Report completo
Transcript
Report completo
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONONOMICHE “HYMAN P.MINSKY” UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO PROSPETTIVE ED EFFETTI MOLTIPLICATIVI DEGLI INVESTIMENTI NEI SETTORI AD ALTA TECNOLOGIA NELLE ECONOMIE AVANZATE. CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL SETTORE SPAZIALE IN EUROPA RAPPORTO FINALE DELLA RICERCA PER AGENZIA SPAZIALE ITALIANA Novembre 2009 Lo studio è stato eseguito con un contratto dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) 1 INDICE EXECUTIVE SUMMARY…………………………………………………………………………………pag. 5 PARTE I: ANALISI DELL’INDUSTRIA SPAZIALE CAPITOLO 1- INTRODUZIONE: DEFINIZIONI E CONCETTI…………………………………….pag. 18 1.1 DEFINIZIONE DI INDUSTRIA SPAZIALE 1.2 CARATTERI E SPECIFICITA’ DELL’INDUSTRIA SPAZIALE 1.3 CLASSIFICAZIONI INTERNE ALL’INDUSTRIA SPAZIALE 1.4 L’INDUSTRIA SPAZIALE ED IL SETTORE DEI SERVIZI SATELLITARI NELLA CONTABILITA’ NAZIONALE CAPITOLO 2 - RAPPORTI TRA INDUSTRIA SPAZIALE, SETTORE DEI SERVIZI SATELLITARI E RESTO DELL’ECONOMIA……………………………………………………………………………pag. 30 2.1 IL MOLTIPLICATORE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE 2.2 CATENE E PIRAMIDI DEL VALORE SPAZIALE 2.3 DALL’INDUSTRIA SPAZIALE AI BENEFICI PER I CONSUMATORI CAPITOLO 3 – L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL CONTESTO EUROPEO: ANALISI DEGLI AGGREGATI CON DATI ASD-EUROSPACE………………………………………………..pag. 45 3.1 L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL 2007 3.2 LE TENDENZE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL DECENNIO 1998-2007 CAPITOLO 4 – L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA OGGI E LA SUA EVOLUZIONE NEL DECENNIO 1998-2007: ANALISI CON DATI A LIVELLO D’IMPRESA………………………...…pag. 58 4.1 UNA COSTRUZIONE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL 2007 4.2 CARATTERI STRUTTURALI 4.3 LA PRODUTTIVITA’ DELLE IMPRESE CON PRODUZIONI SPAZIALI NEL 2001-2007 2 APPENDICE AL CAPITOLO 4 – DATI SULLE IMPRESE ITALIANE CON PRODUZIONI SPAZIALI PER IL CALCOLO DELLA PRODUTTIVITA’ CAPITOLO 5 – LE ISTITUZIONI E LE POLITICHE SPAZIALI EUROPEE……………………pag. 102 5.1 LE GRANDI LINEE DELLE POLITICHE SPAZIALI EUROPEE 5.1.1 INTRODUZIONE 5.1.2 LE POLITICHE DELLO SPAZIO IN AMBITO EUROPEO 5.1.3 I RAPPORTI TRA L’UNIONE EUROPEA E L’ESA ED I LORO RUOLI 5.1.4 LE LINEE DI POLITICA SPAZIALE NAZIONALI 5.1.5 LE POLITICHE SPAZIALI DEGLI STATI UNITI: CENNI 5.2 LA POLITICA SPAZIALE DEL REGNO UNITO 5.2.1 INTRODUZIONE 5.2.2 L’ECONOMIA DEI MERCATI SPAZIALI 5.2.3 LA POLITICA SPAZIALE DEL REGNO UNITO 5.2.4 L’INDUSTRIA SPAZIALE DEL REGNO UNITO CAPITOLO 6 – LE SCELTE DELLE POLITICHE SPAZIALI E LE POLITICHE D’APPROVVIGIONAMENTO SPAZIALE IN EUROPA…………………………………………….pag. 137 6.1 LA FORMAZIONE DELLE POLITICHE 6.1.1 INTRODUZIONE E TENDENZE GLOBALI 6.1.2 LA POLITICA SPAZIALE EUROPEA: AUTONOMIA E COLLABORAZIONE 6.1.3 LA POLITICA SPAZIALE DEGLI USA: LEADERSHIP E CONTROLLO 6.1.4 RUSSIA, CINA E ALTRI PAESI CON PROGRAMMI SPAZIALI 6.1.5 CONCLUSIONI 6.2 L’APPROVVIGIONAMENTO SPAZIALE EUROPEO 6.2.1 LE ISTITUZIONI DELLA POLITICA SPAZIALE 6.2.2 LA SCELTA DEL CONTRAENTE (APPALTATORE) E GLI EFFETTI DELLA CONCORRENZA 6.2.3 LA SCELTA DEL CONTRATTO E L’ECONOMIA DELLA CONTRATTAZIONE 6.2.4 LE POLITICHE ED I TREND DI APPROVVIGIONAMENTO DELLA NASA E DELL’ESA 6.2.5 CONCLUSIONI 6.3 ECONOMIA DELLE COLLABORAZIONI INTERNAZIONALI PARTE II : I MODELLI ED UN’ANALISI EMPIRICA DEGLI EFFETTI DEI SETTORI HIGH TECH SULL’ECONOMIA 3 CAPITOLO 7 – CONCETTI E MODELLI DELL’ECONOMIA MAINSTREAM PER L’ANALISI DEGLI SPILLOVERS TECNOLOGICI………………………………………………………………..pag. 212 7.1 IL PROGRESSO TECNICO ED I SUOI SPILLOVERS 7.1.1 PROGRESSO TECNICO, PRODUTTIVITA’ TOTALE E R&S 7.1.2 GLI SPILLOVERS DELLA TECNOLOGIA: DEFINIZIONI E TIPOLOGIE 7.1.3 MODELLI PER LA ANALISI DELLA R&S IN PRESENZA DI SPILLOVERS 7.2 SPILLOVERS INTERNI ALLE IMPRESE E AL SETTORE SPAZIALE 7.3 LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELLE IMPRESE CON PRODUZIONI SPAZIALI: PRODUTTIVITA’, R&S E REDDITIVITA’ CAPITOLO 8 – IL PROGRESSO TECNOLOGICO ED I SUOI SPILLOVERS SECONDO I MODELLI EVOLUTIVI………………………………………………………………………………………………pag. 240 8.1 INTRODUZIONE 8.2 LE IPOTESI DI BASE DELL’APPROCCIO EVOLUTIVO 8.3 LE PROPRIETA’ DELL’INNOVAZIONE E DEL PROGRESSO TECNOLOGICO NELL’APPROCCIO EVOLUTIVO 8.4 GLI EFFETTI DELL’INNOVAZIONE, GLI SPILLOVERS E I FLUSSI DI CONOSCENZA 8.5 CONCLUSIONI CAPITOLO 9 – LE ESTERNALITA’ DELLE SPESE IN R&S: ANALISI EMPIRICA…………...pag. 270 9.1 INTRODUZIONE 9.2 LE BANCHE DATI E LE VARIABILI 9.2.1 LE BANCHE DATI 9.2.2 LE VARIABILI 9.3 L’ANALISI UNIVARIATA DEI DATI A PREZZI COSTANTI 9.3.1 LE STATISTICHE DESCRITTIVE 9.3.2 LE CORRELAZIONI 9.4 L’ANALISI MULTIVARIATA 9.4.1 I MODELLI EMPIRICI 9.4.2 METODOLOGIA 9.4.3 ANALISI DEI RISULTATI DELLE STIME OTTENUTE 9.5 ANALISI DEI BREVETTI: ENTROPIA E DIVERSIFICAZIONE TECNOLOGICA 9.5.1 DESCRIZIONE DELLA BASE DI DATI 9.5.2 METODOLOGIA 9.5.3 L’ANALISI DELL’ENTROPIA 9.6 CONCLUSIONI CAPITOLO 10 – CONCLUSIONI GENERALI.....................................................................................pag. 320 4 COLLABORATORI DELLA RICERCA................................................................................................pag. 322 EXECUTIVE SUMMARY La presente ricerca si è organizzata lungo due direttrici. La prima (capitoli 1 – 6) è stata indirizzata, in primo luogo, ad una messa a fuoco dei caratteri dell’industria spaziale e dei suoi rapporti con il resto dell’economia (capitoli 1-3) e, in secondo luogo, alla formulazione del quadro recente dell’industria spaziale italiana nel contesto europeo (capitoli 3-4) con un approfondimento sul ruolo svolto dalle politiche spaziali nel sostegno di quell’industria (capitoli (5-6). La seconda direttrice della ricerca (capitoli 7 - 9) si è rivolta invece alla formulazione dei concetti e delle teorie utilizzate dagli economisti per spiegare e misurare il fenomeno degli spillovers tecnologici, come passo preliminare ad un’ampia ed approfondita verifica empirica di questo fenomeno relativamente agli spillovers dei settori ad alta tecnologia (tra i quali spicca quello spaziale) nei confronti del resto del settore manifatturiero negli ultimi venticinque anni. Nel capitolo 1 si presenta una definizione di industria spaziale e si stabilisce la terminologia che verrà usata. Nel presente rapporto il termine “industria spaziale” (ISP) viene riservato al settore che produce i satelliti e con essi i loro lanciatori e attrezzature di terra. Con il termine “settore spaziale” ci si riferirà invece all’insieme dell’ISP e del variegato e ben più ampio settore dei servizi satellitari. Useremo però anche una terminologia abbastanza diffusa che parla di settore spaziale upstream per riferirsi all’ISP e di settore spaziale downstream per il settore dei servizi satellitari. In questo rapporto ci si concentrerà sull’industria spaziale perché essa, a differenza del settore dei servizi spaziali, costituisce una fonte significativa di spillovers tecnologici che rappresentano, come si vedrà, il contributo principale che le attività spaziali possono dare all’economia, in aggiunta al valore dei beni prodotti. L’industria spaziale si distingue per il carattere fortemente sistemistico dei suoi prodotti (satelliti e lanciatori) e l’elevato livello tecnologico delle loro componenti. Questo carattere ne fa un’industria con un profonda struttura verticale che da luogo, in funzione dei costi relativi delle transazioni, ad un network di grandi imprese sistemiste e sub sistemiste e di PMI produttrici di apparecchiature e componenti. L’industria spaziale è anche un’industria non solo ad alta tecnologia ma che spazia su una vasta gamma di tecnologie sofisticate (apparecchi di TLC, sensori, robot, ecc.) che danno luogo più che ad un prodotto ad una tipologia di prodotti (a seconda delle applicazioni del satellite), ottenuti in quantità limitate. Inoltre ogni tipo di prodotto viene continuamente rinnovato dal progresso tecnico. Un dato indicativo dell’intensità di ricerca di un settore è il rapporto tra spese per R&S e valore della produzione. Questo rapporto raggiunge il 14% nel settore spaziale upstream, 5 contro un 3-4% in quello downstream; un 11% nell’aerospazio; un 4-5% nel complesso dei settori high-tech e meno dell’1% nel settore manifatturiero. Una conseguenza diretta del forte investimento in R&S per la progettazione, effettuato prima dell’inizio del ciclo produttivo di un nuovo satellite, è il fenomeno delle economie di scala, cioè di un costo medio che risulta funzione decrescente della quantità cumulativa prodotta. Economie di scala e diversificazione dei prodotti comportano che i mercati commerciali dei satelliti siano caratterizzati da forme di concorrenza monopolistica o oligopolio. Un’altra caratteristica fondamentale dell’ISP è il ruolo determinante dell’operatore pubblico che si manifesta attraverso la domanda pubblica per beni sociali (ricerca scientifica ed esplorazione dello spazio, difesa, tutela dell’ambiente, ecc.) e per la promozione dello sviluppo economico; il finanziamento pubblico della ricerca delle imprese e la ricerca pubblica intramurale; ed una gamma di politiche industriali (impresa pubblica, domanda riservata ai “campioni nazionali”, ecc.). Nel capitolo 2 si analizzano in maniera dettagliata i rapporti tra, da un lato, l’ISP e, dall’altro, il settore dei servizi satellitari ed il resto dell’economia. Un primo tipo di rapporto riguarda gli effetti di un investimento spaziale sui settori a monte dell’ISP. cioè quelli che gli forniscono beni intermedi. L’uso di un moltiplicatore input-output dell’investimento spaziale consente di tenere conto non solo dei suoi effetti diretti (il cosiddetto “indotto”) ma anche di quelli via via più indiretti. Un elevato moltiplicatore è spesso preso come un argomento in più a favore di ogni tipo d’investimento ma, ad un esame attento, questa conclusione risulta valida solo in contesti particolari (ad es. risorse inutilizzate a livello locale). Essa non è invece applicabile in un contesto generale di risorse produttive normalmente utilizzate. Guardando a valle dell’ISP si è portati ad evidenziare la presenza di “catene” o “piramidi” del valore, ottenute confrontando un settore spaziale upstream , di dimensioni molto piccole, con dei tipicamente molto più grandi settori spaziali downstream. Per quanto utili come informazioni empiriche questi dati non devono indurre a pensare che gli investimenti nell’ upstream si moltiplicano in fatturati nel downstream, visto che questi vengono a dipendere in modo determinante anche dagli sviluppi della domanda pubblica e privata. Nel capitolo si attira invece l’attenzione sul fatto che il sistema satellite è un bene capitale che fornisce vari tipi di servizi, per cui ogni innovazione che migliora questo prodotto si traduce in effetti in servizi di migliore qualità che aumentano il benessere (o surplus) netto dei consumatori (ricordando qui che quello privato è più facilmente misurabile di quello pubblico, perché è più facile applicare il metro monetario al primo di quanto non lo sia per il secondo). Quest’aumento di benessere rappresenta il rendimento sociale dell’investimento spaziale nella ricerca, sviluppo e produzione del nuovo prodotto e verrà suddiviso tra consumatori e proprietari delle imprese produttrici dei satelliti ed erogatrice dei servizi a seconda di come si formano i prezzi sui mercati. Questo modo di guardare alle 6 conseguenze degli investimenti spaziali porta naturalmente a suddividere il loro rendimento complessivo o rendimento sociale tra : (i) Rendimento per l’impresa che lo ha effettuato o rendimento diretto (ii) Rendimento per altre imprese che “copiano” o rendimento indiretto (iii) Surplus o rendimento per i consumatori. Ad ogni tipo di rendimento corrisponde un tasso di rendimento. I pochi studi di caso, a causa dell’alto costo della raccolta dei dati rilevanti, che hanno studiato situazioni simili alla nostra (come quella delle vendite di mainframe PC a banche e assicurazioni) hanno fornito risultati interessanti (elevati tassi di rendimento) e sarebbe interessante applicarli anche al settore spaziale. Nei capitolo 3 si da un quadro sostanzialmente quantitativo e quindi sintetico dell’industria spaziale italiana che risulta essere la terza in Europa subito dopo la Germania. Anche nel nostro paese l’ISP si è sviluppata in gran parte all’interno di imprese o gruppi aeronautici e della difesa e con i suoi 4.000 addetti incide per quasi il 10% sull’industria aerospaziale italiana, vale a dire in misura maggiore di quanto avviene per l’Europa (6%; dati ASD-Eurospace). L’ISP italiana presenta una dipendenza dalla domanda istituzionale europea civile ben maggiore (2/3 contro 1/3) di quella delle ISP di Francia e Regno Unito, ma simile a quella della Germania. Un altro dato significativo, in qualche misura correlato al precedente riguarda la composizione della produzione: in Italia la quota dei satelliti sul fatturato consolidato dell’ISP (45%) è proporzionalmente simile a quella della Germania (48%), ma nettamente inferiore a quelle di Francia (70%)e Regno Unito (87%). Questi dati rinviano a verificare le potenzialità delle imprese, grandi e piccole, dell’ISP italiana di svilupparsi maggiormente nel settore commerciale e, ancor più, di espandersi attraverso spinoffs (vedi sotto il capitolo 7) nei settori dei servizi satellitari commerciali, in presenza di una domanda commerciale che dopo la contrazione del 1998-2003 sta dando segnali sempre più forti di ripresa (nonostante la crisi globale!). Un’ultima indicazione interessante dei dati sulle tendenze recenti (1998-2007) di vendite e occupazione è quella di una sostanziale stazionarietà della produttività del lavoro (vendite reali per addetto) nell’ISP italiana ed europea, come illustrato nella seguente figura che ne riporta i valori in migl. € a prezzi 2000 7 Nel capitolo 4 si va dietro ai dati aggregati per l’ISP italiana, offerti da ASD-Eurospace, e si ricostruisce quest’industria individuando attraverso varie fonti pubbliche (associazioni di categoria, siti internet, stampa del settore, ecc.) le imprese con attività spaziali, in numero di 20. Poiché le attività produttive spaziali sono spesso svolte da imprese impegnate anche in altre attività, tipicamente ma non sempre aerospaziali, e poiché normalmente non sono disponibili dati pubblici disaggregati sulle attività svolte all’interno delle imprese, la costruzione del quadro empirico dell’industria spaziale è stata decisamente laboriosa. E’ stato comunque possibile calcolare i fatturati spaziali di tutte le venti imprese, ottenendo il quadro riportato nella seguente tabella: 8 Fatturato spazio Fatturato totale % fatturato spazio (000 €) (000 €) Alenia SIA SpA 2.105 21.046 10 AVIO SpA 220.303 1.540.578 14 CESI SpA 7.040 70.399 10 Elsag Datamat SpA 57.742 481.187 12 Galileo Avionica SpA 66.062 550.519 12 IRCA SpA 36.856 245.709 15 Microtecnica Srl 12.519 125.191 10 Rheinmetall Italia SpA 13.779 38.275 36 Telespazio SpA 105.047 312.641 34 Thales Alenia Space Italia SpA 576.995 576.995 100 Vitrociset SpA 43.874 141.529 31 Totale grandi imprese 1.142.322 4.104.069 28 Aerostudi 1.046 1.743 60 Aurelia Microelettronica 100 995 10 CAEN Aerospace 1.017 1.017 100 Carlo Gavazzi Space 33.464 33.464 100 Dataspazio 5.899 5.899 100 Next Ingegneria dei Sistemi 6.267 12.533 50 Space Engineering 9.896 9.896 100 Space Software Italia 8.297 10.371 80 Top-Rel 15.729 15.729 100 Totale PMI 81.715 91.647 89 Totale ISP-20 1.224.037 4.195.716 29 Grandi imprese (≥ 250) PMI (< 250) Da questa tabella si vede che l’ISP italiana può contare su importanti imprese sistemistiche e sub sistemistiche, radicate in gruppi aerospaziali con solide tradizioni tecnologiche (Finmeccanica), ed è saldamente inserita nel contesto europeo con la presenza di Thales Alenia Space Italia, uno dei due player che ne dominano il mercato dei satelliti. Essa può però contare anche su un nucleo di PMI con elevate competenze di nicchia. 9 La disponibilità di dati di bilancio(su valore aggiunto, capitale ed occupazione complessive: spaziali e non) per le venti imprese dell’ISP italiana, ha permesso di valutare (adottando una delle metodologie economiche standard), in aggiunta alle tendenze delle produttività parziali del lavoro (valore aggiunto reale su lavoro: Y/L) e del capitale (valore aggiunto reale su capitale reale: Y/K), la produttività totale dei fattori (A), un ingrediente fondamentale della competitività sui mercati. Il risultato, esposto nella seguente figura 110 100 Y/L 90 A Y/K 80 70 60 50 2001 2004 2007 La figura mostra chiaramente che la produttività totale, nel periodo in esame, è stata determinata dal fattore tipicamente congiunturale del grado di utilizzazione della capacità produttiva, diminuita nel primo sottoperiodo e aumentata nel secondo. Essa lascia però mostra anche che non c’è stata una tendenza di fondo all’aumento rinviando così alla verifica empirica dei ruoli giocati dai vari fattori potenzialmente associati a quella produttività: intensità della R&S (rapporto tra spesa per R&S e valore della produzione), qualità del lavoro (rapporto laureati su totale degli occupati, ecc.), capacità competitiva (quote di mercato commerciale o estero), grado di utilizzazione delle risorse produttive e possibilmente altri. Nel capitolo 5 si analizzano l’impostazione ed alcune caratteristiche speciali della politica spaziale europea, dovute al ruolo predominante della collaborazione internazionale che in buona parte è avvenuta e avviene attraverso la European Space Agency (ESA), alla quale si è affiancata in tempi più recenti l’Unione europea (UE). L’importanza di questo tipo di analisi è dovuta al fatto che la domanda spaziale pubblica, che è il terminale verso il mercato della politica spaziale, è sempre stata e resta tuttora la componente predominante della domanda per l’ISP europea, rappresentando un 3/5 della sua domanda complessiva nel 2007. Nella prima parte del capitolo 5 viene offerta una breve rassegna storica delle politiche spaziali europee e dei ruoli giocati dall’ESA, dalla Commissione europea e dai governi nazionali, con 10 quello francese in primo piano, nei loro sviluppi. Il tema che emerge è l’ampiezza dello spettro di quelle politiche, che vanno dalla promozione dello sviluppo industriale e dal soddisfacimento di precise domande di beni privati (TV satellitare, ecc.) e pubblici (tutela dell’ambiente, ecc.) alla promozione della ricerca scientifica e dell’esplorazione spaziale. Nel complesso si può dire che le politiche spaziali europee hanno cercato di procedere sui binari paralleli degli investimenti spaziali coi piedi per terra (se così si può dire!) mirati a specifici rendimenti economici e di quelli motivati da una visione più ampia e di lungo periodo, che vede nel progresso della conoscenza il fattore di fondo, indispensabile per i futuri progressi della tecnologia. Nella seconda parte del capitolo 5 viene invece offerto un esame della politica per l’industria spaziale del Regno Unito, che rappresenta invece un esempio importante di un approccio allo spazio user-driven, cioè di un approccio che punta alla promozione di attività industriali rivolte a ben precise domande dei mercati. Si tratta di un esempio di successo che si è manifestato non solo nelle posizioni di eccellenza internazionale raggiunte da varie imprese del Regno Unito nella produzione di satelliti, ma anche e soprattutto nella crescita e vitalità del settore dei servizi satellitari (in grande prevalenza di TLC). In un paragrafo metodologico si richiama il contributo che può dare l’analisi economica delle scelte pubbliche nel campo delle politiche spaziali. Questa rivela come gli interessi dei vari attori (pubblico, politici, esponenti del mondo scientifico ed industriale) può portare al sostegno pubblico a programmi d’investimento che il mercato non farebbe, senza il supporto di convincenti analisi e dati economici. Da ciò non segue la conclusione di abbandonare quel tipo di investimenti, ma ne segue l’esigenza di giustificarli con argomenti il più possibile convincenti. E questo è un tema che ha ispirato la presente ricerca. Il capitolo 6 prosegue il discorso sulle politiche spaziali del capitolo 5 approfondendone una serie di temi. Il primo riguarda il fatto che le politiche spaziali incidono non solo sulla domanda ma anche sullo sviluppo della struttura produttiva dell’ISP, intesa sia come base industriale per i programmi con obiettivi pubblici, civili e militari, sia come fonte di spin-offs di nuove attività produttive nel settore dei servizi satellitari (su questo tema si ritorna nel capitolo 7). Il secondo tema riguarda il ruolo (non esclusivo beninteso, ma reale) del fattore economico nell’operare dell’ESA. Anzitutto la collaborazione dei paesi europei nel campo spaziale civile attraverso quest’agenzia è necessaria per l’impossibilità di ogni singolo paese europeo a sostenere con la sola sua domanda ed il suo solo contributo finanziario i costi ed i rischi dei programmi spaziali. Si evidenzia poi la complessità di questa collaborazione, che fa sì che le istituzioni preposte alla collaborazione spesso “vengano dopo” le iniziative con cui vari paesi europei, unilateralmente o bilateralmente, avviano nuovi progetti. Il tema dei costi economici delle collaborazioni internazionali, 11 intesi come costi delle transazioni, è affrontato in una sezione a parte (sezione 6.3) dove viene messo a fuoco, con un semplice esempio numerico e un richiamo dell’esperienza del progetto Galileo. Il terzo tema riguarda la natura strategica globale degli obiettivi delle politiche spaziali e i loro stretti intrecci, in virtù della natura massimamente duale del satellite . Spostandosi al livello mondiale si notano gli sforzi significativi e le allocazioni delle risorse da parte degli USA per il controllo e il dominio dello spazio, facendo attenzione ad assicurarne la funzionalità, mentre gli altri principali paesi spaziali cercano di sviluppare le proprie capacità e di raggiungere un’autonomia. In secondo luogo si nota come la natura dual-use delle attività strategiche, come avviene nel caso dei sistemi di posizionamento, osservazione terrestre e controllo dello spazio esterno, può essere considerata vantaggiosa per lo sviluppo di mercati commerciali, che potrebbero così godere di servizi più precisi e affidabili. Per contro, i rilevanti servizi militari e di sicurezza devono prendere in considerazione questa “proliferazione” di servizi strategici sui mercati commerciali. Al riguardo si può concludere che il settore spaziale aumenterà la sua importanza per la sicurezza nazionale e globale, data la proliferazione di capacità e politiche per lo sviluppo di nuovi sistemi. Il quarto tema (sviluppato ampiamente nella sezione 6.2) riguarda il rapporto tra l’acquirente pubblico e l’impresa fornitrice o appaltatrice. Questo può assumere una varietà di forme che vanno dall’impresa pubblica, alla PPP (Private Public Partnership) al contratto di acquisto. Relativamente a quest’ultimo viene offerta un’analisi assai articolata (vedi sezione 6.2) delle implicazioni per costo e prezzo dei tipi di contratti (prezzo fisso, tetto di prezzo convertibile in prezzo fisso, cost plus, ecc.) usati soprattutto da NASA ed ESA. Più che le varie conclusioni di carattere tecnico, merita qui di ricordare delle conclusioni di carattere più generale: 1. Sembrerebbero esserci dei costi sostanziali per il monitoraggio dei contratti. Ciò ha portato la NASA ad usare agenti specializzati (DoD) per monitorare e gestire i processi rilevanti con l’uso di strumenti sofisticati quali lo Earned Value Management System “aumentato” dalle implicazioni di prezzo (EVMS-P). La mancanza di informazioni pubbliche disponibili sui contratti di approvvigionamento nel settore spaziale europeo rende difficile fare analisi rilevanti ed esprimere giudizi di efficienza; una maggiore trasparenza faciliterebbe una valutazione più rilevante. 