incremento di beneficio ovvero il rendimento dell’innovazione per i consumatori.
39 FIGURA 2.4 - Rendimento sociale di un’innovazione che riduce il costo di un servizio spaziale
P
C
A
d
B
CMA = P
CMA’ = P’
d
0
S
S
S
LEGENDA: S = servizi satellitari = numero satelliti X capacità di servizi di un satellite
La Figura 2.5 illustra una vicenda analoga alla precedente, ma più interessante, nella quale
l’innovazione nel prodotto si traduce nella possibilità di offrire un servizio migliore per il
consumatore, come è avvenuto con il passaggio dalla TV satellitare analogica a quella digitale (HD
TV). Nella figura si fanno due ipotesi importanti: (i) i consumatori apprezzano l’innovazione digitale e
sono disposti a pagare di più rispetto al servizio analogico: la curva di domanda si sposta verso l’alto;
e (ii) il nuovo servizio costa più di quello che sostituisce: la curva del CMA si sposta verso l’alto.
Il passaggio dall’equilibrio iniziale al nuovo è più complicato che nel caso precedente perché
verrà a dipendere dalla velocità con cui i consumatori sostituiranno il servizio analogico con quello
digitale. Immaginiamo che ciò avvenga rapidamente ed integralmente. In questo caso la misura del
rendimento dell’innovazione nella qualità del satellite per i consumatori sarà data dalla differenza tra il
surplus finale del consumatore (area DEF) e quello iniziale (area ABC). In linea di principio questa
differenza potrebbe essere negativa. Il punto importante comunque è di tenere presente che la tendenza
di un nuovo prodotto a spazzare dal mercato quelli vecchi è una caratteristica generale delle economie
di mercato (chiamata da Schumpeter “distruzione creativa”) che va tenuta presente nel calcolo dei
rendimenti sociali degli investimenti in R&S volti a crear nuovi prodotti.
40 FIGURA 2.5 - Beneficio sociale netto di un’innovazione che introduce un servizio migliore (HD TV
rispetto a TV digitale)
P
F
C
d
d
E
D
A
CMA’ = P’
CMA = P
B
d
0
S
d
S
S
Tassi di rendimento privati e sociali dell’innovazione. Negli esempi precedenti il rendimento
dell’innovazione coincideva con quello ottenuto dai consumatori. Per le imprese del settore i profitti
(in eccesso a quelli che garantiscono la remunerazione normale del capitale) erano nulli prima e dopo
l’innovazione. In un celebre ed ancora attuale articolo, Mansfield (1977), gli autori avevano affrontato
il tema del calcolo dei rendimenti di un’innovazione assumendo un contesto un po’ più realistico di
quelli dei nostri esempi, nel quale le imprese ottenevano profitti di natura permanente e nel quale
questi profitti erano influenzati dall’introduzione (i) di nuovi prodotti nei settori a monte, venduti alle
imprese a valle; o (ii) di nuovi prodotti nei settori a valle, venduti direttamente ai consumatori; o (iii)
di nuovi processi produttivi. Facendo riferimento a questa tipologia di innovazioni gli autori
considerarono le esperienze innovative di un limitato numero d’imprese (17) per ciascuna delle quali
calcolarono l’ammontare investito (spese per R&S e costi di start up) ed il rendimento per l’impresa
dato dagli incrementi del suo profitto annuo per un certo numero di anni futuri. Un aspetto per noi
particolarmente interessante della stima dei benefici di un’innovazione in Mansfield (1977), è che gli
autori hanno calcolato anche i rendimenti per le imprese che, in tempi decisamente brevi, copiarono
l’innovazione. Siamo qui in presenza di un caso
di spillovers tecnologici tra imprese (non
necessariamente dello stesso settore) sul quale torneremo ampiamente a partire dal capitolo 7.
Nella terminologia di Mansfield (1977) i rendimenti presenti e futuri per l’impresa sono
chiamati rendimenti privati, mentre la somma di questi rendimenti, dei rendimenti delle altre imprese
e dei rendimenti dei consumatori sono chiamati rendimenti sociali dell’innovazione. Dato
l’investimento sostenuto dall’impresa innovatrice (ed eventualmente da altre imprese che hanno
invano tentato un’innovazione simile) e dati i rendimenti privati e sociali dell’investimento è possibile
calcolare i tassi di rendimento (interni), privati e sociali, dell’investimento nell’innovazione: quei
tassi che uguagliano il valore attuale dei rendimenti al valore dell’investimento iniziale. Gli autori
trovano che la mediana dei tassi di rendimento sociale è pari al 56%, cioè ad un valore decisamente
41 superiore alla mediana dei tassi di rendimento privato, pari al 25%. Quest’ultimo è un valore
decisamente alto solo però a prima vista. Come suggerisce la forte variabilità dei tassi di rendimento
privati delle 17 imprese (da valori vicini a zero a valori superiori al 40%) l’investimento in
innovazione è molto rischioso ed il suo tasso di rendimento include necessariamente un forte premio
per il rischio.
L’esercizio empirico di Mansfield (1977) fu immediatamente ripetuto dalla statunitense
National Science Foundations su un campione di 40 innovazioni, con risultati simili (vedi Tewksbury
(1980)), ma non ha poi avuto altro seguito, a causa sia degli alti costi, in tempo e denaro, della
realizzazione di tali studi di casi sia dell’attrazione per gli economisti di approcci volti a stabilire
relazioni empiriche di carattere generale tra le variabili d’interesse (come si farà nel capitolo 9 a
conclusione della nostra ricerca). Tuttavia meritano di essere ricordati due più recenti studi di caso
degli effetti dell’innovazione in settori dei beni intermedi, sia per la qualità dei modelli teorici
utilizzati sia per l’interesse dei loro risultati empirici.
In Bresnahan (1986) l’autore si propone di misurare il beneficio sociale derivante dall’impiego
di mainframe computer più avanzati in vari settori dei servizi finanziari (banche, assicurazioni,
brokeraggio). Egli aggira l’impossibilità di stimare le funzioni di domanda di questi settori a causa
dell’impossibilità di definire i loro output, calcolando un indice dei prezzi che rapporta i prezzi che
gli acquirenti di quei servizi sarebbero disposti a pagare per i computer di una generazione più
avanzata (se dovessero pagarli loro al posto delle imprese finanziarie che effettivamente li
acquistano!) con quelli che le imprese fornitrici dei servizi hanno effettivamente pagato. Quanto più
alto è questo rapporto tanto maggiore è il rendimento per i consumatori delle innovazioni nei
mainframe computer destinati alle imprese finanziarie. L’Autore trova che questo rapporto è molto
alto e ne trae la conclusione che il rendimento per i consumatori delle innovazioni nel settore dei
mainframe computer è molto elevato13.
A differenza di quanto fatto in Mansfield (1977), in Bresnahan (1986) e nel nostro precedente
secondo esempio, in Trajtenberg (1989) l’autore affronta in maniera esplicita la formalizzazione di un
mercato in cui si vendono diverse varietà qualitative di un bene. A tal fine egli formula una funzione
di domanda, in termini della probabilità che un’impresa sanitaria acquisti una delle diverse varietà del
bene (uno scanner CAT – conputed axial tomography), definito da un certo numero di caratteristiche
che cambiano per effetto delle innovazioni. Una tale formalizzazione consente di stimare la funzione
di domanda per i servizi di scanner CAT con diverse prestazioni e di usarla per calcolare le variazioni
di benessere dei consumatori imputabili ai
miglioramenti di queste prestazioni, dovuti agli
investimenti in R&S dei produttori di scanner CAT. La misura impiegata dall’autore per calcolare il
13
Bresnahan non parla di “rendimento per i consumatori” ma di “spillovers”, che è però un termine normalmente
e anche da noi usato (vedi sezione 7.1) per indicare per indicare i benefici per un’impresa dell’innovazione
realizzata da un’altra impresa o ente di ricerca. 42 rendimento sociale di questi investimenti è il rapporto tra valore attuale dei benefici e costi della R&S.
che risulta pari al 270%.
Gli esempi di casi di studio sopra esaminati se da un lato sono solo esempi che non si prestano
automaticamente a generalizzazioni, dall’altro lato ribadiscono la potenziale importanza ai fini delle
politiche spaziali di analoghi casi di studio del rendimento sociale dell’investimento in R&S nell’ISP
e del calcolo del tasso di rendimento sociale di tale investimento.
Benefici privati e pubblici. In questa sezione abbiamo limitato la nostra attenzione al caso dei
rendimenti sociali dell’investimento in R&S per la produzione di strutture spaziali destinate a fornire
servizi commerciali, vale a dire venduti ai consumatori privati. La questione della valutazione dei
rendimenti sociali di analoghi investimenti destinati a soddisfare bisogni pubblici (difesa, sicurezza,
protezione dell’ambiente, ecc.) presenta maggiori difficoltà e mette di fronte a situazioni paradossali,
nelle quali il beneficio pubblico è tanto più difficilmente misurabile quanto potenzialmente maggiore
(quant’è il rendimento sociale di un investimento in R&S che permette di evitare, grazie alle
informazioni satellitari, un’inondazione catastrofica?). Ciò non toglie che l’elevata priorità morale
degli investimenti rivolti a proteggere vite umane da una particolare fonte di pericolo si scontri con la
dura realtà della scarsità delle risorse finanziarie. Questa invero mette quegli investimenti in
alternativa non solo con investimenti rivolti a sviluppare attività commerciali, ma anche con altri tipi
di investimento pubblico ugualmente impellenti, imponendo con ciò delle scelte che potrebbero essere
rese più convincenti da qualche tipo di valutazione quantitativa.
In particolare, come suggerisce Sveikauskas (2007, pp.8-15) non ha molto senso chiedersi
quanti sono i rendimenti degli investimenti nella ricerca di base perché questi si materializzano solo
indirettamente stimolando la produttività delle ricerche applicate, cioè la R&S delle imprese volta a
realizzare un rendimento privato.
Nella sezione 5.1 si ricorda come l’obiettivo di fornire beni pubblici sia comunque, accanto a
quello della promozione dello sviluppo economico, al centro delle politiche spaziali dell’Europa14.
14
Lo stesso vale per OECD (2005) 43 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
BIERETT R. (2007), ESA Strategy for Telecom and Navigation, ESTEC 16th April 2007
BRESNAHAN T.F. (1986), Measuring the Spillovers from Technical Advance: Mainframe Computers
in Financial Services, American Economic Review, n. 4, Settembre
ESA (2000), Long-Term Space Policy Committee, Second Report, SP-2000, Investing in Space. The
Challenge for Europe
FEDERAL
AVIATION
ADMINISTRATION,
OFFICE
OF
COMMERCIAL
SPACE
TRANSPORTATION ( FAA/AST) (2006), The Economic Impact of Commercial Space
Transportation on the U.S. Economy: 2004
MANSFIELD E., J. RAPOPORT, A.ROMEO, S.WAGNER E G.BEARDSLEY (1977)Social and
Private Rates of Return from Industrial Innovations, Quarterly Journal of Economics, n.2, maggio
OECD (2005), Space 2030. Tackling Society’s Challenges, Parigi
OECD (2007), The Space Economy at a Glance, Parigi
SVEIKAUSKAS L. (2007), R&D and Productivity Growth: A Review of the Literature, US Bureau of
Labor Statistics, Working Paper 408, settembre
TEWKSBURY J.G., M.S. CRANDALL e W.E. CRANE (1980), Measuring the Societal Benefits of
Innovations, Science, 8 agosto
TRAJTENBERG M. (1989), The Welfare Analysis of Product Innovations, with an Application to
Computed Tomography Scanners, The Journal of Political Economy, n.2, aprile
44 CAPITOLO 3 – L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL CONTESTO
EUROPEO:
ANALISI
DEGLI
AGGREGATI
CON
DATI
ASD-
EUROSPACE
In questo capitolo si confronta l’industria spaziale italiana con quelle dei principali paesi
europei e dell’Europa grazie ai dati raccolti da ASD-EUROSPACE. Nella sezione 3.1 si effettua un
confronto per l’anno 2007, dal quale l’Italia emerge come il paese con la terza più importante industria
spaziale in Europa, solo un po’ dopo la Germania, con la quale condivide tipologie produttive e della
domanda. Nella sezione 3.2 si trova che le tendenze alla stagnazione di vendite, occupazione e
produttività nel decennio 1998-2007 accomunano l’industria spaziale italiana e quella europea.
3.1 L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL 2007
I dati di ASD- EUROSPACE. I dati raccolti per i vari paesi dell’Europa15, da ASD- EUROSPACE, il
gruppo per lo spazio di ASD, l’associazione europea delle industrie aerospaziali e della difesa, hanno
il pregio dell’omogeneità del metodo di raccolta e di elaborazione, e consentono così immediati
confronti tra i paesi europei altrimenti assai problematici. I dati sono raccolti dalle imprese attraverso
questionari e per il 2007 ASD- EUROSPACE pubblica pure l’elenco delle circa 250 imprese che
compongono l’industria spaziale europea, in aggiunta ad ampie note metodologiche (vedi ASDEUROSPACE (2008). Per una corretta lettura delle tabelle presentate nel seguito si ricordi che, come
viene peraltro indicato, i dati nazionali ed europei del fatturato riguardano il fatturato consolidato,
vale a dire il fatturato totale (= somma dei fatturati delle imprese) di un paese o dell’Europa, diminuito
dei fatturati corrispondenti a vendite tra imprese. Il fatturato consolidato rappresenta quindi le vendite
dell’industria spaziale al suo esterno: clienti pubblici o privati, che includono anche imprese di
industrie spaziali extra – europee.
Dimensioni e confronti. L’industria spaziale (ISP) è un’industria di nicchia nata da quella aeronautica
e le cui attività sono tuttora in gran parte svolte nell’ambito di imprese aerospaziali e della difesa,
talvolta in divisioni di una stessa impresa (come la divisione Boeing Integrated Defence Systems della
Boeing, che gestisce al suo interno il Satellite Development Center); e talvolta in società controllate da
15
Nel 2007 l’Europa di ASD- EUROSPACE includeva i paesi già EU15, più Bulgaria, Repubblica Ceca,
Polonia, Norvegia, Svizzera e Turchia. 45 un gruppo (come Astrium, una società del Gruppo EADS, o Thales Alenia Space, una società del
gruppo Thales, con partecipazione minoritaria del gruppo Finmeccanica). Dalla Tabella 3.1 si vede
comunque che, in termini di fatturato, l’incidenza dell’ISP su quella dell’aerospazio è maggiore negli
USA (14%) rispetto all’Italia (9%) e all’Europa (5%). Risultati sostanzialmente uguali si ottengono
facendo gli stessi confronti in termini di occupazione.
A quella posizione intermedia dell’industria spaziale del nostro paese nell’incidenza
sull’aerospazio corrisponde un suo maggiore peso in Europa nel campo spaziale (14%) rispetto al suo
peso nell’aerospazio (8%). Ciò fa sì che in campo spaziale l’Italia occupi, con i suoi 776 mln€ di
fatturato nel 2007, una sostanziale seconda posizione, a pari merito con la Germania, e dopo la
dominante Francia (2.404 mln€).
TABELLA 3.1 Confronti internazionali e con aerospazio
1. Fatturati (consolidati) dell’industria spaziale e aerospaziale: Italia, Europa e Stati Uniti ;
2007 (milioni €)
Industria spaziale
Industria aerospaziale
% Spazio su
aerospazio
*
Italia
Europa
Stati Uniti*
776
8.223**
9,43
5.360
99.900
5,37
23.400
146.000
16,00
% Italia su
Europa
14,48
8,23
% Europa su
Stati Uniti
22,91
68,42
I valori in dollari sono stati convertiti al cambio 1 $ = 0,73 €
**
Stime interne su dati dei bilanci delle imprese
2. Dipendenti dell’industria spaziale e aerospaziale: Italia, Europa e Stati Uniti; 2007
Italia
Europa
Stati Uniti*
Industria spaziale
29.637
n. d.
3.969
Industria aerospaziale
471.600
645.000
40.300
% Spazio su
6,28
n. d.
9,85
aerospazio
FONTI: ASD-EUROSPACE (2008); ASD (2008); AIA(2008)
46 % Italia su
Europa
13,39
8,55
% Europa su
Stati Uniti
n. d.
73,02
TABELLA 3.2 Fatturato consolidato dell’industria spaziale: principali Paesi europei; 2007 (milioni €)
Paese
Francia
Fatturato % su Europa
2.404
44,8
Germania
810
15,1
Italia
776
14,5
Regno Unito
565
10,5
Spagna
247
4,6
Altri
558
10,4
5.360
100
Europa
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
Differenze tra le industrie spaziali dei paesi europei. Le principali industrie spaziali in Europa
(Francia, Germania, Italia e Regno Unito) sono diverse non solo per le dimensioni, ma anche per i
loro orientamenti verso il mercato. Come risulta dalla Tabella 3.3 (parte 1) la domanda pubblica
rappresenta lo sbocco di gran lunga principale per le ISP di Italia (66% della sua domanda totale) e
Germania (54%), mentre assorbe quote importanti ma secondarie delle produzioni di Francia (26%) e
Regno Unito (31%). Viceversa questi due paesi hanno significative domande per satelliti commerciali
(rispettivamente 36 e 24 %), che per Italia e Germania sono invece marginali.
Un’altra differenza significativa riguarda l’assenza del Regno Unito dalla domanda delle
società di lancio, che riflette la sua assenza dall’azionariato di Arianespace. Per gli altri tre paesi
invece le vendite a queste società, in grandissima parte ad Arianespace, costituiscono quote importanti
delle loro domande.
Infine va notato che la quota della domanda spaziale militare del Regno Unito raggiunge il
45% della domanda di quel paese.
Anche le specializzazioni produttive delle principali ISP europee presentano delle differenze
abbastanza significative: la vendita di lanciatori ha più o meno un peso del 26% sui totali nazionali di
Francia, Germania ed Italia ed è praticamente assente nel Regno Unito; la vendita dei satelliti per varie
applicazioni ha nel Regno Unito e in Francia (con, rispettivamente, 87 e 69% delle loro vendite totali)
un peso decisamente maggiore di quello che ha in Germania e Italia (in entrambi i casi poco meno
della metà delle loro vendite totali).
47 Infine va notato che le vendite relative allo svolgimento di attività scientifiche rappresentano poco più
di 1/5 delle vendite totali d’Italia e Germania, a fronte di valori del 7% per la Francia e del 5% per il
Regno Unito.
TABELLA 3.3 Distribuzione del fatturato (consolidato) dell’industria spaziale per quattro paesi
europei: 2007
1. Distribuzione per cliente (valori percentuali)
Clienti
Francia
Germania
Italia
Programmi europei civili
Programmi europei militari
Satelliti commerciali e loro
componenti
Lanciatori operativi e loro
componenti
Altro
TOTALE
26,3
19,3
36,2
53,6
17,3
66,4
14,8
Regno
Unito
31,1
44,5
3,6
7,0
23,5
23,6
1,8
100,0
10,0
1,8
100,0
0,0
1,0
100,0
17,8
0,4
100,0
2. Distribuzione per attività (valori percentuali)
Attività produttive
Applicazioni dei satelliti
Attività dei lanciatori
Attività scientifiche
Attività di supporto e di collaudo
Altre attività
TOTALE
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
Francia
Germania
Italia
69,2
23,3
6,9
0,1
0,4
100,0
47,7
27,3
20,8
2,8
1,3
100,0
48,1
26,0
21,7
2,3
1,9
100,0
48 Regno
Unito
86,8
0,2
4,6
6,3
2,0
100,0
FIGURA 3.1 Distribuzione del fatturato (consolidato) dell’industria spaziale per quattro paesi
europei: 2007
1. Distribuzione per cliente (valori percentuali)
49 2. Distribuzione per attività (valori percentuali)
FONTE: tabella 3.3
3.2 LE TENDENZE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL DECENNIO
1998 – 2007
Un decennio difficile. Il decennio 1998-2007 è stato per l’ISP europea, oltre che per quella mondiale,
un decennio caratterizzato da una continua contrazione, acceleratasi tra il 2001 ed il 2003, che solo
negli ultimi due anni si è arrestata per trasformarsi in un’incerta ripresa16. Il risultato di questa
tendenza è un fatturato reale che, in Italia, nel 2007 era ancora solo il 70% del suo valore nel 1998, a
fronte di un analogo 85% per l’Europa (vedi tabelle 3.4 e 3.5). D’altro canto l’occupazione dell’ISP in
Italia era scesa nel 2007 al 70% del 1998, mentre in Europa era scesa nello stesso periodo all’84%.
16
Nel 2007 e 2008 tuttavia le vendite dell’Industria spaziale europea (e mondiale) hanno segnato una decisa
ripresa, nonostante la crisi economica generale. 50 Questi dati implicano una sostanziale stagnazione della produttività del lavoro, assumendo che essa sia
ragionevolmente rappresentata dal fatturato reale per addetto: una grandezza che è rimasta costante
anche nel corso del decennio (vedi figura 3.2).
I dati sui quali si basano le precedenti indicazioni hanno il pregio dell’omogeneità della
raccolta, effettuata annualmente da ASD-EUROSPACE tramite questionari. L’indicazione in merito
alla produttività del lavoro va però presa con la cautela dovuta al fatto che la variabile fatturato al
numeratore ha un andamento solo approssimativamente uguale a quello del valore della produzione
che rappresenta una misura più vicina al concetto di produzione in senso fisico. Inoltre, è forse più
importante tener presente che se i prezzi dei prodotti che l’ISP vende all’esterno non risultano
aggiustati verso l’alto in modo da tenere conto del miglioramento della qualità del prodotto, allora
l’indice dei prezzi di mercato di quel prodotto risulta essere un deflatore troppo elevato del fatturato (o
valore della produzione) nominale, il cui impiego porta a sottovalutare la crescita del fatturato reale e,
quindi, della produttività del lavoro.
TABELLA 3.4 Dipendenti, fatturato (consolidato)e produttività del lavoro nell'industria spaziale
italiana: 1998-2007
Fatturato
Numeri
nominale (migl.
Fatturato reale
Produttività del
indice
€)
(migl. €)*
lavoro (migl €)
produttività
Anno
Dipendenti
1998
5.741
931.800
951.788
166
100
1999
5.837
879.100
890.679
153
92
2000
5.770
859.600
859.600
149
90
2001
5.618
876.135
853.933
152
92
2002
5.413
745.808
710.293
131
79
2003
4.959
677.780
633.439
128
77
2004
4.655
779.955
711.638
153
92
2005
3.849
736.385
662.813
172
104
2006
3.771
719.704
640.306
170
102
2007
3.969
775.733
664.724
167
101
* A prezzi 2000; Indice dei prezzi al produttore per le attività manifatturiere (Banca d’Italia)
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
51 TABELLA 3.5 Dipendenti, fatturato e produttività del lavoro nell'industria spaziale europea: 19982007
Fatturato
Numeri
nominale (migl.
Fatturato reale
Produttività del
indice
Anno
Dipendenti
€)
(migl. €)*
lavoro (migl. €) produttività
1998
34.883
5.318.500
5.432.584
156
100
1999
33.608
5.481.200
5.553.394
165
106
2000
33.207
5.560.700
5.560.700
167
108
2001
34.727
5.258.138
5.124.891
148
95
2002
33.254
4.726.179
4.501.123
135
87
2003
31.587
4.034.141
3.770.225
119
77
2004
30.524
4.784.622
4.365.531
143
92
2005
27.884
4.438.692
3.995.222
143
92
2006
28.863
4.983.280
4.433.523
154
99
2007
29.637
5.360.314
4.593.243
155
100
* A prezzi 2000; Indice dei prezzi al produttore per le attività manifatturiere (Banca d’Italia)
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
FIGURA 3.2 Produttività del lavoro nelle industrie spaziali italiana ed europea
(migl. € reali; prezzi 2000)
FONTE: tabelle 3.4 e 3.5
Tendenze divergenti di spazio ed aerospazio nel 1998-2007. La stazionarietà degli andamenti delle
variabili che definiscono gli aspetti quantitativamente essenziali dell’ISP in Italia ed Europa nel corso
del primo decennio del XXI secolo è in contrasto, a prima vista abbastanza sorprendente, con quella
della componente aeronautica dell’industria aerospaziale in Italia come in Europa. Come illustrano le
52 figure 3.3 – 3.5, a fronte di tendenze negative per l’occupazione nelle ISP, italiana ed europea, e di
una tendenza negativa per il fatturato reale dell’ISP europea17, si registrano delle tendenze positive,
sottostanti ad un’onda ciclica completa18, sia per l’occupazione nell’industria aeronautica in Italia ed
Europa sia per il fatturato reale in Europa. La prima sale invero dai 31.000 addetti del 1998 ai 36.300
del 2007 in Italia e dai 387.600 del 1998 ai 442.000 del 2007, in Europa. Il fatturato reale
dell’industria aeronautica europea è a sua volta salito dai 62,7 mld € del 1998 agli 81 del 2007.
Ma la differenza più significativa tra le vicende dell’ISP e dell’industria aeronautica europee è
illustrata nella figura 3.6 che illustra come, partendo da uno stesso livello di produttività del lavoro nel
1998 (circa 160.000€ per lavoratore; a prezzi 200), l’industria aeronautica abbia registrato sia una
crescita di quella grandezza a fronte di una sua stazionarietà per l’ISP, sia un andamento meno
fluttuante. L’individuazione dei fattori che potrebbero spiegare questa divergenza fornirebbe
senz’altro delle percezioni significative sul funzionamento di queste industrie.
FIGURA 3.3 Occupazione nelle industrie aeronautica
e spaziale italiane (migliaia)
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
17
Per l’Italia non sono disponibili i dati per una figura analoga alla Figura 3.5, perché non è disponibile, per gran
parte del periodo 1998-2007, la serie storica del fatturato dell’industria aeronautica italiana (né dall’italiana
AIAD né dall’europea ASD). 18
Dovuta al fatto che la crisi economica generale del 2001 (con l’impatto aggiuntivo dell’11/9, particolarmente
acuto per il trasporto aereo) ha inciso su un’industria aeronautica mondiale in fase espansiva. 53 FIGURA 3.4 Occupazione nelle industrie aeronautica e spaziale europee (migliaia)
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
FIGURA 3.5 Fatturato (consolidato) delle industrie aeronautica e spaziale europea (miliardi € ; prezzi
2000)
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
54 FIGURA 3.6 Produttività del lavoro delle industrie aeronautica
e spaziale europea (migliaia € ; prezzi 2000)
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
Prospettive per il secondo decennio del XXI secolo. Secondo la generalità degli osservatori il primo
decennio del XXI secolo dovrebbe essere seguito da un decennio caratterizzato da una crescita buona,
anche se non eccezionale. Euroconsult (Euroconsult EC, 8 giugno 2009), ad esempio, prevede che nel
2009-2018 verranno costruiti e lanciati 1.185 satelliti, con un aumento del 50% rispetto al numero per
il precedente decennio 1999-2008.
L’evoluzione delle componenti della domanda dell’ISP europea: 1998-2007. Il primo passo per
spiegare l’andamento della domanda è quello di distinguere al suo interno le componenti che
rispondono a logiche diverse. La tabella 3.6 (parte 1) evidenzia tre tipi di domanda: pubblica civile,
pubblica militare e commerciale (da parte degli operatori di satelliti che offrono servizi commerciali).
Tuttavia va tenuto presente che la complessità del prodotto e gli alti costi e rischi della R&S fanno sì
che la produzione di un satellite avvenga nell’ambito di un programma che va dal progetto iniziale,
allo sviluppo, al prototipo e alla produzione, nel quale impresa produttrice ed ente pubblico acquirente
collaborano strettamente per la gestione del programma ed anche per i finanziamenti iniziali. Ad
esempio, il rapporto Digital Britain, del ministro per le comunicazione, afferma la necessità di portare
nelle aree rurali la connessione internet ad alta velocità. Da parte sua Avanti Communications, un
produttore di satelliti, interessato al progetto ritiene che “it might costs £500m to launch two satellites
to provide rural broadband coverage. But such investment might be in jeopardy unless a public-private
55 partnership was created, with the government underwriting a capital markets fundraising” (Financial
Times, 27 maggio 2009).
La tabella 3.6, parte1 (che va letta senza dimenticarsi che è a valori nominali) mostra alcune
costanti nella composizione della domanda europea:
(i)
il ruolo fondamentale di ESA nella domanda pubblica civile e comunque di primaria
importanza in assoluto;
(ii)
il peso a tutt’oggi dominante, anche se non più esclusivo come lo è stato fino al 2001, dei
satelliti geostazionari.
Quella tabella mostra anche alcune non sorprendenti tendenze:
(i)
la domanda commerciale di satelliti e lanciatori è stata più sensibile alla recessione generale
seguita al 2001, scendendo in termini nominali da 2,5 mld€ nel 1998 a 1,3 nel 2003;
(ii)
la dinamica leggermente negativa delle spese ESA e altri programmi civili;
(iii)
il rilancio della domanda militare che dopo essere scesa da 512 milioni€ nel 1998 a 358 nel
2001 è salita rapidamente al miliardo di euro del 2007.
Per quanto riguarda la tipologia produttiva si possono sottolineare due tendenze:
(i)
i satelliti per telecomunicazioni hanno conservato in tutto il decennio il loro peso rilevante nel
settore satelliti, ma anche in assoluto (65% delle vendite di satelliti);
(ii)
le vendite finalizzate a progetti scientifici sono scese dal miliardo di euro del 1998 ai 690
milioni del 2007
TABELLA 3.6 Fatturato dell’industria spaziale europea (milioni € correnti)
1. Per tipo di cliente
Clienti
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Programmi europei civili
2.308
2.292
2.241
2.073
2.250
2.100
2.232
2.030
2.076
2.185
di cui ESA
1.674
1.521
1.530
1.342
1.492
1.449
1.464
1.320
1.476
1.516
Programmi europei militari
512
522
406
358
471
548
724
736
937
1.006
Mercato istituzionale europeo
2.820
2.814
2.646
2.431
2.721
2.648
2.956
2.766
3.014
3.192
Satelliti commerciali
1.524
1.647
1.804
1.772
1.204
701
987
845
965
1.236
di cui sistemi commerciali GEO
1.524
1.647
1.804
1.772
1.115
657
921
773
850
996
931
976
1.062
947
750
568
563
718
885
835
2.455
2.623
2.866
2.719
1.954
1.269
1.551
1.563
1.850
2.070
42
44
49
107
52
117
278
110
120
98
5.317
5.481
5.561
5.258
4.726
4.034
4.785
4.439
4.983
5.360
Operazioni di lancio
Mercato commerciale e esportazioni
Altro/non identificato
TOTALE
56 2. Per tipologia produttiva
Tipologie produttive
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Satelliti
2.526 2.957 2.790 2.709 2.525 2.031 2.840 2.586 2.934 3.289
di cui: telecomunicazioni
1.609 1.875 1.706 1.762 1.536 1.219 1.776 1.567 1.865 2.163
osservazione della terra
navigazione/localizzazione/
posizionamento
Lanciatori e attività di lancio
di cui: sviluppo dei lanciatori
Attività operative dei lanciatori
917 1.043
998
838
908
675
854
812
826
825
85
109
60
137
210
207
243
301
1.551 1.405 1.630 1.359 1.152
871
935 1.077 1.200 1.185
-
40
620
429
568
411
402
303
372
359
316
350
931
976 1.061
947
750
568
563
718
885
835
Attività scientifiche
1.017
864
891
954
736
839
831
611
703
690
Attività di supporto
156
165
182
119
190
160
90
78
72
110
67
90
68
118
123
132
89
87
75
87
Altro/non identificato
TOTALE
5.317 5.481 5.561 5.258 4.726 4.034 4.785 4.439 4.983 5.360
FONTE: ASD–EUROSPACE (2008)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
ASD-EUROSPACE (2008), Eurospace Facts and Figures. Data 2007
ASD (2008), Facts and Figures 2007
AEROSPACE INDUSTRIES ASSOCIATION – AIA (2008), Aerospace Facts&Figures, Arlington,
Virginia, USA
57 CAPITOLO 4 – L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA OGGI E LA SUA
EVOLUZIONE NEL DECENNIO 1998-2007: ANALISI CON DATI A
LIVELLO D’IMPRESA
In questo capitolo si va dietro ai dati aggregati di ASD-EUROSPACE sull’industria spaziale
italiana (utilizzati nel capitolo 3) per metterne in luce la struttura produttiva e l’evoluzione negli anni
recenti della sua produttività, cioè della sua capacità di trasformare gli impieghi di fattori produttivi in
output.
Poiché le attività produttive spaziali sono spesso svolte da imprese impegnate anche in altre
attività, tipicamente ma non sempre aerospaziali, e poiché normalmente non sono disponibili dati
pubblici disaggregati sulle attività svolte all’interno delle imprese, la costruzione del quadro empirico
dell’industria spaziale è decisamente laboriosa. Nonostante ciò è stato possibile, nella sezione 4.1,
costruire un quadro abbastanza attendibile delle imprese con produzioni e valutare i loro fatturati
spaziali. Questi hanno fornito un metro per dare un’idea, nella sezione 4.2, delle dimensioni e
caratteristiche strutturali del settore spaziale italiano nel 2007.
Nella sezione 4.3 si svolge invece un’analisi delle produttività parziali degli input di lavoro e
capitale e della produttività totale delle imprese con produzioni spaziali, usando i dati per il complesso
delle loro attività, nella convinzione che la performance di un gruppo d’imprese con attività anche
solo parzialmente spaziali sia il punto di partenza per un’analisi approfondita degli effetti di spillovers
tecnologici dal settore spaziale agli altri settori interni all’impresa (su questo punto vedi anche le
sezioni 7.2 e 7.3)
58 4.1 UNA COSTRUZIONE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL 2007
Problemi di individuazione delle attività spaziali. In questa sezione vengono presentati i risultati del
lavoro di individuazione e raccolta di dati sulle imprese italiane impegnate nell’industria spaziale
(ISP), come definita nella sezione 1.1. L’individuazione e la selezione delle imprese dell’ISP si è
rivelata piuttosto faticosa perché in molte imprese, soprattutto le grandi, le attività spaziali sono svolte
accanto ad altre attività, tra le quali primeggiano quelle aeronautiche. Inoltre, non mancano i casi
(come Telespazio), in cui un’impresa è impegnata sia in attività spaziali che rientrano nell’ISP (la loro
sezione upstream) sia in attività che rientrano nella sezione downstream. Il problema d’individuazione
non si porrebbe se le attività del’ISP fossero collocate in business unit o divisioni con una contabilità
separata e pubblicata, ma questo avviene solo in una minoranza dei casi e solo per poche variabili tra
quelle che interessano. I dati vengono quindi non di rado costruiti attingendo ad una pluralità di fonti
pubbliche esterne all’impresa e talvolta ottenuti con ragionevoli congetture.
Imprese con produzioni spaziali. La compilazione dell’elenco delle imprese italiane con produzioni
spaziali si è basata sugli elenchi delle principali associazioni dell’industria spaziale italiana e sulle
informazioni desunte dai contratti assegnati ad imprese spaziali, messe a disposizione da ASI. Gli
elenchi consultati sono stati quelli di AIAD (Associazione Industrie per l’Aerospazio i Sistemi e la
Difesa)19, AIPAS20 (Associazione Italiana Piccole e Medie Imprese per l’Aerospazio), ASAS
(Associazione per i Servizi, le Applicazioni e le Tecnologie ICT per lo Spazio)21, Progetto “Sistema
Spazio Italia”22, SAM (Società Aerospaziale Mediterranea)23. Oltre agli elenchi sopra ricordati,
l’individuazione di alcune imprese è avvenuta anche attraverso indicazioni esplicite (tratte da
documenti aziendali o da siti web) di rapporti d’affari relativi ad attività spaziali, intrattenuti da
1919
Dal 2009 l’Associazione diventa Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza pur
mantenendo la sigla AIAD. AIAD è associata a CONFINDUSTRIA, è membro di ASD (Associazione Europea
delle industrie per l’AeroSpazio e la Difesa), di UNAVIA (Associazione per la Normazione e la Formazione nel
settore Aerospaziale) e di UNAVIAcert (Società per la Certificazione nel settore Aerospaziale). Le aziende
associate AIAD sono 117 (settembre 2009) e contano un totale di oltre 50.000 addetti. Fonte: http://www.aiad.it. 20
Attualmente l’AIPAS è composta da 28 Associate, tra cui due Consorzi di imprese, per un totale di circa 500
dipendenti ed un fatturato complessivo di circa 150 Milioni di euro. Fonte: http://www.aipas.it. 21
ASAS (ASASpazio) è stata costituita nel 2004 da alcune tra le più significative imprese del settore per
valorizzare le applicazioni e i servizi basati sulle tecnologie spaziali e la capacità, che queste hanno, di portare
dallo Spazio alla Terra le potenzialità di questo settore e di contribuire all'innovazione tecnologica del Paese. Le
imprese associate sono 25 (settembre 2009). Fonte: http://www.asaspazio.it/ 22
Su iniziativa di AIAD e di ASAS, il 26 giugno 2009, presso la sede di Confindustria, si è tenuta la riunione di
avvio ufficiale del Progetto “Sistema Spazio Italia” con l’istituzione del “Tavolo Impresa Spazio”. 23
Fondata nel 1998,la Società Aerospaziale Mediterranea rappresenta la prima realtà italiana di aggregazione di
PMI del settore aerospaziale e si configura come un sistema innovativo di ingegneria simultanea e collaborativa.
Attualmente composta da quindici PMI operanti attivamente nel settore aerospaziale.
Fonte: http://www.samaerospazio.it/home.htm. 59 imprese già inserite nel nostro elenco. Infine si è considerato l’elenco delle imprese italiane (13)
riportato in ASD-EUROSPACE (2008). La tabella 4.1 riporta l’elenco delle imprese così individuate.
Tabella 4.1: Imprese italiane con attività spaziali nel 2007: Fonti
Imprese Spaziali
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
Aerostudi SpA
Alenia SIA
Aurelia Microelettronica SpA
Avio SpA
CAEN Aerospace Srl
Carlo Gavazzi Space SpA
CESI SpA
Dataspazio SpA
Elsag Datamat SpA
Galileo Avionica SpA
IRCA SpA
Microtecnica Srl
NEXT Ingegneria dei Sistemi SpA
Rheinmetall Italia SpA
Space Engineering SpA
Space Software Italia – SSI SpA
Telespazio SpA
Thales Alenia Space Italia SpA
Top-Rel Srl
Vitrociset SpA
Aero Sekur
Aerospazio Tecnologie Srl
Alta Spa Pisa
Altec SpA
Andromeda Srl
ATM Advanced Tools & Modules Srl
Blu Electronic Srl
CAMA Snc
ELV SpA
Forgital Italy SpA
IDS Ingegneria dei Sistemi SpA
Ingegneri Speranza Srl
Intecs SpA
Kayser Italia
Marotta Advanced Technologies
MBDA Italia SpA
MEC Srl
NMC Nuovo Mollificio Campano Srl
S.A.B. Aerospace Srl
Sistemi Compositi SpA
Techno System Developments Srl
THALES Italia SpA
Eurospace
ASI
AIAD AIPAS ASAS
SAM
Altre
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
60 *
43 UTRI Unmanned Tech. Res. Instit. Srl
*
*
Fonti: Repertori associazioni varie (AIAD, AIPAS, ASAS, Sistema Spazio Italia, ASD-Eurospace), ASI, siti
web.
Scelta delle imprese incluse nell’ISP. Il passo successivo è stato quello di raccogliere i dati necessari
a descrivere in termini quantitativi lo scenario più recente dell’ISP italiana. A tal fine abbiamo estratto
dalle 43 imprese della tabella 4.1 le 20 imprese della tabella 4.2, in base all’importanza delle
produzioni spaziali (upstream) ed in parte anche in base alla disponibilità dei dati. Le principali fonti
di dati ed informazioni per questo passaggio sono state la banca dati AIDA, i bilanci annuali delle
imprese, i siti web, le associazioni di settore (AIAD, AIPAS, ASAS, Progetto “Sistema Spazio Italia”,
SAM), ed i dati raccolti ed utilizzati nelle appendici di Graziola (2006).
Le attività spaziali delle 20 imprese così ottenute costituiscono l’industria spaziale italiana,
che denoteremo ISP-20.
La seguente tabella 4.2 riporta, nella parte I, le informazioni essenziali su quelle imprese,
mentre nelle parti II e III riporta i dati sui loro occupati e fatturato, distinguendo le quote dello spazio
nei totali.
61 Tabella 4.2 L’industria spaziale italiana (ISP-20) nel 2007
PARTE I – Le imprese
1.
Aerostudi SpA24
Anno
Nascita
1989
2.
Alenia SIA SpA 25 26
1969
Torino
3.
Aurelia
Microelettronica SpA27
1998
Viareggio
(LU)
4.
Avio SpA28 29
1908
Torino
5.
CAEN Aerospace Srl30
1997
Viareggio
(LU)
Privata - IT
Alenia Aeronautica SpA
(60%) – Galileo Avionica
SpA (30%) – Selex
Communications SpA
(10%)
CAEN SpA (34,6%) - Altri
privati (IT)
Cinven Limited (REGNO
UNITO) (85%) Finmeccanica (15%),
C. Invest Srl (80%) e
Privati
6.
Carlo Gavazzi Space
SpA
1981
Milano
Privata (italo-tedesca)
Imprese
Sede
Assetti Proprietari
Trieste
7.
CESI SpA
1956
Milano
8.
Dataspazio SpA
1988
Roma
ENEL SpA (25,9%); Terna
SpA (24,4%); Ansaldo
Industria SpA (9,3%);
Edipower SpA (7%) e altri
Elsag Datamat (51%);
Telespazio (49%)
9.
Elsag Datamat SpA31
2007
Genova
Finmeccanica SpA (100%)
24
Holding
Tipologia Prodotti
Sistemi meccanici e subsistemi
Finmeccanica
Sub-sistemi avionici per componenti
ISS e satelliti scientifici
CAEN Group
Progettazione componenti elettroniche
per applicazioni spaziali
BCV
Investments
S.C.A. (Lux)
Propulsione spaziale, Propulsione
tattica e Lanciatore VEGA
CAEN Group
Progettazione e produzione componenti
elettronici per applicazioni spaziali
Integrazione sistemi spaziali (satelliti,
lanciatori futuri, osservazione terra)
Sviluppo e produzione di celle solari ad
alta efficienza e strumentazione elettroottica
Finmeccanica
Finmeccanica
Progettazione e sviluppo di sistemi
(centri di controllo satelliti) e software
per applicazioni spaziali
Segmenti: Spazio, Terra, Strutture
Dati riferiti all’anno 2004 (ultimo anno disponibile Banca dati AIDA). 25
Vendite a Thales Alenia Space Italia SpA (Fonte: Bilancio 2007, p. 119 – Libro Verbali Assemblee 2006) 26
Dal 2008 incorporata in Finmeccanica. 27
2009: Fusione in CAEN Aurelia Space Srl 28
Fino al 2002: Fiat Avio SpA.. 29
Dati per il 2007. Fonte: Nostri calcoli su dati del Bilancio consolidato 2007 e da fonti aziendali. 30
Nasce nel 1992 come Divisione Spazio di CAEN SpA. Nel 2009: Fusione in CAEN Aurelia Space Srl 62 10.
IRCA SpA
1975
Treviso
11.
Microtecnica Srl32
1929
Torino
Div. RICA - Zoppas
Industries Group
United Technologies
Holding Italy Srl
12.
NEXT Ingegneria dei
Sistemi SpA
1999
Roma
Privata - IT
13.
Galileo Avionica SpA34
2001
Firenze
Finmeccanica (100%)
Finmeccanica
14.
Rheinmetall Italia
SpA35 36
2007 (
Roma
Rheinmetall AG
(100%)(G)
15.
Space Engineering
SpA37
1989
Roma
Privato (IT)
Rheinmetall AG
(G)
Space
Engineering
Group
16.
Space Software Italia –
SSI SpA38
1988
Taranto
Elsag-Datamat SpA
(100%)
Finmeccanica
17.
Telespazio SpA39
2005
(1961)
Roma
Telespazio Holding Srl
Finmeccanica
(67%) – Thales
(F) (33%)
United
Technologies C.
(USA)33
Sistemi di controllo termico
(resistenze) per satelliti e ISS
Propulsione mezzi spaziali:
Componenti: sistemi di controllo per
razzi vettore
Analisi, progettazione e sviluppo di
software "On Board" e "Ground".
Integraz. di applicazioni e sottosistemi
Sviluppo di applicazioni derivanti dalle
tecnologie spaziali
Equipaggiamenti e sottosistemi per
satelliti - Sensori spaziali; strumenti
elettro-ottici
Piccoli satelliti, apparati elettronici e
radiofrequenze, strutture e meccanismi
R&S, progettazione, prototipi sistemi
spaziali per TLC, navigazione,
controllo ambiente, GIS, Telemedicina
Progettazione e sviluppo di sistemi
software avanzati per applicazioni
spaziali
Servizi per le soluzioni satellitari:
controllo e sfruttamento dei
sistemi spaziali, fornitura di reti e
servizi ad alto VA, applicazioni
multimediali,
osservazione della Terra
31
Nasce per fusione di Elsag SpA (1998) e Datamat SpA (1971). 32
Acquisita nel 2008 da Hamilton Sundstrand (UTC) Ceduta ad Fondo Stirling Square Capital Partners (REGNO UNITO) nel mese di luglio 2008. 34
2008: nasce Selex Galileo SpA dalla fusione tra SELEX Sensors and Airborne Systems Ltd. (REGNO UNITO) e Galileo Avionica SpA 35
Nata come Contraves Italiana nel 1952, quindi Oerlikon Contraves nel 1992, dopo la fusione con Oerlikon Italiana di Lainate (MI). 36
Il dato è calcolato sulla base della percentuale dei ricavi da attività spaziali dichiarati nel Bilancio 2007 (36%). 37
Controlla: TeS Teleinformatica e Sistemi Srl (100%). Attività: R&S, Progettazione, produzione e integrazione sistemi micro-satelliti (Potenza). 38
Nel 2006: Dipendenti: 105; Fatt. 9.275 39
Il dato si riferisce ai ricavi dell’Unità di Business “Satellite Operations & Grandi Programmi”, mentre gli occupati sono calcolati sul totale nella stessa proporzione dei
ricavi (33,6% circa). 33
63 18.
Thales Alenia Space
Italia SpA40
2005
Roma
Thales Alenia Space
Societé par actions
simplifié (F)
19
Top-Rel Srl41
1988
Roma
Alter Technology Group
(SP)
20.
Vitrociset SpA
1992
Roma
CISET Srl (90%) – Selex
Sistemi Integrati SpA
(10%)
Thales (F)
(67%) Finmeccanica
(33%)
Sistemi satellitari e infrastrutture
orbitanti
Servizi alle imprese spaziali per
componenti Hi-Rel
Progettazione, sviluppo, hardware e
software per basi di lancio e controllo
spaziale, monitoraggio ambientale e
mobilità
Legenda: * Dati stimati sulla base della proporzione del fatturato spazio sul fatturato totale.
40
Fino al 2004: Alenia Spazio SpA. 41
Nel 2008 Top-Rel diventa Alter Technology Italy. 64 PARTE II – I fatturati
Fatturato spazio
(000 €)
Grandi Imprese
(≥ 250)
Alenia SIA SpA
AVIO SpA
CESI SpA
Elsag Datamat SpA
Galileo Avionica SpA
IRCA SpA
Microtecnica Srl
Rheinmetall Italia SpA
Telespazio SpA
Thales Alenia Space Italia SpA
Vitrociset SpA
Totale grandi imprese
PMI
(< 250)
Aerostudi
Aurelia Microelettronica
CAEN Aerospace
Carlo Gavazzi Space
Dataspazio
Next Ingegneria dei Sistemi
Space Engineering
Space Software Italia
Top-Rel
Totale PMI
Totale ISP-20
Fatturato totale
(000 €)
% fatturato spazio
2.105
220.303
7.040
57.742
66.062
36.856
12.519
13.779
105.047
576.995
43.874
1.142.322
21.046
1.540.578
70.399
481.187
550.519
245.709
125.191
38.275
312.641
576.995
141.529
4.104.069
10
14
10
12
12
15
10
36
34
100
31
28
1.046
100
1.017
33.464
5.899
6.267
9.896
8.297
15.729
81.715
1.743
995
1.017
33.464
5.899
12.533
9.896
10.371
15.729
91.647
60
10
100
100
100
50
100
80
100
89
1.224.037
4.195.716
29
65 PARTE III – L’occupazione
Dipendenti totali
Grandi Imprese
(≥ 250)
Alenia SIA SpA
AVIO SpA
CESI SpA
Elsag Datamat SpA
Galileo Avionica SpA
IRCA SpA
Microtecnica Srl
Rheinmetall Italia SpA
Telespazio SpA
Thales Alenia Space Italia SpA
Vitrociset SpA
TOTALE GRANDI IMPRESE
PMI
(< 250)
Aerostudi
Aurelia Microelettronica
CAEN Aerospace
Carlo Gavazzi Space
Dataspazio
Next Ingegneria dei Sistemi
Space Engineering
Space Software Italia
Top-Rel
TOTALE PMI
321
4.715
558
1.653
3.185
858
624
340
949
2.073
764
16.040
20
25
17
177
48
174
56
158
25
700
TOTALE ISP-20
16.740
4.2 CARATTERI STRUTTURALI
Il peso dell’ISP nell’industria aerospaziale italiana. Secondo i dati della tabella 4.2, nel 2007,
l’industria spaziale italiana, che d’ora in avanti chiameremo anche ISP-20, fatturava 1.224 milioni di
euro. Essa era costituita da imprese per le quali le attività spaziali erano diversamente rilevanti: il
fatturato delle 9 PMI costituivano l’89% del loro fatturato totale. Questa percentuale scendeva al
10-15 % per 8 delle grandi imprese; saliva a circa il 33% per Rheinmetall,Telespazio e Vitrociset; e al
100% per Thales Alenia Space.
Poiché (i) gli unici dati reperibili in fonti pubbliche sulle attività spaziali delle imprese
impegnate anche in altre attività sono quelli relativi al fatturato riportati nella parte II della tabella 4.2;
e (ii) non si dispone di dati sul fatturato (e nemmeno sul valore della produzione) dell’industria
aeronautica italiana (vedi nota 16, sezione 3.2), non è possibile alcun confronto omogeneo tra la nostra
ISP-20 e l’industria aerospaziale italiana. Tuttavia, prendendo per buono che il rapporto tra il numero
degli occupati spaziali ed il totale degli occupati dell’ISP-20 sia pari a quello tra i corrispondenti
fatturati (0,29), dai dati delle parti II e III della tabella 4.2 si ottiene un valore di 4.854 occupati per
66 l’ISP-20. Questo valore è coerente con i 3.969 occupati nell’ISP secondo ASD-EUROPSACE (vedi
figura 3.1) in considerazione del fatto che esso è basato su un insieme di 20 imprese, mentre ASDEUOROSPACE ne considera 13. Facendo il confronto con i 40.300 dell’industria aerospaziale
italiana, la quota degli addetti del’ISP-20 su quest’ultima risulta pari al 12%, contro il 10% della
tabella 3.1.
Recentemente Graziola (2009) ha presentato un calcolo, basato su dati di bilancio,
dell’occupazione, del valore della produzione e del valore aggiunto di 81 imprese con produzioni
aerospaziali42. Poiché i dati di bilancio delle imprese dell’ISP-20 forniscono anche i valori delle loro
produzioni (spaziali e non) ed i corrispondenti valori aggiunti, è possibile confrontare le imprese con
produzioni spaziali con le imprese con produzioni aerospaziali. Un tale confronto non è omogeneo
perché, come osservato nella nota (42), le quote proporzionali medie delle attività spaziali ed
aerospaziali dei due gruppi d’imprese sono diverse; e le altre attività possono a loro volta essere di
natura molto diversa. Tuttavia questa eterogeneità può diventare un elemento d’interesse perché, come
vedremo più avanti (sezioni 7.2 e 7.3), le informazioni sui risultati complessivamente ottenuti da
un’impresa, insieme a quelle sul peso che le produzioni spaziali hanno al suo interno, possono dare
utili indicazioni sull’importanza degli spillovers tecnologici derivanti da quelle produzioni all’interno
dell’impresa.
Tabella 4.3 Dipendenti, fatturato e fatturato per addetto delle imprese con produzioni spaziali e
aerospaziali: 2007
Dipendenti
Fatturato
(milioni
€)
(i) Imprese
con
produzioni
spaziali
16.740
4.196
(ii) Imprese
con
produzioni
aerospaziali
35.334
n. d.
((i)/(ii))*100
47,4%
FONTI: Tabella 4.2 e Graziola (2009).
42
Valore della Valore
Valore
produzione aggiunto
della
(milioni
produzione
per
€)
(milioni €) dipendente
(migliaia €)
Fatturato
per
addetto
(migliaia
€)
Valore
aggiunto
per
dipendente
(migliaia €)
265
4.457
266
1.594
95
n. d.
-
8.223
54,2%
233
3.152
50,6%
89
Si avverte che il numero delle imprese con produzioni spaziali incluse in AEROSPA-81 è minore di quello di
ISP-20, perché la prima industria è stata costruita con un criterio più selettivo (solo le imprese con fatturati
aerospaziali con valori non minori del 50% dei corrispondenti fatturati totali) di quello seguito per ottenere IPS20. Le imprese di ISP-20 presenti anche in AEROSPA-81(Alenia SIA, AVIO, Carlo Gavazzi Space, Galileo
Avionica, Microtecnica, Telespazio, Thales Alenia Space Italia) costituiscono comunque un 80% dei dipendenti
e un 90% del fatturato di ISP-20. 67 I dati riportati nella tabella 4.3 mostrano che il rapporto tra i dipendenti delle imprese spaziali
e quelli delle imprese aerospaziali (48%) è decisamente più elevato di quello tra i dipendenti spaziali e
quelli aerospaziali (10-12%) sopra citato, perché tra le imprese con produzioni spaziali figurano poche
grandi imprese aerospaziali (AVIO, Galileo Avionica, Microtecnica) con quote di attività spaziali
piuttosto basse. Essi mostrano anche che il valore della produzione per dipendente ed il valore
aggiunto per dipendente per le imprese con produzioni spaziali sono mediamente maggiori che per le
imprese con produzioni aerospaziali. La significatività di questi risultati è ridotta dalla naturale
congetturale del dato sugli addetti dell’ISP-20.
Proprietà. Poco più di un terzo (7) delle imprese dell’ISP-20 sono controllate da Finmeccanica,
mentre altre 5 sono controllate da altrettante holding straniere (4 europee ed 1 statunitense). Il fatturato
spaziale del gruppo delle imprese controllate da Finmeccanica pesa sull’ISP per il 16,7% . Per Thales
Alenia Space Italia questa percentuale sale al 50,2%; per i restanti gruppi stranieri è del 22,9% e per i
privati italiani è del 10,2% (vedi tab. 4.4).
68 Tabella 4.4. Distribuzione del fatturato delle imprese ISP-20 secondo la proprietà: 2007
Fatturato
Imprese controllate da Finmeccanica
Incidenza %
(€000)
Dipendenti
spazio
Alenia SIA
2.105
n.d.
Dataspazio SpA
5.899
48
Elsag Datamat SpA
57.742
n.d.
Galileo Avionica SpA
66.062
n.d.
8.297
n.d.
Telespazio SpA (Finmeccanica (67%)-Thales (33%))
105.047
n.d.
Totale
245.152
20,0
n.d.
576.995
47,1
2.073
Space Software Italia – SSI SpA
Imprese Controllate da Thales
Thales Alenia Space Italia SpA
Imprese controllate da altri gruppi stranieri
Avio SpA - BCV Investments S.C.A (Lux)
220.303
n.d.
Alter Technology Italy - Alter Technology (SP)
15.729
25
Rheinmetall Italia SpA - Rheinmetall AG (G)
13.779
n.d.
Microtecnica Srl - UTC (USA)
12.519
n.d.
Totale
262.330
21,4
n.d.
Imprese controllate da altri gruppi o privati italiani
Vitrociset SpA - Privati
43.874
n.d.
Carlo Gavazzi Space SpA - Privati
33.464
177
IRCA SpA - Zoppas Industries
36.856
n.d.
Space Engineering SpA - Space Engineering Group
9.896
56
CESI SpA - Privati
7.040
n.d.
NEXT Ingegneria dei Sistemi SpA - Privati
6.267
174
Aerostudi SpA - Privati
1.858
n.d.
CAEN Aerospace Srl - CAEN Group
1.017
17
100
n.d.
Aurelia Microelettronica SpA – CAEN Group
Totale
140.372
11,5
n.d.
Totale
1.224.037
100,0
n.d.
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio e banca dati AIDA.
69 Età. L’industria spaziale ha origini relativamente recenti rispetto all’industria aeronautica ma non
mancano tra le protagoniste del settore imprese con origini lontane di decenni (vedi tab. 4.5). Merita
attenzione il fatto che, dopo le numerose PMI nate tra la fine degli anni ottanta e il 2000 per iniziativa
di ex-dipendenti altamente qualificati provenienti da altre grandi imprese attive nell’industria
aerospaziale, le imprese nate dopo il 2000 sono i risultati di una serie di processi di consolidamento
condotti nel tempo dai grandi gruppi industriali (soprattutto di Finmeccanica) già operanti
nell’industria aerospaziale, con l’obiettivo di rafforzare la loro presenza in un settore come l’ISP,
considerato strategico.
Tabella 4.5 Età delle imprese dell’ISP-20
Imprese
Anno Nascita
Classi di età
‹ 1980
1
Avio SpA
1908
2
Microtecnica Srl
1929
3
CESI SpA
1956
4
Alenia SIA SpA
1969
5
IRCA SpA
1975
1981-1990
1
Carlo Gavazzi Space SpA
1981
2
Dataspazio SpA
1988
3
Space Software Italia – SSI SpA
1988
4
Top-Rel Srl
1988
5
Aerostudi SpA
1989
6
Space Engineering SpA
1989
1991-2000
1
Vitrociset SpA
1992
2
CAEN Aerospace Srl
1997
3
Aurelia Microelettronica SpA
1998
4
NEXT Ingegneria dei Sistemi SpA
1999
2001›
1
Galileo Avionica SpA
2001
2
Telespazio SpA
2005
3
Thales Alenia Space Italia SpA
2005
4
Elsag Datamat SpA
2007
5
Rheinmetall Italia SpA
2007
Fonte: Informazioni aziendali da siti web.
70 Concentrazione del fatturato. Il fatturato dell’ISP-20 è fortemente concentrato. Dalla tabella 4.2
(parte II) si vede che il fatturato spaziale più grande (quello di Thales Alenia Space Italia) ammonta al
47% del totale dell’ISP-20, mentre la somma dei primi tre fatturati spaziali (quelli di Thales Alenia
Space Italia, Avio e Telespazio) rappresenta il 77% di quel totale.
71 4.3 LA PRODUTTIVITA’ DELLE IMPRESE CON PRODUZIONI SPAZIALI NEL
2001-2007
Nella presente sezione si prenderanno in esame gli andamenti delle variabili in termini delle
quali si può misurare l’andamento della produttività delle imprese dell’ISP-20 e di alcuni suoi
settori. La metodologia che adotteremo è pienamente appropriata quando è applicata alla singola
impresa, mentre se applicata ad un aggregato di imprese dà risultati che risentono non solo dei fattori
tecnologici che determinano la produttività a livello d’impresa, ma anche di effetti di composizione: la
produttività riferita ad un aggregato di imprese può aumentare, anche se non aumenta la produttività
di nessuna impresa, ma aumenta il peso delle imprese con livelli più elevati di produttività. Nel nostro
caso i dati non suggeriscono importanti cambiamenti nei pesi delle singole imprese sul totale dell’ISP20 e, per questo aspetto, si può guardare al dato aggregato come ad un dato che riflette
sostanzialmente fattori tecnologici.
D’altra parte, va osservato che noi faremo l’ipotesi che tutte le imprese abbiano lo stesso tipo
di tecnologia (ovvero una funzione di produzione dello stesso tipo) ma non la stessa tecnologia (vale a
dire, che i parametri della funzione di produzione possono essere diversi tra le imprese). Da questo
punto di vista l’aggregazione delle imprese in un settore produce una funzione di produzione
aggregata che costituisce un “compromesso” tra le vere funzioni di produzione delle singole imprese
e, al riguardo, non resta che accontentarsi di quello che si è trovato, pensando che esso sia la funzione
di una “impresa rappresentativa” del settore.
Nel nostro caso il calcolo della produttività a livello aggregato è facilitato dal fatto che il
gruppo delle imprese ISP-20 è rimasto lo stesso per tutto il periodo, salvo per due circostanze più
formali che sostanziali. La prima ha a che fare con Thales Alenia Space Italia, le cui attività nel 2001 e
2004 facevano capo ad Alenia Spazio, una società del gruppo Finmeccanica. Di conseguenza il dato
della prima è stato integrato con i dati della seconda, ottenendo una successione coerente al fine del
calcolo della produttività. La seconda riguarda Galileo Avionica le cui attività nel 200143 facevano
capo ad una divisione di Finmeccanica, per la quale però non è disponibile alcun dato.
Di
conseguenza, per non creare nelle nostre serie storiche un balzo verso l’alto, che non corrisponde alla
realtà, abbiamo tolto Galileo Avionica dall’ISP-20. Indicheremo il gruppo di 19 imprese così ottenuto
come ISP-19.
I dati per ciascuna delle 19 imprese, con quelli incompleti di Galileo Avionica, e per
l’aggregato della ISP-19 sono riportati nell’appendice di questo capitolo. Quest’appendice riporta
anche le elaborazioni dei dati attraverso le quali si sono calcolate due misure della PTF per ciascuna
impresa e per ISP-19.
43
Erano le attività delle storiche Officine Galileo. Il 2001 è anche l’anno in cui venne costituita come società
Avionica. Nel 2003 la nuova società incorporò la FIAR e alcune altre società minori. 72
Nel seguito calcoleremo la produttività
totale seguendo l’approccio tradizionale e
semplificato con il quale si misura il suo tasso di crescita come differenza tra il tasso di crescita annuo
dell’output ed una media ponderata dei tassi di crescita annui degli input impiegati nella produzione
(vedi il Riquadro 4.1 per ulteriori precisazioni). Con i dati a nostra disposizione possiamo seguire
entrambi gli approcci ricordati nel riquadro 4.1. Con il primo misureremo la produttività totale dei
fattori, PTF-1, considerando due input: lavoro e capitale reale. Il lavoro, verrà misurato dal numero
medio di lavoratori occupati per anno, ed il capitale reale, inteso come il valore a prezzi costanti dei
beni durevoli, verrà misurato come il valore delle immobilizzazioni materiali dato nel bilancio
dell’impresa, deflazionato con l’indice STAN-OCSE dei prezzi alla produzione per il settore
“Machinery and equipment” in Italia (con base 2000). La nostra misura dell’output sarà invece il
valore aggiunto reale: il valore aggiunto nominale dato nel bilancio dell’impresa, deflazionato con il
suo deflatore STAN-OCSE per “Other transport equipment” (con base 2000).
Con il secondo approccio misureremo una PTF-2 facendo riferimento a tre input: oltre al
lavoro ed al capitale, considereremo anche i beni intermedi, misurati residualmente come differenza
tra il valore nominale della produzione ed il valore aggiunto, deflazionata con il suo deflatore STANOCSE. per “Other trannsport equipment”. In questo caso, l’output va inteso come il valore reale della
produzione: il valore nominale della produzione dato nel bilancio dell’impresa, deflazionato di nuovo
con il suo deflatore STAN-OCSE. per “Other trannsport equipment”
RIQUADRO 4.1
LA PRODUTTIVITÀ TOTALE E LA SUA MISURA
Funzione di produzione. Il concetto di produttività deriva da quello di funzione di produzione.
Nel nostro caso questa è una funzione che determina l’output o prodotto, X, in termini degli input
di lavoro, L, beni capitali, K , e beni intermedi, M:
X = F(K,L,M)
(1)
La (1) è un’espressione pienamente adeguata della tecnologia di un’impresa monoprodotto. Essa è
però anche ampiamente, e anzi prevalentemente, utilizzata per descrivere, con le inevitabili
approssimazioni create dall’aggregazione di processi produttivi tecnologicamente diversi, le
tecnologie di imprese multi prodotto e degli aggregati di imprese che costituiscono le industrie.
Tutte le grandezze, tranne il lavoro, sono espresse in termini monetari, calcolati ai prezzi di un
anno base (2000). Si noti che l’utilizzo del numero dei lavoratori e della quantità di beni capitale
(per brevità, capitale) invece che delle ore lavorative ed ore-macchina (che sono gli input effettivi
del processo produttivo) è giustificabile se si ritiene che il grado di utilizzazione del lavoro e del
capitale siano costanti.
La mancanza di dati su M comporta spesso che si ridefinisca la funzione di produzione
considerando come output il valore aggiunto: Y = X – M, per cui
73
Y = G(K,L)
(2)
Produttività totale. A differenza delle produttività parziali di K, L ed M, la produttività totale non
può essere definita come rapporto tra valori assoluti (come ad esempio, Y/L , X/L, etc.) ma solo
come rapporto tra il numero indice dell’output e un numero indice degli input o come differenza
tra tassi di variazione proporzionali. Il concetto di produttività totale riguarda il fatto che con il
tempo l’output cresce in misura maggiore di quanto non sia giustificato dalla crescita degli input.
Ciò può essere dovuto a numerosi fattori, come il progresso tecnico di natura organizzativa, o
quello incorporato nei nuovi input nella misura in cui non se ne è tenuto conto rivalutando le
quantità di questi input, rispetto a quelli precedenti e meno produttivi; ed altri ancora (come una
maggiore efficienza nella produzione se l’impresa o l’industria operano al di sotto delle loro
capacità produttive).
Un modo di semplificare notevolmente le complessità di questo fenomeno è di introdurre
esplicitamente il fattore tempo nella funzione di produzione, riscrivendo, ad esempio, la (2) come:
Y = g(K,L,t)
(2)’
Derivando rispetto al tempo e sistemando si ottiene il seguente tasso di crescita proporzionale della
produttività totale, A(t):
≡
=
-
-
(3)
Calcolo della produttività totale. La via maestra per calcolare il tasso di variazione della
produttività totale sarebbe di stimare con metodi econometrici i parametri di una funzione di
produzione come la (2)’ e quindi calcolare la variazione nel tempo della produttività totale
secondo la (3).
Un metodo equivalente è quello “duale” di stimare la funzione dei costi
dell’impresa, visto che dai parametri di questa funzione si risale, infatti, a quelli della funzione di
produzione. In entrambi i casi si tratta di un compito arduo sia sul piano della metodologia
econometrica sia, e ancor più, su quello empirico. Per questo la stima di quel tasso si effettua
spesso sulla base di una serie di ipotesi semplificatrici che portano a scrivere la (2)’ nella seguente
forma di funzione di produzione Cobb-Douglas:
Y = A(t) Kα(t) L1-α(t)
(2)’’
dove la produttività totale, A(t), agisce nel tempo in maniera “moltiplicativa” ed i coefficienti
variano tipicamente in maniera stocastica attorno a dei valori centrali costanti.
Corrispondentemente la (3) diventa:
=
- α(t)
-
(3)’
74
La produttività totale per le imprese italiane con produzioni spaziali. Nell’analisi del testo si è
utilizzata un’approssimazione discreta, con dati annuali, della (3)’, vale a dire:
=
-
α(t)
-(1 - α(t))
(3)’’
La (3)’’ è stata calcolata per ogni anno, impresa, aggregato delle 21 imprese con produzioni
spaziali e vari sub aggregati.
Non disponendo di dati sulle ore lavorative si è misurato l’impiego del lavoro con l’occupazione
media (la media degli occupati registrati in diversi momenti dell’anno).
L’impiego di capitale è stato misurato con il valore delle immobilizzazioni materiali, nel
bilancio d’impresa, deflazionato con un indice dei prezzi dei macchinari ed impianti. Questa
procedura deflattiva è accettabile se la struttura per età dei beni capitali è stabile e le variazioni dei
prezzi di mercato dei nuovi beni capitali non sono forti. Sarebbe stato preferibili aggiungere al
capitale materiale anche quello immateriale, costituito dal patrimonio di conoscenze accumulato
dall’impresa attraverso la R&S o l’acquisto di brevetti o il learning by doing o la migliore qualità
dei nuovi beni capitali, quando essa non sia riflessa nei loro prezzi, o altro ancora. Ma questi valori
costituiscono solo una parte, non facilmente separabile se non impossibile da separare all’interno
delle immobilizzazioni immateriali. Inoltre, il valore di queste varia talvolta in maniera
improvvisa e cospicua, come quando si verificano rivalutazioni del patrimonio netto, in occasione
di cambiamenti di proprietà. Il ricorso al totale dell’attivo, una misura abbastanza comune, soffre
dello stesso problema, aggravato dal fatto che esso include anche attività finanziarie la cui
dinamica ha ben poco a che fare con la dinamica dell’input di capitale.
Produttività del lavoro e produttività totale. La (3)’’ fornisce una scomposizione del tasso di
crescita del prodotto nelle quote attribuibili al tasso di crescita del capitale α(t)
(1 - α(t))
e della produttività totale,
, del lavoro
. Una scomposizione simile usata anche più
frequentemente coinvolge la produttività del lavoro: y = Y/L. Ponendo k = K/L per il rapporto
capitale per lavoratore, si ottiene facilmente dalla (3)’’ la seguente:
≈
+ α(t)
(4)
La (4) ci dice che il tasso di crescita della produttività del lavoro può essere scomposto in una
quota,
, imputabile al tasso di crescita della produttività totale ed in un’altra quota, α(t)
,
imputabile al tasso di crescita del capitale per addetto.
Occupazione. Nel periodo 2001-2007 gli occupati nelle imprese di ISP-19 sono diminuiti di circa il
23% passando da poco meno di 18.000 a poco più di 13.500 (vedi figura 4.1). Il calo dell’occupazione
75
ha caratterizzato le imprese di ciascun gruppo proprietario, anche se è stato proporzionalmente più
contenuto nel gruppo con proprietari stranieri (vedi Tabella 4.7). Inoltre, la caduta dell’occupazione
ha riguardato solo le grandi imprese, mentre le PMI hanno complessivamente registrato un aumento
dell’occupazione, concentrato tra il 2004 ed il 2007, di 168 unità o quasi il 20%
Figura 4.1 Occupati delle imprese ISP-19: 2001-2007
20.000
18.000
16.000
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
0
17.714
14.238
2001
13.555
2004
2007
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Tabella 4.7 Distribuzione dell’occupazione per proprietari: ISP-19, 2001-2007
2001
Proprietari
2004
2007
Finmeccanica
4.030
3.153
3.129
Thales Alenia Space
2.791
1.476
2.073
Altri gruppi stranieri
6.461
5.397
5.704
Gruppi o privati italiani
4.432
4.212
2.649
17.714
14.238
13.555
Totale
%
2001
2004
2007
Finmeccanica (*)
22,8
22,1
23,1
Thales Alenia Space (**)
15,8
10,4
15,3
Altri gruppi stranieri
36,5
37,9
42,1
Gruppi o privati italiani
25,0
29,6
19,5
100
100
100
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
76
Tabella 4.8 Distribuzione dell’occupazione per classi dimensionali: ISP-19, 2001-2007
Classi Dimensionali
‹ 250
≥ 250 (*)
Totale
‹ 250
≥ 250 (*)
Totale
2001
2004
853
855
16.861
13.383
17.714
14.238
Numeri indice
100
100
100
79
100
80
2007
1.021
12.534
13.555
120
74
77
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Capitale reale. La contrazione del 23% dell’occupazione dell’ISP-19 nel 2001-2007 è stata
accompagnata da una contrazione dello stock di capitale reale di poco più del 10% , concentrata nel
2004-2007 (vedi tabella 4.9). Di nuovo si osserva che la riduzione del capitale ha riguardato solo le
grandi imprese (- 12%), mentre lo stock di capitale investito dalle PMI è aumentato dell’80%. La
risultante tendenza del capitale reale per occupato nell’ISP-19 mostra una crescita del 16,8 % , che è
la risultante di una crescita del 50% del capitale per occupato del gruppo delle PMI e del 18,6 % del
gruppo delle grandi imprese (vedi tabella 4.10).
Tabella 4.9 Distribuzione del capitale reale per classi dimensionali: ISP-19, 2001-2007
Classi dimensionali
2001
2004
2007
< 250 dip.
8.216.308
11.610.238
14.799.990
≥ 250 dip. (*)
593.902.491
590.218.141
523.451.776
Totale
602.118.798
601.828.379
538.251.767
Numeri indici
< 250 dip.
100
141
180
≥ 250 dip. (*)
100
99
88
Totale
100
100
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
89
Tabella 4.10 Capitale reale per lavoratore: ISP-19, 2001-2007
Classi dimensionali
‹ 250
≥ 250
Totale
‹ 250
≥ 250
Totale
2001
9.632
35.223
33.991
Numeri indici
100
100
100
77
2004
13.579
44.102
42.269
2007
14.496
41.763
39.709
141
125
124
150
119
117
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Valore reale della produzione: totale e per occupato. L’andamento del valore reale della produzione
delle imprese ISP_19 nel 2001-2007 è sostanzialmente in linea con quello dell’occupazione (vedi
figura 4.2 e tabella 4.11). Vale però la pena notare che l’incremento di questo valore per le PMI
nell’arco dei sei anni è stato più modesto (6%) di quello dell’occupazione (20%), mentre al contrario
per le grandi imprese il decremento dell’occupazione (-26%) è stato maggiore del decremento del
valore della produzione (- 21%). Di conseguenza il valore reale della produzione per occupato, una
possibile misura della produttività del lavoro, ha registrato nel periodo in esame un leggero incremento
(5%) per le grandi imprese ed una contenuta contrazione per le PMI (- 11%) (vedi tabella 4.12).
Figura 4.2 Valore reale della produzione : ISP-19, 2001-2007
4.000
3.500
3.430
3.000
2.766
2.743
2004
2007
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0
2001
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Tabella 4.11 Distribuzione del valore reale della produzione (€) per classi dimensionali: ISP19, 2001-2007
Classi dimensionali
2001
2004
2007
< 250 dip.
81.890.800
102.567.490
86.784.406
≥ 250 dip. (*)
3.347.891.880
2.663.646.672
2.655.871.132
Valore della produzione
3.429.782.681
2.766.214.162
2.742.655.539
Numeri indici
< 250 dip.
100
125
106
≥ 250 dip. (*)
100
80
79
Totale
100
81
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA
80
Tabella 4.12 Valore reale della produzione per occupato: ISP-19, 2001-2007
78
Classi dimensionali
‹ 250
≥ 250
Totale
2001
96.003
198.558
193.620
‹ 250
≥ 250
Totale
2001
100
100
100
2004
119.962
199.032
194.284
Numeri indici
2004
125
100
100
2007
84.999
211.893
202.335
2007
89
107
105
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Valore aggiunto reale. Il valore aggiunto nominale è una misura dell’output al netto dei
consumi di beni intermedi. Essa ha il vantaggio, rispetto al valore della produzione, di
consentire confronti omogenei con gli output di altri settori o, al limite, con l’output nazionale
(prodotto nazionale lordo) o interno (prodotto interno lordo) misurati nello stesso modo44. Il
rapporto:
valore
aggiunto
nominale/valore
nominale
della
produzione
dipende
45
negativamente : (i) dal rapporto tra le quantità di beni intermedi impiegate per ottenere un
certo prodotto; e (ii) dal rapporto tra i prezzi dei primi ed il prezzo del secondo. Se gli elevati
salari del lavoro altamente qualificato si traducono in un aumento del prezzo del bene
prodotto, allora il rapporto prezzo dei beni intermedi/prezzo del prodotto diminuisce ed il
rapporto valore aggiunto/valore della produzione ceteris paribus aumenta. Viceversa, se
l’impresa attua una politica di outsourcing mantenendo costante il livello della produzione,
allora il rapporto sub (i) diminuisce ed il valore aggiunto aumenta rispetto al valore della
produzione.
Per la ISP-19 il valore aggiunto reale è diminuito (-27%) in maniera più accentuata del
valore reale della produzione (-20%)46 (vedi figura 4.3 e tabelle 4.13) ma questa tendenza
aggregata nasconde due andamenti ben diversi per le PMI e le grandi imprese. Per le prime si
registra una caduta del valore aggiunto reale del 17% a fronte di un incremento del valore
reale della produzione del 6%, mentre per le seconde la caduta del valore aggiunto reale (44
Si ha infatti: (i) Fatturato non consolidato – fatturato di vendite di beni intermedi interne all’ISP = fatturato consolidato = Vendite ai clienti finali (commerciali ed istituzioni pubbliche)+ esportazioni verso altre ISP; e (ii) Fatturato consolidato – acquisti di beni intermedi non spaziali (inclusi quelli da altre ISP) = valore aggiunto ISP = ∑ valori aggiunti singole imprese. Questo è direttamente confrontabile con i valori aggiunti di altre industrie o, al limte, con il PIL (il valore aggiunto interno dell’intera economia) 45
Sia p il prezzo del prodotto e pM il prezzo dei consumi intermedi; y, la quantità prodotta ed x la quantità di
beni intermedi impiegata. Sia infine VAN il valore aggiunto nominale. Si ha py = VAN + pM x; vale a dire
(VAN/py) = 1 – (pM/p)(x/y). 46
Si ricordi che nel nostro esercizio stiamo deflazionando VAN e valore nominale della produzione con lo stesso
deflattore. 79
28%) è stata solo un po’ più forte di quella del valore reale della produzione (-21%) (vedi
tabella 4.13)
Figura 4.3 Valore aggiunto reale di ISP-19: 2001-2007
(milioni €)
1.400
1.271
1.200
960
926
2004
2007
1.000
800
600
400
200
0
2001
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Tabella 4.13 Valore aggiunto reale per classi dimensionali: ISP-19 e 2001-2007
(€)
Classi dimensionali
‹ 250
≥ 250
Totale
2001
2004
2007
50.303.801
47.264.122
41.965.538
1.220.683.861
912.886.055
884.324.833
1.270.987.662
960.150.177
926.290.371
Numeri indici
2001
2004
2007
‹ 250
100
94
83
≥ 250
100
75
72
Totale
100
76
73
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Il calcolo del rapporto tra il valore aggiunto nominale e il valore nominale della
produzione, presentato nella tabella 4.14, mostra una significativa differenza tra le PMI e le
grandi imprese: nella media del periodo quel rapporto risulta pari al 52% per le PMI, mentre
si assesta sul 34,7% per le grandi imprese. Questo dato non è sorprendente in considerazione
del fatto che il ricorso ad input intermedi può essere per le PMI produttrici di parti ed
equipaggiamenti minori (anche se in ISP-19 non mancano PMI che producono piccoli
sistemi) meno importante che per le grandi imprese tipicamente assemblatrici di grandi
sistemi o sub sistemi.