2. ESA sembra seguire un approccio rivolto al collocamento diretto di sottocontratti e questo sembra che elimini alcuni degli effetti negativi del consolidamento industriale, ripristinando l’equilibrio dei poteri nelle negoziazioni tra i prime contractors e le PMI. Le implicazioni di questo approccio per la politica industriale ESA del juste retour non sono chiare. Inoltre questo processo ha come risultato che l’ESA gestisce indirettamente i subappaltatori nei programmi, e ciò pone problemi di attribuzione della responsabilità contrattuale, in quanto l’appaltatore primario ha la responsabilità sull’esecuzione di tutto il programma 12 Nel Capitolo 7 si parte dal presupposto stabilito nel capitolo 2 secondo il quale la valutazione dei benefici, privati e pubblici, di un investimento pubblico spaziale si può basare anzitutto su una loro misura monetaria il che non deve escludere, possiamo qui aggiungere, la considerazione di altre valutazioni di carattere più generale quali quelle strategiche o quelle riguardanti il progresso della scienza di base e dell’esplorazione spaziale o anche quelle, sicuramente meno valide delle precedenti, del “prestigio nazionale”. L’importante è che le differenti giustificazioni e le loro implicazioni siano chiaramente distinguibili tra loro. Una volta fissato l’obiettivo diretto dell’investimento spaziale resta da verificare quanto esso sia rafforzabile, nei confronti di altri investimenti pubblici, dalla considerazione che esso può generare benefici derivanti dalla circostanza che la sua (predominante) componente di R&S genera conoscenze che, per la loro natura di bene pubblico, possono essere utilizzate in altri settori produttivi, con effetti positivi sulle loro produttività. E’ questo il tema degli spillovers della conoscenza che costituiscono l’oggetto centrale di questa ricerca. Ricollegandoci alle nozioni di rendimento dell’investimento nell’innovazione di prodotto del capitolo 2, la considerazione degli spillovers tecnologici introduce oltre al rendimento realizzato lungo la catena produttiva che va dal settore del bene capitale(satellite) a quello dei suoi servizi ed alla variazione del benessere dei consumatori finali, anche il rendimento da spillovers realizzato in una molteplicità di altri settori manifatturieri e dei servizi. Nella sezione 7.1 viene richiamato lo schema concettuale mediante il quale l’economia mainstream ha definito la successione degli effetti, che dall’investimento in R&S porta al suo rendimento. Si tratta di un semplice schema teorico elaborato inizialmente da autori come Zvi Griliches, M.I. Nadiri e sviluppato ed usato con successo nelle verifiche empiriche fino ai giorni nostri. Questo schema si basa in sostanza sul concetto di una funzione di produzione (da noi utilizzata per il calcolo della PTF dell’ISP nella sezione 4.3) “aumentata” dagli input (i) del capitale “interno” di R&S di un’impresa o industria; e (ii) del capitale della R&S “importata” da altre imprese o industrie ovvero gli spillovers. Con ciò si riesce a calcolare di quanto aumenta il prodotto per effetto di un aumento degli spillovers, cioè a calcolare il loro rendimento. Le verifiche empiriche delle ipotesi che (i) la R&S ha un significativo impatto sulla produttività e (ii) quest’impatto è imputabile ai suoi spillovers in misura maggiore di quella imputabile ai suoi effetti diretti nell’impresa o industria in cui è stata effettuata, hanno dato risposte costantemente positive, pur nella grande diversità di periodi, paesi e particolari varianti del modello di base impiegate. L’analisi precedente è applicabile al rapporto tra la R&S dell’ISP e le imprese o industrie esterne. Nelle sezioni 7.2 e 7.3 si ricorda comunque l’importanza degli spillovers anche all’interno di una stessa impresa o del network delle imprese che formano l’ISP, la cui attenta gestione da parte della politica economica può contribuire molto alla loro produttività. Al riguardo si ricorda che le politiche di sviluppo di successo in altri paesi europei, grandi (Regno Unito) e piccoli (Norvegia, Danimarca) 13 hanno mostrato la centralità (i) del sostegno continuo della R&S (effettuata molto anche tramite i contratti con ESA)di base non solo delle grandi imprese ma anche delle PMI; e (ii) della disposizione ad operare su mercati commerciali più concorrenziali di quelli pubblici, ancora fortemente segmentati per paese. La lettura del capitolo 7 va integrata con quella del capitolo 8 nel quale vengono presentati gli elementi di una teoria del progresso tecnico che è da molti ritenuta una teoria alternativa a quella mainstream sulla quale si è basata la nostra ricerca. Una sua attenta lettura e confronto con l’analisi riassunto nella sezione 7.1 ci sembra che mostri come la teoria evolutiva possa invece svolgere un utile richiamo a non dimenticare che la realtà della produzione, della circolazione e dell’impatto economico della conoscenza è più complessa di quelle che risulta dalle ipotesi su cui sono basati i modelli qui presentati e le verifiche empiriche condotte nel capitolo 9. Tuttavia il compito di un modello teorico è quello di evidenziare gli aspetti fondamentali della realtà studiata e quello qui adottato sembra finora avere svolto bene il suo compito. Nel capitolo 9 partendo da dati OECD e EU KLEMS, su 27 settori e per un periodo di tempo che va dal 1980 al 2006 (periodo che si restringe se nelle analisi si vogliono inserire i dati sull’high skilled labour (1980-2005), sugli stock di R&S (1980-2003) e sui brevetti (1980-1999)), il principale obiettivo dell’analisi empirica presentata in questo capitolo è quello di catturare quantitativamente gli spillover che la ricerca e sviluppo (R&S) e i processi innovativi in generale dei settori high-tech hanno sulla performance del settore manifatturiero. Già nei risultati dell’analisi uni variata si trova una prima indicazione del fatto che gli investimenti in R&S, unitamente alla presenza di skills elevate, portino a migliori performance economiche. Questo si pone in evidenza quando l’oggetto di studio sono i macro-settori dell’high tech, del medium-high tech e del low tech. E’, infatti, nei settori ad alta tecnologia, dove le spese e gli stock di ricerca e sviluppo, il numero di brevetti prodotto e le competenze dei lavoratori sono superiori (in particolare se si osservano gli investimenti effettuati per dipendente), che si registrano un valore aggiunto e una produttività del lavoro più alti. Anche le correlazioni prese in esame verificano l’esistenza di un legame significativo e positivo tra investimenti in R&S e performance di settore, che si perde, però, quando si considera il settore low tech per quanto riguarda la produttività del lavoro. Le elaborazioni a prezzi costanti hanno permesso, inoltre, di portare in evidenza una struttura temporale che sembra mostrare un aumento degli effetti degli investimenti in ricerca e sviluppo al passare degli anni. Quando, poi, si prende in considerazione la correlazione tra investimenti in R&S e produzione di brevetti del settore high-tech e la performance del settore manifatturiero (escluso l’hightech) possiamo notare che la correlazione è significativa e positiva ad eccezione dei tassi di crescita delle variabili. Queste correlazioni sono una prima indicazione dell’esistenza di significativi spillovers 14 della ricerca e sviluppo finanziata e condotta nel settore high-tech sulla performance del manifatturiero. Una conferma ulteriore e più robusta la si trova con l’analisi multivariata. Comunque si misurino le attività innovative svolte all’interno del settore high-tech (in livelli o in crescita, utilizzando i brevetti o le spese in R&S, o la quota di high-skill labour), un loro incremento sembra portare ad un incremento in una qualsiasi delle proxy della performance del settore manifatturiero (produttività del lavoro, crescita del valore aggiunto per dipendente, e crescita della produttività del lavoro). Questo effetto diretto e positivo suggerisce l’esistenza di spillover di tipo tecnologico tra i settori high-tech e il resto del manifatturiero. I miglioramenti della conoscenza e delle competenze tecnologiche che si raggiungono nel settore high-tech hanno effetti diretti e positivi sulla performance del settore manifatturiero,per cui gli investimenti in attività innovative del settore high-tech non porta vantaggi in termini economici solo al settore high-tech, ma a tutti gli altri settori del manifatturiero. In particolare, quello che emerge dai dati, è che c’è una relazione tra la dinamica degli investimenti in attività innovative e la dinamica della performance del manifatturiero: la crescita negli investimenti in attività innovative porta ad una crescita nella performance. Infine, anche le analisi sull’entropia dei brevetti richiesti e concessi alle aziende facenti parte del settore aerospaziale portano a conclusioni a sostegno dell’esistenza di spillovers positivi delle spese in R&S dell’high tech sul settore manifatturiero nel suo complesso. I risultati mettono, infatti, in evidenza che le imprese del settore aerospaziale sono sulla frontiera di molte ( se non quasi tutte) aeree tecnologiche. Le loro conoscenze e il loro know-how spazia da aeree che costituiscono il core della loro conoscenza tecnologica ad aeree decisamente più lontane e che potrebbero sembrare non avere nulla a che fare con l’aerospazio. Infatti i brevetti richiesti dal settore aerospaziale vengono classificati in molte classi tecnologiche assai diversificate tra di loro, per cui è plausibile pensare che si verifichino esternalità di tipo tecnologico tra il settore aerospaziale e gli altri settori manifatturieri. In un caso come questo, è infatti facile immaginare che gli spillovers di conoscenza tecnologica dai settori aerospaziali siano facili e rilevanti. Le conoscenze tecnologiche sviluppate all’interno delle imprese aerospaziale possono passare senza grande difficoltà in settori economici che nulla hanno a che fare con l’aerospazio, proprio perché le avanzate competenze tecnologiche sviluppate dalle imprese aerospaziale vanno a influire in modo significativo sulle conoscenze di aree tecnologiche tra loro assai diversificate. L'approccio evolutivo e la SYS offrono strumenti interpretativi importanti per comprendere, qualificare e distinguere gli effetti “indiretti” (spillover) dell'innovazione. In estrema sintesi, questo approccio riconosce ed enfatizza che il progresso tecnologico non esaurisce il proprio impatto all'interno di una singola impresa o di un singolo settore. Al contrario, la natura cumulativa dell'innovazione implica l'instaurarsi di feedback positivi che possono potenzialmente portare ad una crescita tecnologica sostenuta e non lineare. Tuttavia, la comprensione delle sostanziali differenze tra 15 informazione e conoscenza porta ad una analisi più approfondita delle modalità di creazione e diffusione di nuove tecnologie e del loro impatto successivo. In particolare, occorre riconoscere che i flussi di conoscenza passano attraverso una molteplicità di canali e in ogni caso sono strutturati da variabili di mercato, organizzative, sociali ed istituzionali. Gli effetti indiretti dell'innovazione sono inoltre determinati dalle caratteristiche specifiche di ciascun paradigma e regime tecnologico e dai livelli e distribuzione delle competenze tecnologiche. CONCLUSIONI GENERALI 1. Il fenomeno dell’importanza degli spillovers tecnologici dai settori high tech e dall’industria spaziale in particolare risulta appurato attraverso una pluralità di modelli teorici e di verifiche empiriche. Esso rappresenta quindi una variabile che va tenuta presente in ogni valutazione “indipendente” della politica spaziale europea e delle sue implicazioni su domanda, finanziamento pubblico alla ricerca, politiche industriali 2. Il fenomeno degli spillovers interni all’industria spaziale o, come vengono talvolta chiamati, spinoffs è a sua volta appurato ed importante, anche se necessità di una quantificazione più precisa. La sua considerazione da parte delle autorità responsabili può aiutare a formulare politiche di promozione industriale dell’industria spaziale , congiuntamente con la promozione del settore dei servizi spaziali, su una base di investimenti di R&S derivanti da contratti ESA e/o nazionali. 3. La varietà delle applicazioni spaziali richiede una pianificazione degli investimenti dell’ASI, anche attraverso i suoi contributi ad ESA, che distingua chiaramente e faccia delle scelte di priorità tra, da un lato, le diverse missioni pubbliche e la missione della promozione della loro base industriale; e dall’altro, una politica industriale di promozione del settore spaziale. Nella formulazione di queste scelte dovrebbero essere considerate le diverse intensità di spillovers dei progetti. 16 PARTE I : ANALISI DELL’INDUSTRIA SPAZIALE 17 CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE: DEFINIZIONI E CONCETTI Nella sezione 1.1 di questo capitolo introduttivo daremo le nostre definizioni di settore o economia spaziale, di industria spaziale (ISP) e di settore dei servizi satellitari (SESAT), che sono in sostanziale accordo con quelle adottate dai principali enti internazionali e nazionali che si occupano a vario titolo di economia spaziale. Nelle sezioni 1.2 e 1.3 vedremo invece come le caratteristiche dell’industria spaziale ovvero la componente upstream dell’economia spaziale derivino in buona parte dal fatto che il suo prodotto centrale, il satellite, è un sistema ad alta tecnologia assai complesso e formato da un gran numero di componenti e da vari sub sistemi, necessari per la sua operatività e per la sua missione, che a loro volta richiedono il supporto di sistemi di terra. La sezione 1.4 richiama l’attenzione sul fatto che ne l’industria spaziale ne quella dei servizi satellitari sono soddisfacentemente identificabili nelle classificazioni statistiche delle attività industriali, il che impone il non facile compito di raccogliere direttamente dalle imprese e dalle loro associazioni di categoria e/o da banche dati private anche i dati più semplici ed essenziali (vendite, dipendenti, ecc.) per un minimo di riscontri empirici. 1.1 DEFINIZIONE DI INDUSTRIA SPAZIALE Economia dello spazio secondo OECD. Nello OECD Global Forum on Space Economics del 2007 (OECD, 2007, p.17) l’economia dello spazio è stata definita molto appropriatamente come: “All public and private actors involved in developing and providing space-enabled products and services. It comprises a long value-added chain, starting with research and development actors and manufacturers of space hardware (e.g. launch vehicles, satellites, groundstations) and ending with the providers of space-enabled products (e.g. navigation equipment, satellite phones) and services e.g. satellite-based meteorological services or direct-to-home video services)”. Un problema nel rendere operativa (quantificare) questa definizione è dato dalla problematicità della scelta del confine “a valle” dei settori che forniscono servizi usando i satelliti. Ciò significa, in altre parole, che la scelta di questo confine può dipendere, più di quanto normalmente avviene, dagli specifici interessi dell’analista. Ad esempio, se si guarda alle caratteristiche dei comportamenti di mercato, più che alle affinità tecnologiche, è abbastanza naturale escludere dall’economia dello spazio imprese come DirectTV, XMSatellite Radio e Sirius Satellite Radio “who sell directly to consumers and compete with other 18 entertainment companies like broadcast network, radio stations and cable companies” dato anche le prime si considerano come società d’intrattenimento piuttosto che spaziali1. Industria satellitare secondo SIA. In (OECD, 2007), la quantificazione dell’economia dello spazio, a livello mondiale e in parte a livello USA ed Europa per l’anno 2006, è basata sulle statistiche presentate nel rapporto statistico annualmente predisposto da Futron Corporation per la Satellite Industry Association (SIA, anni vari), nel quale il termine “industria dei satelliti” (satellite industry) designa la stessa realtà chiamata dalla OECD economia dello spazio. Per il 2006 il valore mondiale delle vendite delle imprese di quest’industria è stato calcolato in 106,1 mld $, suddivisi come segue: (i) Produzione di satelliti, inclusi i loro sub sistemi e componenti (ii) Produzione di lanciatori , inclusi i loro sub sistemi e componenti; e servizi di lancio 12,0mld$ 2,7mld$ (iii) Produzione di attrezzatura di terra e loro servizi 28,8 mld$ (iv) Fornitura di servizi satellitari 62,6 mld$. I settori (iii) e (iv) sono molto ampi. Nel primo è inclusa una vasta gamma di prodotti suddivisi tra quelli di network (gateways, stazioni di controllo e Very Small Aperture Terminals (VSAT)) e quelli per il consumatore (Dischi per Direct Broadcast Satellite (DBS), telefoni satellitari manuali, attrezzature per servizi audio digitali (DARS) e materiali primari per il GPS). Il settore (iv) è costituito invece da imprese che forniscono soprattutto servizi di trasmissione video, audio o testo direttamente ai singoli consumatori (DBS/DTH o DARS) oppure servizi fissi (FSS, costituiti quasi totalmente da accordi per l’uso di transponders) o mobili (MSS che includono telefonia e trasmissione di dati mobili). Questo settore include anche i servizi di remote sensing che hanno comunque un fatturato modesto (700 mln $) ed i servizi di global positioning che sono però messi gratuitamente a disposizione in tutto il mondo dal DOD. Upstream/downstream space technology secondo BNSC. Poiché nei rapporti SIA è riportato solo il valore aggregato della produzione di attrezzature di terra non è possibile distinguere il fatturato delle imprese che producono attrezzature terrestri di controllo e guida del satellite da quello delle imprese che producono attrezzature terrestri che si interfacciano con quelle a bordo del satellite per erogare uno o più tipi di servizio al consumatore finale. Non è quindi possibile distinguere in maniera pienamente accurata il settore che produce i satelliti (intesi , economicamente, come beni capitali) da quello che ne utilizza i servizi. Attorno a questa distinzione sono invece organizzati i dati sull’industria spaziale del Regno Unito presentati ogni biennio in un breve rapporto del British National Space Center (BNSC, per anni vari). Questi dati riguardano 227 imprese suddivise 1 in un settore upstream, formato da quelle Vedi, “Top 50. Space Industry Manufacturing and Services”, Space News, 20 giugno 2008 19 forniscono la tecnologia spaziale, e in un settore downstream, formato da quelle che la sfruttano. Questi dati consentono di farsi un’idea delle dimensioni relative dei due settori in quel paese: tra il 2000 ed il 2007 il rapporto tra il fatturato del settore downstream e quello del settore upstream è salito da 5,2 a 62. La space industry secondo ASD – EUROSPACE. ASD-EUROSPACE è un’associazione di produttori spaziali europei associata a sua volta ad ASD, l’unione di tutte le principali associazioni aerospaziali e della difesa d’Europa. Essa guarda all’industria spaziale come a una branca o meglio, viste le sue modeste dimensioni, una nicchia o una componente minoritaria 3 dell’industria aerospaziale, ricordando però che si tratta di una componente strategica proprio perché le tecnologie spaziali mettono in grado operatori pubblici e privati di fornire servizi altamente qualificati (ASDEUROSPACE 2009). Se nel periodo delle origini il ruolo strategico dell’industria spaziale riguardava solo programmi militari e scientifici, a partire dall’inizio degli anni 90, con gli sviluppi delle tecnologie DBS, essa assunse un analogo e via via crescente ruolo strategico nello sviluppo dei mercati delle trasmissioni globali (televisione DTH, DARS, ecc.), telecomunicazioni, ecc. Operativamente ASD-EUROSPACE costruisce la sua industria spaziale (ISP) europea censendo le imprese che operano nel settore upstream del settore spaziale europeo, inteso sostanzialmente come l’insieme di tutte e sole le attività produttive che sfociano nella messa (e mantenimento) in orbita dei satelliti (vedi Figura 1). Queste attività sono suddivise in tre segmenti ciascuno dei quali produce un sistema ed i suoi sub- sistemi, componenti e servizi: lanciatori, satelliti ed attrezzature di terra relative al funzionamento del satellite (tracciare e manovrare lanciatori e satelliti, ed effettuare test ed operazioni d’integrazione dei sistemi spaziali). Il numero delle imprese censite è in una certa misura “aperto” o perché da un anno all’altro si possono individuare imprese precedentemente non rilevate, soprattutto se non si pone il vincolo che il fatturato spaziale di un’impresa debba essere non inferiore ad una certa soglia percentuale; o perché nuove imprese entrano nel settore. Tuttavia il fatto che nella realtà una frazione molto elevata delle produzioni spaziali sia concentrata in un numero limitato di imprese fa sì che l’allungamento o l’accorciamento della coda delle piccole non incida in maniera particolarmente significativa sui valori totali. 2 Secondo il rapporto BNSC per il 2008, in quell’anno il fatturato downstream era pari a 4.102 mln£ mentre quello upstream era di 725mln£ . Questi dati naturalmente sono anche in funzione delle scelte relative alle imprese da includere in ciascun settore. Si osservi che anche il rapporto tra la somma di attrezzature di terra e servizi satellitari e quella di satelliti e lanciatori, nei sopracitati dati SIA è di nuovo 5,2. Questa cifra è però distorta verso il basso perché la parte di fatturato delle attrezzature di terra relative al funzionamento dei satelliti dovrebbe essere sottratta dal numeratore e sommata al denominatore. Ritorneremo tra poco sull’interpretazione economica di questo rapporto. 3 Per un’indicazione del peso dell’industria spaziale su quella aerospaziale vedi più avanti la tabella 3.1. 20 …e la Industria spaziale secondo noi. In questo rapporto adotteremo la stessa definizione di ISP di ASD-EUROSPACE e costruiremo la ISP italiana integrando l’elenco delle imprese spaziali italiane che si può estrapolare da quello delle imprese europee di ASD-EUROSPACE pubblicato in ASDEUROSPACE 2008, con informazioni ottenute da annuari, repertori, siti web, ecc. di associazioni italiane di imprese aerospaziali, nonché da informazioni sui contratti assegnati ad imprese messe a disposizione da ASI, nell’ambito della ricerca svolta per il presente rapporto (vedi sezione 4.1 per un’esposizione dettagliata delle fonti). Industria spaziale e industria dei servizi satellitari. La suddivisione del settore spazio in un’industria spaziale (ISP) e in un’industria dei servizi satellitari (SESAT) è illustrata nella Figura 1.1. Per una corretta lettura di questa figura è necessario tenere presente due circostanze. In primo luogo, essa è solo un’illustrazione schematica della griglia tecnologica dei settori della produzione dei satelliti e dell’utilizzazione dei loro servizi. Questa griglia costituisce un fattore che certamente influisce sulla struttura industriale di quei settori, senza esserne l’unico e probabilmente nemmeno il più importante. Com’è ben noto il compito fondamentale dell’economia delle organizzazioni, e dell’impresa in particolare, è quello di rispondere alla domanda su quali sono i fattori che determinano l’organizzazione delle attività produttive all’interno delle imprese piuttosto che attraverso i mercati; o, più specificamente, spiegare perché si verificano processi di aggregazione piuttosto che disintegrazione verticale; oppure di focalizzazione produttiva piuttosto che agglomerazione orizzontale; ed altri simili. Le risposte a queste domande rinviano alle caratteristiche economiche delle transazioni e dei loro soggetti. 21 sistemi e Subsistemi e componenti per e loro payloads lanciatori Satelliti e Loro Lanciatori e rampe di lancio loro payloads servizi Servizi di lancio Satelliti in Capitale spaziale esercizio Attrezzature terrestri (di rete e Attrezzature terrestri; sub sistemi e componenti Servizi pubblici dei Servizi satelliti commerciali dei per consumatori); sub sistemi e satelliti Loro Loro servizi servizi Beni e servizi pubblici: Scoperte scientifiche, difesa, Contenuti dei servizi: TV, Radio, Dati, Internet, protezione dell’ambiente, previsioni meteo, gestione Immagini, ecc. Nei settori dell’ISP e dei SESP non mancano esempi d’imprese integrate orizzontalmente e verticalmente. La Astrium del gruppo EADS, ad esempio, produce non solo satelliti, lanciatori ed attrezzature terrestri (le sue produzioni storiche), attraverso le divisioni Astrium space transportation ed Astrium satellites, ma anche una vasta gamma di servizi (TLC, Secure Satcom systems, EO e navigazione) attraverso la divisione Astrium services. Astrium è invero uno, dei non molti esempi, di impresa che opera sia nell’ISP che nel SESP. In secondo luogo, l’importanza della R&S nel settore spaziale, con i suoi costi e rischi elevati, e i rilevanti risvolti strategici delle tecnologie spaziali fanno si che l’operatore pubblico intervenga non solo nella fase finale della domanda, dove esso svolge un ruolo tuttora predominante rispetto agli operatori commerciali, ma anche nelle varie fasi upstream della produzione di satelliti, dalla 22 SESAT o Settore DOWNSTREAM = Uso dei servizi del capitale spaziale Attrezzature di controllo a terra; sub Subsistemi e componenti per satelliti ISP o Settore UPSTREAM = Produzione del capitale spaziale FIGURA 1.1 Relazioni tecnologiche interne al settore spazio o economia spaziale progettazione iniziale ai test dei prototipi e alla stessa promozione di iniziative commerciali, come dimostrano ampiamente molti programmi dell’ESA. 1.2 CARATTERI E SPECIFICITA’ DELL’INDUSTRIA SPAZIALE Un’industria sistemistica. L’industria spaziale, come quella aeronautica, produce sistemi e ciò richiede la capacità di assemblare, secondo complesse tempistiche, una molteplicità di sub sistemi e componenti che devono rispondere a ben precise specificazioni tra loro compatibili. Le difficoltà di gestire nell’ambito di un’unica organizzazione produttivo riguardano sia (un’impresa o una divisione) l’intero processo il coordinamento delle varie unità interne (che richiede un’efficiente trasmissione ed elaborazione delle informazioni) sia l’individuazione di un sistema d’incentivi interni, che inducano i responsabili delle varie unità a prendere linee di condotta coerenti con l’efficiente svolgimento del processo produttivo. Non sorprende quindi, anche se ci sarebbe molto da imparare da dei case studies, che la produzione nell’ISP sia caratterizzata da una spiccata disintegrazione verticale delle attività produttive di un satellite o di un lanciatore. Si noti che non stiamo qui parlando del fatto generale per cui in ogni economia basata sulla divisione del lavoro ogni produttore va sul mercato per comprare una molteplicità di beni intermedi o di materiali da produttori di altre industrie, ma dell’acquisto da parte di un produttore, diciamo, di satelliti di componenti, congegni e sub sistemi specifici per la loro produzione, che rientrano così nei prodotti della stessa industria. … con un significativo sistema di mercati verticali interni. L’esistenza di una sviluppata struttura di rapporti di mercato verticali interni all’ISP impone di distinguere, nel descrivere i risultati dell’attività produttiva in un certo anno, tra il fatturato non consolidato, ottenuto come la somma dei fatturati di tutte le imprese di un’industria spaziale, ad esempio, nazionale, e il fatturato consolidato, definito come il valore delle vendite esterne all’industria (= fatturato non consolidato – fatturato derivante dalle vendite interne all’industria). Quest’ultimo è costituito essenzialmente dai fatturati degli assemblatori finali (i prime contractors per la produzione del sistema), ma include anche le vendite di produttori di parti e sub sistemi dell’industria in esame ad imprese di altre industrie spaziali (esportazioni dell’ISP in esame). In assenza di esportazioni, il fatturato consolidato dell’ISP coincide con la somma dei fatturati delle imprese sistemiste (prime contractors). Il fatturato consolidato non è però ancora una misura corretta del contributo produttivo di un settore, perché non tiene conto dei consumi di beni intermedi, acquistati da altri settori e tra i quali possono esservi anche acquisti di beni intermedi (componenti e subsistemi) spaziali importati. Com’è ben noto la grandezza che si ottiene sottraendo ai ricavi i costi degli acquisti intermedi è il valore aggiunto. 23 Quantità limitate di prodotto eterogeneo. Un’industria che produce sistemi opera necessariamente su quantità limitate di un prodotto eterogeneo, in funzione delle necessità dell’acquirente. Ciò è vero per l’industria dei satelliti il cui output fisico totale è limitato (77 satelliti lanciati nel 2008, vedi SIA2009) e significativamente segmentato in funzione di due distinti ordini di fattori, tra loro connessi: (i) le funzioni delle attrezzature di bordo o payloads, tradizionalmente raggruppate in TLC, osservazione della terra (earth observation, EO) e navigazione/localizzazione/posizionamento; e (ii) le caratteristiche tecniche del satellite vero proprio, diverse in funzione dell’orbita in cui viene immesso (satelliti GEO, MEO e LEO), del peso e delle attrezzature necessarie per il suo funzionamento (tipi di pannelli solari, motori, sistemi TTC, ecc.). Numeri limitati e mercati segmentati e, comunque, eterogeneità dei prodotti dentro i segmenti implicano che il mercato dei satelliti sia caratterizzato da forme di concorrenza monopolistica. Alta tecnologia e ruolo della R&S. L’ISP è una delle industrie a più alta tecnologia. Prendendo come indicatore del livello tecnologico il rapporto tra spese annuali in R&S e fatturato, si trovano per l’ISP valori sul 14 %, cioè massimi nella stessa fascia dei settori high tech e molto più alti del valore medio del settore manifatturiero4. Si può qui notare che l’alta intensità di R&S è anche un importante fattore di distinzione tra l’ISP e SESAT, perché il secondo è caratterizzato da una bassa intensità di ricerca. Ad esempio, nel caso del Regno Unito nel 2005, l’ISP (upstream) investiva in R&S il 14,1% del suo fatturato a fronte di un 4,3% del SESAT (downstream) (vedi BNSC,2006). Le implicazioni economiche di grandi investimenti in R&S, prolungati nel tempo, al fine di ottenere un nuovo tipo di satellite, dalle prestazioni migliori rispetto a quelli già in orbita, sono ben note: il costo medio di produzione è influenzato più che dal costo di produzione del singolo prodotto, dalla quota imputata del costo della R&S che sarà tanto più contenuta quanto maggiore sarà la produzione cumulativa5. Se RS è la R&S ; C il costo di produzione di un satellite; n, il numero di satelliti prodotti per anno, supposto per semplicità costante; N il numero cumulativo dei satelliti; e t il tempo in anni, allora il CME quando si producono N satelliti sarà: CME(N) =RS/N+ C = RS/nt + C (*) una funzione decrescente di N (e, in definitiva di n e t) . In questo caso si parla comunemente di economie di scala anche se sarebbe più corretto chiamarle economie di production run, in quanto dipendono da N e non da n. A proposito di queste va precisato che, a differenza di quanto suggerisce la (*), la riduzione del costo medio si arresta quando la produzione ha raggiunto una certa scala, che 4 Secondo i dati STAN‐OECD per l’Italia l’intensità della R&S basata sul valore della produzione, tra il 1997 ed il 2003, è sta mediamente dell’11,5% per C353‐Aircraft and spacecraft; del 5% per i settori high tech del manifatturiero e dello 0,7% per il settore manifatturiero (C15T37) 5 Questa è uno stock che cresce nel tempo e non va confuso con il flusso della produzione annua 24 separa le imprese più grandi che operano al costo medio minimo da quelle più piccole che operano a costi medi maggiori e che in un mercato della produzione dei satelliti pienamente concorrenziale verrebbero escluse dal mercato6. Per quanto riguarda la componente C del costo medio va notato che se, in certi settori con costi medi decrescenti per effetto del forte costo iniziale della R&S, quella componente è molto bassa se non praticamente zero (come avviene nei settori delle tecnologie dell’informazione), nell’ISP il costo di produzione del satellite è mediamente elevato perché include oltre al costo della sua costruzione anche il costo del suo lancio, dato dalla somma del costo di costruzione del lanciatore e del costo del servizio di lancio. Infine, per completezza, C, dovrebbe includere il valore attuale dei costi di funzionamento del satellite nella sua vita utile, dati dai servizi forniti dalla stazione di terra. Nel caso di un satellite per la ricerca scientifica (come Planck o Herschel) si avrà N = 1 ed il costo medio coinciderà con il costo totale, costituito quasi esclusivamente dai costi di R&S per le attrezzature di bordo e per il satellite stesso. Per un satellite commerciale il costo medio sarà invece tanto minore quanto più ampio (maggiore n) e prolungato nel tempo (maggiore t) sarà il mercato e ciò darà alla grande impresa un vantaggio competitivo sulla piccola. D’altra parte gli elevati costi della ricerca e sviluppo per i tradizionali satelliti GEO ed il lungo periodo del programma che dall’avvio della R&S porta all’esaurimento della loro produzione di serie, comportano che solo una grande impresa possa affrontare il relativo cospicuo e rischioso investimento7. In conclusione, limitatezza dei mercati, eterogeneità del prodotto, costi medi decrescenti, alti costi e rischi della R&S contribuiscono al potere di mercato della grande impresa e quindi alla formazione di un mercato con poche imprese in concorrenza fra loro (oligopolio). Ruolo della domanda pubblica ed intervento pubblico. L’ISP è nata negli anni Sessanta per soddisfare una domanda essenzialmente pubblica di utilizzazione dello spazio, ma ben presto la possibilità di usare i satelliti per fornire servizi di TLC e, a seguire, di altro tipo ha stimolato una domanda commerciale che è cresciuta nel tempo più rapidamente di quella pubblica8. Ciò nonostante quest’ultima è rimasta a tutt’oggi la componente principale della domanda di satelliti. Per l’Europa, ad esempio, agli inizi degli anni Novanta la domanda pubblica (2,4 mld€ correnti) era pari al 66% del 6 Il calcolo empirico diretto delle economie di scala si basa sulla stima di una funzione di costo, con dati raccolti a livello d’impresa. Non ci risulta che siano stati pubblicate stime delle funzioni di costo dei satelliti, mentre è pubblicato almeno uno studio (Neven e altri (1993)) che stima la funzione di costo della produzione di servizi satellitari FSS. In questo studio il costo è posto in funzione del numero dei satelliti in esercizio, dei prezzi del lavoro e del capitale, del grado di utilizzazione della capacità dei transponders e del livello tecnologico medio dei satelliti. I risultati della stima danno un costo medio per transponder decrescente fino ad un impiego di 20 satelliti e costante per numeri maggiori. 7 Quest’argomento non riguarda la produzione di micro satelliti nella quale sono entrate anche delle piccole imprese come la britannica Surrey Satellite Technologies e l’italiana Carlo Gavazzi 8 Il primo sistema di comunicazioni satellitari globali fu realizzato da Intelsat nel 1965. 25 totale della domanda spaziale, mentre, nel 2007, la prima era salita a 3,2 mld€ correnti, pari al 60% della seconda. Le dimensioni ed i rischi degli investimenti in R&S spaziale e la rilevanza strategica, in campo economico e militare, delle tecnologie spaziali hanno fatto sì che gli stati siano intervenuti non solo sostenendo la domanda dell’ISP, ma anche svolgendo R&S spaziale all’interno di strutture pubbliche e finanziando ed indirizzando la ricerca privata. In Europa l’ente strategico nello svolgimento di queste due funzioni è l’ESA, che coopera strettamente con le agenzie spaziali nazionali e con la UE. Nel 2007 il suo bilancio presentava circa 2,8 mld€ di impegni di spesa, mentre i contratti firmati, con imprese europee e canadesi ammontavano a circa 1,7 mld€ (ESA, Annual Report 2007, p.60 e p.66). Quei contratti sono tipicamente inseriti e/o conseguenti a programmi di sviluppo promossi (con relativo apporto finanziario) dall’ESA, in collaborazione con le Agenzie spaziali nazionali, relativi a nuovi satelliti e lanciatori (come, per quanto riguarda i secondi, i programmi ARTA, FLPP, VEGA, VERTA). Queste attività di ESA rientrano a pieno titolo nell’ambito delle politiche industriali, così come e ancor più vi rientrano iniziative come quella che ha visto ESA promuovere la nascita dell’operatore satellitare Eutelsat. La teoria della scelta pubblica e l’esperienza insegnano che quando l’operatore pubblico svolge un ruolo importante nel sostenere i ricavi e contenere i costi delle imprese, le sue scelte non riflettono mai interamente gli obiettivi di efficienza ed equità dell’elettore, essendo condizionate da interessi “privati” nell’ambito della burocrazia pubblica e delle imprese 1.3 CLASSIFICAZIONI INTERNE ALL’INDUSTRIA SPAZIALE La profondità in verticale dell’ISP rende molto utile una classificazione delle imprese che costituiscono l’ISP sia secondo il ruolo che svolgono nel processo produttivo del satellite sia secondo il tipo di prodotto. La prima porta a raggruppare le imprese dell’ISP nelle seguenti categorie di business (vedi BNSC 2006): 1) Sistemisti, 2) Sub sistemisti 3) Produttori di equipaggiamenti 4) Produttori di componenti 5) R&S, progettazione e consulenza per contratto La seconda classificazione porta a raggrupparle nei seguenti segmenti di prodotto o, se si vuole, secondo l’elemento nel sistema del satellite: 1) Satelliti 2) Lanciatori 26 3) Attrezzature di terra In ASI s.d., sezione 1.2.4, si riporta una variante di questa classificazione, data da: 1) Sistemi di lancio e trasporto spaziale 2) Infrastrutture spaziali 3)Infrastrutture di terra 4) servizi applicativi. In entrambe le classificazioni l’attribuzione di un’impresa ad un gruppo avviene in base alla preminenza del tipo di business o di prodotto al suo interno. Sulla base dei gruppi così trovati si possono poi facilmente calcolare le distribuzioni per gruppo di grandezze come l’occupazione o il fatturato consolidato totale dell’ISP. Infine, se risultasse utile, le due classificazioni potrebbero essere incrociate per ottenere voci come sistemisti satellitari, equipaggiamenti per lanciatori, ecc.. Due fondamentali tipi d’informazioni sulla performance dell’ISP sono ottenute disaggregando le vendite di ogni impresa secondo il tipo di acquirente e di attività produttiva. Tale disaggregazione richiede una conoscenza dettagliata dei risultati di ogni singola impresa, come avviene solo quando si può realizzare la raccolta di non comunemente noti attraverso la somministrazione di questionari. Per l’ISP ciò è fatto regolarmente su base annua da parte di ASD-EUROSPACE, che utilizza le due seguenti tipologie: 1) Tipologia di clienti, che evidenzia la distinzione tra clienti istituzionali europei militari e civili (tra cui ESA, ASI, EU, Eumetsat e altri) e clienti commerciali (acquirenti di sistemi satellitari GEO, come Intelsat, SES Global, etc. ed altri sistemi). Va notato che le vendite di lanciatori da imprese dell’ISP europea ad Arianespace ed altre società di lancio sono considerate come esportazioni dell’ISP stesso e sono pertanto sommate in una voce “Vendite commerciali ed esportazioni”, ancorché una parte dei lanci di Arianespace riguardino la messa in orbita di satelliti delle istituzioni pubbliche; 2) Tipologia di attività produttive. Queste sono utilmente divise in produzioni di beni e servizi, inclusive delle fasi di ricerca e sviluppo, finalizzati alla produzione e funzionamento dei (i) satelliti (suddivisi nelle tre categorie delle telecomunicazioni, osservazione della terra e navigazione/localizzazione); (ii) lanciatori (quasi totalmente per Arianespace; Vega e parti per Atlas) e connesse attività di sviluppo; (iii) ricerca scienti tifica ed esplorazione spaziale. Le attività dell’ISP finalizzate alla ricerca ed esplorazione spaziale riguardano la produzione (e la vendita) di beni e servizi relativi a (1) infrastrutture spaziali (ISS, programmi umani, ecc.); (2) programmi scientifici come Jason o i previsti Gaia e LISA; (iii) ricerche sulla microgravità. In ASI s.d. (sezione 1.2.4) si riportano un’ulteriore classificazione, basata sulla fase del ciclo produttivo in cui opera l’impresa: 1) R&S e progettazione 2) Produzione e integrazione 27 3) Commercializzazione prodotti di terzi 4) Esercizio e manutenzione; 1.4 L’INDUSTRIA SPAZIALE ED IL SETTORE DEI SERVIZI SATELLITARI NELLA CONTABILITA’ NAZIONALE Le nozioni di settore o industria che interessano agli studiosi e alle autorità pubbliche non trovano sempre un diretto o facile riscontro nelle voci delle classificazioni industriali. Ciò avviene per la nostra nozione di ISP, visto che essa non è identificabile né con una voce particolare né con un insieme di voci più fini della precedente in nessuna delle esistenti classificazioni. Ciò è vero sia per quelle che fino al 2007 erano basate sulla ISIC, rev.3.1 (di fonte UN) sia per quelle basate sulla nuova ISIC, Rev.4, tra le quali vi è la nomenclatura delle attività economiche della Comunità Europea, NACE rev.2 , la cui versione nazionale è data dalla ATECO 2007. In questa classificazione infatti nell’ambito della Divisione 30 – Fabbricazione di altri mezzi di trasporto – si trova la classe 3030 - Fabbricazione di aeromobili, di veicoli spaziali e dei relativi dispositivi , ma questa non viene disaggregata in modo da evidenziare la fabbricazione di veicoli spaziali allorché si scende dalla classe fino alla sottocategoria 303009 (il risultato della disaggregazione più fine): questa infatti porta lo stesso nome della classe. D’altra parte, questa sottocategoria pur includendo la “costruzione di veicoli spaziali e relativi veicoli di lancio, satelliti, sonde spaziali, stazioni orbitali, navette spaziali”, non include(i) la fabbricazione delle attrezzature di terra per la gestione del satellite, con i relativi servizi, (ii) i servizi di lancio e (iii) la “fabbricazione di apparecchi di telecomunicazioni per satellite” (ISTAT, Classificazione delle attività economiche – ATECO 2007) che invece normalmente e nella presente ricerca sono incluse nei prodotti dell’ISP, così come lo sono gli altri tipi tipi di payload. E’ interessante osservare, per inciso, che nella ricerca FAA/AST la fabbricazione dei satelliti è inclusa nell’industria “Radio and Television Broadcasting and Wireless Communications Equipment manufacturing2 (codice NAIC 334220). Il settore dei servizi satellitari (SESAT) è meglio rappresentato dell’ISP nella classificazione industriale perché è presente con le telecomunicazioni satellitari, il suo segmento più ampio, che definiscono la classe 61.30 – Telecomunicazioni satellitari . Gli altri tipi di servizi satellitari (osservazione della terra, localizzazione, ecc.) non trovano invece riscontro in proprie voci o aggregati di voci della classificazione industriale. E’ importante notare che la principale difficoltà che si incontra nel costruire le statistiche industriali è data dal fatto che molte imprese e, in particolare, le grandi producono beni diretti in diversi settori industriali. L’individuazione di questi settori richiede quindi la raccolta di dati a livelli inferiori a quello dell’impresa (divisione, unità di business, ecc.) e, al limite ed idealmente, a livello d’impianto produttivo. Evidentemente un tale problema risulta acuito nel caso di produzioni che rappresentano per l’impresa nicchie o componenti minori di aggregati produttivi più ampi, come 28 avviene per molte imprese le cui produzioni spaziali rientrano nel complesso delle loro attività aerospaziali. Nel capitolo 4 vedremo come questa difficoltà ci obbligherà a distinguere tra il concetto di ISP italiana e quello di imprese italiane con produzioni spaziali. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ASD-EUROSPACE, anni vari, Facts and Figures ASI, s.d., Piano Aero Spaziale Nazionale 2006-2008 BRITISH NATIONAL SPACE CENTER, BNSC, anni vari, Size and Health of the UK space industry____. Executive Summary FEDERAL AVIATION ADMINISTRATION, OFFICE OF COMMERCIAL SPACE TRANSPORTATION ( FAA/AST), (2006), The Economic Impact of Commercial Space Transportation on the U.S. Economy: 2004 NEVEN D.J., L.H. ROELLER e L. WAVERMAN, 1993, The European Satellite Industry: Prospects for Liberalization, CEPR, Discussion paper series, n. 813, settembre, Londra OECD, 2007, The Space Economy at a Glance SATELLITE INDUSTRY ASSOCIATION, SIA, anni vari, State of the Satellite Industry Report 29 CAPITOLO 2 - RAPPORTI TRA INDUSTRIA SPAZIALE, SETTORE DEI SERVIZI SATELLITARI E RESTO DELL’ECONOMIA Per giustificare qualsiasi tipo d’investimento (un nuovo aeroporto, una nuova fabbrica, un nuovo centro commerciale, una nuova scuola, un nuovo satellite per previsioni meteorologiche, etc.) si ricorre spesso all’argomento dei posti di lavoro che esso crea direttamente e indirettamente, attraverso una successione di effetti moltiplicativi nei settori a monte di quello in cui è avvenuto l’investimento. Gli investimenti dell’industria spaziale (nuovi satelliti, lanciatori, ecc) sono spesso giustificati anche con un’argomentazione di segno opposto alla precedente, con la quale si postula che il fatturato dell’industria spaziale venga moltiplicato a valle nei molto più cospicui fatturati dei settori dei servizi spaziali. In questo capitolo esamineremo la validità economica di queste argomentazioni per concludere che la prima dipende dal particolare contesto economico degli investimenti spaziali (vedi sezione 2.1), mentre la seconda è semplicemente falsa (vedi sezione 2.2). Nella sezione 2.3 mostreremo invece che il legame importante tra le sezioni upstream e downstream del settore spaziale è dato dal fatto che la prima, grazie ai suoi investimenti in R&S, consegna alla seconda satelliti di qualità superiore ovvero capaci di fornire servizi migliori e/o meno costosi, che si traducono in un aumento dei benefici che i consumatori finali traggono da quei servizi. Questo fenomeno rientra in quello più generale della diffusione delle innovazioni e su di esso torneremo nel capitolo 7, dove chiariremo come esso vada rapportato al fenomeno, centrale in questa ricerca, degli spillovers della conoscenza. 2.1 IL MOLTIPLICATORE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE Il concetto di moltiplicatore della spesa spaziale. L’idea generale del moltiplicatore è che la variazione della spesa di un operatore economico (variabile esogena) mette in moto una successione di variazioni di spesa da parte di altri operatori economici, dando così luogo ad una spesa totale (variabile endogena) che risulta essere un multiplo, maggiore di 1, della spesa iniziale. La Figura 2.1 dà un’idea puramente esemplificativa dei successivi round di input richiesti per ottenere un lanciatore. In parallelo a quelle variazioni della spesa si hanno variazioni di altre grandezze come i redditi e l’occupazione. La grandezza del moltiplicatore dipende dalle grandezze dei parametri delle equazioni dello specifico modello economico che si sta considerando, tenendo presente che i parametri di uno stesso modello possono avere valori diversi quando esso sia applicato a realtà diverse. 30 FIGURA 2.1 – Successione di round produttivi attivati dalla produzione di lanciatori * Motori Laminati L & SE L & SE Serbatoi Saldature L & SE L & SE Lanciatori Batterie Plastica L & SE L & SE L & SE Antenne Alluminio L & SE L & SE Computer Microprocessori L & SE L & SE * Adattato da FAA/AST, fig.10 LEGENDA 1. L indica il lavoro dipendente; SE indica i servizi esterni all’impresa. In generale e forse ancor più nel settore spaziale si tratta di servizi di lavoro ad elevata qualificazione (engineering, consultancy, legali, amministrativi, e altro). Nel testo abbiamo trascurato, per semplicità, i servizi esterni. 2. Qui e nel testo abbiamo considerato per semplicità solo i servizi del lavoro, trascurando quelli delle risorse naturali e dei beni capitali. L’utilizzo della risorsa naturale spazio da parte dei vari segmenti del SESAT è, al momento, gratuito: lo spazio è ancora un common pool, come gli oceani (per le implicazioni economiche di questo fatto vedi sub 6) Nel caso della ISP si può pensare di calcolare un moltiplicatore della spesa per ogni suo segmento (lanciatori, satelliti e attrezzature terrestri), tenendo presente che quella spesa ha due 31 componenti: la spesa per beni e la spesa per il lavoro (qui semplifichiamo trascurando altre risorse produttive come quelle naturali ed i beni capitali). Il calcolo del moltiplicatore si basa (vedi Riquadro 2.1) sulla conoscenza dei (i) coefficienti tecnologici o coefficienti input-output che determinano le quantità dei vari beni o input richiesti per produrre una quantità unitaria di un altro bene o output; (ii) i coefficienti o input di lavoro (quantità di lavoro per una quantità unitaria del bene); e (iii) i prezzi degli input dei beni e del lavoro. Una volta calcolato il moltiplicatore, e nota la spesa diretta di un segmento dell’ISP, si ottiene immediatamente la corrispondente spesa totale (= spesa diretta + spesa indiretta), moltiplicando la prima per il suo moltiplicatore. Si possono poi calcolare la spesa diretta e la spesa totale dell’ISP, sommando le rispettive spese dei segmenti che lo costituiscono. Dividendo la spesa totale per quella diretta, si ottiene quello che possiamo chiamare il moltiplicatore ex-post della spesa dell’ISP. Infine, com’è intuitivo (vedi Riquadro 2.1), il calcolo del moltiplicatore della spesa fornisce anche i valori dei moltiplicatori della spesa per beni e dei redditi da lavoro9 ed il valore del moltiplicatore dell’occupazione. RIQUADRO 2.1 ALGEBRA DEL MOLTIPLICATORE BENI: Vi sono tre beni; le loro quantità sono indicate con Xi , i =1,2,3 TECNOLOGIA: Consideriamo il bene finale 1; per produrre un’unità del bene 1 sono necessarie a21 unità del bene 2; e per produrre un’unità del bene 2 sono necessarie a32 unità del bene 3. La quantità di lavoro necessaria per un’unità del bene i è data da: ali , i =1.2.3 PREZZI: W è il prezzo del lavoro e Pi è il prezzo del bene i =1,2,3 Abbiamo le seguenti definizioni: SPESA DIRETTA: SD(X1) = al1X1W + X1P1 SPESA INDIRETTA: SIND (X1) = al2 X2 W + X2P2 = al2 a21 X1W + a21 X1P2 al3 X3W + X3P3 = al3 a32 a21 X1W + a32 a21 X1P3 primo round secondo round SPESA TOTALE : ST(X1) = SD(X1) + SIND (X1) Data la linearità di tutte le spese nelle quantità dei beni e, in definitiva, nella quantità del bene 1 finale, il moltiplicatore sarà indipendente dalla spesa diretta e potrà quindi essere usato per calcolare la spesa totale una volta nota la spesa diretta. Si ha, infatti, 9 Nel nostro modello semplificato il reddito da lavoro coincide con il valore aggiunto. 