80
La tabella 4.14 mostra anche una generale tendenza alla diminuzione del rapporto tra
valore aggiunto e valore della produzione ovvero un aumento del suo complemento ad uno: il
rapporto tra valore degli acquisti di beni intermedi e valore della produzione.
Tabella 4.14 Rapporti % tra valore aggiunto (nominale) e valore (nominale) della produzione:
2001-2007
Classi dimensionali
‹ 250
≥ 250
Totale
2001
61,4
36,5
37,1
2004
46,1
34,3
34,7
2007
48,4
33,3
33,8
Media 2007/1998
52,0
34,7
35,2
Fonte: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Valore aggiunto reale per occupato. L’andamento di questa seconda misura della produttività
del lavoro mostra per l’ISP-19 nel 2001-2007 una tendenza negativa inevitabilmente più
accentuata47 di quella del valore reale della produzione per occupato: dalla tabella 4.15 si vede
che il valore aggiunto reale per occupato è diminuito del 5% contro un aumento del 5% del
valore reale della produzione. Il divario è stato molto più forte per le PMI: -30% contro -11%,
di quanto lo è stato per le grandi: - 5 % contro 7%.
Tabella 4.15 Valore aggiunto reale per occupato, per classi dimensionali: ISP-19, 2001-2007
(€)
Classi Dimensionali
‹250
≥ 250
Totale
‹250
≥ 250
Totale
2001
58.973
74.156
71.750
2004
55.280
68.212
67.436
Indici
94
92
94
100
100
100
2007
41.022
70.554
68.326
70
95
95
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Valore aggiunto reale per unità di capital reale. La nostra scelta, dettata da necessità, di
misurare il capitale reale con il valore reale delle immobilizzazioni materiali ci ha portati a
sottostimarlo, perché con essa si trascurano le componenti immateriali del capitale, tra le quali
47
Vista la tendenza alla diminuzione del rapporto valore aggiunto/valore della produzione 81
per noi particolarmente importanti sono gli stock di R&S e le spese per l’acquisto di brevetti
capitalizzate. Questo è un fattore che spiega perché, nella tabella 4.12, la produttività del
capitale misurata in termini di valore aggiunto reale per addetto appare più alta di quanto non
risulta a livello degli aggregati macroeconomici; o al contrario perché il suo reciproco, il
rapporto capitale/prodotto, appaia più basso e in particolare minore di uno. D’altra parte
l’inclusione nel capitale delle immobilizzazioni immateriali introduce, come si è notato nel
Riquadro 4.2, delle episodiche rivalutazioni per avviamento, che danno luogo ad episodici e
sproporzionati incrementi dello stock di capitale, come quello nella seconda riga dello
specchietto 4.1, che non possono essere presi come realistici. Infine la scelta di identificare il
capitale con l’attivo totale di bilancio, non è giustificabile a priori per il fatto che l’attivo
include tutti i crediti lordi dell’impresa. Inoltre, nel nostro caso, i valori dell’attivo riportati
nella terza colonna dello specchietto 4.1 porta a dei valori del rapporto capitale/prodotto
attorno a 5 che sono manifestamente irrealistici.
Argomentando su un terreno più sostanziale l’elevata produttività del capitale
materiale nel settore spaziale può essere il riflesso dell’elevata produttività del lavoro
altamente qualificato in quel settore che, in una corretta contabilità economica, dovrebbe
tradursi in un elevato stock di capitale umano: la considerazione congiunta di un capitale
complessivo, costituito dalla somma del nostro capitale materiale, del capitale immateriale e
di quello umano dovrebbe riportare la produttività di questo capitale su livelli più bassi di
quelli della tabella 4.12 e quindi più in linea con quelli dei settori dove è invece relativamente
predominante il capitale materiale.
Infine va notato che per il calcolo del tasso di variazione della produttività totale ciò
che conta non sono in definitiva i valori assoluti delle grandezze del capitale (o del lavoro) ma
i loro tassi di variazione: in altre parole se i dati, di serie storiche più lunghe di quella del
nostro specchietto, si muovessero approssimativamente insieme nel tempo la scelta dell’una o
dell’altra misura del capitale non farebbe differenza ai soli fini del calcolo della produttività
totale.
82
Specchietto 4.1 Tre diverse misure del capitale reale per ISP-19: 2001-2007
(€)
Immobilizzazioni materiali
Immobilizzazioni materiali
e immateriali
Totale attivo
2001
602.118.798
882.829.026
2004
601.828.379
1.885.560.003
2007
538.251.767
2.445.904.963
5.164.293.788
5.414.677.991
5.236.384.887
NOTA: I dati della prima riga sono ottenuti con il deflatore indicato sopra nel testo, per il capitale
reale.
I dati della seconda e terza riga sono stati ottenuti con il deflatore STAN-OCSE dei prezzi alla
produzione del settore “Other transport equipment” per l’Italia.
I dati della tabella 4.16 mostrano una generale tendenza alla riduzione della
produttività del capitale (all’aumento del rapporto capitale/prodotto), decisamente più
accentuata per il gruppo delle PMI.
83
Tabella 4.16 Valore aggiunto reale per unità di capitale : ISP-19, 2001-2007
(€)
Classi dimensionali
‹ 250
≥ 250
Totale
2001
6,12
2,06
2,11
Numeri indici
100
100
100
‹ 250
≥ 250
Totale
2004
4,07
1,55
1,60
2007
2,83
1,67
1,72
67
75
76
46
81
82
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
Produttività totale dei fattori (PTF-1). Il calcolo di PTF-1 per l’ISP-19 richiede (i) la
compilazione delle serie storiche, per t = 2001,…, 2007, del lavoro, L, capitale reale, K, e
valore aggiunto reale, Y, per ogni impresa e per l’aggregato; (ii) il calcolo dei relativi tassi
annui di variazione proporzionale di quelle grandezze; e (iii) la compilazione per ogni impresa
e per l’aggregato delle serie storiche della quota del costo del lavoro sul valore aggiunto
nominale, α(t) , e del suo complemento ad uno, 1- α(t), che viene ad essere la quota della
remunerazione del capitale investito nell’impresa. I valori di α(t) e 1- α(t) ci forniscono i pesi
da assegnare rispettivamente ai tassi di crescita del capitale reale e del lavoro per calcolare
infine il tasso di crescita della PTF, secondo la formula (3)’’ del riquadro 4.1. Riportiamo qui
quella formula per comodità di lettura:
=
-
α(t)
-(1 - α(t))
+ α(t)
+ (1 - α(t))
(*);
e riscriviamola nel seguente modo:
=
(**)
La (**) è una formula che scompone il tasso di crescita della produzione reale dell’ISP-19
in tre componenti:
(i)
α(t)
(ii) (1 - α(t))
(iii)
, che riflette l’accumulazione del capitale reale;
, che riflette l’aumento del lavoro impiegato; e
, che riassume tutte le fonti della crescita non riconducibili alla crescita dei fattori
produttivi, con in testa il progresso tecnologico, che per il momento può essere
84
inteso nella sua forma di innovazione di processo, o di nuove forme di
organizzazione, ma che articolando appropriatamente la funzione di produzione su
cui si basano le (*) o (**), può includere anche progresso tecnico generato da
investimenti in R&S. Un altro fattore che può avere molto influenza sulla PTF è
quello del miglioramento dell’efficienza con cui operano le imprese del settore,
quando queste siano inefficienti nel senso che non ottengono il massimo output
possibile dalle quantità di lavoro e capitale reale impiegate. Anche questa
situazione
può
essere
trattata
soddisfacentemente
solo
riformulando
opportunamente il modello.
Nella presente ricerca, per limiti di tempo abbiamo calcolato solo i dati per i tre anni
usati nelle tabelle di questa sezione. Di conseguenza abbiamo usato una versione della (*)
nella quale i tassi di variazione sono solo due e triennali: 2004 su 2001 e 2007 su 2004,
mentre le quote relative del lavoro sono quelle dei due anni iniziali: α(2001) e α(2004.)
Riportiamo qui i risultati per l’intera ISP-19, per la quale si ha α(2001) = 0,37 α(2004) =
0,32. I valori dei due tassi di crescita di PTF sono: - 12% tra il 2001 e 2004; e 3% tra il 2004 e
2007. Ponendo uguale a 100 il livello di PTF nel 2001 si ottiene l’indice della PTF per il
2001-2007: 100 nel 2001, 88 nel 2004 e 91 nel 2007. La figura 4.4 confronta l’indice della
PTF con quelli delle produttività del lavoro e del capitale reale, già calcolati, evidenziando
che la PTF è effettivamente una media delle produttività parziali dei fattori capitale reale e
lavoro.
Figura 4.4 Produttività del lavoro (Y/L), del capitale (K/L) e produttività totale dei fattori (A):
ISP-19, 2001-2007 (numeri indici)
85
110
100
Y/L
90
A
Y/K
80
70
60
50
2001
2004
2007
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. La figura 4.4 da un’indicazione che da un lato ribadisce e dall’altro approfondisce quelle che
abbiamo già avuto dalla tabella 3.4 relativa alla produttività del lavoro dell’ISP come definita da ASDEUROSPACE: la tendenza negativa della produttività del lavoro ha un suo reale fondamento nella
tendenza negativa della PTF e segnala così un problema per l’ISP-19 di attivare quei fattori (R&S,
innovazione organizzativa, e altri) che sostengono la sua crescita. L’individuazione effettiva di quali
sono i fattori veramente rilevanti, richiede uno studio del settore ISP italiano, più approfondito e
dettagliato di quanto non sia l’analisi della PTF.
Nell’ambito di questa analisi è tuttavia possibile un marginale approfondimento,
usando semplicemente la formula (4) del riquadro 4.1, che qui riscriviamo per comodità del lettore:
+
(t)
(4)
La (4) permette di guardare alla stessa realtà descritta dalla (3)’’ in modo diverso,
scomponendo il tasso di crescita della produttività del lavoro, y = Y/L, nel contributo del
tasso di crescita della PTF ed in quello del tasso di crescita del capitale per occupato, k =
K/L, cioè del grado d’intensificazione dell’intensità di capitale. La figura 4.5 riporta i dati
ottenuti con la (4) in numeri indici e mostra come l’effetto positivo
che l’incremento
dell’intensità di capitale nel 2001-2007 dovrebbe avere avuto sulla produttività del lavoro, è
stato annullato dalla tendenza negativa dei fattori che stanno alla base della PTF.
Figura 4.5 Produttività del lavoro (Y/L), rapporto capitale lavoro (K/L) e produttività totale dei
fattori (A): ISP-19, 2001-2007 (numeri indici)
86
130
120
K/L
110
100
Y/L
90
A
80
70
60
50
2001
2004
2007
FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA.
La contrazione del 12 % della PTF nel 2001-2004, imputabile ad una caduta dell’occupazione
del 20%, in presenza di una costanza del capitale reale, riflette sostanzialmente la difficoltà dell’ISP di
adattarsi alla forte caduta della domanda di quel periodo (- 24%). Il corrispondente incremento del
rapporto capitale reale/lavoro non va quindi inteso come un cambiamento nella vera e propria tecnica
produttiva, ma semplicemente come una diminuzione del grado di utilizzazione del capitale più forte
di quella del lavoro.
Il fatto che nel 2004-2007, la PTF sia aumentata ad un tasso elevato (3,1%) ma assai inferiore
al tasso di caduta nel periodo precedente, riflette invece il prolungarsi del processo di riduzione degli
input ( - 11% del capitale reale e – 5 % del lavoro) a fronte di una perdurante riduzione dell’ouput del
3,5%.
Produttività totale dei fattori (PTF-2). Il calcolo di PTF-2 si svolge in maniera del tutto analoga al
precedente calcolo di PTF-1 partendo dalla formula (1) del riquadro 4.1 invece che dalla (2). Questo
secondo calcolo dovrebbe dare una misura più accurata della crescita della PTF se la misura aggregata
degli input intermedi non desse indicazioni troppo distorte sull’evoluzione nel tempo delle sue
componenti piuttosto eterogenee (energia, servizi, materie prime, ecc.). A priori l’inclusione di un
nuovo input nella funzione di produzione e la simultanea inclusione del suo valore nell’output ha un
effetto di seno indeterminato sul tasso di crescita della produttività, in funzione non solo dei nuovi
valori dei parametri ma anche degli effettivi tassi di crescita degli input e dell’output. Nel nostro caso,
come indicato nella tabella 4.13, si ottiene per l’ISP-19 una caduta leggermente minore della PTF.
87
Tabella 4.13 Numeri indice della produttività totale dei fattori nelle versioni PTF-1 (valore
aggiunto, lavoro e capitale reale) e PTF-2 (valore della produzione, lavoro, capitale reale e
acquisti reali di beni intermedi)
2001
2004
2007
PTF - 1
100
88
91
PTF - 2
100
95
94
FONTE: Tabella 1 dell’appendice a questo capitolo.
Conclusione generale. I risultati della nostra analisi della PTF dell’industria spaziale italiana
evidenziano come, nel periodo in esame, essa sia stata determinata dal fattore tipicamente
congiunturale del grado di utilizzazione delle risorse produttive. Per individuare i fattori di lungo
periodo che incidono sulla PTF (R&S, qualità del lavoro, ecc.) è necessario disporre di serie temporali
più lunghe delle nostre.
Il risultato da noi trovato mostra comunque, pur con tutte le forzature delle ipotesi su cui si
basa, imposte in parte da esigenze di semplicità teorica ed in parte dalla mancanza dei dati empirici
necessari, l’importanza dell’approfondimento delle varie componenti della PTF, come primo passo
verso ricerche empiriche più approfondite.
La stima empirica del trend della PTF costituisce inoltre il presupposto per la verifica empirica
delle sue spiegazioni in termini di grandezze rilevanti, come l’intensità della R&S (rapporto tra spesa
per R&S e valore della produzione), la qualità del lavoro (rapporto laureati su totale degli occupati,
ecc.), la capacità competitività (segnalata nel caso dell’ISP dalle sue quote di mercato commerciale o
estero), il grado di utilizzazione delle risorse produttive e possibilmente altri.
Dobbiamo infine ribadire che per la stima della PTF con il metodo sopra seguito non è
necessario che i dati soddisfino i requisiti necessari per la sua stima, teoricamente superiore, ottenuta
come sottoprodotto di una stima della funzione di produzione. Tuttavia il limitato numero d’imprese
(19) e di anni (3) da noi utilizzati potrebbero fare pensare che i risultati ottenuti possano comunque
essere “instabili”. La precedente tabella 4.13 dà in merito un’indicazione rassicurante, mostrando
come il risultato non vari sostanzialmente con aggiustamenti delle ipotesi teoriche. Il calcolo della
PTF a livello d’impresa (vedi appendice al capitolo) rafforza questa conclusione, mostrando che i
valori degli indici delle due versioni della PTF presentano una buona correlazione positiva.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
88
Graziola G e Parazzini S. S. (2006), L’industria aerospaziale tra militare e civile all’inizio del Terzo
millennio, Vita & Pensiero, Milano;
Graziola G. e Parazzini S. S. (2009), L’industria aerospaziale italiana 1998-2007: una costruzione
empirica, MIMEO.
89
APPENDICE AL CAPITOLO 4 – DATI SULLE IMPRESE ITALIANE CON PRODUZIONI
SPAZIALI PER IL CALCOLO DELLA PRODUTTIVITA’
In questa appendice si riportano, sotto forma di schede i dati sulle variabili necessarie per il
calcolo della produttività totale dei fattori (PTF) delle 20 imprese italiane, le cui attività spaziali
costituiscono l’industria spazuiale italiana (ISP-20).
I dati riguardano tre anni (2001, 2004 e 2007) per tutte le imprese, tranne che per Galileo
Avionica, per le ragioni indicate sopra nel testo. Di conseguenza la scheda che riporta i dati aggregati
utilizzati per il calcolo della PTF riguarda 19 imprese che costituiscono l’aggregato ISP-19.
I dati e le elaborazioni sugli stessi per il calcolo della PTF sono suddivisi in quattro gruppi.
Il primo gruppo di dati comprende informazioni sugli input: lavoro, capitale, beni intermedi. Il
secondo gruppo è composto di dati relativi agli output, ovvero valore della produzione e valore
aggiunto. Il terzo gruppo fornisce i dati sulla produttività dei fattori della produzione (lavoro e
capitale), e relativi indici. Infine, il quarto gruppo di dati comprende due differenti misure per la
produttività totale dei fattori (PTF).
I dati sull’occupazione e i valori nominali di capitale, beni intermedi, valore della produzione e valore
aggiunto sono tratti dai bilanci delle imprese, consultati per mezzo della banca dati on line AIDA
(Analisi informatizzata delle aziende) pubblicata dal Bureau Van Dijk.
Il numero degli occupati è, di norma, da intendersi come numero medio per ciascun anno o, se non
disponibile, il numero dei dipendenti al 31/12; nei pochi casi in cui nessuno di questi dati fosse
disponibile si è fatta una stima in base al numero dei dipendenti negli anni precedenti o successivi e al
costo del personale.
Il valore del capitale è dato dalle immobilizzazioni materiali, mentre i beni intermedi risultano dalla
differenza tra valore della produzione e valore aggiunto.
I deflatori utilizzati per calcolare il valore reale (a prezzi 2000) del capitale, dei beni intermedi e degli
output sono tratti dalla banca dati STAN (Structural Analysis Database) dell’OCSE (ed. 2008), relativi
all’Italia.
In particolare, per il capitale è stato utilizzato il deflatore PRDP (deflatore della produzione) di
“Machinery and Equipment”; per i beni intermedi, il valore della produzione e il valore aggiunto,
rispettivamente, i deflatori: INTP (deflatore dei beni intermedi), PRDP (deflatore della produzione) e
90
VALP (deflatore del valore aggiunto) del settore “Other transport equipment”, nel quale è compresa la
produzione aerospaziale.
Va precisato che, per il 2007, mancando il dato del deflatore della produzione per l’Italia, esso è stato
stimato in base all’andamento degli anni precedenti e in base all’andamento del deflatore del valore
aggiunto.
La PTF è stata calcolata in due modi differenti, denominati PTF 1 e PTF 2. Il tasso di variazione della
PTF 1 è data dalla differenza tra il tasso di variazione del valore aggiunto (in termini reali) e i tassi di
variazione ponderati del fattore lavoro e del fattore capitale (in termini reali), come sopra definiti. Il
tasso di variazione della PTF 2 è data dalla differenza tra il tasso di variazione del valore (reale) della
produzione e i tassi di variazione ponderati del fattore lavoro, del fattore capitale (in termini reali) e
degli acquisti intermedi (reali).
La ponderazione è stata fatta, per la PTF 1, calcolando il peso del lavoro (1-α) come rapporto tra il
costo del personale e il valore aggiunto, e il peso del capitale (α).come il rapporto tra reddito lordo del
capitale (valore aggiunto – costo del personale) e valore aggiunto.
Nel calcolo della PTF 2, invece, il peso del lavoro (1-α - β) è dato dal rapporto tra il costo del
personale e il valore della produzione, il peso dei beni intermedi (β) è dato dal rapporto tra gli acquisti
intermedi (= valore della produzione – valore aggiunto) e valore della produzione, ed il peso del
capitale (α) è dato dal rapporto tra reddito lordo del capitale (valore aggiunto – costo del personale) e
valore della produzione.
91
ISP-19
2001
Occupati
Capitale nominale
Capitale reale
Capitale reale per
occupato
Valore (nominale) dei
beni intermedi
Valore reale dei beni
intermedi
Valore (nominale)
della produzione
Valore reale della
produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto reale
Valore (nominale)
aggiunto / Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto reale
per occupato
Numero indice
Valore aggiunto reale
per unità di capitale
reale
Numero indice
Quota del reddito da
capitale nel valore
(nominale) aggiunto
Tasso di variazione
della PTF 1
Numero indice
Tasso di variazione
della PTF 2
Numero indice
2004
2007
17.714
612.354.818
602.118.798
14.238
625.299.686
601.828.379
13.555
592.076.944
538.251.767
33.991
42.269
39.709
2.258.782.184
2.001.118.896
2.542.911.234
2.182.398.245
1.832.526.462
1.860.110.997
3.501.808.117
3.064.965.292
3.839.717.754
3.429.782.681
2.766.214.162
2.742.655.539
1.243.025.933
1.270.987.662
1.063.846.396
960.150.177
1.296.806.520
926.290.371
0,35
0,35
0,34
71.750
100
67.436
94
68.336
95
2,11
100
1,60
76
1,72
82
0,37
0,32
0,40
100
-0,12
88
0,03
91
100
-0,05
95
-0,01
94
92
Aerostudi SpA
2001
Occupati
Capitale
nominale
Capitale reale
Capitale reale
per occupato
Valore
(nominale) dei
beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore
(nominale) della
produzione
Valore reale
della produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore
(nominale)
aggiunto /
Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per
occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità
di capitale reale
Numero indice
Quota del
reddito da
capitale nel
valore
(nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
2004
Alenia SIA SpA
2007
2001
2004
2007
44
25
20
272
291
321
1.147.330
1.128.151
1.210.530
1.165.091
833.976
758.160
170.778
167.923
260.823
251.033
308.000
280.000
25.640
46.604
37.908
617
863
872
2.018.963
1.042.218
1.486.692
3.912.587
6.847.172
4.265.000
1.950.689
954.412
1.129.705
3.780.277
6.270.304
3.240.881
4.172.686
3.190.631
69.466
21.254.533
24.829.229
24.791.000
4.086.862
2.879.631
49.619
20.817.368
22.409.051
17.707.857
2.153.723
2.148.413
-1.417.226
17.341.946
17.982.057
20.526.000
2.202.171
1.939.001
-1.012.304
17.732.051
16.229.293
14.661.429
0,52
0,67
-20,40
0,82
0,72
0,83
50.049
100
77.560
155
-50.615
-101
65.191
100
55.771
86
45.674
70
1,95
100
1,66
85
-1,34
-68
105,60
100
64,65
61
52,36
50
0,24
0,35
1,52
0,22
0,16
0,21
100
0,20
120
-1,27
-32
100
-0,25
75
-0,20
60
100
-0,13
87
-0,85
13
100
-0,03
97
-0,29
70
93
Aurelia Microelettronica Srl
2001
Occupati
Capitale
nominale
Capitale reale
Capitale reale
per occupato
Valore
(nominale) dei
beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore
(nominale) della
produzione
Valore reale
della produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore
(nominale)
aggiunto / Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per
occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità di
capitale reale
Numero indice
Quota del
reddito da
capitale nel
valore
(nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
2004
AVIO SpA
2007
17
9
25
2001
5.226
109.906
108.069
31.760
30.568
15.745
14.314
195.419.000
192.152.409
277.680.000
267.256.978
297.383.000
270.348.182
6.357
3.396
573
36.769
60.990
57.338
511.417
506.825
996.954
899.538.000
718.668.000
1.114.325.000
494.123
464.125
757.564
869.118.841
658.120.879
846.751.520
1.455.100
1.536.519
1.323.816
1.383.913.000
1.081.337.000
1.634.170.000
1.425.171
1.386.750
945.583
1.355.448.580
975.935.921
1.167.264.286
943.683
1.029.694
326.862
484.375.000
362.669.000
519.845.000
964.911
929.327
233.473
495.270.961
327.318.592
371.317.857
0,65
0,67
0,25
0,35
0,34
0,32
56.759
100
103.259
182
9.339
16
94.771
100
74.696
79
78.752
83
8,93
100
30,40
340
16,31
183
2,58
100
1,22
48
1,37
53
0,52
0,61
0,15
0,55
0,44
0,56
100
0,56
156
-1,13
-20
100
-0,48
52
0,09
56
100
0,41
141
-0,57
60
100
-0,31
69
0,18
81
94
2004
4.382
2007
4.715
CAEN Aerospace Srl
2001
Occupati
Capitale
nominale
Capitale reale
Capitale reale
per occupato
Valore
(nominale) dei
beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore
(nominale) della
produzione
Valore reale
della produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore
(nominale)
aggiunto /
Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per
occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità
di capitale reale
Numero indice
Quota del
reddito da
capitale nel
valore
(nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
2004
Carlo Gavazzi Space SpA
2007
2001
2004
2007
12
17
17
194
172
177
79.650
78.319
54.112
52.081
5.662
5.147
1.038.032
1.020.680
5.408.249
5.205.244
10.973.269
9.975.699
6.527
3.064
303
5.261
30.263
56.360
316.638
882.136
320.904
8.858.479
23.609.598
29.133.777
305.930
807.817
243.848
8.558.917
21.620.511
22.138.128
713.078
1.465.832
859.240
15.776.117
34.445.131
41.464.739
698.411
1.322.953
613.743
15.451.633
31.087.663
29.617.671
396.440
583.696
538.336
6.917.638
10.835.533
12.330.962
405.358
526.801
384.526
7.073.249
9.779.362
8.807.830
0,56
0,40
0,63
0,44
0,31
0,30
33.780
100
30.988
92
22.619
67
36.460
100
56.857
156
49.762
136
5,18
100
10,12
195
74,70
1443
6,93
100
1,88
27
0,88
13
0,22
0,23
0,14
0,19
0,24
0,20
100
0,05
105
-0,07
98
100
-0,29
71
-0,34
47
100
0,74
174
-0,46
95
100
0,74
174
-0,12
153
95
CESI SpA
Occupati
Capitale
nominale
Capitale reale
Capitale reale
per occupato
Valore
(nominale) dei
beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore
(nominale) della
produzione
Valore reale
della
produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore
(nominale)
aggiunto /
Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per
occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità
di capitale reale
Numero indice
Quota del
reddito da
capitale nel
valore
(nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
2001
1.245
2004
Dataspazio SpA
2007
2001
2004
2007
942
558
47
49
48
43.482.538
42.755.691
52.142.866
50.185.627
34.089.743
30.990.675
57.672
56.708
77.679
74.763
49.742
45.220
34.342
53.276
55.539
1.207
1.526
942
51.524.715
42.904.551
25.134.558
1.503.581
2.409.520
3.302.758
49.782.333
39.289.882
19.099.208
1.452.735
2.206.520
2.509.695
123.752.900
119.317.525
78.916.818
4.224.439
5.224.408
5.902.159
121.207.542
107.687.297
56.369.156
4.137.550
4.715.170
4.215.828
72.228.185
76.412.974
53.782.260
2.720.858
2.814.888
2.599.401
73.852.950
68.964.778
38.415.900
2.782.063
2.540.513
1.856.715
0,58
0,64
0,68
0,64
0,54
0,44
59.320
100
73.211
123
68.846
116
59.193
100
51.847
88
38.682
65
1,73
100
1,37
80
1,24
72
49,06
100
33,98
69
41,06
84
0,29
0,25
0,32
0,20
0,08
0,00
100
0,06
106
-0,04
101
100
-0,18
82
-0,22
64
100
-0,04
96
-0,22
75
100
0,10
110
-0,08
102
96
Elsag Datamat SpA
Occupati
Capitale nominale
Capitale reale
Capitale reale per
occupato
Valore (nominale)
dei beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore (nominale)
della produzione
Valore reale della
produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore (nominale)
aggiunto / Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità di
capitale reale
Numero indice
Quota del reddito
da capitale nel
valore (nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
Galileo Avionica SpA
2001
2.131
57.222.374
56.265.854
2004
1.662
46.807.229
45.050.269
2007
1.653
45.080.154
40.981.958
26.403
27.106
224.907.128
‐
‐
‐
2004
3.204
78.544.900
75.596.631
2007
3.185
25.927.231
23.570.210
24.792
‐
23.594
7.400
207.727.703
306.330.438
‐
331.590.567
320.778.891
217.301.573
190.226.834
232.773.889
‐
303.654.365
243.752.957
342.921.246
328.213.060
506.041.716
-
592.496.402
617.667.291
335.868.018
296.221.173
361.458.369
-
534.744.045
441.190.922
118.014.118
120.485.357
199.711.278
-
260.905.835
296.888.400
120.668.832
108.741.297
142.650.913
-
235.474.580
212.063.143
0,34
0,37
0,39
-
0,44
0,48
56.625
100
65.428
116
86.298
152
-
73.494
100
66.582
91
2,14
100
2,41
113
3,48
162
-
3,11
100
9,00
289
0,19
0,20
0,33
-
0,34
0,43
100
0,12
112
0,33
149
-
100
0,14
114
100
-0,04
96
0,23
118
-
100
-0,07
93
97
2001
IRCA SpA
Occupati
Capitale nominale
Capitale reale
Capitale reale per
occupato
Valore (nominale)
dei beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore (nominale)
della produzione
Valore reale della
produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore (nominale)
aggiunto / Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità di
capitale reale
Numero indice
Quota del reddito
da capitale nel
valore (nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
Microtecnica Srl
2001
1.312
47.288.388
46.497.923
2004
1.344
46.066.394
44.337.242
2007
858
38.162.710
34.693.373
789
17.913.739
17.614.296
656
17.915.129
17.242.665
624
12.823.988
11.658.171
35.440
32.989
40.435
22.325
26.285
18.683
126.651.704
151.268.276
186.539.628
54.341.372
70.895.856
84.066.284
122.368.796
138.524.062
141.747.438
52.503.741
64.922.945
63.880.155
197.792.331
218.937.903
248.673.226
92.147.310
102.500.805
129.973.134
193.724.124
197.597.385
177.623.733
90.252.018
92.509.752
92.837.953
71.140.627
67.669.627
62.133.598
37.805.938
31.604.949
45.906.850
72.740.927
61.073.671
44.381.141
38.656.378
28.524.322
32.790.607
0,36
0,31
0,25
0,41
0,31
0,35
55.443
100
45.442
82
51.726
93
48.994
100
43.482
89
52.549
107
1,56
100
1,38
88
1,28
82
2,19
100
1,65
75
2,81
128
0,24
0,32
0,41
0,32
-0,01
0,35
100
-0,17
83
0,04
87
100
-0,14
86
0,20
103
100
0,02
102
0,00
101
100
0,07
107
0,02
109
98
2001
2004
2007
Next Ingegneria dei Sistemi SpA
2001
Occupati
Capitale
nominale
Capitale reale
Capitale reale
per occupato
Valore
(nominale) dei
beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore
(nominale) della
produzione
Valore reale della
produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore
(nominale)
aggiunto / Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per
occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità di
capitale reale
Numero indice
Quota del reddito
da capitale nel
valore (nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
2004
Rheinmetall Italia SpA
2007
2001
2004
2007
81
124
174
407
335
340
54.026
53.123
122.926
118.312
209.868
190.789
2.692.639
2.647.629
2.688.467
2.587.552
2.168.820
1.971.655
656
954
1.096
6.505
7.724
5.799
821.552
2.016.332
3.289.585
28.255.381
39.340.963
52.246.548
793.770
1.846.458
2.499.685
27.299.885
36.026.523
39.701.024
3.469.773
7.402.850
12.563.007
49.184.720
65.464.110
75.253.774
3.398.406
6.681.273
8.973.576
48.173.085
59.083.132
53.752.696
2.648.221
5.386.518
9.273.422
20.929.339
26.123.147
23.007.226
2.707.792
4.861.478
6.623.873
21.400.142
23.576.847
16.433.733
0,76
0,73
0,74
0,43
0,40
0,31
33.430
100
39.205
117
38.068
114
52.580
100
70.379
134
48.335
92
50,97
100
41,09
81
34,72
68
8,08
100
9,11
113
8,33
103
0,14
0,16
0,18
0,28
0,30
0,16
100
0,17
117
-0,07
108
100
0,23
123
-0,24
94
100
0,47
147
0,02
151
100
0,28
128
-0,07
120
99
Space Engineering SpA
2001
Occupati
Capitale nominale
Capitale reale
Capitale reale per
occupato
Valore (nominale)
dei beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore (nominale)
della produzione
Valore reale della
produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore (nominale)
aggiunto / Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità di
capitale reale
Numero indice
Quota del reddito
da capitale nel
valore (nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
2004
Space Software Italia SpA
2004
2007
54
200.408
197.058
51
113.689
109.422
2007
56
125.705
114.277
93
5.410.374
5.319.935
93
4.738.826
4.560.949
158
3.648.447
3.316.770
3.649
2.146
2.041
57.204
49.042
20.992
821.552
2.016.332
3.289.585
4.144.863
3.950.554
-49.721
4.326.730
4.354.665
5.846.981
4.004.699
3.617.723
-37.782
9.089.717
8.851.941
11.244.775
10.015.779
9.712.493
7.586.705
8.902.759
7.989.116
8.031.982
9.809.774
8.765.788
5.419.075
4.762.987
4.497.276
5.397.794
5.870.916
5.761.939
7.636.426
4.870.130
4.058.913
3.855.567
6.002.982
5.200.306
5.454.590
0,52
0,51
0,48
0,59
0,59
1,01
90.188
100
79.587
88
68.849
76
64.548
100
55.917
87
34.523
53
24,71
100
37,09
150
33,74
137
1,13
100
1,14
101
1,64
146
0,14
0,12
0,16
0,23
0,20
0,09
100
-0,06
94
-0,14
81
100
-0,10
90
-0,46
49
100
-0,05
95
-0,04
91
100
-0,09
91
-0,68
29
100
2001
Telespazio SpA
Occupati
Capitale nominale
Capitale reale
Capitale reale per
occupato
Valore (nominale)
dei beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore (nominale)
della produzione
Valore reale della
produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore (nominale)
aggiunto / Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità di
capitale reale
Numero indice
Quota del reddito
da capitale nel
valore (nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
2001
1.487
88.511.870
87.032.321
2004
1.058
55.914.131
53.815.333
58.529
Thales Alenia Space Italia SpA
2007
949
44.976.267
40.887.515
2001
2.339
119.106.514
117.115.550
2004
1.476
110.467.099
106.320.596
2007
2.073
97.556.938
88.688.125
50.865
43.085
50.071
72.033
42.783
215.981.928
2.016.332
3.289.585
313.308.278
412.650.862
400.535.272
425.398.437
189.321.257
164.120.006
302.713.312
377.885.405
304.358.109
542.891.127
300.592.422
318.725.091
467.461.563
528.087.128
577.948.971
531.724.904
271.292.800
227.660.779
457.846.781
476.612.931
412.820.694
102.603.745
93.853.609
102.743.163
154.153.285
115.436.266
177.413.699
104.911.805
84.705.423
73.387.974
157.620.946
104.184.356
126.724.071
0,19
0,31
0,32
0,33
0,22
0,31
70.553
100
80.062
113
77.332
110
67.388
100
70.586
105
61.131
91
1,21
100
1,57
131
1,79
149
1,35
100
0,98
73
1,43
106
0,35
0,35
0,42
0,22
0,31
0,26
100
0,13
113
0,02
115
100
-0,03
97
-0,01
96
100
-0,41
59
-0,11
52
100
0,14
114
-0,18
93
101
Top-Rel Srl
2001
Occupati
Capitale nominale
Capitale reale
Capitale reale per
occupato
Valore (nominale)
dei beni intermedi
Valore reale dei
beni intermedi
Valore (nominale)
della produzione
Valore reale della
produzione
Valore aggiunto
nominale
Valore aggiunto
reale
Valore (nominale)
aggiunto / Valore
(nominale) della
produzione
Valore aggiunto
reale per occupato
Numero indice
Valore aggiunto
reale per unità di
capitale reale
Numero indice
Quota del reddito
da capitale nel
valore (nominale)
aggiunto
Tasso di
variazione della
PTF 1
Numero indice
Tasso di
variazione della
PTF 2
Numero indice
Vitrociset SpA
2004
2007
39
87.809
86.341
24
44.443
42.775
25
109.576
99.615
2001
1.473
31.969.368
31.434.973
2.214
1.782
3.985
21.341
2.239
4.231
11.911.167
15.657.112
14.153.486
60.799.432
89.647.740
95.005.162
11.508.374
14.338.015
10.754.929
58.743.413
82.095.000
72.192.372
13.439.285
16.985.745
15.693.262
168.289.421
206.870.560
148.516.855
13.162.865
15.330.095
11.209.473
164.828.032
186.706.282
106.083.468
1.528.118
1.328.633
1.539.776
107.489.989
117.222.820
53.511.693
1.562.493
1.199.127
1.099.840
109.907.964
105.796.769
38.222.638
0,11
0,08
0,10
0,64
0,57
0,36
40.064
100
49.964
125
43.994
110
74.615
100
69.239
93
50.030
67
18,10
100
28,03
155
11,04
61
3,50
100
30,92
884
11,83
338
0,33
0,16
0,05
0,27
0,28
0,14
100
0,19
119
-0,33
80
100
0,17
117
-0,27
86
100
0,20
120
-0,29
85
100
0,26
126
-0,22
98
102
2004
1.528
3.555.334
3.421.881
2007
764
3.555.334
3.232.122
CAPITOLO 5. LE ISTITUZIONI E LE POLITICHE SPAZIALI
EUROPEE
La componente pubblica della domanda per l’ISP europea è sempre stata e resta ancora,
nonostante la recente ripresa della sua componente commerciale, quella predominante, rappresentando
un 3/5 della domanda complessiva nel 2007 (vedi tabella 3.6). Ciò fa si che le politiche spaziali
europee della domanda abbiano giocato e giochino
un ruolo determinante nello sviluppo di
quell’industria.
Nella sezione 5.1 viene offerta una breve rassegna storica di quelle politiche e del ruolo
giocato dall’ESA, dalla Commissione europea e dai governi nazionali, con quello francese in primo
piano, nei loro sviluppi. Il tema che emerge è l’ampiezza dello spettro delle politiche spaziali europee,
che vanno dalla promozione dello sviluppo industriale e dal soddisfacimento di precise domande di
beni privati (TV satellitare, ecc.) e pubblici (tutela dell’ambiente, ecc.) alla promozione della ricerca
scientifica e dell’esplorazione spaziale. Nel complesso si può dire che le politiche spaziali europee
hanno cercato di procedere sui binari paralleli degli investimenti spaziali coi piedi per terra (se così si
può dire!) mirati a specifici rendimenti economici e di quelli motivati da una visione più ampia e di
lungo periodo, che vede nel progresso della conoscenza il fattore di fondo, indispensabile per i futuri
progressi della tecnologia.
La sezione 5.2 offre invece, attraverso l’esame della politica e dell’industria spaziale
del Regno Unito, un esempio importante di un approccio allo spazio user-driven, che punta alla
promozione di attività industriali rivolte a ben precise domande dei mercati. Si tratta di un esempio di
successo che si è manifestato non solo nelle posizioni di eccellenza internazionale raggiunte da varie
imprese nella produzione di satelliti, ma anche e soprattutto nella crescita e vitalità del settore
downstream dei loro servizi”.
In un paragrafo metodologico della sezione 5.2 si discute fra l’altro della logica economica
delle scelte pubbliche che può portare a sostenere programmi d’investimento (non giustificati da un
calcolo diretto di mercato) senza il supporto di convincenti analisi e fatti economici. Da ciò non segue
la conclusione di abbandonare quel tipo di investimenti, ma ne segue invece l’esigenza di giustificarli
con argomenti il più possibile convincenti. E’ questo un tema centrale della presente ricerca sul quale
torneremo nella parte II.
103
5.1 LE GRANDI LINEE DELLE POLITICHE SPAZIALI EUROPEE
5.1.1 Introduzione
Durante l’arco dell’ultimo cinquantennio, periodo nel quale si è iniziata una pianificazione
strategica dello studio, dell’esplorazione finalizzata ad uno specifico utilizzo – fosse esso politico,
economico o tecnologico – dello Spazio, si è passati da una concezione di Spazio di tipo esclusivo, ad
una concezione di Spazio inclusivo e condiviso. Quella di “Spazio esclusivo” fu una categoria tipica
del periodo della Guerra Fredda. Allora lo “spazio” rappresentava un’area di scontro, sia in termini di
propaganda, ovvero di supremazia tecnologica, terminata e vinta da Washington all’indomani
dell’allunaggio nel 1969,48 sia in termini molto più pragmatici e strategici di controllo dello spazio per
l’intercettazione di missili balistici intercontinentali (ICBM) da lanciare in caso di ritorsione
(retaliation) verso il nemico. L’avveniristico programma della Strategic Defense Initiative varato sotto
l’Amministrazione Reagan,49 contribuì in maniera preponderante ad accentuare il distacco strategico
tra le due superpotenze e quindi ad accelerare la profonda crisi economica che aveva investito
l’Unione Sovietica brezneviana portandola al collasso.
Negli ultimi decenni, si è iniziato a considerare lo Spazio, non più come un territorio di sfida,
ma la sua esplorazione, la sua conquista e quindi un suo potenziale sfruttamento economico sono stati
visti come terreni potenziali di collaborazione e di cooperazione. Tale cambiamento è stato in parte
dovuto al clima di distensione politica seguito al crollo dell’Unione Sovietica, ma soprattutto alla
drastica diminuzione delle spese per la difesa, che dal 1990 interessò la maggior parte dei paesi.50 Da
allora la politica cooperativa volta alla spartizione delle spese e degli investimenti per il
raggiungimento di obiettivi comuni, quali ad esempio quelli di implementare la durata in operatività
della International Space Station (ISS), e l’esplorazione profonda dello Spazio con astronauti
(progetto umano) hanno costituito la base per l’elaborazione di strategie multinazionali spaziali. Con
le proprie specificità, l’esplorazione e la progressiva conquista dello Spazio, sono state portate avanti
principalmente dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dalla Russia, attori consapevoli che lo Spazio
rappresenta, oggi più che mai, in un contesto congiunturale di crisi mondiale profonda, un volano
formidabile per lo sviluppo di tecnologie, con spill-overs scientifici ed industriali in diversi settori.
48
Il successo delle missioni Apollo e lo sbarco sulla Luna furono possibili grazie al flusso enorme di
investimenti che raggiunsero il 4% del PNL statunitense. 49
Il presidente Reagan, con la Presidential National Security Decision Directive 119 del 6 gennaio 1984,
istituiva la Strategic Defense Initiative (SDI) attraverso la quale si proponeva di esplorare la possibilità di
sviluppare un sistema di difesa antimissile quale strumento alternativo di deterrenza. 50
Si vedano: Saadet Deger, Somnath Sen, Military expenditure: the political economy of international security,
Vol. Strategic Issue Papers, Oxford University Press, 1990; Steve Chan, Alex Mintz, Defense, welfare, and
growth, Routledge, 1992; Lawrence R. Klein, Fu-chen Lo, Arms reduction: economic implications in the postCold War era, United Nations University Press, 1995 104
Sebbene interagenti entro un contesto comune, i tre principali attori spaziali, si muovono tuttavia sulla
base di proprie specificità e di politiche particolari.
La politica e le linee strategiche statunitensi attraversano oggi una fase di grande
transizione, dovuta essenzialmente all’avvicendamento dell’amministrazione. Le nuove direttrici
verranno rese note tra settembre ed ottobre 2009, dopo la pubblicazione del rapporto sul programma
spaziale richiesto dal Presidente Obama. Il rapporto dovrebbe contenere la richiesta di un aumento
consistente del bilancio della NASA, oggi di circa 17-18 miliardi di dollari, aumento indispensabile
per poter rispettare gli ambiziosi traguardi fissati nel 2004 da George W. Bush e condivisi oggi dallo
stesso Obama, senza tuttavia prevedere investimenti importanti. Tra questi, la realizzazione del
programma Constellation, che trae origine dal piano Vision for Space Exploration (2004)51 e dal NASA
Authorisation Act (2005), e che ha come suo punto focale la ripresa dei viaggi e della esplorazione
spaziale con equipaggi umani (human spaceflight), attraverso lo sviluppo specifico di veicoli spaziali
(Orion) e di lanciatori (Ares I e V). I fini ultimi sono il ritorno sulla Luna (con il modulo per
l’allunaggio Altair) e la prima esplorazione umana del pianeta Marte.
Il ritorno all’esplorazione umana, dopo i successi dei primi anni Settanta, è uno degli obiettivi
strategici condivisi a livello mondiale, anche attraverso specifici programmi nazionali, e che vedono la
Russia, con il programma Soyuz e la Cina, con il programma Shenzhou, quali attori principali con la
NASA.
L’Unione Europea, mirando a far leva sulle eccellenze espresse dai propri membri (in
particolare Francia, Gran Bretagna, Germania ed Italia), ha fatto scelte ben definite ed ha concentrato i
propri sforzi sul settore robotico. Satelliti e sonde autopropulse rappresentano oggi l’eccellenza
tecnologica della UE. Secondo alcuni autorevoli scienziati italiani, uno dei principali limiti
dell’Europa è che l’Unione non si sia data obiettivi che contemplino programmi di esplorazione umana
dello Spazio, ma solo attraverso sonde. In una recente intervista rilasciata a Radio 24,52 Giovanni
Bignami ha sottolineato di come non vi sia oggi né indipendenza culturale, né pratica per poter
compiere esplorazioni di tipo umano esclusivamente europee. Ecco dunque, che un tipo di approccio
cooperativo, rappresenta oggi la soluzione ottimale per poter portare avanti progetti di esplorazione
profonda, che permette di unire, in maniera sinergica, le diverse eccellenze dei principali attori spaziali
mondiali.
L’Italia partecipa ai progetti di collaborazione europea ed all’interno del più vasto programma
di esplorazione mondiale in maniera assai attiva, apportando le proprie competenze, che la
caratterizzano anche storicamente. L’Italia, infatti, fu il terzo paese al mondo – dopo Stati Uniti ed
51
“President Bush Announces New Vision for Space Exploration Program”, Remarks by the President on U.S.
Space
Policy,
NASA
Headquarters,
Washington,
D.C.;
January
14th,
2004;
http://history.nasa.gov/Bush%20SEP.htm 52
Intervista del 25 agosto 2009. 105
Unione Sovietica, che nel 1964, a lanciare in orbita un satellite, il San Marco I. Attraverso le proprie
eccellenze industriali, l’Italia costruisce oggi il 40-50% dei moduli abitativi spaziali, fondamentali per
il mantenimento in operatività della ISS, ed è il primo paese al mondo ad avere una costellazione di
satelliti radar che osservano la Terra dall’alto (Cosmo Skymed).
La Russia sta attualmente cercando di sviluppare le direttive strategiche contenute nel Russian
Federal Space Program, che copre il periodo 2006-2015. Tra i principali obiettivi, il governo di
Mosca cerca di realizzare vi sono: i) lo sviluppo, l’aumento e la manutenzione dell’Orbital Spacecraft
Constellation, a beneficio dei settori socio-economici, scientifici e della sicurezza nazionale
(comunicazioni, trasmissioni televisive, monitoraggio ecologico, gestione delle crisi e delle
emergenze, Earth remote sensing, ricerca spaziale, ricerca spaziale nel settore della microgravità); ii)
lo sviluppo, la messa in funzione e la manutenzione degli elementi del segmento russo (RS) della
International Space Station per la ricerca di base ed applicata, la realizzazione di ricerca scientifica
applicata e di esperimenti sul lungo periodo, pianificati per essere condotti a bordo del segmento
stesso; iii) il sostegno al COSPAS-SARSAT
53
International Search ed il funzionamento del Rescue
System’s Russian Segment (RSRS). Il Cospas/Sarsat è un sistema spaziale per la ricerca delle navi in
difficoltà; nel suo insieme l’organizzazione che gestisce la rete di satelliti e stazioni terrestri atte a
ricevere i segnali inviati dagli ELT per poi allertare gli opportuni enti di ricerca e salvataggio del
sistema di soccorso russo RSRS; iv) lo sviluppo di lanciatori avanzati, con l’obiettivo di portare a
termine programmi di esplorazione sulla Luna (Luna Glob), su Marte (Phobos Grunt) e su Venere
(Venera D), v) la manutenzione ed il miglioramento della strumentazione e delle apparecchiature del
cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan, ma sotto amministrazione russa.
5.1.2 Le politiche dello spazio in ambito europeo
I membri della Comunità Economica Europea iniziarono a cooperare nel settore dello spazio,
con la creazione della European Space Agency (ESA), nel 1975. Considerato un settore altamente
strategico, ma che tuttavia necessitava di forti investimenti, le politiche spaziali, per volontà degli
stessi governi europei, vennero sin da subito coinvolte le imprese e le banche.
La congiuntura internazionale, che alla fine degli anni Settanta iniziava a caratterizzarsi con
un’attenuazione della corsa allo spazio tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, complice anche una
drastica riduzione dei budget dello spazio, l’ESA iniziò un proprio programma di esplorazione
spaziale. Il progetto International Ultraviolet Explorer, realizzato in collaborazione con la NASA
costituì un primo passo importante per una nuova pianificazione dei programmi, che ebbero quale
53
COSPAS: Space System for Search of Distress Vessels; SARSAT Search and Rescue Satellite-Aided
Tracking. 106
risultato la costruzione del primo telescopio ad orbita geosincronica, lanciato nel 1978 e tenuto in
operatività per 18 anni.
A questi importanti eventi si inserì la caparbia politica francese volta, per prestigio nazionale,
alla realizzazione del programma Hermes, un mini-shuttle che si sarebbe dovuto impiegare per
collegare la base terrestre con la stazione spaziale Columbus Orbital Facility. Sebbene l’Hermes non
vide mai la luce, si tratto’ comunque di un progetto importante, poiché prevedeva la collaborazione di
Francia, Germania e Italia, il nucleo portante delle future linee spaziali europee. Fu tuttavia grazie al
progetto Ariane, che le eccellenze dei paesi europei, attraverso il consorzio Arianespace, trovarono la
loro massima espressione.
Quello del vettore europeo ebbe una lunga genesi. Proposto dalla Francia nel 1972
all’indomani del fallimento del Progetto Europa 2, il progetto Ariane, considerato uno strumento
indispensabile per affrancarsi dalla dipendenza statunitense, progredì a partire dall’anno successivo,
grazie alla collaborazione di Gran Bretagna e Italia. collaborazione che si concretizzò con il primo
lancio avvenuto nel 1979. Sin dai primi anni Ottanta, si riscontrò tuttavia che, qualora l’Europa avesse
voluto mantenere un proprio ruolo di leader nella ricerca spaziale del futuro, sarebbe allora stato
necessario procedere all’elaborazione di un piano di sviluppo più ampio del programma Ariane, basato
anche e soprattutto su una maggiore collaborazione intracomunitaria, poiché nessun paese, da solo,
avrebbe avuto risorse economico-finanziare sufficienti per realizzare programmi spaziali. Seguì quindi
una prima importante apertura di Arianespace ad altri partner (1 febbraio 1990), attraverso la
creazione di Arianespace Participation. Il programma Ariane segna, in effetti, uno spartiacque tra le
politiche degli anni Settanta e le successive scelte strategiche europee, producendo un impatto
profondo sul ruolo dei paesi dell’Europa verso il settore spaziale.
I successi conseguiti produssero un radicale cambiamento nelle aspettative e nelle potenziali
realizzazioni del settore spaziale. Infatti, durante gli anni Ottanta, i voli spaziali con equipaggio
mutarono il loro carattere, da elementi di eccezionalità a routinari. Sulla base di questo cambiamento
un’ulteriore evoluzione venne rappresentata dalla costituzione, nel 1990 dall’European Astronaut
Centre di Colonia, quale centro di eccellenza per la selezione e l’addestramento di astronauti ed
elemento di coordinamento tra partner per la Stazione Spaziale Internazionale.
Le potenzialità espresse da Arianespace ebbero anche effetti positivi sul mercato. Tra il 1988
ed il 1997, il consorzio europeo, grazie al successo ottenuto con l’Ariane IV, conquistò oltre il 53% del
mercato mondiale dei lanciatori, anticipando di molto la domanda del mercato di lanciatori per i grossi
satelliti. I progetti Arianespace funsero da elemento trainante per la pianificazione economicoindustriale spaziale sia nazionale che europea, che ebbero un effetto di spill-over nel comparto
spaziale militare. Infatti, se si esclude il comparto lanciatori, il sistema militare europeo ha spesso
derivato la propria tecnologia dal comparto civile, in una situazione diametralmente opposta a quella
che andò verificandosi negli Stati Uniti.
107
Nel dicembre del 1996, la Commissione Europea propose una nuova Strategia Spaziale
Europea (ESS),54 per mezzo della quale si cercò di favorire un maggiore impegno nel settore delle
comunicazioni, nella navigazione satellitare e nell’osservazione terrestre, attraverso le linee di
finanziamento già esistenti, quali l’RTD Framework Programme, i Trans-European networks, i
programmi ESA, delle agenzie nazionali, e dell’EIB-EIF financing.
L’anno successivo, la Commissione, attraverso la Comunicazione relativa all’industria per la
Difesa55 propose l’applicazione delle regole comunitarie per l’assegnazione di contratti pubblici, per i
bandi intracomunitari e per le gare del settore, incluso quello del settore dell’industria aerospaziale.
L’impegno e le modifiche sostanziali apportate dal livello politico, diedero un importante
contributo nel trasformare le attività spaziali da mera ricerca scientifica europea ad uno strumento
sempre più pragmatico e concreto che potesse offrire ai membri dell’Unione tecnologie e spin-offs
capaci di elaborare e di conseguire una serie obiettivi politici connessi alla crescita economica, alla
progressiva informatizzazione di una società in divenire, alla trasformazione ed all’ammodernamento
delle infrastrutture dei trasporti, al miglioramento delle capacità di monitoraggio ambientale e delle
competenze in ambito della sicurezza interna ed internazionale. Il politico, così come da tempo aveva
già fatto il comparto industriale, prese coscienza che lo Spazio poteva esprimere potenziali sarebbero
potuti divenire parte integrante delle politiche comunitarie, costituendone uno dei fulcri e degli assi
portanti.
Tra i primi benefici apportati dalla sinergia tra ricerca spaziale – industria – livello politico
sono stati i risultati conseguiti attraverso con il programma Galileo per la navigazione satellitare, e
con il Global Monitoring for the Environment and Security (GMES), per il monitoraggio globale a fini
ambientali e di sicurezza.
Da allora il livello politico ha continuato ad implementare, per mezzo di nuovi strumenti e
direttive, questa sinergia. Nel 2000, la Commissione, attraverso un’ulteriore Comunicazione,56
elaborata sulla base della risoluzione della UE e dell’ESA, diedero il via ad un’unità operativa
congiunta UE-ESA, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo e di potenziare la strategia europea per lo
spazio. Nell’arco di un anno, l’unità produsse un rapporto di ricerca (Libro Verde) contenente le
proprie analisi e raccomandazioni, evidenziando, in particolare, la necessità assoluta ed imperativa da
parte delle strutture politiche comunitarie di collaborare con l’Agenzia Spaziale Europea.
54
Si veda: Commission of the European Communities, The European Union and Space: Fostering Applications,
Market and Industrial Competitiveness. Communication from the Commission to the Council and the European
Parliament. COM (96) 617 final, Brussels, 04.12.1996. 55
Si veda: Commission of the European Communities, Implementing European Union Strategy on Defencerelated Industries. Communication from the Commission to the Council, the European Parliament, the Economic
and Social Committe and the Committe of the Regions, COM (97) 583 final Brussels, 04.12.1997. 56
Commission of the European Communities, European Space Agency, Europe and Space: Turning To a New
Chapter, Communication From The Commission to the Council and the European Parliament, COM(2000) 597
final. 108
Con il Libro Verde sulla Politica Europea per lo Spazio,57 la Commissione Europea aprì il
dibattito sui potenziali benefici per l’Europa derivanti dall’uso dello Spazio sul medio e lungo periodo,
cercando di portare il dibattito al di fuori dell’hortus conclusus dell’accademia, rendendo nel
contempo partecipi della discussione in atto e cercando di far comprendere l’importanza strategica e
politica dello Spazio e dei suoi spin-offs, le autorità politiche, le imprese ed i cittadini europei.
Secondo il Libro Verde, una forte spinta propulsiva alla ricerca può essere data dalla “ambizione
europea”, di ricoprire un ruolo di primaria importanza a livello mondiale nel settore spaziale, un ruolo
che ogni stato, se preso singolarmente, mai potrebbe assurgere a rivestire per gli enormi investimenti
richiesti.
Per il Libro Verde è necessario innanzitutto partire dai presupposti che la presenza effettiva
dell’Europa nello spazio condiziona il successo di alcune delle sue politiche di medio e lungo termine.
A tal fine essa ha scelto una via d’azione del tutto originale, contraddistinta da diverse
specificità, quali:
-
la via dell’indipendenza quale ambizione politica: l’acquisizione e il mantenimento di un
accesso autonomo allo spazio garantito dallo sviluppo di lanciatori indipendenti e di satelliti;
-
un impegno sostenuto per lo sviluppo della scienza, delle applicazioni e delle infrastrutture
associate;
-
una politica industriale orientata allo sviluppo di una base industriale competitiva e
innovativa e alla ripartizione geografica delle attività;
-
la priorità data agli aspetti civili e commerciali, in particolare nel settore dei servizi di
lancio e dei satelliti;
-
la scelta della cooperazione internazionale con le grandi potenze spaziali per la
realizzazione di grandi strumenti e missioni rilevanti, in particolare per i voli con persone a bordo.58
Lo Spazio, ovvero la tecnologia derivante dallo studio e dalla sperimentazione della ricerca
applicata in questo ambito, deve avere ricaschi i più ampi possibili e, secondo le indicazioni contenute
nella pubblicazione, deve essere anche al servizio dei cittadini. Il Libro, infatti, sottolinea di come: “La
tecnologia spaziale possa offrire crescenti opportunità di impieghi multipli, che permettono di
elaborare soluzioni in risposta alle diverse necessità; deve però soddisfare maggiormente le
aspettative degli utenti, in materia di costo delle soluzioni, rispondenza alle necessità reali e
Continuità dei servizi offerti. Oltre all’uso molto ampio dei satelliti di telecomunicazioni per lo
scambio di informazioni (telefonia, televisione e trasmissione di dati digitali), l’Europa ha già
sviluppato negli ultimi anni una serie di applicazioni che dimostrano il valore aggiunto delle
57
European Commission, European Space Policy - Green Paper, Brussels, 21 January 2003, COM(2003)0017
final. 58
Green Paper, cit., Par. 1 109
infrastrutture spaziali ,che sono per la maggior parte all’origine di servizi di interesse generale per i
cittadini.”59
Oltre ai cittadini, lo Spazio ingenera anche opportunità commerciali al di là dell’industria
spaziale. Le tecnologie spaziali offrono opportunità non solo ai soggetti dell'industria spaziale
"tradizionale", ma anche a PMI, fornitori di servizi, fornitori di contenuti e utenti pubblici e privati.
La televisione digitale, le comunicazioni mobili della terza generazione e Internet via satellite sono
buoni esempi di piattaforme di servizio cui contribuiscono i sistemi spaziali. Il trasferimento delle
tecnologie spaziali dalla ricerca all'industria e il passaggio dalla ricerca "blue sky" ad applicazioni
commerciali e da temi puramente spaziali ad altri settori, sono una priorità assoluta per l'Europa.
Dalle esperienze e dalle raccomandazioni contenute nel Libro Verde, l’Unione Europea, quale
passo successivo, ha elaborato un Libro Bianco,60 nel quale si sottolinea come l’Europa, per il suo
sviluppo e per la sua crescita, ma anche per far fronte all’ampliamento cui è soggetta, necessiti “di una
politica spaziale ampliata, improntata alla domanda, che permetta di sfruttare gli speciali vantaggi
delle tecnologie spaziali a sostegno delle politiche e finalità dell’Unione: crescita economica più
rapida, creazione di posti di lavoro e competitività industriale, ampliamento e coesione, sviluppo
sostenibile, sicurezza e difesa”. L’Europa è tuttavia conscia che tale politica richieda un necessario
aumento degli investimenti e della spesa complessiva. Ciò a sostegno dello sviluppo e della diffusione
delle applicazioni, della tecnologia e delle infrastrutture. Il Libro Bianco prevede quindi un impegno
preciso da parte delle istituzioni comunitarie nello stanziare maggiori di risorse finanziarie per la
realizzazione delle politiche dello spazio.
L’Europa necessita dello Spazio, poiché lo “Spazio offre soluzioni” per lo sviluppo e la
crescita della stessa comunità europea.
Secondo il documento, la politica spaziale europea si sarebbe dovuta attuare in due fasi tra
loro distinte: una prima fase, da realizzarsi tra il 2004 ed il 2007, consistente nell’attuazione delle
attività contemplate nell’Accordo Quadro tra la comunità europea e l’ESA, ovvero:
59
–
una struttura di gestione che riunisca i vari soggetti di GMES;
–
una tabella di marcia (roadmap) per lo sviluppo e la diffusione di sistemi di osservazione
–
interoperabili GMES, infrastrutture e servizi di dati spaziali;
–
un piano di lavoro europeo comune di ricerca e sviluppo, corredato da scenari di progetti
–
dimostrativi nell’ambito del programma quadro.
Green Paper, cit., Par 2. 60
European Commission, White Paper ‘Space: a new frontier for an expanding Union. An action plan for
implementing the European space policy’, Bruxelles, 11.11.2003 COM(2003) 673 def. 110
La seconda fase, da attuarsi dal 2007 in poi, prenderà il via dopo l’entrata in vigore del trattato
costituzionale europeo, dove lo Spazio si configurerà come una competenza condivisa tra l’Unione ed
i suoi Stati membri.
La mancata adozione di politiche per lo Spazio da parte dell’Europa potrebbe causare il
declino dell’Unione come potenza spaziale, dettata dal fatto che essa si mostrerebbe incapace nello
sviluppare nuove tecnologie e nel sostenere applicazioni, con conseguenti gravi danni per la sua
competitività in generale.
5.1.3. I rapporti tra l’Unione Europea e l’ESA ed i loro ruoli
La cooperazione tra il braccio legislativo dell’Unione Europea – la Commissione – e
l’Agenzia Spaziale Europea rappresenta un esempio di partnership unica tra due strutture primus inter
pares, due organizzazioni leader a livello europeo – nel suo più puro significato geografico, e non
ancora essenzialmente politico, che hanno come obiettivo comune il mantenimento di un certo livello
di leadership nel settore spaziale. Tale rapporto cooperativo è veicolato da due ordini di idee: il primo
si fonda su una realtà assai scontata, espressamente riferibile alla natura stessa del settore aerospaziale,
ovvero il settore spaziale impone alti investimenti per la ricerca e per lo sviluppo, il secondo sorge dal
comune sentire, che si fa esigenza, che ogni paese partner deve necessariamente fare assegnamento su
altri paesi per realizzare i propri obiettivi di politica pubblica spaziale, che sovente coincidono con gli
interessi degli altri paesi partner. Ciò da’ vita ad una struttura coerente di attività spaziali in Europa.
Le varie forme di collaborazione hanno trovato basi legislative sin dagli anni Novanta e nel
2000 l’elaborazione del primo documento congiunto European Strategy for Space, ha sottolineato le
potenzialità e le sinergie che i due organismi avrebbero potuto esprimere attraverso la loro
collaborazione. A partire dal 2003 le basi di cooperazione strategica si sono ulteriormente rafforzate
attraverso l’elaborazione e la stesura di un Policy Framework Agreement61 che hanno dato il via alla
cooperazione istituzionale nel settore dello spazio cosmico (outer space), con l’obiettivo di:
–
assicurare l’indipendenza dell’Europa ed un suo accesso allo Spazio che sia economicamente
efficiente;
–
sviluppare altri campi di interesse strategico necessari per garantire l’uso e l’applicazione
indipendenti delle tecnologie spaziali in Europa;
–
garantire che il complesso delle politiche spaziali europee non prescindano alle politiche
generali dell’Unione Europea;
–
sostenere le politiche comunitarie attraverso l’uso di tecnologie spaziali e delle infrastrutture
spaziali;
61
European Parliament, European Space Agency, Policy Framework Agreement (Council Decision
2004/578/EC), February 2004. 111
–
promuovere l’uso dei sistemi spaziali quale strumento di supporto per uno sviluppo
sostenibile, per la crescita economica e per l’occupazione;
–
ottimizzare
le conoscenze e le risorse disponibili e contribuire al consolidamento della
collaborazione tra la comunità europea e l’Agenzia Spaziale Europea, e quindi legare la domanda e
l’offerta dei sistemi spaziali entro una partnership strategica;
–
realizzare una maggiore coerenza e sinergia della ricerca e dello sviluppo al fine di ottimizzare
le risorse economico-finanziare e tecnologiche disponibili in Europa.
La collaborazione tra UE ed ESA è risultata essere particolarmente proficua e nel 2004 si è
concretizzata nell’EC-ESA Framework Agreement, con il fine di realizzare uno sviluppo progressivo
della politica spaziale europea, da attuarsi per mezzo di basi comuni e di una serie di intese operative
attraverso le quali regolamentare la cooperazione tra le due istituzioni. Il documento ha contemplato la
creazione di un Consiglio per lo Spazio a livello ministeriale, una Segreteria congiunta EC/ESA,
nonché un gruppo per la politica spaziale ad alto livello.
Ed è sulla base dei documenti sopra descritti, nel maggio 2005, la Commissione ha enunciato
gli elementi preliminari della nuova Politica Spaziale Europea62, che gettano le basi di un programma
spaziale europeo nel nuovo contesto istituzionale e tecnologico dell'UE (sviluppo di Galileo e del
GMES). Inoltre si afferma che
L’attuazione della politica spaziale europea dovrà essere accompagnata dall’elaborazione
di:
–
una politica industriale specifica del settore, che consenta all’Europa di garantire le necessarie
fonti e competenze industriali e tecnologiche critiche e, contemporaneamente, un’industria spaziale
globalmente competitiva;
–
una politica in tema di cooperazione internazionale che soddisfi nel contempo i più ampi
obiettivi geopolitici delle politiche europee delle relazioni esterne, compresa la politica di vicinato,
e un’efficace gestione quotidiana dei sistemi spaziali;
–
strumenti per investire nei programmi e garantirne una gestione efficace.
Il documento sottolinea inoltre la necessità di ridefinire i ruoli e le responsabilità nel quadro
della politica spaziale europea dei principali soggetti attivi, quali Unione Europea ed ESA, al fine di
conseguire una ripartizione delle mansioni chiara e complementare, conformemente alle attuali
disposizioni giuridiche.
62
Commission of the European Communities, European Space Policy - Preliminary Elements. Communication
from the Commission to the Council and the European Parliament, Brussels, 23.05.2005, COM(2005) 208 final.
112
Pertanto l’Unione Europea avrà il compito di:
–
definire le priorità e le esigenze dei sistemi basati sullo spazio al servizio degli obiettivi e delle
politiche principali dell’UE e delle necessità dei cittadini;
–
riunire la volontà politica e la domanda degli utenti a loro sostegno;
–
garantire la disponibilità e la continuità dei servizi che sostengono le politiche comunitarie
finanziando pertinenti attività di ricerca a monte, acquistando servizi o garantendo l’organizzazione
e le fasi operative dei sistemi spaziali, se del caso, e incoraggiando a tempo debito i finanziamenti
da parte degli utenti;
–
garantire l’integrazione dei sistemi basati sullo spazio con i relativi sistemi a terra e in situ nel
promuovere lo sviluppo di servizi applicativi richiesti dagli utenti a sostegno delle politiche
dell’UE;
–
creare un ambiente normativo ottimale per agevolare l’innovazione;
–
promuovere il coordinamento della posizione europea nel quadro della cooperazione
internazionale.
Le attività spaziali dell’UE verranno realizzate avvalendosi delle capacità europee esistenti, in
particolare mediante le agenzie spaziali europea e nazionali e l’industria aeronautica e spaziale.
L’ESA avrà invece il compito di:
–
sostenere la specifica tecnica del segmento spaziale dei programmi di applicazioni spaziali,
prestando un’attenzione particolare alle esigenze dell’UE;
–
sviluppare e applicare tecnologie spaziali, in particolare per quanto riguarda l’accesso allo
spazio, alla scienza e all’esplorazione;
–
perseguire l’eccellenza nella ricerca scientifica nello spazio, dello spazio e a partire dallo
spazio;
–
consigliare l’UE circa le esigenze del segmento spaziale al fine di contribuire alla disponibilità
e alla continuità dei servizi;
–
realizzare la cooperazione internazionale nell’ambito dei programmi diretti dall’ESA.63
Nel maggio 2007, il Consiglio Spaziale Europeo adottò una risoluzione attraverso la quale la
UE, l’ESA e gli stati membri, per la prima volta condividevano una struttura politica comune per le
attività spaziali in Europa, con l’obiettivo di produrre benefici concreti per i propri cittadini e di
mantenere l’industria europea forte e competitiva. La nuova politica spaziale europea sottolinea
l’importanza dello Spazio quale settore strategico per l’indipendenza, la sicurezza e la prosperità
63
European Space Policy - Preliminary Elements, cit. Par. 2. 113
dell’Europa e fa’ esplicito riferimento alle applicazioni che la ricerca spaziale può comportare per la
difesa e la sicurezza.
L’Unione Europea, nel suo insieme, necessita di una serie di politiche spaziali a lungo
termine, guidate dalla domanda pubblica e privata dei più svariati settori. Di politiche che siano in
grado di supportare strategicamente gli obiettivi e le più ampie politiche di sviluppo dell’Unione,
quelle miranti alla realizzazione:
i)
di uno sviluppo sostenibile,
ii)
di una rapida crescita economica,
iii)
della creazione di posti di lavoro e di competitività industriale,
iv)
di un ricasco omogeneo tra i membri degli spin-off derivanti dai programmi spaziali, al fine di
favorire un maggiore livello di integrazione tra i membri dell’Unione,
v)
di rispondere in maniera puntuale ed esaustiva alle esigenze delle politiche di sicurezza e della
difesa comunitaria (Common Foreign and Security Policy – CFSP; European Security and Defence
Policy, ESDP).
A tal fine, la UE, attraverso l’Agenzia Spaziale Europea, i propri membri e le rispettive
agenzie spaziali nazionali, ha elaborato uno specifico programma spaziale europeo pluriennale, che
prevede, quali elementi cardine: i) un aumento degli investimenti a sostegno della ricerca e sviluppo
delle tecnologie e delle infrastrutture; ii) l’implementazione della collaborazione internazionale, non
solo nei confronti dei suoi tradizionali partner, Stati Uniti e Russia, ma anche verso le ‘nazioni spaziali
emergenti’. Una sottovalutazione delle politiche per lo spazio o una loro mancata adozione, da parte
dei membri e/o delle istituzioni, condurrebbero l’interna Unione ad un pernicioso declino nel ruolo di
potenza spaziale, con ricaschi estremamente negativi in gran parte dei settori produttivi anche
nazionali.
Le priorità strategiche dell’Unione Europea mirano a:
–
garantire l'accesso europeo allo spazio e il suo finanziamento a lungo termine;
–
condividere le responsabilità tra soggetti nazionali ed europei;
–
equilibrare l'autonomia europea e la cooperazione internazionale: l'Europa deve prendere
l'iniziativa e intervenire presso i suoi partner per svolgere un ruolo strategico nei grandi progetti
spaziali realizzati in cooperazione;
–
disporre di un tessuto industriale di qualità e di un accesso alle tecnologie chiave: l'Europa
deve individuare i campi a valore aggiunto e stabilire se vuole mantenere una base industriale che
copra l'intera filiera spaziale;
114
garantire una base tecnologica vasta ed efficace, alimentata da programmi di ricerca e
–
dimostrazione: l'UE, l'ESA, i soggetti nazionali e l'industria hanno istituito diversi strumenti (piano
direttivo della tecnologia spaziale, il Settimo Programma Quadro di Ricerca e i programmi
nazionali di ricerca).
Lo sfruttamento del potenziale tecnico della comunità spaziale deve rispondere alle nuove
esigenze della società. L'obiettivo è creare una società della conoscenza competitiva e garantire a tutti i
cittadini europei, in particolare a quelli con esigenze particolari, l'accesso alle tecnologie e ai servizi
avanzati, secondo le seguenti linee direttrici
i)
Le politiche spaziali e lo sviluppo sostenibile
Le politiche spaziali possono essere concepite per promuovere lo sviluppo sostenibile: la
tecnologia spaziale è impiegata per l’osservazione della Terra, a fini meteorologici e ambientali, per
seguire l’evoluzione del pianeta (previsioni meteorologiche, monitoraggio del cambiamento climatico,
mezzi di reazione più rapidi in caso di catastrofi naturali, riscaldamento del pianeta, monitoraggio
delle maree nere, studio dei cicli dell’acqua in determinate regioni, ecc.), per implementare le
conoscenze già acquisite e quindi far progredire la ricerca, attraverso i programmi di osservazione
degli oceani (altimetri oceanografici di precisione), i piani di studio per il magnetismo terrestre o la
visualizzazione della Terra in 3D.
Oltre al grande uso dei satelliti di telecomunicazioni per lo scambio di informazioni (telefonia,
televisione e trasmissione di dati numerici), la messa in orbita di vettori spaziali europei offre alle
imprese, ai poteri pubblici ed ai cittadini un’amplissima gamma di servizi, che possono produrre
benefici positivi in diversi campi del vivere comune. Tra questi, gli investimenti nello spazio possono
contribuire a realizzare una mobilità più sostenibile, attraverso l’implementazione della navigazione
satellitare (Galileo/EGNOS: European Geostationary Navigation Overlay Service/System), con
l’obiettivo di rendere più performante il servizio di radionavigazione satellitare; l’aumento del
controllo in entrata del traffico nelle grandi città, per una miglior gestione del flusso di veicoli in
ambito urbano (congestion charging” policy, sui modelli adottati, ad esempio da Londra e da Milano)
e quindi dei livelli di inquinamento da polveri sottili, o il controllo della velocità su determinati tratti
stradali ed autostradali (“sistema Tutor” o “adattamento intelligente della velocità”, l’intelligent speed
adaptation - ISA)
L’elenco sopra fornito dei contributi che lo spazio dà e può dare al benessere delle popolazioni
e allo sviluppo economico svuotano di significato le domande/obiezioni più ricorrenti tra i detrattori
delle politiche spaziali, che contestano gli alti investimenti in settori che in apparenza non hanno
115
benefici immediati sui cittadini, asserendo che, se le stesse cifre venissero investite in altri comparti
(trasporti, costruzioni civili, implementazione programmi di aiuto ai paesi in via di sviluppo), si
avrebbero risultati più immediatamente percepibili e più concreti (in apparenza).
ii)
Spazio e creazione di competitività industriale
Gli investimenti nello Spazio generano anche diversi spillovers industriali. In Europa, il
principale esempio, è dato, ancora una volta dal programma Ariane. La creazione di Arianespace, oltre
a porre le basi per lo sviluppo di un piano spaziale europeo, ha portato anche alla creazione di posti di
lavoro ad alta qualificazione e di conseguenza alla creazione di nuove competenze avanzate: oltre 100
industrie europee sono state, infatti, coinvolte nello sviluppo e nella costruzione dei lanciatori. Sulla
base di questa esperienza, l’Unione Europea, attraverso l’attuazione delle proprie politiche spaziali ha
teso a:
–
estendere il campo della ricerca spaziale a altri soggetti, diversi da quelli dell'industria spaziale
classica: favorire il passaggio delle azioni di ricerca verso applicazioni industriali e servizi a valore
aggiunto che vadano oltre la filiera spaziale in senso stretto;
–
trasferire le tecnologie del settore della ricerca verso il settore commerciale, incoraggiando
l’investimento privato mediante impegni a lungo termine da parte delle autorità pubbliche;
–
sviluppare nuove applicazioni sfruttando meglio i rispettivi vantaggi delle tecnologie terrestri
e spaziali;
–
mantenere il trasferimento di conoscenze e informazioni tra le generazioni di scienziati e
ingegneri: si calcola che in Europa quasi il 30% degli addetti del settore spaziale andrà in pensione
nei prossimi 10 anni.
iii)
Politiche spaziali e politiche di integrazione europea
Il coinvolgimento europeo nelle politiche spaziali offre soluzioni concrete utili a colmare quei
gap tecnologici che ancora oggi caratterizzano alcuni paesi membri dell’Unione Europea, cosi come
determinate regioni rurali o da un punto di vista geografico particolarmente impervie.
Nel campo delle telecomunicazioni satellitari, ad esempio, le politiche spaziali permettono la
trasmissione di tecnologia a banda larga in quelle aree nelle quali le soluzioni convenzionali non sono
possibili;
−
contribuisce a colmare il divario digitale tra coloro i quali possono disporre di determinate
nuove tecnologie e chi non ne ha accesso per carenza di infrastrutture di sostegno;
116
−
permette lo sviluppo di applicazioni in aree strategiche per lo sviluppo ed il benessere della
società (trasporti, agricoltura, sanità).
iv)
Politiche spaziali e politiche di sicurezza
Le applicazioni spaziali in campo della sicurezza sono molteplici. Tra queste l’Unione, grazie agli
spin-offs, intende:
−
contribuire allo sviluppo di sistemi di navigazione via satellite a vantaggio della navigazione
aerea, marittima e terrestre;
−
rafforzare la sicurezza dei cittadini: la gestione delle crisi è in diretto rapporto con il controllo
delle tecnologie spaziali, soprattutto nel campo spaziale militare.