32 MOLTIPLICATORE: M = ST/SD = X1 {W[ al1 + al2 a21 + al3a32a21] + [P1 + a21P2 + a32 a21 P3] }/X1 [al1W + P1 Ovvero M = {W[ al1 + al2 a21 + al3a32a21] + [P1 + a21P2 + a32 a21 P3] }/ [al1W + P1 ], che evidenzia come il moltiplicatore della spesa diretta dipenda solo dai coefficienti input-output, dai coefficienti di lavoro e dai prezzi dei beni e del lavoro. Quando le relazioni input-output sono più complesse e, soprattutto, quando esse presentano delle circolarità, per cui vi sono beni che sono reciprocamente, direttamente o indirettamente, input ed output l’uno dell’altro, il calcolo del moltiplicatore (quando siano soddisfatte certe condizioni d’esistenza, dal significato economico molto intuitivo) può essere effettuato invertendo la matrice dei coefficienti input –output. La difficoltà fondamentale10 nel calcolo empirico dei moltiplicatori dipende dal fatto che le tavole dei coefficienti input-output costruite dai vari uffici statistici nazionali, fanno tipicamente riferimento a settori con un maggiore grado di aggregazione rispetto a quello realizzato con i settori della classificazione industriale delle attività, nei quali peraltro è già problematico collocare le attività dell’ISP (vedi sopra 1.4). Un esempio di calcolo empirico del moltiplicatore della spesa spaziale. Nonostante queste difficoltà l’Office of Commercial Space Transportation della statunitense Federal Aviation Administration (FAA/AST), ha calcolato, per gli Stati Uniti, il moltiplicatore di un’industria denominata Commercial Space Transportation (CST), che include (i) il settore della produzione dei lanciatori e del lancio dei satelliti commerciali; e (ii) i settori produttivi da esso “resi possibili” (“enabled”), vale a dire la costruzione di satelliti commerciali, i loro servizi (sia end-users sia basati sul leasing di transponders), le relative attrezzature terrestri (da un lato stazioni di controllo e, dall’altro0, gateways, VSAT terminals, telefoni mobili, ecc.), il remote sensing ed il trasporto delle componenti da un’impresa all’altra nel corso dei processi produttivi dei beni sopracitati11. Per poter usare le tavole input-output, il FAA/AST ha stabilito delle corrispondenze inevitabilmente approssimative tra i segmenti del suo CST e gli appropriati settori industriali della tavola input-output elaborata per gli Stati Uniti dal Bureau of Economic Analysis del Department of Commerce. I risultati sono riassunti nella seguente Tabella 2.1, ripresa, con rielaborazioni, da AST/AST (2006) 10 Che può essere aggirata andando a trovare in quale industria della tavola input-out-put ricade il segmento dell’ISP per cui si vuole calcolare il moltiplicatore, contando sul (o sperando nel) fatto che i coefficienti inputoutput dell’industria siano delle medie ponderate non molto diverse dai corrispondenti coefficienti delle sue varie componenti. 11 In pratica il CST viene a coincidere con l’aggregato di quella parte delle attività della ISP che forniscono satelliti commerciali e dei loro servizi, aumentato delle attività di trasporto. 33 TABELLA 2.1. Impatti economici del Trasporto commerciale spaziale e delle industrie da esso dipendenti negli Stati Uniti: 2004 (migliaia $) Industria Spese dirette Spese indirette Spese totali Moltiplicatore Spese indotte Spese totali aumentate Moltiplicatore aumentato (1) (2) (3)=(1)+(2) (4)=(3)/(2) (5) (6)=(3)+(5) (7)=(6)/(1) Fabbricazione di veicoli di lancio e loro servizi 286.936 759.171 1.046.107 3,65 612.277 1.658.384 5,78 Fabbricazione di satelliti 626.307 1.654.746 2.281.053 3,64 1.185.058 3.466.111 5,53 Fabbricazione di attrezzature di terra 5.722.370 15.118.905 20.841.275 3,64 10.827.507 31.668.782 5,53 Servizi satellitari 9.428.956 26.684.009 36.112.965 3,83 20.346.240 56.459.205 5,99 Remote sensing 69.529 279.196 348.725 5,02 332.474 681.199 9,80 Industrie dei trasporti 532.049 1.866.862 2.398.911 4,51 1.734.366 4.153.278 7,77 Spese totali del CST 16.666.148 46.382.890 63.049.038 3,78 35.037.924 98.086.960 5,89 FONTE: FFA/AST 2006, Figura 3 e nostre elaborazioni La tabella ci permette di ottenere i moltiplicatori delle spese dei vari segmenti di CST dividendo le loro spese totali per quelle dirette. A parte il valore (4,51) del moltiplicatore dei trasporti (un segmento trasversale all’ISP e al SESP) e di quello (5,02) del remote sensing, che è comunque un settore quantitativamente secondario, i moltiplicatori dell’industria dei satelliti commerciali e di quella dei loro servizi sono sostanzialmente uguali, attorno ad un 3,7; mentre il moltiplicatore ex-post del CST risulta uguale a 3,78. Da ciò segue che, assumendo che non vi siano significative differenze nei livelli dei prezzi degli input impiegati nei vari segmenti, le strutture produttive che supportano i vari prodotti dell’ISP e del SESP sono ugualmente “profonde”. Infine si può notare che il valore di 3,7 è coerente con i valori dei moltiplicatori ex post (o puramente descrittivi) ottenuti mediante la raccolta di dati sulla spesa (o occupazione) diretta e sulla spesa (o occupazione) indotta, e calcolati come: (spesa diretta +spesa indotta)/spesa diretta. I moltiplicatori di cui abbiamo finora trattato rientrano nel tradizionale concetto di moltiplicatore dell’analisi input-output, che sintetizza le ripercussioni di una domanda finale (nel nostro caso, la spesa diretta per un prodotto dell’ISP o SESAT), pubblica o privata, attraverso la struttura produttiva. Dove si finisce di moltiplicare? Naturalmente, nella realtà e anche nelle nostre esemplificazioni, i redditi da lavoro generati nel round produttivo iniziale ed in quelli successivi, una volta distribuiti ai lavoratori, verranno spesi in (buona) parte in beni di consumo generando così una nuova spesa e 34 nuova occupazione. Nello studio del FAA/AST questa spesa, chiamata spesa indotta viene aggiunta alla precedente ottenendo così una spesa totale aumentata. Dal rapporto tra questa e la spesa iniziale si ottengono così dei moltiplicatori aumentati per ogni segmento del CST ed un nuovo moltiplicatore ex-post per questo settore, con un valore di 5,89. Si osservi però che la spesa indotta per beni di consumo metterà in moto ulteriori processi moltiplicativi del tipo input-output. Seguendo questi processi si entrerebbe in un circuito produzione/consumo/produzione che coinvolgerebbe l’intera economia e per la cui interpretazione e verifica empirica bisognerebbe ricorrere a modelli di Computable General Equilibrium12. Questi modelli consentono, infatti, di rispondere alla domanda su che cosa cambia nell’intera economia se si verifica un cambiamento in una variabile esogena, ad esempio il livello della spesa pubblica. Nel nostro caso si tratterebbe di chiedersi che cosa cambia nell’intera economia per effetto di un nuovo programma d’investimento spaziale (ad esempio, il lancio di nuovi satelliti per ricerche scientifiche o esplorazione spaziale). I modesti valori della variabile esogena e gli ancor più modesti valori delle variazioni che si verificherebbero nelle variabili endogene dell’economia fanno sì che una tale domanda abbia senso solo in linea di principio. D’altra parte, se si considera che tra le grandezze esogene dei CGE vi è la tecnologia, si capisce come le risposte a quella domanda prescindano da quello che potrebbe essere il canale più importante attraverso il quale l’ISP influisce sull’economia, e cioè gli spillovers tecnologici del progresso tecnologico messo in moto dagli investimenti spaziali verso gli altri settori dell’economia. Questo sarà naturalmente il tema della seconda parte di questo lavoro. Cosa significa il moltiplicatore? Talvolta si afferma, per rafforzare le argomentazioni a favore di investimenti pubblici in nuovi programmi spaziali che un bonus aggiuntivo di questi investimenti è costituito dai loro effetti moltiplicativi per l’economia. Se con ciò ci si riferisce agli effetti moltiplicativi discussi sopra, allora il ragionamento rischia di essere fuorviante. Si è visto sopra, infatti, che il processo moltiplicativo mette in moto insieme alla domanda derivata di beni anche una domanda di lavoro e, in un modello più articolato, di beni capitali e di risorse naturali diverse dal lavoro. Se vi fosse abbondanza di risorse inutilizzate o sottoutilizzate, allora varrebbe il tradizionale argomento keynesiano in favore di ogni investimento: esso produrrebbe un sicuro beneficio sociale netto, misurato dai nuovi redditi creati. Invece in presenza di risorse pienamente (o quasi pienamente) utilizzate l’aumento della domanda dei loro servizi da parte del settore spaziale e di quelli coinvolti nel processo moltiplicativo finirebbe col sottrarre risorse ad altri settori produttivi, le cui produzioni si ridurrebbero. Questo effetto di spiazzamento (crowding out) di altri beni da parte degli investimenti spaziali sarebbe invero tanto più forte quanto più elevato fosse il moltiplicatore! La nuova situazione di piena occupazione potrebbe essere preferita a quella iniziale solo se gli elettori fossero favorevoli 12 Il tradizionale moltiplicatore di Kahn - Keynes può invero essere considerato come un modello altamente miniaturizzato di CGE! 35 agli investimenti spaziali, accettando di pagarne il costo in definitiva in termini di minori consumi. La situazione è illustrata nella figura 2.2. FIGURA 2.2 - LA FRONTIERA SPAZIO - CONSUMO Consumi (€) D C UA U’A F U’B UB 0 A E B Spazio (€) LEGENDA 1. La variabile “Spazio” va intesa come la spesa (a dati prezzi) per ottenere un bene pubblico (come la prevenzione delle catastrofi, la ricerca scientifica spaziale, ecc.) da un programma spaziale. La variabile “Consumi” va intesa come un aggregato di consumi valutati a prezzi costanti 2. Ogni coppia (“Spazio”, “Consumi”) corrispondente ad un punto sulla frontiera è ottenuta solo se si utilizzano tutte le risorse disponibili 3. Un moltiplicatore elevato della spesa per Spazio implica una frontiera spazio-consumo più ripida: con piena occupazione delle risorse bisogna sacrificarne di più e quindi sacrificare più beni di consumo per un dato incremento di quella spesa. 4. Il fatto che le curve d’indifferenza della società A siano più piatte di quelle della società B significa che la prima è disposta a rinunciare ad una quantità di Spazio maggiore di quella a cui è disposta a rinunciare la seconda, per la stessa quantità addizionale di Consumi. La società A valuta maggiormente al margine il Consumo rispetto allo Spazio di quanto non faccia la società B: la curva d’indifferenza sociale per A è più piatta di quella per B 5. Partendo dal punto (OA, OD) la società A è disposta ad accettare un programma spaziale meno impegnativo di quello che la società B potrebbe accettare. La scelta sociale ottima per A è data da (OB, OC) che giace sulla curva d’indifferenza sociale più alta (con utilità sociale massima). La scelta sociale ottima per B è (OE, OF) 2.2 CATENE E PIRAMIDI DEL VALORE SPAZIALE I mercati dei servizi spaziali e le loro determinanti. Un secondo argomento a favore degli investimenti spaziali, più usato di quello del moltiplicatore, per rafforzare la giustificazione che si può dare degli stessi in termini dei loro benefici diretti (i servizi privati e pubblici dei satelliti), consiste 36 nell’esibire dati che mostrano come i settori commerciali “a valle” dell’ISP abbiano delle dimensioni per fatturato o valore aggiunto (alle volte non è precisato a quale di queste due grandezze si riferiscono i dati) che arrivano fino a multipli di dieci del fatturato dell’ISP. Se si fa una pila dei settori, mettendo i più grandi alla base, si ottengono delle piramidi o catene di valori, come quelle che si vedono in ESA2000, pag.6; o in Bierett 2007 ripresa in OECD 2007, cap.3 e riprodotta nella Figura 2.3. FIGURA 2.3 - The three value chains in commercial satellite applications in 2005 Revenues in billions of US dollars TELECOMMUNICATIONS EARTH OBSERVATION Satellite manufacturing1 <20 companies 1.8 0.5 Launch service provision1 <10 companies 1.5 0.4 Lease or sale of satellite capacity 7 User ground equipment and terminals Satellite based services Large number of companies, some global 30 <50 companies, highly concentrated 0.3 <10 companies, highly concentrated 0.5 Few companies, often “space primes” Many companies incl. consumer electronics leaders No commercial companies Few companies, usually electronics and aerospace 7 21 1.2 55 NAVIGATION 4.82 2. With meteorological-related funding (not only satellite) 1. Market value at space launch date 1. Market value at space launch date. 2. With meteorological-related funding (not only satellite). Source: R. Bierett (2007), Presentation for Telecom Info Days 2007, European Space Agency, ESTEC, April (data from Euroconsult, 2006). Source: R. Bierett (2007), Presentation for Telecom Info Days 2007, European Space Agency, ESTEC, April (data from Euroconsult, 2006). FONTE. OECD 2007 Figure di questi tipo sono molto utili per richiamare l’attenzione sull’importanza dell’ISP in quanto settore che produce i beni capitali essenziali per ottenere una gamma di servizi sofisticati di grande rilevanza per i consumi privati e pubblici, così come fa l’industria aeronautica per l’industria del trasporto aereo civile. Queste figure non devono però indurre a ritenere che le industrie a monte siano per così dire il fattore causale che genera la piramide o la catena del valore. Le dimensioni 37 assolute e relative dei vari settori della catena dipendono dai fattori che regolano i rispettivi mercati. Questi fattori operano influenzando le domande e le offerte dei vari servizi satellitari, e queste a loro volta determinano in equilibrio i tipi di beni prodotti, le loro quantità e i loro prezzi: in definitiva i valori di ciò che viene prodotto e i redditi distribuiti nel processo produttivo. Tra i fattori che influenzano le domande di servizi satellitari vi sono non solo l’evoluzione dei redditi dei consumatori (oggi la variabile predominante nei paesi emergenti ) e la natura delle loro preferenze rispetto ai vari tipi di servizi, ma anche i prezzi e la qualità degli stessi tipi di servizi offerti attraverso tecnologie terrestri (nel campo della HD TV, ad esempio, vi è ora una forte concorrenza tra sistemi satellitari e sistemi cablati terrestri). Tra i fattori che influiscono sulle offerte domina il progresso tecnologico nella produzione dei satelliti e dei loro payloads. Esso, infatti, permettendo riduzioni dei costi dei servizi satellitari, miglioramenti della qualità dei servizi esistenti e nuovi tipi di servizio (la HD TV, il Digital Audio Radio Service – DARS, ecc.), determina nel tempo modificazioni nei vantaggi competitivi tra i vari segmenti dei servizi satellitari e tra questi e gli analoghi servizi terrestri. 2.3 DALL’INDUSTRIA SPAZIALE AI BENEFICI PER I CONSUMATORI Benefici per i consumatori dell’industria spaziale in un contesto di equilibrio economico parziale. Nella sezione 2.1 abbiamo concluso che il tradizionale moltiplicatore, pure quando si verificano le condizioni alle quali esso è utile per tracciare l’impatto delle attività spaziali sull’economia, non può dare indicazioni sui benefici netti per i consumatori, che ne derivano. Sempre nella Sezione 2.1 si è anche visto che l’idea di utilizzare dei modelli CGE per calcolare gli effetti degli investimenti spaziali sull’intera economia non è realistica date le dimensioni quantitativamente limitate di quel fenomeno. Nella sezione 2.2 si è invece visto che i dati su fatturati o valori aggiunti impilati nelle varie piramidi o catene del valore non ci dicono nulla di conclusivo sui fattori che li determinano. Tuttavia quelle piramidi sono un invito a studiare i mercati dai quali quei dati vengono, analizzando i fattori che determinano le domande e le offerte. Una tale analisi rientra nella metodologia dell’analisi di equilibrio parziale, perché prende come date le condizioni di tutti gli altri settori dell’economia, ancorché a rigore ciò non sarebbe ammesso. Il presupposto di un’analisi di equilibrio parziale è quindi che le interrelazioni tra il mercato o, nel nostro caso, il complesso di mercati che si considera siano di un ordine di grandezza inferiore di quelle di cui ci si sta occupando. Un aspetto estremamente interessante di questo tipo di analisi è che, almeno in linea di principio, essa consente non solo di tracciare l’impatto delle attività dell’ISP sulle industrie a valle, ma anche di valutarne il beneficio finale per i consumatori. Nel caso di un’innovazione tecnologica spaziale diventa così possibile mettere a confronto il costo dell’investimento in R&S per quell’innovazione con il beneficio finale netto per i consumatori, calcolando così un vero e proprio tasso di rendimento di quell’investimento. 38 La Figura 2.4 aiuta a fissare le idee sui punti appena esposti. Si immagini il mercato dei servizi TV satellitari e si supponga, solo per amore di semplicità, che il costo di un satellite sia costante e che sia costante anche il costo del suo servizio. Se le imprese che producono satelliti e gli operatori televisivi che li acquistano e li utilizzano per trasmissioni DTH sono in concorrenza, allora ogni satellite verrà venduto allo stesso prezzo ed i servizi TV verranno venduti ad un prezzo costante (= costo medio costante = costo per unità di servizio per l’operatore TV + margine d’ammortamento per unità di servizio, anch’esso preso per semplicità costante). Il mercato dei servizi TV sarà quindi caratterizzato da: (i) una curva d’offerta che coincide con la retta orizzontale del costo marginale, CMA (= costo medio); e (ii) una curva di domanda con pendenza negativa. L’equilibrio di mercato sarà dato dalla quantità di servizi in corrispondenza della quale la curva di domanda interseca la retta orizzontale d’offerta, ad un prezzo = CMA. A questi servizi corrisponderà un certo numero di satelliti GEO utilizzati tutti pienamente (tranne probabilmente quello marginale!). In questa situazione, infine, il beneficio o surplus dei consumatori coinciderà con l’area del triangolo ABC nella Figura 2.4. Si supponga ora un’innovazione nella qualità dei satelliti che permette trasmissioni di TV analogica a costi minori, a parità di costo del satellite. La Figura 2.4 illustra l’equilibrio che alla fine verrà raggiunto: il CMA degli operatori di TV sarà ora più basso (CMA’) e, di conseguenza, a parità di domanda, si avrà un nuovo equilibrio nel mercato dei servizi TV, che comporterà non solo una maggiore quantità di servizi (e un maggior numero di satelliti in orbita), ma anche un incremento del surplus dei consumatori misurato dall’area del trapezio ombreggiato. Il rapporto tra il valore di quest’area ed il costo della R&S per il miglioramento della qualità del satellite rappresenta l’incremento di beneficio ovvero il rendimento dell’innovazione per i consumatori. 39 FIGURA 2.4 - Rendimento sociale di un’innovazione che riduce il costo di un servizio spaziale P C A d B CMA = P CMA’ = P’ d 0 S S S LEGENDA: S = servizi satellitari = numero satelliti X capacità di servizi di un satellite La Figura 2.5 illustra una vicenda analoga alla precedente, ma più interessante, nella quale l’innovazione nel prodotto si traduce nella possibilità di offrire un servizio migliore per il consumatore, come è avvenuto con il passaggio dalla TV satellitare analogica a quella digitale (HD TV). Nella figura si fanno due ipotesi importanti: (i) i consumatori apprezzano l’innovazione digitale e sono disposti a pagare di più rispetto al servizio analogico: la curva di domanda si sposta verso l’alto; e (ii) il nuovo servizio costa più di quello che sostituisce: la curva del CMA si sposta verso l’alto. Il passaggio dall’equilibrio iniziale al nuovo è più complicato che nel caso precedente perché verrà a dipendere dalla velocità con cui i consumatori sostituiranno il servizio analogico con quello digitale. Immaginiamo che ciò avvenga rapidamente ed integralmente. In questo caso la misura del rendimento dell’innovazione nella qualità del satellite per i consumatori sarà data dalla differenza tra il surplus finale del consumatore (area DEF) e quello iniziale (area ABC). In linea di principio questa differenza potrebbe essere negativa. Il punto importante comunque è di tenere presente che la tendenza di un nuovo prodotto a spazzare dal mercato quelli vecchi è una caratteristica generale delle economie di mercato (chiamata da Schumpeter “distruzione creativa”) che va tenuta presente nel calcolo dei rendimenti sociali degli investimenti in R&S volti a crear nuovi prodotti. 40 FIGURA 2.5 - Beneficio sociale netto di un’innovazione che introduce un servizio migliore (HD TV rispetto a TV digitale) P F C d d E D A CMA’ = P’ CMA = P B d 0 S d S S Tassi di rendimento privati e sociali dell’innovazione. Negli esempi precedenti il rendimento dell’innovazione coincideva con quello ottenuto dai consumatori. Per le imprese del settore i profitti (in eccesso a quelli che garantiscono la remunerazione normale del capitale) erano nulli prima e dopo l’innovazione. In un celebre ed ancora attuale articolo, Mansfield (1977), gli autori avevano affrontato il tema del calcolo dei rendimenti di un’innovazione assumendo un contesto un po’ più realistico di quelli dei nostri esempi, nel quale le imprese ottenevano profitti di natura permanente e nel quale questi profitti erano influenzati dall’introduzione (i) di nuovi prodotti nei settori a monte, venduti alle imprese a valle; o (ii) di nuovi prodotti nei settori a valle, venduti direttamente ai consumatori; o (iii) di nuovi processi produttivi. Facendo riferimento a questa tipologia di innovazioni gli autori considerarono le esperienze innovative di un limitato numero d’imprese (17) per ciascuna delle quali calcolarono l’ammontare investito (spese per R&S e costi di start up) ed il rendimento per l’impresa dato dagli incrementi del suo profitto annuo per un certo numero di anni futuri. Un aspetto per noi particolarmente interessante della stima dei benefici di un’innovazione in Mansfield (1977), è che gli autori hanno calcolato anche i rendimenti per le imprese che, in tempi decisamente brevi, copiarono l’innovazione. Siamo qui in presenza di un caso di spillovers tecnologici tra imprese (non necessariamente dello stesso settore) sul quale torneremo ampiamente a partire dal capitolo 7. Nella terminologia di Mansfield (1977) i rendimenti presenti e futuri per l’impresa sono chiamati rendimenti privati, mentre la somma di questi rendimenti, dei rendimenti delle altre imprese e dei rendimenti dei consumatori sono chiamati rendimenti sociali dell’innovazione. Dato l’investimento sostenuto dall’impresa innovatrice (ed eventualmente da altre imprese che hanno invano tentato un’innovazione simile) e dati i rendimenti privati e sociali dell’investimento è possibile calcolare i tassi di rendimento (interni), privati e sociali, dell’investimento nell’innovazione: quei tassi che uguagliano il valore attuale dei rendimenti al valore dell’investimento iniziale. Gli autori trovano che la mediana dei tassi di rendimento sociale è pari al 56%, cioè ad un valore decisamente 41 superiore alla mediana dei tassi di rendimento privato, pari al 25%. Quest’ultimo è un valore decisamente alto solo però a prima vista. Come suggerisce la forte variabilità dei tassi di rendimento privati delle 17 imprese (da valori vicini a zero a valori superiori al 40%) l’investimento in innovazione è molto rischioso ed il suo tasso di rendimento include necessariamente un forte premio per il rischio. L’esercizio empirico di Mansfield (1977) fu immediatamente ripetuto dalla statunitense National Science Foundations su un campione di 40 innovazioni, con risultati simili (vedi Tewksbury (1980)), ma non ha poi avuto altro seguito, a causa sia degli alti costi, in tempo e denaro, della realizzazione di tali studi di casi sia dell’attrazione per gli economisti di approcci volti a stabilire relazioni empiriche di carattere generale tra le variabili d’interesse (come si farà nel capitolo 9 a conclusione della nostra ricerca). Tuttavia meritano di essere ricordati due più recenti studi di caso degli effetti dell’innovazione in settori dei beni intermedi, sia per la qualità dei modelli teorici utilizzati sia per l’interesse dei loro risultati empirici. In Bresnahan (1986) l’autore si propone di misurare il beneficio sociale derivante dall’impiego di mainframe computer più avanzati in vari settori dei servizi finanziari (banche, assicurazioni, brokeraggio). Egli aggira l’impossibilità di stimare le funzioni di domanda di questi settori a causa dell’impossibilità di definire i loro output, calcolando un indice dei prezzi che rapporta i prezzi che gli acquirenti di quei servizi sarebbero disposti a pagare per i computer di una generazione più avanzata (se dovessero pagarli loro al posto delle imprese finanziarie che effettivamente li acquistano!) con quelli che le imprese fornitrici dei servizi hanno effettivamente pagato. Quanto più alto è questo rapporto tanto maggiore è il rendimento per i consumatori delle innovazioni nei mainframe computer destinati alle imprese finanziarie. L’Autore trova che questo rapporto è molto alto e ne trae la conclusione che il rendimento per i consumatori delle innovazioni nel settore dei mainframe computer è molto elevato13. A differenza di quanto fatto in Mansfield (1977), in Bresnahan (1986) e nel nostro precedente secondo esempio, in Trajtenberg (1989) l’autore affronta in maniera esplicita la formalizzazione di un mercato in cui si vendono diverse varietà qualitative di un bene. A tal fine egli formula una funzione di domanda, in termini della probabilità che un’impresa sanitaria acquisti una delle diverse varietà del bene (uno scanner CAT – conputed axial tomography), definito da un certo numero di caratteristiche che cambiano per effetto delle innovazioni. Una tale formalizzazione consente di stimare la funzione di domanda per i servizi di scanner CAT con diverse prestazioni e di usarla per calcolare le variazioni di benessere dei consumatori imputabili ai miglioramenti di queste prestazioni, dovuti agli investimenti in R&S dei produttori di scanner CAT. La misura impiegata dall’autore per calcolare il 13 Bresnahan non parla di “rendimento per i consumatori” ma di “spillovers”, che è però un termine normalmente e anche da noi usato (vedi sezione 7.1) per indicare per indicare i benefici per un’impresa dell’innovazione realizzata da un’altra impresa o ente di ricerca. 