5.1.4 Le linee di politica spaziale nazionali
5.1.4.1 Francia
La Francia rappresenta una delle colonne portanti delle politiche spaziali europee, grazie
soprattutto agli investimenti in questo settore. E’, infatti, il terzo paese al mondo per investimenti
pubblici in questo settore, con quasi 2,7 miliardi di dollari nel 2008, contro gli 1,2 miliardi dell’Italia,
ma addirittura la seconda nazione dopo gli Stati Uniti, per percentuale di investimenti pubblici sul PIL
(0,1%) e per investimenti pro-capite (42 dollari).64
64
Fonte: European Space Policy Institute (ESPI), Space Policies, Issues and Trends in 2008/2009 – ESPI Report
18, Vienna, May 2009, Figg. 2.1, 2.2, 2.2, pp. 15 ss. 117
Figura 5.1 Finanziamenti pubblici nel settore spaziale, 2008
Fonte: nostre eleborazioni su dati European Space Policy Institute (ESPI), Space Policies,
Issues and Trends in 2008/2009 – ESPI Report 18, Vienna, May 2009, Fig. 2.1, p. 15
La Francia è anche il paese europeo con il bilancio per le attività spaziali in campo civile più
elevato, che, nel 2008, è stato di 1.495 milioni di Euro, con una spesa pro-capite tra le più elevate in
Europa. Le priorità francesi, sia in ambito europeo, sia in ambito nazionale, ruotano attorno ai sistemi
di lancio, per i quali ha previsto stanziamenti pari a oltre 500 milioni di Euro. Tale ammontare è volto
a conseguire importanti spin-offs industriali anche nel settore della difesa nazionale, soprattutto alla
luce dell’impianto strategico nucleare francese.65 A questi si associano i progetti per lo sviluppo di voli
spaziali umani nell’ambito del programma per la realizzazione di Automated Transfer Vehicles (ATV),
strutture essenziali per il funzionamento ed il rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale.66
65
Con il Libro Bianco sulla Difesa e la Sicurezza Nazionale pubblicato nel 2008, il Governo di Parigi ha
dichiarato la sua intenzione di migliorare le proprie capacità militari spaziali, aumentando, di conseguenza, gli
investimenti in questo settore. 66
Circa le prerogative e le potenzialità dell’ATV, si vedano: International Astronautical Federation, United
Nations, Office for Outer Space Affairs, International Institute of Space Law, Highlights in Space 2006:
Progress in Space Science, Technology and Applications, International Cooperation and Space Law, United
118
Durante il corso del 2008, il Governo di Parigi ha continuato a sviluppare proprio rapporti di
collaborazione internazionale non solo con potenze spaziali consolidate, quali Stati Uniti, Russia o
Giappone, ma anche con i nuovi stati (spaziali) emergenti, come Brasile (progetto COROT) , Cina ed
India (progetto Mega-Trophiques), voluti fortemente dal Presidente Sarkozy.
Le analisi sulla quota-parte versata dai singoli stati membri all’ESA e sugli investimenti
allocati per il settore spazio su programmi nazionali, sottolineano di come la Francia abbia intenzione
di mantenere solido il proprio ruolo di leader. Un obiettivo palesemente enunciato da Sarkozy quando
la Francia assunse la presidenza della UE, riconfermata, ad un livello ben più pragmatico dal notevole
incremento del budget per lo spazio nei prossimi anni. Dopo una fase di stallo, i contributi francesi
all’ESA, fermi per diversi anni a circa 585 milioni di Euro, dal 2007 sono aumentati a 770 milioni
annui, facendo del paese transalpino il secondo maggior finanziatore dopo la Germania.
Negli ultimi anni anche la Germania ha visto rafforzato il proprio ruolo all’interno
dell’Agenzia Europea. I domini di interesse primario si sono focalizzati attorno a programmi di
osservazione terrestre, nella robotica, nelle tecnologie radar, e nei sensori ottici, tutti settori nei quali
ha sempre espresso un’alta expertise.
5.1.4.2 Germania
Nel 2007, il Ministero per l’Economia e la Tecnologia tedesco, con il documento Mission
Raumfahrt ha sottolineato di come le tecnologie spaziali rappresentino uno degli aspetti chiave dello
sviluppo delle società moderne e soprattutto per le piccole medie-imprese. Sulla base di questa presa
di posizione, il governo federale ha deciso di aumentare gli investimenti per la ricerca spaziale. A
livello di contributi per l’ESA, la Germania ha versato, nel 2008, 2,7 miliardi di Euro per vari
programmi, divenendo il finanziatore maggiore. Nel 2008 ha allocato 300 milioni di Euro per i
programmi relativi ai lanciatori, oltre 730 milioni per la ricerca di voli spaziali umani e 634 milioni per
progetti che contemplano lo sviluppo delle tecnologie e strumenti per l’osservazione terrestre.
5.1.4.3 Italia
L’Italia è il terzo finanziatore dell’ESA e si pone tra i principali attori in campo spaziale,
grazie anche alle eccellenze espresse dal proprio comparto industriale. Nonostante nel 2008 il
Parlamento abbia votato per una diminuzione di 20 milioni di Euro della quota-parte riservata
all’Agenzia Europea, l’Italia si mantiene particolarmente attiva nella partecipazione dei programmi di
Nations Publications, 2007, p. 11 ss.; John E. Catchpole, The International Space Station: Building for the
Future, Springer, 2008. 119
ricerca. Tra le sue priorità vi sono quella di implementare le ricerche nel settore dei lanciatori, per il
quale ha investito, nel 2008, 130 milioni di Euro, dei viaggi spaziali con astronauti, con investimenti
pari a 250 milioni di Euro e con 230 milioni per progetti dedicati all’osservazione terrestre, per i quali
il paese è all’avanguardia.
5.1.5 Le politiche spaziali degli Stati Uniti: cenni
Sin dall’ultima amministrazione repubblicana, gli Stati Uniti hanno iniziato a ripensare alla
propria politica spaziale, in termini di ritorno sulla Luna, dopo l’ultimo viaggio umano del 1972 e in
termini di uno sbarco su Marte (programma Constellation). Progetti ambiziosi che necessitano, oltre
che di investimenti massicci, di sostegni non solo governativi interni, ma anche e soprattutto
internazionali e di sostegno da parte delle industrie, anche di un certo supporto da parte dell’opinione
pubblica. Se durante il varo di queste nuove priorità, nel 2004, non si volle (o non si poté, a causa
degli alti costi della guerra in Iraq e della campagna afghana) predisporre un adeguato piano di
finanziamenti, con il progressivo ritiro da almeno uno dei due principali teatri di guerra, pare che la
presente amministrazione democratica sia interessata non solo a recepire le priorità dettate da Bush,
ma di allocare finanziamenti che nel lungo periodo potrebbero contribuire a concretizzarli. Nella
comunità scientifica statunitense ed internazionale c’è molta attesa per la pubblicazione del rapporto
richiesto da Barack Obama e volto a rivedere in parte la strategia per lo spazio. La possibile
rivalutazione del programma dovrebbe ruotare attorno al possibile mantenimento in operatività della
flotta degli Shuttles oltre la naturale data prevista per il loro ritiro nel settembre 2010, dopo aver
compiuti otto ultimi viaggi per completare l’assemblaggio della Stazione spaziale internazionale ed
una missione in direzione del telescopio spaziale Hubble.67 L’ipotesi del ritiro annovera tra i detrattori
Mike Griffin, il direttore della NASA scelto da Bush nel 2005, e che secondo il quale implicherebbe
investimenti addizionali per circa tre miliardi di Euro, oltre ad aumentare esponenzialmente la
possibilità di incidenti. La Casa Bianca ha deciso quindi di nominare Norm Augustine, già
sottosegretario per l’Esercito e presidente della Lockheed Martin, a capo di una speciale commissione
di esperti per valutare i progressi dell’ente spaziale nella costruzione della flotta da trasporto che dovrà
sostituire gli Shuttle. Considerando che la prima nuova missione con equipaggio del programma
Constellation no sarebbe pronta prima del 2015, gli Stati Uniti si troverebbero a dover fronteggiare un
gap di un lustro, che – almeno teoricamente – impedirebbe loro un accesso in tutta autonomia alla
stazione spaziale internazionale. Il governo di Washington ha calcolato che il mantenimento di un
certo livello di supremazia nel settore spaziale dovrebbe implicare investimenti per circa 230 miliardi
67
Space News, 14 July 2008 120
di dollari nei prossimi vent’anni. Ad oggi è in corso la progettazione e lo sviluppo della nuova capsula
Orion, del vettore Ares I ed Ares V cui associare il modulo di allunaggio.
Barack Obama ha basato gran parte del suo programma scientifico sull’esplorazione spaziale umana e
sulla ricerca. Secondo le decisioni della Casa Bianca, il budget previsto per la NASA dovrebbe salire a
18,7 miliardi di dollari nel 2010, facendo registrare un aumento di meno di un miliardo rispetto
all’esercizio 2009. Per il 2009, infatti, il Congresso ha stanziato 17,78 miliardi di dollari (+2,2% sul
2008), aumentando, seppur lievemente, la richiesta avanzata da Bush con l’Omnibus Appropriation
Act di 17,64 miliardi. Nello specifico, il comparto Scienza ha ricevuto, per l’anno fiscale 2009, 4,5
miliardi di dollari (-4,3% sul 2008), la sezione riguardante i progetti dei Sistemi di esplorazione ha
ottenuto allocazioni pari a 3,5 miliardi (+11,5%), i programmi della Cross-Agency Support68 3,3
miliardi (+ 18,5%) e quelli delle Operazioni spaziali 5,76 miliardi (+4,3%).69 Gli incrementi maggiori
rispetto all’anno fiscale precedente che si sono registrati (esplorazioni) sono giustificati dall’interesse
dell’Amministrazione per il programma Constellation. Oltre al normale bilancio, lo Stimulus Bill del
febbraio 2009, ha allocato un ulteriore un miliardo di dollari, di cui 400 milioni per i programmi
scientifici, soprattutto riguardanti lo studio ed il monitoraggio terrestre, 150 milioni per il settore
aeronautico e 50 milioni per le riparazioni alle strutture NASA danneggiate dagli uragani.70
68
La Cross-Agency Support (CAS) è un centro per la gestione delle capacità tecniche e per le funzioni di
supporto alle missioni dell’Agenzia. Il suo bilancio interno è ripartito in tre aree distinte: una parte è destinata al
Center Management and Operations (CM&O), una all’Agency Management and Operations (AMO), e la terza
alla Institutional Investments (II). La CAS non è direttamente identificata o schierata con un programma
specifico o con le esigenze di un determinato progetto, ma la sua funzione è necessaria per assicurare efficienza
ed efficacia alle operazioni ed all’amministrazione della NASA. 69
Per una analisi complete sulla ripartizione del bilancio della NASA si vedano:
http://appropriations.house.gov/pdf/2009_Con_Bill_DivB.pdf e National Aeronautics and Space Administration,
Fiscal Year 2009. Budget estimates, NASA 2009, www.nasa.gov 70
Space News, 2 March 2009. 121
Figura 5.2 Allocazione programmatica del bilancio della NASA (esercizio 2008),
valori percentuali
Fonte: nostre elaborazioni su dati ESPI, Space policies, Issues and Trends 2008/2009, Report 18, May 2009
122
5.2 LA POLITICA SPAZIALE DEL REGNO UNITO
5.2.1 Introduzione
Questa sezione inizia con una spiegazione delle economie dei mercati spaziali, che mostra
come i fallimenti di mercato e le analisi di scelta pubblica possano essere usate per giustificare
l’intervento del Governo nei mercati spaziali. Segue una descrizione e valutazione della politica
spaziale del Regno Unito, delle sue attività spaziali civili e militari, del British National Space Centre,
del ruolo del Regno Unito nell’ESA e dell’industria spaziale del paese. La conclusione individua la
necessità di una valutazione economica indipendente della politica spaziale del Regno Unito.
5.2.2 L’economia dei mercati spaziali
Analisi dei fallimenti di mercato. Gli economisti giustificano l’intervento dello Stato nei mercati
privati quando vi siano gravi fallimenti dei mercati (Tisdell and Hartley, 2008). Questi fallimenti
possono derivare da imperfezioni del mercato (ad es. monopolio; barriere all’ingresso); esternalità (sia
positive che negative, come degli spillovers di tecnologia, e l’inquinamento nocivo, rispettivamente); e
dove si trovino beni pubblici caratterizzati dalla non rivalità, non esclusione e dal fenomeno del free
riding (ad es. la Difesa). A causa di alcuni di questi motivi, i mercati non possono venire ad esistere:
questi sono mercati mancati, come nel caso dei mercati del rischio e per lo scambio di futures, nei
quali i costi di transazione sono troppo elevati per poter generare un mercato conveniente. I mercati
spaziali hanno tre caratteristiche economiche
che riguardano la proprietà comune, le industrie
strategiche e i governi.
Punto primo, lo spazio è una risorsa di proprietà comune che manca di qualsiasi mercato
privato con diritti di proprietà. Caratteristiche simili si applicano ad altre proprietà comuni, come la
acque internazionali, e le conseguenze sono lo sfruttamento eccessivo di queste proprietà comuni
arrivando, ad esempio, all’overfishing e all’impoverimento di importanti risorse ittiche. Riguardo allo
spazio, lo sfruttamento eccessivo si riflette nel crescente problema dei detriti spaziali e nella domanda
eccessiva di accesso a orbite spaziali limitate per i satelliti. Una soluzione a questo problema sono le
azioni collettive, che si risolvono in accordi internazionali finalizzati a regolare l’utilizzo delle
proprietà comuni (ad es. la politica dell’UE per la pesca comune nelle sue acque territoriali ; gli
accordi internazionali sulla pesca delle balene: Sandler and Hartley, 2001).
Per lo spazio, ci sono
norme internazionali che regolano l’orbita e la frequenza alla quale i satelliti possono operare (cioè, la
quantità limitata di spazio orbitale è assegnata dall’ International Telecommunications Union
Radiocommunications Bureau ). In alternativa, i diritti di proprietà possono essere assegnati ad un
123
gruppo specifico (ad es. i pescatori). Altri esempi di proprietà comune includono l’ambiente (il
riscaldamento globale), i fiumi e l’acqua, certi tipi di informazioni e ricerca, l’accesso ai pascoli
comuni e l’utilizzo delle strade. Come conseguenza, dove i diritti di proprietà non sono ben definiti, i
mercati potrebbero essere inefficienti: da qui le ragioni per delle forme di intervento statale anche
imperfette71.
Lo spazio è una proprietà comune dove non esiste un mercato, e pertanto non possiamo
aspettarci che i mercati allochino le risorse efficientemente, se un mercato non esiste. Proprietà
comune significa che le risorse non appartengono a nessuno, e non possono essere usate da nessuno.
Tuttavia, a differenza della proprietà comune sulla terra, l’accesso allo spazio non è senza costi, e le
spese necessarie per accedervi formano una barriera all’ingresso. L’industria spaziale fornisce i
lanciatori e i satelliti necessari ad ottenere l’accesso allo spazio.
Punto secondo, le industrie spaziali hanno le caratteristiche di un’industria economicamente
strategica. Si tratta, infatti, di oligopoli di imprese ad alta tecnologia (ad es. la costruzione di aerei di
linea civili) dove il commercio internazionale è caratterizzato da guadagni (rendite) sostanziali e dove
il supporto dei governi per le loro industrie nazionali permette di ottenere una quota di quelle rendite.
Le industrie sono ad alta intensità di R&S con spillovers tecnologici e costi decrescenti (Krugman,
1989; Tisdell and Hartley, 2008, pp177-178).
La ricerca e sviluppo è costosa, rischiosa e richiede
un’ottica di lungo termine. Per esempio, il lander europeo Huygens impiegò più di 20 anni per
passare dal progetto iniziale all’atterraggio su Titano, la luna di Saturno (HCP66, 2009).
Punto terzo, i governi sono fondamentali per comprendere i mercati spaziali, perché sono
coinvolti sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta di mercato. Sono i principali acquirenti
di sistemi spaziali (per uso militare e per l’esplorazione spaziale); forniscono fondi per la R&S
spaziale; sono i principali acquirenti di sistemi aerospaziali (aerei militari, elicotteri e missili; fondi
per lo sviluppo di aerei civili) e, dato che le imprese aerospaziali sono coinvolte anche nei mercati
spaziali, possono effettuare politiche di finanziamenti incrociati. I governi determinano anche
l’ingresso nell’industria spaziale e nei mercati (ad es. consentendo l’installazione di siti di lancio in un
paese; regolando i requisiti per i lanci e per intraprendere qualsiasi attività spaziale ; richiedendo
garanzie da parte di terzi per l’indebitamento durante i lanci e mentre il satellite è operativo; e in
alcuni casi, coprendo i costi di assicurazione e i rischi legati al lancio dei veicoli) mentre in certe
nazioni, le imprese spaziali sono di proprietà statale. Tuttavia, ci sono delle opportunità di mercato
privato, attraverso il finanziamento privato dei satelliti e il mercato emergente del turismo spaziale.
Nonostante questo, il largo coinvolgimento del governo nel mercato spaziale solleva la possibilità di
71
Per esempio, riguardo al riscaldamento globale, se la comunità internazionale cercasse un accordo
internazionale “perfetto”, nessun trattato potrebbe mai essere firmato. Un trattato imperfetto ma pratico sarebbe
meglio che nessun trattato. 124
un fallimento del governo in questo mercato. Le analisi di spesa pubblica forniscono un approccio
alternativo per comprendere la politica economica dei mercati spaziali.
Un’analisi di scelta pubblica. I mercati spaziali possono essere analizzati come dei mercati politici,
laddove questi mercati sono dominati da agenti dei mercati politici, ovvero da elettori, partiti politici,
governi, organismi burocratici e gruppi di produttori. Questi gruppi perseguiranno i propri interessi,
con gli elettori che cercheranno la massima soddisfazione dai propri voti; i partiti politici che
cercheranno di fare la scelta che massimizzerà i voti per loro; i governi che cercheranno di essere
rieletti; gli organi burocratici che cercheranno di massimizzare il budget; e i gruppi di produttori che
punteranno alla massimizzazione dei loro redditi o profitto (rent-seekers). Il comportamento di questi
agenti influenzerà le scelte pubbliche riguardo ai mercati spaziali. Difatti, l’analisi agente-principale
può essere applicata alla politica spaziale. Questa analisi mostra come i problemi di allocazione delle
risorse si verificano a causa delle difficoltà che si presentano quando si scrivono e controllano contratti
finalizzati ad indurre gli agenti ad agire nell’interesse dei principali . Gli elettori (come principali nel
rapporto di agenzia) sono verosimilmente male informati riguardo allo spazio, e pertanto lasceranno
che siano i loro rappresentanti eletti (in qualità di agenti)a prendere le scelte riguardanti la politica
spaziale. Per contro, i governi saranno consigliati e influenzati dalle loro burocrazie con un interesse
particolare nello spazio (ad es. un’agenzia spaziale) e che punteranno alla massimizzazione dei loro
bilanci. Per fare questo, sovrastimeranno la domanda di programmi spaziali del settore pubblico, e
sottostimeranno i costi derivanti da risultati economicamente inefficienti. Questi comportamenti
saranno sostenuti con tesi sui benefici derivanti dagli spin-offs e dalla tecnologia delle attività spaziali.
Sosterranno che lo spazio è ad alta tecnologia, che tutta la tecnologia spaziale è “buona” e più
desiderabile e che l’alta tecnologia assicura un futuro alla competitività internazionale di una nazione.
Queste tesi saranno molto probabilmente sostenute dai gruppi di produttori, che guadagneranno
dall’assegnazione di contratti del settore pubblico (soprattutto nel caso di contratti basati sui costi).
Gli economisti hanno il compito di sottoporre queste tesi a un controllo rigoroso, separando i
miti, le emozioni e implorazioni speciali da solide analisi economiche e correlativi supporti empirici.
Bisogna controllare con attenzione che le risorse usate per le attività spaziali del settore pubblico
portino benefici sociali maggiori che nel caso fossero utilizzate da qualche altra parte nell’economia.
Ad esempio, le risorse investite nelle attività spaziali del settore pubblico creeranno più posti di
lavoro, più tecnologia e maggiori spin-offs che se fossero impiegate in ricerca universitaria o in
qualche altro settore aerospaziale o nei veicoli a motore o nelle industrie dell’information technology?
Devono essere poste delle domande anche riguardo alla causa precisa del fallimento dei
mercati nel settore spaziale. I mercati spaziali stanno fallendo? Se sì, perché? Ad esempio, i mercati
dei capitali privati non riescono a fornire i fondi necessari per le esplorazioni spaziali per via degli
alti costi di sviluppo, dei lunghi periodi di sviluppo, dei consistenti rischi tecnici e commerciali e dei
125
profitti solo a lungo termine risultanti dallo sviluppo di lanciatori? Probabilmente il fallimento dei
mercati del capitale privati potrà solo rafforzarsi, a causa delle caratteristiche di proprietà comune dei
mercati spaziali (mercati mancati), con in aggiunta qualsiasi esternalità positiva collegata agli spinoffs tecnologici. Questi fattori potrebbero spiegare perché i mercati dei capitali privati sono poco
propensi (e incapaci) di provvedere finanza di rischio
a “costi ragionevoli” per l’esplorazione
spaziale. Ma questo non costituisce per forza un fallimento di mercato perché il mercato stesso si è
fatto l’idea che ci siano degli usi alternativi più redditizi per i suoi scarsi fondi. In effetti, i mercati dei
capitali privati finanziano delle attività spaziali, come ad esempio i satelliti per telecomunicazioni.
L’esplorazione spaziale è diversa e può essere vista come ricerca di base, che rappresenta un caso
tipico in cui i mercati privati “sotto-investono”: da qui, un’argomentazione per l’intervento statale.
Tuttavia, questa non è un’argomentazione decisiva per un sostegno statale all’esplorazione spaziale.
C’è una gamma di altre industrie e settori che sono coinvolti nella ricerca base (ad es. le università) e i
governi devono fare scelte difficili riguardo a come allocare i pochi fondi tra le varie alternative .
Nel fare le loro scelte, i governi saranno influenzati da agenti del mercato politico (il
complesso spaziale-industriale-politico). Saranno analogamente influenzati da questi agenti in altre
attività del settore pubblico, come l’educazione, la sanità, la difesa e l’edilizia. Questi agenti hanno il
potenziale per influenzare le scelte pubbliche in modi tali da condurre a consistenti inefficienze
economiche. Ci sono incentivi all’uso delle analisi del fallimento del mercato per difendere le tesi
delle burocrazie e dei gruppi di produzione alla ricerca dell’assegnazione di contratti e di budget. Per
esempio, verrà detto che l’esplorazione spaziale porta sostanziali esternalità positive attraverso spinoffs (o spillovers) di tecnologia, ma questi sono difficili da misurare. I critici potrebbero addirittura
rispondere che le difficoltà di misurazione sono dovute al fatto che non ci sia nulla da misurare!
Il messaggio è chiaro. Dichiarazioni riguardo ai fallimenti del mercato e i benefici
dell’esplorazione spaziale devono essere sottoposti a delle analisi critiche con una solida teoria
economica di base e con delle prove a supporto. I mercati privati possono fallire, ma i modelli di scelta
pubblica mostrano che anche i governi possono fallire. Le analisi delle scelte pubbliche presentano le
potenziali inefficienze dei mercati politici di cui bisogna tenere conto in ogni valutazione economica
della politica spaziale.
126
5.2.3 La politica spaziale del Regno Unito
Il governo del Regno Unito è impegnato sia nei mercati militari che nei mercati civili. Il
Regno Unito non ha lanciatori o strutture per il lancio.
Attività spaziali militari. Il Regno Unito non possiede alcun satellite esclusivamente militare. Invece,
le forze armate REGNO UNITO sono supportate dal sistema Skynet. Dal 2005, i servizi Skynet sono
stati forniti da un’impresa privata, ovvero la Paradigm, attraverso un’iniziativa finanziaria privata
(PFI – Private Finance Initiative) valutata attorno a £3.6 miliardi. Questo accordo procura satelliti per
i servizi di comunicazione al Ministero della difesa REGNO UNITO (MoD); e tutta la capacità in
eccesso del sistema può essere resa disponibile ad altri utenti militari o governativi, inclusa la NATO.
I satelliti sono stati lanciati dai razzi europei Ariane e sono di proprietà della Paradigm, che è una
società interamente controllata della EADS (cioè, una caratteristica specifica è che i satelliti Skynet
non sono di proprietà del MoD). C’è, tuttavia, una convergenza crescente tra gli usi militari e civili
dello spazio, e molte tecnologie delle navette spaziali possono essere utilizzate in entrambi i settori in
modo tale che il Regno Unito dovrà riconoscere le opportunità del “dual use”
Attività spaziali civili. Il Regno Unito ha adottato un approccio user-driven per lo spazio, che si
concentra sulle attività spaziali che valorizzano la conoscenza scientifica e producono benefici per
l’economia e la società del REGNO UNITO (esternalità positive).Questo approccio user-driven si
concentra sull’uso pratico dei progetti spaziali piuttosto che sul loro prestigio (vedi invece la Francia
che è disposta a spendere per programmi spaziali prestigiosi: HCP66, 2007).
La caratteristica
distintiva del Regno Unito rispetto alle altre nazioni con una considerevole industria aerospaziale è che
il coinvolgimento del governo nelle attività spaziali è di gran lunga inferiore a quello dei suoi
principali rivali europei: per esempio, Italia, Francia e Germania spendono molto più che il Regno
Unito nei programmi ESA(HCP66, 2007). In altre parti, altre nazioni spendono considerevolmente
più del Regno Unito nello “spazio civile”: nel 2004/05, le spese del governo per lo spazio civile è stata
di $392 milioni, a fronte di $16 miliardi degli USA, $2.5 miliardi del Giappone, circa $0.5 miliardi
della Russia, e circa $2.3 miliardi della France (HCP66, 2007). Nonostante tutto, il Regno Unito ha
sviluppato una posizione competitiva per i satelliti piccoli e a basso costo, le telecomunicazioni, i
sistemi di sorveglianza spaziali e gli effetti del tempo nello spazio72(POST, 2006). E’ considerato
come il leader mondiale nella tecnologia satellitare in una vasta gamma di applicazioni (ad es. le
comunicazioni; i servizi di banda larga mondiali; le trasmissioni televisive; le comunicazioni sicure;
ed ha un coinvolgimento nel nuovo sistema GPS europeo, ovvero Galileo).
72
Nel Giugno 2009, l’REGNO UNITO ha annunciato la creazione di uno Space Innovation and Growth Team
(IGT) con l’obiettivo di sviluppare una strategia ventennale per lo spazio REGNO UNITO. 127
Il Regno Unito non è coinvolto in alcun programma di volo spaziale umano. La politica
spaziale del Regno Unito riconosce come lo spazio sia ad alto rischio e costoso (ad es. la perdita di
vite su voli spaziali con equipaggio; la perdita di un satellite durante il lancio; la perdita dei contatti
con Beagle 2 dopo l’atterraggio su Marte ). Di conseguenza, il Regno Unito non ha al momento alcun
progetto di partecipazione ad attività spaziali con equipaggio, rispecchiando l’idea che i benefici
potenziali non giustificano i costi richiesti (HCP66, 2007). La sua esplorazione spaziale si basa
sull’uso della robotica, telerobotica e sistemi semiautonomi (ad es. Beagle 2: HCP66, 2007). Tuttavia,
una review parlamentare della politica spaziale del Regno Unito raccomandava che il esso dovesse
essere preparato a considerare futuri coinvolgimenti in programmi di esplorazione spaziale con
equipaggio, sottoposti ad analisi dei costi e dei benefici (HCP66, 2007). Altrove, ci sono prospettive
per le imprese private di finanziare il nuovo mercato emergente del turismo spaziale e per la creazione
di un mercato commerciale del turismo spaziale (ad es. Virgin Galactic (HCP66, 2007). La posizione
del Governo del Regno Unito è che il finanziamento del nascente mercato del turismo spaziale non sia
responsabilità del governo; invece, il ruolo del Governo dovrebbe essere limitato a creare un sistema
di regole appropriato (HCP66, 2007).
Il governo del Regno Unito non finanzia lanciatori spaziali con nessuna cifra significativa (da
solo un piccolo contributo al programma launcher dell’ESA: HCP66, 2007). Al momento, il Governo
del Regno Unito crede che ci sia un mercato dei servizi di lancio in grado di assicurare che esso abbia
accesso allo spazio (ad es. lanciatori in Europa, USA, Russia, China, Giappone and India). In futuro,
potrebbe esserci una richiesta della Difesa Inglese per la creazione di una potenziale lanciatore
nazionale (ad es. per lo sviluppo di un launcher per satelliti piccoli a basso costo).
Gli elevati costi dei progetti spaziali comportano che il Regno Unito persegua molte delle sue
attività spaziali attraverso la collaborazione europea, in particolar modo attraverso l’Agenzia Spaziale
Europea (ESA) e la European Organisation for the Exploitation of Meteorological Satellites
(EUMETSAT). Nel 2005-06, la spesa complessiva del Governo del Regno Unito per lo spazio è stata
di £207.6 milioni, di cui il 67% (£139.6 million) era destinato all’ESA. Sul totale della spesa dedicata
all’ESA, la quota maggiore è stata assegnata alla scienza spaziale, all’osservazione della Terra e alle
telecomunicazioni/navigazione, con oltre il 70% dei contributi finanziari del Regno Unito provenienti
dal Research Councils. In aggiunta, il Regno Unito è coinvolto in alcuni progetti bilaterali (ad es.
con il Giappone e gli USA).
La strategia spaziale del Regno Unito, 2008-12. La strategia spaziale del Regno Unito per il 20082012 e oltre si basa su cinque obiettivi:
i)
Conquistare una fetta più grande del mercato mondiale dei sistemi spaziali e delle loro
applicazioni;
128
ii)
Fornire uno sfruttamento di punta a livello mondiale di sistemi spaziali per gestire i
cambiamenti del nostro pianeta;
iii) Diventare membro alleato di missioni mondiali spaziali per l’esplorazione dell’Universo ;
iv) Giovare alla società del Regno Unito rafforzando l’innovazione dallo spazio e stimolando la
creazione di nuovi prodotti e servizi per l’uso quotidiano;
v)
Sviluppare un canale importante per la creazione di qualificazioni lavorative, protendersi verso
un futuro ad alta tecnologia e migliorare il riconoscimento pubblico e politico del valore dei sistemi
spaziali come parte delle infrastrutture nazionali critiche del Regno Unito (BNSC, 2009).
La politica del governo del Regno Unito è di provvedere “sementi” (‘seedcorn’) per le attività
spaziali. I finanziamenti governativi sono giustificati perché le tecnologie spaziali sono spesso ad alto
rischio e richiedono lunghi tempi d’esecuzione, tra la fase di ricerca e sviluppo e quella di
realizzazione di un profitto (ad es. tipicamente tempi d’esecuzione di 10 anni sono necessari prima
che la finanza privata si mostri verosimilmente disponibile). Tipicamente, i capitali privati ricercano
profitti di breve periodo piuttosto che profitti futuri molto speculativi. E’ difficile convincere dei
venture capitalists ad investire in tecnologie spaziali che sono ancora solo “abbozzate” e non
collaudate: da qui, il sostegno del governo del Regno Unito del ricorso al finanziamento ‘seedcorn’ per
ridurre alcuni di questi rischi totali (blue-skies risks). Inoltre, si sostiene che lo spazio sia un’industria
ad alta tecnologia nella quale molti paesi come USA e Francia investono strategicamente; e quindi per
rimanere competitivo anche il Regno Unito dovrebbe investire strategicamente. Queste tesi devono
essere valutate in modo critico. Il semplice fatto che altri paesi stiano investendo nello spazio non è un
argomento sufficiente perché il Regno Unito copi i suoi rivali: potrebbero esserci usi alternativi
migliori per le risorse. Similmente, le tesi sul finanziamento ‘seedcorn’ vanno collegate a specifici
fallimenti di mercato e alle loro cause (quali mercati stanno fallendo e perché e qual è la soluzione
politica più appropriata per “correggere” questi fallimenti di mercato?). Bisogna fare una valutazione
critica dei mercati dei capitali privati e dei loro possibili fallimenti nel finanziare mercati ad alta
tecnologia come lo spazio Inoltre, la tesi ‘seedcorn’, richiede anche che si dimostri il successo della
linea politica. Ci sono esempi di casi studiati dove i fondi ‘seedcorn’ sono riusciti a sviluppare
business di successo, ma pochi risultati non sono una prova convincente del successo generale della
politica. E non è neppure sufficiente sostenere come questi investimenti abbiano prodotto grandi
profitti. C’è bisogno di indicatori di performance e di evidenza di supporto (ad es. sulla ragione del
successo piuttosto che del fallimento) sul valore di mercato creato dai finanziamenti ‘seedcorn’ (ad es.
i benefici hanno superato i costi della politica?). Le prove dimostrano che questi investimenti abbiano
effettivamente prodotto grandi profitti (as claimed: HCP66, 2007)?
129
British National Space Centre (BNSC). Il British National Space Centre (BNSC) è stato creato alla
fine del 1985 e coordina le attività spaziali civili del Regno Unito e la sua politica spaziale. E’ una
collaborazione tra sei diversi dipartimenti del Governo e due consigli di ricerca. I Dipartimenti del
Governo comprendono il Department for Business, Innovation and Skills; il Department for Children,
Schools and Families, il Department for Transport, il Department for Environment, Food and Rural
Affairs, the Foreign and Commonwealth Office, the Ministry of Defence, insieme al Natural
Environment Research Council e the Science and Technology Facilities Council più the Met Office e
il Technology Strategy Board. BNSC riferisce al Minister for Science nel Department for Business,
Innovation and Skills. La tabella 6.3.1 mostra i dettagli del suo bilancio tra il 2000 e il 2009. Tra il
2002/03 e il 2009, il bilancio per lo spazio civile del Regno Unito è aumentato in termini reali del
40%. Nel 2008/09, il bilancio del BNSC era costituito per circa il 76% dai contributi ai progetti ESA
e per il 90% il suo budget era conferito dal Science and Technology Facilities Council (44%), the
Department for Business, Innovation and Skills (28%) e dal Natural Environment Research Council
(20%: BNSC, 2009). Il bilancio 2008/09 del BNSC era stanziato principalmente per la scienza e
l’esplorazione spaziale (40%); l’osservazione terrestre (26%); le telecomunicazioni e la navigazione
(22%: BNSC, 2009). Nel periodo tra il 2000/01 e il 2009, il Regno Unito ha modificato le quote per lo
spazio del BNSC. La quota dedicata all’osservazione della terra è diminuita dal 38% al 26%; la quota
per le scienze spaziali e l’esplorazione è aumentata dal 26% al 40%; e la quota per le
telecomunicazioni e la navigazione è aumentata dal 17% al 22% (BNSC, 2009).
Table 5.2.1. I finanziamenti per lo spazio civile del BNSC, dal 2000 al 2009.
Anno
Finanziamenti per lo spazio del BNSC
(milioni di £, prezzi 2007/08)
212.9
199.1
186.6
209.4
213.6
219.9
224.2
239.1
262.8
2000/01
2001/02
2002/03
2003/04
2004/05
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
Fonte: BNSC (2009)
Punti di forza e punti deboli del BNSC. Il “modello” BNSC ha sia punti di forza che punti deboli.
Tra i suoi pregi c’è quello di fornire una base per presentare una panoramica chiara e coerente della
politica spaziale del Regno Unito; di supportare la filosofia user-led; di essere un quartier generale a
basso costo; di consentire un’effettiva consultazione con gli utenti; e di assicurare che i progetti
130
spaziali competano con altri progetti non spaziali per l’assegnazione dei fondi governativi,
incentivando così la pressione competitiva tra i vari Dipartimenti del Governo. Tra i suoi difetti vi
sono la scarsa autorità e la complessità della collaborazione all’interno del BNSC; l’attenzione posta
sugli utenti e gli usi potrebbe far perdere opportunità in alcune aree di ricerca; i soggetti della
collaborazione differiscono nella loro conoscenza ed esperienza sullo spazio; e gli investimenti per lo
spazio sono spesso a lungo termine, laddove i Dipartimenti del Governo tendono a focalizzarsi su
priorità a breve termine (ad es. i Dipartimenti considerano la prospettiva
spaziale come una
prospettiva troppo a lungo termine e ancora nei suoi stadi iniziali: HCP66, 2007).
Complessivamente, un rapporto del National Audit Office ha concluso che la collaborazione
nel BNSC “ha numerosi punti di forza, tra i quali l’appoggio a programmi focalizzati sugli utenti,
costruiti su un’ampia consultazione, e molti dei quali hanno apportato importanti vantaggi scientifici e
commerciali ”(NAO, 2004). Tuttavia, ci sono dei punti deboli nella valutazione che BNSC fa dei
progetti che comportano il trattamento dei rischi e la valutazione dei vantaggi (ad es. Beagle 2 era
stato valutato come un progetto ad alto rischio ma dagli elevati vantaggi: NAO, 2004).
C’è quindi
spazio per migliorare la performance del management attraverso il supporto di indicatori di
performance: per esempio, servono dati sul contributo dello spazio al miglioramento della produttività
dell’economia del Regno Unito.
Ci sono modelli di organizzazione diversi dalla struttura collaborativa del BNSC . Questi
includono agenzie spaziali specializzate (ad es. la NASA negli USA), diversi accordi di collaborazione
e Dipartimenti Governativi responsabili per lo spazio. Il Comitato Parlamentare del Regno Unito, che
ha esaminato la possibilità di istituire un’agenzia spaziale, ha concluso che con gli attuali livelli di
spesa, non si dovrebbe costituire una tale agenzia ma continuare con l’approccio della struttura
collaborativa del BNSC per lo spazio. Tuttavia, se i finanziamenti del Regno Unito per lo spazio
dovessero aumentare sostanzialmente, la questione sulla necessità di un’agenzia spaziale dovrebbe
essere riesaminata (HCP66, 2007).
Il Regno Unito e l’ ESA. La collaborazione internazionale attraverso l’ESA ha permesso al Regno
Unito
di intraprender attività spaziali che non sarebbero state giudicate utili in base ai criteri
nazionali. Inoltre, il Regno Unito contribuisce verso attraverso la sua enfasi sul valore dei soldi nelle
spese spaziali.
Gli stati membri contribuiscono ai programmi obbligatori dell’ESA e possono
scegliere se contribuire ai programmi opzionali.. Nel 2005, il Regno Unito era il secondo maggior
contribuente dei programmi obbligatori ESA, con una quota del 17.7% del budget (dietro la
Germania); ma contribuiva solo a circa il 6% del budget per i programmi opzionali (ad es. Aurora;
Galileo; GMES). Nonostante ciò, dal 1998, la spesa per l’ESA è sempre stata una considerevole
porzione della spesa complessiva del Regno Unito per lo spazio, contando tra il 50% e il 70% della
spesa totale (HCP66, 2007).
131
L’ESA è il maggiore singolo fornitore di contratti del settore pubblico civile all’industria
spaziale europea. La politica industriale dell’ESA si pone quattro obiettivi: curando l’efficienza dei
costi; la competitività industriale; le offerte competitive; e lo juste retour. La distribuzione imparziale
o uguale delle attività tra i membri dell’ESA (juste retour) mira ad assicurare che ogni Stato membro
riceva indietro contratti di lavoro proporzionati al loro contributo al budget complessivo dell’ESA.
Nel 2005, l’ESA ha accordato un return rule di 0.91 per i 5 anni successivi. Su queste basi, il Regno
Unito ha ricevuto un ‘under return’ nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006. Parte di questo ‘under
return’ rifletteva una ristrutturazione industriale in corso nel Regno Unito, che rendeva difficile
piazzare contratti industriali con società del Regno Unito (HCP66, 2007).
5.2.4 L’industria spaziale del Regno Unito
L’industria spaziale del Regno Unito è formata da oltre 200 imprese con vendite annuali di
7miliardi £ impiegando circa 19,000 persone nel 2007/08. L’industria del Regno Unito ha punti di
forza competitivi nei satelliti, come la produzione di satelliti, la tecnologia satellitare, la
programmazione del software, le comunicazioni satellitari, i sistemi di navigazione e di
telecomunicazione (BNSC, 2009).
La tabella 6.3.2 mostra gli andamenti delle vendite e dell’occupazione nell’industria tra il
1993 e il 2008. Durante il periodo, le vendite reali sono aumentate di quasi 7 volte e l’impiego diretto
è cresciuto 3 volte tanto. Nello stesso periodo, le vendite reali totali dell’industria aerospaziale del
Regno Unito sono cresciute del 22% mentre l’impiego diretto è diminuito del 30%.
Durante il
periodo precedente, tra il 1988 e il 1993, le vendite reali dell’industria spaziale del Regno Unito sono
aumentate del 9% all’anno ma l’occupazione è diminuita del 2% all’anno (DTI, 1995).
Il settore spaziale rimane un’area relativamente piccola dell’industria aerospaziale del Regno
Unito. Tra il 1998 e il 2008, le vendite dello spazio sono cresciute da un 2% al 4% delle vendite totali
dell’industria aerospaziale (SBAC, 2009). Gli impieghi del settore sono concentrati a Londra, nel SudEst e nel Sud-Ovest.
Table 5.2.2. L’industria spaziale del Regno Unito, 1993-2008
132
Features
1993/04
1999/2000
2007/08
1015
3251
7000
vendite (milioni di £,
prezzi 2007/08)
6,300
14,651
18,873
Impiego diretto
Nota: I dati provengono da fonti diverse che non sono necessariamente comparabili.
Fonti: DTI (1995); SBAC (2009)
L’industria comprende settori a monte e a valle. I settori a monte riguardano la fornitura di
tecnologia ed includono i prime contractors spaziali e i loro fornitori. I settori a valle riguardano
invece lo sfruttamento della tecnologia spaziale (ad es. i servizi di trasmissioni satellitari contano per
il 69% del fatturato del settore a valle; i fornitori di servizi di comunicazioni satellitari contano per il
17%; assicurazioni e operazioni finanziarie contano per il 2%: BSNC, 2008). Le attività a valle nel
2006/07 hanno contato per l’85% del fatturato totale dell’industria e valevano circa sei volte tanto il
valore monetario delle attività a monte (BNSC, 2008). Tuttavia, le valutazioni sull’occupazione
nell’industria devono essere trattate con cautela. Spesso non è chiaro in che modo venga definita
un’industria e se le valutazioni sull’occupazione sono basate solo sulle imprese principali e sulle loro
catene di fornitura o se includano anche stime dei moltiplicatori del lavoro indotto (ad es. la spesa
locale dei lavoratori dell’industria spaziale). Per esempio, alcuni stimano che l’industria spaziale del
Regno Unito fornisca 70.000 posti di lavoro (Flight, 2008). I gruppi di interesse del settore spaziale
sono incentivati ad esagerare la dimensione e l’importanza dell’industria spaziale.
Il lavoro diretto totale nel 2008 per le attività a monte ammontava a 5.816 posti di lavoro e
l’equivalente per il settore a valle era di 13.057 persone (BNSC, 2008). Le attività a monte del Regno
Unito sono dominate da una singola grande compagnia pan-europea, la Astrium, e da un numero di
PMI. Il personale dell’ Astrium nel Regno Unito è composto da più 2500 persone (Portsmouth;
Poynton; Stevenage)73. Inoltre, nel 2008, EADS Astrium ha acquisito la Surrey Satellite Technology
Ltd (SSTL) che era stata in origine fondata dall’Università di Surrey. Prima della sua acquisizione da
parte della EADS, SSTL era la compagnia leader mondiale per i satelliti piccoli, impiegando circa
300 persone nel 2008. Altre grandi compagnie del Regno Unito con degli interessi nello spazio
includono la BAE Systems e QinetiQ
74
. Anche le attività a valle sono dominate da una singola
società, la BSkyB. Nel 2004/05, l’industria spaziale ha portato circa £2.4 miliardi al PIL del Regno
Unito, equivalenti allo 0.2% del PIL.
73
Nel 2008, Astrium impiegava più di 15,000 persone in Francia, Germania, il Regno Unito e l’Olanda. Thales
Alenia Space è una joint venture tra la Thales (67%) e Finmeccanica (33%) e impiega 7,200 persone in Francia,
Italia, Belgio e Spagna. 74
Una ricerca dell’attuale Company Annual Reports ha trovato che sia la BAE che la QinetiQ fanno riferimento
ai loro interessi nello spazio. Tuttavia, una ricerca simile del Company Annual non ha trovato alcun riferimento
alle proprie attività spaziali delle seguenti compagnie: Rolls-Royce; Saab; e la Smiths Aerospace (di proprietà
della GE). 133
L’industria spaziale del Regno Unito si distingue anche per la presenza di numerose PMI. Tra
gli esempi, la Clyde Space (sub-sistemi avanzati di alimentazione di energia); l’Orbital Optics Space
(apparecchi fotografici) la SEA (una struttura che riceve i campioni ottenuti da Marte); e la Reaction
Engines (motori spaziali per Skylon: BNSC, 2009). I punti di forza classici delle PMI sono la loro
flessibilità, l’innovazione, la velocità di reazione e l’efficienza della spesa. Ciononostante, sorgono
dei problemi quando si tratta del coinvolgimento delle PMI in programmi spaziali su larga scala come
quelli dell’ESA. Ad esempio, ci sono difficoltà e costi ad entrare nei mercati di approvvigionamento
spaziali (ad es. norme e requisiti di assicurazione; la reputazione) e le PMI mancano di competenze nei
sistemi di organizzazione richiesti (HCP66, 2007).
Inoltre, numerose Università del Regno Unito
hanno interessi di ricerca nello spazio: queste includono l’Università di Cardiff, Leicester, London,
Oxford, Reading e Surrey.
L’industria spaziale del Regno Unito è ad alta tecnologia e impiega lavoratori altamente
specializzati (nel 2004/05, il 57% della forza lavoro era laureato e con un PIL procapite per lavoratore
di £135.000). Le competenze richieste condizionano la domanda del Regno Unito di scienziati
spaziali preparati dalle università (ad es. astrofisici; fisici del sistema solare).
Il finanziamento
governativo della ricerca scientifica universitaria influisce anche sulla reputazione internazionale delle
Università del Regno Unito. Le società a monte sono a più elevata intensità di R&S, spendendo in
media il 2.5% del loro fatturato in R&S finanziata in proprio: questa cifra sale al 14.1% del fatturato se
includiamo anche i finanziamenti esterni (HCP66, 2007).
Lo spazio produce anche degli spin-off tecnologici verso svariati settori dell’economia, come
l’aerospazio, la difesa, la sanità, i trasporti e l’energia.
Tuttavia, l’ESA ha constatato come la
commercializzazione al di fuori del settore spaziale delle tecnologie spaziali nel Regno Unito è molto
limitata e non diffusa (ad es. un’indagine del 2001 su 187 società spaziali e gruppi di ricerca del
Regno Unito ha trovato che solo in 26 avevano cercato di commercializzare le loro ricerche al di fuori
dell’ambito spaziale: HCP66, 2007). Bisogna riconoscere come ci siano esempi di successo (ad es.
Anson Medical; Thruvision Ltd), ma lo studio di pochi casi non può sostituire una valutazione
approfondita dei meccanismi di trasferimento della tecnologia e del valore di mercato risultante da
questi spin-off.
Conclusione: la necessità di una valutazione indipendente della politica spaziale del Regno Unito.
La politica spaziale del Regno Unito è stata dominata dagli scienziati e dal complesso scientifico
industriale e di ricerca.
C’è stata una sorprendente mancanza di una valutazione economica
indipendente critica e genuina di quella politica. Vi sono larghe opportunità per questa valutazione
economica, che richiede sia lavori teoretici che empirici . I dibattiti politici attuali si sono concentrati
sulla descrizione della politica spaziale del Regno Unito, sui dati di bilancio, su rassegne annuali sulla
salute dell’industria spaziale del Regno Unito e su vaghi riferimenti a considerazioni sulla possibilità
134
di spillovers tecnologici (ad es. HCP 66, 2007; BNSC, 2008;2009). Tutti questi dovrebbero diventare
utili punti di partenza per delle analisi indipendenti più profonde. Ogni valutazione economica dello
stato della politica spaziale del Regno Unito deve partire facendo riferimento ad almeno tre questioni.
Primo, esaminare le analisi dei fallimenti di mercato. Lo spazio è caratterizzato da dei
sostanziali fallimenti di mercato. Questi includono la caratteristica di beni pubblici per i mercati
spaziali militari e per la ricerca di base ; l’importanza del Governo sia dal lato della domanda che dal
lato dell’offerta del mercato spaziale del Regno Unito; lo spazio come risorsa di proprietà comune; la
presenza di esternalità positive (gli spillovers tecnologici); i difetti dal lato dell’offerta dell’industria
(monopolio; barriere all’ingresso); e i possibili fallimenti dei mercati dei capitali. Ciascuna di queste
fonti potenziali di fallimenti di mercato deve essere sviluppata e applicata alla politica spaziale del
Regno Unito. Quanto la politica spaziale del Regno Unito è spiegata e giustificata dalle analisi dei
fallimenti di mercato? Questi fallimenti sono sostanziali? Quali sono le cause precise di ciascuno di
questi fallimenti di mercato? Una volta che le cause dei fallimenti di mercato siano state identificate,
allora si dovrebbe tracciare la gamma delle possibili soluzioni politiche alternative tra le quali poter
scegliere la soluzione più appropriata. Tra queste diverse politiche alternative, il sostegno finanziario
dello Stato è solo una delle opzioni: tra le altre c’è la possibilità di rimuovere le barriere all’entrata (ad
es. per le PMI e per le autorizzazioni richieste) e al trasferimento tecnologico e la promozione di
accordi internazionali sull’uso dello spazio come risorsa di proprietà comune.
Secondo, il ruolo dei mercati del capitale privati. Sono necessarie delle analisi dettagliate per
le possibili cause di ogni fallimento dei mercati di capitale privati nel fornire finanziamenti privati alle
industrie spaziali . Ad esempio, quei mercati potrebbero essere riluttanti ad investire in attività di
ricerca di base perché sono viste come ad alto rischio con profitti sul lungo periodo; dove ci sono
problemi a stabilire i diritti di proprietà su ogni idea commerciabile e dove potrebbe essere
economicamente efficiente promuovere la diffusione estesa di queste idee attraverso l’economia. Ma i
beni pubblici e le esternalità positive della ricerca di base si applicano a tutte le ricerche di base e non
solo a quelle sullo spazio. Da qui, nello stanziare i fondi per la ricerca di base, è necessario portare
prove per identificare lo spazio come un settore ad alto valore aggiunto se paragonato ad altri usi
alternativi dei fondi governativi (ad es. la medicina; le tecnologie ecosostenibili).
Terzo, la necessità di una politica basata sull’evidenza empirica. L’argomentazione per la
politica spaziale del Regno Unito ha bisogno di giustificazioni empiriche più convincenti75. Ad
75
Come esempio delle possibilità di lavoro empirico, abbiamo calcolato il coefficient di correlazione di
Spearman tra l’ordinamneto dei contribute nazionali all’ESA e quello delle nazioni in base all’European
Innovation Scoreboard (EC 2007). Il coefficiente di correlazione di rango è risultato, R = 0,37, positivo ma non
significativo. Una simile correlazione di rango tra l’ordinamento dei risultati dell’innovazione regionale nel
Regno Unito (EC 2007; Tavola 5, pp. 026-027) e quello dell’occuopazione diretta per regione delle insustrie
della difesa del Regnio Unito ha dato un coefficiente positivo di R = 0,78 e significativo al livello dell’1%. E’
chiaro che c’è molto spazio per studi simili, ma più approfonditi e rigorosi sul contributo della spesa spaziale ai
risultati dell’economia. 135
esempio c’è una carenza di dati statistici sull’industria spaziale del Regno Unito e sui trasferimenti
tecnologici. Ci sono alcuni dati pubblicati sull’industria spaziale, ma sono comunque scarsi paragonati
coni dati disponibili per l’industria aerospaziale del Regno Unito. C’è bisogno di dati e prove solide a
sostegno del valore aggiunto dell’industria spaziale a confronto con altre industrie del Regno Unito,
che rappresentano impieghi alternativi delle risorse (ad es. l’industria automobilistica; l’industria
farmaceutica; il petrolio e la benzina). C’è anche bisogno di evidenze empiriche affidabili sui
trasferimenti tecnologici. Ad esempio, non è convincente sostenere che “Il programma ARTES...
dovrebbe produrre elevati guadagni” (HCP66, 2007, Conclusions): quali erano le evidenze empiriche
sui guadagni attesi e realizzati da questi programmi? Similarmente, gli esempi e gli studi sulle tesi sui
trasferimenti tecnologici non
centrano le domande principali sugli effettivi meccanismi di
trasmissione e sull’effettivo valore effettivo di questi trasferimenti tecnologici.
136
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137
CAPITOLO 6 – LE SCELTE DELLE POLITICHE SPAZIALI E LE POLITICHE
D’APPROVVIGIONAMENTO SPAZIALE IN EUROPA
Come si è già più volte avuto modo di osservare (ad es. sez. 1.2 e 3.2) gli organismi pubblici,
nazionali e internazionali, svolgono un ruolo ancora predominante nel sostegno della domanda
spaziale. Va però tenuto presente che queste incidono anche sullo sviluppo della struttura produttiva,
intesa sia come base industriale per i programmi con obiettivi pubblici, civili e militari, sia come fonte
di spin-offs di nuove attività produttive nel settore dei servizi satellitari, quantitativamente ben più
importante di quello dell’industria spaziale (vedi l’accenno nella sez. 2.2 e la discussione in 7.2).
Nella sezioni 6.1, dopo avere evidenziato la natura strategica globale degli obiettivi delle
politiche spaziali e i loro stretti intrecci per la natura massimamente duale del satellite (6.1.1, 6.1.3 e
6.14), ci si sofferma (6.1.2) sul fatto che le politiche spaziali dei paesi europei sono caratterizzate da
una vasta collaborazione attraverso l’ESA, resa necessaria dall’impossibilità per un singolo paese
europeo di sostenere con la sola sua domanda ed il suo solo contributo finanziario i costi ed i rischi dei
programmi spaziali. In particolare si evidenzia la complessità di questa collaborazione, che fa sì che le
istituzioni preposte alla collaborazione seguano spesso le iniziative con cui vari paesi europei,
unilateralmente o bilateralmente, avviano nuovi progetti. La sezione 6.3 mette a fuoco, con un
semplice esempio numerico e un richiamo dell’esperienza del progetto Galileo, il problema del costo
delle collaborazioni internazionali, inteso come un esempio (gigantesco) di costo delle transazioni.
I costi delle transazioni emergono anche nei vari tipi di contratto utilizzato dall’ESA con le
imprese spaziali europee. Questi sono esaminati in dettaglio nella sezione 6.2 che porta l’attenzione su
due fattori che potrebbero ridurre quei costi e promuovere una maggiore efficienza nell’industria
spaziale: una maggiore pubblicità degli approvvigionamenti ed un allargamento dello spazio del
subcontracting.
6.1 LA FORMAZIONE DELLE POLITICHE
6.1.1 Introduzione e tendenze globali
Sempre più paesi, collettivamente o singolarmente, hanno piani per lo sviluppo delle loro
capacità spaziali. Lo spazio è un’attività economica che dipende in larga parte dal governo, poiché
rappresenta un patrimonio umano, che rassomiglia
a quello del mare aperto. Una differenza
fondamentale, che rende lo spazio un settore strategico, è il fatto che il volo dei satelliti sopra terre
continentali e acque nazionali ha luogo giornalmente. Lo spazio, in questa prospettiva, è il luogo
138
strategico definitivo e per questa ragione ogni coinvolgimento commerciale deve avvenire sotto
l’egida del governo ed è fortemente regolato. Nella tabella 1 viene mostrato come lo sviluppo della
tecnologia e delle sue applicazioni spaziali di rilevanza strategica si sono svolte col passare del tempo.
Pochi paesi hanno raggiunto l’accesso allo spazio con equipaggi umani o sono riusciti a realizzare dei
propri sistemi autonomi di posizionamento, nonostante molti di loro abbiano le capacità per lanciare i
propri satelliti, o lanciare satelliti
di osservazione terreste. Ad eccezione degli Stati Uniti che
dominano in tutti gli aspetti dello spazio e delle capacità significative della Russia, la maggior parte
degli altri paesi continuano a lottare per un’autonomia. Cina India e Giappone stanno investendo
molto per sviluppare le proprie capacità e lo stesso fanno nazioni come il Brasile e Israele. Le nazioni
europee in larga parte collaborano attraverso un’agenzia spaziale civile multilaterale (European Space
Agency- ESA) e stanno cercando sempre di più di estendere le applicazioni civili nella sicurezza e nei
sistemi di difesa.
La natura dei sistemi spaziali e dei satelliti fa si che siano utilizzabili sia per usi civili che
militari e molti di loro vengono definiti come ‘dual-use’. I satelliti di osservazione terrestre sono un
buon esempio, dato che le immagini possono essere usate per una gran varietà di scopi,
dall’agricoltura al puntamento militare, a seconda della risoluzione e dell’uso stabilito dall’operatore.
Tabella 6.1 Lo stato delle capacità spaziali; tempo e applicazioni
NOTA: COMSAT = satellite di comunicazione.
CSIS, 2008: 46
Le attività dell’industria spaziale sono in crescita, trascinate dalle applicazioni dei satelliti per
le comunicazioni (figura 6.1). I dati della figura 6.1 includono le attività di produzione commerciale
sia per clienti privati che governativi; similmente, i servizi di lancio fanno riferimento a fornitori
privati sia per i carichi privati che per quelli governativi, ma non includono le missioni dello Space
139
Shuttle, o quelle verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che sono organizzate non
commercialmente. Per concludere, la precedente classificazione si concentra in generale sui miliardi
dei mercati commerciali, e per fare un confronto il bilancio della difesa degli Stati Uniti dedicata allo
spazio eccede i 20 miliardi76 US$(2008) (SSI, 2009: 16) e quello della NASA nel 2009 supera i 17
miliardi US$(2009) (NASA, 2009a).
Figura 6.1 I ricavi dell’industria spaziale globale per settore
Profitti in miliardi US$ (2008) $160
$140
Servizi $120
satellitari $100
Produzione di $80
satelliti $60
Industria del $40
lancio $20
Equpaggiamento $0
2003
di terra 2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: SIA, 2008: 6
Le politiche nazionali affrontano le sfide di integrare obiettivi e programmi scientifici e di
esplorazione con operazioni di difesa e di sicurezza e sistemi applicativi. L’osservazione della terra
sotto l’aspetto dei cambiamenti climatici, e della gestione terreste e marina di attività di settori primari
sono aspetti che certe volte faticano a combaciare con sistemi di sorveglianza militare e applicazioni
per la sicurezza, ma spesso utilizzano dati e satelliti in comune. Sfide significative derivano anche dai
tentativi di collaborazione per
l’esplorazione della luna e di altri corpi celesti, per le quali
i
programmi nazionali hanno difficoltà a reperire le risorse necessarie, anche nel caso degli Stati Uniti.
76 La spesa totale del Governo degli Stati Uniti per la difesa è vicino ai 500 miliardi US$(2009) (OMB, 2009), dei quali appena 10 miliardi US$(2009) sono dedicati direttamente allo spazio, ma non si devono dimenticare sistemi quali la difesa missilistica, con una significativa componente spaziale(vedi SWF, 2009). 140
I benefici derivanti dai programmi spaziali e dalle loro applicazioni consistono in larga parte
nei benefici indiretti di natura sociale, la cui appropriazione risulta difficile e pertanto diventa difficile
raggiungere attraverso i mercati un’allocazione efficiente. D’altro canto, la mancanza di trasparenza
nelle attività spaziali e l’inconsistenza di indicatori quantitativi dell’allocazione delle risorse e dei
benefici rende difficile realizzare valutazioni rilevanti. In aggiunta, la mescolanza di considerazioni
riguardo alla sicurezza nazionale con ragionamenti in termini di industria nascente e mercati
commerciali ha spesso come risultato politiche i cui obiettivi ed effetti sono difficili da valutare e
giustificare.
Le seguenti sezioni esaminano in dettaglio le linee di sviluppo e di condotta politiche per
l’Europa, gli Stati Uniti e altre nazioni con programmi spaziali al fine di arrivare ad un’analisi delle
politiche e tendenze mondiali.
6.1.2 La politica spaziale europea: autonomia e collaborazione
La politica spaziale europea è caratterizzata da due principali obiettivi: la coordinazione delle
politiche e delle industrie europee e l’autonomia nelle principali applicazioni spaziali. Poiché vi sono
numerose difficoltà per coordinare le politiche spaziali militari, gli sforzi collaborativi dell’Europa si
sono focalizzati a livello multilaterale
sui programmi spaziali civili, con sforzi sostanziali per
catturare quote di mercati commerciali, perché l’industria non ottiene da un programma spaziale
militare coordinato un mercato che superi la soglia critica per sostenere livelli di R&S
sufficientemente grandi e ottenere le economie di scala necessarie. La creazione dell’Agenzia Spaziale
Europea (ESA), in seguito all’integrazione di una riuscita Organizzazione Europea per lo Sviluppo dei
Lanciatori (ELDO) e di una meno riuscita Organizzazione per la Ricerca Europea (ESRO), ha avuto
un successo senza precedenti che hanno portato ad un’agenzia spaziale multilaterale di primaria
importanza. Il fiore all’occhiello del programma ESA è stata la famiglia Ariane di lanciatori, che ha
permesso all’Europa di ottenere la propria indipendenza nell’accesso allo spazio, di raggiungere una
buona quota di mercato civile/commerciale e di realizzare operazioni che hanno assicurato la
sostenibilità dell’industria di lancio europea. Il trattato costitutivo dell’ESA indica qual è il suo ruolo
in quanto agenzia spaziale civile:
“The purpose of the Agency shall be to provide for and to promote, for exclusively peaceful purposes,
cooperation among European States in space research and technology and their space applications,
with a view to their being used for scientific purposes and for operational space applications systems”
ESA, 2005
Buona parte del successo dell’ESA è basato sulla sua flessibilità in termini di scelta dei
programmi e sulla sua politica industriale rivolta ai ritorni economici, che attira
finanziamenti
rilevanti dai paesi membri, secondo principi presenti fin dai tempi dell’ESRO. L’ESA ha seguito
141
ampiamente la politica di votare i propri programmi con una regola di maggioranza semplice (ad
esclusione degli stanziamenti per i programmi obbligatori e per il bilancio generale - vedi Suzuki,
2003: 95-96), ottenendo una maggiore flessibilità ed evitando trattative infinite. Il ruolo ed il successo
dell’ESA nell’intraprendere programmi è diventato la forza propulsiva degli sforzi e delle politiche di
collaborazione spaziale europei, dell’integrazione dell’industria spaziale Europea e della presenza di
un partner europeo importante
in programmi spaziali internazionali, come la Stazione Spaziale
Internazionale (vedi ESA, 2009c)
Il successo dell’ESA nei programmi spaziali e la sua portata europea l’hanno resa de-facto
un’agenzia spaziale per l’Unione Europea; le sfide per una piena integrazione dell’ESA all’interno
delle istituzioni della UE sono però venute fuori durante le trattative per il programma Galileo, dove si
è manifestato un problema di incompatibilità tra queste organizzazioni difficile da risolvere. Il
problema nasce dal fatto che la commissione generalmente adotta una politica di approvvigionamento
competitiva in Europa, mentre l’ESA è impegnata non solo per mantenere una politica del juste
retour, ma anche per forgiare la struttura dell’industria spaziale Europea (vedi Zervos e Siegel, 2008).
Gli sforzi per creare un’integrale politica spaziale europea hanno raggiunto una pietra miliare nel 2004
con la creazione di un consiglio spaziale, seguito nel 2007 da un documento di Politica Spaziale
Europea e dalla sua approvazione da parte dei ministri europei (ESA, 2007). L’elemento della
sicurezza e la definizione di un’area grigia tra le applicazioni militari e per la sicurezza ha assunto un
ruolo chiave nella politica spaziale europea. L’Agenzia per la Difesa Europea, la Commissione
Europea e l’ESA sono impegnate in un ‘dibattito sistematico sullo spazio e la sicurezza’, che è
impostato in modo da sfruttare le sinergie dei sistemi dual-use.
L’idea stessa di un sistema dual-use deve affrontare delle difficoltà di definizione simili a
quelle necessarie per definire il concetto di un’arma e distinguere i sistemi non in termini di capacità
tecniche, ma di intenzioni d’uso. La maggioranza dei programmi per lanciatori sono una versione
diretta di missili balistici e la differenza consiste solamente nell’uso inteso e in piccole differenze
tecniche. L’ESA è coinvolta in quelli che sono comunemente descritti come principali programmi
dual-use che comportano un elemento molto forte di sicurezza: Global Monitoring for Environment
and Security (GMES, rinominato di recente Kopernikus), Space Situational Awareness (SSA),
European Data Relay System (EDRS) e Galileo (descritto sotto).
142
Figura 6.2 Le alleanze spaziali e per la sicurezza dell’Europa e del Nord Atlantico
La figura 6.2 mostra alcuni dei potenziali problemi di frammentazione presenti nello spazio
europeo e sul fronte della sicurezza. Per quanto la vasta maggioranza dei paesi europei siano membri
dell’Unione Europea (UE), NATO, e dell’Agenzia di Difesa Europea (EDA) e seggano nel consiglio
dirigente dell’ESA, la coordinazione di importanti scelte politiche dove viene richiesta l’unanimità
per un gruppo di paesi così eterogenei risulta impegnativa. La frammentazione è ancora più evidente
se andiamo ad esaminare la struttura delle istituzioni più rilevanti. OCCAR (Organisation Conjointe
143
de Coopération en matière d'Armement: Organisation for Joint Armament Cooperation) è un tentativo
di collaborazione di un gruppo di paesi europei nell’approvvigionamento per la difesa e
nell’organizzazione di nuovi progetti per i propri stati membri (vedi figura 2). Rappresenta, in effetti,
un tentativo istituzionale di centralizzare la cooperazione tra paesi che supportano numerosi
programmi collaborativi e pertanto è un’organizzazione ad-hoc che si occupa della gestione dei
programmi, piuttosto che della loro progettazione. Questo permette all’OCCAR di lavorare sulla base
di un rendimento non equo (OCCAR, 2009). WEU dall’altro lato è un’istituzione operativa, che usa
attività, ed un’entità coordinatrice per la gestione di situazioni di crisi e il miglioramento della
sicurezza. La sua creazione è stata finalizzata alla coordinazione delle capacità di difesa dei paesi
europei in una cornice trans-atlantica:
“WEU will be developed as the defence component of the European Union and as the means to
strengthen the European pillar of the Atlantic Alliance. To this end, it will formulate common
European defence policy and carry forward its concrete implementation through the further
development of its own operational role.” WEU, 2000.
La creazione dell’EDA è diretta al consolidamento di questo quadro frammentato. Sotto
questo aspetto, molte delle funzioni della WEU menzionate sopra saranno di fatto trasferite all’EDA,
che dovrebbe formalmente diventare l’agenzia per la difesa dell’UE strettamente collegata alla NATO
(NATO, 2009b). Il successo dell’EDA non va però preso per certo, anche se un primo passo verso di
esso è stata l’adozione e l’attuazione di una politica per la sicurezza e la difesa europea (European
Defence and Security Policy - EDSP) e l’adozione del trattato di Lisbona nel 2007. Da questo punto di
vista, l’obiettivo dell’EDA è di incorporare sia le funzioni del WEU che dell’OCCAR nell’area UE:
“In November 2008 the Council in Defence Ministers formation adopted a political Declarationon
EDA-OCCAR cooperation. The EDA Steering Board in National Armaments Directors formation has
now directed the Head of the Agency, Javier Solana, to open negotiations with OCCAR. They will be
pursued with a view to approval of an agreed text by the Council at its November 2009 meeting.“This
decision reflects EDA’s growing output. The Agency’s activities are ‘upstream’ in launching
cooperative projects, often involving R&T investment. OCCAR is more ‘downstream’ and perfectly
equipped and experienced for programme management, once a group of Member States has decided
to develop and procure a system. We now need to codify this natural relationship”, said Alexander
Weis, EDA Chief Executive.”, EDA, 2009b.
Pertanto, è prevedibile che tanto l’ESA quando l’EDA saranno coordinate all’interno dell’UE
(Burzykowaska, 2006). Per quanto riguarda il settore spaziale in particolare, questo porta a sforzi per
144
utilizzare l’esperienza dell’ESA e sviluppare applicazioni e network rilevanti. Il Consiglio Spaziale,
che è formato dai ministri competenti dei membri dell’UE e dell’ESA (la Norvegia e la Svizzera sono
gli unici membri dell’ESA a non fare parte dell’UE, mentre il Canada a sua volta non è un membro
UE, ma siede nel consiglio dell’ESA) sta trattando lo spazio come uno dei principali obiettivi degli
sforzi della sicurezza europea, con l’ESA come parte competente per il supporto tecnico. Al riguardo
il Direttore Generale dell’ESA Jean-Jacques Dordain ha fatto le seguenti dichiarazioni alla fine del
quinto Consiglio Spaziale:
“Europe’s Ministers have renewed the momentum behind the European Space Policy. The European
Commission and ESA are committed to delivering the flagship application programmes Galileo and
GMES, now known as Kopernikus, which are crucial to the economic and environmental well-being of
Europe and elsewhere…Beyond these first priorities, Ministers have given us clear orientations as to
their next priorities. It is particularly significant that they have stressed their wish for ESA to be
involved in the structured dialogue on space and security and for the Commission to address the
political debate on Europe’s vision for its role in the exploration of space.” ESA, 2008a.
Kopernikus è, di fatto, un sistema di sistemi che si basa su attività basate nello spazio e
fornisce applicazioni collegate al controllo del tempo e all’osservazione della Terra, mentre Galileo è
il sistema basato sullo spazio di radio-navigazione proposto dall’Europa; e SSA è addetto
all’osservazione dello spazio, per prevenire minacce di oggetti vicino alla Terra (come asteroidi che
potrebbero colpirla) e oggetti in orbita (satelliti, detriti). Tutti i sistemi sono di vitale importanza non
solo per i loro scopi civili, ma anche per i loro usi militari di natura strategica. Nello specifico,
Kopernikus è diretto a provvedere una capacità indipendente per il controllo globale attraverso satelliti
sia ottici che radar, così come tramite componenti aviotrasportati, marittimi e terrestri. I dati ottenuti
sono utilizzati per allargare le conoscenze sul clima e l’ambiente in generale, ma anche a fini di
sicurezza in caso di disastri naturali. La collaborazione europea non è impedita da problemi di tipo
tecnico, dato che molti programmi europei si rivelano in grado di creare e sviluppare le applicazioni
rilevanti. Le vere sfide riguardano gli enti gestionali e il controllo sulle istituzioni operative.
Kopernikus è un caso esemplare di come lo sviluppo degli elementi e delle infrastrutture tecniche
precedono di parecchio la costituzione di un ente organizzativo:
“Substantial work has been undertaken so far to move GMES from concept to reality. Recognising the
importance of Earth observation, the Council endorsed the approach and welcomed the Austrian and
German EU Presidency initiatives on the future architecture and governance of GMES based on the
combined efforts of the European Space Agency (ESA) and the European Union (EU). GMES has now
entered into its pre-operational phase. In 2011 it will be technically feasible to move into the
operational phase. Thus the Council has recently reaffirmed the need to implement GMES rapidly. It
145
has requested the Commission to elaborate an action plan leading to the setting-up of an EU
programme, aiming at securing the availability of GMES services and of critical observation data.”
EC, 2008: 2
Per quanto il coinvolgimento della Commissione Europea sia chiaramente significativo per il
sistema di controllo e organizzazione, l’esatta natura degli enti di controllo è sconosciuta:
“The Commission will be responsible for the overall co-ordination of GMES, assisted by a
Partners Board and a Programme Committee for the implementation of the EU programme. In
addition it is suggested to foresee establishing a Security Board and a User Forum, which
should advise the Commission. A process for establishing user needs has been used for the selection of
fast track and pilot services and for the development of space observation infrastructure by ESA. This
process should be now formalised with the establishment of the GMES programme. The process will
include:
-
definition of user requirements;
-
consolidation of the scope and content of services and related observation requirements; and
-
definition of related observation infrastructure architecture according to available means.
All partners should be involved in a structured way in this decision-making process.” EC, 2008: 9-10
L’Europa pertanto segue un approccio dal basso verso l’alto, nel quale lo sviluppo del sistema
e la creazione di capacità tecniche precedono i loro enti operativi e la scelta della loro esatta forma di
utilizzo. In questa cornice, la natura dual-use di
Kopernikus è un invito per il coinvolgimento
dell’EDA, Frontex e di future istituzioni appropriate:
“In order to remain user-driven, GMES needs to establish a strong link with users through structures
that are close to the user communities. Several agencies and bodies established by the EU will not
only be future users of GMES services, but could also contribute to the aggregation of service
requirements and service provision. For instance, the European Environment Agency (EEA), the
European Maritime Safety Agency (EMSA), the European Union Satellite Centre (EUSC), the
European Defence Agency (EDA) and the European Agency for the Management of Operational
Cooperation at the External Borders (FRONTEX). Other agencies might also be involved depending
on the needs and the evolution of GMES services.” EC, 2008.
L’Europa affronta le stesse sfide sia in termini di autorità di controllo che di efficienza
operativa in altri programmi principali, precisamente SSA e Galileo. Entrambi i programmi hanno una
significativa dimensione di sicurezza: Galileo permette di realizzare un sistema indipendente di
posizionamento e di navigazione per l’Europa e ci si aspetta che migliori i servizi commerciali
rendendo più accurati e disponibili i segnali di posizionamento e navigazione. Anche SSA copia le
attrezzature USA e russe, usate da questi paesi principalmente a fini militari, monitorando gli oggetti
146
in orbita. Le applicazioni commerciali hanno per lo più a che fare con i premi assicurativi per i
satelliti e l’elusione dei detriti.
L’Europa sta pertanto chiaramente sviluppando un sistema spaziale strategico di natura dualuse, simile a quelli operativi in Russia e negli USA, con uno sforzo volto a ottenere l’autonomia e a
sfruttare quel sistema per fini commerciali e di sicurezza. Questi obiettivi non sono ben definiti e
dovrebbero diventarlo dopo che entrambi i sistemi saranno diventati operativi. Questo processo non è
senza inconvenienti, compresi inconvenienti tecnici come il fallimento di Hermes,il progetto ESA per
l’accesso allo spazio con equipaggio impiegando un piccolo “space shuttle” Europeo, analogo
all’ottimo e ben collaudato STS degli USA e al sistema non operativo russo Buran. Il fallimento nontecnico più degno di nota è stata la recente riprogrammazione di Galileo, in seguito al completo
fallimento del modello PPP originariamente previsto. Questo è stato dovuto a problemi politici, a
prescindere dalla minaccia USA di prendere provvedimenti nel caso i propri interessi fossero
minacciati, in quanto Galileo intendeva usare per uno dei suoi segnali le stesse frequenze delle
frequenze militari USA. Ciò avrebbe significato che gli USA non sarebbero stati in grado di disturbare
il segnale di Galileo senza perdere il proprio (vedi Zervos e Siegel, 2008).
Uno schema comunemente seguito dagli sforzi spaziali europei, in particolare a riguardo della
sicurezza e la difesa, è che il programma comincia come uno sforzo multilaterale e tende a
frammentarsi in programmi bi- e tri-laterali coordinati tra loro. Questo permette di ottenere la
flessibilità necessaria nella gestione degli enti operativi, ma influenza negativamente i tempi, gli
associati costi di coordinazione e la disponibilità di sistemi in caso di dispute o di situazioni di
negoziazione. Nel caso dei sistemi strategici di difesa e sicurezza, il livello politicamente determinato
di compatibilità delle differenti politiche nazionali estere e per la difesa ha profonde implicazioni
politiche non solo per la funzionalità del sistema, ma anche per gli incentivi alle parti verso la
collaborazione. Si può stabilire un’analogia con le relazioni tra gli USA e i paesi europei all’interno
della NATO. Nel caso in cui le risorse spaziali non hanno la natura di un bene pubblico puro
all’interno dell’alleanza, perché ad esempio gli USA sono in grado di escludere gli alleati da accessi
rilevanti, lo sviluppo di capacità spaziali europee non ha necessariamente un impatto positivo sulla
posizione della sicurezza USA, e viceversa.
Il semplice schema della figura 6.3 mostra come Galileo possa abbassare i costi dei servizi di
posizionamento e radio-navigazione nei mercati commerciali globali. Miglioramenti nella precisione e
nella forza del segnale conseguenti al fatto che gli USA abbandonerebbero la propria politica di
rilasciare un segnale
di scarsa qualità per l’utilizzo commerciale, rispetto al segnale codificato
militare, comportano una netta diminuzione dei costi per gli utenti, che non dovrebbero più utilizzare
segnali terrestri o altri sistemi per aumentare la precisione (Zervos e Siegel, 2008).
147
Figura 6.3 Mercati USA ed europei per i servizi di posizionamento commerciali
Price (Europe)
Price (US) SGPS‐Jammed
SGPS‐Jammed
SGPS
SGPS
SGPS+Galileo
SGPS+Galileo
DUS DEurope Quantity US
Quantity Europe
Questo tuttavia aumenta significativamente i costi per i servizi di sicurezza USA dato che per i
militari ciò che importa è la posizione faccia a faccia con il rivale, che potrebbe disporre di un segnale
commerciale di qualità, a meno che i militari USA non perseguano costose politiche di interferenze
locali o contromisure di altro tipo. Lo stesso varrebbe se venisse introdotto il sistema Galileo,
incrementando ulteriormente la precisione e l’affidabilità del segnale commerciale. I costi rilevanti per
i fornitori di servizi di sicurezza USA ed europei dipenderanno dagli accordi politici, o dalla rivalità
tra le due aree. In caso di dispute tra l’Europa e gli USA la presenza di un sistema come Galileo
finirebbe con l’aggiungere dei costi alla sicurezza USA:
“From a techno-nationalist, geostrategic perspective Galileo is an indicator of power. But it does not,
nor is it intended to, place Europe in competition with the USA as a global military power. It does,
however, impinge on a strategically important area in which the USA has previously dominated.”
Johnson-Freese e Erickson, 2006.
Comunque lo stesso principio può essere applicato ad alleanze focalizzate sull’Europa che
parteciperebbero allo sviluppo e alle operazioni di questo sistema. In aggiunta, Galileo, Kopernikus e
altri sistemi criticamente strategici esaminati qui sotto, coordinati all’interno dell’Europa, porterebbero
solamente ad un rafforzamento di questi effetti come quello al quale si riferisce la precedente
citazione.
La figura 6.4 illustra la situazione, nella quale Galileo riduce i costi dei servizi di sicurezza per
i partecipanti europei, ma ha come risultato dei costi addizionali per l’approvvigionamento di questi
148
servizi di sicurezza per gli USA e le forze armate USA, dato che il segnale criptato militare di Galileo
copre il segnale militare criptato USA.
Figura 6.4 Mercati USA ed europei per i servizi di posizionamento militari
Price (US)
Price (Europe)
SGPS-Jammed
SGPS+Galileo SGPS
SGPS
SGPS+Galileo SGPS‐Jammed DUS DEurope Quantity US
Quantity Europe
L’approccio “dal basso all’alto” seguito in Europa, dove le applicazioni vengono sviluppate e
gli accordi sugli enti operativi vengono di seguito, può essere chiaramente osservato in programmi
quali il MUSIS (Multinational Space-based Imaging System for Surveillance, reconnaissance and
observation). Questo sistema ha lo scopo di armonizzare i sistemi di osservazione ottici e radar ed
integrare le risorse militari o dual-use (WEU, 2008). Esso è complementare a Kopernikus, nel senso
che questo si occupa dell’ambiente e della sicurezza, mentre il MUSIS si occupa della sicurezza e
della difesa.
E’ importante notare come questi sistemi siano basati sulla specializzazione dei contributi dei
paesi partecipanti, a riflettere l’equilibrio organizzativo seguito alle negoziazioni e alla convergenza
degli obiettivi. Il MUSIS nello specifico è supportato in larga parte da satelliti ottici di osservazione
ad alta risoluzione francesi e da sistemi radar-satellitari italiani e tedeschi. Questi equilibri dipendono
dalle rilevanti specializzazioni e risorse portate e sviluppate da ogni partecipante e non sono
necessariamente stabili. La Germania sembra essere specializzata in sistemi radar, mentre la Francia
domina i sistemi ottici. L’intenzione della Germania di sviluppare un proprio sistema ottico potrebbe
essere visto come una provocazione da parte della Francia
(de Selding, 2009),
o come un
bilanciamento delle risorse tedesche con quelle Italiane.
La figura 6.5 illustra i sistemi MUSIS e Kopernikus e le loro interfacce. Le componenti di
satelliti ottici del MUSIS e Kopernikus vengono dalla serie di satelliti Helios (Francia, Spagna, Belgio,
Italia e Grecia) Spot e Pleiades (Francia), Topsat (UK) e Seosat (Spagna). Le tecniche d’immagini
149
radar vengono dalla serie di satelliti Cosmos-Skymed (Italia), SAR Lupe (Germania), TeraSAR
X1(Germania), TANDEM X (Germania) e SeoSAR (Spagna).
Il contributo dell’ESA a Kopernikus consiste (in aggiunta ai già esistenti satelliti ENVISAT e
ERS) nello sviluppo della serie Sentinel di satelliti con capacità quali SAR, Ocean e il monitoraggio
della composizione atmosferica e della vegetazione; in aggiunta, ESA sta aiutando EUMETSAT con
lo sviluppo dei suoi satelliti e contratti per la meteorologia, che saranno incorporati in Kopernikus.
Figura 6.5 I contributi satellitari ai sistemi MUSIS e Kopernikus
MUSIS
Kopernikus Planned/Operational ’09‐‘10 Planned/Operational Planned/Operational ’09‐‘10
’09‐‘10 Helios IA, IIA and IIB SAR‐Lupe 1‐5 Cosmo‐Skymed 1‐4 SEOSAT Pleiades 1‐2 Envisat In tutte le applicazioni spaziali, la tendenza è quella di coinvolgere il settore privato e creare
una collaborazione pubblico-privato che operi e faciliti lo sviluppo di sistemi importanti. Nel caso di
Galileo, questo approccio è risultato in un fallimento. Nel caso dei sistemi di telecomunicazione,
l’esperienza dimostra che la collaborazione può avere successo, a partire dall’esempio del Regno
Unito di coinvolgere il settore privato
(Paradigm Secure Communications- PSC, controllata da
EADS) per finanziare e gestire in parte le esigenze del MilSatcom del Regno Unito, attraverso
iniziative di finanza privata (Private Finance Initiative - PFI). Questa esperienza si è in seguito
sviluppata in una collaborazione di successo tra i satelliti delle comunicazioni del Regno Unito
(Skynet), Francia (Syracuse) e Italia (Sicral), coinvolgendo PSC al fine di fornire alla NATO buona
parte delle capacità di comunicazione satellitari di cui ha bisogno (EADS, 2004). Il senso di questa
collaborazione è che i servizi militari/ di sicurezza sono i principali, ma non unici , utenti/consumatori
di queste risorse. Un “manager” privato distribuisce le risorse (inutilizzate) in maniera ottimale,
150
prendendo in considerazione sia la dimensione finanziaria che quella della sicurezza nella scelta
dell’utente (vedi anche la sezione approvvigionamenti). Questo accordo può essere fatto sin dall’inizio
della progettazione del sistema, ma può anche avere una natura più ad-hoc, come nel caso del provider
di telecomunicazioni mobili Americano Iridium, commercialmente fallito, ma usato dal Dod degli
USA, che diventato il suo principale cliente.
Una prova ulteriore di questa tendenza è evidente nello sviluppo dello European Data Relay
Satellite System. Un sistema di importanza strategica poiché permette il trasferimento dei dati
attraverso il collegamento dei satelliti ad una stazione terrestre fuori dalla vista del satellite che genera
i dati (Un satellite fuori dalla vista di una stazione di ricezione terrestre non può scaricare dati, a meno
che non vi sia un sistema di trasmissione dati sulla Terra o nello spazio):
“The intent is to implement a PPP with an Operator. The terms of the PPP will require that the
Operator will provide services to ESA on the basis of a Service Level Agreement (SLA). At the same
time, the Operator will be free to commercialise services to additional institutional/commercial users.
The Operator will acquire full availability and use of all assets developed in EDRS (piggyback
payloads, dedicated satellite, ground segment). Moreover, the Operator will have the right to embark
additional payloads on the dedicated satellite within the capabilities of the selected platform.” ESA,
2008b
A parte i recenti sviluppi verso la sicurezza ed i sistemi dual-use che complicano la natura
multilaterale dei programmi spaziali europei, i mercati commerciali spaziali sono stati
tradizionalmente un punto centrale per l’industria europea. La famiglia di lanciatori Ariane è il caso
più esemplare, avendo ottenuto un notevole successo commerciale, proprio come i fornitori di servizi
di telecomunicazioni satellitari (SES-Astra; Eutelsat) e in minor misura di applicazioni per
l’Osservazione Terrestre (Spot Image). Uno sviluppo recente degno di nota riguarda la partecipazione
russa al settore di lancio europeo, con il lancio del Soyuz dallo spazioporto di Kouou nella Guinea
Francese e il massiccio acquisto di 10 lancitori Soyuz da parte di Arianespace. Questo sviluppo
costituisce un ulteriore passo verso la collaborazione nelle attività di lancio spaziale commerciale
dopo la creazione della società Starsem, nella quale sono presenti come partner l’EADS Spazio e
Arianespace per l’Europa e l’Agenzia Spaziale Federale Russa e il Centro Spaziale di Samara, per
vendere i lanciatori Soyuz sui mercati commerciali (Arianespace, 2009; French Senate, 2009).
Un ultimo punto riguarda le implicazioni per la proliferazione di uno sviluppo ed utilizzo
sempre crescenti di sistemi satellitari militari e dual-use da parte dell’Europa. L’attenzione alle
politiche si è rivolta storicamente alla posizione degli USA circa i controlli sulle esportazioni imposti
alle proprie industrie satellitari (vedi la prossima sezione); ma anche le istituzioni e le politiche
europee dovranno in futuro confrontarsi con questo problema, dato lo sviluppo futuro di applicazioni e
capacità.
151
Per concludere, l’Europa sembrerebbe seguire una politica di sviluppo di sistemi spaziali
strategici nella quale la fase dello sviluppo delle applicazioni precede la messa a punto degli accordi
necessari per il controllo e l’organizzazione operativa di quei sistemi. Questa politica ha conseguito
successi, ma in certi programmi ha avuto anche fallimenti, sia a livello tecnico (Hermes), che a livello
istituzionale (Galileo). Inoltre, la natura dual-use dei sistemi spaziali è servita all’Europa ad utilizzare i
sistemi civili spaziali e i relativi accordi per applicazioni dual-use e per la sicurezza, in contrasto con il
modello USA, che esamineremo in seguito, nel quale tradizionalmente gli spinoffs e le applicazioni
civili derivano generalmente dai programmi spaziali militari.
6.1.3 La politica spaziale degli USA: leadership e controllo
Gli Usa seguono una politica di dominio nel settore spaziale: le risorse dedicate al proprio
programma spaziale sono molto più sostanziali di quelle di ogni altra nazione e sono l’unico paese a
seguire questa politica fin dall’inizio dell’era spaziale, all’indomani della II guerra mondiale. La
presenza di un’agenzia spaziale militare e civile sotto il controllo del governo federale che integra sia
lo spazio che l’aeronautica è indicativa dell’approccio diretto all’integrazione seguito, dato che i
problemi di duplicazione e rivalità tra le agenzie erano stati fin troppo evidenti durante i primi tempi
dell’era spaziale, in seguito all’inaspettato successo dei Sovietici nei loro programmi spaziali.
Gli USA hanno raggiunto l’egemonia nello spazio, prima nel mondo occidentale e nella
NATO durante la guerra fredda specializzandosi nei sistemi strategici delle alleanze rilevanti (vedi
Zervos, 1998), in seguito hanno mirato al controllo e al consolidamento del loro dominio nello spazio
in seguito al crollo dell’Unione Sovietica.
Con un ampio e moderno spettro di applicazioni spaziali intese per l’uso militare e civile, si
può promuovere la creazione di un settore commerciale basato sullo spazio, attraverso lo ‘spinningoff’ dai programmi governativi rilevanti. Tuttavia, è ancora più importante la spesa crescente degli
USA per mantenere questa posizione nello spazio attraverso programmi finanziati dal governo, date le
capacità in costante crescita di Europa, Cina, Russia e altri paesi.
Gli USA spendono approssimativamente il 95% del budget conosciuto mondiale per lo spazio
militare, fatto che gli permette di mantenere un ruolo di predominio non solo nello spazio, ma anche di
riflesso, attraverso il potere moltiplicativo delle risorse strategiche, nelle capacità militari terrestri
(SSI, 2009).
Oltre agi ovvi costi diretti associati al mantenimento di questa posizione, ci sono anche dei
costi indiretti necessari per assicurarsi che le tecnologie più importanti e il know-how non vengano
diffusi. Le politiche nei primi anni ’90 hanno portato al consolidamento dell’industria spaziale USA e
alla creazione di integratori spaziali. Questo ha facilitato il compito di tenere segrete le più importanti
tecnologie e ha permesso di godere delle economie di scala e di varietà (Zervos e Swann, 2009).
152
Vi sono però due inconvenienti nello sviluppo di un complesso industriale-spaziale di questo
genere: il primo , che la concorrenza per l’approvvigionamento è limitata (Zervos, 2005; Zervos,
2008). Questo, unito alla chiusura verso i mercati governativi degli altri paesi, rende problematici gli
incentivi alla competitività industriale nei mercati commerciali (vedi Zervos, 2001), così come gli
incentivi all’innovazione (vedi Zervos e Swann, 2009).
Il costo di una non-proliferazione basata su considerazioni di sicurezza nazionale riguarda lo
sviluppo delle regolamentazioni ITAR per i beni spaziali, dovute alle loro affinità tecniche con la
tecnologia missilistica e militare. Questa è un’area molto controversa, dato che le imprese commerciali
orientate all’esportazione devono affrontare una concorrenza indiscriminata sui mercati internazionali
per molti importanti beni spaziali. Inoltre, le aziende che dipendono dal governo non possono sfruttare
i loro vantaggi tecnici, di economie di apprendimento e di varietà nei mercati commerciali. Ciò viene
visto come un fattore fondamentale nella caduta della posizione degli USA nei mercati commerciali
da quando pesanti limiti alle esportazioni furono introdotti nel 1999 (figura 6.6).
153
Figura 6.6 Satelliti GEO commerciali per comunicazioni, per anno di lancio e costruttore
FONTE: CSIS, 2008: 52
Si deve tuttavia osservare che, date le considerazioni di carattere di sicurezza nazionale e i
componenti ad alta tecnologia associati con il settore spaziale, ci siano scambi commerciali molto
limitati e gli stessi “mercati commerciali” siano soggetti a considerazioni di carattere politico.
La dipendenza degli USA nello spazio risulta anche nei suoi interessi a godere dello spazio
come un ambiente “funzionale” per importanti missioni e satelliti. A causa di ciò, i detriti spaziali e le
minacce ai satelliti sono un pericolo economico, che viene riconosciuto, così come lo sono le orbite
spaziali che possono diventare un posto più pericoloso per le operazioni dei satelliti. Il fatto che i
satelliti in orbita viaggino ad alte velocità significa che anche detriti spaziali di diametro relativamente
piccolo possono provocare danni critici in caso di collisione:
“Traveling at speeds of up to 7.8 kilometers per second, space debris poses a significant threat to
spacecraft. The number of objects in Earth orbit has increased steadily; today the US Department of
Defense (DOD) is using the Space Surveillance Network to track more than 19,000 objects
approximately 10 centimeters in diameter or larger. It is estimated that there are over 300,000 objects
with a diameter larger than one centimeter, and millions smaller.” SSI, 2009: 9
154
Ironicamente, una delle fonti primarie di questi detriti è da collegarsi ad un esperimento USA,
in cui nuvole di milioni di aghi (alcuni dei quali hanno formato gruppi solidi) vennero rilasciate nello
spazio esterno tra il 1961 e il 1963 (Klinkrad, 2006: 86).
Allo stesso modo dei provider di satelliti per la radionavigazione, l’aggiunta di ulteriori
programmi di osservazione oltre a quelli russi e USA già esistenti, in funzione dalla guerra fredda,
hanno come risultato dei benefici netti per gli operatori civili e commerciali. I benefici delle
assicurazioni spaziali e la possibilità di ridurre il pericolo di detriti spaziali hanno come prerequisito la
precisione del monitoraggio. Gli USA rendono disponibili al pubblico carte con il numero degli
oggetti, ma una maggiore precisione renderebbero più facili gli sforzi di creare modelli di traiettorie e
realizzare previsioni rilevanti ( vedi Figura 7).
Figura 6.7 Numero mensile di oggetti in orbita terrestre, per tipo
FONTE: NASA, 2009b
La natura di “bene comune” dello spazio e la sua fragilità di fronte ai detriti richiede misure
adatte a proteggere e mitigare il rischio di detriti, che possono essere facilmente creati ma
difficilmente neutralizzati (NAS, 2009: 33-34). In questa prospettiva, da un punto di vista politico, lo
sviluppo di regole per l’utilizzo dello spazio attraverso iniziative intraprese principalmente
dall’Europa sono viste come
vantaggiose per gli sforzi degli USA di sviluppare capacità che
consentano di arrivare al controllo dello spazio esterno e dei suoi principali rischi.
155
Figura 6.8 Satelliti militari USA
Fonte: SSI, 2009: 107
Gli USA hanno il più vasto programma spaziale nelle applicazioni sia militari che civili. Una
delle sfide è quella di integrare i più rilevanti programmi ed evitare rivalità improduttive e una
“duplicazione” di risorse governative. Mentre le attività spaziali civili negli USA sono principalmente
condotte dalla NASA, esse sono allo stesso tempo più episodiche e i loro obiettivi, per loro stessa
natura, sono spesso meno consistenti nel tempo se paragonati con programmi orientati alla difesa (per
lo più di competenza del DoD). Gli obiettivi principali del programma civile spaziale fanno
riferimento a: un allargamento della conoscenza di base scientifica e tecnologica, ispirare le
generazioni contemporanee e future, la ricerca di forme di vita extra-terrestri, fornire obiettivi
economici e sociali per supportare il settore privato, e ‘enhance US strategic leadership through
leadership in civil space activities’ (NAS, 2009: 32). Tra i più importanti programmi di esplorazione
spaziale diretti dagli USA c’è la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e le missioni pianificate verso
la Luna così come quelle possibili future verso Marte. La sfida dell’integrazione,c così come il
bilanciamento tra priorità e risorse civili e militari, è un punto fondamentale per gli USA, nonostante il
loro sistema federale (se paragonato all’Europa):
“Given the broad mandates of civil and military space efforts and their influence on many aspects of
U.S. society, economy, and national image, it is unrealistic and unworkable to expect that there should
be a single space agency. But a process, led by the senior executive branch officials that has as its
purpose the proper alignment of the nation’s space activities would help to ensure that each
participating agency has the resources necessary to achieve its established goals; that avoidable
duplication is reduced; and that the nation has the effective civil and military space programs that it
requires…A successful process would provide stability to civil space projects and minimize changes in
156
direction, priorities and resources until the systemic effects of changes could be understood”, NAS,
2009: 38.
Mentre la NASA si concentra principalmente sull’esplorazione scientifica e ad inseguire i
programmi rivolti alla Luna e a Marte, l’esercito si concentra principalmente sul sistema per ridurre le
minacce e controllare lo spazio esterno attraverso Operational Responsive Space (un sistema di
integrazione e schieramento rapido di piccoli satelliti - ISU, 2009) e lo sviluppo di spazio-aeroplani,
del quale si hanno poche informazioni, ma verso il quale sono state storicamente stanziate risorse
notevoli sia dall’esercito che dalle agenzie spaziali civili.
6.1.4 Russia, Cina e altri paesi più piccoli con programmi spaziali
In seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Russia ha perseguito una politica
spaziale alquanto inconsistente; inizialmente, date le condizioni economiche povere, l’obiettivo era
mantenere l’alto livello di forza lavoro altamente qualificata, in modo da evitare una fuga di cervelli e
la diffusione delle tecnologie. Il secondo obiettivo era condiviso con l’ Europa Occidentale, con gli
USA, l’Australia e altri, dove vi furono significativi fenomeni di immigrazioni. L’ ISS offriva
l’opportunità di conservare le potenzialità locali russe e il programma attinente rappresenta la sola
transazione monetaria degna di nota in tutta la storia della NASA con un’agenzia straniera per
consegnare dell’hardware. Dopo quasi una decade di ridimensionamento, a partire dai primi anni ’90 il
numero di satelliti operativi ha cominciato a diminuire (con un ritardo dovuto alla durata della loro
vita) e pare si sia stabilizzato su basse cifre tra il 2001-2008 (Figura 9). Bisogna notare, tuttavia, che i
satelliti più recenti hanno una qualità di gran lunga superiore e una vita più lunga, in seguito ad un
rinnovo degli investimenti nelle tecnologie, in contrasto con l’attenzione verso la quantità data in
precedenza dai Sovietici. I componenti e le capacità più critiche (come l’accesso allo spazio con
equipaggio) sono stati conservati, per quanto a bassi livelli durante i periodi più importanti, dovendo
molto alla presenza della stazione spaziale Mir ai contributi ISS menzionati prima.
157
Figura 6.9 Satelliti militari russi
FONTE: SSI, 2009: 112
Le capacità ingegneristiche russe e i loro hardware sono affidabili, a basso costo e non
rappresentativi della quota sui mercati commerciali, in particolare riguardo all’industria dei lanci.
L’assenza di un mercato libero e considerazioni di natura politica e di sicurezza hanno avuto come
conseguenza un ingresso ritardato dei launcher russi e ucraini nel mercato commerciale, con tutto
l’hardware principale commerciato da industrie di launcher in Europa e negli USA. Uno dei casi più
degni di nota di trasferimento di tecnologie ha avuto luogo con l’autorizzazione per le industrie USA
di produrre motori di missili russi (RD-180), la cui produzione tuttavia non ha mai avuto luogo. La
mancanza di un commercio e le diverse misure adottate per gli standard richiesti ai finanziamenti ai
programmi spaziali comporta che i dati monetari siano una fonte poco accurata delle loro capacità,
contrapposte a valutazioni sulle caratteristiche tecniche e sulla “qualità”
158
Figura 6.10 Missioni spaziali con equipaggio
FONTE: SSI, 2009: 71
Cina e India stanno sviluppando programmi spaziali e capacità sempre più sofisticati e con un
occhio di riguardo per i mercati commerciali. La Cina sta sviluppando il proprio sistema di
navigazione satellitare (Beidu), che dovrebbe portare ad almeno tre sistemi del genere operativi nel
futuro prossimo. Il Beidu cinese si è registarto presso lo International Telecommunications Union
(ITU) per trasmettere segnali che si sovrappongono sia a Galileo sia al codice militare USA. Ci sono
segnali di una disponibilità da parte dei cinesi di cooperare con gli altri sistemi, ma non è ancora stato
fatto niente di concreto (SSI, 2009: 39). La Cina vede ogni aspetto dei propri programmi spaziali come
rilevante per la propria sicurezza nazionale e difesa, senza fare una chiara distinzione tra capacità e
applicazioni civili, militari e commerciali.
I due attacchi anti-satellitari compiuti agli inizi del nostro secolo sono collegabili al test AntiSATellite (ASAT) cinese agli inizi del 2007 e all’uso di un’arma ASAT da parte degli USA contro i
propri satelliti all’inizio del 2008. In aggiunta, due satelliti si sono scontrati nel Febbraio del 2009, un
satellite russo Cosmos non più in uso e un satellite Iridium. Oltre al problema dei detriti, i tempi e la
natura di questi incidenti hanno avuto come risultato importanti dibattiti e discussioni politiche.
L’approccio europeo alle regole accennate in precedenza e gli sforzi di Russia, Cina e molte altre
nazioni con programmi spaziali di vietare l’uso delle armi nello spazio sono punti chiave del dibattito
internazionale politico in una cornice di legislazione internazionale. Precisamente, il sistema legale
internazionale attuale proibisce effettivamente il posizionamento di armi di distruzione di massa
(nucleari) nello spazio esterno, ma non viene vietato nessun’altro tipo di arma. La Russia ha
cominciato un’iniziativa all’interno della conferenza per il disarmo, sottoposta insieme alla Cina nel
159
2002 per realizzare un trattato che proibisse l’uso delle armi nello spazio esterno, ma è stata
largamente combattuta dagli USA sin da allora(SWF, 2008).
Questa iniziativa si chiama Prevenzione di una Corsa all’Armamento nello Spazio Aperto
(PAROS) ed è un tentativo di negoziare una nuova legislazione internazionale per lo spazio aperto,
che non vede alcun sviluppo significativo dagli anni della guerra fredda. E’ verosimile che
la
proliferazione di armi e la natura dello spazio esterno porteranno inevitabilmente a nuovi sviluppi in
quest’area, per poter avere un settore spaziale funzionale.
6.1.5 Conclusioni
Le politiche spaziali su scala globale sono caratterizzate da sforzi significativi e allocazioni
delle risorse da parte degli USA per il controllo e il dominio dello spazio, facendo attenzione ad
assicurarne la funzionalità, mentre gli altri principali paesi spaziali cercano di sviluppare le proprie
capacità e di raggiungere un’autonomia. L’Europa, in particolare, a causa delle proprie complicazioni
multinazionali, sviluppa le proprie capacità attraverso accordi unilaterali o bilaterali prima di stabilire
gli enti operativi. Lo sdoppiamento delle attività strategiche, come avviene nel caso dei sistemi di
posizionamento, osservazione terrestre e controllo dello spazio esterno, può essere considerato
vantaggiosi per lo sviluppo di mercati commerciali, perchè potrebbero così godere di servizi più
precisi e affidabili. Per contro, i rilevanti servizi militari e di sicurezza devono prendere in
considerazione questa “proliferazione” di servizi strategici sui mercati commerciali. La natura delle
applicazioni spaziali e l’ambiente rendono difficile distinguere chiaramente tra applicazioni militari e
non; di conseguenza, sistemi dual-use vengono sempre più utilizzati su scala globale. Ci si aspetta che
il settore spaziale aumenterà la sua importanza per la sicurezza nazionale e globale, data la
proliferazione di capacità e politiche riguardanti lo sviluppo di nuovi sistemi, così come gli accordi
internazionali dovrebbero diventare sempre più importanti e meglio definiti.
160
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163
6.2 L’APPROVVIGIONAMENTO SPAZIALE EUROPEO77
Un passo fondamentale nella valutazione dell’effetto dei finanziamenti delle attività spaziali
consiste nello stimare l’efficienza con cui gli stanziamenti di bilancio e i profili del finanziamento
raggiungono i loro obiettivi. La politica di approvvigionamento è una politica “derivata”; il modo
migliore di pensarla è come un insieme tattico di politiche che, accanto alle politiche sulle esportazioni
e a quelle industriali, servono alle politiche di livello più alto.
Il successo delle politiche di
approvvigionamento è pertanto misurabile a fronte della loro capacità di raggiungere gli obiettivi
strategici. Chi si occupa di politiche strategiche spaziali generalmente fa riferimento ad agenti ed
istituzioni designati. L’istituzione responsabile della politica strategica può scegliere se assegnare la
sua progettazione ed implementazione delle politiche tattiche ad agenti specializzati, o se realizzarle
internamente. A questo primo insieme di scelte governative segue la scelta degli appaltattori, il tipo di
contratto e il sistema di assegnazione, ed anche il processo di monitoraggio e valutazione. Questa
sezione si occupa dei processi di approvvigionamento e dei sistemi di contrattazione adottati dalle
agenzie spaziali, tenendo d’occhio la loro efficienza.
6.2.1 Le istituzioni della politica spaziale
Dati la natura specializzata del settore e i requisiti tecnici richiesti, che spesso non sono
compresi pienamente da chi si occupa di realizzare le strategie politiche, le agenzie spaziali
specializzate tendono ad assumersi l’incarico di raccomandare al governo le politiche strategiche e di
sorvegliare la loro realizzazione . Questo significa che il governo nomina un agente specializzato nel
gestire programmi spaziali pubblici.
L’ESA ad esempio deve tener conto dell’organizzazione strategica delle politiche spaziali in
Europa e lavorare con l’Unione Europea e i suoi membri per:
– establishing a European Space Programme and the coordination of national and European level
space activities, with a user-led focus;
– increasing synergy between defence and civil space programmes and technologies, having regard to
institutional competencies; and
– developing a joint international relations strategy in space (ESA, 2007a).
77
Riconoscimenti per questa sezione sono da attribuire agli inestimabili input avuti durante incontri dell’autore con i seguenti esponenti dell’ASI: Maria Cristina Falvella, Cristiana Cirina, Donatella Frangipane e Delfina Bertolotto. Devo riconoscere anche il prezioso sostegno di Giancarlo Graziola e Simonetta Di Ciaccio per realizzare quegli incontri. 164
La presenza di un’agenzia in un settore industriale richiama il concetto di un’industria regolata
con un sostanzioso coinvolgimento e controllo pubblico. Le agenzie spaziali civili sono delle
organizzazioni pubbliche molto sfaccettate: sono impostate in modo da promuovere la ricerca e le
scoperte scientifiche, le applicazioni spaziali, supportare l’industria e le capacità nazionali e spendere
con parsimonia i soldi pubblici. Agenzie spaziali multi-nazionali quali l’ESA hanno in aggiunta la
preoccupazione di mettere d’accordo i diversi obiettivi nazionali in programmi eccitanti e sensati che
possano attirare contributi finanziari da parte degli stati membri.
I rappresentati politici, responsabili della creazione e divisione della “torta” di soldi pubblici
sulla base dei mandati e sotto il controllo dell’elettorato, incaricano l’agenzia spaziale di realizzare
programmi spaziali, prudentemente finanziati e ispirati, regolando e prendendosi così cura
dell’industria spaziale. Questo è spesso un obiettivo implicito: l’agenzia spaziale deve essere prudente
con i soldi pubblici, per quanto ciò non sia regolarmente enfatizzato. Questo obiettivo sta al centro
dell’esistenza stessa dell’agenzia e a volte può entrare in conflitto con il complesso spaziale
industriale-politico (che discuteremo in seguito). E’ più semplice vedere questo processo in due
passaggi che si sviluppano attorno alla tempistica di un programma spaziale:
1.
Per cominciare, l’approvazione dei programmi spaziali è sostenuta dall’agenzia spaziale
davanti ai supervisori politici per e in questa fase l’interesse dell’agenzia coincide in larga
parte con l’interesse dell’industria, ovvero entrambi desiderano avere benefici dai contratti
risultanti da quei programmi.
2. Una volta che gli stanziamenti di fondi sono stati approvati e assegnati all’agenzia assieme al
mandato di realizzare il programma spaziale, gli obiettivi dell’agenzia spaziale dovrebbero
differenziarsi da quelli dell’industria, dato che si suppone che la prima controlli costi, sforzo e
redditività .
Questo processo in due passaggi ha luogo all’interno dell’agenzia spaziale e complica le
analisi, dato che per ogni programma il comportamento dell’agenzia è inconsistente nel tempo e nelle
diverse fasi, rendendo difficile applicare l’approccio di Laffont e Tirole in termini di incentivi e scelte
(Laffont and Tirole, 1993: 540-550 Ch. 13).
Nello specifico, durante la fase di presentazione del programma, l’agenzia spaziale tende a
massimizzare il suo bilancio (sia in termini di dimensione che numero di progetti), secondo quando
descritto da Niskanen (1971), ed avrà probabilmente scarsi incentivi a verificare che i costi dei
programmi non si basino su stime inattendibili poco costose. L’analisi della teoria dei giochi mostra
come l’esercito, ad esempio, induca il Congresso a finanziare livelli di produzione superiori ai livelli
di
first-best, suggerendo impianti di produzione più grandi (Rogerson, 1991).
In questo caso,
l’introduzione di una politica dal budget fisso da parte dei politici potrebbe risolvere il problema, ma a
costo di alti costi di sviluppo.
165
La seconda parte inizia quando i politici prendono la decisione di finanziare il programma, e
l’agenzia ha il compito di gestire il contratto e lo sviluppo che ne segue. In questa fase, l’interesse
dell’agenzia spaziale potrebbe anche essere in contrasto con l’interesse dell’impresa. Questo significa
che gli obiettivi dell’agenzia spaziale adesso richiedono una minimizzazione dei costi e un programma
che funzioni e sia in tempo. Di conseguenza, nel settore spaziale, dei tre gruppi di interesse (politici,
burocrati e produttori) solamente due (politici e produttori) hanno obiettivi coerenti. I politici cercano
di minimizzare i costi del programma ed i produttori cercano di massimizzare i profitti, mentre le
agenzie spaziali tendono a mostrare un insieme di obiettivi inconsistenti nel tempo, che coincidono
con quelli dei produttori prima dell’approvazione del budget e con quelli dei politici dopo.
L’impatto del recente obiettivo (1990s) dell’agenzia spaziale di migliorare la competitività della
propria industria spaziale interna sugli obiettivi “tradizionali” di minimizzazione dei costi e dei profitti
deve essere preso in considerazione, perché dà luogo probabilmente ad un conflitto tra obiettivi.
C’è un numero di scelte che il governo (o l’agenzia spaziale primaria) deve prendere in
riferimento ai due passi dell’approvvigionamento. Una delle scelte più importanti, che esamineremo in
seguito, riguarda il ruolo preciso dell’agenzia di fronte all’industria privata, nel fornire i servizi/beni
finali.
Implicazioni della fornitura di beni spaziali da parte di agenzie governative o imprese private. Ad un
estremo, possiamo avere l’agenzia spaziale (o il governo) che si prende carico della proprietà e del
controllo degli impianti di produzione per la costruzione e la conservazione delle risorse spaziali (la
base della piramide nella figura 6.11). L’altro estremo al contrario è caratterizzato dal governo che dà
in appalto i servizi e le applicazioni necessarie ad appaltatori, comportandosi come un cliente, che non
interferisce né partecipa allo sviluppo dei sistemi (la punta della piramide nella figura 6.11). Le
posizioni intermedie riflettono le diverse combinazioni di proprietà e controllo, tra il governo e il
settore privato, delle risorse industriali e delle varie applicazioni. Il livello ‘End user’ nella figura 6.11
fa riferimento al caso in cui il governo, come utente finale, può anche partecipare al processo di
specificazione e alle soluzioni industriali relative alle rilevanti applicazioni del sistema, al fine di
assorbire il know-how necessario e definire le specificazioni in modo più dettagliato e continuo.
Questo livello non preclude la partecipazione del governo nelle fasi di sviluppo del sistema. Il livello
della collaborazione pubblico-privato (Private Public Partenership-PPP) nella figura 6.11 è quello
dove questa collaborazione ha luogo in termini più significativi e formali. Il livello PPP include un
vettore di alternative possibili , che spaziano da un settore privato che si limita a fornire fondi (PFISkynet, McLean, 1999) ad un governo che fornisce i finanziamenti per tecnologie che verranno
commercializzazione e gestite dal settore privato (il caso Galileo esaminato qui sotto).
166
Verso la punta della piramide nella figura 6.11 l’integratore di sistemi (sezione nera) è
l’impresa e non il governo e larga parte del valore aggiunto viene creato all’interno della prima.
Tuttavia questo caso solleva numerosi problemi etici politici sulla responsabilità dell’impresa e sulla
dipendenza pubblica, soprattutto nel caso di servizi di sicurezza, come è avvenuto a proposito
dell’efficienza degli appaltatori in Iraq e altrove (vedi Zervos, 2005). Un approccio più realistico
potrebbe essere quello di un governo che conserva la proprietà, ma appalta la gestione e la
manutenzione ai privati.
Paesi diversi hanno storicamente adottato diverse combinazioni industria-governo per fornire
servizi spaziali o di difesa. Paesi come gli USA hanno scelto un sistema con imprese di proprietà
privata che si comportano come appaltatori e produttori di sistemi spaziali commissionati dal governo,
mentre buona parte della R&S viene svolta da aziende di proprietà sia pubblica che privata. Al
contrario, nel modello sovietico vi erano dipartimenti di progettazione in concorrenza tra loro per i
diversi progetti, che sarebbero stati prodotti da fabbriche non collegate a loro (in termini di
management), ma sotto il controllo pieno dello Stato. Con la fine della Guerra Fredda, la conseguente
ondata di privatizzazioni su scala globale ha portato ad un consolidamento dell’industria spaziale
europea, mentre gli USA si sono ulteriormente spostati in alto nella piramide della figura 6.11
commissionando all’esterno la manutenzione dei principali sistemi, come lo Space Shuttle (affidata
alla United Space Alliance, una joint venture 50-50 tra la Lockheed Martin e la Boeing) e provando a
privatizzare i servizi satellitari di rilevazione a distanza (Landsat). L’identità trans-nazionale
dell’industria europea della difesa si è materializzata nell’aerospazio attraverso la creazione
dell’EADS e l’inizio di una collaborazione pubblico-privato che avrebbe assegnato il controllo e la
gestione dei sistemi e le risorse di navigazione e posizionamento satellitari ad un ente commerciale
(Galileo- vedi Zervos e Siegel, 2008).
167
Figura 6.11 Il ruolo del settore pubblico di fronte all’industria spaziale
customer
End‐user
Private Public Partnership Publicly owned industry, service provision and maintenance FONTE: Zervos (2005)
I precedenti esempi mostarno un chiaro spostamento verso l’alto della piramide della figura
6.11 su scala globale. Assumendo la presenza di vantaggi economici di costo derivanti dalla
privatizzazione della R&S, della produzione e della gestione dei servizi spaziali, la critica principale si
focalizza sulla potenziale fuga di tecnologie critiche per la sicurezza nazionale. Gli USA controllano
questo rischio attraverso un severo sistema di regolamentazione delle esportazioni di tecnologie
spaziali; che considera questi beni e servizi come se fossero di natura militare quando si tratta della
loro esportazione. In seguito a numerose richieste per il passaggio ad una politica più moderata,
probabilmente in futuro si avrà un’attenuazione di alcune delle restrizioni più gravose. Al contrario, in
Europa, con il suo settore spaziale orientato per lo più al settore civile e commerciale, si sono
tradizionalmente evitate scelte difficili su questo problema; ma con la crescente diffusione di politiche
dual-use potrebbe emergere in futuro una politica di restrizione alle esportazioni, che avrebbe anche la
virtù di facilitare le collaborazioni transatlantiche.
Le scelte sui diversi modelli di appropriazione discusse sopra hanno implicazioni sia per le
scelte in tema di contratti da parte del governo, sia per quelle riguardanti la base industriale.
I mercati e il modello di Partnership Pubblico-Privato (PPP). L’obiettivo delle agenzie spaziali di
commercializzare le proprie tecnologie e applicazioni ha come conseguenza una varietà di
168
collaborazioni dirette a coniugare le capacità tecniche dei programmi spaziali con finanziamento
pubblico ed il relativo il know-how con la conoscenza specifica del mercato degli agenti commerciali.
Tra gli esempi ben noti di tecnologie spaziali che sono diventate successi commerciali vi sono le
telecomunicazioni ed i servizi di trasmissione spaziale, i servizi di posizionamento e navigazione
globali e i servizi di osservazione terrestre.
I profitti dell’industria spaziale nel 2008 sono stimati intorno ai 103 mld di Euro, con un tasso
di crescita medio dal 2003 di oltre il 14% (SIA, 2009)78. Di questa cifra, il 58% deriva dai servizi
satellitari, il 32% dall’equipaggiamento da terra e solo il 7% dalla produzione di satelliti e il 3%
dall’industria dei lanci. La più grande quota viene dai servizi di trasmissione TV diretti verso le case,
con oltre 46 mld di Euro (2009) (SIA, 2009). I mercati delle telecomunicazioni sono generalmente
percepiti come i più sviluppati tra i mercati spaziali, sia in termini di dimensioni che di numero di
applicazioni, con servizi di commercializzazione offerti sia da piccoli fornitori di telecomunicazioni
regionali, sia dai grandi fornitori su scala mondiale. I militari sono spesso un cliente chiave per i
servizi dei fornitori privati di telecomunicazione, come nel caso di Iridium per gli USA, o di Skynet
per il Regno Unito.
In Europa sta avanzando un modello secondo il quale agenzie governative civili o militari
diventano partners di aziende private che possono vendere sui mercati commerciali i servizi prodotti in
eccesso, in particolar modo nei mercati delle telecomunicazioni e del monitoraggio a distanza (remotesensing). Galileo è un esempio di uno sforzo per sviluppare una collaborazione piena e matura tra
diversi enti pubblici e privati, dove il settore privato avrebbe un ruolo chiave nello sviluppo e nella
gestione di un nuovo programma globale di navigazione basato su un sistema radio-satellitare. Questo
modello ha rivelato i limiti della collaborazione PPP nello spazio, in quanto i ritardi, i disaccordi
politici e sulla sicurezza tra i diversi membri hanno provocato il collasso del modello collaborativo e il
proseguimento del programma con fondi pubblici e un modello di approvvigionamento più
“tradizionale”. Questa esperienza ha dimostrato che, in aggiunta ai problemi di commercializzazione,
le applicazioni spaziali devono fronteggiare seri problemi riguardo alla sicurezza e alle rivalità tra le
industrie nazionali, che possono rivelarsi fatali per il modello collaborativo. La creazione di una
partnership transatlantica potrebbe aiutare ad un consolidamento degli obiettivi, ma sarebbe
importante trovare dei punti in comune per le politiche in tema di sicurezza all’interno dell’Europa
stessa (vedi Zervos e Siegel, 2008). Il settore spaziale è in buona parte diretto dal governo, proprio per
queste complicazioni e pertanto le sue scelte del giocano un ruolo chiave per comprendere e modellare
le applicazioni ed i programmi spaziali.
78 Il tasso di cambio usato per convertire dai dollari US $ (2009) è 1.4 dollari per Euro(2009). 169
Scelte e allocazioni di bilancio. Gli approvvigionamenti europei per lo spazio fanno riferimento a
numerose agenzie controllate dai governi. La maggior parte di questi paesi ha delegato a un’agenzia
spaziale l’amministrazione dei programmi spaziali e i suggerimenti di politiche e strategie. Questo
significa che ci sono agenzie spaziali nazionali che si occupano di una vasta gamma di programmi, ma
principalmente focalizzati su applicazioni spaziali civili. Tuttavia Francia, Regno Unito, Italia,
Germania e Spagna, hanno un significativo potenziale di applicazioni di tipo militare. Se paragoniamo
i bilanci spaziali su una scala mondiale, possiamo osservare due cose: 1o il bilancio non equivale alle
capacità; e 2o paragoni monetari in assenza di mercati di per i beni devono essere affrontati con
cautela. Un esempio evidente è il caso della Russia, dove il bilancio non esprime le capacità,
successivamente al crollo dell’Unione Sovietica. Lo stesso si può dire del Regno Unito, dove le
capacità dell’industria spaziale non sono rappresentate dai finanziamenti stanziati, che sono in netto
calo dagli anni ’80. La Cina e l’India stanno investendo in programmi e applicazioni spaziali,
riducendo la distanza tra loro e i paesi leader nella spesa spaziale (Russia inclusa), così come stanno
facendo altre nazioni emergenti come il Brasile.
Figura
6.12
I
bilanci
spaziali
nel
mondo
(2007)
FONTE: ESD (2009)
170
nel
2007,
in
milioni
di
Euro
Figura 6.13 La spesa nazionale e per l’ESA di alcuni paesi europei nel
2007**
* In euro (2007)
FONTE: ESD (2009)
NOTE: Anello esterno: spesa nazionale; Anello interno: spesa per l’ESA. Il budget militare UK non è
incluso in quello nazionale, ma dato il significativo fatturato della sua industria militare (figura 6.14)
ci si può aspettare che sia molto più grande dei contributi del paese all’ESA.
Italia e Spagna investono massicciamente in programmi spaziali diretti allo sviluppo delle loro
capacità nazionali, al contrario dell’andamento ESA-centrico della Germania. Il contributo del Regno
Unito all’ESA è limitato, ma bisogna tenere a mente che il dato sul bilancio nazionale per lo spazio
non include la spesa sostanziosa del Regno Unito per le attività spaziali militari. La Francia è piuttosto
bilanciata dal punto di vista della distribuzione dei contributi tra quelli per la propria autonomia e
quelli all’ESA. I paesi europei più piccoli (non elencati) generalmente concentrano i loro bilanci
sull’ESA, non avendo a disposizione le risorse necessarie per sviluppare individualmente capacità
significative.
Gli stanziamenti per i programmi spaziali militari giocano un ruolo chiave dato che
storicamente l’Europa dipendeva dalle capacità spaziali militari USA all’interno della NATO (vedi
Zervos, 1998). In questa cornice, gli USA hanno contribuivano in generale agli elementi strategici
all’interno della NATO, come ad esempio i missili balistici nucleari, le infrastrutture spaziali, ecc, al
contrario dell’orientamento più tattico dell’apporto Europeo, funzionale ad un potenziale conflitto con
l’Unione Sovietica, con evidenti implicazioni per lo sviluppo delle industrie rilevanti. Gli sforzi della
Francia per un’autonomia europea nello spazio, per quanto concentrati sui programmi civili, hanno
costituito lo stimolo principale al coinvolgimento europeo nello sviluppo di programmi spaziali
militari accanto al Regno Unito, che dà molta importanza al mantenimento di capacità spaziali militari
indipendenti. Tuttavia i relativi stanziamenti sono solo una piccola frazione di quelli del DoD degli
171
USA. Un altro punto da osservare è che i programmi spaziali militari e invero le capacità spaziali
nazionali in Europa non sono sempre coordinate in modo da non portare a duplicazioni, in mancanza
di politiche comuni di difesa ed estere. Di conseguenza il livello di duplicazione dovrebbe essere più
elevato che per i programmi spaziali civili condotti dall’ESA.
Figura 6.14 Fatturato industriale derivante da programmi militari nel 2007, in milioni di
Euro(2007)
FONTE: ESD (2009)
Italia e Germania condividono modelli molto simili sia in termini di spesa militare che di
modello industriale. Nello specifico, il fatturato industriale per attività è molto simile per tutte le
categorie della tabella 6.2, mostrando un coinvolgimento e un interesse industriale in ogni campo. Per
quanto riguarda gli altri principali paesi spaziali europei, l’industria del Regno Unito si concentra
principalmente sulle applicazioni satellitari, mentre la Francia - di gran lunga il leader nelle attività
spaziali europee- sembrerebbe più coinvolta a livello industriale nelle applicazioni satellitari e nei
sistemi di lancio. Sia l’Italia che la Germania sono tradizionalmente forti nell’esplorazione scientifica
ed entrambi sembrano essere sempre più coinvolte in applicazioni dual-use, tramite collaborazioni con
altri paesi europei, in particolare la Francia.
172
Tabella 6.2 Fatturato dell’industria spaziale europea per paese e attività, 2007
Paese
Belgi0
Occupazione
spaziale
diretta
1233
Fatturato
consolidato
(EURO
000)
157714
Applicazioni
dei satelliti
Fatturato per attività
Sistemi
Attività
Supporto/
di lancio scientifiche
testing
Altre
63117
54335
19967
11082
9213
Danimarca 155
19453
5333
-
7557
6562
-
Francia
11355
2403520
1663525
560160
167039
3132
9663
Germania
4799
810153
386504
221203
168621
23082
10744
Italia
3969
775733
372779
201750
168193
18141
14870
Spagna
2137
247491
148222
31903
48890
7931
10545
Svezia
678
98770
52344
35675
10752
-
-
UK
3144
565138
490774
1318
26248
35498
11299
29637
5360314
3289125
1184706
689714
109576
87192
Totale
Europa
FONTE: ESD, 2009
La creazione dell’ESA, un’agenzia spaziale europea dedicata alle applicazioni civili, ha avuto
come risultato di dare ai paesi europei la possibilità di intraprendere programmi spaziali all’interno
dell’ESA, al fine di coordinare gli sforzi Europei nello spazio. Per attirare dagli stati membri i
finanziamenti necessari all’ESA per realizzare i programmi collaborativi, si è adottata una politica del
giusto guadagno (juste retour), con la quale si chiede che i contributi nazionali all’ESA siano
pareggiati da contratti alle industrie nazionali dello stesso ordine di grandezza (vedi la sezione 6.1).
6.2.2 La scelta del contraente (appaltatore) e gli effetti della concorrenza
La scelta del contraente da parte dell’agenzia può essere fatta in diversi modi e, soprattutto,
può avere un forte impatto sulla struttura, comportamento e risultati dell’industria spaziale nazionale. I
programmi spaziali dei governi rappresentano un buon business per le imprese spaziali; questo
significa che l’esclusione di un’impresa spaziale dai maggiori programmi spaziali del governo la
porterà probabilmente a ridimensionare le sue operazioni ed a diventare un subcontraente, o anche ad
uscire dal mercato. Il governo può anche decidere di assegnare costantemente contratti ad un piccolo
numero di imprese, o a condizione che le imprese si fondano, aprendo la strada ad un consolidamento
industriale.
I risultati delle imprese spaziali sono direttamente legati alle scelte delle imprese da parte del
governo, poiché i profitti dai contratti governativi sono in genere più alti di quelli del business spaziale
173
commerciale. (vedi Florens et al, 1996). Tecnicamente la scelta del contraente può essere fatta
attraverso negoziazioni dirette in forma non competitiva o attraverso una competizione aperta tra
numerosi partecipanti all’offerta.
Un fattore importante è “l’insieme di appaltatori” tra i quali il governo può sceglierei, dato che
la scelta può essere usata per il supporto all’industria spaziale nazionale. Questi gruppi sono usati dalla
NASA e dall’Esa, dove gli appaltatori compilano un modulo di domanda per unirsi ai loro rispettivi
gruppi di appaltatori (L’ESA per esempio ha un sistema di mail elettronico per gli inviti alle offerteEMITS). Questi gruppi sono club esclusivi nel senso che le rispettive agenzie mandano inviti a fare
offerte per i loro programmi spaziali solamente a questi “insieme di appaltatori” e l’appartenenza ad
un “insieme di appaltatori” per aggiudicarsi un contratto. I requisiti per un’impresa spaziale per unirsi
ad un simile gruppo corrispondono ad una preferenza nell’acquisto con la quale si escludono le
imprese straniere dai benefici goduti dalla lobby spaziale nazionale e dai profitti delle rispettive
imprese.
Ci sono quindi due diversi livelli di concorrenza: concorrenza tra le imprese nazionali spaziali
e concorrenza che include anche le imprese spaziali internazionali. Negli Stati Uniti ed in Europa
esiste un numero di misure protezionistiche per assicurarsi che le imprese straniere siano
esplicitamente o implicitamente escluse dal grosso dei mercati controllati dal governo. Ci sono tre tipi
di tali trattamenti preferenziali:
Politica industriale generale. Un esempio è fornito dal DoD degli Stati Uniti che segue la legge “Buy
American” del 1933, che vuol dire che per i progetti federali, che includono quelli spaziali, si devono
scegliere fornitori nazionali.
Politiche industriali specifiche per l’industria spaziale. Un esempio è quello della direttiva
presidenziale USA secondo la quale nessun carico governativo può essere inviato nello spazio con un
lanciatore non Americano, sempre che sia disponibile una capacità di lancio USA (NASA, 1994). Nel
caso dell’ESA, la politica del profitto equo (juste retour) per sua stessa natura comporta una grande
sfida per l’impresa che, non essendo membro dell’ESA, vuole diventare un suo fornitore..
Misure politiche sul commercio internazionale. Ne sono esempi le quote e i minimi di prezzo per i
lanciatori cinesi o russi imposti dallo statunitense Office of Space Commercialization, e le restrizioni
alle esportazioni tecnologiche delle imprese nazionali che scelgono come partners imprese straniere.
La prova dell’esistenza del protezionismo è anche documentata da un caso legale. Nel 1985
un’impresa statunitense (Transpace Carriers Inc.) portò un caso legale contro l’ESA ed i suoi stati
membri all’attenzione del presidente americano, affermando tra le altre cose che Arianespace si
confrontava con un mercato nazionale protetto e questo violava il Trede Act degli USA del 1974.
174
Figura 6.15: I paesi membri dell’Agenzia Spaziale Europea ed i loro contributi, 2007
FONTE: ESA, 2007b.
Questo caso fu rifiutato principalmente in base alla motivazione che il settore pubblico
americano adottava simili pratiche protezionistiche per lasua industria spaziale nazionale:
“Protected Home Market: ESA and its Member States have agreed to give Arianespace a preference
over other launch service providers with respect to payloads owned and operated by these government
entities. Because of this preference and because almost all European communication satellites are
operated by governments, rather than private firms, U.S. ELV’s and the Shuttle (STS) have limited
opportunities to penetrate the European market. In contrast, much of the U.S. market, which is the
major market in the world, is open because communication satellites are owned and operated by
private sector firms. However, U.S.G. [US government] payloads are also carried almost exclusively
by U.S. launch service providers. Thus, there is little difference in the respective treatment by ESA
and the United States of government payloads. The major difference is in the structure of the market
175
with European communication satellites being operated primarily by government entities.79”
(Reagan, 1985).
E’ chiaro che sia gli USA che l’Europa applicano politiche che hanno come obiettivo la
protezione delle loro industrie spaziali nazionali con il ricorso a politiche di approvvigionamento che
escludono i concorrenti stranieri 80 (vedi Zervos, 2001). Il numero di imprese che competono per un
contratto spaziale governativo in America ed in Europa è quindi limitato al numero delle imprese
spaziali nazionali. Il risultato di questo è che il consolidamento delle industrie spaziali in America ed
in Europa limita ulteriormente la concorrenza per i contratti spaziali governativi.
Al fine di valutare criticamente l’impatto di questo protezionismo nell’approvvigionamento è
necessario esaminare se l’industria spaziale nazionale benefici realmente da tali politiche
protezionistiche. E’ inoltre importante valutare le potenziali perdite del settore pubblico, data
l’efficacia della concorrenza nel ridurre i costi dei progetti e minimizzare la quota di rendita
appropriata dalle imprese.
Il successo del protezionismo nell’approvvigionamento nel promuovere la competitività
dell’industria nazionale spaziale nei mercati commerciali spaziali, dipenderà principalmente
dall’esistenza di misure protezionistiche di segno contrario adottate dai possibili concorrenti. E’ chiaro
al riguardo che sia l’Europa che gli Stati Uniti applicano misure protezionistiche il cui risultato è
probabilmente che i contribuenti di entrambe le regioni sussidiano i consumatori dei servizi
commerciali di lancio. Malgrado la mancanza di evidenza empirica su questo, Smith ed altri (1985)
forniscono esempi di tali casi nell’industria della difesa, e Neven et al (1995) forniscono un esempio
simile nell’industria del trasporto aereo commerciale, dove i reciproci protezionismi non consentono
miglioramenti nella competitività dell’industria nazionale.
Per quanto riguarda l’impatto sui costi e benefici della concorrenza nella contrattazione,
bisogna notare come in generale in assenza di collusione la concorrenza viene vista come un sistema
efficace per mantenere bassi i profitti delle imprese. Tuttavia, nelle industrie a costi medi decrescenti
c’è un costo opportunità sotto forma di un incremento del costo di produzione, che potrebbe risultare
in prezzi più elevati per i programmi spaziali rispetto a quello ottenuto con l’approccio noncompetitivo, come dimostrato da evidenze empiriche per l’industria della difesa:
Following the EU policies on liberalization of the telecommunications market, the ownership status of the telecommunication organizations in Europe has shifted towards privately owned organizations since 1985. 79
80
La protezione dell’industria spaziale domestica è in accordo con l’obiettivo delle agenzie spaziali (e dei rispettivi governi) USA e Europei di promuovere la competitività delle proprie industrie spaziali sui mercati spaziali commerciali. 176
“Estimates suggest that second sourcing designed to promote competition might lead to
higher overall program costs of 40 percent compared with sole sourcing” (Burnett, 1987;
Mayer, 1986; Sandler and Hartley, 1995: 154).
Sandler and Hartley (1995) fanno una lista dei costi di transazione in presenza di concorrenza
nel contrattazione nell’industria della difesa, che sono rilwevanti anche per il settore spaziale. Questi
costi che possono fare della concorrenza un fattore di aumento piuttosto che di diminuzione dei costi
includono:
(i) costi legali associati alle dispute e proteste;
(ii) costi associati al monitoraggio da parte del governo dei risultati e delle capacità di
numerose imprese in concorrenza fra loro;
(iii) l’interruzione di relazioni di lungo termine tra i contraenti e l’agenzia spaziale;
(iv) sottoinvestimento in R&S da parte dell’impresa a causa di aspettative di minori profitti.
(v) costi di duplicazione e perdite di benessere associati con sovraccapacità (Sandler and
Hartley, 1995:146, 154).
I benefici della concorrenza nella contrattazione derivano per lo più dagli incentivi ad un
maggior sforzo delle imprese e dall’estrazione della rendita così creata a beneficio dell’agenzia
spaziale. Lasciando da parte i costi di produzione, è più efficiente per l’agenzia avere numerose
imprese spaziali che fanno offerte per un contratto, perché in questa maniera essa estrae rendite
attraverso la concorrenza tra le imprese. Inoltre, una maggiore concorrenza incentiva gli sforzi per
ridurre i costi della R&S e promuove l’innovazione da parte delle imprese. Le agenzie spaziali in
Europa e negli Stati Uniti hanno impostato una politica a favore della competitività nell’assegnazione
dei contratti, il che contraddice le politiche industriali dei rispettivi governi, che permettono e
promuovono il consolidamento delle industrie spaziali nazionali.
Nell’industria spaziale, quindi, la maggiore concorrenza da un lato spinge nella direzione di
più alti costi per il progetto (a causa di minori economie di scala), dall’altro aumenta lo sforzo e riduce
l’inefficienza - X. Un modo per neutralizzare l’impatto negativo delle minori economie di scala è
aumentare la dimensione del mercato. Questo potrebbe essere ottenuto se sia l’Europa che gli Stati
Uniti seguissero una politica di approvvigionamento più aperta alla concorrenza straniera. Con
l’attuale
politica
protezionistica,
comunque,
l’impatto
netto
della
concorrenza
nell’approvvigionamento è ambiguo.
L’evidenza empirica in generale suggerisce un numero di benefici che derivano dalla
concorrenza nei contratti governativi. In particolare Dews ed altri (1979) mostrano che nel caso degli
USA quando si confrontano i risultati ottenuti con contratti concorrenziali e non concorrenziali sulla
base di costi del programma, risultati e tempi di consegna, in tutti e tre i casi i contratti concorrenziali
battono quelli non concorrenziali. Va notato, comunque, che la principale critica a tali confronti è che
177
essi potrebbero comparare cose differenti, poiché non tengono conto del fatto che progetti specifici
assegnati con schemi di contratto non concorrenziali tendono più facilmente a sforare i costi ed i tempi
a causa dei loro più alti rischi.
La questione dei benefici e svantaggi associati alla concorrenza nei contratti spaziali
governativi in caso di protezionismo (cioè in caso di mercato limitato e assenza di contestabilità da
parte di imprese straniere) deve anche affrontare la questione della sostenibilità della concorrenza, cioè
se le politiche governative possono effettivamente mantenere un numero sufficiente di imprese
spaziali nazionali, motivate ed efficienti. Questo potrebbe non essere fattibile, perché in industrie con
costi medi decrescenti non verrebbe permesso alle imprese di fallire al fine di mantenere un numero di
contraenti adeguato al mantenimento della politica della concorrenza. Così si sviluppa una situazione
di azzardo morale, dato che l’impresa sa che non le verrà permesso di fallire, e così i benefici associati
alla presenza della concorrenza sono annullati.
Complessivamente, le politiche di approvvigionamento statunitensi sono chiuse ai concorrenti
stranieri, cosa che combinata all’aumentato consolidamento dell’industria spaziale potrebbe portare ad
una minore concorrenza nell’approvvigionamento. Nel caso di mercati spaziali pubblici chiusi, i
benefici di questa mancanza di concorrenza si prospettano nella forma di costi di produzione più bassi
a causa di una scala produttiva più larga (consolidamento), mentre i costi si prospettano nella forma di
prezzi più alti o perdite associate alla presenza di strutture di mercato monopolistiche o semi
monopolistiche. Nel caso in cui, grazie all’apertura alla concorrenza nei mercati pubblici spaziali negli
Stati Uniti ed in Europa, si raggiungessero una scala efficiente e una situazione di concorrenza, si
otterrebbero benefici netti. Inoltre, come si è detto precedentemente, non è possibile determinare il
livello di concorrenza nella contrattazione semplicemente osservando le politiche dichiarate dalle
agenzie spaziali in tema di concorrenza, in assenza di informazioni sui tipi di contratti impiegati.
Questi verranno esaminati nella sezione seguente.
6.2.3 La scelta del contratto e l’economia della contrattazione
I progetti spaziali messi a gara dal governo sono spesso non solo ad alta tecnologia ed
intensivi di R&S , ma anche caratterizzati da un alto livello di specificità delle risorse (programmi
satellitari e di scienza spaziale unici ed irripetibili). Queste caratteristiche rendono l’investimento così
rischioso che una transazione di mercato diventa impossibile, perché non c’è nessun altro potenziale
utilizzatore diretto oltre al governo, con il quale condividere i costi, nel caso il governo si tiri fuori. Il
supporto del governo comporta un trasferimento di fondi pubblici in una varietà di modi che includono
sussidi, prestiti garantiti dal governo, esenzioni fiscali, ecc. (Laffont and Tirole, 1993: 10).
D’altra parte, con l’introduzione di mercati commerciali, i programmi finanziati dal governo
possono portare a prodotti e clienti validi, con conseguenti profitti per l’impresa, sollevando così la
178
questione di fare assorbire all’impresa alcuni dei costi associati con i rischi di quei programmi In tale
caso, il governo potrebbe contrattare per non rimborsare i costi completi del progetto, scontando i
profitti futuri del progetto per l’impresa. La scelta del contratto e il potere contrattuale dell’impresa e
dell’agenzia spaziale sono fattori fondamentali nel determinare il successo col quale il governo può
attuare la sua politica e raggiungere i suoi obiettivi. Questa sezione descrive i differenti tipi di
contratto, fornendo il nucleo fondamentale di un’analisi empirica della scelta dei contratti della NASA
e della loro sostenibilità per gli obiettivi dell’agenzia.
La rilevanza del tipo di contratto adottato sta nel fatto che esso determina il potere degli
incentivi utilizzati dal governo per controllare i profitti, i risultati, i costi, i prezzi e lo sforzo
dell’industria spaziale. Così, per esempio, il profitto dell’impresa che intraprende un rischioso progetto
per conto dell’agenzia spaziale è una funzione non solo della prevista redditività stabilita dal governo
all’inizio del progetto, ma anche dei costi maggiori al completamento del progetto e di chi pagherà tali
costi. Il profitto derivante all’impresa da un progetto spaziale può così essere rappresentato nella
seguente forma algebrica:
∏ = ∏e + s (Ce – C)
(*)
dove ∏ = profitti realizzati dal contraente
∏e = profitti stimati dell’impresa (margine di profitto determinato dal governo)
Ce = costi stimati nel contratto del progetto spaziale
C
= costi effettivi del progetto spaziale
s
= coefficiente di condivisione.
Il valore del coefficiente di condivisione per l’impresa riflette il tasso al quale l’agenzia ed il
contraente divideranno la differenza fra i costi stimati e quelli effettivi. Il valore di s è tra 0 e 1 (0 ≤ s ≤
1) e le implicazioni di questo valore sono discusse di seguito.
Il valore di s in (*) è un elemento cruciale di ogni accordo di approvvigionamento. Il
coefficiente di condivisione riflette il trade-off tra incentivi e estrazione della rendita, concordato tra
l’agenzia spaziale e l’impresa. Assumendo che gli obiettivi primari dell’agenzia spaziale siano la
minimizzazione dei costi dei progetti spaziali, ed anche della rendita che l’impresa riceve è facile
capire perché questi obiettivi sono in contrasto. Assumendo un singolo progetto spaziale senza
differenze qualitative:
- nel caso di s =0 l’impresa non ha nessun incentivo a minimizzare i costi realizzati, perché
qualsiasi differenza tra i costi realizzati e stimati non ha un impatto sulla profittabilità realizzata
dall’impresa. Il presso del contratto in questo caso diventa P = (1+ πe)C, dove πe = ∏e/C = ∏/C.
Questo tipo di contratto è chiamato contratto cost-plus: l’agenzia paga all’impresa i suoi costi più una
“ragionevole” somma, che può essere una percentuale dei costi totali del progetto. In questo caso
l’agenzia riesce chiaramente a controllare la rendita che l’impresa riceve, ma deve accettare gli alti
costi del progetto e sopportare tutti i rischi (vedi figura 6.16).
179
- nel caso di s = 1 l’impresa ha un forte incentivo a minimizzare i costi (vedi figura 6.16),
aumentando i suoi sforzi, perché i costi hanno un impatto pieno sui profitti realizzati. Dall’altro lato,
l’agenzia non ha alcun controllo del profitto e l’impresa può realizzare forti rendite (o perdite). Questo
tipo di contratto è un contratto a “prezzo fisso”. Il prezzo del contratto diventa in questo caso: P = Pe.
dove Pe è il prezzo stimato (o prezzo obiettivo) del contratto.
- nel caso intermedio di 0 <s <1, abbiamo un contratto con obiettivo di costo/pagamento
d’incentivo. Il prezzo del contratto diventa: P = Pe + (1-s) (C – Ce) = [Pe – (1-s)Ce ] + (1-s) C. Questo
significa che il pagamento è collegato al risultato e al costo in un modo predeterminato. Per un
progetto con scarsi risultati, ritardi e costi in eccesso, il pagamento può essere aggiustato verso il
basso. Tipicamente, ciò comporta un prezzo massimo a carico del governo.
Per l’agenzia, il valore ottimale di s dipende in larga parte dal livello delle informazioni che
l’agenzia possiede a fronte del contraente. Nel caso in cui le agenzie spaziali hanno accesso a
informazioni complete sulla tecnologia del contraente, il contratto migliore per il regolatore sarebbe il
contratto a costo fisso (Laffont e Tirole, 1993: 40). Col diminuire del livello di informazione il
contratto ottimale diventa un contratto con incentivo (dove il valore di s varia tra zero e uno). Nel
negoziare contratti non competitivi, l’agenzia e l’impresa devono accordarsi non solo su un obbligo
condizionato riguardo al prezzo, ma anche sui valori di s e Ce.
La relazione tra il prezzo del progetto (P) e il suo costo (C) nel caso di contratti cost-plus, a
prezzo fisso e ad incentivo è esaminata graficamente nella figura 6.16 (da Sandler e Hartley, 1995:
139). Si assume che i contratti di tipo cost-plus includano i profitti dell’impresa sotto forma di markup sui costi (ad esempio, come una percentuale) e sono pertanto disegnati come rette, sopra la linea
costi = prezzo. I contratti a prezzo fisso sono rappresentati da delle rette parallele all’asse dei costi,
dato che le variazioni di costo non influiscono sul prezzo pagato, mentre i contratti con incentivo sono
rappresentati da una retta con una pendenza compresa tra le pendenze delle rette relative ai contratti
cost-plus e a prezzo fisso, in funzione del valore del coefficiente di condivisione, s81.
Figura 6.16 Relazione tra costo e prezzo di un progetto
81 Un contratto cost‐plus implica un coefficiente di condivisione uguale a zero, per cui il prezzo del progetto dipende dai costi effettivi. Quando i costi effettivi sono inferiori ai costi stimati, il prezzo pagato per il progetto è minore del prezzo obiettivo. Quando i costi effettivi sono uguali ai costi stimati si vede, dall’equazione (*) che i profitti effettivi sono uguali ai profitti attesi e il prezzo obiettivo è uguale al costo atteso più il profitto atteso (come nel caso del prezzo fisso). Questo valore è indicato nella figura 6.16 come il punto di intersezione tra la retta del costo fisso e quella del cost‐plus. 180
FONTE: Sandler e Hartley (1995)
La figura 6.16 assume che il prezzo obiettivo sia uguale al profitto obiettivo più il costo atteso
(Sandler e Hartley, 1995: 139). Assumendo che il profitto obiettivo e il profitto atteso siano uguali,
allora Pe = ∏e + Ce . Quando il profitto atteso o obiettivo sono posti uguali a zero, allora il prezzo
obiettivo è uguale al costo atteso, come è mostrato nel punto Pe = Ce sull’asse del Prezzo del Progetto
nella Figura 6.16 (retta a 45°). Nell’equazione (*) un contratto a prezzo fisso implica che il prezzo del
contrato sia uguale al costo atteso, più il profitto atteso (nella misura concordata in anticipo), dato che
il coefficiente di condivisione è uguale a uno. Pertanto, i contratti a prezzo fisso non variano al variare
dei costi e sono mostrati nella figura 6.16 come una retta parallela all’asse del costo.
Le agenzie spaziali hanno le loro idiosincrasie nel mischiare i modelli generali descritti sopra
in funzione delle loro specifiche esigenze. L’ESA ha adottato tre principali tipi di contratti, ovvero,
quello cost-plus, quello a prezzo fisso e un ibrido chiamato “contratto con un prezzo massimo da
convertire in prezzo fisso”, con la conversione che dovrebbe avere luogo nel momento in cui ciò sia
fattibile e prima della chiusura del contratto. Inoltre, è importante notare le raccomandazioni dell’ESA
a potenziali offerenti di verificare anticipatamente che le loro proposte siano conformi alle richieste
delle rispettive agenzie spaziali nazionali, perché se così non fosse avrebbero poche probabilità di
essere accettate. Questo è un limite evidente imposto agli offerenti, dato che la mancanza del supporto
nazionale all’interno di un sistema di juste retour nel processo di aggiudicazione dell’ESA implica un
trattamento sfavorevole all’offerente nazionale.
Contratti a prezzo fisso (s=1). Ci sono diversi modi per definire un contratto a prezzo fisso. La
distinzione più evidente si ha tra un contratto a prezzo fisso per l’impresa, con il quale il prezzo è
fissato una volta per tutte al momento della firma del contratto dopo il periodo di negoziazione e un
181
contratto con il quale il prezzo fissato inizialmente è soggetto a “forze esterne”, quali l’inflazione, i
tassi di cambio, ecc. I contratti a prezzo fisso sono ottimali quando ciò che deve essere consegnato è
un prodotto standardizzato con un rischio minimo, quando vi sia assenza di asimmetrie informative tra
le parti contraenti e quando vi sia concorrenza per il contratto. Nel caso in cui il rischio sia elevato, è
probabile che anche in presenza di informazione incompleta simmetrica, ci sarà un extra profitto extra
o perdita nella data di completamento del contratto. In presenza di asimmetrie informative, è evidente
come la parte avvantaggiata (di solito, ma non necessariamente, l’industria) sia incentivata ad usare a
proprio vantaggio le informazioni addizionali in suo possesso e ad ottenere il massimo beneficio alla
chiusura del contratto. Inoltre, in presenza di asimmetrie informative tra il governo ed impresa, questa
potrebbe “nascondere i profitti” utilizzando procedure contabili basate sulla manipolazione dei prezzi
di trasferimento, per sussidiare altre operazioni vantaggiose (mercati commerciali). Infine, in
mancanza di concorrenza dal lato del contraente, ci sono forti incentivi per lui ad adottare un
comportamento monopolistico e massimizzare i profitti. In questo caso, un monopolista può chiudere
con extra profitti che assorbono il massimo surplus dal consumatore, fissando il suo prezzo in base alla
disponibilità dell’agenzia a intraprendere il progetto piuttosto che su una valutazione del suo costo.
Complessivamente, un potere contrattuale del governo relativamente elevato (monopsonio)
non è per forza di cose sufficiente ad assicurare l’ottimalità dei contratti a prezzo fisso. Questo perché
il governo potrebbe non avere il modo di controllare gli sforzi effettivi dell’impresa o di ottenere
informazioni complete sui suoi costi (asimmetrie informative).
I contratti a prezzo fisso sono ben visti dalle autorità competenti dato che minimizzano i costi
di controllo, ma ciò ha un prezzo: se non ci sono le giuste condizioni quando il contratto viene firmato,
allora è verosimile che il contraente chiuda con degli extra-profitti. La situazione in cui il contraente
chiude con delle perdite significative nel caso di contratti importanti è meno probabile che avvenga,
poiché potrebbe potenzialmente escluderlo dal mercato o indurlo ad una richiesta di rinegoziazione
(vedi i paragrafi seguenti sul controllo e le stime). Considerazioni di sicurezza nazionale, un numero
limitato di imprese di dimensioni adeguate ed una situazione di mercati chiusi, come quella descritta in
precedenza, aumentano la probabilità che il governo salvi il contraente. Questo elimina un incentivo
cruciale, rendendo così questo tipo di contratti per i grandi programmi spaziali con rischi tecnologici
meno adatti di quanto preferirebbe un’agenzia burocratica che mira ad un minimo sforzo di
monitoraggio.
La NASA e l’ESA hanno categorie di contratti a prezzo fisso molto simili. La prima categoria
comune ad entrambi è quella del prezzo fisso nella sua forma più semplice, vale a dire il prezzo fisso
per l’impresa. In questo tipo di contratto non sono ammesse variazioni di prezzo, pur in presenza di
variazioni nei costi degli input dell’impresa (APR, 1998):
“The price of the contract is not subject to any adjustment or revision by reason of the actual costs
incurred by the Contractor in the performance of the contract.” (ESA, 2009)
182
Sia l’ESA che la NASA impiegano anche un modello di contratto a prezzo fisso più flessibile,
che permette certe variazioni di prezzo. La NASA utilizza un ‘Fixed-price-contracts with economic
adjustment’ (APR, 1998). Questo modello tiene conto della possibilità di cambiamenti nei prezzi dei
fattori esogeni all’impresa ed identifica specificamente i prezzi stabilito degli input o delle consegne
finali, da usare come riferimenti per un completo o parziale rimborso in caso di loro fluttuazioni. In
particolare questi contratti tengono conto di cambiamenti nel costo effettivo degli input di capitale,
materie prime o lavoro, misurati o individualmente per ognuna di queste categorie, o sulla base di
indice dei costi del lavoro e dei materiali (APR, 1998). Questi contratti sono ampiamente utilizzati
quando il processo di produzione è lungo, e/o ci sono buone ragioni per aspettarsi fluttuazioni (ad
esempio nei tassi di inflazione) e altri disturbi nei mercati del lavoro, del capitale e dei materiali. La
NASA utilizza anche numerosi altri tipi di contratto, adattati a requisiti particolari, come i fixed-price
contracts with prospective price redetermination. Questo tipo di contratto viene usato principalmente
nei casi in cui è richiesta un’offerta continua di un certo bene spaziale per un lungo periodo di tempo,
e quando:
“The initial period should be the longest period for which it is possible to negotiate a fair and
reasonable firm fixed price. Each subsequent period should be at least 12 months...” (APR, 1998:
9)82.
Uno dei principali problemi con i contratti a prezzo fisso e tutti gli altri tipi di contratto con
clausole di aggiustamento è l’impatto di queste clausole di variazioni di prezzo (Variation of price VOP) hanno sugli appaltatori e sull’agenzia. Tali clausole spesso sono interpretate erroneamente
come strumenti usati dall’agenzia per incentivare l’impegno da parte dei contraenti; ciò fa si che il
contraente inserisca stime più elevate sull’inflazione, ecc nelle clausole del contratto, rendendo il
processo di negoziazione lungo e inefficiente, se paragonato all’utilizzo di un contratto con rimborso
del costo. L’ESA fa uso di un approccio simile chiamato contratto a prezzo fisso con variazioni di
prezzo. La presenza di fattori esterni è presa in considerazione nel contratto che fa delle previsioni
sulle fluttuazioni che potrebbero influire sui costi. Nel caso in cui l’aggiustamento economico venisse
applicato a consegne in ritardo per responsabilità dell’appaltatore (vedi il punto 3.c più sotto) l’agenzia
utilizza una formula diversa di aggiustamento. E’ evidente come numerosi fattori complichino questo
processo favorendo una maggiore discrezionalità, in quanto le fluttuazioni dei prezzi, le azioni delle
società ed i rapporti con i fornitori presentano numerosi elementi di incertezza nel processo:
“a) The price of the contract is not subject to any adjustment or revision by reason of the actual costs
incurred by the Contractor in the performance of the contract save upon occurrence of certain
Vedi APR (1998) per un elenco più esteso. 82
183
contingencies specifically stated in the contract and within the limits defined in paragraphs b) to d)
inclusive.
b) The contract with price variation clause shall define:
1) the price factors whose variations shall determine revision of the contract price; these factors shall
generally be raw material prices, rates of remuneration for categories of labour incorporated in the
contract, relevant social charges;
2) the manner in which the variation of a price factor shall be established. This shall be done as far as
possible on the basis of official indices published by authority of the Contractor's government or
generally used for similar purposes in the contract placed by that government on its own behalf;
3) the formula based upon the indices indicated above for determining the effect on the contract price
of a variation in such price factor.
c) Where the delivery of the supply or service by the Contractor is overdue by the latter's own fault,
price fluctuations during the overdue period shall be assessed separately according to a formula
specified in the contract. In this case no allowance shall be made to the Contractor for price increases
occurring after the contractual delivery dates for the supply or service; the Agency shall be given the
benefit of any decreases in price after this date.
d) The contract may stipulate if price variations are below a certain value they shall not be taken into
account; in the same way it may determine an initial period during which no account shall be taken of
fluctuations in the stipulated price factors.” (ESA 2009).
Infine, l’ESA utilizza un tipo particolare di contratto, chiamato contratto a prezzo fisso per
unità. Con questo particolare contratto si affronta la questione della quantità da consegnare definendo
un “prezzo per unità”, a prescindere da meccanismi di mercato, che vincoli il fornitore e l’agenzia, in
modo che non rinegozino costantemente nel caso di consegne standardizzate.
“a) When at the time of concluding the contract the quantity of the supplies or services cannot be
precisely determined, a fixed price contract or a fixed price contract with variation clause may
establish the unit price of the various supplies and services or their component parts.
b) The price to be paid shall be arrived at by applying the unit prices to the quantities of supplies or
services delivered. No other charge may be added thereto.
c) Such contracts shall stipulate:
1) the period of their validity;
2) the minimum quantities of supplies or services which the contracting authority undertakes to order
from the Contractor and the maximum quantities which the latter agrees to delivery;
3) the terms and conditions on which firm orders will be placed for each supply or service.
184
d) The Contractor shall state the exact quantity of goods supplied or services performed under the
contract, and shall communicate all information and afford all facilities required in order to verify the
correctness of such statement.” (ESA, 2009)
Contratti ibridi con un prezzo massimo convertibile in prezzo fisso. Questo tipo di contratto utilizzata
dall’ESA punta ad affrontare i rischi e le incertezze al momento della firma del contratto senza
ricorrere ad un modello di contratto cost-plus, ma sviluppando uno schema ibrido nel quale
inizialmente si stabilisce un prezzo massimo, similmente a quanto avviene con un contratto cost-plus.
Nelle fasi successive, quando ci saranno minori incertezze intorno alle consegne previste dal progetto,
il contratto viene convertito in un contratto a prezzo fisso. Questo, in effetti, pone una serie di
problemi, a prescindere dal fatto che per certi contratti le informazioni diventano disponibili solo
all’avvicinarsi della loro chiusura. Dati gli sforzi fatti per utilizzare questo tipo di schema i suoi
vantaggi, relativamente ad un contratto cost-plus monitorato con attenzione, non sono ben chiariti:
“CLAUSE 3 - CONTRACT WITH CEILING PRICE TO BE CONVERTED INTO A
FIXED PRICE
3.1 When the parties intend to conclude a firm fixed price contract (Clause 2.1) or a fixed price
contract with price variation (Clause 2.2) and if at the time of concluding the contract there is not
sufficient basis for assessing a fixed price, they may conclude a contract with ceiling price to be
converted into a fixed price.
3.2 Such a contract shall stipulate a ceiling which the contract price shall not exceed and for which
the Contractor shall be required to deliver in full the supplies and services stipulated in the contract.
The fixed price shall be established as soon as a basis for assessing an equitable price exists and
wherever possible, before the contract is completed.
3.3 Independent of the ceiling mentioned in paragraph 3.2, the Contractor shall provide at the time of
concluding the contract the following cost information and specify which items thereof are estimates
and which are firm:
i) Material Cost; - issued from store - purchased
ii) Material Overhead (if not included in iv) )
iii) Direct Labour Cost Category Man Hours Hourly Rates (Engineering, Manufacturing, etc.)
iv) Labour Overhead Rate or Rates
v) Jigs and Tools
vi) Total Prime Cost (Sum of i, ii, iii, iv and v)
vii) General and Administrative Overhead Rate on (vi) (if not already included in iv) )
viii) Other Direct Costs (Bought-out equipment, services, consultancies, licence fees, etc.)
ix) Special Overhead Rate on viii), if any
x) Profit
185
At the time of determining the fixed price, the Contractor shall provide an up-dating of those items
mentioned as estimates.
3.4 If agreement on the fixed price cannot be reached prior to completion of the contract, the contract
price shall, within the limit of the ceiling defined in 3.2, be determined in accordance with the
procedure of cost reimbursement contracts.