42 rendimento sociale di questi investimenti è il rapporto tra valore attuale dei benefici e costi della R&S. che risulta pari al 270%. Gli esempi di casi di studio sopra esaminati se da un lato sono solo esempi che non si prestano automaticamente a generalizzazioni, dall’altro lato ribadiscono la potenziale importanza ai fini delle politiche spaziali di analoghi casi di studio del rendimento sociale dell’investimento in R&S nell’ISP e del calcolo del tasso di rendimento sociale di tale investimento. Benefici privati e pubblici. In questa sezione abbiamo limitato la nostra attenzione al caso dei rendimenti sociali dell’investimento in R&S per la produzione di strutture spaziali destinate a fornire servizi commerciali, vale a dire venduti ai consumatori privati. La questione della valutazione dei rendimenti sociali di analoghi investimenti destinati a soddisfare bisogni pubblici (difesa, sicurezza, protezione dell’ambiente, ecc.) presenta maggiori difficoltà e mette di fronte a situazioni paradossali, nelle quali il beneficio pubblico è tanto più difficilmente misurabile quanto potenzialmente maggiore (quant’è il rendimento sociale di un investimento in R&S che permette di evitare, grazie alle informazioni satellitari, un’inondazione catastrofica?). Ciò non toglie che l’elevata priorità morale degli investimenti rivolti a proteggere vite umane da una particolare fonte di pericolo si scontri con la dura realtà della scarsità delle risorse finanziarie. Questa invero mette quegli investimenti in alternativa non solo con investimenti rivolti a sviluppare attività commerciali, ma anche con altri tipi di investimento pubblico ugualmente impellenti, imponendo con ciò delle scelte che potrebbero essere rese più convincenti da qualche tipo di valutazione quantitativa. In particolare, come suggerisce Sveikauskas (2007, pp.8-15) non ha molto senso chiedersi quanti sono i rendimenti degli investimenti nella ricerca di base perché questi si materializzano solo indirettamente stimolando la produttività delle ricerche applicate, cioè la R&S delle imprese volta a realizzare un rendimento privato. Nella sezione 5.1 si ricorda come l’obiettivo di fornire beni pubblici sia comunque, accanto a quello della promozione dello sviluppo economico, al centro delle politiche spaziali dell’Europa14. 14 Lo stesso vale per OECD (2005) 43 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BIERETT R. (2007), ESA Strategy for Telecom and Navigation, ESTEC 16th April 2007 BRESNAHAN T.F. (1986), Measuring the Spillovers from Technical Advance: Mainframe Computers in Financial Services, American Economic Review, n. 4, Settembre ESA (2000), Long-Term Space Policy Committee, Second Report, SP-2000, Investing in Space. The Challenge for Europe FEDERAL AVIATION ADMINISTRATION, OFFICE OF COMMERCIAL SPACE TRANSPORTATION ( FAA/AST) (2006), The Economic Impact of Commercial Space Transportation on the U.S. Economy: 2004 MANSFIELD E., J. RAPOPORT, A.ROMEO, S.WAGNER E G.BEARDSLEY (1977)Social and Private Rates of Return from Industrial Innovations, Quarterly Journal of Economics, n.2, maggio OECD (2005), Space 2030. Tackling Society’s Challenges, Parigi OECD (2007), The Space Economy at a Glance, Parigi SVEIKAUSKAS L. (2007), R&D and Productivity Growth: A Review of the Literature, US Bureau of Labor Statistics, Working Paper 408, settembre TEWKSBURY J.G., M.S. CRANDALL e W.E. CRANE (1980), Measuring the Societal Benefits of Innovations, Science, 8 agosto TRAJTENBERG M. (1989), The Welfare Analysis of Product Innovations, with an Application to Computed Tomography Scanners, The Journal of Political Economy, n.2, aprile 44 CAPITOLO 3 – L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL CONTESTO EUROPEO: ANALISI DEGLI AGGREGATI CON DATI ASD- EUROSPACE In questo capitolo si confronta l’industria spaziale italiana con quelle dei principali paesi europei e dell’Europa grazie ai dati raccolti da ASD-EUROSPACE. Nella sezione 3.1 si effettua un confronto per l’anno 2007, dal quale l’Italia emerge come il paese con la terza più importante industria spaziale in Europa, solo un po’ dopo la Germania, con la quale condivide tipologie produttive e della domanda. Nella sezione 3.2 si trova che le tendenze alla stagnazione di vendite, occupazione e produttività nel decennio 1998-2007 accomunano l’industria spaziale italiana e quella europea. 3.1 L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL 2007 I dati di ASD- EUROSPACE. I dati raccolti per i vari paesi dell’Europa15, da ASD- EUROSPACE, il gruppo per lo spazio di ASD, l’associazione europea delle industrie aerospaziali e della difesa, hanno il pregio dell’omogeneità del metodo di raccolta e di elaborazione, e consentono così immediati confronti tra i paesi europei altrimenti assai problematici. I dati sono raccolti dalle imprese attraverso questionari e per il 2007 ASD- EUROSPACE pubblica pure l’elenco delle circa 250 imprese che compongono l’industria spaziale europea, in aggiunta ad ampie note metodologiche (vedi ASDEUROSPACE (2008). Per una corretta lettura delle tabelle presentate nel seguito si ricordi che, come viene peraltro indicato, i dati nazionali ed europei del fatturato riguardano il fatturato consolidato, vale a dire il fatturato totale (= somma dei fatturati delle imprese) di un paese o dell’Europa, diminuito dei fatturati corrispondenti a vendite tra imprese. Il fatturato consolidato rappresenta quindi le vendite dell’industria spaziale al suo esterno: clienti pubblici o privati, che includono anche imprese di industrie spaziali extra – europee. Dimensioni e confronti. L’industria spaziale (ISP) è un’industria di nicchia nata da quella aeronautica e le cui attività sono tuttora in gran parte svolte nell’ambito di imprese aerospaziali e della difesa, talvolta in divisioni di una stessa impresa (come la divisione Boeing Integrated Defence Systems della Boeing, che gestisce al suo interno il Satellite Development Center); e talvolta in società controllate da 15 Nel 2007 l’Europa di ASD- EUROSPACE includeva i paesi già EU15, più Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia, Norvegia, Svizzera e Turchia. 45 un gruppo (come Astrium, una società del Gruppo EADS, o Thales Alenia Space, una società del gruppo Thales, con partecipazione minoritaria del gruppo Finmeccanica). Dalla Tabella 3.1 si vede comunque che, in termini di fatturato, l’incidenza dell’ISP su quella dell’aerospazio è maggiore negli USA (14%) rispetto all’Italia (9%) e all’Europa (5%). Risultati sostanzialmente uguali si ottengono facendo gli stessi confronti in termini di occupazione. A quella posizione intermedia dell’industria spaziale del nostro paese nell’incidenza sull’aerospazio corrisponde un suo maggiore peso in Europa nel campo spaziale (14%) rispetto al suo peso nell’aerospazio (8%). Ciò fa sì che in campo spaziale l’Italia occupi, con i suoi 776 mln€ di fatturato nel 2007, una sostanziale seconda posizione, a pari merito con la Germania, e dopo la dominante Francia (2.404 mln€). TABELLA 3.1 Confronti internazionali e con aerospazio 1. Fatturati (consolidati) dell’industria spaziale e aerospaziale: Italia, Europa e Stati Uniti ; 2007 (milioni €) Industria spaziale Industria aerospaziale % Spazio su aerospazio * Italia Europa Stati Uniti* 776 8.223** 9,43 5.360 99.900 5,37 23.400 146.000 16,00 % Italia su Europa 14,48 8,23 % Europa su Stati Uniti 22,91 68,42 I valori in dollari sono stati convertiti al cambio 1 $ = 0,73 € ** Stime interne su dati dei bilanci delle imprese 2. Dipendenti dell’industria spaziale e aerospaziale: Italia, Europa e Stati Uniti; 2007 Italia Europa Stati Uniti* Industria spaziale 29.637 n. d. 3.969 Industria aerospaziale 471.600 645.000 40.300 % Spazio su 6,28 n. d. 9,85 aerospazio FONTI: ASD-EUROSPACE (2008); ASD (2008); AIA(2008) 46 % Italia su Europa 13,39 8,55 % Europa su Stati Uniti n. d. 73,02 TABELLA 3.2 Fatturato consolidato dell’industria spaziale: principali Paesi europei; 2007 (milioni €) Paese Francia Fatturato % su Europa 2.404 44,8 Germania 810 15,1 Italia 776 14,5 Regno Unito 565 10,5 Spagna 247 4,6 Altri 558 10,4 5.360 100 Europa FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) Differenze tra le industrie spaziali dei paesi europei. Le principali industrie spaziali in Europa (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) sono diverse non solo per le dimensioni, ma anche per i loro orientamenti verso il mercato. Come risulta dalla Tabella 3.3 (parte 1) la domanda pubblica rappresenta lo sbocco di gran lunga principale per le ISP di Italia (66% della sua domanda totale) e Germania (54%), mentre assorbe quote importanti ma secondarie delle produzioni di Francia (26%) e Regno Unito (31%). Viceversa questi due paesi hanno significative domande per satelliti commerciali (rispettivamente 36 e 24 %), che per Italia e Germania sono invece marginali. Un’altra differenza significativa riguarda l’assenza del Regno Unito dalla domanda delle società di lancio, che riflette la sua assenza dall’azionariato di Arianespace. Per gli altri tre paesi invece le vendite a queste società, in grandissima parte ad Arianespace, costituiscono quote importanti delle loro domande. Infine va notato che la quota della domanda spaziale militare del Regno Unito raggiunge il 45% della domanda di quel paese. Anche le specializzazioni produttive delle principali ISP europee presentano delle differenze abbastanza significative: la vendita di lanciatori ha più o meno un peso del 26% sui totali nazionali di Francia, Germania ed Italia ed è praticamente assente nel Regno Unito; la vendita dei satelliti per varie applicazioni ha nel Regno Unito e in Francia (con, rispettivamente, 87 e 69% delle loro vendite totali) un peso decisamente maggiore di quello che ha in Germania e Italia (in entrambi i casi poco meno della metà delle loro vendite totali). 47 Infine va notato che le vendite relative allo svolgimento di attività scientifiche rappresentano poco più di 1/5 delle vendite totali d’Italia e Germania, a fronte di valori del 7% per la Francia e del 5% per il Regno Unito. TABELLA 3.3 Distribuzione del fatturato (consolidato) dell’industria spaziale per quattro paesi europei: 2007 1. Distribuzione per cliente (valori percentuali) Clienti Francia Germania Italia Programmi europei civili Programmi europei militari Satelliti commerciali e loro componenti Lanciatori operativi e loro componenti Altro TOTALE 26,3 19,3 36,2 53,6 17,3 66,4 14,8 Regno Unito 31,1 44,5 3,6 7,0 23,5 23,6 1,8 100,0 10,0 1,8 100,0 0,0 1,0 100,0 17,8 0,4 100,0 2. Distribuzione per attività (valori percentuali) Attività produttive Applicazioni dei satelliti Attività dei lanciatori Attività scientifiche Attività di supporto e di collaudo Altre attività TOTALE FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) Francia Germania Italia 69,2 23,3 6,9 0,1 0,4 100,0 47,7 27,3 20,8 2,8 1,3 100,0 48,1 26,0 21,7 2,3 1,9 100,0 48 Regno Unito 86,8 0,2 4,6 6,3 2,0 100,0 FIGURA 3.1 Distribuzione del fatturato (consolidato) dell’industria spaziale per quattro paesi europei: 2007 1. Distribuzione per cliente (valori percentuali) 49 2. Distribuzione per attività (valori percentuali) FONTE: tabella 3.3 3.2 LE TENDENZE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL DECENNIO 1998 – 2007 Un decennio difficile. Il decennio 1998-2007 è stato per l’ISP europea, oltre che per quella mondiale, un decennio caratterizzato da una continua contrazione, acceleratasi tra il 2001 ed il 2003, che solo negli ultimi due anni si è arrestata per trasformarsi in un’incerta ripresa16. Il risultato di questa tendenza è un fatturato reale che, in Italia, nel 2007 era ancora solo il 70% del suo valore nel 1998, a fronte di un analogo 85% per l’Europa (vedi tabelle 3.4 e 3.5). D’altro canto l’occupazione dell’ISP in Italia era scesa nel 2007 al 70% del 1998, mentre in Europa era scesa nello stesso periodo all’84%. 16 Nel 2007 e 2008 tuttavia le vendite dell’Industria spaziale europea (e mondiale) hanno segnato una decisa ripresa, nonostante la crisi economica generale. 50 Questi dati implicano una sostanziale stagnazione della produttività del lavoro, assumendo che essa sia ragionevolmente rappresentata dal fatturato reale per addetto: una grandezza che è rimasta costante anche nel corso del decennio (vedi figura 3.2). I dati sui quali si basano le precedenti indicazioni hanno il pregio dell’omogeneità della raccolta, effettuata annualmente da ASD-EUROSPACE tramite questionari. L’indicazione in merito alla produttività del lavoro va però presa con la cautela dovuta al fatto che la variabile fatturato al numeratore ha un andamento solo approssimativamente uguale a quello del valore della produzione che rappresenta una misura più vicina al concetto di produzione in senso fisico. Inoltre, è forse più importante tener presente che se i prezzi dei prodotti che l’ISP vende all’esterno non risultano aggiustati verso l’alto in modo da tenere conto del miglioramento della qualità del prodotto, allora l’indice dei prezzi di mercato di quel prodotto risulta essere un deflatore troppo elevato del fatturato (o valore della produzione) nominale, il cui impiego porta a sottovalutare la crescita del fatturato reale e, quindi, della produttività del lavoro. TABELLA 3.4 Dipendenti, fatturato (consolidato)e produttività del lavoro nell'industria spaziale italiana: 1998-2007 Fatturato Numeri nominale (migl. Fatturato reale Produttività del indice €) (migl. €)* lavoro (migl €) produttività Anno Dipendenti 1998 5.741 931.800 951.788 166 100 1999 5.837 879.100 890.679 153 92 2000 5.770 859.600 859.600 149 90 2001 5.618 876.135 853.933 152 92 2002 5.413 745.808 710.293 131 79 2003 4.959 677.780 633.439 128 77 2004 4.655 779.955 711.638 153 92 2005 3.849 736.385 662.813 172 104 2006 3.771 719.704 640.306 170 102 2007 3.969 775.733 664.724 167 101 * A prezzi 2000; Indice dei prezzi al produttore per le attività manifatturiere (Banca d’Italia) FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) 51 TABELLA 3.5 Dipendenti, fatturato e produttività del lavoro nell'industria spaziale europea: 19982007 Fatturato Numeri nominale (migl. Fatturato reale Produttività del indice Anno Dipendenti €) (migl. €)* lavoro (migl. €) produttività 1998 34.883 5.318.500 5.432.584 156 100 1999 33.608 5.481.200 5.553.394 165 106 2000 33.207 5.560.700 5.560.700 167 108 2001 34.727 5.258.138 5.124.891 148 95 2002 33.254 4.726.179 4.501.123 135 87 2003 31.587 4.034.141 3.770.225 119 77 2004 30.524 4.784.622 4.365.531 143 92 2005 27.884 4.438.692 3.995.222 143 92 2006 28.863 4.983.280 4.433.523 154 99 2007 29.637 5.360.314 4.593.243 155 100 * A prezzi 2000; Indice dei prezzi al produttore per le attività manifatturiere (Banca d’Italia) FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) FIGURA 3.2 Produttività del lavoro nelle industrie spaziali italiana ed europea (migl. € reali; prezzi 2000) FONTE: tabelle 3.4 e 3.5 Tendenze divergenti di spazio ed aerospazio nel 1998-2007. La stazionarietà degli andamenti delle variabili che definiscono gli aspetti quantitativamente essenziali dell’ISP in Italia ed Europa nel corso del primo decennio del XXI secolo è in contrasto, a prima vista abbastanza sorprendente, con quella della componente aeronautica dell’industria aerospaziale in Italia come in Europa. Come illustrano le 52 figure 3.3 – 3.5, a fronte di tendenze negative per l’occupazione nelle ISP, italiana ed europea, e di una tendenza negativa per il fatturato reale dell’ISP europea17, si registrano delle tendenze positive, sottostanti ad un’onda ciclica completa18, sia per l’occupazione nell’industria aeronautica in Italia ed Europa sia per il fatturato reale in Europa. La prima sale invero dai 31.000 addetti del 1998 ai 36.300 del 2007 in Italia e dai 387.600 del 1998 ai 442.000 del 2007, in Europa. Il fatturato reale dell’industria aeronautica europea è a sua volta salito dai 62,7 mld € del 1998 agli 81 del 2007. Ma la differenza più significativa tra le vicende dell’ISP e dell’industria aeronautica europee è illustrata nella figura 3.6 che illustra come, partendo da uno stesso livello di produttività del lavoro nel 1998 (circa 160.000€ per lavoratore; a prezzi 200), l’industria aeronautica abbia registrato sia una crescita di quella grandezza a fronte di una sua stazionarietà per l’ISP, sia un andamento meno fluttuante. L’individuazione dei fattori che potrebbero spiegare questa divergenza fornirebbe senz’altro delle percezioni significative sul funzionamento di queste industrie. FIGURA 3.3 Occupazione nelle industrie aeronautica e spaziale italiane (migliaia) FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) 17 Per l’Italia non sono disponibili i dati per una figura analoga alla Figura 3.5, perché non è disponibile, per gran parte del periodo 1998-2007, la serie storica del fatturato dell’industria aeronautica italiana (né dall’italiana AIAD né dall’europea ASD). 18 Dovuta al fatto che la crisi economica generale del 2001 (con l’impatto aggiuntivo dell’11/9, particolarmente acuto per il trasporto aereo) ha inciso su un’industria aeronautica mondiale in fase espansiva. 53 FIGURA 3.4 Occupazione nelle industrie aeronautica e spaziale europee (migliaia) FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) FIGURA 3.5 Fatturato (consolidato) delle industrie aeronautica e spaziale europea (miliardi € ; prezzi 2000) FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) 54 FIGURA 3.6 Produttività del lavoro delle industrie aeronautica e spaziale europea (migliaia € ; prezzi 2000) FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) Prospettive per il secondo decennio del XXI secolo. Secondo la generalità degli osservatori il primo decennio del XXI secolo dovrebbe essere seguito da un decennio caratterizzato da una crescita buona, anche se non eccezionale. Euroconsult (Euroconsult EC, 8 giugno 2009), ad esempio, prevede che nel 2009-2018 verranno costruiti e lanciati 1.185 satelliti, con un aumento del 50% rispetto al numero per il precedente decennio 1999-2008. L’evoluzione delle componenti della domanda dell’ISP europea: 1998-2007. Il primo passo per spiegare l’andamento della domanda è quello di distinguere al suo interno le componenti che rispondono a logiche diverse. La tabella 3.6 (parte 1) evidenzia tre tipi di domanda: pubblica civile, pubblica militare e commerciale (da parte degli operatori di satelliti che offrono servizi commerciali). Tuttavia va tenuto presente che la complessità del prodotto e gli alti costi e rischi della R&S fanno sì che la produzione di un satellite avvenga nell’ambito di un programma che va dal progetto iniziale, allo sviluppo, al prototipo e alla produzione, nel quale impresa produttrice ed ente pubblico acquirente collaborano strettamente per la gestione del programma ed anche per i finanziamenti iniziali. Ad esempio, il rapporto Digital Britain, del ministro per le comunicazione, afferma la necessità di portare nelle aree rurali la connessione internet ad alta velocità. Da parte sua Avanti Communications, un produttore di satelliti, interessato al progetto ritiene che “it might costs £500m to launch two satellites to provide rural broadband coverage. But such investment might be in jeopardy unless a public-private 55 partnership was created, with the government underwriting a capital markets fundraising” (Financial Times, 27 maggio 2009). La tabella 3.6, parte1 (che va letta senza dimenticarsi che è a valori nominali) mostra alcune costanti nella composizione della domanda europea: (i) il ruolo fondamentale di ESA nella domanda pubblica civile e comunque di primaria importanza in assoluto; (ii) il peso a tutt’oggi dominante, anche se non più esclusivo come lo è stato fino al 2001, dei satelliti geostazionari. Quella tabella mostra anche alcune non sorprendenti tendenze: (i) la domanda commerciale di satelliti e lanciatori è stata più sensibile alla recessione generale seguita al 2001, scendendo in termini nominali da 2,5 mld€ nel 1998 a 1,3 nel 2003; (ii) la dinamica leggermente negativa delle spese ESA e altri programmi civili; (iii) il rilancio della domanda militare che dopo essere scesa da 512 milioni€ nel 1998 a 358 nel 2001 è salita rapidamente al miliardo di euro del 2007. Per quanto riguarda la tipologia produttiva si possono sottolineare due tendenze: (i) i satelliti per telecomunicazioni hanno conservato in tutto il decennio il loro peso rilevante nel settore satelliti, ma anche in assoluto (65% delle vendite di satelliti); (ii) le vendite finalizzate a progetti scientifici sono scese dal miliardo di euro del 1998 ai 690 milioni del 2007 TABELLA 3.6 Fatturato dell’industria spaziale europea (milioni € correnti) 1. Per tipo di cliente Clienti 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Programmi europei civili 2.308 2.292 2.241 2.073 2.250 2.100 2.232 2.030 2.076 2.185 di cui ESA 1.674 1.521 1.530 1.342 1.492 1.449 1.464 1.320 1.476 1.516 Programmi europei militari 512 522 406 358 471 548 724 736 937 1.006 Mercato istituzionale europeo 2.820 2.814 2.646 2.431 2.721 2.648 2.956 2.766 3.014 3.192 Satelliti commerciali 1.524 1.647 1.804 1.772 1.204 701 987 845 965 1.236 di cui sistemi commerciali GEO 1.524 1.647 1.804 1.772 1.115 657 921 773 850 996 931 976 1.062 947 750 568 563 718 885 835 2.455 2.623 2.866 2.719 1.954 1.269 1.551 1.563 1.850 2.070 42 44 49 107 52 117 278 110 120 98 5.317 5.481 5.561 5.258 4.726 4.034 4.785 4.439 4.983 5.360 Operazioni di lancio Mercato commerciale e esportazioni Altro/non identificato TOTALE 56 2. Per tipologia produttiva Tipologie produttive 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Satelliti 2.526 2.957 2.790 2.709 2.525 2.031 2.840 2.586 2.934 3.289 di cui: telecomunicazioni 1.609 1.875 1.706 1.762 1.536 1.219 1.776 1.567 1.865 2.163 osservazione della terra navigazione/localizzazione/ posizionamento Lanciatori e attività di lancio di cui: sviluppo dei lanciatori Attività operative dei lanciatori 917 1.043 998 838 908 675 854 812 826 825 85 109 60 137 210 207 243 301 1.551 1.405 1.630 1.359 1.152 871 935 1.077 1.200 1.185 - 40 620 429 568 411 402 303 372 359 316 350 931 976 1.061 947 750 568 563 718 885 835 Attività scientifiche 1.017 864 891 954 736 839 831 611 703 690 Attività di supporto 156 165 182 119 190 160 90 78 72 110 67 90 68 118 123 132 89 87 75 87 Altro/non identificato TOTALE 5.317 5.481 5.561 5.258 4.726 4.034 4.785 4.439 4.983 5.360 FONTE: ASD–EUROSPACE (2008) RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ASD-EUROSPACE (2008), Eurospace Facts and Figures. Data 2007 ASD (2008), Facts and Figures 2007 AEROSPACE INDUSTRIES ASSOCIATION – AIA (2008), Aerospace Facts&Figures, Arlington, Virginia, USA 57 CAPITOLO 4 – L’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA OGGI E LA SUA EVOLUZIONE NEL DECENNIO 1998-2007: ANALISI CON DATI A LIVELLO D’IMPRESA In questo capitolo si va dietro ai dati aggregati di ASD-EUROSPACE sull’industria spaziale italiana (utilizzati nel capitolo 3) per metterne in luce la struttura produttiva e l’evoluzione negli anni recenti della sua produttività, cioè della sua capacità di trasformare gli impieghi di fattori produttivi in output. Poiché le attività produttive spaziali sono spesso svolte da imprese impegnate anche in altre attività, tipicamente ma non sempre aerospaziali, e poiché normalmente non sono disponibili dati pubblici disaggregati sulle attività svolte all’interno delle imprese, la costruzione del quadro empirico dell’industria spaziale è decisamente laboriosa. Nonostante ciò è stato possibile, nella sezione 4.1, costruire un quadro abbastanza attendibile delle imprese con produzioni e valutare i loro fatturati spaziali. Questi