3.5 If the Agency so requires, the Contractor shall afford all facilities to the Agency's representatives
to visit the Contractor's factory or workshops in order to examine the processes of manufacturing and
control the direct costs of the contract in order to estimate or ascertain the cost of production on the
basis of which the fixed price shall be determined. If the overhead rates of the Contractor for similar
contracts placed by national or international public services have been established or approved by a
government agency or an agency accepted by his government and the Contractor proposes the
application of these rates, he shall state the name and address of the agency recommending the rates
and the period for which they were established. If he proposes rates which vary from the rates
mentioned above, he shall furthermore provide a justification for the differences. If the overhead rates
of the Contractor for similar contracts placed by national or international public services have not
been established or approved by a government agency or an agency accepted by his government, he
shall provide the necessary back-up data to support the proposed rates.” (ESA, 2009).
Contratti a rimborso del costo/cost-plus. C’è una varietà di diversi contratti a rimborso del costo (o
cost-plus), il cui uso, come si è visto in precedenza, permette all’agenzia di controllare le rendite del
contraente, ma può anche avere come conseguenza bassi livelli di efficienza e costi elevati. I contratti
a rimborso del costo sono utilizzati in condizioni di incertezza e costituiscono uno strumento per
dividere i rischi tra l’impresa ed il governo, essendo che il secondo tipicamente assorbe la maggior
parte, se non tutti i rischi. Nonostante il fatto che un progetto debba comportare un’elevata R&S per
poter essere regolato da questo tipo di contratto, non ne consegue che il governo coprirà i costi totali
associati alle incertezze di quella ricerca, sostenuti da un contraente che mira al profitto, se questo può
utilizzare la R&S specifica del progetto anche in applicazioni commerciali o per aggiudicarsi il
prossimo contratto (questo è una fonte di economie di diversificazione, sotto forma di economie
congiunte di apprendimento).
Questo tipo di contratti specifica i costi stimati che probabilmente verranno sostenuti durante
la realizzazione del progetto spaziale, e la misura in cui questi costi saranno rimborsati dall’agenzia. Il
modo in cui questi costi entrano nel contratto può essere quello di un limite (la fissazione di un tetto di
costo, al di là del quale il contraente non sarà rimborsato), come nel caso della NASA (APR, 1998).
Questo può spesso portare a battaglie legali tra l’agenzia e l’appaltatore quando sorgono divergenze
sulle definizioni dei termini e sui ritardi. Questo tipo di contratti richiede un controllo del governo
sulle prestazioni, sui costi e sugli sforzi sostenuti dall’impresa spaziale, dato che è lui che deve pagare
186
i conti. Pertanto, il controllo dei costi deve essere sommato ai costi totali del progetto spaziale, anche
se nella pratica contabile ciò non avviene spesso. Il risultato è che, dato l’incentivo delle imprese a
sottostimare i costi, spesso il costo dei progetti contrattato con questo sistema eccede le sue proiezioni
iniziali.
Se, da un lato, le agenzie spaziali in linea di principio sono in grado di ottenere stime dei costi
ed effettuare controlli accurati, dato il loro coinvolgimento di lunga data in progetti spaziali (come il
programma Apollo negli USA) e in attività manifatturiere, come abbiamo visto in precedenza, d’altro
lato, durante la prima fase della formazione del bilancio i loro interessi coincidono con quelli degli
appaltatori. Questo significa che le agenzie spaziali hanno un incentivo ad allentare le loro funzioni di
controllo e di stima dei costi, rendendo così più facile per il Congresso, o qualsiasi altro organo
decisionale, finanziare quelli che in apparenza sono progetti spaziali non costosi. Questo implica che
l’agenzia è in larga parte responsabile dello sforamento dei costi, in quanto il suo comportamento in
presenza di contratti cost-plus incoraggia a sottostimare i costi del progetto. Una soluzione a questo
problema per il Congresso è quella di incentivare la NASA a fornire stime accurate, prevedendo penali
finanziarie o politiche di bilancio fisso. Le principali categorie di contratti con rimborso del costo sono
le seguenti (per un elenco completo, vedi APR, 1998):
Contratti al costo (APR, 1998). Questo tipo di contratto con rimborso del costo non lascia alcuna
rendita al contraente ed è per lo più utilizzato per la R&S di istituti non-profit, ad esempio Università.
Contratti con ripartizione del costo (APR, 1998). Questo tipo di contratto rimborsa il contraente di
una parte concordata dei costi specifici del progetto, ma non consente alcun pagamento di rendite.
Viene utilizzato quando il contraente si aspetta degli spin-offs dal progetto che andrebbero a
compensarlo della sua mancata rendita. Un’impresa spaziale multi-prodotto, che produca sia per i
mercati spaziali governativi sia per quelli commerciali, può aspettarsi che dall’apprendimento del
lavoro sui progetti governativi e da altre fonti comuni di economie di produzione derivino possibilità
di ridurre i costi ed introdurre nuovi prodotti nel segmento spaziale commerciale.
Contratti cost-plus pagamento fisso (APR, 1998). Questo tipo di contratto rimborsa il contraente per il
costo effettivo del progetto spaziale e include il pagamento di una rendita, che viene stabilita in
anticipo e varia solo in caso di variazioni delle specificazioni e dei risultati del progetto e non per
effetto di fattori esogeni di costo. I contratti cost-plus pagamento fisso sono molto simili ai contratti
cost-plus, definiti in precedenza, dove l’agenzia paga all’azienda i suoi costi più un compenso
“ragionevole”, che può essere una percentuale sui costi stimanti del progetto. Il risultato è che riescono
a controllare le rendite, ma permettono all’azienda di massimizzare i costi e, nel caso di controlli
insufficienti, di sussidiare applicazioni spaziali commerciali. Questo tipo di contratto trova
187
applicazione nei casi di incertezza sul risultato e/o sugli sforzi richiesti per un progetto spaziale. Nello
specifico, quando diventa disponibile l’informazione che il progetto spaziale è fattibile, si può fare un
contratto con incentivi alla riduzione del costo.
Cost-plus percentuale di profitto. Questo tipo di contratto rimborsa il contraente per il costo effettivo e
include il pagamento di una rendita determinato in percentuale dei costi effettivi. La politica NASA di
regola esclude questi tipi di contratti (APR, 1998), probabilmente perché incentivano fortemente le
imprese a gonfiare i costi del progetto (contratti “assegno in bianco”) .
E’ evidente come il problema fondamentale dei contratti cost-plus sia che gli amministratori
dell’impresa hanno un incentivo a gonfiare i costi e possibilmente finanziare trasversalmente le
operazioni commerciali (vedi Lichtenberg, 1995). Il governo potrebbe non necessariamente essere
all’oscuro di questa pratica dell’impresa. Essa potrebbe costituire un sistema con cui il governo
finanzia trasversalmente le operazioni dei gruppi spaziali sui mercati commerciali, impiegando
modelli di aggiudicazione concorrenziali, ma anche contratti cost-plus che nasconderebbero quel
finanziamento trasversale agli occhi delle industrie spaziali degli altri paesi. Come detto prima, i
risultati positivi dell’industria spaziale in termini di bassi costi e di crescita della competitività
potrebbero non essere dovuti ad un aumento della concorrenza nell’assegnazione dei contratti, ma
all’impiego di contratti più favorevoli per l’industria. Questo sarebbe il risultato raggiunto dall’agenzia
spaziale per migliorare la competitività dell’industria nazionale, a spese degli obiettivi “tradizionali”
di minimizzazione dei costi e delle rendite.
La politica dell’ESA punta ad abbassare la percentuale dei contratti cost-plus (o a rimborso del
costo). Una ragione principale per questa politica è l’esigenza di controllare i contratti ed i costi
associati, tuttavia bisogna riconoscere che nei contratti aventi per oggetto lo sviluppo di nuove e
rischiose tecnologie è altamente impegnativo usare in modo efficiente contratti a prezzo fisso. L’ESA
identifica una serie di strumenti utilizzati per verificare le voci di costo, come le tariffe orarie, le spese
dirette e indirette, le spese fisse ed altro:
“CLAUSE 4 - COST-REIMBURSEMENT PRICE CONTRACT
The price of the contract is the total of all the costs insofar as they are allowable within the terms of
Clause 6 of this Annex, and a profit as defined hereunder in this clause.
The contract shall stipulate:
- either a maximum amount as the limit of liability referred to in Clause 9 of this Annex,
- or a maximum price (ceiling) which the Contractor may not exceed, while still being required to
deliver in full the supplies and services stipulated in the contract.
4.1 Cost-plus-fixed-fee contract
The cost-plus-fixed-fee contract is a cost-reimbursement type of contract which provides for the
payment of a fixed fee to the Contractor. This fixed fee does not vary with actual cost, but can be
188
adjusted as a result of changes in the contract specifications made at the Agency's request under the
provisions of Clause 26.1 of the General Conditions, likely to substantially vary the estimated cost.
4.2 Cost-plus-incentive-fee contract
This contract is a cost-reimbursement type of contract which provides for the payment of a Target Fee
which is the fee to be paid to the Contractor if the contract is executed in accordance with targets
specified in the contract. Its amount shall be adjusted depending on whether the Contractor's
execution of the contract is below or above the specifications fixed for the above mentioned targets.
These targets usually consist of:
a) A Target Cost meaning an amount which, if reached but not exceeded by the actual cost, shall give
the Contractor a right to the Target Fee; if on the other hand the actual costs are higher or lower than
the Target Cost the contract shall mention the proportion by which the Target Fee shall be increased
or reduced.
b) A Target Schedule for the attainment of which the Contractor shall be paid the Target Fee and the
proportion by which the Target Fee will be increased or decreased for improving upon or not meeting
this Target Schedule.
c) A Target Performance for the attainment of which the Contractor shall obtain the Target Fee and
the proportion by which the Target Fee shall be increased or decreased for improving or not
obtaining Target Performance.
The specifications of these targets can be adjusted as a result of changes in the contract specifications
made under the provisions of Clause 26.1 of the General Conditions.
4.3 Time and material contract
A time and material contract is a cost-reimbursement type of contract of which the price is determined
on the basis of the following elements:
a) average hourly rates or hourly rates per category, including direct as well as indirect charges,
general administrative overhead and profit, either for personnel or for the hire of facilities including
operating personnel;
b) material and supplies at cost, possibly increased by a percentage for material handling charges to
the extent that they are clearly excluded from the hourly rate;
c) disbursements or payments made to third parties for services rendered in the fulfilment of the
contract to the extent that they are clearly excluded from the hourly rate (e.g. travel expenses,
transport, computer charges, etc.). Disbursements must be approved by the Agency and, unless
otherwise provided in the contract, shall be reimbursed at their invoice value without any additional
charges.” ESA, 2009
Contratti incentivanti. I contratti incentivanti offrono una maggior varietà di accordi contrattuali tra
l’agenzia e il contraente, dato che includono tutto lo spettro dei valori di s , esclusi i valori zero e uno.
189
I contratti incentivanti possono essere più vicini a quelli rimborso o a quelli a prezzo fisso. Questo tipo
di contratto deve chiaramente specificare l’obiettivo al quale sono mirati gli incentivi e usare gli
schemi incentivanti adeguati per minimizzare le inefficienze.
La definizione degli incentivi comporta solitamente una formula che collega specifici
indicatori di prestazione e costo a ricompense e/o penalità (“la carota e il bastone”). Gli incentivi
richiedono pertanto controlli ed il sostenimento dei costi per la stesura di contratti molto dettagliati e
tecnici, nonché dei potenziali costi per le dispute legali, maggiori rispetto al caso dei contratti a prezzo
fisso. Vi sono due tipi principali di incentivi (vedi APR, 1998):
Incentivi di costo. Gli incentivi di costo collegano gli obiettivi di costo e di profitto ad un certo livello
(obiettivo) delle specificazione del progetto (il tasso di condivisione del rischio). Per esempio, quando
l’azienda raggiungere l’obiettivo con un costo inferiore, il profitto dell’obiettivo è aggiustato verso
l’alto, e viceversa.
Incentivi di risultato (performance). Gli incentivi di risultato collegano gli obiettivi individuati
(rendimento) con i profitti obiettivo e sono generalmente usati nei casi in cui il risultato finale del
prodotto/progetto è soggetto ad incertezza. In pratica, il fatto che gli incentivi di rendimento non
tengano conto dei costi con i quali si ottiene un certo risultato fa sì che essi siano spesso utilizzati
insieme ad incentivi di costo. Pertanto, assumendo che ci sia un’incertezza limitata alla fattibilità del
raggiungimento degli obiettivi stabiliti, un contratto incentivante potrebbe prevedere solo incentivi di
costo (il “bastone”). Nel caso in cui quell’incertezza sia elevata, gli incentivi di costo sono rafforzati
da incentivi di risultato (“la carota”).
Bisogna riconoscere che, nonostante questi contratti presentino costi di sorveglianza simili a
quelli dei contratti con rimborso del costo, le agenzie spaziali negli Stati Uniti e in Europa hanno
proprie capacità di produzione e/o R&S, e che in generale trattano con un numero limitato (e
conosciuto) di appaltatori. Esse possono pertanto in linea di principio godere di costi di controllo
minori (assumendo l’esistenza di un apprendimento nella sorveglianza) così come sostanziali poteri di
contrattazione, grazie alle loro dimensioni.
Per questo motivo è ragionevole aspettarsi che una larga parte delle contrattazioni delle
agenzie spaziali avvenga con contratti incentivanti, o a prezzo fisso, piuttosto che con contratti a
rimborso dei costi, soprattutto quando la tecnologia matura e le imprese entrano sempre più nei
mercati spaziali commerciali.
Implicazioni per l’efficienza della scelta dei contratti. I contratti cost-plus hanno ricevuto molte
attenzioni negli USA in quanto portano benefici sostanziosi all’industria, e pagamenti superiori ai loro
livelli ottimali da parte della NASA . Questa tuttavia non è una conclusione scontata, in quanto il
190
processo di stanziamento è consente rinegoziazioni su una base annuale, perché il programma non è
completamente definito all’inizio del periodo contrattuale. Verosimilmente per progetti molto rischiosi
potrebbe essere ancor più difficile impostare un contratto a prezzo fisso o ancora di più un contratto
dell’ESA con prezzo massimo convertibile in prezzo fisso.
Un contratto cost-plus permette tipicamente al contraente di spendere per una certa
percentuale oltre il costo atteso, ma poiché su questa somma non si calcola alcun profitto, non vi è
nessun incentivo a spenderla. Tuttavia, se quando un contratto viene negoziato con successo non viene
posto alcun “blocco” in termini del profilo temporale del suo finanziamento, in seguito a un pieno
impegno dell’autorità finanziante, allora il contraente può effettivamente trovarsi di fronte ad una
rinegoziazione annuale, per ogni periodo di finanziamento aggiuntivo. In effetti, gli sforamenti dei
costi in questo caso diventano parte del profilo del periodo successivo e pertanto non vengono mai
trattati come tali. Lo sforamento è reale in termini del progetto complessivo, ma ha uno scarso impatto
sugli incentivi o sulla redditività del contraente. Lo stesso si può dire dei contratti ESA con prezzo
massimo convertibile in prezzo fisso (CP-FP). Per spiegare questo punto, si osservi che ciò che
verrebbe considerato uno sforamento rispetto ad un contratto ben definito di tipo cost-plus o a prezzo
fisso al momento della firma del contratto, diventa qui una “informazione addizionale”, che porta di
fatto a una riscrittura dei termini del contratto. Per la NASA ciò ha luogo annualmente, mentre per i
contratti CP-FP dell’ESA si suppone che ciò accada istituzionalmente solo una volta. Nella fase in cui
il contratto non è ancora finalizzato ci sono pochi incentivi per l’industria a fare il massimo sforzo.
Infatti, uno dei problemi della NASA sta nel fissare i prezzi del programma durante le fasi iniziali e di
sviluppo, dove i margini di profitto sono gli stessi che per la produzione del manufatto.
Si pone poca attenzione al fatto che l’uguaglianza dei margini di profitto ha come risultato che
il contraente ha ogni incentivo a prolungare le prime fasi, durante le quali si i progetti sono sviluppati
sulla carta. La giustificazione del governo per questa prassi è che un programma progettato nel modo
migliore già dalle prime fasi sia un investimento per tutta la vita del programma e, pertanto, i fondi
spesi per lo sviluppo sono fondi ben spesi. Ma il contraente potrebbe facilmente abusare di questo
fatto. Per fare un esempio, i costi dei manufatti tengono conto di rischi sostanziosi, spese ed
investimento di capitale, necessari per arrivare alle consegne finali (cioé, ai i risultati). Lo sviluppo è
una parte del processo diretto ad ottenere questi risultati, e perciò coprire i suoi costi è importante sia
per l’industria che per il governo. Tuttavia, ha forse meno senso per il governo garantire durante
questa fase la stessa proporzione di profitto che si garantisce durante la fase di fabbricazione, nella
quale si devono effettuare riconfigurazioni e sostenere vari altri rischi di produzione.
La maggior parte dei costi di controllo e degli sforzi dell’agenzia e dei dirigenti del progetto
per conto del contraente riguardano il controllo dei costi. Un sistema largamente utilizzato di
valutazione dei progressi del progetto è il metodo del valore guadagnato (Earned Value Method
System - EVMS), ampiamente utilizzato per la maggioranza dei grandi programmi negli USA (NASA,
191
1999). Il DoD degli Stati Uniti è un pioniere nello sviluppo di queste tecniche e nelle loro applicazioni
fin dai primi anni sessanta. Questi meccanismi permettono di controllare e valutare i risultati del
programma, paragonandoli al piano iniziale, permettendo correzioni (se possibili) e stime accurate
della fine dei lavori in termini di tempi e costi, durante le varie fasi del programma. Bisogna tuttavia
notare che, in seguito ad indicazioni di un uso eccessivo delle pratiche EVMS, che possono avere costi
notevoli in termini di controllo e burocrazia, si è spostata la soglia di valore del programma per la
applicazione dello EVMS (Office of the Secretary of Defense, 2004).
La NASA ha delegato larga parte della sua autorità di sorveglianza sui suoi contratti al DoD
(vedi NASA, 2009a, 2009b), in particolare alla Defense Contract Audit Agency, ottemperando così
alla richiesta alle Agenzie Federali di controllare le loro attività contrattuali attraverso un approccio
EVMS (Navy, 2009). La figura 6.17 considera una relazione lineare tra il costo e il prezzo ed
“aumenta” l’analisi EVMS considerando le sue implicazioni sul prezzo (EVMS-P). Una ‘Scatola di
pianificazione’ (Planning Box – PB = TpABPp) collega i punti dove il tempo pianificato per la
conclusione (Tp) incontra il valore pianificato del programma (A: costo a bilancio); e incontra il
prezzo pianificato alla sinistra della retta a 45° (B), risultando così nei profitti pianificati. Nell’istante
T1 (tempo corrente) il progetto è riesaminato con il metodo del valore guadagnato, per vedere se si sta
dirigendo verso ritardi o spese extra al completamento dei lavori. La nuova ‘Scatola di pianificazione,
che prende in considerazione i ritardi (PBd), è definita da TdCDPp, o TdCEPd a seconda che il
contraente faccia un profitto sulla parte del programma che è stata dilazionata ed ha sfiorato il budget.
192
Figura 6.17 Il sistema dello Augmented Earned Value Management System (Earned Value Management System, aumentato delle implicazioni per il prezzo, EVMS‐P) NOTE: Earned Value (EV) = costo a bilancio per il lavoro eseguito = Planned Value (PV) = costo a bilancio per il lavoro programmato = Actual Cost (AC) = costo effettivo del lavoro svolto = Budget at Completion (BaC) = A = bilancio al completamento atteso al tempo To Estimated Completion Budget (ECB) = C = bilancio stimato a T1 Schedule Variance (SV) = EV – PV Cost Variance (CV) = EV – AC To = tempo di avvio del progetto T1 = tempo corrente Td = tempo atteso di completamento a T1 Tp = tempo atteso di completamento a To Pp = proiezione di prezzo pianificata a To Pd = proiezione di prezzo pianificata a T1 Cost‐plus contract = Assumendo che il progetto sia accettato, senza alcuna penale aggiuntiva, in una data
successiva a quella pianificata, un contratto a prezzo fisso per l’impresa nella data corrente risulterà in
profitti nulli alla consegna finale, mentre un “puro” contratto cost-plus (come nel caso di un profitto
calcolato come percentuale del costo), darà un profitto proporzionale al costo. Assumendo una
rinegoziazione alla data corrente, la linea di rinegoziazione è definita da ED, con l’agenzia che mira al
punto D, ed il contraente che mira al punto E. Nel caso cost-plus con un tetto, il contraente non riceve
più profitti dopo un certo punto definito da uno sforamento di bilancio e/o tempo. E’ probabile che
esistano asimmetrie informative nel caso in cui l’agenzia abbia delle informazioni alla data corrente
solo sul lato sinistro del diagramma, mentre il contraente ha a disposizione il quadro completo. In
193
questo caso, il contraente può decidere se condividere queste informazioni con l’agenzia a seconda del
tipo di contratto e delle aspettative.
6.2.4 Le politiche e i trend di approvvigionamento della NASA e dell’ESA
L’affidamento al Dipartimento della Difesa, in considerazione della sua maggiore esperienza,
della maggior parte dei contratti cost-plus della NASA, ha delle profonde implicazioni per la
frammentazione del processo di assegnazione e controllo dei contratti. I costi di sorveglianza necessari
per applicare un approccio EVMS nel caso di contratti cost-plus pongono un pesante fardello sulle
agenzie, dando luogo ad un processo di sorveglianza a gradini a seconda del valore del contratto (vedi
NASA, 2009c). E’ chiaro che le economie di scala nel controllo dei contratti mettono in gioco agenzie
di grandi dimensioni come NASA, che si ritrovano a seguire numerosi contratti diversi, mantenendo
un processo centralizzato. Negli USA le richieste di un passaggio a contratti a prezzo fisso segue
l’esempio dell’esperienza europea dove, secondo fonti industriali, circa il 90% dei contratti ESA e
delle altre principali agenzie spaziali come l’ASI sono a prezzo fisso. La centralizzazione dei processi
di sorveglianza dell’esecuzione dei contratti è possibile, ma essa non è una scienza esatta, in quanto le
ragioni sottostanti non sono sempre comprensibili e comuni tra i progetti ad alta tecnologia. Un
importante svantaggio della centralizzazione è la scarsa familiarità e la potenzialmente crescente
asimmetria informativa tra i funzionari sorveglianti ed il contraente.
194
Figura 6.18 Distribuzione percentuale delle allocazioni concorrenziali e non concorrenziali dei
contratti della NASA nel tempo
FONTE: APR, 1991; 2006; 2008
Le tendenze dell’approccio della NASA ad un approvvigionamento concorrenziale sono
illustrate nella figura 6.18. La percentuale di valore assegnato con contratti non concorrenziali
(%NASAnc) sembrerebbe stabile attorno a un livello vicino al 40% tra il 1997 e il 2004, mentre se si
considerano anche i contratti a seguire (follow up) il dato supera il 40% (%NASAnc+fo). Il valore dei
contratti assegnati con procedure concorrenziali mostra un andamento in lenta crescita nello stesso
periodo, ma rimane palesemente sotto il 60%, in contrasto con il periodo iniziato subito dopo il
programma Apollo e terminato alla metà degli anni novanta. Questo trend è da attribuire al forte
consolidamento dell’industria spaziale USA dopo “l’ultima cena” del 1993, quando il governo invitò
ufficialmente l’industria a consolidarsi e ristrutturarsi (vedi Zervos, 2008; AIA, 2009; SIPRI, 2009):
“In 1993 DoD leadership hosted a dinner at the Pentagon for a dozen executives of the largest defense
companies. The executives were informed that there were twice as many defense suppliers as expected
in
the next five years and that the government was prepared to watch some go out of business. This event,
dubbed the “Last Supper,” precipitated a tidal wave of consolidation — in less than a decade more
than 50 major defense companies had consolidated into only six. As part of this consolidation, what
had been six aircraft primes narrowed to only two as Martin Marietta, General Dynamics’ fighter
division, North
American, Rockwell International and McDonnell Douglas merged into or were acquired by Lockheed
195
Martin and Boeing. Well-known companies such as GTE, Lucent, Hughes, Magnavox, TI, IBM, Eaton,
GE, AT&T, Unisys, Westinghouse, Tenneco, Ford, Chrysler, Teledyne and Goodyear left the defense
market entirely. Others sold off their defense and space assets.” AIA, 2009: 5.
Inoltre, il sistema di aggiudicazione dei contratti relativamente poco concorrenziale della
NASA è accompagnato da un’alta e crescente percentuale di contratti cost-plus (%CPAF) e in minor
misura di contratti a prezzo fisso per l’impresa (%FFP), che non sembrerebbe modificare lo schema
della contrattazione a favorevole dei contratti cost-plus. Ciò è illustrato nella figura 6.19 dove
entrambi i fattori dell’assenza di concorrenza e di contrattazione cost-plus, puntano verso una
maggiore profittabilità per il contraente, in contrasto ai prezzi fissi per l’impresa e al processo
concorrenziale.
Figura 6.19
La distribuzione percentuale dei contratti della NASA, per tipo di contratto nel
tempo
NOTA: contratti
cost-plus = %CPAF; firm-fixed price = %FFP; cost-plus-fixed-fee = %CPFF;
incentive: %INC
FONTE: APR, 1991; 2006; 2008
Le informazioni pubbliche disponibili sulla NASA sono ben documentate online, con
informazioni precise sui tipi di contratto impiegati, informazioni dettagliate sugli stanziamenti per le
Piccole-Medie Imprese (Smal Medium Size Enterprises - SMEs), l’efficacia nella contrattazione, ecc.
(figura 6.20) e un controllo costante dei risultati contrattuali a fronte degli obiettivi attesi.
196
Figure 6.20 Informazioni online sul budget NASA
Data la natura federale delle politiche della NASA riguardanti l’informazione al pubblico e i
controlli dei suoi risultati, l’amministrazione rilascia di conseguenza informazioni sulla sua efficienza
programmatica.
La tabella 6.3 illustra un caso particolarmente eccezionale di cattiva conduzione che riguarda
l’astronomia e l’astrofisica. L’obiettivo per lo sfondamento fissa una percentuale minore del 10% del
valore programmato (colonna “obiettivo”), mentre lo sfondamento effettivo è stato molto più alto,
avvicinandosi anche all’85%.
Tabella 6.3 Costi in eccesso per la NASA dei programmi in astronomia e astrofisica
Year
Eccesso di costo (%)
Eccesso di tempo (%)
Obiettivo
Effettivo
Obiettivo
Effettivo
2005
< 10
42.9
< 10
35.7
2006
< 10
83.9
< 10
76.1
197
2007
< 10
51.4
< 10
57.8
FONTE: Whitehouse, 2009b
L’efficienza contrattuale europea e i vantaggi dei contratti a prezzo fisso sono tuttavia difficili
da determinare, perché\ in Europa il quadro è complicato dal fatto che non vi sono informazioni
pubbliche disponibili sull’efficienza e i risultati dei contratti. Larga parte delle informazioni
disponibili al pubblico servono come guida inestimabile per seguire le procedure riguardanti
l’assegnazione dei contratti e l’assistenza all’industria nel preparare offerte impostate correttamente
(figura 6.22).
Riguardo alla distribuzione e ai risultati dei contratti c’è al contrario molta meno informazione
pubblicamente disponibile. Inoltre, i progetti ad alto rischio non sono effettivamente sottoposti al
regime iniziale di prezzi fissi, perché quando si verificano dei cambiamenti, è abitudine ricorrere ad
una Contracts Change Notice (CCN), che ridefinisce parti del contratto originale, e che è incorporata
come clausola ausiliaria nel contratto iniziale per modificane profilo e finanziamenti. Il processo
attraverso il quale passa un tipico contratto può essere riassunto così: viene negoziato un contratto a
prezzo fisso per l’impresa tra questa e l’ESA, segue l’avvio delle prime fasi del programma (fase A e
B, vedi NASA 2007). In un momento successivo del programma (durante la fase C, o D ad esempio,
vedi NASA, 2007), quando sono stati sviluppate nuove conoscenze in aree ad alto rischio/incertezza
tecnologica, viene avanzata una Engineering Change Proposal (ECP). Questa viene sottoposta ad una
valutazione tecnica dal direttore del programma che poi deve farla passare attraverso un processo di
valutazione ed approvazione del costo, dopo di ché si aggiunge una CCN quale nuova clausola del
contratto.
198
Figura 6.21 Il portale ESA online per il business
Ad esempio, nel 2005 l’ESA ha assegnato 778 contratti e 353 ordini di lavoro, ma ben oltre 2300 note
di modifica del contratto (Reynaud, 2005). Nonostante il fatto che la maggior parte di questi
programmi fossero assegnati in un regime di prezzo fisso, le note di modifica provocarono una
variazione di fatto del modello contrattuale originale. Oltre a ciò, Reynaud, 2005 fa sapere che il
numero di contratti direttamente negoziati (251) è inferiore a quello dei contratti concorrenziali (238).
La concorrenzialità è una sfida per l’ESA e per le agenzie spaziali europee, dati i limiti delle industrie
spaziali nazionali ed europea, abbinati al principio dell’equo compenso. Ciò è illustrato dai casi in cui
le linee guida dell’ESA giustificano l’assenza di concorrenza nella contrattazione:
“… Restricted competitive tender may be applied:
a) for supplies or services the special nature of which limits the capacity to procure them from a
limited number of economic operators;
b) for general procurements which have no industrial policy implications where the time and cost
required to examine and evaluate a large number of tenders would be disproportionate to the value of
the supplies
or services to be procured;
199
c) for supplies or services procured by the Agency in the frame of international agreements entered
into by the Agency with public bodies (including intergovernmental organisations), if expressly
foreseen in the
said agreements;
d) where the supplies or services are procured by the Agency by means of a Framework Agreement as
defined under Article 15.3 of these Regulations;
e) for supplies or services classified secret or whose performance must be accompanied by special
security measures in accordance with the Agency’s regulations in force or when the protection of the
essential
interest of the Agency so requires;
f) if the Industrial Policy Committee has given a directive or a guideline to that effect to the Director
General, in particular in application of Article VII of the Convention and Articles IV.5, IV.6 , IV.7 and
V of Annex V to the Convention.
3. Wherever possible for restricted competitive tender, at least three economic operators shall be
invited to tender.
4. The reason for applying restricted competitive tender and for the choice of the economic operators
shall be recorded in the contracts file.
… Competitive tendering may be waived in one or more of the following cases:
a) if only one source for the supplies or services exists;
b) in a case of extreme urgency resulting from compelling operational needs;
c) where for scientific, technical or economic reasons contracts for additional or supplementary
supplies or services cannot be separated from a previous contract;
d) if the supplies or services required are the subject of intellectual property rights and can, as a
consequence, only be procured from one particular source;
e) where the supplies or services are procured by the Agency by means of Framework Agreement as
defined under Article 15.4 of these Regulations.
f) if the expenditure involved does not exceed 100 000 Euro;
g) if the Industrial Policy Committee has given a directive or a guideline to that effect to the Director
General.
2. Where, following a competitive tender, only one tender is admitted, the Invitation to Tender shall be
re-issued unless it is considered that such reissuing would be unlikely to obtain better results or would
not be feasible due to extreme urgency resulting from compelling operational needs, in such case
competitive tendering may be waived.
3. Where the supplies or services are procured by the Agency in the frame of international agreements
entered into by the Agency with public bodies (including intergovernmental organisations),
competitive tendering may be waived if expressly foreseen in the said agreements.
200
4. Where the supplies or services are procured in the frame of an Agency programme which foresees
“calls for proposals” and/or co-funding as the means of fulfilling its objectives, competitive tendering
may be waived.
5. In all cases the reason for waiving competitive tendering shall be recorded in the contracts file.
6. Articles 35, 41 and 42 of these Regulations shall not apply when competitive tendering is waived.”
(ESA, 2008: 23-25).
E’ interessante notare come il comitato politico industriale, che effettivamente applica i
principi del giusto guadagno, approvi porzioni significative dei più importanti programmi in termini
delle loro dimensioni:
“Prior to the issue of Invitations to Tender, the Director General shall submit for the approval of the
Industrial Policy Committee procurement proposals in the following cases:
a) General Studies exceeding 300 000 Euro;
b) technological Programmes exceeding 500 000 Euro per activity committed;
c) all other procurements exceeding 2 000 000 Euro;
d) all procurements which involve expenditure exceeding 200 000 Euro with an economic operator (
contractor or subcontractor ) of a non- Member State not participating in the programme; or
e) such other cases which the Industrial Policy Committee has asked to be submitted for approval.”
(ESA, 2008: 34)
Nonostante l’assenza di informazioni pubblicamente disponibili sulla dimensione dei contratti,
il tipo utilizzato e la loro efficienza, sembrerebbero esserci indicazioni qualitative e quantitative di una
debole concorrenza contrattuale. Purtroppo l’assenza di informazioni pubblicamente disponibili non
permette in generale di valutare l’efficienza contrattuale e procedurale delle agenzie spaziali europee e
la valutazione complessiva dell’efficienza dei processi rilevanti è un punto su cui bisognerebbe
richiamare una maggiore attenzione.
Data l’immagine consolidata dell’industria spaziale europea, l’ESA sembra sempre più
favorevole ad un approccio che dovrebbe annullare gli effetti negativi di questo consolidamento per le
PMI in Europa. Nello specifico, l’ESA assegna i sottocontratti direttamente ai subappaltatori, ma
poiché è l’appaltatore primario a restare responsabile per il programma nel suo insieme ciò porta a
zone grigie di responsabilità. Inoltre, sembrerebbe che le PMI abbiano poche opportunità di negoziare
un ECP, a differenza di quanto avviene per i contraenti primari. L’ECP stesso è spesso applicabile a
componenti ad alta tecnologia forniti dalle PMI che si fanno carico dei rischi nelle prime fasi a fronte
della promessa di un ECP in seguito (Fuchs, 2001). Approcci e sfide simili sono affrontate dalle
agenzie spaziali nazionali quali l’ASI che tuttavia, in quanto agenzie nazionali, godono nella loro
contrattazione di un approccio più diretto di quello consentito dalla natura collaborativa dell’ESA.
201
Questo problema è direttamente collegato alla politica industriale del coefficiente del giusto
rendimento, come avviene quando l’ESA contratta direttamente non solo con i nuovi piccoli stati
membri, ma anche con le PMI dei maggiori paesi spaziali europei che non fanno parte della
consolidata Base Spaziale Industriale (Spatial Industrial Base -SIB), per programmi dove il contraente
principale ha la responsabilità primaria delle consegne.
Un altro problema chiave riguardante il coefficiente del giusto rendimento e la politica
spaziale dell’ESA è che con l’aumento del numero dei paesi che entrano nell’ESA e con una struttura
della SIB europea che diventa sempre più complessa, a causa dei programmi militari spaziali
nazionali, diventa sempre meno efficiente gestire il juste retour su una base annuale. Pertanto l’ESA
sta seguendo un percorso in evoluzione verso un’applicazione più flessibile dell’attuale approccio
quantitativo al juste retour. Non è però necessario limitare la misura del giusto rendimento alla
dimensione quantitativa. Una dimensione qualitativa aggiungerebbe flessibilità alle negoziazioni
interne all’ESA, in quando premetterebbe a singoli membri di essere soddisfatti da guadagni
quantitativamente bassi, ma forse maggiori sulla base di un guadagno qualitativo per l’industria
nazionale.
6.2.5 Conclusioni
Per concludere, i punti chiave sono:
3. La Francia è in generale alla guida dei programmi spaziali europei, con la Germania e l’Italia a
seguire nel settore spaziale civile. Questi due paesi condividono profili simili, tranne per il
fatto che la Germania sembrerebbe essere più ESA-centrica in termini di industria e
programmi.
4. Le differenze tra i diversi tipi di contratto impiegati dall’ESA sono offuscate dalla possibilità e
dalla diffusa pratica di rinegoziare parte di un contratto a prezzo fisso. Sembrerebbe che ci sia
una tendenza a fissare i termini del contratto inizialmente, ma questo è vero solo
nominalmente, come è dimostrato dall’uso di “contratti con un prezzo massimo convertibile in
prezzo fisso” e dal grande numero di ECP/CCN .
5. Sembrerebbero esserci dei costi sostanziali per il monitoraggio dei contratti. Ciò ha portato,
specialmente per i contratti cost-plus impiegati dalla NASA, ha portato a ricorrere ad agenti
specializzati (DoD) per monitorare e gestire i processi rilevanti, con l’impiego di strumenti
sofisticati come l’EVMS. Bisogna tuttavia notare che l’analisi del costo deve essere
accompagnata dalle rilevanti implicazioni per la fissazione del prezzo, che prendono in
considerazione gli schemi di incentivi di profitto e pagamento previsti nei contratti. Un passo
in questa direzione è lo Earned Value Management System “aumentato” dalle implicazioni di
prezzo (EVMS-P, vedi figura 6.17). Le applicazioni europee di questi schemi risulterebbero
202
probabilmente in una distribuzione più bilanciata dei contratti e limiterebbero l’uso di
ECPs/CCNs, come notato nel punto (2) sopra.
6. La mancanza di informazioni pubbliche disponibili sui contratti di approvvigionamento nel
settore spaziale europeo rende difficile fare analisi rilevanti ed esprimere giudizi di efficienza;
una maggiore trasparenza faciliterebbe una valutazione più rilevante.
7. L’ESA sembra seguire un approccio rivolto al collocamento diretto di sottocontratti per
annullare alcuni degli effetti negativi del consolidamento industriale, ripristinando l’equilibrio
dei poteri nelle negoziazioni tra i contraenti primari e le PMI. Le implicazioni di questo
approccio per la politica industriale del juste retour dell’ESA non sono chiare. Inoltre questo
processo ha come risultato che l’ESA gestisce indirettamente i subappaltatori nei programmi,
e ciò pone problemi di responsabilità, in quanto l’appaltatore primario ha la responsabilità
sull’esecuzione di tutto il programma
8. La politica industriale dell’ESA di un juste retour entrerà probabilmente sempre più in
conflitto con l’efficienza, a causa del crescente numero di stati membri dell’ESA e del punto
(3) qui sopra. Sarebbe consigliabile l’aggiunta di un elemento qualitativo per completare gli
aspetti quantitativi del coefficiente del juste retour nelle negoziazioni rilevanti.
203
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NASA’, Journal of Applied Economics, Vol XI: 221-236.
206
6.3 ECONOMIA DELLE COLLABORAZIONI INTERNAZIONALI
Introduzione: alcuni esempi. La collaborazione internazionale coinvolge due o più nazioni che
condividano lo sviluppo e la produzione di un progetto. L’Europa ha una vasta esperienza di
collaborazioni di questo genere per i programmi aerospaziali. Gli esempi includono la collaborazione
per aeri civili e militari; elicotteri; missili; sistemi spaziali; e motori di aerei. Tra gli esempi di progetti
specifici vi sono le collaborazioni anglo-francesi per l’aereo da combattimento Jaguar e l’aereo di
linea supersonico Concorde; la collaborazione tra tre nazioni per il progetto Tornado (Germania-ItaliaRegno Unito); il Typhoon (Germania-Italia-Spagna-Regno Unito); e la collaborazione italo-inglese
per l’elicottero Merlin. Alcune collaborazioni hanno dato vita a società ed organizzazioni
internazionali come l’Airbus (aerei di linea civili e trasporti militari), AgustaWestland (elicotteri),
ESA, Eurofighter (Typhoon) e MBDA (missili).
La collaborazione internazionale è stata una caratteristica distintiva della politica industriale
della difesa europea e della politica aerospaziale civile europea. Il settore aerospaziale ha dominato le
collaborazioni per la difesa europee, che hanno coinvolto una varietà di paesi diversi, diversi numeri di
partner e diversi accordi per l’organizzazione e la gestione. Gli esempi vanno da un minimo di due
paesi partner ai sette paesi coinvolti negli accordi di divisione del lavoro per il cargo A-400M (Belgio;
Francia; Germania; Spagna; Sud Africa; Turchia; Regno Unito) e ai 18 paesi membri dell’ESA. In
alcuni casi, sono state create delle organizzazioni specifiche per il progetto (es. Panavia; Eurofighter).
Queste variazioni nel numero, composizione ed accordi organizzativi dei vari progetti di
collaborazione comportano inevitabilmente un aumento dei loro costi di transazione quando i nuovi
paesi partner devono imparare come “fare affari con gli stranieri”.
Questa sezione spiega le economie di collaborazione, ovvero, il caso ideale ed i risultati
effettivi con riferimento all’esperienza europea, specialmente riguardo ai programmi per la difesa.
L’analisi è applicata anche all’esperienza del progetto satellitare Galileo.
Collaborazione: il caso ideale.
Nel caso ideale di collaborazione, due o più partner equivalenti si
accordano per eseguire un progetto comune, dividere tutti i suoi costi di sviluppo e sommare i loro
ordini di produzione . Il risultato che ci si aspetta è un risparmio sui costi sia nella fase di sviluppo che
di produzione, poiché la somma degli ordini di produzione porta ad economie di scala e di
apprendimento. Si può osservare un semplice esempio nella tabella 6.4 dove entrambe le nazioni
hanno un fabbisogno comune ed identico. In questo esempio del caso ideale, i costi totali di sviluppo
rimangono invariati nel singolo paese e il progetto di collaborazione e la somma degli ordini di
produzione portano a risparmiare il 10% sui costi da un raddoppiamento dell’output. Per ogni nazione
il risultato è un risparmio del 50% sui costi di sviluppo e un risparmio del
207
10% sui costi di
produzione, con un risparmio complessivo sui costi del progetto di circa il 30% grazie alla
collaborazione, paragonato con il caso di una singola nazione.
Tabella 6.4 Collaborazione: il caso ideale
Fasi
Sviluppo
Produzione totale
Costi totali:
Una nazione
(Euro, miliardi)
10
10
(100 unità)
Costo di produzione
per unità
Costo totale
Risparmio
Costi totali:
Due nazioni
(Euro, miliardi)
10
18
(200 unità)
0.09
0.1
20.0
28.0
Costi
totali
nazione:
(Euro, miliardi)
5
9
per
0. 09
14.0
6.0
Collaborazione: i risultati effettivi. La collaborazione effettiva si discosta dal caso ideale.
Solitamente, la collaborazione riflette un accordo politico tra i paesi partner riguardante il tipo di
progetto richiesto, la sua durata, gli accordi organizzativo-gestionali e gli accordi di divisione del
lavoro. Ognuno di questi aspetti del progetto implica una contrattazione all’interno del complesso
politico-militare-industriale, che comporta compromessi e ritardi che alzano i costi di transizione per i
paesi partner. Il risultato sono inefficienze di collaborazione che incidono sia sui costi di sviluppo che
su quelli di produzione e sui tempi richiesti.
La collaborazione in genere richiede accordi di spartizione del lavoro basati su criteri di
negoziazione politica (juste retour) piuttosto che su criteri di efficienza e vantaggio comparato. Per lo
sviluppo, ogni paese chiederà un’equa parte del lavoro ad alta tecnologia richiesto dal progetto. Ad
esempio, per un aereo da combattimento, ogni membro chiederà una quota del lavoro ad alta
tecnologia da effettuare per la cellula, il motore e l’avionica e richiederà anche un centro nazionale per
i test di volo, Similarmente, per la produzione ogni paese richiederà una linea di assemblaggio finale.
Trattare per la divisione del lavoro è solo un aspetto del negoziato politico nei programmi
collaborativi. Trattative e compromessi sono necessari a riguardo dei requisiti operativi (la
specificazione del progetto), le date di consegna richieste e gli accordi per il controllo e la
sorveglianza del programma .
Spesso, gli accordi per il monitoraggio richiedono un comitato
dall’elaborata struttura dove tutti i
membri e i gruppi di interesse devono essere rappresentati.
Compromessi simili implicano che gli accordi organizzativo -manageriali richiedono la creazione di
una nuova società internazionale appositamente per il progetto, dove nessuna impresa dei paesi
membri ha la responsabilità di contraente principale (es. Eurofighter: Hartley, 2006).
208
I ritardi sono
probabili soprattutto quando una decisione richiede l’unanimità dei voti piuttosto che la maggioranza.
Di conseguenza i programmi collaborativi saranno verosimilmente soggetti a tempi di lavoro
particolarmente lunghi e ritardi in misura maggiore rispetto a programmi equivalenti nazionali (ma i
programmi nazionali non sono esenti dai problemi e hanno anche loro ritardi e aumenti dei costi).
Ci sono prove della gravità di queste inefficienze collaborative. Per i costi di sviluppo, la
regola della radice quadrata fornisce un’indicazione delle inefficienze collaborative. Paragonato con
un progetto nazionale, il costo di sviluppo di un programma collaborativo può essere approssimato
usando la radice quadrata del numero dei paesi membri. Ad esempio, un progetto con 4 paesi può
arrivare a costare due volte un programma equivalente nazionale. Evidenze empiriche nel Regno
Unito per Typhoon mostrano che i suoi costi di sviluppo erano 1.96 volte il costo dell’alternativa
nazionale, ma questi costi erano suddivisi tra 4 paesi partner (NAO, 2001). Una stima alternativa delle
inefficienze sullo sviluppo collaborativo suggerisce che i costi di sviluppo sono maggiorati del 50%
per ogni paese che partecipa dopo il primo (Pugh, 2007). Entrambe le stime mostrano la dimensione
di queste inefficienze, ma, tipicamente, la collaborazione porta lo stesso a risparmi sostanziosi sui
costi di sviluppo per ogni paese membro, se paragonati con quelli di un progetto nazionale.
Analogamente le inefficienze nella produzione collaborativa rispecchiano la divisone del lavoro e le
molteplici linee di assemblaggio finali, il che significa che le economie di scala sui progetti
collaborativi saranno verosimilmente attorno alla metà di quelle ottenibili da progetti nazionali (NAO,
2001, p17). Un esempio di inefficienze collaborative è mostrato nella Tabella 6.5. Questa è basata sui
dati della tabella 6.4 e mostra le deviazioni dal caso ideale. Le inefficienze collaborative sia nello
sviluppo che nella produzione conducono a riduzioni considerevoli nella quantità di costo risparmiato
(le inefficienze riducono i risparmi del 30% nello sviluppo e del 5% nella produzione); ma, nonostante
tutto, rimane un risparmio sostanzioso se si confronta la collaborazione con un progetto nazionale (in
questo esempio, il risparmio totale è del 17.5%: Hartley, 2006a; Sandler and Hartley, 1995).
Tabella 6.5 Inefficienze nella collaborazione.
Fase
Sviluppo
Produzione Totale
Costo per unità di
produzione
Costo totale
Risparmio
Costi totali:
Una nazione
(euro, miliardi)
10
10.0
Costi
totali:
nazioni
(euro, miliardi)
14
19
0.1
20.0
0.095
33.0
Due Costo
totale
nazione
(euro, miliardi)
7
9.5
per
0.095
16.5
3.5
Galileo come un esempio di collaborazione reale. Galileo è un sistema di navigazione satellitare
globale che dovrebbe essere disponibile per i paesi della UE nel 2013. Programmato in origine come
209
una Public Private Partnership (PPP), la situazione cambiò nel 2007 quando i 27 paesi UE si
accordarono per abbandonare l’approccio PPP e finanziare il progetto insieme e per una suddivisione
del lavoro tra di loro (questo cambio di politica ha provocato un ulteriore ritardo, probabilmente di un
anno). Secondo l’accordo del 2007 il costo previsto di Galileo era di 3,4 miliardi ma gli industriali
hanno detto che questa cifra era irrealistica (Flight, 2009). La Commissione Europea ha stimato un
mercato potenziale per i servizi di Galileo di 400 miliardi di euro su 10 anni ( il Regno Unito
otterrebbe circa 24 miliardi di questo mercato o il 6% basato sui prezzi del 2007: HCP66, 2007).
Galileo mostra tutte le inefficienze dei programmi collaborativi, soprattutto di uno con un
numero così alto di paesi membri, con gli inevitabili compromessi e ritardi nel raggiungere degli
accordi che possono portare a sostanziosi costi di transizione per il programma. Ci sono state dispute,
ritardi e aumenti di costo. Il programma ha una storia di aumenti di costi rispetto alle stime iniziali
(Flight, 2009; HCP66, 2007).
La divisone del lavoro è stata uno dei principali problemi per raggiungere un accordo finale
sui fondi UE per Galileo. L’accordo del 2007 con la UE fu rimandato all’ultimo minuto per la
richiesta della Spagna di avere un centro di controllo a terra per Galileo. Alla fine, la Spagna ha
accettato l’offerta di controllare l’unico centro ‘life safety’ del progetto, concepito per aiutare tutti i
tipi di ricerca e servizi di salvataggio; e questo centro potrebbe prendere eventualmente le funzioni di
un centro di controllo (EU 2007).
Il piano industriale per Galileo richiede un programma di
costruzioni in 6 fasi dove ogni fase ha un contraente principale e diversi subappaltatori: questo
modello assicura che tutti gli stati membri possano fare offerte per il lavoro sul progetto. In definitiva,
il lavoro di costruzione su Galileo “concilia misure necessarie di competizione e il desiderio di
un’allocazione equa” del lavoro (EU, 2007). Tuttavia, ci sono dei conflitti inevitabili tra la
competizione e “l’equa” ripartizione del lavoro. Inoltre, questi obiettivi sono stati criticati dagli
ambienti industriali: sono stati molto criticati i piani di suddividere i contratti per i primi 16 satelliti
attribuendo 8 satelliti ad ogni appaltatore e di introdurre in seguito una concorrenza per i satelliti
rimanenti, per via della perdita di economie di scala, che comporteranno un costo e un prezzo più altro
per ogni unità (Flight, 2009).
Galileo offre però vantaggi politici, industriali ed economici. Fornisce l’Europa di un sistema
di navigazione satellitare indipendente rispetto agli USA. I costi sono suddivisi tra tutti i paesi
membri e il fatto che tutti gli stati siamo rimasti parte del “club” Galileo conferma come valga la pena
farne parte (altrimenti alcune nazioni si sarebbero ritirate dal programma). Le nazioni avranno diversi
obiettivi politici e diverse valutazioni dei benefici che ritengono di poter ottenere dal programma; e,
come per ogni club, rimarranno membri di esso fino a quando lo riterranno vantaggioso (cioè, i
benefici almeno uguali ai costi
210
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DELLA SEZIONE 6.3
EU (2007). EU agrees Galileo satellite project, EUobserver.com/9/25248
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Sandler and Hartley (1995). The Economics of Defense, Cambridge University Press, Cambridge.
211
PARTE II . I MODELLI ED UN’ANALISI EMPIRICA DEGLI EFFETTI
DEI SETTORI HIGH TECH SULL’ECONOMIA
212
CAPITOLO 7. CONCETTI E MODELLI DELL’ECONOMIA MAINSTREAM PER
L’ANALISI DEGLI SPILLOVERS TECNOLOGICI
Nella sezione 7.1 di questo capitolo si forniscono gli elementi essenziali dei modelli mediante
i quali l’economia mainstream ha spiegato il ruolo del progresso tecnico nella crescita della
produttività ed il ruolo della R&S come fonte di progresso tecnico. Si sono forniti anche gli elementi
essenziali dei modelli con i quali si è spiegato il fenomeno pervasivo degli spillovers delle conoscenze
create dagli investimenti in R&S e si è ricordato che le verifiche empiriche hanno confermato l’ipotesi
che la R&S direttamente e attraverso i suoi spillovers ha un effetto positivo sulla crescita della
produttività totale.
Nella sezione 7.2 si è invece guardato, con un approccio più descrittivo, al fenomeno degli
spillovers ed a quello collegato degli spin-offs all’interno delle imprese e dell’industria spaziale,
trovando una convergenza di una pluralità di informate analisi sull’importanza del fenomeno e delle
politiche che possono favorirlo.
Nella sezione 7.3, infine, si presenta una prima analisi del ruolo delle attività spaziali nel
determinare i risultati delle grandi imprese in cui sono presenti, mediante un confronto con i risultati di
altri gruppi di imprese. L’unica differenza significativa che emerge è che le grandi imprese con
produzioni spaziali hanno un’intensità di ricerca maggiore delle altre.
7.1 IL PROGRESSO TECNICO ED I SUOI SPILLOVERS
7.1.1 PROGRESSO TECNICO, PRODUTTIVITA’ TOTALE E R&S
Progresso tecnico e produttività totale dei fattori (PTF). Nel riquadro 4.1 abbiamo ricordato che
l’economia mainstream applicata rappresenta la tecnologia considerando esplicitamente il tempo nella
funzione di produzione, che viene quindi scritta: Y = F(K,L,t) (*), dove tutte le altre variabili sono
funzioni del tempo. Un esempio di tale tipo di funzione è quella Cobb-Douglas, che appare nella
formula (2)’’ del riquadro e che è qui sotto riportata.
Y = A(t) Kα(t) L1 - α(t)
0 < α(t) < 1
(7.1)
Si tratta di una funzione tuttora ampiamente usata nella letteratura non solo per la sua
semplicità ma anche perché si è trovato che in molte applicazioni essa non fornisce risultati
significativamente inferiori a quelli ottenuti usando funzioni più flessibili e quindi più aderenti alla
realtà, ma anche molto più esigenti in dati (in particolare la funzione translog). Con la (1) si ipotizza
213
che le forze che agiscono sulla produttività totale dei fattori (PTF) agiscano in maniera moltiplicativa
rispetto a una funzione di produzione di base
Kα(t) L1 - α(t) .
Secondo l’approccio della contabilità della crescita, nell’ipotesi che i mercati siano in
equilibrio di concorrenza perfetta83, α(t) e 1- α(t) sono le quote rispettivamente del capitale e del
lavoro sul prodotto, inteso come valore aggiunto. Con dati empirici sui valori di queste quote, e sui
valori del prodotto reale, del lavoro e del capitale reale, la (7.1) fornisce direttamente l’indice della
PTF:
A(t) = Y/ Kα(t) L1-α(t) ,
con A(0) = 1
Nella letteratura sul rapporto tra R&S e produttività si preferisce calcolare A(t), passando per
la determinazione del suo tasso di crescita (proporzionale), ottenuto dalla (7.1) come
=
-
α(t)
- (1 - α(t))
(7.2)
Le (7.1) e (7.2) possono essere riferite ad un’impresa, un’industria (come si è fatto nella
sezione 4.3 per l’industria spaziale italiana) o anche ad un’intera economia. In un contesto di lungo
periodo, nel quale si può guardare alle grandezze che appaiono nella (7.2) come a grandezze che
riflettono un’economia che utilizza normalmente i suoi fattori produttivi, ottenendo così un prodotto
effettivo uguale al prodotto potenziale, l’andamento della PTF nel tempo può essere imputato
sostanzialmente a due fattori: il progresso tecnico ed i miglioramenti delle qualità degli input di
capitale reale e di lavoro.
Per quanto riguarda il primo, si potrebbe pensare a prima vista che la (7.1) si presti a
rappresentare solo il progresso tecnico che migliora i processi produttivi e non anche quello che
migliora i prodotti o ne introduce di nuovi. Tuttavia, grazie alla possibilità di stabilire delle
equivalenze quantitative tra un nuovo prodotto e uno già in commercio, o tra una nuova varietà
qualitativa di un bene ed una già esistente (vedi riquadro 7.1), e agli sforzi che gli istituti di statistica
stanno facendo in questa direzione, è possibile includere in A(t) anche il progresso tecnico che porta a
innovazioni di prodotto.
L’andamento di A(t) dipende però da altri due fattori che si sono rivelati molto importanti nel
corso dello sviluppo economico moderno, i continui miglioramenti delle qualità del lavoro e del
capitale. Per quanto riguarda il capitale, il suo miglioramento è di nuovo riconducibile al progresso
tecnico (innovazione di prodotto applicata ai nuovi beni capitali). In questo caso la migliore qualità di
un bene capitale si traduce direttamente in una maggiore capacità produttiva: un nuovo bene capitale
di un dato valore (a prezzi costanti) è più produttivo di una quantità di beni capitali vecchi dello stesso
83
Il merito di avere inquadrato i contributi pioneristici al calcolo empirico della PTF dati negli anni quaranta e
cinquanta del secolo scorso, da autori come Tinbergen, Abramovitz, Kendrick , Schmookler e altri, nello schema
concettuale della funzione di produzione e della collegata teoria mainstream della crescita è stato di R. M. Solow
(vedi Solow (1957)) 214
valore. Evidentemente a parità di Y e L, se si rivaluta K per tenere conto della sua maggiore
produttività si troverà corrispondentemente una produttività totale, A(t), più bassa. Anche per il
lavoro, un aumento della qualità (imputabile ad esempio, ad un aumento del numero di anni
d’istruzione) fa sì che un lavoratore diventi più produttivo e, di nuovo, la migliore qualità si traduce in
un aumento della quantità. Se si rivaluta il lavoro, esprimendolo in unità di efficienza ottenendo così
un livello di input maggiore di quello espresso in unità fisiche, si avrà una corrispondente diminuzione
della produttività totale.
R&S e progresso tecnico. Se il progresso tecnico, direttamente o attraverso il miglioramento della
qualità dei beni capitali, è la variabile determinante della PTF, sorge la domanda di quali siano le fonti
del progresso tecnico o più in generale del complesso delle conoscenze codificate e non, palesi o
tacite, di carattere strettamente ingegneristico oppure relative all’organizzazione del lavoro,
direttamente ed indirettamente rilevanti per le attività produttive. La sezione 8.3 delinea le risposte a
questa domanda, date dalla teoria evoluzionistica del progresso tecnico, introducendo concetti (come
quelli di paradigma, traiettoria e regime tecnologico) assai utili ad organizzare la nostra lettura di quel
fenomeno complesso. Per quanto la teoria evoluzionistica del progresso tecnico sia considerata da
molti come alternativa a quella mainstream, qui si ritiene invece che le due teorie possano essere usate
come complementari. La maggiore aderenza alla realtà dell’innovazione dei concetti della teoria
evoluzionistica svolgerà per noi un utile ruolo di avvertimento a prendere i nostri modelli come
strumenti essenziali per fare emergere il ruolo, importante ma non esclusivo, di alcune fonti delle
conoscenze tecnologiche, senza restare intrappolati nei loro inevitabili schematismi.
Seguendo una tradizione ormai lunga e collaudata (fra gli altri Griliches (1979), (1992),
(2000) cap.4, Nadiri (1993), Sveikauskas (2007)) faremo quindi l’ipotesi semplificatrice che la fonte
del progresso tecnico, sia la R&S svolta nelle imprese e nelle istituzioni di ricerca scientifica, private e
pubbliche. Ricordando che la R&S (costi del personale e delle attrezzature di ricerca) è una misura
degli input delle attività che producono nuove conoscenze tecnologiche, si ha quindi la sequenza:
R&S
brevetti)
nuove conoscenze (magari certificate da
tasso di crescita della PTF.
Elasticità del prodotto alla R&S e tasso di rendimento dell’investimento in R&S: il modello base di
Griliches. Dopo una serie di importanti contributi empirici a cavallo degli anni cinquanta e sessanta
del secolo scorso, che produssero le prime analisi di regressione della produttività sulla R&S da parte
di autori come Terleckyj, Griliches, Mansfield e altri, negli anni settanta emerse grazie soprattutto al
contributo pionieristico di Griliches (vedi Griliches (1979)) un semplice modello per spiegare il nesso
tra R&S e produttività, che venne in seguito e viene tuttora ampiamente utilizzato. Il modello si basa
215
sull’idea di trattare la spesa (reale) per R&S di ogni anno come una proxy della nuova conoscenza con
essa creata, ipotizzando con ciò una produttività costante degli input (lavoro ed attrezzature dei
ricercatori) della ricerca. La successione nel tempo delle spese per R&S di un’impresa, industria o
economia contribuisce a creare un capitale di conoscenza o capitale di R&S, R, che viene trattato
come un ulteriore input nella funzione di produzione. La funzione (7.1) viene così sostituita dalla
seguente:
Y = exp(mt) Kα Lβ Rγ
(7.3)
dove si è anche introdotto il fattore exp(mt) che rappresenta gli aumenti di quella che si potrebbe
chiamare la produttività di fondo, cioè gli aumenti di produttività dovuti al complesso dei
miglioramenti organizzativi e conoscenze tacitamente acquisite anche attraverso il learning by doing,
che operano nell’unità a cui si riferisce la (7.3) al di fuori ed in aggiunta al capitale di R&S. I
coefficienti che compaiono nella (7.3), presi per semplicità costanti, rappresentano le elasticità del
prodotto rispetto al corrispondente input. In particolare, notiamo
γ = (ΔY/ΔR)(R/Y)
(7.4),
l’elasticità del prodotto rispetto al capitale di R&S, che ci dice di quanto aumenta in percentuale il
prodotto se il capitale di R&S aumenta dell’1%.
L’impiego della (7.3) presenta due problemi quando la si utilizza facendo riferimento, come
normalmente avviene, ad una situazione di concorrenza perfetta. Il primo è dovuto al fatto, sul quale
torneremo all’inizio della sezione 7.1.2, che il prodotto dell’investimento di R&S è un bene non rivale
nel consumo e non sempre facilmente escludibile dal consumo di altre imprese. Per recuperare
l’investimento in nuovo prodotto, ad esempio, l’impresa ha quindi bisogno di una rendita
monopolistica, anche quando ha la possibilità o convenienza di brevettare la sua invenzione. Il
secondo è dovuto al fatto che l’investimento in R&S, come abbiamo già osservato nella sezione 1.2
genera economie di scala84: un fenomeno che porta ad aumentare le dimensioni delle imprese, rispetto
a quelle del mercato, fino al punto in cui esse adottano comportamenti monopolistici. Il ricorso alla
(7.3) è giustificabile, in nome della semplicità, se la si accetta come uno strumento d’analisi
approssimativo e si è disposti ad accettare che le conclusioni che si traggono dal suo impiego hanno un
valore indicativo, più che preciso. L’analisi della letteratura sugli effetti degli investimenti in R&S e
dei loro spillovers, che svolgeremo nella sezione 7.1 darà delle conclusioni con un buon valore
indicativo.
La traduzione in termini operativi del concetto di capitale di R&S richiede che si facciano le
opportune ipotesi semplificatrici riguardo ad aspetti come l’obsolescenza di quel capitale (tipicamente
84
Nel nostro caso le economie di scala emergerebbero dalla (7.3) se fosse α + β = 1, cioè rendimenti di scala
rispetto agli input convenzionali, con γ > 0, cioè rendimenti positivi del capitale di R&S. Complessivamente
avremmo quindi α + β + γ > 1, cioè rendimenti di scala crescenti e quindi economie di scala (costo medio
decrescente). 216
più rapida per la singola impresa che per l’industria di cui fa parte e più rapida per la conoscenza
applicata che per quella di base) ed il lasso di tempo richiesto perché una spesa in R&S si traduca in
un incremento di conoscenza. Ad esempio Goto e Suzuki (1989) usano la formula ricorsiva:
R(t) = E(t - θ) – (1-δ) R(t-1)
(*)
dove E rappresenta la spesa per R&S nell’anno (t - θ) e δ è il tasso d’obsolescenza. Gli autori stimano
entrambi i parametri sulla base di dati (“vita media” dei brevetti e altri) prodotti da agenzie
governative giapponesi. La disponibilità di dati di questo tipo è però un evento raro e, tipicamente, si
ricorre ad ipotesi “ragionevolmente” ad hoc, come quella molto diffusa di assumere, δ = 0,15. Non di
rado inoltre si pone θ = 0 nella (*), che viene così sostituita dalla seguente:
R(t) – R(t-1) ≡ ΔR(t) = E(t) - δ R(t-1)
(**)
L’equazione corrispondente alla (7.3) in termini di tassi di variazione e scritta in modo da
evidenziare il tasso di crescita della PTF, intesa ora come produttività totale dei fattori convenzionali,
K e L è:
(7.5)
Disponendo di dati su un numero abbastanza grande di imprese (non necessariamente della
stessa industria) o di industrie, per un congruo numero di anni, si possono usare i valori calcolati dei
tassi di crescita della PTF di quelle imprese o industrie per regredirli sui corrispondenti tassi di crescita
del capitale di R&S e stimare così l’elasticità della PTF rispetto al capitale di R&S per ogni anno preso
in considerazione (stima cross section o between). Oppure, per ogni impresa o industria si possono
calcolare i tassi di crescita della PTF nei successivi anni e regredirli sui rispettivi tassi di crescita del
capitale di R&S (stima time series o within). Naturalmente la strategia di stima econometrica, mirata
ad ottenere la migliore stima per γ (non distorta, stabile, ecc.), è alquanto più complessa di come
l’abbiamo descritta (per un esempio vedi Griliches e Lichtenberg (1984 a) )ma non è qui il caso di
entrare nel merito, se non per evidenziare che la stima di un’equazione come la (7.5) presuppone che
le imprese o le industrie abbiano in comune i valori medi di m (tasso della produttività di fondo) e
dell’elasticità γ. Se ciò è accettabile per le imprese, non lo è per le industrie e questa constatazione ha
portato a stimare un’equazione diversa dalla (7.5), ottenuta dalla stessa sostituendovi per γ dalla (7.4) e
per ∆R dalla (**), dopo avere posto δ = 0 (ipotesi che il capitale di R&S non subisce obsolescenza):
(***)
Nella (***) compaiono due grandezze rilevanti: (i) E/Y, il rapporto tra spese per R&S e
valore del prodotto, che è una ben nota misura dell’intensità di ricerca di un’impresa o, come è qui il
caso, di un’industria; e (ii) il prodotto marginale del capitale di R&S ovvero il tasso di rendimento
dell’investimento in R&S. E’ ragionevole ritenere che, in presenza di libertà di entrata nelle varie
217
industrie, questa grandezza tende ad un comune valore che indicheremo con ρ = (
)it = produttività
marginale del capitale reale nell’impresa o industria i nell’anno t. Con ciò la (***) diventa:
(7.6),
e procedendo in maniera analoga e in un contesto analogo a quello in cui si è stimato γ, si stima
.
Una volta noto ρ si può calcolare l’elasticità per ogni impresa i e anno t, osservando che γit = ρ (E/Y)it.
Come osservato a suo tempo da Schankerman (1981) l’inclusione del capitale di R&S come
terzo input in aggiunta agli input convenzionali di lavoro e capitale reale, comporta che si contino due
volte le quantità di questi input impiegate nell’impresa o nell’industria, a meno che non si riducano K
e L, nella (7.3), delle loro componenti dedicate alla R&S. Se non si effettua questo aggiustamento,
deve essere interpretato come un tasso di rendimento in eccesso alle remunerazioni normali degli
input convenzionali, quando tra questi siano inclusi anche quelli impiegati nella ricerca. Questa
interpretazione di
Se
vale a prescindere che il suo calcolo sia fatto a livello d’industria o d’impresa.
, fosse calcolato usando ΔR = E - δR, con δ > 0, si otterrebbe un tasso di rendimento in
eccesso lordo (al lordo dell’obsolescenza del capitale di R&S). Infine, nel caso in cui
fosse
calcolato a livello d’industria, si potrebbe anche dire che esso è un tasso di rendimento in eccesso
lordo sociale, semplicemente perché il rendimento non è riferito all’impresa che ha effettuato
l’investimento, ma al prodotto dell’industria. Nella sezione seguente verrà chiarito che quest’ultima
caratterizzazione del tasso di rendimento ρ, calcolato a livello d’industria, diventa necessaria se
esistono significativi spillovers tecnologici tra le imprese all’interno dell’industria. In caso contrario il
tasso di rendimento in eccesso lordo sociale non sarebbe altro che il comune valore degli analoghi
tassi per le imprese.
In un’ampia rassegna della letteratura sulla stima dei tassi di rendimento degli investimenti in
R&S e dell’elasticità dell’output rispetto al capitale di R&S, Nadiri (1993) conclude che:
(i) i tassi di rendimento e le elasticità calcolati con dati time series sono minori di quelli
calcolati con dati cross section; ma nel complesso
(ii) a livello d’impresa, le elasticità alla R&S hanno valori tra 0,1 e 0,3, mentre i tassi di
rendimento variano tra 0,2 e 0,3, cioè tra 20% e 30%;
(iii)
a livello d’industria le elasticità hanno valori tra 0,08 e 0,3, ed i tassi di rendimento
tra il 20% ed il 40%
(ii) e (iii) indicano che vi è una forte relazione tra R&S e crescita dell’output e della produttività.
Gli studi esaminati da Nadiri (1993) suggeriscono anche che (i) i tassi di rendimento della
R&S finanziata privatamente sono elevati, tra il 27% ed il 60%, mentre quelli della R&S finanziata
dalle autorità pubbliche hanno rendimenti poco significativi o negativi; (ii) i finanziamenti federali
218
della R&S inducono normalmente un’espansione di quelli privati, anche se in particolari industrie i
primi possono effettivamente spiazzare i secondi.
Tenendo presente che i tassi di rendimento sono normalmente calcolati “contando due volte”
gli input della ricerca e sono quindi tassi di rendimento in eccesso a quello normale, i valori riportati
sopra sono chiaramente elevati. Quest’indicazione ha trovato conferme successive. Ad esempio,
Griliches (2000) (p.70) sintetizza i risultati osservando che i tassi stimati dei rendimenti in eccesso
della R&S sono circa il 10% per le imprese e il 25% per le industrie (su questa differenza torneremo
nella sezione 7.1.3).
Questo risultato va però inquadrato in un contesto più realistico del processo innovativo nel
quale l’investimento in R&S è affiancato ad altri investimenti necessari per portare l’innovazione sul
mercato (vedi Sveikauskas (2007)), fra i quali la produzione di un impianto pilota, la formazione di
lavoratori e manager, il coordinamento con l’attività di marketing e altri. Inoltre, come risultava già
dallo studio di Mansfield (1971), i rendimenti degli investimenti in R&S sono altamente rischiosi e ciò
porta a pensare che i loro valori attesi includano un premio per il rischio maggiore di quello medio.
Su un piano metodologico, Nelson (1988) ritiene che i risultati delle regressioni delle PTF
sulla R&S delle industrie non siano plausibili perché è assai verosimile che l’investimento in R&S non
sia in realtà una variabile esogena, come richiesto per la validità dei risultati della stima, ma sia
influenzato insieme alla produttività dalle opportunità tecnologiche (vedi 8.3.7) del settore.
Naturalmente non mancano gli strumenti econometrici per risolvere il problema della simultaneità
posto da Nelson85, ma resta vero che in parallelo sarebbe auspicabile scoprire ed introdurre nuove
variabili per ottenere un quadro teorico più strutturato per spiegare la vera relazione causale tra R&S e
PTF.
Gli studi per la NASA nel periodo post-Apollo. Dopo il successo del progetto Apollo (1969) i bilanci
della NASA entrarono in una fase di rapida contrazione e ciò basterebbe a spiegare perché essa
commissionò una serie di studi che dovevano verificare l’impatto delle sue spese di R&S
sull’economia. Un primo studio del MRI (1971) si basa su un modello molto simile a quello esposto
sopra ma lo applica a livello molto più aggregato, cioè all’intero settore privato non agricolo
dell’economia. Lo studio riprese da Solow (1957) la funzione di produzione (vedi sopra la (7.1)) e
procedette a stimare l’indice della PTF, A(t), tra il 1949 ed il 1968 (trovando un valore di 1,37). Il
passo successivo fu la scelta, basata sull’esame di una varietà di evidenze empiriche, di attribuire alla
R&S nazionale gran parte della crescita di quella produttività. Infine lo studio mise direttamente in
relazione il tasso di crescita del prodotto privato non agricolo nell’anno t, Gt, con una somma
85
Per una concisa e lucida spiegazione, vedi Griliches (2000), p.56 e segg. 219
ponderata delle spese per R&S nei 18 anni precedenti (con pesi minori di 1 e decrescenti, a riflettere
l’indebolimento dei contributi delle spese più lontane alla conoscenza corrente), Rt:
Gt = G(Rt) , con Rt = w0 rt + w1rt-1 + … + wt-18rt-18
(*)
La lunghezza del periodo è stata fissata in funzione delle aspettative di pay-back per le spese
di R&S e della durata della vita dei nuovi prodotti. Lo studio si conclude con il calcolo del tasso di
rendimento della R&S spaziale civile della NASA tra il 1959-1969 (25 mld$, a prezzi del 1958).
Posto che ad esso è risultato imputabile un incremento86 del prodotto privato non agricolo tra il 1970
ed il 1987 pari a181 mld$ (sempre a prezzi del 1958), quel tasso è risultato del 33%.
La ricerca di MRI (1971) ha il limite di non trattare in modo diverso la R&S civile da quella
militare e, all’interno della prima, di non trattare separatamente la R&S mission- oriented della NASA
da quella industriale direttamente rivolta alla redditività.
In Evans (1976) viene offerta un’analisi con la stessa impostazione di MRI (1971) ma
metodologicamente più accurata. Egli considera separatamente gli investimenti in R&S della NASA e
del resto dell’economia e si propone di valutarne l’impatto sul prodotto nazionale lordo (PNL)
potenziale87. A tal fine, dopo avere concluso anche lui in base ad una varietà di considerazioni
empiriche che la R&S è la determinante principale della crescita della PTF, egli stima i parametri di
un’equazione con la quale si regredisce il tasso di crescita della PTF sulle seguenti variabili: (i) ∑ sui
sette anni precedenti delle spese ponderate di R&S della NASA in rapporto al PNL; (ii) idem per le
altre spese di R&S in rapporto al PNL; (iii) un indicatore del grado di utilizzazione della capacità
produttiva; e (iv) un indicatore del mix dei settori produttivi. Il risultato è alquanto diverso da quello di
MRI (1971), visto che il tasso di rendimento dell’investimento in R&S in termini di incrementi del
PNL risulta pari al 43% oppure al 38%, a seconda che si assuma per esso una vita infinita oppure
limitata a 10 anni.
I risultati sugli elevati tassi di rendimento degli investimenti in R&S o R&S spaziale civile
ottenuti nei due studi sopra esaminati non possono essere presi alla lettera per varie ragioni:
(i) entrambi gli studi effettuano delle regressioni tra serie temporali piuttosto brevi, senza effettuare gli
opportuni test circa possibilità di ottenere stime non distorte88;
(ii) nel caso del secondo studio Griliches (1979) ha rilevato che il calcolo del valore del tasso di
rendimento è molto sensibile a cambiamenti, anche secondari, nelle ipotesi; e più importante
(iii) equazioni come le (7.5) e (7.6) stabiliscono un nesso tra investimenti in R&S e produttività senza
tener conto degli (o “controllare”) gli effetti sulla produttività di altre variabili come qualità degli
input, economie di scala, ecc. Questa procedura applicata a livello d’impresa o d’industria è tuttavia,
86
La somma degli incrementi annui ottenuti applicando la (*). 87
La scelta di questa misura dell’output è però meno difendibile di quella del prodotto privato non agricolo di
MRI (1971). 88
Per un’applicazione di alcuni di questi test in un contesto simile vedi alla sezione 9.4.2 220
in prima approssimazione, accettabile e di conseguenza lo sono anche i valori che da esse si ottengono
per il tasso di rendimento, ρ, o l’elasticità, γ. A livello dell’intera economia, invece, il ruolo dei fattori
esclusi dal semplice nesso investimento in R&S/produttività è molto probabilmente più importante che
a livello d’impresa o industria e di conseguenza i risultati sono molto meno accettabili.
Gli effetti degli investimenti in R&S spaziale in un modello di crescita economica. Le precedenti
critiche ai risultati degli studi sugli effetti degli investimenti in R&S della NASA rinviano alla ricerca
di un modello di crescita economica più ricco di contenuto di quello di Solow su cui quegli studi si
fondano. Un tale modello
dovrebbe permettere in primo luogo di isolare l’effetto della R&S aggregata sull’andamento della PTF
dagli effetti di altre variabili sulla crescita della grandezza macroeconomica prescelta; e, in secondo
luogo, la probabile peculiarità della R&S mission-oriented di un’istituzione come la NASA. Il modello
dovrebbe comunque soddisfare il requisito della verificabilità empirica.
Per quanto riguarda le caratteristiche del modello non c’è dubbio che esso deve spiegare il
fatto che il contributo principale di una R&S spaziale mission oriented, come quella della NASA, non
sta tanto nel suo rendimento diretto costituito da un output (le scoperte scientifiche e l’esplorazione
spaziali) praticamente non misurabile, quanto negli aumenti di produttività nei settori dell’economia
che adottano e adattano alle loro esigenze le conoscenze prodotte dalla R&S spaziale. Quegli aumenti
costituiscono un aspetto del fenomeno generale della produzione e diffusione o spillovers delle
conoscenze scientifiche o tecnologiche, che è stato grandemente sviluppato nelle recenti teorie
endogene e d’impronta schumpeteriana dello sviluppo economico89. L’analisi empirica degli spillovers
nazionali ed internazionali è stata approfondita però sostanzialmente solo per quelli relativi alle
industrie del settore manifatturiero, sui quali ci soffermeremo nella sezione seguente.
Per quanto riguarda i dati empirici necessari per verificare l’impatto della R&S di
un’istituzione pubblica come la NASA sullo sviluppo economico di un paese, gli unici che si
avvicinano a soddisfare questa esigenza di quantificazione sistematica sono i dati sui brevetti ottenuti
dalla NASA e, ancor più, quelli sulle loro citazioni90. Nonostante grandi passi avanti nei modi di
utilizzare questo tipo di dati, il ricorso ad essi resta ancora molto laborioso (vedi comunque la sezione
9.5 per un esempio di utilizzazione dei dati sui brevetti).
7.1.2 GLI SPILLOVERS DELLA TECNOLOGIA: DEFINIZIONI E TIPOLOGIE
89
Per delle semplici e chiare introduzioni vedi Jones (2002), capp. 5 e 6 oppure Aghion e Howitt (2009),
capp.3,4,5,7 e 9. 90
Un importante lavoro in questa direzione che chiarisce le questioni metodologiche relative all’uso di dati sui
brevetti e le loro citazioni e che documenta una tendenza della NASA, a partire dal 1980, a sfruttare di più
commercialmente le sue invenzioni, è Jaffé (1998). 221
Spillovers come conseguenza del carattere non rivale della conoscenza o pure knowledge spillovers.
Il concetto di capitale di R&S ha rappresentato un primo fondamentale passo nell’analisi mainstream
delle cause del progresso tecnico, ma ad esso ha fatto ben presto seguito un secondo passo per tenere
conto del fatto che la conoscenza è un tipico bene non rivale nel consumo. Ciò porta a chiamare
spillover di conoscenza tecnologica il fenomeno per cui le conoscenze tecnologiche provenienti dai
laboratori di R&S di un’impresa o di un’istituzione di ricerca pubblica possono essere usate anche da
altre imprese, senza per questo essere esaurite. Nella stragrande maggioranza dei casi questo
trasferimento di conoscenze non avviene attraverso uno scambio di mercato con pagamento del
relativo prezzo e quindi si può dire che esso rientra nell’ampia categoria delle esternalità (gli effetti
delle azioni di un’unità economica su un’altra o altre non mediati da scambi di mercato o d’altro tipo
tra le parti coinvolte). Il concetto di spillovers non coincide però con quello di esternalità, anche se è
diffusa la prassi di usare i relativi termini come sinonimi, in quanto il primo può avere luogo anche
attraverso uno scambio con pagamento di prezzo, come avviene quando si acquista una licenza d’uso
di un brevetto.
La questione dell’esistenza o meno di spillovers va anche tenuta distinta dalla questione del
costo che deve sostenere chi adotta un’invenzione ottenuta da altri. La dimensione di questo costo
dipenderà dalla specifica natura della conoscenza (più o meno codificata o più o meno complementare
ad altre conoscenze, esplicite o tacite, e così via) e dalle modalità con cui essa si trasferisce (vedi
sezione 8.4.5), ma la sua esistenza è documentata inequivocabilmente dalle ricerche empiriche. Invero,
vi sono modelli teorici (vedi Griffith e altri (2000)) che formalizzano l’intuizione empirica che la R&S
di un’impresa o industria svolge, oltre alla funzione primaria di produrre la “sua” conoscenza, anche
quella di permettere un vantaggioso assorbimento delle conoscenze prodotte in altre imprese o
industrie più avanzate91.
I cosiddetti “ rent spillovers”. L’effetto di uno spillover di conoscenza per l’impresa ricevente è un
aumento di produttività conseguente all’utilizzazione di conoscenze relative a nuovi processi
produttivi o nuovi e migliori prodotti che rappresentano i frutti del progresso tecnico altrui, al netto dei
costi sostenuti per la loro introduzione nell’impresa92. Una situazione particolare sorge quando il
progresso tecnico determina un miglioramento della qualità di un bene capitale (bene di produzione
durevole) o intermedio (bene di produzione non durevole)93. In tal caso un miglioramento della qualità
91
Per una verifica empirica della natura duale della R&S (fattore di produttività e fattore di assorbimento) vedi
Griffith e altri (2004). 92
D’ora in avanti ometteremo per semplicità d’esposizione di fare questa precisazione. 93
Ci siamo già soffermati su questo fenomeno nel capitolo 2 dove abbiamo analizzato l’impatto degli
investimenti in R&S dell’ISP, volti a migliorare la qualità dei suoi prodotti, sui consumatori finali dei servizi
satellitari. Qui ci limiteremo all’analisi dei benefici per le industrie fornitrici ed utilizzatrice del bene intermedio. 222
del bene intermedio si traduce in una sua maggiore capacità produttiva e, quindi, in un maggiore
prodotto dell’industria che lo utilizza. A parità degli altri input impiegate nella produzione dalle
industrie fornitrice ed utilizzatrice, considerate come una sola industria verticalmente integrata, si
registra quindi un aumento della PTF, che dovrebbe però essere imputato interamente all’industria
fornitrice.
Ciò avverrebbe se l’istituto di statistica valutasse correttamente la quantità del bene
intermedio, calcolando il suo indice edonico della quantità (vedi riquadro 7.1), che porterebbe a
ricontare una unità del bene di qualità superiore come più unità del bene della vecchia qualità. Ma se,
come in pratica avviene non si procede o si procede solo parzialmente al calcolo dell’indice edonico
della quantità, allora l’aumento della produttività verrebbe imputato, in tutto o in parte, ma comunque
erroneamente all’industria utilizzatrice. Si supponga che l’industria fornitrice sia l’ISP e che quella
utilizzatrice sia l’industria che fornisce servizi satellitari fissi. La produzione di un satellite per TLC di
qualità migliore, col 50% in più di capacità di servizio, da parte di Astrium dovrebbe fare aumentare la
sua produzione non di 1 ma di 1,5 satelliti (prendendo come standard il satellite con la qualità
originaria), con un incremento di produttività del 50%. In tal modo, per Eutelsat non si registrerebbe
alcun aumento di produttività. Se invece si equiparasse un satellite nuovo ad uno vecchio, tutto
l’incremento di produttività di Astrium verrebbe erroneamente attribuito ad Eutelseat, che con 1
satellite produrrebbe ora 1,5 servizi.
Diversa concettualmente dalla questione della corretta imputazione dell’incremento di PTF è
quella della spartizione del beneficio o rendita monetaria che ne deriva alle due industrie, dato che
esse a parità di costi di tutti gli altri input ottengono insieme più ricavi (per l’aumento della quantità
prodotta del bene finale). Questa spartizione dipenderà ovviamente dalle condizioni di mercato del
bene intermedio (concorrenziali, monopolistiche o ad’altro tipo).
Nel caso limite in cui le imprese produttrici fossero in forte concorrenza tra loro (come è
avvenuto per due delle imprese leader nel mercato dei microprocessori) ed il costo del bene intermedio
migliorato fosse uguale al prezzo del bene precedente il miglioramento, la concorrenza porterebbe le
imprese dell’industria utilizzatrice a pagare lo stesso prezzo per un bene più produttivo incassando
così l’intera rendita creata dall’innovazione di qualità. Se, nello stesso tempo, l’istituto di statistica non
facesse nessuna correzione edonica verso l’alto alla quantità (e, coerentemente, verso il basso del
prezzo), le statistiche registrerebbero anche un incremento di PTF per l’industria utilizzatrice.
Griliches (1979) si riferì per primo a questo fenomeno chiamandolo rent spillover, riconoscendolo
non come un fenomeno reale, come lo è lo spillover di conoscenza, ma come il risultato di
(praticamente inevitabili) errori di calcolo da parte degli istituti di statistica e di paralleli “errori” da
parte del mercato (su quest’ultimo punto vedi Griliches e Lichtenberg (1984 b)
L’analisi svolta dei cosiddetti rent spillovers ci ha portato a concludere che la loro presenza
non è indicativa di un aumento della PTF nell’industria utilizzatrice dei beni intermedi (e capitali)
223
migliorati, ma naturalmente resta vero il fatto, già ricordato nella sezione 7.1.1 che il miglioramento
tecnologico della qualità di quei beni è un canale molto importante attraverso il quale il progresso
tecnico determina aumenti della PTF per l’aggregato dei settori industriali. Nel corso dello sviluppo
economico moderno il progresso tecnico ha a più riprese prodotto nuove tecnologie chiamate General
Purpose Technologies (GPT) o, meglio nuovi beni di produzione, la cui ampia diffusione ha generato
forti aumenti della crescita economica94. Esempi storici sono stati il motore a vapore, l’elettricità, il
laser, i turbo reattori e, per ultimo, l’information technology (IT)
Infine va anche evidenziato che il rapporto che si stabilisce tra produttore ed utilizzatore di un
bene intermedio ad essi specifico è per entrambi uno stimolo a scoprire miglioramenti tecnologici
collegati alla produzione e all’impiego di quel bene. Nel caso delle GPT lo stimolo all’innovazione di
nuovi beni da parte delle imprese che le utilizzano è per definizione pervasivo. Gli aumenti di
produttività che ne conseguono in entrambe le industrie non possono essere imputati a dei veri e propri
spillovers di conoscenze, ma la situazione di stimolo reciproco che ne è la causa non è forse molto
diversa da quella degli spillovers.
RIQUADRO 7. 1
CALCOLO DEI PREZZI EDONICI (HEDONIC
PRICES): UN ESEMPIO
Nel periodo zero l’industria dei satelliti ha prodotto N0 = 10 satelliti e li ha
venduti ad un prezzo unitario p0 = 100€, con ricavi V0 = 1.000€. Nel periodo 1
sono stati prodotti N1 = 15 satelliti, venduti ad un prezzo p1 = 200€, con ricavi V1
= 3.000. In un caso come questo, con un solo bene, si possono calcolare
separatamente i numeri indici della quantità 15/10 = 1,5, del prezzo 200/100 = 2 e
del valore 3.000/1.000 = 3. Nel caso con due o più beni bisogna invece scegliere
una formula di aggregazione degli indici individuali per costruire gli opportuni
indici aggregati delle quantità e dei prezzi.
Poiché in pratica i valori sono il dato più facile da reperire ed è anche più
facile costruire direttamente indici dei prezzi, l’indice delle quantità viene
calcolato indirettamente nel seguente modo: si deflaziona il valore delle vendite
nel periodo 1 con l’indice dei prezzi, al fine di calcolare le vendite reali di quel
periodo, V1R ; e si divide questo valore per il valore delle vendite iniziali.
Applicando questa procedura al nostro esempio, solo al fine di illustrare il caso
con più beni, si ottiene:
94
Per un’introduzione al ruolo delle GPT nello sviluppo economico, vedi Aghion e Howitt (2009), cap.9 224
V1R = V1 /(p1/p0) = 3.000/(200/100) = 1.500, per cui
Indice delle quantità = V1R/V0 = 1.5
Le precedenti elaborazioni danno dei risultati corretti solo se “un satellite è
un satellite”. Sappiamo invece che i satelliti, anche dello stesso tipo (ad esempio
satelliti FSS), sono diversi per il continuo progresso tecnico. Per definire questa
diversità si suppone che un satellite sia descritto da un insieme di caratteristiche
relative ai suoi servizi (nel caso di un satellite per TLC: volume dei messaggi,
grado di precisione degli stessi, ecc.) espresse in termini quantitativi.
Immaginiamo che nel nostro esempio, confrontando e “pesando” una ad una
queste caratteristiche, si trovi che un satellite del periodo 1 equivale a due satelliti
del periodo zero. E’ chiaro che in questo caso i precedenti calcoli dei numeri indici
danno delle misure erronee: sottostimano la crescita dell’output e sovrastimano
l’indice dell’inflazione nell’industria dei satelliti. Un modo di eliminare queste
distorsioni è di correggere l’indice dei prezzi verso il basso, dividendolo per
l’indice della qualità del satellite, cioè calcolando l’indice edonico del prezzo.
Nel nostro esempio: (p1/p0)H = (p1/p0)/2 = (200/100)/2 = 1. Le vendite reali del
periodo 1 sono ora date da:
V1R = V1 /(p1/p0)H = 3.000/[(200/100)/2]= 3.000; e
Indice edonico della quantità = 3.000/1.000 = 3Ovviamente, nel nostro
esempio con un bene solo avremmo potuto osservare che, nel periodo zero, la
produzione di 10 satelliti vecchi ad un prezzo unitario di 100€ equivaleva alla
produzione di 5 satelliti nuovi ad un prezzo unitario di 200€, e calcolare
separatamente: indice edonico delle quantità = 15/5 = 3 e indice edonico dei prezzi
= 200/200 = 1.
Il nostro esempio riguarda un caso limite nel quale l’indice dell’inflazione
risulta esattamente uguale all’indice della qualità del satellite e l’indice edonico
dei prezzi è uguale ad 1. Quando l’innovazione avviene in un clima fortemente
competitivo, nel quale le imprese puntano non solo sullo scavalcamento
tecnologico delle rivali ma anche sul ribasso dei prezzi, l’indice dell’inflazione
risulta inferiore all’indice di qualità del prodotto e l’indice edonico dei prezzi
risulta inferiore ad 1. Nel caso opposto, in cui dominasse un’impresa
225
monopolistica, l’indice dell’inflazione potrebbe eccedere quello della qualità e
l’indice edonico risulterebbe maggiore di 1.
Nel testo ci si sofferma sul fatto che il calcolo dell’indice delle quantità
senza la correzione edonica dei prezzi porta a sottovalutare la crescita dell’output e
della produttività nel settore dei satelliti e, corrispondentemente, a sopravvalutare
la crescita della produttività del settore dei servizi del satellite, dato che l’output
del settore dei satelliti è anche l’input del settore dei servizi satellitari.
Una tipologia degli spillovers. Il fenomeno degli spillovers può avere luogo all’interno di
un’impresa, quando le invenzioni realizzate in una divisione o impianto possono essere utilizzate da
altre divisioni o impianti. Per le imprese dei settori dell’aerospazio e della difesa l’esistenza di
spillovers è associata alla natura dual use della ricerca più di base e, in questo caso, un modo ottimale
di gestire gli spillovers potrebbe essere quello di portare in un unico laboratorio la R&S di base,
lasciando alle varie divisioni civili e militari di svolgere le ricerche più applicate funzionali ai loro
prodotti. Nella sezione seguente vedremo che un fenomeno analogo si può verificare per le imprese
spaziali, con degli spillovers (i) che vanno dalle attività rivolte all’esecuzione di un contratto con
l’ESA verso altre attività; oppure (ii) che portano alla creazione di nuove attività sotto forma di nuove
divisioni o nuove imprese (controllate). In questo rapporto ci siamo riferiti e ci riferiremo a questo
secondo fenomeno con il termine di spin-off.
Una seconda categoria di spillovers riguarda quelli interni ad un’industria. Questi non solo
sono importanti in pratica ma hanno avuto ed hanno anche un’importante rilevanza teorica, che risale
al contributo fondante di A.Marshall. Ricordando che la presenza di rendimenti di scala crescenti
ovvero di economie di scala è incompatibile con la concorrenza perfetta, perché esse portano ad
imprese sufficientemente grandi da adottare comportamenti monopolistici (cioè, manovrare i prezzi
invece di prenderli come dati, come avviene con la concorrenza perfetta), la presenza di spillovers tra
le imprese di un’industria permette di assumere un settore perfettamente concorrenziale nel quale (i)
ogni impresa percepisce la sua tecnologia come se fosse a rendimenti di scala costanti e resta
abbastanza piccola da prendere il prezzo di mercato come dato; ma (ii) la tecnologia dell’industria
risulta a rendimenti di scala crescenti per l’effetto degli spillovers sulla produttività di ogni impresa95.
Infine vi sono gli spillovers tra imprese in diverse industrie o, ad un livello di aggregazione
maggiore, gli spillovers tra industrie. La loro esistenza è riconducibile al fatto che le tecnologie di
95
Questi spillovers tecnologici hanno anche una dimensione spaziale. In questo caso essi, insieme ad altri fattori
come l’esistenza di un ampio mercato del lavoro specializzato e di una rete locale di fornitori specializzati,
concorrono a favorire l’agglomerazione delle imprese di un settore in aree molto ristrette (distretti industriali). 226
imprese o industrie diverse perché producono beni diversi, possono avere alcuni input o processi
produttivi in comune o anche perché gli output di alcune industrie possono avere delle proprietà utili
per gli input di altre industrie, senza che queste usino quegli output come beni intermedi. Questa
circostanza è responsabile del fatto che la classificazione dei brevetti produce un sistema di categorie
che non si sovrappongo a quelle ottenute con la classificazione industriale delle attività economiche.
Come vedremo nella sezione 7.1.3 ciò complica l’analisi empirica degli spillovers di conoscenza.
7.1.3 MODELLI PER LA ANALISI DELLA R&S IN PRESENZA DI SPILLOVERS
La funzione di produzione aumentata dalla R&S importata. La formalizzazione del fenomeno degli
spillovers ai fini della loro verifica empirica nella letteratura mainstream sul progresso tecnico si basa
sull’osservazione che gli spillovers della conoscenza possono essere visti come flussi che
incrementano uno stock di R&S importata da altre imprese o industrie. Questo stock diventa un input
aggiuntivo nella funzione di produzione (7.3) che diventa:
Yit = exp(mt) Kitα Litβ Ritγ RIitμ
(7.7)
dove RI è lo stock di R&S importata; e dove i indica una specifica impresa e t uno specifico anno.
I parametri di cui ci interessano qui i valori sono γ, l’elasticità del prodotto rispetto al capitale
di R&S interna; e μ, l’elasticità del prodotto rispetto al capitale di R&S importata. Inoltre, nello stesso
modo in cui dalla (7.3) siamo passati alla (7.5) e quindi alla (7.6) con la quale abbiamo stimato il tasso
di rendimento dell’investimento in R&S dell’impresa o industria, così dalla (7.7) si può passare ad
un’equazione analoga alla (7.6) che ci permette di stimare i tassi di rendimento degli investimenti della
R&S interna e di quella importata:
= m+ρ
+
(7.8)
In una terminologia abbastanza diffusa il primo, ρ, viene chiamato tasso di rendimento diretto della
R&S, il secondo,
tasso di rendimento indiretto della R&S e la loro somma è chiamata tasso di
rendimento sociale della R&S (vedi Nadiri (1993), Sveikauskas (2007))
Il problema da risolvere riguarda la scelta di una variabile empiricamente misurabile che sia
una buona proxy di RI. La scelta dipenderà oltre che ovviamente dalla possibilità di raccolta dei dati
anche dal tipo di spillovers sui quali si vuole indagare. Vediamo quindi alcune delle soluzioni tipiche
presentate nella letteratura.
Nel caso si fosse interessati agli spillovers tra imprese all’interno di industria una scelta
abbastanza comoda e ragionevole è di porre per ogni impresa i : RIit = Rt. Ciò significa che ogni
227
impresa trae lo stesso beneficio in termini di maggiori conoscenze attinte a tutte quelle prodotte
nell’industria (“che girano nell’aria” come diceva A. Marshall). La (7.7) diventa così:
Yit = exp(mt) Kitα Litβ Ritγ RIμ
(7.7)’
dove RIt = ∑ RIit e tutti i coefficienti sono positivi. Questa formulazione permette anche di illustrare
quanto osservato sopra circa il fatto che le imprese “vedono” le loro tecnologie come se fossero a
rendimenti di scala costanti (nella (7.7)’ l’impresa non vede RI ma vede che α + β + γ = 1), mentre la
tecnologia dell’industria è a rendimenti di scala crescenti. Sommando ambo i membri della (7.7)’ si
ottiene, con l’ipotesi che l’industria sia in un equilibrio perfettamente concorrenziale,
Yt = exp(mt) Ktα Ltβ Rtγ+μ
(7.7)’’,
dove Yt = ∑ Yit, Kt = ∑ Kit e Lt = ∑ Lit .
Poiché α + β + γ + μ > 1 l’industria è a rendimenti di scala crescenti: la PTF dell’industria aumenta
all’aumentare delle sue dimensioni. E di ciò se ne accorgono anche le imprese che registrano, ex post,
l’effetto del termine degli spillovers, RIμ.
Il modello appena esposto serve più che altro a fissare il concetto di stock di spillovers
importati e a suggerire come la loro presenza stimoli aumenti di produttività, ma la sua applicazione
alla realtà esige una sua riformulazione più flessibile. In particolare, bisogna tenere conto che gli
spillovers vanno in realtà da impresa ad impresa oppure, se l’analisi fosse condotta prendendo come
unità le industrie, da industria ad industria. In tal caso lo stock di R&S importata da un’impresa (o
industria) sarà dato dalla sommatoria degli stock di R&S delle altre imprese o industrie ponderati con
dei coefficienti i cui valori (tra zero ed uno, con somme uguali ad uno) sono proporzionali
all’intensità dello spillovers tra le imprese (o industrie) coinvolte.
In formule abbiamo (lasciando cadere l’indicazione del tempo):
RIi = ∑ ωij Rj
, per j = 1,....I e i
j; e 0 ≤ ωij
≤ 1 con ∑ ωij = 1
(7.9)
dove I è il numero delle imprese o industrie; e ωij , il coefficiente di spillover, che misura l’intensità
dello spillovers tra l’impresa o l’industria ricevente i e tutte le altre. Si noti che la ∑ che compare nella
(7.9), può essere scritta per tutte le I unità di analisi, e quindi il network di spillovers tra di esse viene
rappresentato con una matrice di coefficienti di spillover.
Un aspetto interessante della (7.9) è che essa può essere applicata al caso particolarmente
rilevante in pratica e spesso studiato nella letteratura in cui vi siano spillovers tra imprese appartenenti
a diverse industrie. La domanda che essa si pone è: come si possono determinare empiricamente i
valori degli ω?
Una rassegna completa delle risposte obbligherebbe ad entrare in argomentazioni intricate che non
sono qui rilevanti. Vale però la pena richiamare le principali impostazioni.
Seguendo i contributi pionieristici di Scherer (1982), (1984) una serie di autori hanno
calcolato i valori dei coefficienti di spillover, identificandoli con i valori degli elementi di una matrice
228
di flussi di variabili alle quali si può pensare che siano associati gli spillovers. Nel suo contributo
originario Scherer (1982) calcolò (i) la distribuzione incrociata di un gran numero di brevetti tra le
industrie in cui erano stati ottenuti e tra le industrie in cui ci si aspettava che i nuovi prodotti sarebbero
stati principalmente utilizzati; e (ii) utilizzò i valori dei coefficienti così ottenuti come coefficienti di
spillover. Egli si concentrò sugli effetti degli investimenti in R&S sulla produttività del lavoro e
calcolò i tassi di rendimento diretto ed indiretto usando un’equazione diversa dalla (7.8) in quanto
come variabile dipendente aveva il tasso di variazione della produttività del lavoro e tra le variabili
dipendenti aveva il capitale per lavoratore.
Egli trovò che il rendimento dell’investimento interno in R&S (per lui rivolto all’innovazione
di prodotto) costituiva una piccola frazione del rendimento dell’investimento importato o dovuto agli
spillovers o, nella sua terminologia, “usato” (che per lui era dovuto in parte all’innovazione nel bene
intermedio acquistato ed in parte alla correlata innovazione di processo produttivo).
La metodologia della matrice dei flussi di Scherer fu adottata in numerosi studi successivi, nei
quali si trasformò spesso in una normale matrice input-output o anche in una piccola parte di questa
matrice, in base all’ipotesi che le innovazioni tecnologiche di un settore circolano maggiormente verso
il settore che risultano essere i suoi principali acquirenti (vedi Tsai e Wang (2004) per un interessante
esempio), La nostra discussione precedente sui rent spillovers ci suggerisce però che quelli individuati
da Scherer (1982) e dagli autori che hanno seguito la sua metodologia rientrano in quella categoria e
lasciano quindi aperta la domanda sull’esistenza degli spillovers di pura conoscenza.
La risposta a questa domanda è venuta da un altro filone di analisi empiriche nelle quali il
calcolo dei valori dei coefficienti della matrice degli spillovers si basa su dati sui brevetti ottenuti dalle
varie unità (imprese o industrie), classificati secondo le categorie tecnologiche dell’ufficio dei brevetti
degli Usa o di quello europeo, nella scia del lavoro pionieristico di Jaffé (1986)96 Lo strumento chiave
di questo lavoro è un indice di distanza tecnologica ottenuto nel modo seguente. Per ogni unità, i, si
costruisce un vettore i cui elementi sono le quote relative dei numeri di brevetti delle varie categorie
tecnologiche rispetto al numero totale dei brevetti: Zi = (z1i, z2i,...,zNi), dove N è il numero delle
categorie tecnologiche, zni sono le quote relative, con zni ≥ 0 e ∑ zni= 1. Per indice di distanza
tecnologica tra due unità, i e j, Jaffé sceglie la correlazione non centrata dei vettori Zi e Zj, data da
ωij =
dove appaiono i prodotti scalari dei vettori rilevanti. Se due imprese sono tecnologicamente uguali
sarà: Zi = Zj e quindi ωij = ωji: tutta la R&S di j è importata da i e viceversa.
96
Per delle utili discussioni di questa metodologia anche in rapporto ad altre, vedi fra gli altri Griliches (1992),
Verspagen (1997) e Los e Verspagen (2000). 229
Usando una matrice di coefficienti che riflettono in linea di principio solo aspetti puramente
tecnologici, il calcolo della R&S importata nel settore da ogni altro settore j consente di interpretare
questa grandezza come una misura di spillovers tecnologici di pura conoscenza.
Il modello di Bernstein - Nadiri: una funzione di costo aumentata dalla R&S importata. La
valutazione dell’impatto della R&S sulla produttività, può essere ottenuta con un metodo alternativo
ma equivalente a quelli finora visti, basati sul ricorso alla funzione di produzione per il calcolo diretto
dell’elasticità dell’output alla R&S, interna ed importata, o per il calcolo dei tassi di rendimento diretto
ed indiretto della R&S. Il metodo in questione, di cui sono stati pionieri Bernstein e Nadiri (1988),
consiste nel valutare l’impatto della R&S, sia interna che importata, sul costo di produzione97
stimando i parametri di una funzione del costo minimo di breve periodo (nel quale gli stock di
conoscenze sono costanti), dai quali si può poi risalire alle elasticità e tassi di rendimento ottenuti
direttamente con il primo metodo. Con il secondo metodo si verifica invece direttamente se un
investimento in R&S comporta minori costi non solo per l’impresa che lo effettua ma anche per le
altre imprese che ne ricevono gli spillovers. La funzione di costo, spostandosi dal livello dell’impresa
a quello dell’industria, è quindi del seguente tipo:
Ci = Ci (prezzo di Yi; prezzi di Ki,Li, beni intermedi da j
i; Yi; Ri; Rj, per j
i)
(*)
dove Ci è il costo del prodotto Yi.
Bernstein e Nadiri assumono che il coefficiente di spillover da un’industria j all’industria i sia
uguale al corrispondente coefficiente della tavola input-output, che dà la quota relativa delle vendite
dalla prima alla seconda, sul totale. Essi trovano che il costo di ogni industria i diminuisce quando
aumentano gli stock di R&S delle altre industrie; cioè una chiara evidenza empirica di spillovers.
Il metodo seguito da Bernstein e Nadiri (1988) per calcolare i loro coefficienti di spillover
tende ad identificarli con le innovazioni incorporate nei beni intermedi, vale a dire con dei rent
spillovers. Un lavoro recente di Aiello e Cardamone (2008) sfugge a questo limite, calcolando i
coefficienti di spillover con l’indice di distanza tecnologica di Jaffé98. Essi stimano i parametri di una
funzione di costo del tipo (*) per più di 1.000 imprese manifatturiere italiane, nel periodo 1998 – 2003.
Essi trovano in definitiva che gli spillovers della pura conoscenza nell’industria manifatturiera italiana
sono pervasivi: l’elasticità del prodotto rispetto agli stock di R&S importata via quegli spillovers è
sempre positiva e statisticamente significativa.
97
Così come il presupposto del primo metodo è la massimizzazione del profitto, la minimizzazione del costo è il
presupposto del secondo metodo. Se un’impresa massimizza il profitto i due metodi sono equivalenti, perché la
massimizzazione del profitto implica la minimizzazione del costo. 98
Essi impiegano in effetti un coefficiente di spillover che è la media aritmetica dell’indice di distanza
tecnologica e di un indice di distanza geografica, nell’ipotesi che anche questa variabile incida sull’intensità
degli spillover. Le loro stime confermano tale ipotesi. 230
Le indicazioni empiriche sull’importanza degli spillovers. Nelle precedenti discussioni dei modelli
che definiscono gli effetti delle R&S sul tasso di crescita della produttività totale, direttamente o
attraverso gli spillovers, abbiamo avuto modo a più riprese di notare che le verifiche empiriche dei
modelli portavano ad accettare le ipotesi che quegli effetti erano positivi e cospicui. Nella letteratura
non sono mancate rassegne sui risultati empirici che hanno cercato di stabilire delle uniformità pur
partendo da risultati molto variabili. Cercheremo qui di trarre delle nostre conclusioni basate su una
loro selezione ragionata. Si è già visto (sezione 7.1.1) che Nadiri (1993) riportava valori positivi per le
elasticità dell’output rispetto alla R&S diretta e valori positivi e decisamente elevati (ricordando che si
tratta di solito di tasso di rendimento in eccesso a quello normale) per i tassi di rendimento degli
investimenti in R&S, sia a livello d’imprese (con una media del 30%) che d’industria (con una media
del 26%).
Valori elevati di ρ sono una chiara indicazione che la R&S ha una forte influenza diretta sul
tasso di crescita della produttività totale dell’impresa o dell’industria. Il fatto che i tassi calcolati di
rendimento a livello d’industria non siano superiori a quelli a livello d’impresa non quadra con
l’aspettativa che vi siano significati spillovers all’interno di ogni industria. Questo è però un risultato
che non viene confermato in diversi altri contesti. Ad esempio con Griliches (2000) (pagg.69-70) che
trova a livello d’industria un tasso di rendimento sociale (che nella sua terminologia diventa “privato
per l’industria”) del 25%, ben maggiore di quello del 10% calcolato a livello d’impresa. Questo
risultato ottenuto con dati per 19 industrie manifatturiere (a 1 cifra) è particolarmente importante per
questa ricerca, perché quadra perfettamente con i risultatati delle analisi bivariate e multivariate del
capitolo 9.
Ma l’evidenza empirica massiccia in favore del contributo positivo degli spillovers alla
crescita della produttività totale, proviene dai numerosissimi studi che, stimando equazioni come la
(7.7) o (7.8), hanno depurato, rispettivamente, l’elasticità del prodotto alla, o il tasso di rendimento
della, R&S interna dell’impresa o industria del contributo di quella derivante dall’esterno, sotto forma
di spillovers. Così (i) Griliches (2000) riporta i risultati di studi che trovano, a livello d’impresa e
d’industria, un’elasticità del prodotto alla R&S importata con valori che sono tipicamente 3 – 5 volte
quelli della corrispondente elasticità alla R&S interna; (ii) Mohnen (1996) (citato in Sveiskauskas
(2007)) conclude che il tasso di rendimento della R&S esterna eccede in percentuali che vanno dal
50% al 100% di quello della R&S interna; e (iii) Griliches (1902) e Sveikauskas (2007) che portano
risultati di studi a livello d’industria dai quali risultano in maniera abbastanza uniforme che “gli
spillovers contribuiscono per circa tre quinti al rendimento totale della R&S” (Sveikauskas, (2007),
p.8).
231
7.2 SPILLOVERS INTERNI ALLE IMPRESE ED AL SETTORE SPAZIALE
Gli spillovers all’interno delle imprese possono riguardare tecnologie molto vicine, fino al
punto di essere varianti della stessa tecnologia. In tal caso un miglioramento tecnologico nella qualità
di un prodotto può essere utilizzato per migliorare la qualità di altri prodotti. Ciò può avvenire sia per
una piccola impresa interessata all’allargamento della gamma delle sue varietà di prodotto, sia per una
grande impresa con prodotti diversi, ottenuti però da tecnologie con importanti elementi comuni (dual
use technologies). Il secondo caso è ben rappresentato dalle imprese o gruppi aerospaziali che
possono sfruttare gli spillovers tecnologici tra le produzioni di velivoli militari e civili. L’importanza
degli spillovers interni all’impresa dipende non solo dalle potenzialità tecnologiche, ma anche dalla
capacità dell’impresa di far circolare le conoscenze al suo interno, tra le sue varie unità produttive o tra
le sue varie divisioni.
Come abbiamo già visto a più riprese (sez. 1.2, tabella 3.6 e sez. 6.2), la domanda pubblica da
parte dei governi europei e dell’ESA gioca un ruolo preminente per l’ISP, non solo in termini
quantitativi ma anche per l’elevato contenuto tecnologico richiesto in molti contratti (quelli “nobili”
in contrapposizione ai contratti che richiedono tecnologie mediamente o poco o per nulla avanzate).
Da qui nasce l’opportunità per le imprese, grandi e piccole, di sfruttare le conoscenze tecnologiche in
senso stretto e le competenze organizzative acquisite nell’esecuzione dei contratti per l’ESA o per le
agenzie nazionali, per diversificarsi (i) sviluppando nuovi prodotti dell’ISP; (ii) entrando nel settore
dei servizi spaziali o (iii) sviluppando beni e servizi per settori esterni a quello spaziale.
Due interessanti tentativi di valutare la rilevanza per l’impresa degli spin-offs delle attività
spaziali svolte nell’ambito di contratti ESA o con agenzie spaziali nazionali, sono quelli recentemente
fatti per le imprese dei settori spaziali della Norvegia e Danimarca.
L’effetto spin-off secondo il Norwegian Space Center. Per i governi che sostengono le imprese
spaziali attraverso contratti per l’acquisto di prodotti o per lo svolgimento di attività di R&S99 è
naturale guardare alle relative spese come a degli “investimenti” per la promozione dei loro settori
spaziali. Inoltre è anche naturale che nei rendimenti di quegli investimenti i governi includano otre a
quelli direttamente riconducibili ai contratti ESA anche quelli riconducibili ad altre attività produttive
99
Secondo Danish Agency (2008) la parte principale del bilancio dell’ESA impegnato in contratti alle imprese
(pari al 90% del suo bilancio totale) riguarda contratti relativi ad attività di R&S. 232
dell’impresa, spaziali o non spaziali, rese possibili dall’esperienza fatta nelle produzioni svolte
nell’ambito dei contratti ESA iniziali. Il termine “investimenti” è messo tra virgolette perché si tratta
di spese che sostengono non solo l’attività di R&S o la creazione di nuove capacità produttive delle
imprese ma anche, ed in parte non trascurabile, attività di produzione corrente.
Con in mente un quadro di questo tipo il Norwegian Space Center ha presentato nel suo
rapporto per il 2007 (vedi Norwegian (2008)) il calcolo di un effetto spin-off dato dal rapporto tra l’
incremento di fatturato delle imprese del settore spaziale in un anno ed i finanziamenti ESA e
governativi nello stesso anno. Il calcolo si basa sui dati forniti da 25 imprese e dà dei valori che sono
saliti rapidamente da 3,4 nel 1997 a 4,6 nel 2007. Si tratta di una tendenza che suggerisce una
crescente produttività marginale della spesa pubblica ma è evidente che, in mancanza di
informazioni sui contenuti di questa spesa, sugli sfasamenti temporali tra spesa e risultati, sui
meccanismi che portano il fatturato dell’impresa ad aumentare di un multiplo (maggiore di uno) del
valore del contratto iniziale con ASI/governo e su altre varie circostanze, non si può pretendere di
andare al di là del suggerimento.
Lo spin-offs factor secondo la Danish Agency for Science, Technology and Innovation. All’inizio
del 2008 la Danish Agency for Science, Technology and Innovation (in Danish Agency (2008)) ha
presentato il calcolo di un indice analogo al precedente, esplicitando accuratamente le ipotesi usate per
la definizione delle grandezze rapportate. Poiché la spesa pubblica spaziale della Danimarca passa
pressoché interamente attraverso l’ESA, al denominatore compare il valore dei contributi del governo
danese all’ESA nel 2000-2007 (moltiplicato per 1,2 per tenere conto dei costi dovuti agli effetti
distorcenti delle tasse richieste per finanziare la spesa pubblica): 1,2 × CONTRATESA.
Al
numeratore compare invece, sempre per il 200-2007, l’effetto diretto di questi contratti, pari al valore
dei contratti ottenuti dalle imprese danesi o fatturato ESA nello stesso periodo, ridotto della quota di
quei contratti passati ai subfornitori esteri (FATTESTE) e l’effetto indiretto, pari al valore dei
contratti o fatturato (FATTIND) ottenuto “by Danish ESA-contractors due to access to new
technologies and know-how obtained through ESA-contracts, and due to the increate competitiveness
achieved through involvement in ESA-contracts” (Danish Agency (2008), p.26). In sintesi, si calcola il
seguente spin-off factor, SF:
SF =
A differenza dello spin-offs effect, SF rappresenta una grandezza media che, secondo i suoi
proponenti può essere inteso come una grandezza indicativa di un vero e proprio tasso di rendimento
dell’investimento pubblico nello spazio. Questa è una interpretazione senz’altro suggestiva, anche se si
base su alcune ardite ipotesi, tra le quali spiccano (i) l’ipotesi, già accennata sopra, che i contratti ESA
non remunerino attività produttive correnti; e (ii) l’ipotesi di misurare i rendimenti di un investimento
233
con il fatturato invece che con un cash flow, ottenuto come differenza tra il fatturato stesso e la
somma dei costi dei beni intermedi e del costo del lavoro. Per il periodo 2000-2007 il valore di
CONTRATESA è stato di 97,4 mln€; quello di (FATTESA – FATTESTE) di 99,3mln€ e quello di
FATTIND di 462,6 mln€. Con queste cifre si ottiene: SF = 4,5. Un coefficiente dell’ordine di
grandezza dello spin - offs effect norvegese nel 2007.
I concetti e la metodologia del gruppo BETA. In una serie di studi degli anni ottanta del secolo
scorso, di cui danno conto Cohendet (1997) e Bach e altri (2002), un gruppo di economisti del Bureau
d’Economie Théorique et Appliqué (BETA) dell’Università L.Pasteur di Strasburgo ha condotto delle
analisi dettagliate sugli effetti per un’impresa conseguenti all’assegnazione di contratti da parte
dell’ESA. Si tratta di analisi volte ad appurare, al di là degli effetti diretti relativi all’esecuzione del
contratto, gli effetti indiretti di ogni tipo ai quali gli autori si riferiscono con il termine di spin- offs.
Tra questi effetti vi sono naturalmente non solo quelli tecnologici, corrispondenti ai nostri spillovers,
ma anche altri effetti relativi all’organizzazione dell’impresa e all’evoluzione del suo capitale umano
(vedi la tabella 7.1).
La quantificazione di questi effetti si basa in buona parte sulla traduzione in termini monetari
delle risposte dei manager a dei questionari opportunamente strutturati ed ha portato a calcolare dei
rapporti tra i valori degli effetti indiretti e quelli dei contratti ESA ricevuti dall’impresa attorno a 3.
Dalle analisi degli sviluppi nelle imprese spaziali o con produzioni spaziali sono emerse anche alcune
caratteristiche tipiche dell’industria spaziale, come l’importanza dell’integrazione di sistemi per le
imprese maggiori e le elevate competenze tecnologiche per le PMI fornitrici di parti destinate a
prestazioni particolarmente impegnative e, l’importanza della cooperazione tra le imprese nell’ambito
di network produttivi o commerciali, l’importanza di strategie di lungo respiro, imperniate sullo
sviluppo tempestivo di tecnologie dual use oppure sulla diversificazione tra l’industria spaziale e
quella dei servizi spaziali.
TABELLA 7.1
La classificazione BETA degli spinoffs dai programmi ESA
EFFETTI
EFFETTI
EFFETTI
TECNOLOGICI
COMMERCIALI
SULL’ORGANIZZAZIONE FATTORE
ED I METODI
•
Applicazioni di
prodotti ESA
•
•
Nuovi prodotti
Diversificazioni
•
Miglioramenti di
prodotto
•
•
•
Collaborazioni
•
internazionali
•
Nuovi network •
di vendita
Usare
ESA
come referenza
per il marketing
Controllo della qualità
Gestione dei progetti
Tecniche di produzione
EFFETTI SUL
LAVORO
•
•
234
Formazione di
una
massa
critica
di
specialisti
Miglioramento
qualitativo della
forza lavoro
FONTE: Cohendet (1997)
7.3 LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELLE IMPRESE CON PRODUZIONI
SPAZIALI: PRODUTTIVITA’, R&S E REDDITIVITA’
Si pongono delle domande riguardo ai risultati delle imprese spaziali paragonati con le
imprese non-spaziali nell’industria aerospaziale e confrontati con altri usi alternativi delle risorse, in
industrie quali i veicoli a motore o la farmaceutica. Le imprese spaziali hanno un risultato maggiore
laddove esso sia misurato in termini di produttività, intensità della R&S e redditività?
All’inizio dobbiamo riconoscere tre principali limiti dell’esercizio della nostra risposta. Per
primo, ci sono dei gravi problemi con i dati, che riflettono la mancanza di dati sulle attività spaziali
delle imprese aerospaziali. Tipicamente, ci sono dati comparabili sulle vendite totali, l’occupazione, la
produttività, l’intensità della R&S e la redditività delle maggiori imprese aerospaziali i cui business
riguardano un insieme di diversi gruppi di prodotti, che includono spesso velivoli civili e militari,
elettronica e sistemi spaziali. Il risultato delle attività spaziali di queste grandi imprese non può essere
identificato separatamente dai risultati dei loro business complessivi (quando si usino dati da fonti
comparabili ed affidabili: BERR( 2008a; 2008b).
Su queste basi è possibile procedere solo identificando due gruppi di industrie aerospaziali,
ovvero, quelle con attività spaziali e quelle senza. Questa è un’area dove c’è spazio per ulteriore
ricerca a livello di impresa (es. usando gli Annual Reports delle società). Punto secondo, i dati
pubblicati riguardano solo le principali imprese, escludendo così quelle piccole. Punto terzo, questo è
un esercizio puramente illustrativo, poiché è limitato ad un’analisi cross-section per un anno. Delle
analisi più complete richiederebbero degli studi più dettagliati delle serie storiche e dei dati crosssection per più anni.
I dati sui risultati d’impresa sono illustrati nella tabella 7.3 dove si è distinto tra imprese
europee spaziali e non spaziali; imprese spaziali americane; e si è fatto un confronto con i veicoli a
motore, la farmaceutica e un insieme di tutte le imprese, che sono presi come indicatori di un uso
alternativo delle risorse. Il confronto tra le imprese europee spaziali e non spaziali basato sulla
mediana, mostra come le società non spaziali abbiano un risultato superiore nella misura sia della
produttività che della redditività; ma le imprese spaziali sono a più alta intensità di R&S. Il confronto
tra le imprese spaziali europee e americane basato sulle mediane mostra una produttività del lavoro
simile ma con le imprese europee con una più alta intensità di R&S e una più bassa redditività. Il
confronto (basato sulle mediane) tra le imprese spaziali europee e l’uso alternativo delle risorse
mostra i veicoli a motore, la farmaceutica e l’insieme di tutte le imprese con una più alta produttività
235
del lavoro, una produttività in termini di valore aggiunto uguale o maggiore e una redditività100 uguale
o maggiore. Ma le imprese spaziali europee mostrano una intensità di R&S superiore se paragonata a
quella dei veicoli a motore e di tutte le altre imprese. Inoltre, sulla base di alcuni indicatori di risultato,
alcune singole imprese come EADS, Finmeccanica e Thales mostrano risultati superiori se comparati
con un uso alternativo delle risorse (ma solo Finmeccanica ha mostrato una redditività superiore e solo
se paragonata con i veicoli a motore)101.
La farmaceutica è un settore ad alta redditività dove i
finanziamenti possono essere usati per supportare la propria elevata intensità di R&S.
100
Gli Annual Reports di alcune compagnie portano dati anche sulle vendite e la redditività di diverse divisioni.
Per esempio, EADS mostra come nel 2008, la redditività del suo settore spaziale era il 5% delle sue vendite,
paragonato con il 7% delle vendite per la difesa e la sicurezza. Similarmente, per Finmeccanica nel 2008, lo
spazio si è rivelato il settore a più basso profitto tra tutti i suoi business: profitti del 6.5% sulle vendite a
confronto dell’11.6% per gli elicotteri e 11.4% per i sistemi di difesa. Questi dati mostrano come per queste
industrie lo spazio sia un business a basso profitto (misurato dai profitti sulle vendite). 101
Una correlazione di rango tra le dimensioni delle compagnie misurate dalle vendite e dalla redditività ha
mostrato un coefficiente positivo ma non significativo di R=0.09. 236
Tabella 7.3. Risultati delle imprese, 2007/08
Impresa
Vendite
Produttività del
Produttività del
R&S,
Profitto,
(£milioni)
lavoro:
lavoro: valore
quota sulle
quota sulle
vendite per
aggiunto per
vendite
vendite
addetto
addetto
(%)
(%)
(£000s)
(£000s per
addetto)
EU spazio:
EADS
28735
246.7
66.0
6.9
-0.3
Finmeccanica
8752
149.1
60.5
16.4
8.5
SAFRAN
8442
160.8
45.9
7.7
0.5
Thales
9031
147.6
64.5
7.6
5.9
QinetiQ
1366
100.2
55.1
1.0
5.4
14309
172.4
66.6
1.2
7.6
Rolls-Royce
7435
192.6
72.9
6.1
6.9
Cobham
1061
118.0
58.6
5.2
15.5
33350
209.4
NA
5.8
9.5
21030
150.2
NA
2.9
10.7
16092
131.3
NA
1.7
9.3
436231
195.5
59.8
4.7
5.6
45595
230.5
130.0
16.1
28.4
273851
201.7
63.5
3.4
11.8
EU non-spazio:
BAE
US space
Boeing
Lockheed
Martin
Northrop
Grumman
Veicoli a
motore europei
Farmaceutiche
europee
Insieme di tutte
le imprese
Fonti: BERR (2008a; 2008b)
Note:
i)
I dati per i veicoli a motore e le imprese farmaceutiche sono quelli delle top 750 imprese europee per
vendite, sia nella misura della produttività che della redditività. Le quote di R&S per questi settori sono
basate sulle top 1400 imprese globali. Bisogna notare che questi dati riguardano aggregati di imprese e
sono più simili a stime sull’industria piuttosto che a dati sulle singole imprese.
237
ii)
I dati sulla
produttività in termini di valore aggiunto sono basati sulle top 750 imprese europee. Tutti gli altri dati sono
basati sulle top 1400 imprese globali nel settore aerospaziale e della difesa.
iii)
L’insieme
di tutte le imprese è costituito dall’aggregato dalle 1400 imprese per tutti i dati, tranne la produttività in
termini di valore aggiunto che è basato sulle top 750 società europee.
iv)
ND: non
disponibile. Inoltre, i dati sulla R&S sono limitati perché includono solo la R&S finanziata dalle imprese
ed escludono quella finanziata dal governo.
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240
CAPITOLO 8.
IL PROGRESSO TECNOLOGICO ED I SUOI SPILLOVERS
SECONDO I MODELLI EVOLUTIVI
8.1. Introduzione
Nel corso degli ultimi 30 anni, lo sviluppo del cosiddetto “approccio evolutivo” alla analisi
della innovazione, della dinamica industriale e – più in generale – del cambiamento economico, ha
sostanzialmente arricchito la comprensione di questi fenomeni e di riflesso anche la consapevolezza
delle implicazioni di politica economica per la scienza, la tecnologia e l'innovazione. In questo
Capitolo saranno prima discussi i principi fondamentali di questo approccio e le implicazioni che ne
derivano per la concettualizzazione delle fonti e delle procedure dell'innovazione. In seguito, questi
concetti – e l'evidenza empirica a sostegno – sono utilizzati per discutere il ruolo e le caratteristiche
degli “effetti indiretti” o spillover) dell'attività innovativa.
8.2. Le ipotesi di base dell'approccio evolutivo
Semplificando al massimo, l'approccio evolutivo si distingue in primo luogo per l'attenzione
posta al cambiamento come caratteristica essenziale dei fenomeni economici: l'oggetto primario
dell’analisi non è quindi tanto l'equilibrio, quanto i processi dinamici che possono spiegare
l'osservazione di una determinata situazione dell'economia. In questo senso, un equilibrio - se esiste –
deve essere necessariamente spiegato come punto di arrivo di uno specifico processo dinamico
ipotizzato dall'analista, invece che essere assunto a priori. A maggior ragione, un dato fenomeno
economico non deve essere necessariamente interpretato come un equilibrio, ma – appunto – come la
particolare realizzazione di un processo dinamico anche al di fuori dell'equilibrio.
L'innovazione ed il progresso tecnologico sono, in effetti, una delle cause principali del
cambiamento economico, sia a livello micro (in singoli settori industriali) che macro. In questo senso,
l'approccio evolutivo si allaccia strettamente alla tradizione schumpeteriana, che considera appunto
l'innovazione il motore principale della competizione e dello sviluppo industriale ed economico.
L'analisi delle fonti e delle procedure del progresso tecnologico costituisce dunque un terreno
prioritario e privilegiato di indagine.
241
Una seconda caratteristica essenziale dell'approccio evolutivo consiste nel sottolineare i limiti
cognitivi che gli agenti economici necessariamente presentano in contesti complessi e in continuo
cambiamento. A differenza dell'approccio tradizionale, viene posta in discussione l'ipotesi che gli
agenti economici siano in grado di comprendere perfettamente l'ambiente in cui operano né tantomeno
prevedere con sufficiente accuratezza il futuro. Viene quindi rifiutata l'ipotesi di razionalità perfetta,
normalmente espressa nei modelli tradizionali come massimizzazione di una funzione obbiettivo sotto
vincoli dati. Piuttosto, i comportamenti economici vengono interpretati come caratterizzati da
razionalità limitata, riprendendo e sviluppando i contributi in questo campo di Herbert Simon e della
“Carnegie School” da un lato e degli sviluppi più recenti dell'applicazione della psicologia cognitiva
all'economia (Kahnemann e Tversky, 2000) dall'altro (il nuovo approccio “comportamentista”).
Secondo questi approcci – che hanno origine in larga misura da ricerche sperimentali e da analisi
empiriche dirette - le procedure di scelta e più in generale i comportamenti reali di individui ed
imprese – sono tipicamente e strutturalmente caratterizzati da “errori” e deviazioni sistematiche dalle
ipotesi della razionalità perfetta. Inoltre, i comportamenti sono fondamentalmente basati sull'utilizzo di
regole, routine ed euristiche robuste anche se non ottimali in senso stretto: ad esempio, l'investimento
in R&S è normalmente stabilito a partire da una quota relativamente stabile del fatturato, in linea con
l'intensità di R&S “tipica” del settore e delle imprese concorrenti.
L'enfasi sulla razionalità limitata tuttavia non solo non esclude ma anzi attribuisce maggiore
importanza all’innovazione rispetto ai modelli classici. Proprio in quanto gli agenti economici non
sono in grado di comprendere a fondo l'ambiente circostante e le sue future modificazioni, né agiscono
in modo ottimale, opportunità di innovazione sono sempre disponibili e possono essere individuate e
realizzate mediante processi di apprendimento e conseguente “scoperta” di nuove alternative, anche se
in condizioni di permanente incertezza.
Sulla base di queste premesse generali, l'approccio evolutivo ha contribuito a sviluppare una
nuova visione delle determinanti, delle fonti e delle modalità con cui l'innovazione ed il progresso
tecnologico sono generati, si sviluppano e si diffondono nell'economia.
Questa interpretazione
consente di arricchire sostanzialmente gli approcci più tradizionali e di suggerire importanti
implicazioni per la valutazione degli effetti delle innovazioni e, in generale per le politiche pubbliche
per la scienza e la tecnologia.
8.3 Le proprietà dell'innovazione e del progresso tecnologico nell'approccio evolutivo
8.3.1 Concettualizzazioni della tecnologia e della innovazione
242
L’analisi delle procedure e delle fonti dell'innovazione e del progresso tecnologico
nell'approccio evolutivo è fondata su questi principi concettuali e sulla sistematizzazione di una ormai
immensa mole di studi storici ed empirici sull’evoluzione delle tecnologie. Allo scopo di caratterizzare
adeguatamente questa interpretazione, può essere opportuno prima distinguere – brevemente e in
modo altamente semplificato – tre approcci diversi alla concettualizzazione della tecnologia e
dell'innovazione che sono presenti nell’analisi economica.
8.3.2 Innovazione come atto casuale
In primo luogo, l'innovazione può essere rappresentata come un fenomeno puramente casuale
ed esogeno al sistema economico. Per molti anni, ad esempio, questa concettualizzazione è stata alla
base dei modelli di crescita economica, dove la tecnologia arriva come manna dal cielo ed è generata
da “Dio, dagli scienziati e dagli ingegneri”. Questa rappresentazione è ovviamente insoddisfacente per
almeno due motivi. Da un lato, essa rinuncia a fornire una spiegazione dei processi economici e
sociali che sono chiaramente fondamentali nell'influenzare i tassi e le direzioni del progresso
tecnologico, almeno dalla Prima Rivoluzione Industriale in poi. La creazione dei laboratori di R&S
nell'industria chimica tedesca nella seconda metà del XIX secolo e la successiva diffusione di questa
forma organizzativa ad altri settori ed altri paesi (in particolare gli USA nel secolo successivo) sono
forse l'esempio più chiaro di come la tecnologia e l'innovazione possano essere disciplinate e
consapevolmente utilizzate a scopi economici. D'altro lato, la concettualizzazione dell'innovazione
come “atto casuale” in effetti, cattura una proprietà fondamentale de progresso tecnologico, cioè la sua
intrinseca imprevedibilità ed incertezza. Tuttavia, la struttura dei processi casuali di generazione delle
innovazioni è certamente più complessa ed articolata di quanto suggerito – almeno in prima
approssimazione – da questa visione, cioè come “shocks” indipendenti e identicamente distribuiti.
8.3.3 Tecnologia e innovazione come informazione
Una seconda concettualizzazione identifica la tecnologia a informazione e il progresso
tecnologico come produzione e acquisizione di nuova informazione. Il concetto di funzione di
produzione esemplifica questo aspetto. La funzione di produzione specifica – almeno in linea di
principio – le condizioni tecniche necessarie per produrre un particolare prodotto (in diversi volumi).
La funzione di produzione fornisce cioè l'informazione necessaria per produrre e come tale è
codificata in una serie di istruzioni, blueprints, disegni, ecc. Questa concettualizzazione della
tecnologia ha grandissimi pregi e in particolare pone in evidenza in modo molto chiaro come
l'innovazione implichi necessariamente importanti “fallimenti del mercato” (Arrow (1962), Nelson
(1959) e (1962)).
243
Infatti, in primo luogo, la produzione di informazione comporta indivisibilità (il valore di
mezzo teorema di Pitagora è vicino a zero), costi affondati significativi ma costi variabili (al limite)
nulli: l'informazione può essere in linea di principio riprodotta ed utilizzata continuamente da
chiunque. In questo senso, la produzione di informazione implica economie di scala e più in generale
rendimenti crescenti, perché il costo unitario si riduce all'aumentare del volume del suo utilizzo.
Inoltre, l'informazione ha le caratteristiche di un bene pubblico: essa non gode cioè delle proprietà di
non rivalità nel consumo (l'utilizzo da parte di un agente non riduce la disponibilità per altri) e – in
assenza di ulteriori vincoli – di escludibilità (una volta che l'informazione sia stata prodotta chiunque
può averne accesso a costo zero).
Per queste ragioni, agenti economici motivati dal profitto non investiranno in queste attività in
quanto non possono appropriarsi privatamente dei benefici economici che ne derivano: l'innovazione
richiede necessariamente potere monopolistico. Più in generale, un’economia perfettamente
concorrenziale è inevitabilmente caratterizzata da sottoinvestimento in attività innovative.
Le
classiche “soluzioni” a questi fallimenti del mercato consistono nell'intervento pubblico, in due forme
principali: il finanziamento pubblico della ricerca e/o la concessione
all'inventore di diritti di
escludere i potenziali utilizzatori dal consumo gratuito, tramite, ad esempio, la concessione di diritti di
proprietà intellettuale. L'inventore può anche mantenere segreta l'innovazione: in ogni caso, l'attività
innovativa implica un trade-off tra “efficienza dinamica” - il progresso tecnologico – e “efficienza
statica”, cioè le perdite di benessere sociale che derivano dal
potere monopolistico ottenuto
dall'inventore e dalle restrizioni all'utilizzo delle innovazioni.
Le proprieta' della tecnologia e dell'innovazione in quanto informazione comportano inoltre
altre importanti imperfezioni. I mercati dell'informazione sono per loro natura imperfetti, perché per
definizione lo scambio implica asimmetrie: chi “vende” conosce la qualità del proprio prodotto, ma il
compratore può verificarla solo dopo che lo scambio sia stato effettuato. La verifica “ex-ante” del
contenuto e della qualità del bene richiederebbe il trasferimento del prodotto stesso a costo nullo. Più
in generale, i mercati dell'informazione comportano costi aggiuntivi e un volume di scambi inferiore a
quello che sarebbe nozionalmente ottimale.
8.3.4 Informazione, conoscenza e apprendimento
Questi contributi hanno senza dubbio posto le basi per la moderna analisi economica
dell'innovazione e continuano ed essere uno strumento concettuale fondamentale, con implicazioni
profondissime sulle teorie contemporanee della crescita economica e del commercio internazionale
244
(Romer, Krugman). Tuttavia, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, l'accumulazione di un
vastissimo corpo di studi multidisciplinari (storia, management, sociologia, economia, ecc.) sulla
tecnologia
e
l'innovazione
ha
progressivamente
portato
all’affermazione
di
una
nuova
concettualizzazione, definita come la “Sintesi Stanford-Yale-Sussex” (SYS), (cf. Dosi, Llerena and
Sylos Labini, 2006) che è alla base dell'approccio evolutivo e ne incorpora i principi essenziali.
Questa interpretazione riconosce le intuizioni fondamentali dell’economia dell'informazione
ma aggiunge che la conoscenza scientifica e tecnologica ha ulteriori importanti proprietà specifiche e
approfondisce sostanzialmente l'analisi delle modalità attraverso cui essa è generata e utilizzata nei
sistemi economici contemporanei (Freeman, 1982, 1994; Freeman and Soete, 1997; Nelson, 1981;
Nelson and Winter, 1977 e 1982; Pavitt, 1987 e 1999; Rosenberg, 1976 e 1982; Winter, 1982, 1987, e
2006; David,1993 e 2004 Dosi, 1982 e 1988).
In primo luogo, la SYS e l'approccio evolutivo sottolineano una distinzione profonda tra
informazione e conoscenza (tecnologica). Quest'ultima senza dubbio incorpora, ma non è
completamente riducibile a informazione, cioè ad un insieme ben definito e codificato di affermazioni
e istruzioni. La conoscenza include invece
categorie cognitive e codici di interpretazione
dell'informazione stessa. Inoltre, la conoscenza è caratterizzata da una forte componente tacita, che
non è cioè completamente articolata ed espressa: “sappiamo più di quanto non possiamo esprimere”
(Polany, 1966). Semplificando al massimo, un manuale sulla produzione di un aereo (la funzione di
produzione) si avvicina alla nozione di informazione, mentre la conoscenza implica anche le capacità
del lettore di comprendere, contestualizzare ed eseguire le istruzioni contenute. Analogamente, per
ricordare l'esempio classico utilizzato da Nelson e Winter (1982), la preparazione di una torta non è
può essere semplicemente ridotta alla lettura di una ricetta (per quanto dettagliata) ed all’acquisizione
degli ingredienti, ma richiede le capacità di interpretare i termini utilizzati ed il gergo; di reinterpretare
le istruzioni e di collegare questa informazione alla propria esperienza ed al contesto specifico in cui
ci si trova ad operare; e di realizzare effettivamente le operazioni suggerite. Da questo punto di vista,
la conoscenza tecnologica e più in generale produttiva va molto al di là della specificazione degli input
ma comprende in modo critico le procedure ed i processi necessari per trasformare gli input in output.
In estrema sintesi, dunque, la conoscenza tecnologica implica quindi la disponibilità di
capacità, skill e competenze. L'evidenza empirica mostra come queste competenze siano sia in larga
misura immagazzinate, organizzate ed espresse in routine ed euristiche, proprio come proposto
dall'approccio della razionalità limitata. La ricerca ha anche evidenziato come queste regole e sistemi
di regole manifestano alcune importanti proprietà: in particolare, esse sono specifiche e locali, perché
per quanto generali, esse sono applicabili ed applicate a problemi particolari, nell'ambito di contesti
245
differenziati e da soggetti diversi (e quindi anche con risultati eterogenei). Inoltre, esse sono
“complesse”, in quanto sono fondate sulla padronanza e sull’integrazione - secondo schemi concettuali
particolari anch'essi specifici - di diverse basi di conoscenza.
Se la conoscenza non è semplicemente informazione, l'innovazione non è riconducibile solo
ad un processo di acquisizione di nuova informazione. Piuttosto, l'innovazione è concepita come
risultato di un processo di apprendimento, che implica appunto l' applicazione di specifiche categorie e
procedure per definire,
decomporre e risolvere i problemi; e lo sviluppo di nuove routines e
competenze.
8.3.5 Implicazioni
Queste caratteristiche della conoscenza tecnologica hanno alcune importanti implicazioni per
la comprensione e la spiegazione dell’evoluzione delle tecnologie.
In primo luogo, questo approccio porta a qualificare la nozione che l'innovazione debba essere
considerata “semplicemente” come un bene pubblico. Certamente, il progresso tecnologico produce
benefici sociali maggiori di quelli privati. Ma la replicazione della conoscenza tecnologica non
avviene normalmente a costi irrilevanti – anche in assenza di esplicite barriere – ma richiede
l'acquisizione e lo sviluppo delle capacità necessarie per utilizzare l'informazione. Non solo i costi, ma
anche le modalità con cui la conoscenza può essere replicata variano, in effetti, significativamente tra
tecnologie (Winter and Szulanski, 2001 and 2002). Ma in generale, la componente tacita e specifica
della conoscenza tecnologica implica che la replicazione e l'apprendimento richiedano pratica,
osservazione e esposizione diretta alle procedure, interazioni faccia a faccia, accumulazione di
esperienza.
In secondo luogo, l'innovazione in quanto processo di apprendimento implica quasi per
definizione cumulatività, o in gergo più tecnico, rendimenti crescenti dinamici: ciò che è possibile
apprendere dipende in modo cruciale da quanto si conosce già. I tassi e le direzioni del progresso
tecnico sono cioè fortemente influenzati dalle competenze acquisite in passato. Ciò significa anche che
l'innovazione è quasi intrinsecamente un processo “path-dependent”: in altri termini, ciò che si
conosce ora e che cosa e quanto sarà possibile apprendere in futuro dipende dalla storia passata,
incorporata nelle competenze e capacità specifiche accumulate. La presenza di rendimenti crescenti
dinamici implica anche, però, che l’evoluzione della tecnologia possa seguire percorsi complessi e a
volte imprevedibili, che presentano ad esempio “lunghi” periodi di stabilità intervallati da transizioni
di fase e improvvisi radicali mutamenti. Analogamente, la presenza di rendimenti crescenti può portare
246
a cosiddetti fenomeni di “lock-in”, cioè di situazioni in cui una soluzione tecnologica inferiore può
restare dominante (David, 1985).
In questo senso, queste osservazioni forniscono un primo fondamento all’idea, ormai
ampiamente riconosciuta, che le tecnologie avanzino secondo un processo evolutivo, nel senso che
esso è generato da una varietà di attori e basi conoscitive e procede in larga misura in modo
cumulativo sulla base dei risultati ottenuti in precedenza attraverso prove ed errori, fallimenti e
successi spesso del tutto inattesi. Anche se l'industrializzazione della ricerca e sviluppo e la
costituzione di strutture espressamente dedicate alla scoperta ed al miglioramento delle tecnologie – i
laboratori di R&S nelle grandi imprese e nei grandi centri di ricerca - hanno introdotto nel processo
innovativo fortissimi elementi organizzativi, quasi mai l'innovazione deriva da processi di analisi
perfettamente razionali, che implicano cioè un’analisi completa delle possibili alternative e previsioni
accurate . Piuttosto, l'avanzamento tecnologico dipende in modo da sostanziale da procedure, routine
ed euristiche imperfette ed esse stesse soggette a miglioramenti e modifiche. Nelle economie
industriali moderne, i risultati di questi processi di apprendimento sono poi oggetto di processi di
selezione multipli, che includono i processi decisionali interni alle imprese, la valutazione delle
comunità tecniche e scientifiche e naturalmente la competizione industriale ed il
mercato. A
differenza della selezione naturale darwiniana, i mutamenti tecnologici non sono puramente casuali,
ma derivano da comportamenti orientati e motivati da una molteplicità di incentivi come il profitto, ma
anche la sicurezza nazionale, il benessere collettivo, la reputazione ed il prestigio dei ricercatori stessi.
Tuttavia, analogamente al modello darwiniano, anche i processi di selezione sono “miopi” ed
imperfetti.
8.3.6 Paradigmi e traiettorie
Una ulteriore importante qualificazione riguarda la dinamica del progresso tecnologico ed i
meccanismi che ne influenzano i tassi di avanzamento e le direzioni. In particolare, l’approccio
evolutivo e la SYS sottolineano come gli avanzamenti tecnologici non siano interamente spiegabili
come fenomeni puramente casuali, ma neppure come completamente “plastici” agli incentivi di
profitto degli agenti economici, alle dinamiche sociali o politiche. Questi fattori sono senz'altro di
primaria importanza. Ma la dinamica del progresso tecnologico mantiene una propria intrinseca
autonomia e definisce i confini entro i quali questi fattori possono effettivamente operare.
Le prime concettualizzazioni della tecnologia e dell’innovazione viste in precedenza hanno
suggerito visioni diverse secondo le quali, estremizzando, da un lato il progresso tecnico è
fondamentalmente determinato esogenamente e dall'altro esso dipende dagli incentivi di profitto attesi
247
degli agenti economici (e dagli interventi pubblici che si ritengano necessari per ovviare almeno
parzialmente ai fallimenti del mercato). Dal punto di vista empirico, questa distinzione concettuale ha
dato origine ad una controversia tra una visione secondo cui l'innovazione è fondamentalmente
“spinta” dai progressi scientifici e tecnologici (technology push) ed un’interpretazione alternativa che
suggerisce invece che l'innovazione sia “tirata” dalla domanda da parte degli utilizzatori (demand
pull). Evidentemente, questa contrapposizione è eccessivamente semplificata e l’evidenza empirica al
riguardo è non sorprendentemente scarsamente conclusiva: in generale, si tende a ritenere oggi che
ovviamente entrambe le direzioni di causazione siano importanti ed interagiscano tra loro, anche se
l'interpretazione “ technology push” sembri essere più adeguata a dare conto delle innovazioni più
radicali, mentre la spinta della domanda spieghi soprattutto il progresso incrementale.
In effetti, è ormai ampiamente accettato che il cambiamento tecnologico procede seguendo
specifici paradigmi e traiettorie che definiscono, vincolano e delimitano ciò che è ritenuto possibile e
desiderabile dal punto di vista tecnico ed economico.
La discussione precedente suggerisce che ciascuna tecnologia sia costituita da (a) una
specifica base di comprensione dei fenomeni rilevanti, in parte pubblicamente disponibile, in parte
protetta privatamente ma anche in larga misura condivisa tra i soggetti professionali attivi in quel
campo; (b) una specifica base di conoscenza “pratica” e procedurale, che include conoscenza tacita
incorporata in individui e organizzazioni; e (c) una specifica nozione di che cosa possa e si voglia
ottenere, ad esempio sotto forma di particolari “design” di un prodotto. Ad esempio, nel caso di
aeroplano, gli attributi di base includono gli input e i costi di produzione, ma anche caratteristiche
tecniche essenziali come il carico delle ali, il peso al decollo, velocità, distanza percorribile, ecc.
Questi elementi possono essere considerati insieme come costitutivi di un paradigma
tecnologico (Dosi, 1982, 1988). Un paradigma incorpora una visione, una definizione dei problemi
rilevanti che devono essere affrontati e delle metodologie di indagine necessarie per risolvere tali
problemi. Un paradigma implica allo stesso tempo una visione dei bisogni degli utilizzatori e quindi
del valore degli attributi dei prodotti e dei servizi; ma anche i principi tecnico-scientifici che guidano
la ricerca. In generale, un paradigma definisce specifiche modalità di soluzione di particolari problemi
tecno-economici basati su principi derivati dalle scienze naturali e sulle regole da utilizzare per
acquisire nuove conoscenze; in altri termini esso fornisce una comprensione (imperfetta) di come e
perché le pratiche prevalenti di ricerca effettivamente funzionino.
I paradigmi tecnologici quindi forniscono il riferimento per gli sforzi innovativi
e li
indirizzano e canalizzano lungo traiettorie distinte e relativamente stabili di miglioramento. Ad
248
esempio, gli avanzamenti nelle tecnologie aeronautiche hanno seguito due traiettorie differenti -una
civile, l'altra militare – caratterizzate da progressi nei trade-off tra potenza, peso lordo al decollo,
velocità di crociera, carico delle ali e distanza di crociera (Sahal, 1985; Frenken, Saviotti e
Trommetter, 1999; Frenken e Leydesdorf, 2000; Giuri, Tomasi e Dosi, 2006). Analogamente, nella
microelettronica i progressi tecnici sono rappresentati con accuratezza da una traiettoria esponenziale
di miglioramento nella relazione tra densità di un chip, velocità di calcolo e costo per bit di
informazione (Dosi, 1984). Più in generale poi, esistono traiettorie naturali comuni a (quasi) tutti i
paradigmi tecnologici come le tendenze alla meccanizzazione e alla'automazione dei processi
produttivi. Un'altra traiettoria che si riscontra frequentemente consiste nelle curve di apprendimento,
cioè nella riduzione esponenziale dei costi all'aumentare della produzione cumulata. Le curve di
apprendimento riflettono processi come learning -by-doing e – by-using, accumulo di esperienza, ecc.
8.3.7 Regimi tecnologici
I paradigmi tecnologici focalizzano e organizzano il progresso tecnico lungo traiettorie
specifiche. Gli stimoli provenienti dal mercato o dalla società nel suo complesso operano dunque
all'interno di questi confini, ma – per quanto importanti - difficilmente sono in grado di plasmare
completamente i tassi e le direzioni dell'innovazione.
Inoltre, paradigmi diversi implicano ovviamente modalità alternative attraverso cui
l'innovazione procede e si organizza. In questo senso, non esiste “la tecnologia”, ma insiemi di
tecnologie differenti, che presentano logiche e modalità di sviluppo autonome.
In effetti, una delle osservazioni - apparentemente più ovvia ma concettualmente fondamentale
– offerta dalla SYS e dall'approccio evolutivo si riferisce alla varietà di forme che l'innovazione
assume tra tecnologie e settori industriali. Tuttavia, progressi significativi sono stati ottenuti nella
concettualizzazione di che cosa diversi paradigmi tecnologici abbiano in comune ed in che cosa
differiscano, in particolare per quanto riguarda:
a) le fonti della conoscenza su cui essi si basano e le opportunità di innovazione che essi
offrono;
b) il grado di cumulatività con cui il progresso tecnologico procede all'interno di diverse
tecnologie.
c) i meccanismi attraverso cui tali opportunità sono effettivamente realizzate e le possibilità
che gli innovatori hanno di estrarre benefici economici dalle loro attività tecnologiche;
249
L'insieme delle condizioni di opportunità, appropri abilità e cumulativi definisce un regime
tecnologico, cioè le condizioni che contribuiscono a definire le modalità con cui l'innovazione si
manifesta nel sistema economico.
8.3.7.1 Opportunità tecnologiche
Ciascun paradigma offre diverse opportunità di innovazione. Ad esempio, la possibilità di
generare nuovi prodotti o processi è certamente più elevata nel campo aerospaziale e nelle scienze
della vita che nel settore del cemento. A loro volta le opportunità innovative sono create e formate da
un mix di diverse discipline scientifiche e tecniche e più in generale di basi conoscitive. In alcuni casi,
un contributo essenziale alle opportunità di innovazione tecnologica è fornito dal progresso scientifico
e dalla sistematica attività di ricerca di organizzazioni pubbliche private. In altri casi, il progresso
tecnico è legato solo in modo molto indiretto alla scienza ed è basato invece su esperienza operativa,
che cresce soprattutto mediante processi meno formalizzati di learning-by-doing e -by-using. In questi
ultimi casi, il ritmo del progresso tecnologico è battuto dall’esperienza accumulata e dalle capacità di
incorporare, adattare e utilizzare nuovi macchinari e componenti. L’esistenza di attività di ricerca
scientifica dedicata all'obbiettivo di comprendere i principi di funzionamento della natura
potenzialmente rilevanti per le attività in questione può incrementare drasticamente il tasso di
progresso tecnico. Diversi studi (Klevorick et al. 1995; Nelson and Wolff, 1997) hanno mostrato che i
campi tecnologici che sono progrediti più rapidamente sono associati con l'esistenza di forti aree di
ricerca scientifica applicata e ingegneristica; e le imprese che operano in questi campi tendono ad
avere intensità di R&S superiore alla media.
In effetti, l'analisi storica suggerisce che dalla Prima Rivoluzione Industriale in poi il
contributo relativo della scienza al progresso tecnico sia sostanzialmente cresciuto. Le ultime grandi
rivoluzioni tecnologiche (ad esempio ICT e scienze della vita) derivano in larga misura dalla ricerca
scientifica e, più in generale, da ricerca volta a definire esplicitamente le cause dei fenomeni naturali
(Mokyr, 1990 e 2002; Nelson, 2003).
E' importante sottolineare, però che il contributo della scienza alla tecnologia assume diverse
forme.
In primo luogo, essa fornisce quasi direttamente nuove opportunità di innovazione
tecnologica, aprendo campi di ricerca radicalmente nuovi (ad esempio, genetica molecolare). Anche
in questi casi, comunque, la scienza non è sufficiente per lo sviluppo tecnologico, che richiede
l'applicazione di conoscenza pragmatica (e tacita): il caso della ricerca biomedica è esemplare in
questo senso.
250
Secondo, e probabilmente molto più importante, la ricerca scientifica aumenta la produttività
della ricerca tecnologica dimostrando false ed impraticabili alcune possibili direzioni di avanzamento.
Terzo, la ricerca accademica risulta avere un’importanza significativa per la soluzione di problemi
tecnologici delle imprese attraverso una molteplicità di altri canali (Klevorick et al. 1995, Pavitt 1996):
a)
strumenti e tecniche di programmazione ingegneristica, incluse la creazione di modelli e
la simulazione, oltre alla previsione teorica.
b)
Strumentazione (si pensi ad esempio all’invenzione del tubo catodico e, più recentemente,
alle tecniche di “gene sequencing”).
c)
Conoscenza di fondo: i ricercatori industriali spesso non sono interessati al contenuto
delle pubblicazioni scientifiche, ma all’esperienza ed alla conoscenza tacita che gli autori dimostrano
di avere.
d)
Appartenenza a network professionali nazionali ed internazionali: scienziati ed ingegneri
apportano, nell’attività di soluzione di problemi tecnologici, la “conoscenza di conoscenza”, cioè
sanno di poter ricorrere agli “skill” di altri colleghi per specifici problemi.
In generale, l’evidenza sembra confermare che la ricerca scientifica sia, in effetti, una
componente fondamentale dei processi di innovazione tecnologica, soprattutto come strumento che
aumenta la capacità di risolvere problemi tecnologici complessi. Tuttavia, questa stessa evidenza
suggerisce al tempo stesso che quantificare tale rilevanza appare estremamente difficile; che un ruolo
diretto della conoscenza scientifica è riscontrabile solo in alcune tecnologie e settori industriali; che
esistono lag significativi, sia in termini di tempo che di spazio nell’impatto della scienza
sull’innovazione.
Occorre anche sottolineare come la relazione tra scienza e tecnologia non è unidirezionale. Al
contrario, in molti casi, avanzamenti tecnologici hanno preceduto la spiegazione scientifica. Tra i casi
più noti, il motore a vapore è stato sviluppato prima che Carnot chiarisse le leggi della termodinamica
e modellasse il “motore teorico”; la possibilità di costruire un aeroplano in grado di volare è stata
dimostrata empiricamente prima che le scienze applicate ne provassero la fattibilità teorica ed i
principi sottostanti. La maggior parte dei vaccini oggi disponibili sono stati sviluppati in assenza di
una teoria ben definita che ne chiarisse le ragioni della loro efficacia. In molti altri casi, il progresso
scientifico è stato reso possibile da avanzamenti tecnologici, soprattutto per quanto riguarda la
strumentazione (si pensi al ruolo del microscopio elettronico per la ricerca scientifica nelle life
sciences). In effetti, l'esistenza di stretti legami tra i progressi nelle scienze applicate e nelle tecnologie
è un fattore determinante nel caratterizzare diversi paradigmi tecnologici.
251
Tuttavia, è importante ricordare che in larga misura il progresso tecnologico, anche in assenza
di contributi diretti dalla scienza, procede in modo autonomo ed endogeno, creando continuamente
tramite il proprio avanzamento nuove opportunità, soprattutto di sviluppo incrementale.
8.3.7.2 Cumulatività
Una seconda proprietà che distingue diversi paradigmi tecnologici, infatti, è il grado di
cumulatività dell'innovazione. Come accennato in precedenza, l'apprendimento ha quasi per
definizione una natura almeno parzialmente cumulativa. Intuitivamente, questa caratteristica cattura le
semplici idee che “successo genera successo” e che l'innovazione normalmente è generata da nani
sulle spalle di giganti. La cumulatività riflette anche la natura incrementale del progresso tecnologico.
Più in generale, essa riassume la presenza pervasiva di rendimenti crescenti dinamici nei processi di
apprendimento, che endogenamente creano nuove opportunità di miglioramento ed indirizzano la
ricerca verso traiettorie relativamente rigide ed inflessibili.
Il grado di cumulatività varia notevolmente tra paradigmi. Ad esempio, esso è molto forte
nelle tecnologie meccaniche (dove tipicamente la nuova generazione di un macchinario industriale è
fortemente basata su modifiche del design precedente) o nel software. Viceversa, la cumulatività tende
a essere più bassa nella farmaceutica e nella ricerca biomedica, dove la conoscenza accumulata per
sviluppare un farmaco antitumorale può essere solo in minima parte rilevante per un nuovo
trattamento di problemi cardiovascolari.
Inoltre, occorre considerare che la cumulatività si manifesta a diversi livelli di analisi. In
alcuni casi, essa è immediatamente osservabile a livello di singole imprese: in altre circostanze, la
cumulatività si esprime all'interno di insiemi di soggetti e comunità di ricerca, ad esempio localizzati
territoralmente vicini.
Elevati livelli di cumulatività a livelli di impresa possono però essere la fonte di fenomeni di
lock-in e di rigidità se di fronte all'emergere di discontinuità tecnologiche (ed organizzative) l'impresa
trova difficoltà a modificare le proprie traiettorie di ricerca. In questi casi, il progresso tecnologico può
essere “distruttivo” delle competenze acccumulate in precedenza, tanto più quando i leader del settore
avevano costruito la propria dominanza grazie a processi cumulativi di apprendimento in specifiche
direzioni (Tushman and Anderson, 1986).
Le difficoltà incontrate da IBM al momento
dell'introduzione dei PC o da Microsoft nei browser con lo sviluppo di Internet esemplificano questi
casi.
252
8.3.7.3 Appropriabilità
L'aspettativa di extra-profitti è certamente un fattore essenziale nel motivare agenti economici
privati ad intraprendere attività innovative. La capacità quindi di prevenire o limitare l'imitazione,
guadagnando potere monopolistico (per quanto temporaneo) costituisce una pre-condizione necessaria
per l'innovazione privata e le condizioni a cui gli innovatori riescono ad appropriarsi dei benefici
economici dell'innovazione è una caratteristica fondamentale di diversi paradigmi tecnologici.