hanno fornito un metro per dare un’idea, nella sezione 4.2, delle dimensioni e caratteristiche strutturali del settore spaziale italiano nel 2007. Nella sezione 4.3 si svolge invece un’analisi delle produttività parziali degli input di lavoro e capitale e della produttività totale delle imprese con produzioni spaziali, usando i dati per il complesso delle loro attività, nella convinzione che la performance di un gruppo d’imprese con attività anche solo parzialmente spaziali sia il punto di partenza per un’analisi approfondita degli effetti di spillovers tecnologici dal settore spaziale agli altri settori interni all’impresa (su questo punto vedi anche le sezioni 7.2 e 7.3) 58 4.1 UNA COSTRUZIONE DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA NEL 2007 Problemi di individuazione delle attività spaziali. In questa sezione vengono presentati i risultati del lavoro di individuazione e raccolta di dati sulle imprese italiane impegnate nell’industria spaziale (ISP), come definita nella sezione 1.1. L’individuazione e la selezione delle imprese dell’ISP si è rivelata piuttosto faticosa perché in molte imprese, soprattutto le grandi, le attività spaziali sono svolte accanto ad altre attività, tra le quali primeggiano quelle aeronautiche. Inoltre, non mancano i casi (come Telespazio), in cui un’impresa è impegnata sia in attività spaziali che rientrano nell’ISP (la loro sezione upstream) sia in attività che rientrano nella sezione downstream. Il problema d’individuazione non si porrebbe se le attività del’ISP fossero collocate in business unit o divisioni con una contabilità separata e pubblicata, ma questo avviene solo in una minoranza dei casi e solo per poche variabili tra quelle che interessano. I dati vengono quindi non di rado costruiti attingendo ad una pluralità di fonti pubbliche esterne all’impresa e talvolta ottenuti con ragionevoli congetture. Imprese con produzioni spaziali. La compilazione dell’elenco delle imprese italiane con produzioni spaziali si è basata sugli elenchi delle principali associazioni dell’industria spaziale italiana e sulle informazioni desunte dai contratti assegnati ad imprese spaziali, messe a disposizione da ASI. Gli elenchi consultati sono stati quelli di AIAD (Associazione Industrie per l’Aerospazio i Sistemi e la Difesa)19, AIPAS20 (Associazione Italiana Piccole e Medie Imprese per l’Aerospazio), ASAS (Associazione per i Servizi, le Applicazioni e le Tecnologie ICT per lo Spazio)21, Progetto “Sistema Spazio Italia”22, SAM (Società Aerospaziale Mediterranea)23. Oltre agli elenchi sopra ricordati, l’individuazione di alcune imprese è avvenuta anche attraverso indicazioni esplicite (tratte da documenti aziendali o da siti web) di rapporti d’affari relativi ad attività spaziali, intrattenuti da 1919 Dal 2009 l’Associazione diventa Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza pur mantenendo la sigla AIAD. AIAD è associata a CONFINDUSTRIA, è membro di ASD (Associazione Europea delle industrie per l’AeroSpazio e la Difesa), di UNAVIA (Associazione per la Normazione e la Formazione nel settore Aerospaziale) e di UNAVIAcert (Società per la Certificazione nel settore Aerospaziale). Le aziende associate AIAD sono 117 (settembre 2009) e contano un totale di oltre 50.000 addetti. Fonte: http://www.aiad.it. 20 Attualmente l’AIPAS è composta da 28 Associate, tra cui due Consorzi di imprese, per un totale di circa 500 dipendenti ed un fatturato complessivo di circa 150 Milioni di euro. Fonte: http://www.aipas.it. 21 ASAS (ASASpazio) è stata costituita nel 2004 da alcune tra le più significative imprese del settore per valorizzare le applicazioni e i servizi basati sulle tecnologie spaziali e la capacità, che queste hanno, di portare dallo Spazio alla Terra le potenzialità di questo settore e di contribuire all'innovazione tecnologica del Paese. Le imprese associate sono 25 (settembre 2009). Fonte: http://www.asaspazio.it/ 22 Su iniziativa di AIAD e di ASAS, il 26 giugno 2009, presso la sede di Confindustria, si è tenuta la riunione di avvio ufficiale del Progetto “Sistema Spazio Italia” con l’istituzione del “Tavolo Impresa Spazio”. 23 Fondata nel 1998,la Società Aerospaziale Mediterranea rappresenta la prima realtà italiana di aggregazione di PMI del settore aerospaziale e si configura come un sistema innovativo di ingegneria simultanea e collaborativa. Attualmente composta da quindici PMI operanti attivamente nel settore aerospaziale. Fonte: http://www.samaerospazio.it/home.htm. 59 imprese già inserite nel nostro elenco. Infine si è considerato l’elenco delle imprese italiane (13) riportato in ASD-EUROSPACE (2008). La tabella 4.1 riporta l’elenco delle imprese così individuate. Tabella 4.1: Imprese italiane con attività spaziali nel 2007: Fonti Imprese Spaziali 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 Aerostudi SpA Alenia SIA Aurelia Microelettronica SpA Avio SpA CAEN Aerospace Srl Carlo Gavazzi Space SpA CESI SpA Dataspazio SpA Elsag Datamat SpA Galileo Avionica SpA IRCA SpA Microtecnica Srl NEXT Ingegneria dei Sistemi SpA Rheinmetall Italia SpA Space Engineering SpA Space Software Italia – SSI SpA Telespazio SpA Thales Alenia Space Italia SpA Top-Rel Srl Vitrociset SpA Aero Sekur Aerospazio Tecnologie Srl Alta Spa Pisa Altec SpA Andromeda Srl ATM Advanced Tools & Modules Srl Blu Electronic Srl CAMA Snc ELV SpA Forgital Italy SpA IDS Ingegneria dei Sistemi SpA Ingegneri Speranza Srl Intecs SpA Kayser Italia Marotta Advanced Technologies MBDA Italia SpA MEC Srl NMC Nuovo Mollificio Campano Srl S.A.B. Aerospace Srl Sistemi Compositi SpA Techno System Developments Srl THALES Italia SpA Eurospace ASI AIAD AIPAS ASAS SAM Altre * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * 60 * 43 UTRI Unmanned Tech. Res. Instit. Srl * * Fonti: Repertori associazioni varie (AIAD, AIPAS, ASAS, Sistema Spazio Italia, ASD-Eurospace), ASI, siti web. Scelta delle imprese incluse nell’ISP. Il passo successivo è stato quello di raccogliere i dati necessari a descrivere in termini quantitativi lo scenario più recente dell’ISP italiana. A tal fine abbiamo estratto dalle 43 imprese della tabella 4.1 le 20 imprese della tabella 4.2, in base all’importanza delle produzioni spaziali (upstream) ed in parte anche in base alla disponibilità dei dati. Le principali fonti di dati ed informazioni per questo passaggio sono state la banca dati AIDA, i bilanci annuali delle imprese, i siti web, le associazioni di settore (AIAD, AIPAS, ASAS, Progetto “Sistema Spazio Italia”, SAM), ed i dati raccolti ed utilizzati nelle appendici di Graziola (2006). Le attività spaziali delle 20 imprese così ottenute costituiscono l’industria spaziale italiana, che denoteremo ISP-20. La seguente tabella 4.2 riporta, nella parte I, le informazioni essenziali su quelle imprese, mentre nelle parti II e III riporta i dati sui loro occupati e fatturato, distinguendo le quote dello spazio nei totali. 61 Tabella 4.2 L’industria spaziale italiana (ISP-20) nel 2007 PARTE I – Le imprese 1. Aerostudi SpA24 Anno Nascita 1989 2. Alenia SIA SpA 25 26 1969 Torino 3. Aurelia Microelettronica SpA27 1998 Viareggio (LU) 4. Avio SpA28 29 1908 Torino 5. CAEN Aerospace Srl30 1997 Viareggio (LU) Privata - IT Alenia Aeronautica SpA (60%) – Galileo Avionica SpA (30%) – Selex Communications SpA (10%) CAEN SpA (34,6%) - Altri privati (IT) Cinven Limited (REGNO UNITO) (85%) Finmeccanica (15%), C. Invest Srl (80%) e Privati 6. Carlo Gavazzi Space SpA 1981 Milano Privata (italo-tedesca) Imprese Sede Assetti Proprietari Trieste 7. CESI SpA 1956 Milano 8. Dataspazio SpA 1988 Roma ENEL SpA (25,9%); Terna SpA (24,4%); Ansaldo Industria SpA (9,3%); Edipower SpA (7%) e altri Elsag Datamat (51%); Telespazio (49%) 9. Elsag Datamat SpA31 2007 Genova Finmeccanica SpA (100%) 24 Holding Tipologia Prodotti Sistemi meccanici e subsistemi Finmeccanica Sub-sistemi avionici per componenti ISS e satelliti scientifici CAEN Group Progettazione componenti elettroniche per applicazioni spaziali BCV Investments S.C.A. (Lux) Propulsione spaziale, Propulsione tattica e Lanciatore VEGA CAEN Group Progettazione e produzione componenti elettronici per applicazioni spaziali Integrazione sistemi spaziali (satelliti, lanciatori futuri, osservazione terra) Sviluppo e produzione di celle solari ad alta efficienza e strumentazione elettroottica Finmeccanica Finmeccanica Progettazione e sviluppo di sistemi (centri di controllo satelliti) e software per applicazioni spaziali Segmenti: Spazio, Terra, Strutture Dati riferiti all’anno 2004 (ultimo anno disponibile Banca dati AIDA). 25 Vendite a Thales Alenia Space Italia SpA (Fonte: Bilancio 2007, p. 119 – Libro Verbali Assemblee 2006) 26 Dal 2008 incorporata in Finmeccanica. 27 2009: Fusione in CAEN Aurelia Space Srl 28 Fino al 2002: Fiat Avio SpA.. 29 Dati per il 2007. Fonte: Nostri calcoli su dati del Bilancio consolidato 2007 e da fonti aziendali. 30 Nasce nel 1992 come Divisione Spazio di CAEN SpA. Nel 2009: Fusione in CAEN Aurelia Space Srl 62 10. IRCA SpA 1975 Treviso 11. Microtecnica Srl32 1929 Torino Div. RICA - Zoppas Industries Group United Technologies Holding Italy Srl 12. NEXT Ingegneria dei Sistemi SpA 1999 Roma Privata - IT 13. Galileo Avionica SpA34 2001 Firenze Finmeccanica (100%) Finmeccanica 14. Rheinmetall Italia SpA35 36 2007 ( Roma Rheinmetall AG (100%)(G) 15. Space Engineering SpA37 1989 Roma Privato (IT) Rheinmetall AG (G) Space Engineering Group 16. Space Software Italia – SSI SpA38 1988 Taranto Elsag-Datamat SpA (100%) Finmeccanica 17. Telespazio SpA39 2005 (1961) Roma Telespazio Holding Srl Finmeccanica (67%) – Thales (F) (33%) United Technologies C. (USA)33 Sistemi di controllo termico (resistenze) per satelliti e ISS Propulsione mezzi spaziali: Componenti: sistemi di controllo per razzi vettore Analisi, progettazione e sviluppo di software "On Board" e "Ground". Integraz. di applicazioni e sottosistemi Sviluppo di applicazioni derivanti dalle tecnologie spaziali Equipaggiamenti e sottosistemi per satelliti - Sensori spaziali; strumenti elettro-ottici Piccoli satelliti, apparati elettronici e radiofrequenze, strutture e meccanismi R&S, progettazione, prototipi sistemi spaziali per TLC, navigazione, controllo ambiente, GIS, Telemedicina Progettazione e sviluppo di sistemi software avanzati per applicazioni spaziali Servizi per le soluzioni satellitari: controllo e sfruttamento dei sistemi spaziali, fornitura di reti e servizi ad alto VA, applicazioni multimediali, osservazione della Terra 31 Nasce per fusione di Elsag SpA (1998) e Datamat SpA (1971). 32 Acquisita nel 2008 da Hamilton Sundstrand (UTC) Ceduta ad Fondo Stirling Square Capital Partners (REGNO UNITO) nel mese di luglio 2008. 34 2008: nasce Selex Galileo SpA dalla fusione tra SELEX Sensors and Airborne Systems Ltd. (REGNO UNITO) e Galileo Avionica SpA 35 Nata come Contraves Italiana nel 1952, quindi Oerlikon Contraves nel 1992, dopo la fusione con Oerlikon Italiana di Lainate (MI). 36 Il dato è calcolato sulla base della percentuale dei ricavi da attività spaziali dichiarati nel Bilancio 2007 (36%). 37 Controlla: TeS Teleinformatica e Sistemi Srl (100%). Attività: R&S, Progettazione, produzione e integrazione sistemi micro-satelliti (Potenza). 38 Nel 2006: Dipendenti: 105; Fatt. 9.275 39 Il dato si riferisce ai ricavi dell’Unità di Business “Satellite Operations & Grandi Programmi”, mentre gli occupati sono calcolati sul totale nella stessa proporzione dei ricavi (33,6% circa). 33 63 18. Thales Alenia Space Italia SpA40 2005 Roma Thales Alenia Space Societé par actions simplifié (F) 19 Top-Rel Srl41 1988 Roma Alter Technology Group (SP) 20. Vitrociset SpA 1992 Roma CISET Srl (90%) – Selex Sistemi Integrati SpA (10%) Thales (F) (67%) Finmeccanica (33%) Sistemi satellitari e infrastrutture orbitanti Servizi alle imprese spaziali per componenti Hi-Rel Progettazione, sviluppo, hardware e software per basi di lancio e controllo spaziale, monitoraggio ambientale e mobilità Legenda: * Dati stimati sulla base della proporzione del fatturato spazio sul fatturato totale. 40 Fino al 2004: Alenia Spazio SpA. 41 Nel 2008 Top-Rel diventa Alter Technology Italy. 64 PARTE II – I fatturati Fatturato spazio (000 €) Grandi Imprese (≥ 250) Alenia SIA SpA AVIO SpA CESI SpA Elsag Datamat SpA Galileo Avionica SpA IRCA SpA Microtecnica Srl Rheinmetall Italia SpA Telespazio SpA Thales Alenia Space Italia SpA Vitrociset SpA Totale grandi imprese PMI (< 250) Aerostudi Aurelia Microelettronica CAEN Aerospace Carlo Gavazzi Space Dataspazio Next Ingegneria dei Sistemi Space Engineering Space Software Italia Top-Rel Totale PMI Totale ISP-20 Fatturato totale (000 €) % fatturato spazio 2.105 220.303 7.040 57.742 66.062 36.856 12.519 13.779 105.047 576.995 43.874 1.142.322 21.046 1.540.578 70.399 481.187 550.519 245.709 125.191 38.275 312.641 576.995 141.529 4.104.069 10 14 10 12 12 15 10 36 34 100 31 28 1.046 100 1.017 33.464 5.899 6.267 9.896 8.297 15.729 81.715 1.743 995 1.017 33.464 5.899 12.533 9.896 10.371 15.729 91.647 60 10 100 100 100 50 100 80 100 89 1.224.037 4.195.716 29 65 PARTE III – L’occupazione Dipendenti totali Grandi Imprese (≥ 250) Alenia SIA SpA AVIO SpA CESI SpA Elsag Datamat SpA Galileo Avionica SpA IRCA SpA Microtecnica Srl Rheinmetall Italia SpA Telespazio SpA Thales Alenia Space Italia SpA Vitrociset SpA TOTALE GRANDI IMPRESE PMI (< 250) Aerostudi Aurelia Microelettronica CAEN Aerospace Carlo Gavazzi Space Dataspazio Next Ingegneria dei Sistemi Space Engineering Space Software Italia Top-Rel TOTALE PMI 321 4.715 558 1.653 3.185 858 624 340 949 2.073 764 16.040 20 25 17 177 48 174 56 158 25 700 TOTALE ISP-20 16.740 4.2 CARATTERI STRUTTURALI Il peso dell’ISP nell’industria aerospaziale italiana. Secondo i dati della tabella 4.2, nel 2007, l’industria spaziale italiana, che d’ora in avanti chiameremo anche ISP-20, fatturava 1.224 milioni di euro. Essa era costituita da imprese per le quali le attività spaziali erano diversamente rilevanti: il fatturato delle 9 PMI costituivano l’89% del loro fatturato totale. Questa percentuale scendeva al 10-15 % per 8 delle grandi imprese; saliva a circa il 33% per Rheinmetall,Telespazio e Vitrociset; e al 100% per Thales Alenia Space. Poiché (i) gli unici dati reperibili in fonti pubbliche sulle attività spaziali delle imprese impegnate anche in altre attività sono quelli relativi al fatturato riportati nella parte II della tabella 4.2; e (ii) non si dispone di dati sul fatturato (e nemmeno sul valore della produzione) dell’industria aeronautica italiana (vedi nota 16, sezione 3.2), non è possibile alcun confronto omogeneo tra la nostra ISP-20 e l’industria aerospaziale italiana. Tuttavia, prendendo per buono che il rapporto tra il numero degli occupati spaziali ed il totale degli occupati dell’ISP-20 sia pari a quello tra i corrispondenti fatturati (0,29), dai dati delle parti II e III della tabella 4.2 si ottiene un valore di 4.854 occupati per 66 l’ISP-20. Questo valore è coerente con i 3.969 occupati nell’ISP secondo ASD-EUROPSACE (vedi figura 3.1) in considerazione del fatto che esso è basato su un insieme di 20 imprese, mentre ASDEUOROSPACE ne considera 13. Facendo il confronto con i 40.300 dell’industria aerospaziale italiana, la quota degli addetti del’ISP-20 su quest’ultima risulta pari al 12%, contro il 10% della tabella 3.1. Recentemente Graziola (2009) ha presentato un calcolo, basato su dati di bilancio, dell’occupazione, del valore della produzione e del valore aggiunto di 81 imprese con produzioni aerospaziali42. Poiché i dati di bilancio delle imprese dell’ISP-20 forniscono anche i valori delle loro produzioni (spaziali e non) ed i corrispondenti valori aggiunti, è possibile confrontare le imprese con produzioni spaziali con le imprese con produzioni aerospaziali. Un tale confronto non è omogeneo perché, come osservato nella nota (42), le quote proporzionali medie delle attività spaziali ed aerospaziali dei due gruppi d’imprese sono diverse; e le altre attività possono a loro volta essere di natura molto diversa. Tuttavia questa eterogeneità può diventare un elemento d’interesse perché, come vedremo più avanti (sezioni 7.2 e 7.3), le informazioni sui risultati complessivamente ottenuti da un’impresa, insieme a quelle sul peso che le produzioni spaziali hanno al suo interno, possono dare utili indicazioni sull’importanza degli spillovers tecnologici derivanti da quelle produzioni all’interno dell’impresa. Tabella 4.3 Dipendenti, fatturato e fatturato per addetto delle imprese con produzioni spaziali e aerospaziali: 2007 Dipendenti Fatturato (milioni €) (i) Imprese con produzioni spaziali 16.740 4.196 (ii) Imprese con produzioni aerospaziali 35.334 n. d. ((i)/(ii))*100 47,4% FONTI: Tabella 4.2 e Graziola (2009). 42 Valore della Valore Valore produzione aggiunto della (milioni produzione per €) (milioni €) dipendente (migliaia €) Fatturato per addetto (migliaia €) Valore aggiunto per dipendente (migliaia €) 265 4.457 266 1.594 95 n. d. - 8.223 54,2% 233 3.152 50,6% 89 Si avverte che il numero delle imprese con produzioni spaziali incluse in AEROSPA-81 è minore di quello di ISP-20, perché la prima industria è stata costruita con un criterio più selettivo (solo le imprese con fatturati aerospaziali con valori non minori del 50% dei corrispondenti fatturati totali) di quello seguito per ottenere IPS20. Le imprese di ISP-20 presenti anche in AEROSPA-81(Alenia SIA, AVIO, Carlo Gavazzi Space, Galileo Avionica, Microtecnica, Telespazio, Thales Alenia Space Italia) costituiscono comunque un 80% dei dipendenti e un 90% del fatturato di ISP-20. 67 I dati riportati nella tabella 4.3 mostrano che il rapporto tra i dipendenti delle imprese spaziali e quelli delle imprese aerospaziali (48%) è decisamente più elevato di quello tra i dipendenti spaziali e quelli aerospaziali (10-12%) sopra citato, perché tra le imprese con produzioni spaziali figurano poche grandi imprese aerospaziali (AVIO, Galileo Avionica, Microtecnica) con quote di attività spaziali piuttosto basse. Essi mostrano anche che il valore della produzione per dipendente ed il valore aggiunto per dipendente per le imprese con produzioni spaziali sono mediamente maggiori che per le imprese con produzioni aerospaziali. La significatività di questi risultati è ridotta dalla naturale congetturale del dato sugli addetti dell’ISP-20. Proprietà. Poco più di un terzo (7) delle imprese dell’ISP-20 sono controllate da Finmeccanica, mentre altre 5 sono controllate da altrettante holding straniere (4 europee ed 1 statunitense). Il fatturato spaziale del gruppo delle imprese controllate da Finmeccanica pesa sull’ISP per il 16,7% . Per Thales Alenia Space Italia questa percentuale sale al 50,2%; per i restanti gruppi stranieri è del 22,9% e per i privati italiani è del 10,2% (vedi tab. 4.4). 68 Tabella 4.4. Distribuzione del fatturato delle imprese ISP-20 secondo la proprietà: 2007 Fatturato Imprese controllate da Finmeccanica Incidenza % (€000) Dipendenti spazio Alenia SIA 2.105 n.d. Dataspazio SpA 5.899 48 Elsag Datamat SpA 57.742 n.d. Galileo Avionica SpA 66.062 n.d. 8.297 n.d. Telespazio SpA (Finmeccanica (67%)-Thales (33%)) 105.047 n.d. Totale 245.152 20,0 n.d. 576.995 47,1 2.073 Space Software Italia – SSI SpA Imprese Controllate da Thales Thales Alenia Space Italia SpA Imprese controllate da altri gruppi stranieri Avio SpA - BCV Investments S.C.A (Lux) 220.303 n.d. Alter Technology Italy - Alter Technology (SP) 15.729 25 Rheinmetall Italia SpA - Rheinmetall AG (G) 13.779 n.d. Microtecnica Srl - UTC (USA) 12.519 n.d. Totale 262.330 21,4 n.d. Imprese controllate da altri gruppi o privati italiani Vitrociset SpA - Privati 43.874 n.d. Carlo Gavazzi Space SpA - Privati 33.464 177 IRCA SpA - Zoppas Industries 36.856 n.d. Space Engineering SpA - Space Engineering Group 9.896 56 CESI SpA - Privati 7.040 n.d. NEXT Ingegneria dei Sistemi SpA - Privati 6.267 174 Aerostudi SpA - Privati 1.858 n.d. CAEN Aerospace Srl - CAEN Group 1.017 17 100 n.d. Aurelia Microelettronica SpA – CAEN Group Totale 140.372 11,5 n.d. Totale 1.224.037 100,0 n.d. FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio e banca dati AIDA. 69 Età. L’industria spaziale ha origini relativamente recenti rispetto all’industria aeronautica ma non mancano tra le protagoniste del settore imprese con origini lontane di decenni (vedi tab. 4.5). Merita attenzione il fatto che, dopo le numerose PMI nate tra la fine degli anni ottanta e il 2000 per iniziativa di ex-dipendenti altamente qualificati provenienti da altre grandi imprese attive nell’industria aerospaziale, le imprese nate dopo il 2000 sono i risultati di una serie di processi di consolidamento condotti nel tempo dai grandi gruppi industriali (soprattutto di Finmeccanica) già operanti nell’industria aerospaziale, con l’obiettivo di rafforzare la loro presenza in un settore come l’ISP, considerato strategico. Tabella 4.5 Età delle imprese dell’ISP-20 Imprese Anno Nascita Classi di età ‹ 1980 1 Avio SpA 1908 2 Microtecnica Srl 1929 3 CESI SpA 1956 4 Alenia SIA SpA 1969 5 IRCA SpA 1975 1981-1990 1 Carlo Gavazzi Space SpA 1981 2 Dataspazio SpA 1988 3 Space Software Italia – SSI SpA 1988 4 Top-Rel Srl 1988 5 Aerostudi SpA 1989 6 Space Engineering SpA 1989 1991-2000 1 Vitrociset SpA 1992 2 CAEN Aerospace Srl 1997 3 Aurelia Microelettronica SpA 1998 4 NEXT Ingegneria dei Sistemi SpA 1999 2001› 1 Galileo Avionica SpA 2001 2 Telespazio SpA 2005 3 Thales Alenia Space Italia SpA 2005 4 Elsag Datamat SpA 2007 5 Rheinmetall Italia SpA 2007 Fonte: Informazioni aziendali da siti web. 70 Concentrazione del fatturato. Il fatturato dell’ISP-20 è fortemente concentrato. Dalla tabella 4.2 (parte II) si vede che il fatturato spaziale più grande (quello di Thales Alenia Space Italia) ammonta al 47% del totale dell’ISP-20, mentre la somma dei primi tre fatturati spaziali (quelli di Thales Alenia Space Italia, Avio e Telespazio) rappresenta il 77% di quel totale. 71 4.3 LA PRODUTTIVITA’ DELLE IMPRESE CON PRODUZIONI SPAZIALI NEL 2001-2007 Nella presente sezione si prenderanno in esame gli andamenti delle variabili in termini delle quali si può misurare l’andamento della produttività delle imprese dell’ISP-20 e di alcuni suoi settori. La metodologia che adotteremo è pienamente appropriata quando è applicata alla singola impresa, mentre se applicata ad un aggregato di imprese dà risultati che risentono non solo dei fattori tecnologici che determinano la produttività a livello d’impresa, ma anche di effetti di composizione: la produttività riferita ad un aggregato di imprese può aumentare, anche se non aumenta la produttività di nessuna impresa, ma aumenta il peso delle imprese con livelli più elevati di produttività. Nel nostro caso i dati non suggeriscono importanti cambiamenti nei pesi delle singole imprese sul totale dell’ISP20 e, per questo aspetto, si può guardare al dato aggregato come ad un dato che riflette sostanzialmente fattori tecnologici. D’altra parte, va osservato che noi faremo l’ipotesi che tutte le imprese abbiano lo stesso tipo di tecnologia (ovvero una funzione di produzione dello stesso tipo) ma non la stessa tecnologia (vale a dire, che i parametri della funzione di produzione possono essere diversi tra le imprese). Da questo punto di vista l’aggregazione delle imprese in un settore produce una funzione di produzione aggregata che costituisce un “compromesso” tra le vere funzioni di produzione delle singole imprese e, al riguardo, non resta che accontentarsi di quello che si è trovato, pensando che esso sia la funzione di una “impresa rappresentativa” del settore. Nel nostro caso il calcolo della produttività a livello aggregato è facilitato dal fatto che il gruppo delle imprese ISP-20 è rimasto lo stesso per tutto il periodo, salvo per due circostanze più formali che sostanziali. La prima ha a che fare con Thales Alenia Space Italia, le cui attività nel 2001 e 2004 facevano capo ad Alenia Spazio, una società del gruppo Finmeccanica. Di conseguenza il dato della prima è stato integrato con i dati della seconda, ottenendo una successione coerente al fine del calcolo della produttività. La seconda riguarda Galileo Avionica le cui attività nel 200143 facevano capo ad una divisione di Finmeccanica, per la quale però non è disponibile alcun dato. Di conseguenza, per non creare nelle nostre serie storiche un balzo verso l’alto, che non corrisponde alla realtà, abbiamo tolto Galileo Avionica dall’ISP-20. Indicheremo il gruppo di 19 imprese così ottenuto come ISP-19. I dati per ciascuna delle 19 imprese, con quelli incompleti di Galileo Avionica, e per l’aggregato della ISP-19 sono riportati nell’appendice di questo capitolo. Quest’appendice riporta anche le elaborazioni dei dati attraverso le quali si sono calcolate due misure della PTF per ciascuna impresa e per ISP-19. 43 Erano le attività delle storiche Officine Galileo. Il 2001 è anche l’anno in cui venne costituita come società Avionica. Nel 2003 la nuova società incorporò la FIAR e alcune altre società minori. 