Tipicamente, il brevetto è considerato come lo strumento principale per assicurare l'incentivo
privato all’innovazione. Tuttavia, numerosi studi hanno consistentemente mostrato come il brevetto
sia uno strumento importante di appropriablità solo in alcuni settori, in particolare, la farmaceutica e la
chimica fine (Mansfield et al., 1981; Levin et al., 1985; Cohen et al., 2002; Arundel, van de Paal and
Soete 1995). Viceversa, le imprese dispongono di numerosi altri strumenti per difendersi
dall’imitazione, come il segreto (soprattutto per le innovazioni di processo), lo sfruttamento di lead
times (essere sempre un passo avanti ai concorrenti sfruttando la cumulatività dell'apprendimento, le
curve di esperienza ed altri vantaggi di prima mossa), il controllo di attività complementari, cioè di
asset non direttamente connessi all’attività innovativa, ma essenziali per catturarne i benefici
economici: ad esempio il marketing o le strutture organizzative e le competenze nelle procedure di
approvazione dei prodotti da parte delle autorità pubbliche (Teece, 1986). Inoltre, le stesse competenze
e routine organizzative delle imprese costituiscono di per sé importanti ostacoli all’imitazione.
L'evidenza empirica mostra come le imprese utilizzino questi strumenti in modo
complementare, anche se la loro efficacia ed il
grado di appropriabilità
complessivo variano
notevolmente tra paradigmi e settori. In ogni caso, il rischio di imitazione non sembra rappresentare in
generale un ostacolo significativo all’intrapresa di attività innovative, la cui intensità sembra essere
essenzialmente determinata dalle opportunità disponibili e dalla cumulatività dell'apprendimento.
Diversi studi, ad esempio, hanno mostrato come le tendenze al rafforzamento dei regimi di
proprietà intellettuale manifestatesi a partire dagli anni Ottanta negli USA, ma poi anche in Europa e
Giappone e a globalmente con i TRIPS e gli accordi commerciai bilaterali non hanno, in effetti, avuto
effetti significativi nell'accrescere il tasso di progresso tecnologico, ma in alcuni casi, semmai il
contrario (Sakakibara and Branstetter 2001, Kortum and Lerner 1998, Hall and Ziedonis 2001, Lerner
2002, Moser 2003, Qian 2007).
La relazione tra grado di appropriabilità e innovazione non è dunque lineare e neppure
monotona. Essa è poi almeno parzialmente endogena ai livelli ed alla distribuzione di competenze
253
all'interno di un paradigma e di un settore: ad esempio dall’effettiva presenza di potenziali imitatori e
dei loro comportamenti, strategie e capacità tecnologiche.
Infine, è importante ricordare che il progresso tecnologico “privato” è stato intimamente
legato e complementare al sistema “pubblico”, dove la ricerca di base è essenzialmente finanziata
dallo Stato ed è fondata sul modello della “Open Science”, cioè sui principi della peer review e della
libera circolazione delle conoscenze. Il regime della Open Science ha convissuto in una fragile
divisione del lavoro con il regime “privato” mosso dalle motivazioni di profitto delle imprese, ma ne
costituisce una precondizione essenziale.
8.3.8 Regimi tecnologici e pattern dell'innovazione
Diversi studi hanno mostrato come specifici regimi tecnologici, cioè combinazioni delle
condizioni di opportunità, cumulatività ed appropriabilità, siano legati a diverse modalità con cui si
manifestano i processi innovativi.
Ad esempio,
in alcuni casi le attività innovative si concentrano attorno a poche imprese
innovatrici, mentre in altre sono distribuite fra numerose imprese. In alcune tecnologie sono
soprattutto le grandi imprese a sostenere l’attività innovativa, mentre in altre sono le piccole imprese
ad essere più attive. Il ruolo relativo dei nuovi innovatori e delle imprese incumbent varia
significativamente. Di conseguenza, la posizione gerarchica dei maggiori innovatori può rimanere
stabile oppure può variare molto velocemente. In generale, i processi innovativi sono caratterizzati da
una notevole turbolenza, ma anche – al tempo stesso - da alti livelli di persistenza. Queste differenze
nella struttura delle attività innovative possono essere ricondotte alla fondamentale distinzione
suggerita da Schumpeter. Egli identificò due modalità principali di processi innovativi. Il modello
Schumpeter Mark I è caratterizzato da una “distruzione creatrice”, ovvero dalla facilità di entrata e dal
ruolo giocato dai nuovi imprenditori e dalle nuove imprese (Schumpeter, 1932). Il modello
Schumpeter Mark II è caratterizzato invece da “accumulazione creativa”: l’innovazione si concentra in
poche grandi imprese, che erigono rilevanti barriere all’entrata per i nuovi innovatori (Schumpeter,
1942). i pattern Schumpeteriani dell’innovazione possono essere considerati come risultato di ben
definite condizioni di regime. I pattern di tipo Schumpeter I sono determinati da un alto livello di
opportunità ed un basso livello di appropriabilità, che favoriscono la continua entrata di nuovi
innovatori all’interno dell’industria, oltre che da basse condizioni di cumulatività, che non permettono
il permanere di vantaggi monopolistici nelle industrie. I pattern di tipo Schumpeter II sono
caratterizzati da alte condizioni di opportunità, appropriabilità e cumulatività, che garantiscono agli
innovatori la possibilità di accumulare continuamente conoscenze, competenze tecnologiche e
vantaggi innovativi rispetto ai non-innovatori ed ai potenziali entranti (Breschi, Malerba e Orsenigo
2000).
254
L'evidenza empirica mostra come in effetti questa distinzione cattura in modo soddisfacente le
diversità settoriali e come esse siano relativamente invarianti tra paesi. Le classi tecnologiche del tipo
Schumpeter Mark I si possono trovare specialmente nei settori “tradizionali”, nelle tecnologie
meccaniche, nella strumentazione ed in alcuni settori “science-based”. Diversamente, la maggior parte
delle tecnologie chimiche ed elettroniche sono caratterizzate dal modello Schumpeter Mark II.
Naturalmente i pattern schumpeteriani sono due casi estremi che delineano un gran numero di
casi intermedi. Altre indagini propongono tassonomie più precise e dettagliate. In particolare, Pavitt
(1984) distingue quattro gruppi di settori:
i)
“dominati dai fornitori”,
dove le opportunità di innovazione sono create tramite
l'acquisizione di nuovi macchinari, componenti e altro input intermedi (ad esempio, tessile e
abbigliamento, prodotti in metallo);
ii)
“fornitori specializzati”, che includono i produttori di macchinari industriali o il
custom software. In questo caso, il progresso tecnologico è generato soprattutto dall’interazione tra
fornitori ed utilizzatori e procede in modo cumulativo mediante il continuo adattamento dei prodotti
alle specifiche esigenze dei clienti;
iii)
“ad alta intensità di scala”, dove le grandi dimensioni della produzione e la presenza di
forti economie di scala influenzano le capacità di sfruttare opportunità in parte create endogenamente
(tramite R&S formalizzata, ma anche learning-by-doing nel processo produttivo) ed in parte
esogenamente da input della ricerca scientifica e dei fornitori specializzati (auto, chimica di base,
ecc..)
iv)
“basate sulla scienza”, le cui opportunità innovative sono strettamente legate ad
avanzamenti nelle scienze pure e applicate (microlettronica, informatica, scienze della vita)
8.3.9 Sistemi dell'innovazione
I paradigmi e i regimi tecnologici sono caratterizzati da specifiche forme organizzative e sono
sorretti da un insieme di istituzioni che governano la ricerca pubblica, la formazione ad un estremo e le
interazioni tra produttori, fornitori ed utilizzatori dall'altro.
Più in generale, l'innovazione ha luogo e si manifesta diversamente in differenti contesti
istituzionali, che non solo forniscono il contesto ma disegnano anche direttamente incentivi ed ostacoli
alle attività innovative. La nozione di “sistemi dell’innovazione” è stata proposta proprio per catturare
e comprendere la varietà delle forme istituzionali che influenzano i tassi e le direzioni del progresso
tecnologico (Freeman 1993, Lundvall 1992, Nelson 1993). Ad esempio, alcuni studi si sono
concentrati inizialmente sulla comparazione di diversi sistemi nazionali dell'innovazione
ed in
particolare sul confronto e sull’identificazione dei vantaggi e degli svantaggi relativi del sistema
americano e giapponese (Nelson, 1993). Altri lavori hanno esaminato in dettaglio come le istituzioni
finanziarie, i mercati per il lavoro qualificato, la corporate governance, oltre che i sistemi di ricerca e
255
formazione possano assumere forme più o meno coerenti tra loro e favorire ad esempio pattern del
progresso tecnologico orientati ai settori basati sulla scienza e all’innovazione “radicale” (le economie
“liberali” esemplificate dal modello anglosassone stilizzato) o al perseguimento di traiettorie
cumulative e meno rischiose (le economie di mercato “coordinate” dei sistemi dei paesi dell’Europa
continentale, in particolare la Germania) (Hall and Soskice, 2001).
Al di là dell'enfasi sul ruolo cruciale svolto dai contesti istituzionali, il concetto di sistema
dell'innovazione sottolinea soprattutto il carattere interattivo del progresso tecnologico, come
fenomeno di apprendimento collettivo. Viene posto in evidenza cioè come gli agenti non operino in
isolamento ma innovino traendo le proprie conoscenze e opportunità da un insieme vasto di relazioni
competitive e collaborative. Le imprese interagiscono nei loro processi innovativi con università e altri
centri di ricerca di base ed applicata, fornitori ed utilizzatori, concorrenti (dai quali possono trarre
possibilità di imitazione), altre imprese in settori diversi, ecc. L'innovazione risulta quindi da un
sistema di relazioni, la cui struttura deve essere adeguamente descritta e specificata.
Negli ultimi anni, in questa prospettiva, si è progressivamente affermato un approccio che
prende come unità di analisi proprio la rete di relazioni tra agenti e ne analizza la struttura con gli
strumenti della network anaysis. In questo filone, il soggetto dell'innovazione è la rete nel suo
complesso e non il singolo nodo. La struttura specifica della rete definisce i modi e l’intensità dei
flussi di conoscenza e la posizione del singolo nodo (le sue opportunità, il suo ruolo, ecc.) sono
determinati dalla posizione che esso ha nell'insieme della rete. La performance della rete viene quindi
a dipendere dalle sue caratteristiche strutturali, come il grado di interconnessione tra i nodi, la densità,
la presenza di alcuni nodi centrali, l'assenza o la debolezza di alcuni legami critici o l'esistenza di
relazioni “sovrabbondanti” (cioè relazioni molto strette tra nodi molto simili tra loro e che quindi
aggiungono conoscenza).
Questa impostazione ha iniziato ad avere un notevole impatto anche sulle politiche per la
scienza, tecnologia ed innovazione, in alcuni casi implicitamente, in altri in modo del tutto esplicito
(come ad esempio in Svezia, Danimarca e Finlandia). Particolare importanza viene attribuita proprio
all’instaurazione di legami tra attori differenti, ad esempio attraverso “istituzioni ponte”, centri di
trasferimento della tecnologia, ecc.
La nozione di sistema dell'innovazione ha evidentemente non solo una dimensione nazionale
(la cui importanza persiste anche in presenza dei fenomeni di globalizzazione degli scambi, della
produzione e dell’innovazione), ma anche una dimensionale locale e settoriale. La nuova geografia
dell'innovazione è strettamente legata al concetto di sistema innovativo e si salda con gli studi dei
distretti e dei sistemi locali di produzione nel concetto di sistemi regionali dell'innovazione (Cooke,
2002). Al tempo stesso, la dimensione settoriale continua mantenere una specificità ed una rilevanza
autonoma: i sistemi settoriali dell'innovazione (Malerba 2004) si estendono altre i confini regionali e
256
nazionali, ma tendono ad avere caratteristiche simili anche tra paesi e in presenza di contesti
istituzionali diversi.
8.4. Gli effetti dell'innovazione, gli spillovers e i flussi di conoscenza
8.4.1 Innovazione e rendimenti crescenti
La centralità dell'innovazione ed in generale del progresso tecnologico nel determinare la
crescita economica è oggi largamente accettata, anche se permangono forti discussioni sull’entità e
soprattutto sulle modalità con cui tale effetto si manifesta. Nell'approccio evolutivo, non
sorprendentemente, il ruolo del cambiamento tecnologico è evidentemente essenziale. Tuttavia, le
caratteristiche della tecnologia e dell'innovazione evidenziate dalla SYS portano ad approfondire
l'analisi dei meccanismi attraverso cui il progresso tecnico influenza la performance di imprese, settori
e economie nel loro complesso e offrono al tempo stesso indicazioni perfino più incoraggianti di
quanto previsto e misurato dai modelli tradizionali, ma anche notevoli qualificazioni e caveat. Inoltre,
l'approccio evolutivo sottolinea la necessità di distinguere ed integrare diversi livelli di analisi: da
quello delle singole imprese, dei settori, a quello intersettoriale fino a quello macroeconomico.
L' aspetto essenziale del progresso tecnologico – che lo differenzia da altre determinanti delle
performance economiche e della crescita – consiste principalmente nella sua natura di fonte di
rendimenti crescenti. Tuttavia, mentre l'analisi tradizionale insiste soprattutto sulle caratteristiche
dell’innovazione come bene pubblico – cioè una volta sviluppata la tecnologia è in linea di principio
disponibile per tutti e può essere utilizzata per creare nuove tecnologie – l'approccio evolutivo avverte
che la diffusione e riproduzione delle conoscenze implicano processi molto più articolati. D'altro lato,
la cumulatività dei processi di crescita della conoscenza tecnologica introduce forme di rendimenti
crescenti dinamici parzialmente diverse, che non si manifestano solo in spillover ma in meccanismi di
generazione che si autoalimentano e continuamente creano nuove opportunità di avanzamento.
8.4.2 Innovazione e performance d'impresa e di settori: effetti diretti
La disponibilità di database longitudinali a livello di impresa su dati economici e finanziari da
un lato ed indicatori dell'attività innovativa dall'altro ha consentito di accumulare una vasta letteratura
che indica chiaramente effetti positivi dell'innovazione sulle performance d'impresa, misurate in
termini di una varietà di indicatori: livelli e tassi di crescita della produttività più elevati, salari,
esportazioni, profitti, sopravvivenza, ecc. (per una rassegna, si veda Brusoni, Cefis e Orsenigo, 2006).
257
In buona misura, questi effetti sono anche persistenti: in altri termini, l'innovazione non si
traduce solo in un miglioramento temporaneo delle performance delle imprese, destinato ad
affievolirsi nel tempo, ma si traduce in prestazioni sistematicamente migliori di quelle dei concorrenti.
Ciò suggerisce che le imprese innovative sviluppino competenze durevoli che consentono loro di
affrontare le sfide del mercato meglio dei non-innovatori (Cefis and Ciccarelli, 2005). Ad esempio, le
imprese innovative soffrono meno nelle fasi congiunturali sfavorevoli (Geroski, Machin and Van
Reenen (1993); Geroski, Van Reenen and Walters (1997)) . Inoltre, l'effetto positivo dell'innovazione
sulle performance è più grande e persistente quanto più le imprese innovano persistentemente e non
occasionalmente nel tempo. Ciò sembra suggerire che, sebbene l'innovazione sia un fenomeno
intrinsecamente casuale, oltre una certa soglia di attività innovativa le imprese siano in grado di
continuare ad innovare con sistematicità, sia incrementalmente sia ricreando nuove opportunità sulla
base delle competenze costruite.
Tuttavia, l'evidenza empirica è più articolata. I dati disponibili mostrano che questi fenomeni
di persistenza coesistono con una forte turbolenza: ogni anno, molte imprese innovano per la prima
volta e molte imprese cessano di innovare. La maggior parte delle imprese non innova mai o solo
occasionalmente. Tuttavia, gli innovatori persistenti danno origine a una quota molta elevata
dell’attività innovativa di un settore. Queste relazioni inoltre variano significativamente tra settori e tra
paesi, corroborando le ipotesi sulla rilevanza dei regimi tecnologici e dei sistemi nazionali
dell'innovazione. In altri termini, tra paesi gli stessi settori mostrano livelli di persistenza più elevati;
ed alcuni paesi (ad esempio il Giappone e la Germania) mostrano persistenza più elevata in tutti i
settori (Cefis and Orsenigo, 2003).
Inoltre, resta molto più difficile stabilire relazioni tra l'innovazione e la crescita delle imprese.
In effetti, quest'ultima risulta scarsamente correlata con qualsiasi altra caratteristica delle imprese
(comprese produttività e profittabilità) e presenta un andamento “quasi erratico”. L'analisi della
crescita delle imprese rimane un problema molto aperto.
Anche ad un livello di aggregazione più elevato, cioè a livello di settori, l'evidenza empirica
disponibile indica una relazione significativa tra innovazione e performance (in termini di output,
produttività e loro crescita), ma soprattutto nei settori ad alta tecnologia. Analogamente si riscontra
una relazione tra capacità innovative, velocità di adozione delle nuove tecnologie e esportazioni.
Tuttavia, di nuovo queste correlazioni non sono valide per tutti i settori e sono molto più forti nelle
industrie ad alta intensità di innovazione.
8.4.3. Effetti indiretti: Rent spillovers e mercati della tecnologia
Tuttavia, questi risultati devono essere qualificati dall’osservazione che la crescita e
l'innovatività di un’impresa e di settore sono influenzati non solo dalla propria attività innovativa, ma
anche da quella effettuata in altre imprese e in altre industrie. Questo risultato non è evidentemente
258
sorprendente. Nella letteratura tradizionale, questo aspetto è tradotto nel concetto di spillover e
direttamente legato alla natura di bene pubblico dell'innovazione: all'estremo, questa è la caratteristica
della conoscenza tecnologica incorporata nei modelli di crescita endogena (Romer, 1991). Le analisi
empiriche mostrano però – assorbendo in modi diversi i risultati dell'approccio evolutivo e della SYS
– che i processi attraverso cui la conoscenza fluisce nell’economia prendono forme ed intensità molto
diverse, tra settori e nello spazio.
E' possibile e necessario però distinguere diverse forme attraverso cui l'innovazione influenza
l'attività innovativa di altri agenti economici. Una prima distinzione classica riguarda i flussi di
conoscenza che sono regolati da meccanismi di mercato e quelli che invece che passano attraverso altri
canali, cioè tra “rent spillovers” e “knowledge spillovers” (Griliches 1979). E' importante inoltre
distinguere tra la dimensione settoriale e intersettoriale dei flussi di conoscenza e la dimensione
geografica: questi due aspetti sono fortemente sovrapposti tra loro ma mantengono una loro autonomia
concettuale.
Per quanto riguarda i “rent spillovers”, essi riflettono i benefici dell'innovazione che ricadono
sugli utilizzatori, ad esempio sotto forma di input produttivi, macchinari e componenti più efficienti o
comunque, in generale, in migliori rapporti prezzo – qualità dei beni. In questo caso, queste “ricadute”
dell'innovazione si distribuiscono tra inventori e utilizzatori, fondamentalmente in funzione della
struttura del mercato. Tuttavia, il termine spillover è in questo caso improprio perché la ripartizione
dei benefici è definita da meccanismi di mercato, per quanto imperfetti.
Un'altra categoria importante di “rent spillovers” riguarda i mercati delle tecnologie, cioè lo
scambio di conoscenza tecnologica non incorporata direttamente in beni materiali, ma in brevetti,
licenze, ecc. L'evidenza storica suggerisce che i mercati delle tecnologie fossero già ampiamente
sviluppati all'inizio del XIX secolo negli USA e che essi abbiano svolto un ruolo molto rilevante nello
sviluppo industriale e tecnologico di diversi settori e regioni americane (Lamoreaux and Sokoloff,
2001). Più recentemente, è stato mostrato come negli ultimi 20-25 anni si sia manifestata a livello
mondiale una forte accelerazione delle royalty da licenze. Allo stesso modo, dati OCSE (2006)
mostrano che nei paesi G-8 i pagamenti relativi alle royalty tecnologiche sono aumentati in media del
10,7% all’anno dal 1980 al 2003, ben più della crescita del PIL di questi paesi (Arora, Fosfuri e
Gambardella, 2001). In particolare, Arora et al. (2001) argomentano che la produzione di idee e di
innovazioni sia diventata un’attività specializzata. Molti ricercatori o tecnologi lavorano in
organizzazioni che non integrano la ricerca e l’innovazione con la fabbricazione e la vendita dei
prodotti finali. Ad esempio, molte imprese fabless o chipless producono prototipi o meri simulatori del
funzionamento di un semiconduttore; oppure esistono imprese biotecnologiche che si concentrano
sulla scoperta dei composti che cedono su licenza alle imprese farmaceutiche più grandi; o ancora,
produttori di software, nanotecnologie, e così via, si specializzano nella produzione di idee che
vendono a chi ha le risorse per svilupparle, produrle e commercializzarle su larga scala (Arora et al.,
259
2001). I mercati delle tecnologie non si limitano allo scambio di tecnologie già esistenti, ma
riguardano anche lo sviluppo di nuove tecnologie: anche le alleanze nella R&S rientrano in questa
categoria e anch'esse sono cresciute in maniera considerevole a partire dagli anni ’80.
Date le caratteristiche della conoscenza tecnologica, i mercati per la tecnologia soffrono di
numerose imperfezioni e probabilmente sono meno sviluppati di quanto sia nozionalmente possibile.
Essi tendono a riguardare conoscenza “generale, astratta e codificata” e, data la struttura dei costi di
produzione della conoscenza (elevati costi fissi, costi di riproduzione trascurabili) essi tendono a
svilupparsi in tecnologie sufficientemente pervasive da consentire una molteplicità di applicazioni
dell'idea di base (Arora et., 2001). In ogni caso, questi mercati soffrono di elevati costi di transazione
dovuti ai costi di ricerca dei partner, la paura di opportunismo nelle negoziazioni, la preoccupazione di
non vedere garantiti i diritti di proprietà intellettuale. Inoltre, i prezzi a cui possono avvenire gli
scambi sono largamente indeterminabili a priori, data la difficoltà di valutare ex-ante la “qualità” della
conoscenza scambiata e l'assenza di un riferimento concreto (ad esempio, i costi variabili) su cui
ancorare una valutazione. Il prezzo e le condizioni dello scambio dipendono soprattutto dalla
contrattazione tra le parti e la negoziazione è tipicamente incerta e lunga. Incertezza, difficoltà e costi
di transazione possono essere tenuti sotto controllo attraverso iniziative pubbliche
e accordi di
associazioni di categoria, ma più in generale, attraverso la formazione di istituzioni o soggetti di
intermediazione, come finanziatori, venture capitalist o imprese di maggiori dimensioni in grado di
coordinare questi processi.
8.4.4 “Knowledge spillovers”
Gli spillover di conoscenza riguardano, in senso stretto i benefici sulla produttività e l'attività
innovativa di altre imprese e agenti economici che non sono mediati da transazioni di mercato.
Anche in questo caso, possono essere utili alcune distinzioni. In primo luogo, quando la
conoscenza è (sufficientemente) codificata ma non perfettamente protetta (dal segreto o dalla proprietà
intellettuale, ecc.), le innovazioni generano opportunità di imitazione da parte di imprese concorrenti o
operanti in altri settori (spillovers imitation-enhancing). In secondo luogo, la nuova conoscenza può
dare luogo a nuove idee ed opportunità, nello stesso campo di applicazione o, più frequentemente, in
altri collegati (spillover idea-creating). La distinzione è importante, sia da punto di vista legale che da
quello economico. Ad esempio, le leggi sui diritti di proprietà intellettuale non dovrebbero in linea di
principio ostacolare gli spillover idea-creating, mentre dovrebbero esplicitamente proteggere gli
inventori dagli spillover imitation-enhancing. Dal punto di vista economico, gli spillover ideacreating non implicano immediatamente una maggiore concorrenza nei confronti del'innovatore, in
quanto la nuova idea può essere sviluppata in un campo diverso.
Questi effetti indiretti dell'innovazione riflettono la caratteristica essenziale della conoscenza
tecnologica di essere fonte di rendimenti crescenti, sia in quanto parzialmente bene pubblico sia in
260
quanto intrinsecamente cumulativa, e sono stati studiati negli ultimi anni da una letteratura ormai
enorme (si veda il cap. 9) e hanno catturato l'interesse dei policy-maker.
In questo ambito, l'approccio evolutivo sottolinea che – per quanto i “knowledge spillover”
svolgano un ruolo fondamentale – la trasmissione della conoscenza tecnologica sia vincolata e
canalizzata da un insieme di fattori: la conoscenza – in quanto distinta dalla pura informazione - non
fluisce senza vincoli come “manna dal cielo”, ma semmai è “appiccicosa” (Pavitt 2001, Dosi,
Orsenigo e Sylos-Labini, 2003) e si diffonde tramite una molteplicità di meccanismi in funzione della
natura delle tecnologie, dai livelli e distribuzione delle competenze accumulate dagli agenti, dalle
caratteristiche organizzative ed istituzionali dei contesti entro i quali essa si localizza.
Una prima caratteristica che influenza l'entità degli spillover ha a che fare naturalmente con le
proprietà specifiche di ciascun paradigma e regime tecnologico. Da tempo è riconosciuto che alcuni
settori o tecnologie svolgono la funzione di motori della crescita tecnologica e della produttività di
altri settori.
Questa idea è stata catturata in modo estremo dalla nozione di “general purpose
technologies” (Bresnahan and Trajtenberg, 1995),
cioè tecnologie pervasive, capaci di trovare
applicazioni sia nei settori a valle – che utilizzano queste innovazioni come input produttivi – sia in
altre industrie collegate orizzontalmente, in contesti eterogenei e sul territorio. Oltre all'impatto
immediato all'interno del proprio settore e negli altri a cui vengono applicate, queste tecnologie danno
luogo a una serie di innovazioni incrementali che accrescono la qualità dei prodotti e ne riducono i
costi. Più in generale, le general purpose technologies abilitano nuovi processi innovativi, diventando
motori d'innovazione non solo di prodotti e processi, ma anche e soprattutto creando nuove
“tecnologie dell'innovazione”, cioè riducendo i costi della ricerca e introducendo nuovi strumenti e
traiettorie di miglioramento. Alla base di questo concetto, si trova l'osservazione che la crescita
economica è associata in particolari periodi storici allo sviluppo di particolari tecnologie dominanti
che generano grappoli di innovazione: ad esempio, il motore a vapore, l'elettricità ed il motore a
combustione interna e oggi le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT).
Anche nel caso delle general purpose technologies, tuttavia, la diffusione e la realizzazione
delle loro potenzialità richiede tempo – decenni - ed influenza in modo molto differenziato i vari
settori dell'economia. Nelle fasi iniziali, non è infrequente osservare anzi rallentamenti nella crescita
della produttività (David 1990). Ciò dipende in parte dalla complementarietà o sostituibilità con le
tecnologie esistenti ma soprattutto è dovuto alla necessità di sviluppare competenze, assetti
organizzativi ed istituzionali nuovi nelle imprese e nell'economia nel suo complesso. In una
prospettiva più ampia, la maturazione di una tecnologia richiede profondi cambiamenti strutturali e la
faticosa e conflittuale creazione di “paradigmi tecno-economici” (Freeman and Perez (1988), Freeman
and Louça (2001).
Più in generale, l'impatto di innovazioni in un settore su altre industrie dipende
dall’importanza dell'innovazione stessa, e dalla sua pervasività. Ad esempio, diversi studi sui cluster
261
innovativi a livello spaziale (Silicon Valley, ecc.) mostrano come il numero e la performance di nuove
imprese create in seguito alle ricerche e alle scoperte effettuate dal sistema della ricerca di base
(tipicamente le università) dipendano non tanto dal numero complessivo di ricercatori o dalle loro
pubblicazioni totali, quanto dalla presenza di “star scientist” in grado di generare ricerca di altissima
qualità (Zucker, Darby and Brewer, 1998).
Gli effetti indiretti dell'innovazione dipendono però anche dal grado di cumulatività ed
appropriabilità della tecnologia stessa. Elevati livelli di cumulatività possono dare luogo a serie di
innovazioni incrementali e alla creazione di nuove opportunità in altri settori. Ad esempio, in alcuni
casi, il progresso tecnologico tende ad essere più veloce in aree geografiche fortemente specializzate in
particolari tecnologie e settori industriali (le cosiddette externalità “Marshalliane”), in quanto la
specializzazione favorisce la circolazione e la riproduzione delle conoscenze lungo traiettorie ben
definite. In altri casi, il ritmo dell’innovazione è positivamente associato alla diversificazione
produttiva e tecnologica (esternalità Jacobiane, Jacobs 1969).
Inoltre, come discusso in precedenza, elevati livelli di appropriabilità possono ostacolare la
diffusione della conoscenza tecnologica, soprattutto quando l'innovazione corrisponde a una tecnica di
base che può essere utilizzata in diverse applicazioni ed apre la strada a nuovi miglioramenti e utilizzi.
Infine, è fondamentale sottolineare come gli spillover di conoscenza siano strettamente legati e
vincolati dalle capacità degli agenti non solo di innovare, ma anche e soprattutto di assorbire
conoscenza dall'esterno, di comprendere i codici specifici al contesto nei quali essa è strutturata e di
incorporarla nelle proprie competenze e routine: cioè dalle capacità di assorbimento (Cohen and
Levinthal, 1999).
Queste competenze sono a loro volta sviluppate mediante la conduzione di attività innovativa
e di ricerca: la ricerca “esterna” non è mai sostituiva, ma semmai altamente complementare alla ricerca
“interna”.
L'evidenza empirica a questo riguardo è robustissima, sia a livello macroeconomico che in
studi micro di singoli settori ed imprese. Ad un estremo, ad esempio, Verspagen (2001) dimostra che
dopo gli anni Settanta, la spesa di R&S risulta avere effetti positivi sulla crescita economica dei paesi
soprattutto in quanto strumento per acquisire tecnologie prodotte altrove. A livello microeconomico,
diversi studi hanno mostrato come la ricerca collaborativa tra imprese (e la sua performance) sia
strettamente dipendente dall'impegno autonomo in attività innovative (Roijakkers and Hagedoorn,
2007).
Gli spillover tecnologici quindi sono anche determinati dai livelli e dalla distribuzione di
competenze nei settori che “ricevono” l'innovazione. In presenza di un tessuto di capacità innovative
debole e scarsamente integrato, gli effetti indiretti potenziali del progresso tecnologico non possono
manifestarsi.
262
8.4.5 I canali di trasmissione della conoscenza
In effetti, i canali ed meccanismi attraverso cui la conoscenza fluisce sono molto differenziati
ed articolati. Ad esempio, la Yale Survey (cioè la nota indagine sulla appropriabilità delle innovazioni
svolta da diversi economisti della Yale University e successivamente confermata da moltissimi altri
studi) (Levin et al, 1987) distingueva sette principali meccanismi di trasmissione della conoscenza, la
cui importanza relativa varia significativamente tra settori e tecnologie:
I primi due, acquisizione di licenze e R&S indipendente, sono già stati richiamati e non
rientrano nella categoria di “knowledge spillovers. Tra questi ultimi, il reverse engineering risultava,
in media, la fonte più importante di conoscenza “esterna”. Un altro canale di grande importanza è la
mobilità dei ricercatori, che individualmente incorporano parte della conoscenza rilevante e
spostandosi in un'altra impresa o laboratorio portano con sé idee, tecniche e skills. La conoscenza
inoltre fluisce tramite i canali tradizionali della comunicazione tecnico-scientifica, cioè pubblicazioni
su
riviste specializzate, convegni e conferenze: data la natura volontaria di questa forma di
disseminazione, questi spillover tendono ad essere del tipo idea-creating. Un’importanza appena più
limitata risultano avere i brevetti. Le imprese studiano i documenti brevettuali non solo per
determinare se un’innovazione è brevettabile o meno (o per controllare che il brevetto non violi un
diritto di proprietà intellettuale posseduto) ma per raccogliere informazione utile per la propria ricerca.
Questa informazione può essere usata liberamente finché il prodotto o il processo specifico oggetto del
brevetto non sia violato. Quindi, questo tipo di canale dovrebbe essere essenzialmente idea-creating,
anche se le imperfezioni del sistema brevettuale possono facilmente indurre spillover “imitation
enhancing”. L'ultimo meccanismo di trasmissione delle conoscenze identificato dalla Yale Survey
consiste nella “acquisizione tramite conversazioni informali con dipendenti dell'impresa innovativa”.
Questo canale risulta avere una rilevanza empirica molto elevata e in molti casi è stato considerato
come un indicatore dell’importanza della conoscenza tacita.
In effetti, quest'ultimo canale – assieme in parte alla mobilità dei ricercatori ed in generale del
personale – non sempre è legittimamente interpretabile come uno spillover. In molti casi, questo tipo
di interazioni sono attivamente perseguite dalle imprese come parte di una strategia volontaria di
trasmissione della conoscenza e – in modo in parte informale – regolato da accordi specifici. Ad
esempio, le relazioni di sub-fornitura e più in generale le interazioni tra utilizzatori e fornitori
costituiscono un meccanismo fondamentale di trasmissione della conoscenza e una fonte molto
importante di innovazione (Pavitt, 1984, von Hippel 1988). Queste relazioni però devono essere
consapevolmente create, organizzate e gestite e normalmente richiedono significativi investimenti da
entrambe le parti.
263
8.4.6 Il carattere locale dei flussi di conoscenza
Quest'ultimo punto può essere generalizzato da due prospettive complementari.
In primo luogo, la discussione precedente mostra come l'acquisizione di conoscenza
tecnologica – per quanto non mediata da meccanismi di mercato – richieda in ogni caso e per qualsiasi
canale di trasmissione investimenti e strutture organizzative. In altri termini, la conoscenza non è
(quasi mai) semplicemente “nell'aria”, ma anche quando essa sia in linea di principio accessibile a
costo zero, la sua acquisizione implica costi positivi, anche se minori del “prezzo pieno” che sarebbe
determinato dal mercato.
Inoltre, la trasmissione della conoscenza è mediata da molti altri meccanismi diversi dal
mercato: in particolare strutture organizzative, istituzionali e sociali. In termini più generali, l'impatto
indiretto delle innovazioni è circoscritto. Molteplici studi hanno mostrato, utilizzando tecniche e
formalizzazioni diverse, che gli spillover tecnologici non sono illimitati ma hanno intensità diverse a
seconda dei settori che originano la conoscenza della “prossimità” tecnologica dei settori che la
“ricevono” - definita e misurata in vari modi: citazioni di brevetto, relazioni input-output, ecc, si veda
il capitolo 9 di questo Rapporto - e dalla distanza geografica.
Esiste, in effetti, un’evidenza empirica enorme che mostra come l’innovazione tenda a
concentrarsi in alcune tecnologie e aree geografiche.
Per quanto riguarda l'aspetto tecnologico, è sufficiente ricordare come le spese di R&S siano
fortemente concentrate in un numero piuttosto ristretto di settori e di imprese; e come gli effetti
indiretti delle innovazioni tendano ad esercitarsi con intensità decrescente in settori e applicazioni più
lontani, secondo le varie misure di prossimità tecnologica utilizzabili (Los and Verspagen, 2007).
Per quanto riguarda la dimensione spaziale, anche nel lunghissimo periodo vi è una
robustissima evidenza che l'innovazione sia concentrata in un piccolo gruppo di paesi, con entrata di
nuovi membri limitata (il Giappone nel XX secolo, la Corea e la Cina a cavallo del nuovo millennio)
con piccole modifiche nel “ranking” (Germania e USA superano il Regno Unito, emergenza del
Giappone, ecc.). Ma anche a scala locale e regionale, l'innovazione tende a concentrarsi in pochi
cluster: la geografia dell’'innovazione è molto più concentrata di quella produttiva (Feldman, 1994)
Una spiegazione di questi fenomeni è certamente legata alla natura tacita e, appunto, locale
della conoscenza tecnologia. Questi risultati, al di là delle tecniche specifiche utilizzate per la
misurazione, sono consistenti con la nozione che il trasferimento delle conoscenze implichi
l'assorbimento di conoscenza tacita e lo sviluppo di codici di comunicazione e di interpretazione
condivisi. La prossimità tecnologica e spaziale – in prima approssimazione – dovrebbe dunque
facilitare la circolazione delle conoscenze e gli spillover, nella misura in cui tecnologie “simili”
utilizzano almeno parzialmente basi conoscitive comuni e aree geografiche vicine condividono
264
linguaggi, favoriscono e interazioni faccia a faccia, promuovono la fiducia tra gli agenti (come nella
“mitologia” della Silicon Valley e dei distretti industriali).
Tuttavia, l'evidenza empirica più recente sottolinea come altri meccanismi circoscrivano
l'estensione degli spillover di conoscenza. In primo luogo, la prossimità organizzativa: la conoscenza
tende a circolare più facilmente all'interno della stessa organizzazione, che condivide routine,
euristiche e procedure. Questa è una delle ragioni classiche che spiegano la tendenza alla integrazione
delle attività di ricerca nella stessa organizzazione ed al mantenimento di strutture centralizzate a
livello headquarter, anche in periodi caratterizzati da tendenze all'apertura a fonti conoscitive esterne
e decentramento delle attività di ricerca. Analogamente, la trasmissione delle conoscenze tende ad
avvenire più facilmente tra organizzazioni che condividono stili organizzativi simili, anche se sono
lontane dal punto di vista geografico.
In secondo luogo, come già accennato con riferimento ai sistemi dell'innovazione, le strutture
istituzionali formali ed informali svolgono un ruolo cruciale nel definire le condizioni ed i meccanismi
attraverso cui la conoscenza può fluire.
In terzo luogo, i flussi di conoscenza sono canalizzati da relazioni sociali: il know-how
tecnologico è incorporato in individui e gruppi di ricerca e le loro relazioni professionali e sociali,
l'appartenenza a comunità di ricerca (misurate ed esempio dalla rete di relazioni di co-invenzione
desumibili dai dati sulle citazioni di brevetto) sono relativamente più importanti della pura vicinanza
geografica nello spiegare, ad esempio, la formazione di cluster innovativi ( Breschi e Lissoni, 2009).
In termini più generali, la nozione che la conoscenza si trasmetta come un puro spillover, sia
pure all'interno di particolari aree geografiche (e settori) richiede l'ipotesi che la rete di relazioni tra gli
agenti sia sufficientemente densa e altamente connessa. La determinazione delle proprietà strutturali
del network di relazioni esistenti tra gli agenti e della dinamica del network stesso in seguito ad
un’innovazione è invece essenziale per comprendere l'entità, i percorsi e gli snodi critici dei flussi di
conoscenza.
8.5. Conclusioni
L'approccio evolutivo e la SYS offrono strumenti interpretativi importanti per comprendere,
qualificare e distinguere gli effetti “indiretti” (spillone) dell'innovazione. In estrema sintesi, questo
approccio riconosce ed enfatizza che il progresso tecnologico non esaurisce il proprio impatto
all'interno di una singola impresa o di un singolo settore. Al contrario, la natura cumulativa
dell'innovazione implica l'instaurarsi di feedback positivi che possono potenzialmente portare ad una
crescita tecnologica sostenuta e non lineare. Tuttavia, la comprensione delle sostanziali differenze tra
informazione e conoscenza porta ad un’analisi più approfondita delle modalità di creazione e
diffusione di nuove tecnologie e del loro impatto successivo. In particolare, occorre riconoscere che i
flussi di conoscenza passano attraverso una molteplicità di canali e in ogni caso sono strutturati da
265
variabili di mercato, organizzative, sociali ed istituzionali. Gli effetti indiretti dell'innovazione sono
inoltre determinati dalle caratteristiche specifiche di ciascun paradigma e regime tecnologico e dai
livelli e distribuzione delle competenze tecnologiche.
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270
CAPITOLO 9. LE ESTERNALITA’ DELLE SPESE IN R&S: ANALISI EMPIRICA
Il presente capitolo si propone di catturare i possibili spillover delle spese in R&S dei settori
high-tech sul valore aggiunto, sul valore aggiunto per dipendente e sulla produttività del lavoro del
settore manifatturiero, esclusi i settori high-tech. Per catturare tali spillover considereremo differenti
proxy degli investimenti in attività innovative svolte dai settori high-tech e la loro interazione con il
capitale umano.
Nella sezione 9.1, si fa un breve richiamo ai principali problemi che emergono quando si
effettua un’analisi empirica di quegli spillover ed al risultato generale sulla loro esistenza ed
importanza raggiunto nella letteratura empirica. Nella sezione 9.2 si illustrano le basi dati (e le loro
fonti) utilizzate, mentre nella sezione 9.3 viene svolta un’analisi univariata (statistiche descrittive,
correlazioni e grafici) che serve da base per l’analisi multivariata, cioè per la stima del modello
econometrico proposto nella sezione 9.4. L’analisi univariata mette in luce le relazioni incondizionate
tra le variabili di interesse, mentre quella multivariata è un’analisi condizionata, ovvero che controlla
anche per altri fattori che possono influire sulla relazione in oggetto. La sezione 9.5 fornisce delle
indicazioni empiriche sulla potenzialità di generazione di spillover analizzando l’entropia della
distribuzione dei brevetti richiesti dalle imprese aerospaziali italiane e europee allo European Patent
Office dal 1078 al 2005.
9.1 INTRODUZIONE
Il principale obiettivo dell’analisi empirica è quello di catturare quantitativamente gli spillover
che la ricerca e sviluppo (R&S) e i processi innovativi del settore aerospaziale e più in generale dei
settori high-tech hanno sulla produttività e la crescita della produttività del settore manifatturiero.
Utilizzando dati a livello settoriale, si vuole stimare un modello empirico per valutare quali
siano gli spillover degli investimenti in R&S e in attività innovative fatti dai settori high-tech sul
valore aggiunto, la produttività del lavoro e la loro crescita.
I primi studi sulle esternalità derivanti da spese in R&S compaiono già dai primi anni
Cinquanta, come studi di caso molti dei quali sul settore agricolo (e.d. T.W. Schultz, 1954; Griliches,
1958). A questi fanno seguito lavori basati su analisi econometriche. Qui le misure di output o la
produttività totale dei fattori o, ancora, i relativi tassi di crescita sono messi in relazione con misure
dello stock di R&S o con l’intensità degli investimenti in R&S (pari al rapporto tra gli investimenti in
R&S e le vendite). Griliches (1964) utilizza le differenze tra gli output e gli input di diversi stati degli
U.S. misurati su tre anni (1949, 1954 e 1959) includendo nella funzione di produzione anche una
271
misura della spesa pubblica nella ricerca agricola e trova un effetto statisticamente significativo e
positivo. Molti altri studi, tra cui Evenson (1968) e Huffman e Evenson (1991), sviluppano
ulteriormente le analisi inserendo funzioni ritardate (lag function) più complicate della variabile R&S
e, soprattutto, introducendo il concetto di geographic spillover.
In letteratura (tra i tanti: Griliches, 1991; Breschi e Lissoni, 2001) si distinguono due forme di
esternalità derivanti da spese in R&S. Una è rappresentata dalle rent externalities generate negli
scambi di mercato quando gli acquirenti di beni intermedi tecnologicamente più avanzati realizzano un
beneficio dal loro impiego senza pagarne il prezzo ai fornitori (vedi anche sopra, sezione 7.1). Ci sono,
poi, le technological externalities o pure knowledge externalities che hanno luogo tramite interazioni
non di mercato, non sono monetarie e non sono racchiuse in un particolare prodotto. Si tratta di
conoscenze, non solo formali ma anche tacite, con le caratteristiche di un bene pubblico (è possibile
utilizzarlo gratuitamente, non si esaurisce e può essere utilizzato contemporaneamente da altri). Sono
queste le esternalità o spillover che esamineremo empiricamente in questo capitolo.
Come si è notato nella sezione 7.1.3 il problema principale per il loro studio è la costruzione
del capitale di R&S. Il livello di produttività di un’impresa o di un settore, infatti, dipende non solo
dagli sforzi fatti in ricerca dall’impresa o dal settore stesso, ma anche dalle conoscenze esterne loro
accessibili (Griliches, 1991). Ciò porta ad un’interazione tra gli sforzi in R&S individuali e aggregati
(Griliches, 1991). Lo studio si complica quando il livello di analisi coinvolge più settori, perché in
questo caso è necessario tenere conto della distanza tecnologica tra i settori. Tale distanza è
empiricamente definita attribuendo dei pesi alle conoscenze. Brown e Conrad (1967) e Goto e
Suzuki(1989) utilizzano la tabella di input-output per misurare la vicinanza dei settori in modo
proporzionale agli acquisti che effettuano tra loro. Tsai e Wang (2004) applicano la medesima
metodologia ai flussi tecnologici verso il settore manifatturiero tradizionale incorporati nei beni
intermedi del settore high-tech e trovano un’elasticità significativa e maggiore che in altri settori.
Terleckyi (1974) utilizza la matrice dei pesi di capitale e di input intermedi acquistati, assumendo che
la parte di ricerca e sviluppo acquisita da altri sia incorporata in essi. Raines (1968) applica la
classificazione orizzontale dei gruppi di prodotti NSF al fine di includere come input anche le spese in
ricerca e sviluppo di altri settori che sono riportate come appartenenti alla categorie di prodotti del
settore considerato. Verspagen (1997) utilizza la ‘Yale’ matrix o ‘Pure knowledge spillover’ matrix102
e dimostra che gli spillover di conoscenza apportano un contributo fondamentale alla crescita
economica con impatti più o meno forti a seconda del settore (high-tech, medium-high-tech e lowtech) e che si tratti di spillover diretti o indiretti.
Caballero e Jaffe (1993) utilizzano, invece, le informazioni sulle citazioni fatte e ricevute dai
brevetti come approssimazioni dell’accumulazione di tecnologia, mentre Scherer (1982, 1984)
102
Applicazione della technology flow matrix ((Scerer, 1982; Putnam e Evenson, 1994) a più Paesi. 272
classifica un ampio campione di brevetti sia del settore dove l’invenzione è stata fatta, sia dei settori
sui quali tale invenzione potrebbe avere maggior impatto, e dimostra che l’R&S ‘trasmessa’ ha un
impatto più significativo e maggiore dell’R&S ‘propria’. Jaffe (1986, 1988, e 1989) misura la
vicinanza tecnologica tra due imprese utilizzando la sovrapposizione fra le distribuzioni dei loro
brevetti suddivisi per classi e indicizzandoli attraverso coefficienti di correlazione decentrata o
‘angular separation’. Jaffe et al. (1998) nel loro caso studio riscontrano che le citazioni di brevetti sono
una valida ma caotica misura degli spillover tecnologici.
Infine Breschi e Lissoni (2001) e Griffith et al. (2004) mettono in luce due funzioni dell’R&S:
stimolare l’innovazione, aspetto che ha ricevuto maggiori attenzioni nella letteratura empirica; e
facilitare l’imitazione delle invenzioni degli altri. Investendo, infatti, in ricerca e sviluppo, in un
particolare ambito tecnologico o intellettuale, è possibile acquisire quella conoscenza tacita che
consente una migliore comprensione e assimilazione delle scoperte altrui. Così facendo, gli autori
sottolineano l’importanza del capitale umano e della absorptive capacity di chi riceve conoscenza.
Inserendo tra le variabili in regressione, per ogni settore analizzato, la distanza di ogni Paese da quello
con la migliore TFP, oltre ad una variabile di interazione tra intensità dell’R&S e skilled labour, come
approssimazione della capacità di trasferimento della conoscenza, trovano evidenza di come l’R&S
abbia effetti positivi su entrambi i tassi di innovazione e di absorptive capacity.
In conclusione, nonostante tutte queste difficoltà di misurazione, nella letteratura empirica è
presente un numero consistente di lavori che dimostra che gli spillover delle spese in R&S esistono,
che la loro entità può essere piuttosto significativa e che i tassi sociali di ritorno restano al di sopra di
quelli privati (Griliches, 1991).
9.2 Le banche dati e le variabili
9.2.1 Le banche dati
Le analisi qui descritte si basano su dati tratti da due fonti: l’OECD, in particolare dagli
Structural Analysis (STAN) Databases; e l’EU-KLEMS database, risultato dall’EU KLEMS project a
cui hanno partecipato 15 organizzazioni dell’Unione Europea, rappresentate da istituzioni
accademiche e enti nazionali di ricerca, supportati da uffici statistici e dall’OECD.
Gli STAN forniscono dati basati sull’International Standard Industrial Classification (ISIC) di
tutte le attività economiche ad un livello di dettaglio sufficiente ad evidenziare i settori high
273
technology, per 28 Paesi (oltre alla Germania Ovest), con una copertura temporale che va dal 1970 al
2007103.
Gli Structural Analysis Database si suddividono in: STAN Bilateral Trade, STAN database for
Structural Analysis, STAN Indicators Database e STAN R&S Expenditures in Industry – ANBERD.
Lo STAN Bilateral Trade database (BTD) è compilato dal Dipartimento di Analisi
Economiche e Statistiche (EAS) del Direttorato per la Scienza, la Tecnologia e l’Industria (STI)
dell’OECD. Tale fonte fornisce dati relativi all’esportazione e all’importazione di beni dal 1988 al
2006 e i valori sono espressi in dollari. I dati sono basati sulla classificazione ISIC, Revision 3.
Lo STAN database for Structural Analysis, è principalmente basato sui resoconti annuali
nazionali di ogni Paese membro dell’OECD, completati tramite altre fonti come le survey industriali
nazionali. Include misure annuali della produzione, del valore aggiunto, dell’input di lavoro, oltre a
valori annuali sulle esportazioni e sulle importazioni e sulla formazione di capitale fisso. Il periodo
coperto va dal 1970 al 2007 e i valori sono espressi in euro a prezzi correnti. Si fa notare che il
dettaglio, di nostro interesse, sul settore spaziale o, più in generale, sull’high-tech, è, però, presente
solo dal 1980 al 2006. E’, inoltre, possibile estrarre i deflatori per l’ottenimento delle variabili a prezzi
costanti. Non avendo tali dati una profondità settoriale a 3 digit, si sceglie, come l’OECD, di utilizzare
i valori dell’aggregato a 2 digit. I dati sono basati sulla classificazione ISIC, Revision 3.
Lo STAN Indicators Database fornisce una serie di indicatori sull’international trade,
l’industrial composition, l’R&S, l’employment, la produttività e gli investimenti. Tali indicatori si
basano sullo STAN Database for Industrial Analysis e sull’ANBERD versione 2005. I dati sono basati
sulla classificazione ISIC, Revision 3.
Infine, lo STAN R&S Expenditures in Industry – ANBERD consente di superare i problemi
legati alla comparabilità internazionale dei dati time-series ufficiali relativi alle spese in R&S
attraverso l’applicazione di tecniche di stima accreditate su dati OECD unitamente alle survey
Eurostat sull’R&S104. I valori sono espressi in prezzi correnti e, per i dati dal 1991, anche in prezzi
costanti (anno base 2000). Il periodo coperto va dal 1973 al 2007 (anche per il settore spaziale e
dell’high technology). I dati sono basati sulla classificazione ISIC, Revision 3 dal 1991 in poi, mentre
per i dati che si riferiscono agli anni precedenti105 è necessario effettuare una conversione, oltre che
dalle lire italiane agli euro, dalla classificazione ISIC Revision 2 a quella ISIC Revision 3.
L’EU KLEMS Database è suddiviso in due parti.
103
Quello riportato è la massima copertura temporale che è possibile reperire negli STAN. Il periodo varia a
seconda del dato che si desidera estrarre. 104
Per maggiori dettagli circa i problemi presentati dall’utilizzo di dati sulle spese in ricerca e sviluppo si
rimanda al documento sulla metodologia ANBERD reperibile on line all’indirizzo:
http://www.oecd.org/dataoecd/52/23/1962156.pdf 105
In realtà, i dati dal 1991 al 1998 sono disponibili in entrambe le revisioni ISIC (permettendo una
controverifica dei dati ottenuti dalle estrazioni effettuate). Su consiglio, via mail, degli esperti dell’OECD si
decide di tenere in considerazione per questi anni la rilevazione in ISIC Rev.3. 274
La prima rappresentata dall’EU KLEMS Growth and Productivity Accounts, risultato di un
progetto finanziato dalla Commissione Europea, che contiene 62 variabili, incluse misure di Growth
Accounting, employment, skill creation e capital formation. Tali file seguono la classificazione
settoriale NACE, mostrando, in alcuni casi, aggregazioni alternative come: market versus non-market,
goods versus services e ICT production. I dati sono relativi agli anni dal 1970 in poi.
La seconda, rappresentata dall’EU KLEMS technology indicators satellite database, contiene
una serie di dati complementari suddivisibili in tre gruppi principali: 1. Patents e R&S stocks, 2.
Distributed microdata indicators e 3. Dati derivanti dai bilanci delle imprese. Questi dati variano nella
copertura temporale: dal 1970 al 1999 per i brevetti, dal 1980 al 2003 per lo stock di R&S e dal 1997
al 2006 per i dati sui bilanci delle imprese. La copertura temporale è variabile a seconda del paese
relativamente ai dati DMD. Inoltre, i dati non sono presenti per tutti i settori arrivando spesso al livello
del secondo digit.
I dati da noi analizzati sono estratti dallo STAN database for Structural Analysis, e dallo STAN
R&S Expenditures in Industry – ANBERD, e da entrambi i database EU KLEMS.
Il lavoro si focalizza sull’Italia e riguarda i settori manifatturieri, con particolare attenzione al
settore aircraft and spacecraft (settore a 3 digit) e al macro-settore dell’high technology (high-tech)
più in generale. Come si evince dai dettagli appena forniti sui singoli database, è possibile fornire
un’analisi di dettaglio su questi settori con una profondità temporale che va dal 1980 al 2006, periodo
che si restringe se nelle analisi si vogliono inserire i dati sull’high skilled labour (1980-2005), sugli
stock di R&S (1980-2003) e sui brevetti (1980-1999).
Seguendo le definizioni OECD, raggruppiamo, inoltre, per le nostre analisi, i settori
manifatturieri106 in tre macro-settori: il settore high technology (high-tech) (che comprende i settori:
pharmaceuticals; office, accounting and computing machinery; radio, television and communication
equipment; medical, precision and optical instruments; e aircraft and spacecraft), il medium/high
technology (medium/high tech) (Chemicals excluding pharmaceuticals; machinery and equipment
n.e.c.; electrical machinery and apparatus n.e.c.; motor vehicles, trailers and semi-trailers e railroad
equipment and transport equipment n.e.c.), e il low technology (low-tech) (contenente i restanti
settori).
Ai dati presentati finora, se ne uniscono altri relativi ai brevetti richiesti e concessi da tutte le
imprese del settore aerospaziale italiano, da noi utilizzati per catturare gli spillover di tipo tecnologico
attraverso il calcolo dell’entropia, ovvero la varietà tecnologica presente nella distribuzione dei
brevetti delle imprese aerospaziali attraverso le tecnologie nell’industria nel suo insieme.
I dati sono tratti dal database EP-CESPRI del centro di ricerca KITeS dell’Università Luigi
Bocconi, accuratamente descritto in Lissoni et al. (2006). In questa sede solo una presentazione
106
Non avendo disponibilità di alcuna classificazione OECD sui servizi high technology, si è preferito come si
specificherà in seguito, focalizzare l’analisi sul settore manifatturiero. 275
sommaria di tale banca dati, mentre nella sezione 9.5.1 viene fornita una dettagliata descrizione dei
dati usati per l’analisi dell’entropia..
EP-CESPRI è un database che fornisce informazioni sui brevetti dello European Patent Office
(EPO)
dal 1978 (data di fondazione dell’EPO) al gennaio 2005. L’EP-CESPRI si basa su
informazioni regolarmente pubblicate dallo Espacenet Bullettin ed è aggiornato annualmente. I dati
possono essere suddivisi in cinque categorie:
1.
Dati sui brevetti;
2.
Dati sul candidato;
3.
Dati sull’inventore;
4.
Dati sulla compagnia del candidato;
5.
Citazioni.
9.2.2
Le variabili
9.2.2.1
Le variabili dipendenti
Valore Aggiunto. Fonte: STAN database for Structural Analysis. Il valore aggiunto è da noi
considerato dal 1980 al 2006 ed è presente per ogni settore ISIC (3 digit). E’ una variabile continua ed
è a prezzi correnti. Utilizzando il deflatore per il valore aggiunto distinto per settori e per anni,
otteniamo la variabile a prezzi costanti. Abbiamo, poi, costruito un’ulteriore variabile scalando il
valore aggiunto per la dimensione del settore, in termini di dipendenti (numero di employee).
Produttività del lavoro. La produttività del lavoro è calcolata come rapporto tra la produzione e il
numero di dipendenti totale (total employment) (Fonte: STAN database for Structural Analysis). Il
periodo considerato va dal 1980 al 2006. Attraverso il rapporto con i deflatori per la produzione,
distinti per settore e anno, è possibile ottenere la produttività del lavoro a prezzi costanti.
Tasso di crescita del Valore Aggiunto. Partendo dal valore aggiunto deflazionato si calcola il relativo
tasso di crescita come rapporto tra: i) la differenza tra la variabile al tempo t e al tempo t-1; e ii) la
variabile al tempo t-1.
Tasso di crescita della Produttività del lavoro. Partendo dalla produttività del lavoro a prezzi costanti
si calcola il relativo tasso di crescita come rapporto tra: i) la differenza tra la variabile al tempo t e al
tempo t-1; e ii) la variabile al tempo t-1.
276
9.2.2.2
Le variabili indipendenti
Spese in R&S. Fonte: STAN R&S Expenditures in Industry – ANBERD. Dal 1991 al 2006 i dati sono
basati sulla classificazione ISIC Revision 3 e sono espressi in euro, mentre per gli anni precedenti si
basano sulla classificazione ISIC Revision 2 e sono espressi in milioni di Lire italiane. Per ottenere
dati omogenei dal 1980 al 2006 è, dunque, necessario effettuare due conversioni. La prima è quella
che consente di uniformare la valuta utilizzata attraverso il rapporto tra il valore delle spese in R&S in
milioni di lire italiane e il tasso di cambio costante con l’euro, 1.936,27. La seconda, attraverso la
tavola di conversione da ISIC Revision 2 a ISIC Revision 3, permette di ottenere omogeneità sulla
suddivisione settoriale. Infine, su suggerimento dell’OECD, si decide di utilizzare i deflatori della
produzione anche per il calcolo delle spese in R&S a prezzi costanti. E’ possibile, infatti, tramite
semplici calcoli, verificare che il rapporto medio tra i deflatori dell’R&S (ottenuti dal rapporto tra le
spese in R&S a prezzi correnti e quelle a prezzi costanti; queste ultime disponibili solo dal 1991 al
2007 e senza variazione sui settori) e i deflatori della produzione è molto vicino all’unità (1.0089).
Abbiamo, inoltre, calcolato due ulteriori variabili scalando le spese in R&S prima per la dimensione in
termini di dipendenti dei macro-settori (total employees) e poi per la produzione. Successivamente, al
fine di inserire in regressione un numero limitato di variabili per non diminuire i gradi di libertà
(considerato il numero modesto di osservazioni temporali), partendo dalla variabile di R&S scalata per
la dimensione, ne abbiamo ricavato un’altra pari alla media dei primi quattro ritardi temporali delle
spese in R&S per dipendente ponderata per i coefficienti di correlazione di quest’ultima variabile con
il valore aggiunto per dipendente e con la produttività del lavoro.
Stock di R&S. Fonte: EU KLEMS technology indicators satellite database. Quando questi dati
vengono inseriti in regressione il periodo di analisi è limitato al periodo dal 1980 al 2003.
Percentuale di high e medium skilled labour in termini di numero di dipendenti, ore lavorate o
retribuzione (ovvero: rapporto tra “high skilled labour employees/ total employees” per ogni macro
settore, e lo stesso rapporto in termini di ore lavorate e di retribuzione). Fonte: EU KLEMS Growth
and Productivity Accounts. Come Griffith et al. (2004) tentiamo di catturare i meccanismi di
conoscenza messi in atto dal capitale umano e sottostanti ai rendimenti degli investimenti in ricerca e
sviluppo e all’applicazione delle conoscenze che ne derivano inserendo variabili relative alle skills dei
lavoratori. I dati relativi allo skilled labour sono disponibili fino al 2005 e non sempre arrivano al
terzo digit della classificazione ISIC. Quando tali variabili sono considerate, quindi, è necessario
limitare il periodo di analisi dal 1980 al 2005. E’ stato, inoltre, indispensabile estendere il valore
277
relativo all’aggregato a 2 digit al dettaglio a 3 digit, ipotizzando una distribuzione uniforme tra i settori
a 3 digit della quota di high e medium skilled labour.
Variabile di interazione tra Spese in R&S e Quota di high e medium skilled labour in termini di
numero di dipendenti, ore lavorate o retribuzione. Sempre seguendo il lavoro di Griffith et al. (2004)
inseriamo una variabile che catturi la capacità di assorbimento della conoscenza tacita. Tale variabile
esprime la complementarietà tra la presenza, nel settore, di spese in ricerca e sviluppo e quella di
adeguate competenze per l’apprendimento, l’assorbimento e l’applicazione di tali conoscenze, ovvero
l’absorptive capacity107 del macro-settore. Questa variabile di interazione è calcolata come prodotto
tra i valori delle spese in R&S a prezzi costanti e i valori delle quote di high e medium skilled labour.
Brevetti. Fonte: EU KLEMS technology indicators satellite database. Quando questi dati vengono
utilizzati il periodo di analisi è limitato al periodo dal 1980 al 1999. Si prendono in considerazione
due variabili derivanti da due distinti approcci. Il primo è il ‘whole counting’ che, nel caso in cui un
brevetto sia associato a più settori, lo conteggia in tutti come unità. Tale approccio riflette la natura di
bene pubblico della conoscenza: l’utilità di un brevetto per un dato settore non si riduce
necessariamente se altri settori possono beneficiarne. Se, però, si vuole calcolare il numero totale di
brevetti su più settori, con l’approccio ‘whole counting’ si ottiene un numero maggiore di patent.
Questo svantaggio può essere risolto tramite il ‘fractional counting approach’ che conteggia 1/k di
brevetto per ogni k settore associato al brevetto. In altre parole, si ipotizza che il brevetto sia un bene
condivisibile. Successivamente, al fine di inserire nei modelli da stimare un numero limitato di
variabili per non diminuire i gradi di libertà, considerato il numero modesto di osservazioni temporali,
abbiamo applicato lo stesso approccio seguito con le spese in R&S per dipendente. Partendo, quindi,
dai brevetti, abbiamo ricavato la media dei primi quattro ritardi temporali ponderata per i coefficienti
di correlazione dei brevetti con il valore aggiunto per dipendente e con la produttività del lavoro.
Industry size. Fonte: STAN database for Structural Analysis. La dimensione del settore è uno
dei principali controlli che prendiamo in considerazione. La variabile che la misura è l’occupazione
totale del macro settore ed è disponibile dal 1980 al 2006 per ogni settore oggetto dell’analisi.
Infine, sono stati calcolati i logaritmi di molte delle variabili presentate.
107
Per un’approfondimento sull’absorptive capacity vedere Cohen e Levinthal (1989). 278
9.3 L’analisi univariata dei dati a prezzi costanti
In questa sezione vengono presentati i risultati dell’analisi univariata. Tuttavia prima di
passare alla loro analisi è necessario sottolineare tre punti. Innanzitutto le statistiche qui presentate
sono state rielaborate su dati a prezzi costanti che, come sarà possibile osservare, consentiranno di
dare conferma alle conclusioni tratte nel rapporto intermedio dai risultati ottenuti sui dati a prezzi
correnti.
In secondo luogo, visto il permanere dell’impossibilità di costruire le classificazioni in hightech, medium high-tech e low tech per i servizi, si è deciso di focalizzare le nostre analisi sul settore
manifatturiero.
In ultimo, è stato possibile reperire dati relativi allo skilled labour maggiormente dettagliati
che consentiranno di tentare di catturare i meccanismi di trasmissione della conoscenza che
sottostanno alla creazione di rendimenti degli investimenti in R&S. In particolare sono stati estratti
dati relativi alla percentuale di lavoro high skilled sul totale presente nei diversi settori in analisi in
termini di: numero di dipendenti, retribuzione e ore lavorate.
9.3.1 Le statistiche descrittive.
Una volta messi in evidenza i limiti dell'analisi che permangono e quelli che è stato possibile
superare, passiamo ad analizzare i risultati. La Tavola 1 presenta le statistiche descrittive (Media,
Deviazione Standard, valore Minimo, valore Massimo, 5° percentile, 50° percentile o Mediana, 95°
percentile, numero di osservazioni, periodo di osservazione) per le variabili che utilizzeremo nella
stima econometrica. Non sorprendentemente, le spese in Ricerca e Sviluppo (R&S) e soprattutto le
spese in R&S per dipendente sono più alte in media e in mediana per il settore high-tech di un ordine
di grandezza rispetto al low tech, ed anche più alte rispetto a medium/high-tech, anche se in
quest'ultimo caso la media e la mediana sono dello stesso ordine di grandezza. La Figura 1 e la Figura
2, che rappresentano nel tempo, rispettivamente, l'andamento delle spese in R&S e le spese in R&S
per dipendente, evidenziano come per tutti gli anni del periodo di osservazione il settore high-tech
investa in modo costante molto di più degli altri due settori. Se si considerano, infatti, gli stock di R&S
dei tre macro settori, l’high-tech risulta sempre maggiore, sia in media che in mediana, rispetto a
medium/high e low, dove quest’ultimo risulta addirittura di un ordine di grandezza inferiore ai primi
due.
I brevetti (sia frazionati che non), se considerati in valore assoluto, risultano essere maggiori,
sia in media che in mediana, nel settore medium/high-tech al quale l’high-tech risulta secondo (ultimo
279
il settore low-tech). Se si prendono in considerazione, però, i valori relativi, ovvero il numero di
brevetti per dipendente, la situazione cambia. Ora il settore con media e mediana più elevata è, infatti,
l’high-tech108.
I dati sullo skilled labour, poi, mostrano che, in termini di numero di dipendenti, di
retribuzione, e di ore lavorate, la presenza di lavoratori con skills elevate è preponderante nel settore
high-tech, soprattutto se confrontato con il low-tech. Tendenza contraria mostrano i valori relativi alla
presenza di competenze e capacità medie o basse.
Il valore aggiunto e la produzione sono ovviamente più elevati in valore assoluto per i macrosettori più numerosi (ovvero che raccolgono più settori a 2/3 digit, e cioè il low-tech e il medium/hightech) ma se andiamo ad analizzare il valore aggiunto per dipendente e la produzione per dipendente
(cioè la produttività del lavoro) le relazioni cambiano in modo significativo. Possiamo, infatti,
osservare che il valore aggiunto per dipendente del settore high-tech in media e in mediana è più alto
di quello del settore medium/high-tech e del settore low-tech, ma il settore low-tech ha un valore
aggiunto per dipendente più alto di quello del medium/high-tech. Se guardiamo la Figura 3 possiamo
però notare che il valore aggiunto per dipendente del low-tech rimane sempre al di sotto del valore
aggiunto per dipendente del medium/high-tech. Lo scatter plot riportato nella Figura 3.1 ci aiuta a
capire l’apparente contraddizione. Lo scatter plot riporta il valore aggiunto per dipendente tra i settori
a due digit che compongono il macro-settore low-tech. Appare evidente che il settore 29 (il numero
corrisponde alla classificazione industriale internazionale usata, ISIC), ovvero il settore ‘Coke,
prodotti da petrolio raffinato e materiale fissile’, è un outlier. E’ questo un settore ben noto per la sua
alta redditività quasi mai dovuta a importanti e continui investimenti in innovazione tecnologica che
possano risultare in una maggiore efficienza, ma per motivi di ben altra natura.
Se dal macro-settore low-tech escludiamo il settore 29, otteniamo la Figura 3.2 che ci rivela
che l’andamento del low-tech è trascinato verso l’alto dal settore petrolifero. Anche la media, che è
una misura sensibile agli outlier, risulta spostata verso l’alto dalla presenza del settore 29.
L’analisi della produttività del lavoro presenta un quadro simile (ma non identico) a quello del
valore aggiunto per dipendente. La Tavola 1 ci mostra che la produttività del lavoro del settore lowtech è in media la più alta di tutte, ma se si prende in considerazione la mediana si nota che il settore
high-tech presenta una produttività del lavoro maggiore del settore medium/high-tech e del settore
low-tech, anche se la Figura 4 ci mostra che la produttività del lavoro del settore low-tech, nel corso
del tempo è sempre più bassa degli altri due settori. L’inversione del ranking è spiegato dal fatto che
nel macro-settore low-tech sono presenti degli outliers (come si può notare dal 95° percentile e dal
valore Massimo) che trascinano la media verso l’alto. Lo scatter plot della produttività del lavoro tra i
settori a 2 digit che compongono il macro-settore low-tech, riportato in Figura 4.1, ci mostra la
108
Per questioni di spazio riportiamo solo i valori relativi per i brevetti non frazionati. 280
presenza chiarissima di un outlier: di nuovo il settore 29, ‘Coke, prodotti da petrolio raffinato e
materiale fissile’. La Figura 4.2 mostra l’andamento nel tempo della produttività del lavoro del settore
29 ed evidenzia come la produttività del lavoro di tale settore sia per tutto il periodo di osservazione
sempre ben al di sopra della produttività del lavoro del settore low-tech. E’ la presenza di questo
settore che trascina verso l’alto la media della produttività del lavoro del settore low-tech e la fa essere
maggiore della media della produttività del lavoro del settore high-tech e medium/high-tech (si veda
Tavola 1). Tuttavia, la mediana più alta dei settori high-tech e medium/high-tech ci indica che nella
maggioranza dei casi (settori e anni di osservazione) i settori che compongono l’high-tech e il
medium/high-tech hanno una produttività del lavoro più alta dei settori low-tech.
9.3.2 Le correlazioni.
Nella Tavola 2 vengono presentati i risultati delle correlazioni calcolate tre le variabili di
performance di maggior interesse (Valore Aggiunto, Valore Aggiunto per dipendente, Produttività del
lavoro, Crescita del valore aggiunto e Crescita della Produttività) e le maggiori variabili indicatori
dell’attività innovativa (Spese in R&S in valore assoluto, le Spese in R&S per dipendente (R&S/EMP)
e la crescita annuale delle spese in R&S). Le correlazioni vengono calcolate tra i valori contemporanei
delle variabili di performance (cioè al tempo t) e le variabili di innovazione al tempo t e le stesse
ritardate fino a 10 anni (lag 10). Le variabili ritardate sono introdotte per capire se esista e quale sia la
struttura temporale che determina la correlazione tra le variabili riguardanti l’attività innovativa
(espresse in differenti modi) e gli indicatori di performance dei macro-settori. Sono state calcolate le
correlazioni pairwise e quelle significativamente differenti da 0, sono mostrate nella Tavola 2 con un
asterisco, ad un livello di significatività del 5%.
Partendo dal settore manifatturiero si può notare innanzitutto che le correlazioni tra le spese in
R&S in valore assoluto e per dipendente e le variabili di performance sono sempre significativamente
differenti da 0 e assai elevate. Diversamente, per quanto riguarda la crescita delle spese in R&S, solo
gli ultimi due ritardi temporali considerati nell’analisi (i lag 9 e 10) sono significativi e positivi quando
la correlazione è calcolata sulla crescita della produttività del lavoro. La correlazione tra il valore
aggiunto e la produttività del lavoro e i vari indicatori delle spese in R&S (R&S, l’R&S/EMP, e
Crescita R&S) è sempre positiva e con valori che eccedono sempre lo 0,5. Al crescere delle spese in
R&S cresce il valore aggiunto e la produttività del lavoro, qualunque sia il lag temporale in cui sono
stati fatti gli investimenti in R&S. Come avveniva per le correlazioni calcolate sui prezzi correnti,
qualunque investimento in R&S fatto nel passato sembra avere un effetto positivo sia sul valore
aggiunto che sulla produttività del lavoro del lavoro, ma diversamente da prima, sembra avere una
struttura temporale. Col passare degli anni, infatti, le correlazioni aumentano la loro intensità. Ciò
sembrerebbe indicare che gli investimenti in R&S, non solo richiedano tempo prima di esplicare tutta
281
la loro potenzialità sulla produttività, ma anche che questo effetto tenda ad aumentare sempre di più,
probabilmente fino ad un punto di massimo oltre il quale gli investimenti effettuati inizieranno a
perdere la loro potenzialità. La correlazione tra la crescita delle variabili assume valori più bassi.
Prendendo in considerazione la disaggregazione del settore manifatturiero nei 3 macro-settori,
possiamo notare che i settori analizzati singolarmente mostrano sempre una correlazione significativa
e positiva tra spese in R&S in termini relativi e produttività del lavoro, qualunque sia il ritardo
temporale considerato. Il valore della correlazione diminuisce rispetto a quello dell’intero settore
manifatturiero considerato nella sua interezza, ma mantiene un andamento crescente col passare degli
anni dal momento dell’investimento. Relativamente al legame tra le spese in R&S, in termini assoluti
e relativi, e il valore aggiunto, sembra esistere un comportamento simile per quanto riguarda il settore
high-tech e il medium/high-tech, dove, diversamente da quanto avviene per la produttività del lavoro,
si evidenzia un andamento decrescente nel tempo fino a perdere di significatività all’ottavo ritardo
temporale per l’high-tech e al quinto per il medium/high. La correlazione tra le medesime variabili che
assume, invece, andamento crescente nei valori assoluti, e crescente prima e decrescente poi in quelli
relativi, sembra dare spiegazione all’andamento descritto prima per il settore manifatturiero nel suo
complesso. La correlazione tra crescita delle spese in R&S e crescita del valore aggiunto
o
produttività del lavoro, come avveniva per le correlazioni a prezzi correnti, perde di importanza.
La Tavola 3 mostra, invece, le correlazioni tra i vari indicatori delle spese in R&S del settore
high-tech e gli indicatori di performance del settore manifatturiero escluso l’high-tech.
La
correlazione tra le spese in R&S in valore assoluto e il valore aggiunto e la produttività del lavoro è
sempre significativa e positiva. La correlazione per tutti i ritardi temporali considerati assume un
valore assai alto e crescente al passare del tempo dal momento in cui si è effettuato l’investimento.
Identici risultati si hanno per la correlazione tra la R&S relativa (R&S/dipendenti) nel settore hightech e il valore aggiunto per dipendente e la produttività del lavoro nel manifatturiero. Questi risultati
sono in linea con quanto calcolato all’interno del settore manifatturiero appena presentato. Anche in
questo caso, inoltre le correlazioni calcolate sulla crescita annuale delle variabili oggetto di analisi
perdono di significatività.
Nella Tavola 4 si presentano le correlazioni per i brevetti, frazionati e non. Anche in questo
caso, i brevetti del settore high-tech, sia in termini relativi che assoluti, presentano una correlazione
significativa e positiva con il valore aggiunto scalato per la dimensione e la produttività del lavoro del
settore manifatturiero (eccetto l’high-tech). Nessun andamento temporale sembra portarsi in evidenza
con chiarezza. Tutti i valori sono elevati e, dopo una prima decrescita, aumentano per poi diminuire di
nuovo.
Tutti i risultati riportati nelle Tavole 3 e 4 sono una prima indicazione dell’esistenza di
spillover della ricerca e sviluppo finanziata e condotta nel settore high-tech sul valore aggiunto e la
produttività del lavoro del settore manifatturiero. Queste correlazioni ci mostrano la relazione
282
incondizionata tra investimenti in R&S del settore high-tech e performance del manifatturiero, sono
cioè una prima misura degli spillover dell’attività innovativa dell’high-tech che dovrà essere
qualificata con l’analisi multivariata, dove si prenderanno in considerazione le relazioni condizionate
agli altri fattori.
9.4 L’analisi Multivariata
9.4.1
I modelli empirici
Il principale obiettivo dell’analisi empirica è quello di catturare quantitativamente gli spillover
che la ricerca e sviluppo (R&S) e i processi innovativi in generale dei settori high-tech hanno sulla
performance del settore manifatturiero.109
Utilizzando i dati a livello settoriale sopra descritti, stimiamo alcuni modelli per valutare se
esistono e quale entità abbiano gli spillover degli investimenti in R&S e in attività innovative fatti dai
settori high-tech sul valore aggiunto, la produttività del lavoro e la loro crescita del settore
manifatturiero.
I modelli empirici che vogliamo testare sui dati raccolti sono i seguenti:
X jt = α + β n R & Di (t − n ) + δ n LSkilli (t − n ) + η n ( R & D * LSkill )i (t − n ) +
+γ n Pati ( t − n ) + λ ' Z t + ε t
dove
j: settore manifatturiero esclusi i settori high-tech con t= 1980,…,2006;
i: settori high-tech con n= 1,…,4 ritardi temporali
Variabili dipendenti:
Xjt : VAjt /Empjt = valore aggiunto per dipendente del settore manifatturiero
Lprodjt = produttività del lavoro (Fatturato/dipendenti)
∆ VAjt/Empjt = crescita del valore aggiunto per dipendente tra t e t+1
∆ Lprodjt = crescita della produttività del lavoro tra t e t+1
109
D’ora in avanti, quando si menziona il settore manifatturiero si intende il settore manifatturiero esclusi i settori high‐tech, sia che questo venga esplicitamente detto nel testo, sia che nel caso appena riportato. 283
Variabili indipendenti:
R&S
: Spese di ricerca e sviluppo del settore dei settori high-tech, ritardati di 1 o più anni (n: 1,..,4)
i(t-n)
LSkill
: spese in High Skill labor dei settori high-tech, ritardati di 1 o più anni (n: 1,..,4). In
i(t-n)
alternativa alle spese è stata considerata la composizione della forza lavoro in percentuale (% di high
skill labour, % di medium skill, e % di low skill impiegato nei settori high-tech)
R&S
* LSkill
i(t-n)
i(t-n)
:interazione per catturare l’Absorbtive Capacity delle imprese che investono in
R&S
Pat
i(t-n)
: numero di brevetti richiesti (e concessi) dalle imprese dei settori high-tech, ritardati di 1 o più
anni (n: 1,..,4)
Z : matrice di variabili di controllo, quali time dummy e variabili economiche che influiscono sulla
it
produttività
å : errore stocastico
t
Per stimare questi modelli abbiamo seguito una metodologia che viene descritta nella seguente
sezione.
9.4.2
Metodologia
Nel caso di serie storiche, è bene che il ricercatore esplori le caratteristiche statistiche delle
variabili oggetto di analisi.
Anzitutto è necessario verificarne la stazionarietà. Se una serie non fosse generata da un
processo stazionario, infatti, le sue osservazioni sarebbero eterogenee e la media varierebbe nel tempo,
quindi, non avrebbe senso considerarle in modo congiunto in un’unica stima. Per fenomeni non
stazionari, in altre parole, le stime dei momenti secondi non hanno senso perché misurano dispersione
e correlazioni rispetto a dati medi non informativi (se non addirittura fuorvianti). Una serie può essere
resa stazionaria mediante trasformazioni. Una tipica trasformazione che elimina la non-stazionarietà
delle serie è la differenza prima. Quando si studiano fenomeni economici, è bene, però, cercare di
interpretare il risultato di una trasformazione statistica.
I test di stazionarietà da noi utilizzati sono i seguenti.
284
Augmented Dickey-Fuller unit-root test
Nell’Augmented Dickey-Fuller unit-root test (Dickey e Fuller, 1979) l’ipotesi nulla è che la
variabile contenga una radice unitaria, mentre l’ipotesi alternativa è che la variabile sia generata da un
processo stazionario. Hamilton (1994, 528-529) descrive quattro differenti casi in cui il test di Dikey e
Fuller può essere applicato. I casi si differenziano a seconda che l’ipotesi nulla includa un termine di
spostamento o che la regressione utilizzata per ottenere la statistica del test includa la costante e/o il
trend. Il test stima, infatti, il seguente modello:
yt = α + ρyt −1 + δt + ut
con il metodo dei minimi quadrati ordinari (OLS) dove α e δ possono essere posti uguali a zero. Tale
regressione è, però, probabile che contenga correlazione seriale. E’, quindi, necessario che il modello
stimato diventi:
Δyt = α + β yt −1 + δt + γ 1Δyt −1 + γ 2 Δyt − 2 + ... + γ k Δyt − k + ε t
dove k è il numero di ritardi temporali; ovvero è necessario utilizzare le differenze prime. La scelta del
caso da applicare avviene in base alla teoria economica e ad un’analisi dei grafici sull’andamento delle
variabili in esame.
Dickey-Fuller GLS regression
Il test esegue un Dickey-Fuller modificato in cui le serie sono state trasformate attraverso una
regressione GLS (Elliott et al., 1996). Elliott, Rothenberg e Stock e studi successivi mostrano che
questo test ha maggior forza rispetto alla precedente versione di Dickey-Fuller. Il modello include da 1
a k lags delle differenze prime delle variabili de-trendizzate, dove k può essere definito esternamente
o, di default, è definito applicando il metodo descritto da Schwert (1989). L’ipotesi nulla è che la
variabile sia random walk, possibilmente con drift. Ci sono due ipotesi alternative: la variabile è
stazionaria con un trend lineare o non lineare nel tempo. Il modello stimato è analogo a quello
presentato per il Dickey-Fuller test, solo su dati GLS-detrendizzati.
Phillips-Perron unit-root test
Il Phillips-Perron (1987) verifica l’esistenza di radice unitaria in una variabile. L’ipotesi nulla, come
per i due test precedenti, è che la variabile contenga radice unitaria, mentre l’ipotesi alternativa è che
285
la variabile sia generata da un processo stazionario. Il test utilizza gli standard errors Newey-West per
tener conto della correlazione seriale, diversamente dal Dickey-Fuller che utilizza le differenze prime
delle variabili. Quindi, il test di Phillips-Perron può essere letto come un Dickey-Fuller reso robusto
alla correlazione seriale attraverso l’utilizzo delle matrici di covarianza di Newey-West consistenti
rispetto all’eteroschedasticità e all’autocorrelazione.
I risultati dei test su tutte le variabili sono presentati nella Tavola 5.
Dopo aver verificato la stazionarietà delle serie, è possibile applicare un modello di stima OLS
con variabili stazionarie o integrate dello stesso ordine.
E’, però, importante un ulteriore controllo. Si potrebbero, infatti, presentare problemi di
autocorrelazione e di eteroschedasticità degli errori, ai quali sarebbe necessario rimediare adottando il
modello di stima adeguato.
I test da noi applicati per la verifica della presenza di autocorrelazione sono il Durbin-Watson
Alternative test e il Breusch-Godfrey test, mentre per l’eteroschedasticità utilizziamo l’LM test for
autoregressive conditional heteroskedasticity (ARCH). Nei primi due test l’ipotesi nulla è la NON
esistenza di correlazione seriale tra gli errori. Il Durbin-Watson Alternative verifica la presenza di
correlazione seriale di ordine 1 e non richiede che i regressori siano strettamente esogeni, mentre il
Breusch-Godfrey testa la correlazione per ordini più alti. L’LM test for autoregressive conditional
heteroskedasticity, invece, ha come ipotesi nulla la NON esistenza di eteroschedasticità condizionale
autoregressiva a cui contrappone l’ipotesi alternativa che sostiene la presenza di eteroschedasticità
autoregressiva di ordine 1. Tutti e tre i test hanno distribuzione χ2.
Nei casi in cui gli errori sono risultati essere autocorrelati, abbiamo sostituito il modello di
stima dei minimi quadrati ordinari con il modello Prais-Winsten Regression che utilizzando il metodo
GLS risolve, o per lo meno attenua, tale problema.
9.4.3
Analisi dei risultati delle stime ottenute.
La Tavola 6 mostra i risultati delle stime effettuate sui modelli proposti nella sezione
precedente. Alcune precisazioni debbono essere fatte prima di entrare nel vivo della discussione dei
risultati. Innanzitutto i modelli proposti nella sezione 9.4.1 sono i modelli empirici che in assenza di
vincoli dettati dai dati sarebbe stato ottimo testare per verificare l’esistenza degli spillover dai settori
high-tech al resto del manifatturiero. I modelli, infatti, miravano a quantificare l’impatto sulla
produttività del lavoro e sulla crescita del valore aggiunto dei settori manifatturieri low e medium tech,
delle spese di R&S e dei ritardi temporali dell’R&S dei settori high-tech, della composizione della
forza lavoro (medium e high skilled labour), l’interazione tra le spese in R&S e la composizione della
forza lavoro, dei brevetti ottenuti e di quelli ottenuti negli anni precedenti, e, per concludere,
inseriscono alcune variabili di controllo, quale la dimensione dei settori, high, medium e low tech.
286
Nonostante i dati a livello di macro-settori (low, medium e high-tech) siano stati raccolti partendo dai
settori a 2 e 3 digit che compongono i macro-settori, non è stato possibile sfruttare la struttura panel
dei dati (ovvero diversi settori per diversi anni) che ci avrebbe concesso una ricchezza di osservazioni
significativa. Infatti, tutti i settori medium e low tech, (le cui variabili appaiono come variabili
dipendenti (produttività del lavoro, valore aggiunto e crescita di entrambe) sarebbero dipesi dalle
stesse variabili dipendenti (quelli dei settori high-tech) per ogni anno incluso nel periodo di
osservazione. Siamo stati quindi costretti ad aggregare i dati raccolti e formare delle serie temporali
di dati per ogni macro-settore: una per l’high-tech e una per il medium e low tech (ovvero il
manifatturiero escluso l’high-tech).
A questo si deve aggiungere che i dati provengono da fonti diverse, come illustrato nella
sezione 9.2.1 e purtroppo non sono presenti per la stessa finestra temporale. In particolare, come la
Tavola 1 mostra, i brevetti sono disponibili dal 1980 al 1999, la composizione della forza lavoro dal
1980 al 2005, mentre la produttività del lavoro e il valore aggiunto dal 1980 al 2006. Questo ha fatto
in modo che le regressioni fossero stimate con il numero di osservazione minore corrispondente a
quello della variabile con minore osservazioni. Inoltre ogni ritardo temporale, ogni differenza prima o
crescita di una variabile riduce il numero di osservazioni disponibile che può essere utilizzato nella
stima dei modelli.
Ci siamo così ritrovati a dover contare su un numero esiguo di osservazioni che ci ha costretto
a ridurre drasticamente il numero delle variabili indipendenti da poter inserire nei modelli. La nostra
scelta è stata quella di escludere i termini di interazione e le variabili di controllo per poterci
focalizzare sulle variabili che catturano gli effetti diretti degli spillover delle attività innovative
dell’high-tech sulle variabili di performance del settore manifatturiero (escluso l’high-tech). Inoltre
abbiamo forzatamente ridotto il numero di ritardi temporali delle variabili indipendenti che avremmo
voluto inserire, visto soprattutto le correlazioni (cfr. Tavole 3 e 4) tra le variabili dipendenti e i lag
temporali delle proxy per le attività innovative e, spese in R&S e brevetti. A questo proposito abbiamo
costruito, come descritto nella sezione 9.2.2.2, una variabile pesata sia per le spese in R&S sia per i
brevetti che fosse una media ponderata dei primi 4 ritardi temporali rispettivamente delle spese in
R&S e dei brevetti e dove i pesi fossero rappresentati dai coefficienti di correlazione mostrati nelle
Tavole 3 e 4. Le variabili così costruite sono “Log lagged R&S/employee pesato su VA/employee”,
“Log lagged R&S/employee pesato sulla Produttività del lavoro”, “Lagged Brevetti pesati su Valore
Aggiunto per employee” e “Lagged Brevetti pesati sulla Produttività del. Lavoro”, che si trovano nella
Tavola 5 che riporta i test sulla stazionarietà delle variabili che abbiamo utilizzato per stimare i
modelli proposti.
La Tavola 6 presenta i modelli che abbiamo stimato utilizzando diversi metodi di stima e le
variabili a disposizione. I Modelli 1 e 2 spiegano la produttività del lavoro in livelli nel settore
manifatturiero, i Modelli 3 e 4 la crescita del valore aggiunto per dipendente e i modelli 5 e 6 la
287
crescita della produttività del lavoro. Rispetto ai modelli empirici riportati nella sezione 9.4.1 manca il
modello per spiegare il valore aggiunto per dipendente in livelli. Questo è dovuto al fatto che le
variabili Valore aggiunto e Valore aggiunto per dipendente sono due variabili che in livelli non sono
stazionarie, come mostra la Tavola 5. Tutte le coppie di modelli sono costruite in modo che il primo
modello abbia due sole variabili indipendenti mentre nel secondo viene aggiunta una terza variabile,
normalmente una variabile con minor numero di osservazioni per cui il numero di osservazioni totali
su cui è stimato il secondo modello è inferiore al numero di osservazioni del primo.
Il modello 1 stima gli effetti delle spese in R&S nel settore high-tech dell’anno t-1 e della
crescita tra l’anno t e t-1 della percentuale di medium skill labour nei settori high-tech sulla
produttività del lavoro del settore manifatturiero al tempo t. Mentre l’impatto delle spese in R&S
dell’anno precedente è positivo e statisticamente significativo, l’effetto della crescita del medium
skilled labour impiegato nei settori high-tech ha un effetto che non è statisticamente diverso da zero.
Aggiungendo come variabile indipendente il numero di brevetti fatti dal settore high-tech nell’anno t-1
(cfr. modello 2) ,si può notare che l’effetto delle due precedenti variabili sulla produttività del lavoro
non cambia ed in più si aggiunge l’effetto positivo e significativo dei brevetti. Questi risultati
suggeriscono che esistono degli spillover positivi tra il settore high-tech e il manifatturiero. In
particolare ci dicono che le attività innovative svolte nei settori high-tech, sia che vengano misurate in
spese in R&S e/o in numero di brevetti richiesti e concessi all’high-tech, hanno un effetto positivo
sulla produttività del lavoro del settore manifatturiero.
Il modello 3 usa come variabili esplicative della crescita del valore aggiunto per dipendente tra
l’anno t e t+1, la crescita delle spese di R&S per dipendente tra l’anno t-1 e t e la crescita della
percentuale di medium skill labour impiegato sempre tra l’anno t-1 e t. I risultati mostrano che la
crescita delle spese in R&S ha un effetto positivo sulla crescita del valore aggiunto per dipendente, ma
la variazione della percentuale di lavoro mediamente qualificato è ininfluente. Se aggiungiamo alle
variabili esplicative la crescita del numero di brevetti richiesti e ottenuti dall’high-tech tra l’anno t-1 e
t (si veda il modello 4) notiamo che la significatività delle due precedenti variabili non cambia, e
l’effetto della nuova variabile risulta essere positivo e significativo. Come per la crescita delle spese in
R&S per dipendente, così la crescita del numero di brevetti richiesti e ottenuti dal settore high-tech tra
l’anno t-1 e t ha un effetto positivo sulla crescita del valore aggiunto per addetto del settore
manifatturiero. Va notato che i coefficienti della crescita delle due proxy dell’attività innovativa del
settore high-tech hanno un valore significativo ma assai piccolo. Rimane comunque il fatto che anche
in questo caso, sembra confermata l’esistenza di spillover, in particolare di spillover di conoscenza
tecnologica, dal settore high-tech al settore manifatturiero.
Il modello 5 cattura gli effetti della crescita delle spese di R&S per dipendente del settore
high-tech tra il tempo t-1 e t, sulla crescita tra il tempo t e t+1 della produttività del lavoro del settore
manifatturiero. Viene anche inclusa come variabile esplicativa la crescita tra t-1 e t della percentuale di
288
high skilled labour impiegato nel settore high-tech. Entrambe le variabili hanno un effetto positivo e
significativo sulla crescita della produttività del lavoro. Una volta che si aggiunge tra i regressori la
crescita del numero di brevetti realizzati dal settore high-tech (modello 6), la situazione non cambia:
tutte le variabili esplicative hanno effetti positivi e significativi sulla crescita della produttività del
lavoro. Come nei casi precedenti, le attività innovative catturate dalla crescita delle spese in R&S,
dalla crescita nel numero dei brevetti e dalla crescita della percentuale di high skilled labour hanno
spillover positivi sulla crescita della produttività del lavoro del settore manifatturiero.
Comunque si misurino le attività innovative svolte all’interno del settore high-tech (in livelli o
in crescita, utilizzando i brevetti o le spese in R&S, o la quota di high skilled labour), un loro
incremento sembra portare ad un incremento in una qualsiasi delle proxy della performance del settore
manifatturiero. Questo effetto diretto e positivo suggerisce l’esistenza di spillover di tipo tecnologico
tra i settori high-tech e il resto del manifatturiero. I miglioramenti della conoscenza e delle competenze
tecnologiche che si raggiungono nel settore high-tech hanno effetti diretti e positivi sulla performance
del settore manifatturiero, per cui gli investimenti in attività innovative del settore high-tech non porta
vantaggi in termini economici solo al settore high-tech, ma a tutti gli altri settori del manifatturiero. In
particolare, quello che emerge dai dati, è che c’è una relazione tra la dinamica degli investimenti in
attività innovative e la dinamica della performance del manifatturiero: la crescita negli investimenti in
attività innovative porta ad una crescita nella performance.
9.5 Analisi dei brevetti: entropia e diversificazione tecnologica
Attraverso l’analisi dei brevetti richiesti e concessi alle aziende facenti parte del settore
aerospaziale si vogliono valutare gli spillover di tipo tecnologico dell’output innovativo del settore
aerospaziale verso gli altri settori manifatturieri. Attraverso il calcolo di un indice di diversificazione
tecnologica (indice di entropia) si vuole valutare quanto l’attività innovativa svolta dal settore
aerospaziale vada ad influire sugli altri settori.
9.5.1
Descrizione della base di dati
Per calcolare l’indice di diversificazione tecnologica si sono identificate le imprese del settore
aerospaziale italiano ed europeo. L’elenco delle imprese italiane è stato compilato dal nostro gruppo di
ricerca in collaborazione con l’ASI– Agenzia Aerospaziale Italiana, mentre l’elenco delle imprese
europee è stato preso da Eurospace annual facts and figures survey of European space manufacturing
industry, indagine condotta Space Industry Markets Working Group, Eurospace (Lionnet, 2008). Si
sono così individuate 120 imprese italiane (inclusa l’ASI) e 143 imprese europee (incluse 4 tra le
289
maggiori agenzie aerospaziali europee: ESA, Bruxelles, Belgio; CNES - Centre National d'Etudes
Spatiales, Francia; DLR - Deutsche Zentrum fuer Luft- und Raumfahrt, Germany; e BNSC - British
National Space Center, Regno Unito). Per ogni impresa si sono raccolti tutti i brevetti richiesti allo
European Patent Office (EPO) di Francoforte dal 1978 (anno di apertura dell’EPO) al 2005 (anno più
recente in cui sono disponibile i brevetti). Ogni richiesta di brevetto è stata assegnata a una classe
tecnologica.
I dati sui brevetti provengono dalla banca dati EP-CESPRI e sono stati forniti dal Kites
dell’Università Bocconi.110 Il database EP-CESPRI111 contiene tutte le richieste di brevetti presentate
allo European Patent Office da imprese, istituzioni e singoli individui che cercano protezione legale
per le loro innovazioni nei 18 Paesi che hanno aderito alla convenzione di Monaco con cui è stato
fondato l’EPO.
Come Breschi, Lissoni e Malerba (2003) sottolineano, i brevetti, oltre a misurare la capacità
innovativa delle imprese (se pur con tutti i limiti enfatizzati in Griliches, 1991), sono un eccellente
indicatore delle competenze tecnologiche delle imprese. Il fatto che un’impresa richieda un brevetto in
una specifica classe tecnologica significa che l’impresa è sulla frontiera tecnologica (o ad essa molto
vicino) e possiede avanzate competenze tecnologiche in quello specifico campo tecnologico.
Nel database EP-CESPRI le richieste di brevetto sono state elaborate a livello di impresa e per
ogni brevetto il database fornisce informazioni concernenti il nome e la locazione del’impresa che
richiede il brevetto; la data della richiesta presentata all’EPO; e la classe tecnologica che è stata
assegnata al brevetto dagli esaminatori brevettuali dell’EPO.
Tavola A: Technology classification (30 fields) based on the IPC
9. Organic chemistry
24. Handling
10. Polymers
1. Electrical
engineering
11. Pharmaceutics
25. Food processing
16. Chemical
engineering
26. Transport
2. Audiovisual
technology
12. Biotechnology
17. Nuclear
Surface engineering
technology
27.
18.
processing
28.Materials
Space technology
3. Telecommunications
13. Materials
4. Information
technology
14. Food chemistry
19.
processes
29.Thermal
Consumer
goods
20. Environmental
technology
30. Civil engineering
5. Semiconductors
15. Basic
materials chemistry
6. Optics
110
21. Machine tools
7. Control technology
22. Engines
8. Medical technology
23. Mechanical elements
A tale proposito si vuole ringraziare il Prof. Stefano Breschi e l’Ing. Gianluca Tarasconi del Kites, Università
Bocconi, per la preziosa collaborazione nel fornirci i dati necessari a questa analisi. 111
Per una esaustiva descrizione della banca dati EP-CESPRI si rimanda alla due pubblicazioni: Breschi, Lissoni
e Malerba (2003) e Lissoni, Sanditov e Tarasconi, (2006). 290
Tutti i brevetti vengono assegnati dagli esaminatori ad almeno una classe tecnologica
dell’International Patent Classification (IPC). L’IPC è un sistema di classificazione internazionale dei
brevetti, formato da classi tecnologiche esaustive e che non si sovrappongono. L’IPC è formato da
oltre 60,000 codici individuali suddivisi in 12 digit e può essere usato a differenti livelli gerarchici.
Il database EP-CESPRI ha adottato una classificazione tecnologica basata sull’IPC che
distingue 30 classi tecnologiche. Queste classi vengono riportate nella Tabella A Tale sistema di
classificazione è stato elaborato da diversi istituti e in particolare: dal Fraunhofer Gesellschaft-ISI
(Karlsruhe); dall’Institut National de la Propriété Industrielle (INPI, Parigi); e dall’Observatoire des
Sciences and des Techniques (OST, Parigi) (Breschi, Lissoni e Malerba, 2003).
9.5.2
Metodologia
Per calcolare l’indice di diversificazione tecnologica dell’attività innovativa delle imprese che
fanno parte del settore aerospaziale italiano e europeo, si procede al calcolo dell’entropia dei brevetti
richiesti dalle imprese aerospaziali.
Ogni brevetto viene classificato in una matrice di frequenza bi-dimensionale.
La dimensione X riguarda le m classi tecnologiche (i =1,. . .,m) in cui sono classificati i
brevetti, nel nostro caso m=30 poiché 30 sono le classi tecnologiche secondo la classificazione IPC, e
la dimensione Y riguarda le n imprese ( j=1,. . .,n), nel caso dalle imprese italiane n=130 e nel caso
delle imprese europee n=143. Si ottiene così la matrice di frequenza pij che descrive le frequenze dei
brevetti appartenenti alla classe i e all’impresa j.
Le frequenze marginali sono date da:
pi. =
n
∑p
j =1
(i = 1,..., m)
ij
m
∑p
L’entropia della distribuzione dei brevetti attraverso le classi tecnologiche (o tecnologie) è
data da:
p. j =
i =1
( j = 1,..., n)
ij
m
H ( X ) = -∑
i =1
pi.
p
ln i.
m
m
Il valore H(X) indica la varietà tecnologica presente nella distribuzione dei brevetti delle
imprese aerospaziali attraverso le tecnologie nell’industria nel suo insieme.
291
La distribuzione dei brevetti è caratterizzata da un’entropia minima quando una singola classe
tecnologica domina completamente le attività innovative delle imprese del settore, cioè quando tutti i
brevetti richiesti dalle imprese del settore vengono assegnati ad una sola classe tecnologica. In questo
caso si verifica un totale lock-in delle attività innovative del settore in esame in una tecnologia che
porta a richiedere tutti i brevetti in una classe tecnologica sola. In questo caso, la quota di una classe
tecnologica è il 100% e l’entropia è:
H min ( X ) = −1.00 ln 1.00 = 0.00
Una distribuzione di brevetti è invece caratterizzata da massima entropia quando tutte le
innovazioni tecnologiche sviluppate all’interno del settore aerospaziale hanno un’uguale quota sul
totale delle classi tecnologiche, ovvero quando si ha una distribuzione uniforme dei brevetti attraverso
tutte le classi tecnologiche e con pi. =1/m. L’entropia massima è data allora da:
m
H max ( X ) = -∑
i =1
pi.
p
⎛m⎞ ⎛ 1 ⎞
ln i. = − ⎜ ⎟ ln ⎜ ⎟ = ln m
m
m
⎝m⎠ ⎝m⎠
Ogni altra distribuzione di brevetti ha un valore dell’entropia H(X) tra 0 e ln(m).
Più alto è il valore dell’entropia della distribuzione dei brevetti attraverso le classi
tecnologiche, più alta è la varietà e diversificazione tecnologica dell’attività innovativa sviluppata
all’interno del settore aerospaziale e maggiori saranno i potenziali spillover tecnologici in altri settori
manifatturieri e dei servizi
Inoltre l’entropia fornisce un indicatore di diversificazione tecnologica che può essere usato
per valutare se le attività innovative a livello di impresa in un’industria tendono ad un lock-in nel
tempo. Tale processo di
lock-in si manifesta quando l’entropia della distribuzione dei brevetti
decresce con il trascorrere del tempo.
9.5.3
L’analisi dell’entropia.
Utilizzando i dati sopra descritti riguardanti i brevetti richiesti dai due gruppi di imprese,
quelle italiane e quelle europee, abbiamo calcolato l’entropia massima, l’entropia complessiva tra il
1978 e il 2005 e l’entropia anno per anno. I risultati sono riportati nelle Tavole 7 - 10.
L’entropia massima, ovvero quando tutte le innovazioni tecnologiche sviluppate all’interno
del settore aerospaziale hanno un’uguale quota sul totale delle classi tecnologiche, come abbiamo visto
292
nella sezione precedente, non dipende dal numero delle imprese ma solo dal numero delle classi
tecnologiche. Le classi tecnologiche sono rimaste costanti e uguali a 30 per i 28 anni del periodo di
osservazione per cui l’entropia massima è rimasta costante nel tempo ed uguale a 3,401. Considerando
che l’entropia minima, ovvero quando una singola classe tecnologica domina completamente le
attività innovative delle imprese del settore e tutti i brevetti richiesti dalle imprese del settore vengono
assegnati ad una sola classe tecnologica, è sempre uguale a 0, possiamo prendere l’intervallo
identificato dal valore minimo e da quello massimo e dividerlo in tre fasce di uguale ampiezza.
Otteniamo così tre diverse fasce caratterizzate da diversi livelli di entropia:
• la prima fascia, da 0 a 1.133, entropia bassa;
• la seconda, da 1.133 a 2.266, entropia media;
• la terza fascia, da 2.266 a 3.4001, entropia alta.
Tale suddivisione ci aiuta a interpretare i risultati ottenuti e presentati nelle Tavole 8 e 10.
L’entropia complessiva calcolata per le imprese italiane per l’intero periodo (cfr. Tavola 7) è
pari a 2.710 e chiaramente è un valore assai alto. Esaminando l’andamento nel tempo dell’entropia
della distribuzione dei brevetti delle imprese del settore aerospaziale (cfr. Tavola 8), diversi aspetti
sono degni di nota.
Innanzitutto, si può notare che il valore complessivo calcolato su tutto l’arco del tempo è
maggiore di tutti i valori dell’entropia calcolata anno per anno. Questo risultato è dato dal fatto che la
diversificazione tecnologica dei brevetti richiesti ogni anno spazia su un range di classi tecnologiche
che varia di anno in anno, rendendo così la diversificazione tecnologica totale, calcolata sull’intero
periodo, ben maggiore rispetto a quella annuale. Se le classi tecnologiche in cui le imprese
aerospaziali non cambiassero di anno in anno, avremmo ottenuto un’entropia complessiva molto
simile, se non uguale, ai valori dell’entropia annuale. Questo risultato ci dice che le imprese del settore
aerospaziale hanno sviluppato conoscenze tecnologiche avanzate in molte aeree tecnologiche diverse
tra loro. Si noti che 2.710 è un valore che si trova quasi a metà dell’ultima fascia e comunque molto
vicino al valore massimo ovvero vicino a quel valore che ci direbbe che le imprese del settore
aerospaziale hanno sviluppato avanzate conoscenze in tutte le classi tecnologiche in cui è stato
suddivisa la conoscenza codificata e brevettabile.
Altro aspetto degno di nota che la Tavola 8 ci mostra, è l’andamento crescente nel tempo
dell’entropia. Bisogna precisare che gli anni non presenti nella Tavola sono anni in cui non sono stati
richiesti brevetti dalle imprese italiane. La discontinuità nel tempo caratterizza solo il primo periodo.
Questo è dovuto al fatto che l’EPO è stato fondato ed è diventato operativo nel 1978. Nei primi anni
successivi alla sua apertura solo le imprese più grandi e ben affermate nel mercato ( e specialmente le
imprese tedesche) si rivolsero all’EPO per la protezione legale dei loro brevetti. Con il tempo l’EPO
293
divenne conosciuto sempre a una maggiore fascia di imprese per cui il numero di richieste di brevetti
crebbe e si diffuse territorialmente in modo più uniforme.
La Tavola 8 ci mostra che per le imprese italiane aerospaziali l’entropia rimase bassa fino al
1986, per poi passare dalla fascia media dal 1987 (escludendo il 1989) fino al 1996. Dal 1997 in avanti
l’entropia oscilla intorno alla soglia tra la fascia media e quella alta, ma senza mai andare sotto il
valore di 2.000.
Questa dinamica ci dimostra che le imprese aerospaziali hanno accresciuto le loro conoscenze
tecnologiche in un range sempre più ampio di tecnologie e che non vi è stata né una classe
tecnologica, né una tecnologia particolare che ha esercitato un effetto di lock-in. Al contrario,
l’andamento crescente dell’entropia ci dimostra che le imprese hanno sviluppato progetti tecnologici
che hanno avuto successo in un’ampia gamma di tecnologie, diversificando molto il loro bagaglio di
conoscenze e competenze tecnologiche.
Se passiamo ad analizzare le Tavole 9 e 10 in cui vengono riportati i risultati del calcolo
dell’entropia per le imprese europee, possiamo notare che l’entropia complessiva calcolata sopra
l’intero periodo di osservazione è uguale a 2.809. Valore ancora più vicino al valore massimo teorico
che nel caso delle imprese italiane, anche se non molto differente. L’andamento nel tempo
dell’entropia ci mostra innanzitutto che per le imprese europee non si sono verificate discontinuità
nella richiesta dei brevetti, a differenza delle imprese italiane. La mancanza di discontinuità può essere
data dal fatto che l’elenco delle imprese europee contiene una quota maggiore di grandi imprese
rispetto a quelle italiane che contengono un numero non esiguo di medie-piccole imprese.
A parte tre anni ( i due iniziali e il 1980), l’entropia dei brevetti delle imprese europee si
colloca sempre nella fascia alta. La sua dinamica mostra un andamento che oscilla attorno ad un trend
comunque crescente (forse meno rispetto alle imprese italiane, ma comunque crescente). I valori
dell’entropia sono sempre molto alti e sempre molto vicini all’entropia complessiva calcolata
sull’intero periodo. A differenza di quello che accade per le imprese italiane i valori annuali dopo il
1997 sono molto vicini al valore dell’entropia complessiva. Questo significa che la diversificazione
tecnologica delle imprese europee è basata su un range di classi tecnologiche che non cambia nel
tempo (ciò che invece accade per le imprese italiane) ma che comunque è assai ampio. Proprio la sua
ampiezza potrebbe essere la causa del fatto che non cambi nel tempo, visto che i brevetti delle imprese
europee coprono ogni anno quasi tutte classi tecnologiche con un’uguale intensità.
Questi risultati mettono in evidenza che le imprese del settore aerospaziale sono sulla frontiera
tecnologica di molte ( se non quasi tutte) aeree tecnologiche. Le loro conoscenze e il loro know-how
spazia da aeree che costituiscono il core della loro conoscenza tecnologica ad aeree decisamente più
lontane e che potrebbero sembrare non avere nulla a che fare con l’aerospazio.
In un caso come questo, è facile immaginare che gli spillover di conoscenza tecnologica dai
settori aerospaziali siano facili e rilevanti. Le conoscenze tecnologiche sviluppate all’interno delle
294
imprese aerospaziali possono passare senza grande difficoltà in settori economici che nulla hanno a
che fare con l’aerospazio, proprio perché le avanzate competenze tecnologiche sviluppate dalle
imprese aerospaziali vanno a influire in modo significativo sulle conoscenze di aree tecnologiche tra
loro assi diversificate.
9.6 Conclusioni
L’obiettivo di questo capitolo è stato quello di fare un apprezzamento quantitativo, attraverso
un’analisi empirica a diversi livelli, degli spillover degli investimenti in attività innovative svolte dal
settore high-tech e dal settore aerospaziale, sulla performance del settore manifatturiero.
L’analisi univariata presentata in questo capitolo sembra voler dare conferma del fatto che gli
investimenti in R&S, unitamente alla presenza di skills elevate, portino a migliori performance
economiche.
Questo si pone in evidenza quando l’oggetto di studio sono i macro-settori dell’high-tech, del
medium-high-tech e del low tech. E’, infatti, nei settori ad alta tecnologia, dove le spese e gli stock di
ricerca e sviluppo, il numero di brevetti prodotto e le competenze dei lavoratori sono superiori (in
particolare se si osservano gli investimenti effettuati per dipendente), che si registrano un valore
aggiunto e una produttività del lavoro più alti112.
Anche le correlazioni prese in esame verificano l’esistenza di un legame significativo e
positivo tra investimenti in R&S e performance dello stesso settore che si perde, però, quando si
considera il settore low tech per quanto riguarda la produttività del lavoro. I calcoli a prezzi costanti
hanno permesso, inoltre, di portare in evidenza una struttura temporale che sembra mostrare un
aumento degli effetti degli investimenti in ricerca e sviluppo col passare degli anni.
Quando si prende in considerazione la correlazione tra investimenti in R&S e produzione di
brevetti del settore high-tech e la performance del settore manifatturiero (escluso l’high-tech)
possiamo notare che la correlazione è significativa e positiva ad eccezione dei tassi di crescita delle
variabili. Queste correlazioni sono una prima indicazione (che deve essere perfezionata con l’analisi
multivariata) dell’esistenza di significativi spillover della ricerca e sviluppo finanziata e condotta nel
settore high-tech sulla performance manifatturiero.
Nel presente capitolo si è visto come la letteratura empirica presenti un numero consistente di
lavori che dimostra che gli spillover delle spese in R&S esistono e che la loro entità può essere
piuttosto significativa (Griliches, 1991).
112
Ciò avviene nonostante la media delle variabili di performance risulti essere maggiore (in particolare per la
produttività del lavoro) nel settore low tech a causa della presenza di un settore outlier che per tutto il periodo di
osservazione mostra valori ben al di sopra del rimanente settore low tech spostando così verso l’alto la media
del low tech. 295
La significatività statistica e positiva delle correlazioni tra spese in R&S nel settore ad alta
tecnologia e variabili di performance del rimanente settore manifatturiero è in linea con tali risultati.
L’analisi multivariata ci mostra che comunque si misurino le attività innovative svolte
all’interno del settore high-tech (in livelli o in crescita, utilizzando i brevetti o le spese in R&S, o la
quota di high skilled labour), un loro incremento sembra portare ad un incremento in una qualsiasi
delle proxy della performance del settore manifatturiero. Questo effetto diretto e positivo suggerisce
l’esistenza di spillover di tipo tecnologico tra i settori high-tech e il resto del manifatturiero. I
miglioramenti della conoscenza e delle competenze tecnologiche che si raggiungono nel settore hightech hanno effetti diretti e positivi sulla performance del settore manifatturiero,per cui gli investimenti
in attività innovative del settore high-tech non porta vantaggi in termini economici solo al settore
high-tech (come aveva mostrato l’analisi uni variata), ma anche a tutti gli altri settori del
manifatturiero. In particolare, quello che emerge dai dati, è che c’è una relazione tra la dinamica degli
investimenti in attività innovative e la dinamica della performance del manifatturiero: la crescita negli
investimenti in attività innovative porta ad una crescita nella performance.
L’analisi empirica dell’entropia dei brevetti realizzati dalle imprese del settore aerospaziale
italiano ed europeo mette in luce un ulteriore aspetto delle attività innovative svolte all’interno del
settore aerospaziale. I risultati mettono in evidenza che le imprese del settore aerospaziale sono sulla
frontiera tecnologica di molte ( se non quasi tutte) le aeree tecnologiche. Le loro conoscenze e il loro
know-how spazia da aeree che costituiscono il nucleo della loro conoscenza tecnologica ad aeree
decisamente più lontane e che potrebbero sembrare non avere nulla a che fare con l’aerospazio.
In un caso come questo, è facile immaginare che gli spillover di conoscenza tecnologica dai
settori aerospaziali siano facili e rilevanti. Le conoscenze tecnologiche sviluppate all’interno delle
imprese aerospaziali possono passare senza grande difficoltà in settori economici che nulla hanno a
che fare con l’aerospazio, proprio perché le avanzate competenze tecnologiche sviluppate dalle
imprese aerospaziali vanno a influire in modo significativo sulle conoscenze di aree tecnologiche tra
loro assai diversificate.
296
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employment, ore di lavoro, retribuzione, e output reale lordo.
299
Tavola 1: Statistiche descrittive delle variabili d’interesse per macro-settori
MANIFATTURIERO
Var.
R&D
R&D/Employees
VA
VA/Employees
Produzione
Produttività del Lavoro
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
%low skilled labour - employees (1)
%low skilled compensation (1)
%low skilled labour - hours (1)
R&D Stock
Brevetti (2)
Brevetti/Employees (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
Tassi di crescita
(x(t)-x(t-1))/x(t-1)
R&D
R&D/Employees
VA
VA/Employees
Produzione
Produttività del Lavoro
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
%low skilled labour - employees (1)
%low skilled compensation (1)
%low skilled labour - hours (1)
R&D Stock
Brevetti (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
Media
Dev.St.
Min
Max
5%
Mediana
4.530E+09 1.070E+09 2.080E+09
6.030E+09 2.330E+09 4.890E+09
861.131
225.933
335.386
1080.448
383.364
961.529
1.930E+11 2.510E+10 1.510E+11
2.230E+11 1.520E+11 1.940E+11
36,537.880 6,779.077 25,135.560 44,570.440 25230.930 36442.770
6.320E+11 1.350E+11 4.440E+11
8.090E+11 4.440E+11 6.030E+11
120,473.300 32,007.850 71,451.600 160,620.300 73241.380 113948.000
2.393
0.445
1.641
3.136
1.658
2.441
2.814
0.448
2.069
3.472
2.081
2.892
2.564
0.497
1.765
3.409
1.801
2.590
95.502
0.744
93.836
96.202
93.943
95.721
95.657
0.739
94.057
96.331
94.134
95.943
95.207
0.747
93.497
95.857
93.596
95.477
2.105
1.174
0.705
4.524
0.772
1.826
1.528
1.175
0.233
3.874
0.267
1.165
2.229
1.216
0.786
4.739
0.855
1.933
30336.810
6358.092 18298.020
35729.080 19165.460 34521.310
1500.550
350.795
883.000
2072.000
912.500
1556.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
551.508
121.580
338.417
716.267
342.883
583.417
0.038
0.046
0.013
0.021
0.024
0.032
0.026
0.021
0.027
0.001
0.001
0.001
-0.071
-0.106
-0.069
0.029
0.037
0.032
0.074
0.078
0.026
0.029
0.030
0.031
0.020
0.009
0.016
0.001
0.001
0.001
0.034
0.022
0.029
0.030
0.115
0.105
-0.106
-0.087
-0.027
-0.034
-0.023
-0.014
-0.053
0.006
-0.043
0.000
0.000
0.000
-0.093
-0.129
-0.089
-0.013
-0.181
-0.170
0.185
0.206
0.068
0.084
0.086
0.107
0.046
0.041
0.043
0.003
0.003
0.003
0.078
-0.023
0.059
0.073
0.326
0.252
-0.071
-0.073
-0.024
-0.019
-0.011
-0.006
0.011
0.007
0.020
0.000
0.000
0.000
-0.092
-0.126
-0.088
-0.006
-0.181
-0.170
0.038
0.043
0.008
0.014
0.014
0.021
0.028
0.020
0.026
0.001
0.001
0.001
-0.080
-0.111
-0.076
0.032
0.002
-0.003
95%
oss
Periodo
5.870E+09
1079.074
2.220E+11
44523.300
8.040E+11
160074.300
3.050
3.435
3.341
96.188
96.314
95.852
4.399
3.784
4.603
35719.050
2040.500
0.000
711.475
27
27
27
27
27
27
26
26
26
26
26
26
26
26
26
24
20
20
20
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2003
1980-1999
1980-1999
1980-1999
0.150
0.158
0.067
0.078
0.082
0.088
0.045
0.038
0.042
0.003
0.002
0.003
-0.028
-0.079
-0.029
0.071
0.326
0.252
26
26
26
26
26
26
25
25
25
25
25
25
25
25
25
23
19
19
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2003
1980-1999
1980-1999
(1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti)
(2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero.
(3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore.
300
HIGH TECH
Media
Dev.St.
Min
Var.
R&D
R&D/Employees
VA
VA/Employees
Produzione
Produttività del Lavoro
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
%low skilled labour - employees (1)
%low skilled compensation (1)
%low skilled labour - hours (1)
R&D Stock
Brevetti (2)
Brevetti/Employees (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
4.530E+08
7979.850
3.510E+09
50085.040
9.700E+09
150460.200
5.830
6.073
5.830
92.841
92.933
92.841
1.329
0.994
1.329
3142.285
84.579
0.001
70.764
3.080E+08
5922.427
1.980E+09
17622.580
5.450E+09
67363.960
3.369
3.030
3.369
3.083
2.749
3.083
0.927
0.804
0.927
2425.409
58.736
0.001
55.425
1.470E+07
138.187
5.390E+08
13208.840
1.360E+09
41602.610
2.038
2.253
2.038
83.145
84.730
83.145
0.263
0.132
0.263
124.666
14.000
0.000
5.667
Tassi di crescita
(x(t)-x(t-1))/x(t-1)
R&D
R&D/Employees
VA
VA/Employees
Produzione
Produttività del Lavoro
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
%low skilled labour - employees (1)
%low skilled compensation (1)
%low skilled labour - hours (1)
R&D Stock
Brevetti (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
0.061
0.062
0.030
0.030
0.042
0.044
0.035
0.031
0.035
-0.001
-0.001
-0.001
-0.078
-0.100
-0.078
0.064
0.059
0.065
0.239
0.239
0.103
0.102
0.155
0.171
0.022
0.012
0.022
0.002
0.001
0.002
0.017
0.019
0.017
0.284
0.238
0.250
-0.540
-0.561
-0.278
-0.314
-0.278
-0.318
-0.077
0.011
-0.077
-0.006
-0.004
-0.006
-0.124
-0.128
-0.124
-0.522
-0.494
-0.526
Max
5%
Mediana
95%
oss
Periodo
1.180E+09
22057.440
7.380E+09
100468.000
2.420E+10
323215.400
16.592
15.138
16.592
94.877
94.889
94.877
4.423
3.607
4.423
8854.662
285.000
0.004
262.333
3.600E+07
343.476
7.690E+08
23382.140
3.440E+09
46677.530
2.704
2.904
2.704
85.298
86.235
85.298
0.371
0.162
0.371
210.406
22.500
0.000
8.417
4.170E+08
7035.898
3.490E+09
48340.630
8.560E+09
143809.800
4.757
5.303
4.757
94.282
94.164
94.282
1.032
0.711
1.032
2399.279
75.280
0.001
65.675
1.010E+09
19354.180
6.690E+09
91769.730
1.910E+10
272892.500
14.201
13.470
14.201
94.849
94.781
94.849
3.312
2.628
3.312
8091.780
210.000
0.002
181.333
135
135
135
135
135
135
130
130
130
130
130
130
130
130
130
120
100
100
100
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2003
1980-1999
1980-1999
1980-1999
1.535
1.488
0.336
0.315
1.218
1.368
0.063
0.058
0.063
0.004
0.001
0.004
-0.030
-0.029
-0.030
1.576
0.727
0.922
-0.222
-0.230
-0.184
-0.152
-0.122
-0.149
0.021
0.015
0.021
-0.004
-0.003
-0.004
-0.106
-0.122
-0.106
-0.226
-0.317
-0.329
0.038
0.040
0.039
0.030
0.023
0.040
0.033
0.031
0.033
-0.001
-0.001
-0.001
-0.079
-0.105
-0.079
0.043
0.040
0.060
0.454
0.456
0.199
0.176
0.245
0.226
0.056
0.048
0.056
0.001
0.001
0.001
-0.041
-0.072
-0.041
0.508
0.475
0.534
130
130
130
130
130
130
125
125
125
125
125
125
125
125
125
115
95
95
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2003
1980-1999
1980-1999
(1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti)
(2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero.
(3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore.
301
MEDIUM HIGH TECH
Media
Dev.St.
Min
Var.
R&D
R&D/Employees
VA
VA/Employees
Produzione
Produttività del Lavoro
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
%low skilled labour - employees (1)
%low skilled compensation (1)
%low skilled labour - hours (1)
R&D Stock
Brevetti (2)
Brevetti/Employees (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
3.620E+08
1799.070
1.000E+10
41060.310
3.360E+10
149906.100
5.312
5.427
5.312
93.102
93.378
93.102
1.586
1.196
1.586
1815.038
141.331
0.001
117.671
2.840E+08
1274.841
8.010E+09
12481.960
2.480E+10
70072.430
3.654
3.369
3.654
3.298
3.057
3.298
1.090
0.936
1.090
1824.159
129.474
0.000
117.247
1.730E+07
104.674
9.610E+08
21483.470
3.040E+09
47084.960
1.591
1.873
1.591
83.145
84.730
83.145
0.263
0.106
0.263
0.000
5.000
0.000
3.333
Tassi di crescita
(x(t)-x(t-1))/x(t-1)
R&D
R&D/Employees
VA
VA/Employees
Produzione
Produttività del Lavoro
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
%low skilled labour - employees (1)
%low skilled compensation (1)
%low skilled labour - hours (1)
R&D Stock
Brevetti (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
0.073
0.085
0.015
0.026
0.031
0.043
0.039
0.034
0.039
-0.001
-0.001
-0.001
-0.082
-0.101
-0.082
0.044
0.059
0.061
0.279
0.276
0.081
0.082
0.082
0.090
0.020
0.013
0.020
0.002
0.001
0.002
0.022
0.023
0.022
0.290
0.295
0.299
-0.675
-0.670
-0.245
-0.203
-0.187
-0.247
-0.077
0.006
-0.077
-0.006
-0.004
-0.006
-0.124
-0.149
-0.124
-1.000
-0.706
-0.733
Max
5%
Mediana
95%
1.310E+09
5776.950
3.170E+10
73477.050
1.060E+11
359140.600
16.592
15.138
16.592
96.440
96.554
96.440
4.423
3.607
4.423
7462.821
473.000
0.002
403.033
3.570E+07
403.139
1.080E+09
23125.600
4.030E+09
56232.860
2.038
2.253
2.038
85.298
86.235
85.298
0.371
0.162
0.371
0.000
11.000
0.000
5.792
3.210E+08
1465.426
8.290E+09
40118.950
3.010E+10
139909.900
4.088
4.261
4.088
94.295
94.434
94.295
1.243
0.903
1.243
1319.773
97.500
0.000
72.750
8.490E+08
4484.643
2.790E+10
71710.910
9.380E+10
326427.900
14.201
13.470
14.201
96.417
96.551
96.417
3.744
3.026
3.744
6401.664
422.000
0.001
359.850
135
135
135
135
135
135
130
130
130
130
130
130
130
130
130
120
100
100
100
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2003
1980-1999
1980-1999
1980-1999
2.084
1.957
0.263
0.311
0.307
0.330
0.063
0.058
0.063
0.004
0.002
0.004
0.058
-0.029
0.058
1.825
1.429
1.071
-0.290
-0.296
-0.122
-0.114
-0.104
-0.078
0.018
0.011
0.018
-0.004
-0.003
-0.004
-0.110
-0.140
-0.110
-0.312
-0.263
-0.425
0.040
0.050
0.020
0.013
0.022
0.027
0.049
0.036
0.049
-0.001
-0.001
-0.001
-0.081
-0.102
-0.081
0.039
0.035
0.032
0.402
0.456
0.118
0.150
0.175
0.208
0.056
0.051
0.056
0.002
0.001
0.002
-0.041
-0.069
-0.041
0.322
0.636
0.505
130
130
130
130
130
130
125
125
125
125
125
125
125
125
125
105
95
95
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2003
1980-1999
1980-1999
(1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti)
(2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero.
(3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore.
302
oss
Periodo
LOW TECH
Var.
R&D
R&D/Employees
VA
VA/Employees
Produzione
Produttività del Lavoro
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
%low skilled labour - employees (1)
%low skilled compensation (1)
%low skilled labour - hours (1)
R&D Stock
Brevetti (2)
Brevetti/Employees (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
Tassi di crescita
(x(t)-x(t-1))/x(t-1)
R&D
R&D/Employees
VA
VA/Employees
Produzione
Produttività del Lavoro
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
%low skilled labour - employees (1)
%low skilled compensation (1)
%low skilled labour - hours (1)
R&D Stock
Brevetti (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
Media
Dev.St.
5.300E+07 5.350E+07
414.492
765.926
1.150E+10 8.020E+09
47065.810 44755.860
3.800E+10 2.630E+10
201832.500 301215.500
2.350
2.362
2.342
2.238
2.350
2.362
95.342
2.427
95.920
2.394
95.342
2.427
2.307
1.563
1.738
1.476
2.307
1.563
292.558
311.028
51.607
51.785
0.000
0.000
35.220
36.359
0.184
0.193
0.006
0.014
0.020
0.028
0.020
0.009
0.020
0.001
0.001
0.001
-0.068
-0.098
-0.068
0.078
0.142
0.181
0.808
0.826
0.071
0.077
0.056
0.063
0.039
0.027
0.039
0.002
0.002
0.002
0.041
0.029
0.041
0.229
0.764
1.080
Min
Max
8.129E+05
2.400E+08
2.925
4910.982
1.040E+09
3.730E+10
14929.450 282874.100
2.950E+09
1.200E+11
36875.690 1349350.000
0.413
11.676
0.528
10.636
0.413
11.676
87.368
98.373
88.740
99.151
87.368
98.373
0.305
8.559
0.097
7.852
0.305
8.559
0.448
1207.878
0.000
162.000
0.000
0.001
0.000
125.667
-0.890
-0.880
-0.304
-0.311
-0.329
-0.384
-0.212
-0.068
-0.212
-0.011
-0.003
-0.011
-0.116
-0.149
-0.116
-0.620
-1.000
-1.000
8.145
8.540
0.327
0.389
0.309
0.384
0.072
0.066
0.072
0.007
0.006
0.007
0.400
-0.025
0.400
1.617
6.000
10.000
5%
1.905E+06
6.868
1.400E+09
19013.870
4.710E+09
50872.090
0.544
0.581
0.544
90.125
90.963
90.125
0.594
0.290
0.594
5.672
1.000
0.000
1.000
-0.480
-0.479
-0.108
-0.131
-0.050
-0.043
-0.027
-0.055
-0.027
-0.002
-0.002
-0.002
-0.104
-0.135
-0.104
-0.110
-0.667
-0.667
Mediana
95%
3.270E+07
1.760E+08
126.865
1997.211
9.620E+09
2.670E+10
33607.670 175674.800
3.150E+10
9.510E+10
112980.900 1128816.000
1.526
8.005
1.741
7.798
1.526
8.005
95.704
98.144
96.225
98.804
95.704
98.144
1.906
4.974
1.263
4.500
1.906
4.974
167.033
941.862
31.000
134.000
0.000
0.001
15.375
102.933
0.031
0.031
0.007
0.015
0.017
0.028
0.023
0.015
0.023
0.001
0.001
0.001
-0.074
-0.102
-0.074
0.041
0.000
0.007
1.205
1.182
0.107
0.111
0.110
0.115
0.063
0.048
0.063
0.004
0.004
0.004
-0.027
-0.034
-0.027
0.547
1.000
1.000
oss
Periodo
253
253
297
297
297
297
286
286
286
286
286
286
286
286
286
264
140
140
140
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2003
1980-1999
1980-1999
1980-1999
242
242
286
286
286
286
275
275
275
275
275
275
275
275
275
253
130
130
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2006
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2005
1980-2003
1980-1999
1980-1999
(1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti)
(2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero.
(3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore.
303
Fig. 1 Spese in R&S nei settori High, Medium/High e Low Tech.
3.000e+09
2.500e+09
2.000e+09
g
1.500e+09
1.000e+09
5.000e+08
0
1980
1985
1990
1995
High Tech
2000
2005
2010
Medium/High Tech
Low Tech
Fig. 2 Spese in R&S per dipendente nei settori High, Medium/High e Low Tech.
8000
7000
6000
5000
g
4000
3000
2000
1000
0
1980
1985
1990
1995
High Tech
Low Tech
2000
2005
2010
Medium/High Tech
304
Fig. 3 Valore Aggiunto per dipendente nei settori High, Medium/High e Low Tech.
60000
50000
g
40000
30000
20000
10000
0
1980
1985
1990
1995
High Tech
Low Tech
2000
2005
2010
Medium/High Tech
Fig. 3.1 Scatter plot del Valore Aggiunto per dipendente tra i settori a 2 digit che
compongono il Low Tech
300000
RVA
200000
100000
0
20
30
40
COD_IND
305
50
60
Fig. 3.2 Valore Aggiunto per dipendente nel settore Low Tech escluso il settore 29 Coke, prodotti da
60000
60000
50000
50000
40000
40000
30000
30000
20000
20000
10000
10000
0
0
1980
1985
1990
1995
Low tech meno Coke
2000
2005
2010
Coke
Fig. 4 Produttività del lavoro nei settori High, Medium/High e Low Tech.
306
Coke
Low tech meno Coke
petrolio raffinato e materiale fissile e nel settore 29
200000
High Tech
150000
100000
50000
0
1980
1985
1990
1995
High Tech
Low Tech
2000
2005
2010
Medium/High Tech
Fig. 4.1 Scatter plot della Produttività del lavoro tra i settori a 2 digit che
compongono il Low Tech.
1500000
Lprod
1000000
500000
0
20
30
40
COD_IND
50
60
Fig. 4.2 Produttività del lavoro nel settore Low Tech escluso il settore 29: Coke, prodotti da petrolio
raffinato e materiale fissile e nel settore 29
307
200000
150000
150000
100000
100000
50000
50000
0
0
1980
1985
1990
1995
Low tech meno Coke
308
2000
2005
Coke
2010
Coke
Low tech meno Coke
200000
Tavola 2: Correlazioni
MANIFATTURIERO
Valore Agg. Produt. Lav.
R&D
R&D lag 1
R&D lag 2
R&D lag 3
R&D lag 4
R&D lag 5
R&D lag 6
R&D lag 7
R&D lag 8
R&D lag 9
R&D lag 10
0.7309*
0.6208*
0.7517*
0.6236*
0.7611*
0.6316*
0.7733*
0.6521*
0.7889*
0.6751*
0.7982*
0.7070*
0.8047*
0.7399*
0.8276*
0.7862*
0.8796*
0.8429*
0.9308*
0.9069*
0.9509*
0.9409*
VA/Emp
Produt. Lav.
R&D/EMP
R&D/EMP lag 1
R&D/EMP lag 2
R&D/EMP lag 3
R&D/EMP lag 4
R&D/EMP lag 5
R&D/EMP lag 6
R&D/EMP lag 7
R&D/EMP lag 8
R&D/EMP lag 9
R&D/EMP lag 10
0.8130*
0.7407*
0.8226*
0.7460*
0.8306*
0.7525*
0.8475*
0.7681*
0.8708*
0.7848*
0.8917*
0.8075*
0.9076*
0.8294*
0.9332*
0.8639*
0.9642*
0.9066*
0.9777*
0.9527*
0.9590*
0.9738*
VA/Emp
Produt. Lav.
R&D/EMP
R&D/EMP lag 1
R&D/EMP lag 2
R&D/EMP lag 3
R&D/EMP lag 4
R&D/EMP lag 5
R&D/EMP lag 6
R&D/EMP lag 7
R&D/EMP lag 8
R&D/EMP lag 9
R&D/EMP lag 10
0.2703*
0.2994*
0.2796*
0.3137*
0.2874*
0.3296*
0.2897*
0.3452*
0.2900*
0.3579*
0.2863*
0.3786*
0.2677*
0.3950*
0.2458*
0.4131*
0.2319*
0.4399*
0,1967
0.4694*
0,1516
0.4731*
Crescita VA Crescita Produt.Lav.
Crescita R&D
Crescita R&D lag 1
Crescita R&D lag 2
Crescita R&D lag 3
Crescita R&D lag 4
Crescita R&D lag 5
Crescita R&D lag 6
Crescita R&D lag 7
Crescita R&D lag 8
Crescita R&D lag 9
Crescita R&D lag 10
0,1727
0,0914
0,1668
0,0158
0,1465
0,0467
0,2167
0,1644
0,3696
0,1755
0,2745
0,1795
0,1431
0,1014
0,1377
0,3235
0,2952
0,4155
0,3974
0.5948*
0,4649
0.5626*
HIGH TECH
Valore Agg. Produt. Lav.
R&D
R&D lag 1
R&D lag 2
R&D lag 3
R&D lag 4
R&D lag 5
R&D lag 6
R&D lag 7
R&D lag 8
R&D lag 9
R&D lag 10
0.4379*
0,0891
0.4370*
0,1054
0.4225*
0,1185
0.4035*
0,1327
0.3743*
0,1423
0.3321*
0,1573
0.2947*
0,1768
0.2633*
0.2019*
0.2311*
0.2306*
0,2019
0.2726*
0,1732
0.3050*
309
HIGH TECH
Crescita VA Crescita Produt.Lav.
Crescita R&D
Crescita R&D lag 1
Crescita R&D lag 2
Crescita R&D lag 3
Crescita R&D lag 4
Crescita R&D lag 5
Crescita R&D lag 6
Crescita R&D lag 7
Crescita R&D lag 8
Crescita R&D lag 9
Crescita R&D lag 10
0.2199*
0,0416
0,0946
0,0388
0,0378
0,0474
0,0559
0,0525
0,1345
-0,0078
0,1888
0,095
0,0545
-0,0466
0,0443
0,1186
-0,0137
-0,0697
0,1095
0,1707
0,1534
0,1589
MEDIUM HIGH TECHValore Agg. Produt. Lav.
0.3374*
0.1900*
R&D
R&D lag 1
R&D lag 2
R&D lag 3
R&D lag 4
R&D lag 5
R&D lag 6
R&D lag 7
R&D lag 8
R&D lag 9
R&D lag 10
0.3060*
0.1944*
0.2749*
0.2005*
0.2445*
0.2147*
0.2084*
0.2362*
0,1693
0.2525*
0,1516
0.2771*
0,1389
0.2953*
0,1257
0.3140*
0,1131
0.3302*
0,075
0.3421*
R&D/EMP
R&D/EMP lag 1
R&D/EMP lag 2
R&D/EMP lag 3
R&D/EMP lag 4
R&D/EMP lag 5
R&D/EMP lag 6
R&D/EMP lag 7
R&D/EMP lag 8
R&D/EMP lag 9
R&D/EMP lag 10
Crescita VA Crescita Produt.Lav.
Crescita R&D
Crescita R&D lag 1
Crescita R&D lag 2
Crescita R&D lag 3
Crescita R&D lag 4
Crescita R&D lag 5
Crescita R&D lag 6
Crescita R&D lag 7
Crescita R&D lag 8
Crescita R&D lag 9
Crescita R&D lag 10
-0,0981
-0,1647
-0,0692
0,0062
-0,1031
0,0119
0,162
-0,0055
-0,0419
0,0254
-0,0386
-0,0403
-0,0424
-0,1003
0,0811
-0,0331
0,0267
0,2039
0,0543
-0,0461
0,1357
0.2403*
310
VA/Emp
Produt. Lav.
0.2438*
0.4315*
0.2333*
0.4321*
0.2267*
0.4367*
0.2145*
0.4425*
0.2005*
0.4519*
0,1834
0.4512*
0,1855
0.4656*
0,183
0.4762*
0,1815
0.4925*
0,1628
0.4939*
0,1532
0.4947*
LOW TECH
Valore Agg. Produt. Lav.
R&D
R&D lag 1
R&D lag 2
R&D lag 3
R&D lag 4
R&D lag 5
R&D lag 6
R&D lag 7
R&D lag 8
R&D lag 9
R&D lag 10
0.4277*
0,0118
0.4218*
0,0348
0.4265*
0,0544
0.4324*
0,071
0.4363*
0,0896
0.4406*
0,11
0.4597*
0,1121
0.4693*
0,1073
0.4856*
0,108
0.5046*
0,112
0.5213*
0,1207
R&D/EMP
R&D/EMP lag 1
R&D/EMP lag 2
R&D/EMP lag 3
R&D/EMP lag 4
R&D/EMP lag 5
R&D/EMP lag 6
R&D/EMP lag 7
R&D/EMP lag 8
R&D/EMP lag 9
R&D/EMP lag 10
VA/Emp
Produt. Lav.
0.6557*
0.6392*
0.7228*
0.6738*
0.7796*
0.7084*
0.7977*
0.7353*
0.8027*
0.7604*
0.8016*
0.7825*
0.7930*
0.7746*
0.7699*
0.7626*
0.7522*
0.7647*
0.7310*
0.7753*
0.7099*
0.7970*
Crescita VA Crescita Produt.Lav.
Crescita R&D
Crescita R&D lag 1
Crescita R&D lag 2
Crescita R&D lag 3
Crescita R&D lag 4
Crescita R&D lag 5
Crescita R&D lag 6
Crescita R&D lag 7
Crescita R&D lag 8
Crescita R&D lag 9
Crescita R&D lag 10
0,1231
0,1199
0,0245
0,0675
-0,0239
-0,108
-0,003
0,0986
-0,0819
-0,0412
-0,1006
-0,0467
0,0595
0,0722
0,033
0,0308
-0,032
-0,0117
-0,0958
-0,0857
-0,008
0,0198
Tavola 3: Correlazioni – variabili di R&S relative al settore high-tech e variabili di performance
relative al settore manifatturiero eccetto l’high-tech
311
Valore Agg. Produt. Lav.
R&D
R&D lag 1
R&D lag 2
R&D lag 3
R&D lag 4
R&D lag 5
R&D lag 6
R&D lag 7
R&D lag 8
R&D lag 9
R&D lag 10
0.6264*
0.5583*
0.7128*
0.6052*
0.7572*
0.6351*
0.7808*
0.6653*
0.8020*
0.6992*
0.8319*
0.7522*
0.8465*
0.7934*
0.8717*
0.8335*
0.9095*
0.8747*
0.9217*
0.9218*
0.9376*
0.9590*
R&D/EMP
R&D/EMP lag 1
R&D/EMP lag 2
R&D/EMP lag 3
R&D/EMP lag 4
R&D/EMP lag 5
R&D/EMP lag 6
R&D/EMP lag 7
R&D/EMP lag 8
R&D/EMP lag 9
R&D/EMP lag 10
VA/Emp
Produt. Lav.
0.8163*
0.7433*
0.8702*
0.7935*
0.8887*
0.8156*
0.8961*
0.8321*
0.9076*
0.8499*
0.9295*
0.8829*
0.9425*
0.9036*
0.9599*
0.9243*
0.9774*
0.9470*
0.9666*
0.9687*
0.9443*
0.9848*
Crescita VA Crescita Produt.Lav.
Crescita R&D
Crescita R&D lag 1
Crescita R&D lag 2
Crescita R&D lag 3
Crescita R&D lag 4
Crescita R&D lag 5
Crescita R&D lag 6
Crescita R&D lag 7
Crescita R&D lag 8
Crescita R&D lag 9
Crescita R&D lag 10
-0,1569
0,1343
0,2189
0,2774
0,2381
0,1931
0,162
0,2251
0,225
0,1447
0,338
0,2812
0,1235
0,1566
0,2112
0,2445
0,4625
0.4866*
0,1074
0,3755
0,2756
0,372
Tavola 4: Correlazioni – variabili sui Brevetti relative al settore high-tech e variabili di performance
relative al settore manifatturiero eccetto l’high-tech
312
Brevetti
Brevetti lag 1
Brevetti lag 2
Brevetti lag 3
Brevetti lag 4
Brevetti lag 5
Brevetti lag 6
Brevetti lag 7
Brevetti lag 8
Brevetti lag 9
Brevetti lag 10
VA/Emp
Produt. Lav.
0.9635*
0.9225*
0.8750*
0.8299*
0.8291*
0.8334*
0.8485*
0.8953*
0.9143*
0.9078*
0.8326*
0.9674*
0.9453*
0.9154*
0.8726*
0.8602*
0.8246*
0.8196*
0.8701*
0.9130*
0.9326*
0.8875*
VA/Emp Produt. Lav.
Brevetti/Employees
Brevetti/Employees lag 1
Brevetti/Employees lag 2
Brevetti/Employees lag 3
Brevetti/Employees lag 4
Brevetti/Employees lag 5
Brevetti/Employees lag 6
Brevetti/Employees lag 7
Brevetti/Employees lag 8
Brevetti/Employees lag 9
Brevetti/Employees lag 10
0.9507*
0.9077*
0.8603*
0.8152*
0.8052*
0.8265*
0.8353*
0.8815*
0.9080*
0.9204*
0.8596*
Brevetti frazionati/Employees
Brevetti frazionati/Employees lag 1
Brevetti frazionati/Employees lag 2
Brevetti frazionati/Employees lag 3
Brevetti frazionati/Employees lag 4
Brevetti frazionati/Employees lag 5
Brevetti frazionati/Employees lag 6
Brevetti frazionati/Employees lag 7
Brevetti frazionati/Employees lag 8
Brevetti frazionati/Employees lag 9
Brevetti frazionati/Employees lag 10
0.9517*
0.9064*
0.8598*
0.8174*
0.8021*
0.8477*
0.8539*
0.9022*
0.9218*
0.9203*
0.8633*
0.9632*
0.9408*
0.9128*
0.8737*
0.8573*
0.8396*
0.8179*
0.8506*
0.8878*
0.9235*
0.8984*
Crescita VA Crescita Produt.Lav.
Crescita Brevetti
Crescita Brevetti lag 1
Crescita Brevetti lag 2
Crescita Brevetti lag 3
Crescita Brevetti lag 4
Crescita Brevetti lag 5
Crescita Brevetti lag 6
Crescita Brevetti lag 7
Crescita Brevetti lag 8
Crescita Brevetti lag 9
Crescita Brevetti lag 10
Brevetti frazionati
Brevetti frazionati lag 1
Brevetti frazionati lag 2
Brevetti frazionati lag 3
Brevetti frazionati lag 4
Brevetti frazionati lag 5
Brevetti frazionati lag 6
Brevetti frazionati lag 7
Brevetti frazionati lag 8
Brevetti frazionati lag 9
Brevetti frazionati lag 10
0.5146*
0.2147
0.0423
-0.1708
0.188
-0.2045
-0.2167
-0.0171
-0.2168
0.0556
0.4715
0.4900*
-0.0382
0.0161
-0.4569
0.1626
-0.2098
-0.2315
0.0217
0.0456
0.1973
0.437
VA/Emp
Produt. Lav.
0.9673*
0.9243*
0.8789*
0.8366*
0.8321*
0.8585*
0.8656*
0.9107*
0.9218*
0.9005*
0.8331*
0.9711*
0.9484*
0.9223*
0.8848*
0.8723*
0.8589*
0.8455*
0.8882*
0.9250*
0.9382*
0.8951*
VA/Emp Produt. Lav.
Crescita VA Crescita Produt.Lav.
Crescita Brevetti fraz.
Crescita Brevetti fraz. lag 1
Crescita Brevetti fraz. lag 2
Crescita Brevetti fraz. lag 3
Crescita Brevetti fraz. lag 4
Crescita Brevetti fraz. lag 5
Crescita Brevetti fraz. lag 6
Crescita Brevetti fraz. lag 7
Crescita Brevetti fraz. lag 8
Crescita Brevetti fraz. lag 9
Crescita Brevetti fraz. lag 10
0.5475*
0.1967
0.0596
-0.1894
0.1563
-0.1622
-0.3208
-0.0196
-0.1513
0.0048
0.579
0.5864*
-0.122
0.0164
-0.4154
0.0983
-0.1465
-0.3237
0.0188
0.1475
0.1469
0.4989
313
0.9636*
0.9400*
0.9141*
0.8795*
0.8610*
0.8692*
0.8453*
0.8743*
0.9064*
0.9366*
0.9088*
Tavola 5: Test di stazionarietà
Variabili
Dickey Fuller
DF-GLS
Phillips-Perron
Staz. in livelli Staz. in Diff.I Staz. in livelli Staz. in Diff.I Staz. in livelli Staz. in Diff.I
Variabili Dipendenti
Produttività del lavoro
Valore Aggiunto
Crescita della Prod. del lav.
Crescita del Val. Agg.
Val. Agg. / Employee
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
Log Produttività del lavoro
Log Valore Aggiunto
Log Crescita della Prod. del lav.
Log Crescita del Val. Agg.
Log Val. Agg. / Employee
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
Variabili Indipendenti
Variabili di R&D
R&D
R&D Stock
R&D Intensity (R&D/Produzione)
R&D/employee
Lagged R&D/employee pesato su VA/employee
Lagged R&D/employee pesato su Prod. Del lav.
Log R&D
Log R&D Stock
Log R&D Intensity (R&D/Produzione)
Log R&D/employee
Log lagged R&D/employee pesato su VA/employee
Log lagged R&D/employee pesato su Prod. Del lav.
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
314
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
Variabili
Dickey Fuller
DF-GLS
Phillips-Perron
Staz. in livelli Staz. in Diff.I Staz. in livelli Staz. in Diff.I Staz. in livelli Staz. in Diff.I
Variabili sullo Skilled Labour
%high skilled labour - employees (1)
%high skilled compensation (1)
%high skilled labour - hours (1)
%medium skilled labour - employees (1)
%medium skilled compensation (1)
%medium skilled labour - hours (1)
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
Variabili sui Brevetti
Brevetti (2)
Brevetti frazionati (1/k) (3)
Lagged Brevetti pesati su VA/emp
Lagged Brevetti pesati su Prod. Lav.
Lagged Brevetti frazionati pesati su VA/emp
Lagged Brevetti frazionati pesati su Prod. Lav.
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
Log Brevetti (2)
Log Brevetti frazionati (1/k) (3)
Log lagged Brevetti pesati su VA/emp
Log lagged Brevetti pesati su Prod. Lav.
Log lagged Brevetti frazionati pesati su VA/emp
Log lagged Brevetti frazionati pesati su Prod. Lav.
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
(1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti)
(2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero.
(3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore.
NB. Alcune variabili si sono verificate stazionarie solo all'inserimento dell'opzione trend. Ciò è stato considerato qualora queste variabili rientrassero nei modelli regressivi.
315
Tavola 6: I modelli
Variabili Indipendenti
Log R&D/Employee - Lag 1
%medium skilled labour - employees (differenza 1°)
Log Brevetti - Lag 1
Modello 1 - Prais-Winsten Regression
Var. Dip.: Log Produttività del Lavoro
Coefficienti
Standard Error
P>|t|
1.362 ***
0.442
Durbin Watson Test (original)
Durbin Watson Test (transformed)
R&D/Employee (differenza 1°)
%medium skilled labour - employees (differenza 1°)
Brevetti (differenza 1°)
1.046 ***
0.351
0.442 **
3.17 E -05 **
-0.061
Chi-squared
1.130
1.221
0.686
1.53 E -05
0.050
316
0.000
0.155
0.016
1.239
1.247
0.049
0.231
Statistiche:
25
0.092
0.187
0.117
Post-estimation Test:
Prob>Chi-squared
0.288
0.269
0.408
* significatività statistica <= 10%
** significatività statistica <= 5%
*** significatività statistica <=1%
0.121
0.236
0.165
20
0.000
0.990
0.988
Modello 3 - OLS Regression
Var. Dip.: Crescita del Valore Aggiunto per Dipendente
Coefficienti
Standard Error
P>|t|
Osservazioni
Prob>F
R-squared
Adj R-squared
Alternative DW Test (Ho: no serial correlation)
Breusch-Godfrey Test (Ho: no serial correlation)
LM Test for eteroschedasticity (Ho: no Arch effects)
0.000
0.142
Statistiche:
25
0.000
0.997
0.997
Post-estimation Test:
0.260
1.277
Osservazioni
Prob>F
R-squared
Adj R-squared
Variabili Indipendenti
0.015
0.291
Modello 2 - Prais-Winsten Regression
Var. Dip.: Log Produttività del Lavoro
Coefficienti
Standard Error
P>|t|
Modello 4 - OLS Regression
Var. Dip.: Crescita del Valore Aggiunto per Dipendente
Coefficienti
Standard Error
P>|t|
3.38 E -05 **
-0.041
3.75 E -04 **
1.43 E -05
0.065
0.000
0.031
0.534
0.015
19
0.014
0.475
0.377
Chi-squared
0.243
0.302
0.303
Prob>Chi-squared
0.622
0.582
0.582
Variabili Indipendenti
Log R&D/Employee (differenza 1°)
%high skilled labour - employees (differenza 1° )
Log Brevetti (differenza 1°)
Modello 5 - OLS Regression
Var. Dip.: Log Crescita della Produttività del Lavoro
Coefficienti
Standard Error
P>|t|
0.148 *
0.104 ***
Osservazioni
Prob>F
R-squared
Adj R-squared
Alternative DW Test (Ho: no serial correlation)
Breusch-Godfrey Test (Ho: no serial correlation)
LM Test for eteroschedasticity (Ho: no Arch effects)
* significatività statistica del 10%
** significatività statistica del 5%
*** significatività statistica oltre il 5%
Chi-squared
0.066
0.074
1.027
0.076
0.034
0.064
0.006
Statistiche:
25
0.001
0.458
0.411
Post-estimation Test:
Prob>Chi-squared
0.798
0.785
0.311
317
Modello 6 - OLS Regression
Var. Dip.: Log Crescita della Produttività del Lavoro
Coefficienti
Standard Error
P>|t|
0.153 *
0.091 *
0.136 **
0.084
0.047
0.063
0.088
0.070
0.047
19
0.002
0.610
0.537
Chi-squared
0.784
0.944
0.006
Prob>Chi-squared
0.376
0.331
0.937
Tavola 7: Entropia complessiva sull’intero periodo delle imprese italiane
entropia teorica massima
entropia totale (anno: 1978,…,2006)
3.401
2.710
Tavola 8: Entropia, anno per anno, imprese italiane
anno
1978
1983
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
entropia
1.040
0.693
0.693
1.332
1.792
1.040
1.889
1.834
2.079
1.979
1.605
anno
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
318
entropia
1.332
1.696
2.151
2.008
2.168
2.112
2.294
2.109
2.032
2.453
2.026
Tavola 9: Entropia complessiva sull’intero periodo delle imprese europee escluse quelle italiane
entropia teorica massima
entropia totale (anno: 1978,…,2006)
3.401
2.809
Tavola 10: Entropia, anno per anno, imprese europee escluse quelle italiane
anno
1977
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
entropia
2.068
2.292
2.378
2.242
2.505
2.495
2.439
2.652
2.613
2.732
2.757
2.548
2.743
2.666
2.624
anno
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
319
entropia
2.590
2.740
2.629
2.687
2.722
2.741
2.868
2.809
2.788
2.692
2.779
2.816
2.773
2.835
2.513
CAPITOLO 10 – CONCLUSIONI GENERALI
L’obiettivo di questa ricerca era di verificare l’impatto degli investimenti nei settori ad alta
tecnologia ed in particolare nel settore spaziale in Europa sul resto dell’economia ovvero il loro
aspetto moltiplicativo. All’inizio la ricerca ha chiarito varie interpretazioni di questo aspetto, inclusa
quella del tradizionale moltiplicatore di Kahn-Keynes, per concludere che quella più rilevante consiste
nella spinta verso l’alto della produttività totale e quindi del reddito e del benessere pubblico e privato
in generale. Lungo questa linea si erano mossi anche alcuni importanti studi promossi dalla NASA
nella seconda metà degli anni settanta del secolo scorso, ancorché i loro risultati non si fossero rivelati
sufficientemente robusti sul piano empirico e sufficientemente fondati su quello teorico.
Nella presente ricerca si è però ripresa quella via, che aveva le sue basi teoriche nella teoria
della crescita dell’economia mainstream, per appurare i contributi dei settori ad alta tecnologia alla
crescita economica e del benessere. Nel caso del settore spaziale quei contributi includono la
produzione di beni capitali – i satelliti – che consentono l’offerta di servizi privati e pubblici che
contribuiscono direttamente a quella crescita. La presente ricerca si è concentrata però sulla verifica
del contributo indiretto che gli investimenti in R&S del settore spaziale e dei settori high tech possono
dare attraverso la diffusione o spillovers delle loro conoscenze negli altri settori dell’economia.
I concetti ed i modelli elaborati sia dagli economisti mainstream sia da quelli che seguono
l’approccio evolutivo al progresso tecnico convergono nell’indicare la potenziale importanza del
fenomeno degli spillovers tecnologici per la crescita della produttività delle imprese, industrie e
dell’intero sistema economico. D’altra parte le verifiche empiriche dei vari modelli hanno
sistematicamente accettato le ipotesi che il contributo alla crescita della produttività da parte degli
spillovers tecnologici era non solo importante ma anche più importante del contributo diretto della
R&S.
Nella presente ricerca si è ottenuta un’ulteriore generale verifica di questi risultati con
un’indagine empirica, estesa all’arco degli ultimi trent’anni, degli spillovers che vanno dai settori high
tech agli altri settori del comparto manifatturiero dell’Italia.
Il risultato della ricerca sull’importanza degli spillovers rappresenta quindi una variabile che
va tenuta presente in ogni valutazione “indipendente” della politica spaziale europea e delle sue
implicazioni per la domanda pubblica, il finanziamento pubblico alla ricerca e le politiche industriali.
La ricerca ha anche prodotto un’analisi dell’industria spaziale italiana nel contesto
dell’industria spaziale europea, evidenziandone i punti di forza, come la presenza di importanti
integratori di sistemi e di produzioni di eccellenza, ma anche elementi di potenziale debolezza per il
futuro, come la stagnazione della produttività totale e una scarsa propensione alla diversificazione
verso il settore dei servizi spaziali.
320
La ricerca ha infine mostrato come il fenomeno degli spillovers interni all’industria spaziale
o, come vengono talvolta chiamati, spinoffs sia a sua volta appurato ed importante, anche se necessita
di una quantificazione più precisa. La sua considerazione da parte delle autorità responsabili può
aiutare a formulare politiche di promozione dell’industria spaziale, congiuntamente alla promozione
del settore dei servizi spaziali, su una base di investimenti in R&S derivanti da contratti ESA e/o
nazionali.
In questo contesto la ricerca suggerisce che la grande varietà delle applicazioni spaziali
richiede una pianificazione degli investimenti dell’ASI, anche attraverso i suoi contributi ad ESA, che
distingua chiaramente e faccia delle scelte di priorità tra, da un lato, le diverse missioni pubbliche e la
missione della promozione della loro base industriale; e dall’altro, una politica industriale di
promozione commerciale del settore spaziale. Nella formulazione di queste scelte dovrebbero essere
considerate anche le diverse intensità di spillovers dei progetti.
321
COLLABORATORI DELLA RICERCA
Prof. Giancarlo Graziola, Università di Bergamo
Coordinatore generale
e capp.1,2,3, 4.2, 4.3 e 7
Michele Brunelli, Università di Bergamo
Cap. 5.1
Prof. Elena Cefis, Università di Bergamo
Cap. 9
Prof. Keith Hartley, Università di York
Capp. 5.2, 6.3 e 7.3
Prof. Luigi Orsenigo, Università di Brescia e CESPRI, Università Bocconi
Cap.8
Prof. Sergio Parazzini, Università Cattolica, Piacenza
Cap. 4.1
Prof. Vasilis Zervos, International Space University, Strasburgo
Capp. 6.1 e 6.2
Hanno anche collaborato:
Clemente Diena, assistente alla ricerca per i capp. 3 e 4
Paola Gritti, Università di Bergamo, assistente alla ricerca per il cap. 9
Alessandro Graziola, per le traduzioni dall’inglese dei capp. 5.2, 6 e 7.3
322