72 Nel seguito calcoleremo la produttività totale seguendo l’approccio tradizionale e semplificato con il quale si misura il suo tasso di crescita come differenza tra il tasso di crescita annuo dell’output ed una media ponderata dei tassi di crescita annui degli input impiegati nella produzione (vedi il Riquadro 4.1 per ulteriori precisazioni). Con i dati a nostra disposizione possiamo seguire entrambi gli approcci ricordati nel riquadro 4.1. Con il primo misureremo la produttività totale dei fattori, PTF-1, considerando due input: lavoro e capitale reale. Il lavoro, verrà misurato dal numero medio di lavoratori occupati per anno, ed il capitale reale, inteso come il valore a prezzi costanti dei beni durevoli, verrà misurato come il valore delle immobilizzazioni materiali dato nel bilancio dell’impresa, deflazionato con l’indice STAN-OCSE dei prezzi alla produzione per il settore “Machinery and equipment” in Italia (con base 2000). La nostra misura dell’output sarà invece il valore aggiunto reale: il valore aggiunto nominale dato nel bilancio dell’impresa, deflazionato con il suo deflatore STAN-OCSE per “Other transport equipment” (con base 2000). Con il secondo approccio misureremo una PTF-2 facendo riferimento a tre input: oltre al lavoro ed al capitale, considereremo anche i beni intermedi, misurati residualmente come differenza tra il valore nominale della produzione ed il valore aggiunto, deflazionata con il suo deflatore STANOCSE. per “Other trannsport equipment”. In questo caso, l’output va inteso come il valore reale della produzione: il valore nominale della produzione dato nel bilancio dell’impresa, deflazionato di nuovo con il suo deflatore STAN-OCSE. per “Other trannsport equipment” RIQUADRO 4.1 LA PRODUTTIVITÀ TOTALE E LA SUA MISURA Funzione di produzione. Il concetto di produttività deriva da quello di funzione di produzione. Nel nostro caso questa è una funzione che determina l’output o prodotto, X, in termini degli input di lavoro, L, beni capitali, K , e beni intermedi, M: X = F(K,L,M) (1) La (1) è un’espressione pienamente adeguata della tecnologia di un’impresa monoprodotto. Essa è però anche ampiamente, e anzi prevalentemente, utilizzata per descrivere, con le inevitabili approssimazioni create dall’aggregazione di processi produttivi tecnologicamente diversi, le tecnologie di imprese multi prodotto e degli aggregati di imprese che costituiscono le industrie. Tutte le grandezze, tranne il lavoro, sono espresse in termini monetari, calcolati ai prezzi di un anno base (2000). Si noti che l’utilizzo del numero dei lavoratori e della quantità di beni capitale (per brevità, capitale) invece che delle ore lavorative ed ore-macchina (che sono gli input effettivi del processo produttivo) è giustificabile se si ritiene che il grado di utilizzazione del lavoro e del capitale siano costanti. La mancanza di dati su M comporta spesso che si ridefinisca la funzione di produzione considerando come output il valore aggiunto: Y = X – M, per cui 73 Y = G(K,L) (2) Produttività totale. A differenza delle produttività parziali di K, L ed M, la produttività totale non può essere definita come rapporto tra valori assoluti (come ad esempio, Y/L , X/L, etc.) ma solo come rapporto tra il numero indice dell’output e un numero indice degli input o come differenza tra tassi di variazione proporzionali. Il concetto di produttività totale riguarda il fatto che con il tempo l’output cresce in misura maggiore di quanto non sia giustificato dalla crescita degli input. Ciò può essere dovuto a numerosi fattori, come il progresso tecnico di natura organizzativa, o quello incorporato nei nuovi input nella misura in cui non se ne è tenuto conto rivalutando le quantità di questi input, rispetto a quelli precedenti e meno produttivi; ed altri ancora (come una maggiore efficienza nella produzione se l’impresa o l’industria operano al di sotto delle loro capacità produttive). Un modo di semplificare notevolmente le complessità di questo fenomeno è di introdurre esplicitamente il fattore tempo nella funzione di produzione, riscrivendo, ad esempio, la (2) come: Y = g(K,L,t) (2)’ Derivando rispetto al tempo e sistemando si ottiene il seguente tasso di crescita proporzionale della produttività totale, A(t): ≡ = - - (3) Calcolo della produttività totale. La via maestra per calcolare il tasso di variazione della produttività totale sarebbe di stimare con metodi econometrici i parametri di una funzione di produzione come la (2)’ e quindi calcolare la variazione nel tempo della produttività totale secondo la (3). Un metodo equivalente è quello “duale” di stimare la funzione dei costi dell’impresa, visto che dai parametri di questa funzione si risale, infatti, a quelli della funzione di produzione. In entrambi i casi si tratta di un compito arduo sia sul piano della metodologia econometrica sia, e ancor più, su quello empirico. Per questo la stima di quel tasso si effettua spesso sulla base di una serie di ipotesi semplificatrici che portano a scrivere la (2)’ nella seguente forma di funzione di produzione Cobb-Douglas: Y = A(t) Kα(t) L1-α(t) (2)’’ dove la produttività totale, A(t), agisce nel tempo in maniera “moltiplicativa” ed i coefficienti variano tipicamente in maniera stocastica attorno a dei valori centrali costanti. Corrispondentemente la (3) diventa: = - α(t) - (3)’ 74 La produttività totale per le imprese italiane con produzioni spaziali. Nell’analisi del testo si è utilizzata un’approssimazione discreta, con dati annuali, della (3)’, vale a dire: = - α(t) -(1 - α(t)) (3)’’ La (3)’’ è stata calcolata per ogni anno, impresa, aggregato delle 21 imprese con produzioni spaziali e vari sub aggregati. Non disponendo di dati sulle ore lavorative si è misurato l’impiego del lavoro con l’occupazione media (la media degli occupati registrati in diversi momenti dell’anno). L’impiego di capitale è stato misurato con il valore delle immobilizzazioni materiali, nel bilancio d’impresa, deflazionato con un indice dei prezzi dei macchinari ed impianti. Questa procedura deflattiva è accettabile se la struttura per età dei beni capitali è stabile e le variazioni dei prezzi di mercato dei nuovi beni capitali non sono forti. Sarebbe stato preferibili aggiungere al capitale materiale anche quello immateriale, costituito dal patrimonio di conoscenze accumulato dall’impresa attraverso la R&S o l’acquisto di brevetti o il learning by doing o la migliore qualità dei nuovi beni capitali, quando essa non sia riflessa nei loro prezzi, o altro ancora. Ma questi valori costituiscono solo una parte, non facilmente separabile se non impossibile da separare all’interno delle immobilizzazioni immateriali. Inoltre, il valore di queste varia talvolta in maniera improvvisa e cospicua, come quando si verificano rivalutazioni del patrimonio netto, in occasione di cambiamenti di proprietà. Il ricorso al totale dell’attivo, una misura abbastanza comune, soffre dello stesso problema, aggravato dal fatto che esso include anche attività finanziarie la cui dinamica ha ben poco a che fare con la dinamica dell’input di capitale. Produttività del lavoro e produttività totale. La (3)’’ fornisce una scomposizione del tasso di crescita del prodotto nelle quote attribuibili al tasso di crescita del capitale α(t) (1 - α(t)) e della produttività totale, , del lavoro . Una scomposizione simile usata anche più frequentemente coinvolge la produttività del lavoro: y = Y/L. Ponendo k = K/L per il rapporto capitale per lavoratore, si ottiene facilmente dalla (3)’’ la seguente: ≈ + α(t) (4) La (4) ci dice che il tasso di crescita della produttività del lavoro può essere scomposto in una quota, , imputabile al tasso di crescita della produttività totale ed in un’altra quota, α(t) , imputabile al tasso di crescita del capitale per addetto. Occupazione. Nel periodo 2001-2007 gli occupati nelle imprese di ISP-19 sono diminuiti di circa il 23% passando da poco meno di 18.000 a poco più di 13.500 (vedi figura 4.1). Il calo dell’occupazione 75 ha caratterizzato le imprese di ciascun gruppo proprietario, anche se è stato proporzionalmente più contenuto nel gruppo con proprietari stranieri (vedi Tabella 4.7). Inoltre, la caduta dell’occupazione ha riguardato solo le grandi imprese, mentre le PMI hanno complessivamente registrato un aumento dell’occupazione, concentrato tra il 2004 ed il 2007, di 168 unità o quasi il 20% Figura 4.1 Occupati delle imprese ISP-19: 2001-2007 20.000 18.000 16.000 14.000 12.000 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0 17.714 14.238 2001 13.555 2004 2007 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Tabella 4.7 Distribuzione dell’occupazione per proprietari: ISP-19, 2001-2007 2001 Proprietari 2004 2007 Finmeccanica 4.030 3.153 3.129 Thales Alenia Space 2.791 1.476 2.073 Altri gruppi stranieri 6.461 5.397 5.704 Gruppi o privati italiani 4.432 4.212 2.649 17.714 14.238 13.555 Totale % 2001 2004 2007 Finmeccanica (*) 22,8 22,1 23,1 Thales Alenia Space (**) 15,8 10,4 15,3 Altri gruppi stranieri 36,5 37,9 42,1 Gruppi o privati italiani 25,0 29,6 19,5 100 100 100 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. 76 Tabella 4.8 Distribuzione dell’occupazione per classi dimensionali: ISP-19, 2001-2007 Classi Dimensionali ‹ 250 ≥ 250 (*) Totale ‹ 250 ≥ 250 (*) Totale 2001 2004 853 855 16.861 13.383 17.714 14.238 Numeri indice 100 100 100 79 100 80 2007 1.021 12.534 13.555 120 74 77 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Capitale reale. La contrazione del 23% dell’occupazione dell’ISP-19 nel 2001-2007 è stata accompagnata da una contrazione dello stock di capitale reale di poco più del 10% , concentrata nel 2004-2007 (vedi tabella 4.9). Di nuovo si osserva che la riduzione del capitale ha riguardato solo le grandi imprese (- 12%), mentre lo stock di capitale investito dalle PMI è aumentato dell’80%. La risultante tendenza del capitale reale per occupato nell’ISP-19 mostra una crescita del 16,8 % , che è la risultante di una crescita del 50% del capitale per occupato del gruppo delle PMI e del 18,6 % del gruppo delle grandi imprese (vedi tabella 4.10). Tabella 4.9 Distribuzione del capitale reale per classi dimensionali: ISP-19, 2001-2007 Classi dimensionali 2001 2004 2007 < 250 dip. 8.216.308 11.610.238 14.799.990 ≥ 250 dip. (*) 593.902.491 590.218.141 523.451.776 Totale 602.118.798 601.828.379 538.251.767 Numeri indici < 250 dip. 100 141 180 ≥ 250 dip. (*) 100 99 88 Totale 100 100 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. 89 Tabella 4.10 Capitale reale per lavoratore: ISP-19, 2001-2007 Classi dimensionali ‹ 250 ≥ 250 Totale ‹ 250 ≥ 250 Totale 2001 9.632 35.223 33.991 Numeri indici 100 100 100 77 2004 13.579 44.102 42.269 2007 14.496 41.763 39.709 141 125 124 150 119 117 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Valore reale della produzione: totale e per occupato. L’andamento del valore reale della produzione delle imprese ISP_19 nel 2001-2007 è sostanzialmente in linea con quello dell’occupazione (vedi figura 4.2 e tabella 4.11). Vale però la pena notare che l’incremento di questo valore per le PMI nell’arco dei sei anni è stato più modesto (6%) di quello dell’occupazione (20%), mentre al contrario per le grandi imprese il decremento dell’occupazione (-26%) è stato maggiore del decremento del valore della produzione (- 21%). Di conseguenza il valore reale della produzione per occupato, una possibile misura della produttività del lavoro, ha registrato nel periodo in esame un leggero incremento (5%) per le grandi imprese ed una contenuta contrazione per le PMI (- 11%) (vedi tabella 4.12). Figura 4.2 Valore reale della produzione : ISP-19, 2001-2007 4.000 3.500 3.430 3.000 2.766 2.743 2004 2007 2.500 2.000 1.500 1.000 500 0 2001 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Tabella 4.11 Distribuzione del valore reale della produzione (€) per classi dimensionali: ISP19, 2001-2007 Classi dimensionali 2001 2004 2007 < 250 dip. 81.890.800 102.567.490 86.784.406 ≥ 250 dip. (*) 3.347.891.880 2.663.646.672 2.655.871.132 Valore della produzione 3.429.782.681 2.766.214.162 2.742.655.539 Numeri indici < 250 dip. 100 125 106 ≥ 250 dip. (*) 100 80 79 Totale 100 81 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA 80 Tabella 4.12 Valore reale della produzione per occupato: ISP-19, 2001-2007 78 Classi dimensionali ‹ 250 ≥ 250 Totale 2001 96.003 198.558 193.620 ‹ 250 ≥ 250 Totale 2001 100 100 100 2004 119.962 199.032 194.284 Numeri indici 2004 125 100 100 2007 84.999 211.893 202.335 2007 89 107 105 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Valore aggiunto reale. Il valore aggiunto nominale è una misura dell’output al netto dei consumi di beni intermedi. Essa ha il vantaggio, rispetto al valore della produzione, di consentire confronti omogenei con gli output di altri settori o, al limite, con l’output nazionale (prodotto nazionale lordo) o interno (prodotto interno lordo) misurati nello stesso modo44. Il rapporto: valore aggiunto nominale/valore nominale della produzione dipende 45 negativamente : (i) dal rapporto tra le quantità di beni intermedi impiegate per ottenere un certo prodotto; e (ii) dal rapporto tra i prezzi dei primi ed il prezzo del secondo. Se gli elevati salari del lavoro altamente qualificato si traducono in un aumento del prezzo del bene prodotto, allora il rapporto prezzo dei beni intermedi/prezzo del prodotto diminuisce ed il rapporto valore aggiunto/valore della produzione ceteris paribus aumenta. Viceversa, se l’impresa attua una politica di outsourcing mantenendo costante il livello della produzione, allora il rapporto sub (i) diminuisce ed il valore aggiunto aumenta rispetto al valore della produzione. Per la ISP-19 il valore aggiunto reale è diminuito (-27%) in maniera più accentuata del valore reale della produzione (-20%)46 (vedi figura 4.3 e tabelle 4.13) ma questa tendenza aggregata nasconde due andamenti ben diversi per le PMI e le grandi imprese. Per le prime si registra una caduta del valore aggiunto reale del 17% a fronte di un incremento del valore reale della produzione del 6%, mentre per le seconde la caduta del valore aggiunto reale (44 Si ha infatti: (i) Fatturato non consolidato – fatturato di vendite di beni intermedi interne all’ISP = fatturato consolidato = Vendite ai clienti finali (commerciali ed istituzioni pubbliche)+ esportazioni verso altre ISP; e (ii) Fatturato consolidato – acquisti di beni intermedi non spaziali (inclusi quelli da altre ISP) = valore aggiunto ISP = ∑ valori aggiunti singole imprese. Questo è direttamente confrontabile con i valori aggiunti di altre industrie o, al limte, con il PIL (il valore aggiunto interno dell’intera economia) 45 Sia p il prezzo del prodotto e pM il prezzo dei consumi intermedi; y, la quantità prodotta ed x la quantità di beni intermedi impiegata. Sia infine VAN il valore aggiunto nominale. Si ha py = VAN + pM x; vale a dire (VAN/py) = 1 – (pM/p)(x/y). 46 Si ricordi che nel nostro esercizio stiamo deflazionando VAN e valore nominale della produzione con lo stesso deflattore. 79 28%) è stata solo un po’ più forte di quella del valore reale della produzione (-21%) (vedi tabella 4.13) Figura 4.3 Valore aggiunto reale di ISP-19: 2001-2007 (milioni €) 1.400 1.271 1.200 960 926 2004 2007 1.000 800 600 400 200 0 2001 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Tabella 4.13 Valore aggiunto reale per classi dimensionali: ISP-19 e 2001-2007 (€) Classi dimensionali ‹ 250 ≥ 250 Totale 2001 2004 2007 50.303.801 47.264.122 41.965.538 1.220.683.861 912.886.055 884.324.833 1.270.987.662 960.150.177 926.290.371 Numeri indici 2001 2004 2007 ‹ 250 100 94 83 ≥ 250 100 75 72 Totale 100 76 73 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Il calcolo del rapporto tra il valore aggiunto nominale e il valore nominale della produzione, presentato nella tabella 4.14, mostra una significativa differenza tra le PMI e le grandi imprese: nella media del periodo quel rapporto risulta pari al 52% per le PMI, mentre si assesta sul 34,7% per le grandi imprese. Questo dato non è sorprendente in considerazione del fatto che il ricorso ad input intermedi può essere per le PMI produttrici di parti ed equipaggiamenti minori (anche se in ISP-19 non mancano PMI che producono piccoli sistemi) meno importante che per le grandi imprese tipicamente assemblatrici di grandi sistemi o sub sistemi. 80 La tabella 4.14 mostra anche una generale tendenza alla diminuzione del rapporto tra valore aggiunto e valore della produzione ovvero un aumento del suo complemento ad uno: il rapporto tra valore degli acquisti di beni intermedi e valore della produzione. Tabella 4.14 Rapporti % tra valore aggiunto (nominale) e valore (nominale) della produzione: 2001-2007 Classi dimensionali ‹ 250 ≥ 250 Totale 2001 61,4 36,5 37,1 2004 46,1 34,3 34,7 2007 48,4 33,3 33,8 Media 2007/1998 52,0 34,7 35,2 Fonte: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Valore aggiunto reale per occupato. L’andamento di questa seconda misura della produttività del lavoro mostra per l’ISP-19 nel 2001-2007 una tendenza negativa inevitabilmente più accentuata47 di quella del valore reale della produzione per occupato: dalla tabella 4.15 si vede che il valore aggiunto reale per occupato è diminuito del 5% contro un aumento del 5% del valore reale della produzione. Il divario è stato molto più forte per le PMI: -30% contro -11%, di quanto lo è stato per le grandi: - 5 % contro 7%. Tabella 4.15 Valore aggiunto reale per occupato, per classi dimensionali: ISP-19, 2001-2007 (€) Classi Dimensionali ‹250 ≥ 250 Totale ‹250 ≥ 250 Totale 2001 58.973 74.156 71.750 2004 55.280 68.212 67.436 Indici 94 92 94 100 100 100 2007 41.022 70.554 68.326 70 95 95 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Valore aggiunto reale per unità di capital reale. La nostra scelta, dettata da necessità, di misurare il capitale reale con il valore reale delle immobilizzazioni materiali ci ha portati a sottostimarlo, perché con essa si trascurano le componenti immateriali del capitale, tra le quali 47 Vista la tendenza alla diminuzione del rapporto valore aggiunto/valore della produzione 81 per noi particolarmente importanti sono gli stock di R&S e le spese per l’acquisto di brevetti capitalizzate. Questo è un fattore che spiega perché, nella tabella 4.12, la produttività del capitale misurata in termini di valore aggiunto reale per addetto appare più alta di quanto non risulta a livello degli aggregati macroeconomici; o al contrario perché il suo reciproco, il rapporto capitale/prodotto, appaia più basso e in particolare minore di uno. D’altra parte l’inclusione nel capitale delle immobilizzazioni immateriali introduce, come si è notato nel Riquadro 4.2, delle episodiche rivalutazioni per avviamento, che danno luogo ad episodici e sproporzionati incrementi dello stock di capitale, come quello nella seconda riga dello specchietto 4.1, che non possono essere presi come realistici. Infine la scelta di identificare il capitale con l’attivo totale di bilancio, non è giustificabile a priori per il fatto che l’attivo include tutti i crediti lordi dell’impresa. Inoltre, nel nostro caso, i valori dell’attivo riportati nella terza colonna dello specchietto 4.1 porta a dei valori del rapporto capitale/prodotto attorno a 5 che sono manifestamente irrealistici. Argomentando su un terreno più sostanziale l’elevata produttività del capitale materiale nel settore spaziale può essere il riflesso dell’elevata produttività del lavoro altamente qualificato in quel settore che, in una corretta contabilità economica, dovrebbe tradursi in un elevato stock di capitale umano: la considerazione congiunta di un capitale complessivo, costituito dalla somma del nostro capitale materiale, del capitale immateriale e di quello umano dovrebbe riportare la produttività di questo capitale su livelli più bassi di quelli della tabella 4.12 e quindi più in linea con quelli dei settori dove è invece relativamente predominante il capitale materiale. Infine va notato che per il calcolo del tasso di variazione della produttività totale ciò che conta non sono in definitiva i valori assoluti delle grandezze del capitale (o del lavoro) ma i loro tassi di variazione: in altre parole se i dati, di serie storiche più lunghe di quella del nostro specchietto, si muovessero approssimativamente insieme nel tempo la scelta dell’una o dell’altra misura del capitale non farebbe differenza ai soli fini del calcolo della produttività totale. 82 Specchietto 4.1 Tre diverse misure del capitale reale per ISP-19: 2001-2007 (€) Immobilizzazioni materiali Immobilizzazioni materiali e immateriali Totale attivo 2001 602.118.798 882.829.026 2004 601.828.379 1.885.560.003 2007 538.251.767 2.445.904.963 5.164.293.788 5.414.677.991 5.236.384.887 NOTA: I dati della prima riga sono ottenuti con il deflatore indicato sopra nel testo, per il capitale reale. I dati della seconda e terza riga sono stati ottenuti con il deflatore STAN-OCSE dei prezzi alla produzione del settore “Other transport equipment” per l’Italia. I dati della tabella 4.16 mostrano una generale tendenza alla riduzione della produttività del capitale (all’aumento del rapporto capitale/prodotto), decisamente più accentuata per il gruppo delle PMI. 83 Tabella 4.16 Valore aggiunto reale per unità di capitale : ISP-19, 2001-2007 (€) Classi dimensionali ‹ 250 ≥ 250 Totale 2001 6,12 2,06 2,11 Numeri indici 100 100 100 ‹ 250 ≥ 250 Totale 2004 4,07 1,55 1,60 2007 2,83 1,67 1,72 67 75 76 46 81 82 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. Produttività totale dei fattori (PTF-1). Il calcolo di PTF-1 per l’ISP-19 richiede (i) la compilazione delle serie storiche, per t = 2001,…, 2007, del lavoro, L, capitale reale, K, e valore aggiunto reale, Y, per ogni impresa e per l’aggregato; (ii) il calcolo dei relativi tassi annui di variazione proporzionale di quelle grandezze; e (iii) la compilazione per ogni impresa e per l’aggregato delle serie storiche della quota del costo del lavoro sul valore aggiunto nominale, α(t) , e del suo complemento ad uno, 1- α(t), che viene ad essere la quota della remunerazione del capitale investito nell’impresa. I valori di α(t) e 1- α(t) ci forniscono i pesi da assegnare rispettivamente ai tassi di crescita del capitale reale e del lavoro per calcolare infine il tasso di crescita della PTF, secondo la formula (3)’’ del riquadro 4.1. Riportiamo qui quella formula per comodità di lettura: = - α(t) -(1 - α(t)) + α(t) + (1 - α(t)) (*); e riscriviamola nel seguente modo: = (**) La (**) è una formula che scompone il tasso di crescita della produzione reale dell’ISP-19 in tre componenti: (i) α(t) (ii) (1 - α(t)) (iii) , che riflette l’accumulazione del capitale reale; , che riflette l’aumento del lavoro impiegato; e , che riassume tutte le fonti della crescita non riconducibili alla crescita dei fattori produttivi, con in testa il progresso tecnologico, che per il momento può essere 84 inteso nella sua forma di innovazione di processo, o di nuove forme di organizzazione, ma che articolando appropriatamente la funzione di produzione su cui si basano le (*) o (**), può includere anche progresso tecnico generato da investimenti in R&S. Un altro fattore che può avere molto influenza sulla PTF è quello del miglioramento dell’efficienza con cui operano le imprese del settore, quando queste siano inefficienti nel senso che non ottengono il massimo output possibile dalle quantità di lavoro e capitale reale impiegate. Anche questa situazione può essere trattata soddisfacentemente solo riformulando opportunamente il modello. Nella presente ricerca, per limiti di tempo abbiamo calcolato solo i dati per i tre anni usati nelle tabelle di questa sezione. Di conseguenza abbiamo usato una versione della (*) nella quale i tassi di variazione sono solo due e triennali: 2004 su 2001 e 2007 su 2004, mentre le quote relative del lavoro sono quelle dei due anni iniziali: α(2001) e α(2004.) Riportiamo qui i risultati per l’intera ISP-19, per la quale si ha α(2001) = 0,37 α(2004) = 0,32. I valori dei due tassi di crescita di PTF sono: - 12% tra il 2001 e 2004; e 3% tra il 2004 e 2007. Ponendo uguale a 100 il livello di PTF nel 2001 si ottiene l’indice della PTF per il 2001-2007: 100 nel 2001, 88 nel 2004 e 91 nel 2007. La figura 4.4 confronta l’indice della PTF con quelli delle produttività del lavoro e del capitale reale, già calcolati, evidenziando che la PTF è effettivamente una media delle produttività parziali dei fattori capitale reale e lavoro. Figura 4.4 Produttività del lavoro (Y/L), del capitale (K/L) e produttività totale dei fattori (A): ISP-19, 2001-2007 (numeri indici) 85 110 100 Y/L 90 A Y/K 80 70 60 50 2001 2004 2007 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. La figura 4.4 da un’indicazione che da un lato ribadisce e dall’altro approfondisce quelle che abbiamo già avuto dalla tabella 3.4 relativa alla produttività del lavoro dell’ISP come definita da ASDEUROSPACE: la tendenza negativa della produttività del lavoro ha un suo reale fondamento nella tendenza negativa della PTF e segnala così un problema per l’ISP-19 di attivare quei fattori (R&S, innovazione organizzativa, e altri) che sostengono la sua crescita. L’individuazione effettiva di quali sono i fattori veramente rilevanti, richiede uno studio del settore ISP italiano, più approfondito e dettagliato di quanto non sia l’analisi della PTF. Nell’ambito di questa analisi è tuttavia possibile un marginale approfondimento, usando semplicemente la formula (4) del riquadro 4.1, che qui riscriviamo per comodità del lettore: + (t) (4) La (4) permette di guardare alla stessa realtà descritta dalla (3)’’ in modo diverso, scomponendo il tasso di crescita della produttività del lavoro, y = Y/L, nel contributo del tasso di crescita della PTF ed in quello del tasso di crescita del capitale per occupato, k = K/L, cioè del grado d’intensificazione dell’intensità di capitale. La figura 4.5 riporta i dati ottenuti con la (4) in numeri indici e mostra come l’effetto positivo che l’incremento dell’intensità di capitale nel 2001-2007 dovrebbe avere avuto sulla produttività del lavoro, è stato annullato dalla tendenza negativa dei fattori che stanno alla base della PTF. Figura 4.5 Produttività del lavoro (Y/L), rapporto capitale lavoro (K/L) e produttività totale dei fattori (A): ISP-19, 2001-2007 (numeri indici) 86 130 120 K/L 110 100 Y/L 90 A 80 70 60 50 2001 2004 2007 FONTE: Nostre elaborazioni su dati di bilancio aziendali e banca dati AIDA. La contrazione del 12 % della PTF nel 2001-2004, imputabile ad una caduta dell’occupazione del 20%, in presenza di una costanza del capitale reale, riflette sostanzialmente la difficoltà dell’ISP di adattarsi alla forte caduta della domanda di quel periodo (- 24%). Il corrispondente incremento del rapporto capitale reale/lavoro non va quindi inteso come un cambiamento nella vera e propria tecnica produttiva, ma semplicemente come una diminuzione del grado di utilizzazione del capitale più forte di quella del lavoro. Il fatto che nel 2004-2007, la PTF sia aumentata ad un tasso elevato (3,1%) ma assai inferiore al tasso di caduta nel periodo precedente, riflette invece il prolungarsi del processo di riduzione degli input ( - 11% del capitale reale e – 5 % del lavoro) a fronte di una perdurante riduzione dell’ouput del 3,5%. Produttività totale dei fattori (PTF-2). Il calcolo di PTF-2 si svolge in maniera del tutto analoga al precedente calcolo di PTF-1 partendo dalla formula (1) del riquadro 4.1 invece che dalla (2). Questo secondo calcolo dovrebbe dare una misura più accurata della crescita della PTF se la misura aggregata degli input intermedi non desse indicazioni troppo distorte sull’evoluzione nel tempo delle sue componenti piuttosto eterogenee (energia, servizi, materie prime, ecc.). A priori l’inclusione di un nuovo input nella funzione di produzione e la simultanea inclusione del suo valore nell’output ha un effetto di seno indeterminato sul tasso di crescita della produttività, in funzione non solo dei nuovi valori dei parametri ma anche degli effettivi tassi di crescita degli input e dell’output. Nel nostro caso, come indicato nella tabella 4.13, si ottiene per l’ISP-19 una caduta leggermente minore della PTF. 87 Tabella 4.13 Numeri indice della produttività totale dei fattori nelle versioni PTF-1 (valore aggiunto, lavoro e capitale reale) e PTF-2 (valore della produzione, lavoro, capitale reale e acquisti reali di beni intermedi) 2001 2004 2007 PTF - 1 100 88 91 PTF - 2 100 95 94 FONTE: Tabella 1 dell’appendice a questo capitolo. Conclusione generale. I risultati della nostra analisi della PTF dell’industria spaziale italiana evidenziano come, nel periodo in esame, essa sia stata determinata dal fattore tipicamente congiunturale del grado di utilizzazione delle risorse produttive. Per individuare i fattori di lungo periodo che incidono sulla PTF (R&S, qualità del lavoro, ecc.) è necessario disporre di serie temporali più lunghe delle nostre. Il risultato da noi trovato mostra comunque, pur con tutte le forzature delle ipotesi su cui si basa, imposte in parte da esigenze di semplicità teorica ed in parte dalla mancanza dei dati empirici necessari, l’importanza dell’approfondimento delle varie componenti della PTF, come primo passo verso ricerche empiriche più approfondite. La stima empirica del trend della PTF costituisce inoltre il presupposto per la verifica empirica delle sue spiegazioni in termini di grandezze rilevanti, come l’intensità della R&S (rapporto tra spesa per R&S e valore della produzione), la qualità del lavoro (rapporto laureati su totale degli occupati, ecc.), la capacità competitività (segnalata nel caso dell’ISP dalle sue quote di mercato commerciale o estero), il grado di utilizzazione delle risorse produttive e possibilmente altri. Dobbiamo infine ribadire che per la stima della PTF con il metodo sopra seguito non è necessario che i dati soddisfino i requisiti necessari per la sua stima, teoricamente superiore, ottenuta come sottoprodotto di una stima della funzione di produzione. Tuttavia il limitato numero d’imprese (19) e di anni (3) da noi utilizzati potrebbero fare pensare che i risultati ottenuti possano comunque essere “instabili”. La precedente tabella 4.13 dà in merito un’indicazione rassicurante, mostrando come il risultato non vari sostanzialmente con aggiustamenti delle ipotesi teoriche. Il calcolo della PTF a livello d’impresa (vedi appendice al capitolo) rafforza questa conclusione, mostrando che i valori degli indici delle due versioni della PTF presentano una buona correlazione positiva. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 88 Graziola G e Parazzini S. S. (2006), L’industria aerospaziale tra militare e civile all’inizio del Terzo millennio, Vita & Pensiero, Milano; Graziola G. e Parazzini S. S. (2009), L’industria aerospaziale italiana 1998-2007: una costruzione empirica, MIMEO. 89 APPENDICE AL CAPITOLO 4 – DATI SULLE IMPRESE ITALIANE CON PRODUZIONI SPAZIALI PER IL CALCOLO DELLA PRODUTTIVITA’ In questa appendice si riportano, sotto forma di schede i dati sulle variabili necessarie per il calcolo della produttività totale dei fattori (PTF) delle 20 imprese italiane, le cui attività spaziali costituiscono l’industria spazuiale italiana (ISP-20). I dati riguardano tre anni (2001, 2004 e 2007) per tutte le imprese, tranne che per Galileo Avionica, per le ragioni indicate sopra nel testo. Di conseguenza la scheda che riporta i dati aggregati utilizzati per il calcolo della PTF riguarda 19 imprese che costituiscono l’aggregato ISP-19. I dati e le elaborazioni sugli stessi per il calcolo della PTF sono suddivisi in quattro gruppi. Il primo gruppo di dati comprende informazioni sugli input: lavoro, capitale, beni intermedi. Il secondo gruppo è composto di dati relativi agli output, ovvero valore della produzione e valore aggiunto. Il terzo gruppo fornisce i dati sulla produttività dei fattori della produzione (lavoro e capitale), e relativi indici. Infine, il quarto gruppo di dati comprende due differenti misure per la produttività totale dei fattori (PTF). I dati sull’occupazione e i valori nominali di capitale, beni intermedi, valore della produzione e valore aggiunto sono tratti dai bilanci delle imprese, consultati per mezzo della banca dati on line AIDA (Analisi informatizzata delle aziende) pubblicata dal Bureau Van Dijk. Il numero degli occupati è, di norma, da intendersi come numero medio per ciascun anno o, se non disponibile, il numero dei dipendenti al 31/12; nei pochi casi in cui nessuno di questi dati fosse disponibile si è fatta una stima in base al numero dei dipendenti negli anni precedenti o successivi e al costo del personale. Il valore del capitale è dato dalle immobilizzazioni materiali, mentre i beni intermedi risultano dalla differenza tra valore della produzione e valore aggiunto. I deflatori utilizzati per calcolare il valore reale (a prezzi 2000) del capitale, dei beni intermedi e degli output sono tratti dalla banca dati STAN (Structural Analysis Database) dell’OCSE (ed. 2008), relativi all’Italia. In particolare, per il capitale è stato utilizzato il deflatore PRDP (deflatore della produzione) di “Machinery and Equipment”; per i beni intermedi, il valore della produzione e il valore aggiunto, rispettivamente, i deflatori: INTP (deflatore dei beni intermedi), PRDP (deflatore della produzione) e 90 VALP (deflatore del valore aggiunto) del settore “Other transport equipment”, nel quale è compresa la produzione aerospaziale. Va precisato che, per il 2007, mancando il dato del deflatore della produzione per l’Italia, esso è stato stimato in base all’andamento degli anni precedenti e in base all’andamento del deflatore del valore aggiunto. La PTF è stata calcolata in due modi differenti, denominati PTF 1 e PTF 2. Il tasso di variazione della PTF 1 è data dalla differenza tra il tasso di variazione del valore aggiunto (in termini reali) e i tassi di variazione ponderati del fattore lavoro e del fattore capitale (in termini reali), come sopra definiti. Il tasso di variazione della PTF 2 è data dalla differenza tra il tasso di variazione del valore (reale) della produzione e i tassi di variazione ponderati del fattore lavoro, del fattore capitale (in termini reali) e degli acquisti intermedi (reali). La ponderazione è stata fatta, per la PTF 1, calcolando il peso del lavoro (1-α) come rapporto tra il costo del personale e il valore aggiunto, e il peso del capitale (α).come il rapporto tra reddito lordo del capitale (valore aggiunto – costo del personale) e valore aggiunto. Nel calcolo della PTF 2, invece, il peso del lavoro (1-α - β) è dato dal rapporto tra il costo del personale e il valore della produzione, il peso dei beni intermedi (β) è dato dal rapporto tra gli acquisti intermedi (= valore della produzione – valore aggiunto) e valore della produzione, ed il peso del capitale (α) è dato dal rapporto tra reddito lordo del capitale (valore aggiunto – costo del personale) e valore della produzione. 91 ISP-19 2001 Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice 2004 2007 17.714 612.354.818 602.118.798 14.238 625.299.686 601.828.379 13.555 592.076.944 538.251.767 33.991 42.269 39.709 2.258.782.184 2.001.118.896 2.542.911.234 2.182.398.245 1.832.526.462 1.860.110.997 3.501.808.117 3.064.965.292 3.839.717.754 3.429.782.681 2.766.214.162 2.742.655.539 1.243.025.933 1.270.987.662 1.063.846.396 960.150.177 1.296.806.520 926.290.371 0,35 0,35 0,34 71.750 100 67.436 94 68.336 95 2,11 100 1,60 76 1,72 82 0,37 0,32 0,40 100 -0,12 88 0,03 91 100 -0,05 95 -0,01 94 92 Aerostudi SpA 2001 Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice 2004 Alenia SIA SpA 2007 2001 2004 2007 44 25 20 272 291 321 1.147.330 1.128.151 1.210.530 1.165.091 833.976 758.160 170.778 167.923 260.823 251.033 308.000 280.000 25.640 46.604 37.908 617 863 872 2.018.963 1.042.218 1.486.692 3.912.587 6.847.172 4.265.000 1.950.689 954.412 1.129.705 3.780.277 6.270.304 3.240.881 4.172.686 3.190.631 69.466 21.254.533 24.829.229 24.791.000 4.086.862 2.879.631 49.619 20.817.368 22.409.051 17.707.857 2.153.723 2.148.413 -1.417.226 17.341.946 17.982.057 20.526.000 2.202.171 1.939.001 -1.012.304 17.732.051 16.229.293 14.661.429 0,52 0,67 -20,40 0,82 0,72 0,83 50.049 100 77.560 155 -50.615 -101 65.191 100 55.771 86 45.674 70 1,95 100 1,66 85 -1,34 -68 105,60 100 64,65 61 52,36 50 0,24 0,35 1,52 0,22 0,16 0,21 100 0,20 120 -1,27 -32 100 -0,25 75 -0,20 60 100 -0,13 87 -0,85 13 100 -0,03 97 -0,29 70 93 Aurelia Microelettronica Srl 2001 Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice 2004 AVIO SpA 2007 17 9 25 2001 5.226 109.906 108.069 31.760 30.568 15.745 14.314 195.419.000 192.152.409 277.680.000 267.256.978 297.383.000 270.348.182 6.357 3.396 573 36.769 60.990 57.338 511.417 506.825 996.954 899.538.000 718.668.000 1.114.325.000 494.123 464.125 757.564 869.118.841 658.120.879 846.751.520 1.455.100 1.536.519 1.323.816 1.383.913.000 1.081.337.000 1.634.170.000 1.425.171 1.386.750 945.583 1.355.448.580 975.935.921 1.167.264.286 943.683 1.029.694 326.862 484.375.000 362.669.000 519.845.000 964.911 929.327 233.473 495.270.961 327.318.592 371.317.857 0,65 0,67 0,25 0,35 0,34 0,32 56.759 100 103.259 182 9.339 16 94.771 100 74.696 79 78.752 83 8,93 100 30,40 340 16,31 183 2,58 100 1,22 48 1,37 53 0,52 0,61 0,15 0,55 0,44 0,56 100 0,56 156 -1,13 -20 100 -0,48 52 0,09 56 100 0,41 141 -0,57 60 100 -0,31 69 0,18 81 94 2004 4.382 2007 4.715 CAEN Aerospace Srl 2001 Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice 2004 Carlo Gavazzi Space SpA 2007 2001 2004 2007 12 17 17 194 172 177 79.650 78.319 54.112 52.081 5.662 5.147 1.038.032 1.020.680 5.408.249 5.205.244 10.973.269 9.975.699 6.527 3.064 303 5.261 30.263 56.360 316.638 882.136 320.904 8.858.479 23.609.598 29.133.777 305.930 807.817 243.848 8.558.917 21.620.511 22.138.128 713.078 1.465.832 859.240 15.776.117 34.445.131 41.464.739 698.411 1.322.953 613.743 15.451.633 31.087.663 29.617.671 396.440 583.696 538.336 6.917.638 10.835.533 12.330.962 405.358 526.801 384.526 7.073.249 9.779.362 8.807.830 0,56 0,40 0,63 0,44 0,31 0,30 33.780 100 30.988 92 22.619 67 36.460 100 56.857 156 49.762 136 5,18 100 10,12 195 74,70 1443 6,93 100 1,88 27 0,88 13 0,22 0,23 0,14 0,19 0,24 0,20 100 0,05 105 -0,07 98 100 -0,29 71 -0,34 47 100 0,74 174 -0,46 95 100 0,74 174 -0,12 153 95 CESI SpA Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice 2001 1.245 2004 Dataspazio SpA 2007 2001 2004 2007 942 558 47 49 48 43.482.538 42.755.691 52.142.866 50.185.627 34.089.743 30.990.675 57.672 56.708 77.679 74.763 49.742 45.220 34.342 53.276 55.539 1.207 1.526 942 51.524.715 42.904.551 25.134.558 1.503.581 2.409.520 3.302.758 49.782.333 39.289.882 19.099.208 1.452.735 2.206.520 2.509.695 123.752.900 119.317.525 78.916.818 4.224.439 5.224.408 5.902.159 121.207.542 107.687.297 56.369.156 4.137.550 4.715.170 4.215.828 72.228.185 76.412.974 53.782.260 2.720.858 2.814.888 2.599.401 73.852.950 68.964.778 38.415.900 2.782.063 2.540.513 1.856.715 0,58 0,64 0,68 0,64 0,54 0,44 59.320 100 73.211 123 68.846 116 59.193 100 51.847 88 38.682 65 1,73 100 1,37 80 1,24 72 49,06 100 33,98 69 41,06 84 0,29 0,25 0,32 0,20 0,08 0,00 100 0,06 106 -0,04 101 100 -0,18 82 -0,22 64 100 -0,04 96 -0,22 75 100 0,10 110 -0,08 102 96 Elsag Datamat SpA Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice Galileo Avionica SpA 2001 2.131 57.222.374 56.265.854 2004 1.662 46.807.229 45.050.269 2007 1.653 45.080.154 40.981.958 26.403 27.106 224.907.128 ‐ ‐ ‐ 2004 3.204 78.544.900 75.596.631 2007 3.185 25.927.231 23.570.210 24.792 ‐ 23.594 7.400 207.727.703 306.330.438 ‐ 331.590.567 320.778.891 217.301.573 190.226.834 232.773.889 ‐ 303.654.365 243.752.957 342.921.246 328.213.060 506.041.716 - 592.496.402 617.667.291 335.868.018 296.221.173 361.458.369 - 534.744.045 441.190.922 118.014.118 120.485.357 199.711.278 - 260.905.835 296.888.400 120.668.832 108.741.297 142.650.913 - 235.474.580 212.063.143 0,34 0,37 0,39 - 0,44 0,48 56.625 100 65.428 116 86.298 152 - 73.494 100 66.582 91 2,14 100 2,41 113 3,48 162 - 3,11 100 9,00 289 0,19 0,20 0,33 - 0,34 0,43 100 0,12 112 0,33 149 - 100 0,14 114 100 -0,04 96 0,23 118 - 100 -0,07 93 97 2001 IRCA SpA Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice Microtecnica Srl 2001 1.312 47.288.388 46.497.923 2004 1.344 46.066.394 44.337.242 2007 858 38.162.710 34.693.373 789 17.913.739 17.614.296 656 17.915.129 17.242.665 624 12.823.988 11.658.171 35.440 32.989 40.435 22.325 26.285 18.683 126.651.704 151.268.276 186.539.628 54.341.372 70.895.856 84.066.284 122.368.796 138.524.062 141.747.438 52.503.741 64.922.945 63.880.155 197.792.331 218.937.903 248.673.226 92.147.310 102.500.805 129.973.134 193.724.124 197.597.385 177.623.733 90.252.018 92.509.752 92.837.953 71.140.627 67.669.627 62.133.598 37.805.938 31.604.949 45.906.850 72.740.927 61.073.671 44.381.141 38.656.378 28.524.322 32.790.607 0,36 0,31 0,25 0,41 0,31 0,35 55.443 100 45.442 82 51.726 93 48.994 100 43.482 89 52.549 107 1,56 100 1,38 88 1,28 82 2,19 100 1,65 75 2,81 128 0,24 0,32 0,41 0,32 -0,01 0,35 100 -0,17 83 0,04 87 100 -0,14 86 0,20 103 100 0,02 102 0,00 101 100 0,07 107 0,02 109 98 2001 2004 2007 Next Ingegneria dei Sistemi SpA 2001 Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice 2004 Rheinmetall Italia SpA 2007 2001 2004 2007 81 124 174 407 335 340 54.026 53.123 122.926 118.312 209.868 190.789 2.692.639 2.647.629 2.688.467 2.587.552 2.168.820 1.971.655 656 954 1.096 6.505 7.724 5.799 821.552 2.016.332 3.289.585 28.255.381 39.340.963 52.246.548 793.770 1.846.458 2.499.685 27.299.885 36.026.523 39.701.024 3.469.773 7.402.850 12.563.007 49.184.720 65.464.110 75.253.774 3.398.406 6.681.273 8.973.576 48.173.085 59.083.132 53.752.696 2.648.221 5.386.518 9.273.422 20.929.339 26.123.147 23.007.226 2.707.792 4.861.478 6.623.873 21.400.142 23.576.847 16.433.733 0,76 0,73 0,74 0,43 0,40 0,31 33.430 100 39.205 117 38.068 114 52.580 100 70.379 134 48.335 92 50,97 100 41,09 81 34,72 68 8,08 100 9,11 113 8,33 103 0,14 0,16 0,18 0,28 0,30 0,16 100 0,17 117 -0,07 108 100 0,23 123 -0,24 94 100 0,47 147 0,02 151 100 0,28 128 -0,07 120 99 Space Engineering SpA 2001 Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice 2004 Space Software Italia SpA 2004 2007 54 200.408 197.058 51 113.689 109.422 2007 56 125.705 114.277 93 5.410.374 5.319.935 93 4.738.826 4.560.949 158 3.648.447 3.316.770 3.649 2.146 2.041 57.204 49.042 20.992 821.552 2.016.332 3.289.585 4.144.863 3.950.554 -49.721 4.326.730 4.354.665 5.846.981 4.004.699 3.617.723 -37.782 9.089.717 8.851.941 11.244.775 10.015.779 9.712.493 7.586.705 8.902.759 7.989.116 8.031.982 9.809.774 8.765.788 5.419.075 4.762.987 4.497.276 5.397.794 5.870.916 5.761.939 7.636.426 4.870.130 4.058.913 3.855.567 6.002.982 5.200.306 5.454.590 0,52 0,51 0,48 0,59 0,59 1,01 90.188 100 79.587 88 68.849 76 64.548 100 55.917 87 34.523 53 24,71 100 37,09 150 33,74 137 1,13 100 1,14 101 1,64 146 0,14 0,12 0,16 0,23 0,20 0,09 100 -0,06 94 -0,14 81 100 -0,10 90 -0,46 49 100 -0,05 95 -0,04 91 100 -0,09 91 -0,68 29 100 2001 Telespazio SpA Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice 2001 1.487 88.511.870 87.032.321 2004 1.058 55.914.131 53.815.333 58.529 Thales Alenia Space Italia SpA 2007 949 44.976.267 40.887.515 2001 2.339 119.106.514 117.115.550 2004 1.476 110.467.099 106.320.596 2007 2.073 97.556.938 88.688.125 50.865 43.085 50.071 72.033 42.783 215.981.928 2.016.332 3.289.585 313.308.278 412.650.862 400.535.272 425.398.437 189.321.257 164.120.006 302.713.312 377.885.405 304.358.109 542.891.127 300.592.422 318.725.091 467.461.563 528.087.128 577.948.971 531.724.904 271.292.800 227.660.779 457.846.781 476.612.931 412.820.694 102.603.745 93.853.609 102.743.163 154.153.285 115.436.266 177.413.699 104.911.805 84.705.423 73.387.974 157.620.946 104.184.356 126.724.071 0,19 0,31 0,32 0,33 0,22 0,31 70.553 100 80.062 113 77.332 110 67.388 100 70.586 105 61.131 91 1,21 100 1,57 131 1,79 149 1,35 100 0,98 73 1,43 106 0,35 0,35 0,42 0,22 0,31 0,26 100 0,13 113 0,02 115 100 -0,03 97 -0,01 96 100 -0,41 59 -0,11 52 100 0,14 114 -0,18 93 101 Top-Rel Srl 2001 Occupati Capitale nominale Capitale reale Capitale reale per occupato Valore (nominale) dei beni intermedi Valore reale dei beni intermedi Valore (nominale) della produzione Valore reale della produzione Valore aggiunto nominale Valore aggiunto reale Valore (nominale) aggiunto / Valore (nominale) della produzione Valore aggiunto reale per occupato Numero indice Valore aggiunto reale per unità di capitale reale Numero indice Quota del reddito da capitale nel valore (nominale) aggiunto Tasso di variazione della PTF 1 Numero indice Tasso di variazione della PTF 2 Numero indice Vitrociset SpA 2004 2007 39 87.809 86.341 24 44.443 42.775 25 109.576 99.615 2001 1.473 31.969.368 31.434.973 2.214 1.782 3.985 21.341 2.239 4.231 11.911.167 15.657.112 14.153.486 60.799.432 89.647.740 95.005.162 11.508.374 14.338.015 10.754.929 58.743.413 82.095.000 72.192.372 13.439.285 16.985.745 15.693.262 168.289.421 206.870.560 148.516.855 13.162.865 15.330.095 11.209.473 164.828.032 186.706.282 106.083.468 1.528.118 1.328.633 1.539.776 107.489.989 117.222.820 53.511.693 1.562.493 1.199.127 1.099.840 109.907.964 105.796.769 38.222.638 0,11 0,08 0,10 0,64 0,57 0,36 40.064 100 49.964 125 43.994 110 74.615 100 69.239 93 50.030 67 18,10 100 28,03 155 11,04 61 3,50 100 30,92 884 11,83 338 0,33 0,16 0,05 0,27 0,28 0,14 100 0,19 119 -0,33 80 100 0,17 117 -0,27 86 100 0,20 120 -0,29 85 100 0,26 126 -0,22 98 102 2004 1.528 3.555.334 3.421.881 2007 764 3.555.334 3.232.122 CAPITOLO 5. LE ISTITUZIONI E LE POLITICHE SPAZIALI EUROPEE La componente pubblica della domanda per l’ISP europea è sempre stata e resta ancora, nonostante la recente ripresa della sua componente commerciale, quella predominante, rappresentando un 3/5 della domanda complessiva nel 2007 (vedi tabella 3.6). Ciò fa si che le politiche spaziali europee della domanda abbiano giocato e giochino un ruolo determinante nello sviluppo di quell’industria. Nella sezione 5.1 viene offerta una breve rassegna storica di quelle politiche e del ruolo giocato dall’ESA, dalla Commissione europea e dai governi nazionali, con quello francese in primo piano, nei loro sviluppi. Il tema che emerge è l’ampiezza dello spettro delle politiche spaziali europee, che vanno dalla promozione dello sviluppo industriale e dal soddisfacimento di precise domande di beni privati (TV satellitare, ecc.) e pubblici (tutela dell’ambiente, ecc.) alla promozione della ricerca scientifica e dell’esplorazione spaziale. Nel complesso si può dire che le politiche spaziali europee hanno cercato di procedere sui binari paralleli degli investimenti spaziali coi piedi per terra (se così si può dire!) mirati a specifici rendimenti economici e di quelli motivati da una visione più ampia e di lungo periodo, che vede nel progresso della conoscenza il fattore di fondo, indispensabile per i futuri progressi della tecnologia. La sezione 5.2 offre invece, attraverso l’esame della politica e dell’industria spaziale del Regno Unito, un esempio importante di un approccio allo spazio user-driven, che punta alla promozione di attività industriali rivolte a ben precise domande dei mercati. Si tratta di un esempio di successo che si è manifestato non solo nelle posizioni di eccellenza internazionale raggiunte da varie imprese nella produzione di satelliti, ma anche e soprattutto nella crescita e vitalità del settore downstream dei loro servizi”. In un paragrafo metodologico della sezione 5.2 si discute fra l’altro della logica economica delle scelte pubbliche che può portare a sostenere programmi d’investimento (non giustificati da un calcolo diretto di mercato) senza il supporto di convincenti analisi e fatti economici. Da ciò non segue la conclusione di abbandonare quel tipo di investimenti, ma ne segue invece l’esigenza di giustificarli con argomenti il più possibile convincenti. E’ questo un tema centrale della presente ricerca sul quale torneremo nella parte II. 103 5.1 LE GRANDI LINEE DELLE POLITICHE SPAZIALI EUROPEE 5.1.1 Introduzione Durante l’arco dell’ultimo cinquantennio, periodo nel quale si è iniziata una pianificazione strategica dello studio, dell’esplorazione finalizzata ad uno specifico utilizzo – fosse esso politico, economico o tecnologico – dello Spazio, si è passati da una concezione di Spazio di tipo esclusivo, ad una concezione di Spazio inclusivo e condiviso. Quella di “Spazio esclusivo” fu una categoria tipica del periodo della Guerra Fredda. Allora lo “spazio” rappresentava un’area di scontro, sia in termini di propaganda, ovvero di supremazia tecnologica, terminata e vinta da Washington all’indomani dell’allunaggio nel 1969,48 sia in termini molto più pragmatici e strategici di controllo dello spazio per l’intercettazione di missili balistici intercontinentali (ICBM) da lanciare in caso di ritorsione (retaliation) verso il nemico. L’avveniristico programma della Strategic Defense Initiative varato sotto l’Amministrazione Reagan,49 contribuì in maniera preponderante ad accentuare il distacco strategico tra le due superpotenze e quindi ad accelerare la profonda crisi economica che aveva investito l’Unione Sovietica brezneviana portandola al collasso. Negli ultimi decenni, si è iniziato a considerare lo Spazio, non più come un territorio di sfida, ma la sua esplorazione, la sua conquista e quindi un suo potenziale sfruttamento economico sono stati visti come terreni potenziali di collaborazione e di cooperazione. Tale cambiamento è stato in parte dovuto al clima di distensione politica seguito al crollo dell’Unione Sovietica, ma soprattutto alla drastica diminuzione delle spese per la difesa, che dal 1990 interessò la maggior parte dei paesi.50 Da allora la politica cooperativa volta alla spartizione delle spese e degli investimenti per il raggiungimento di obiettivi comuni, quali ad esempio quelli di implementare la durata in operatività della International Space Station (ISS), e l’esplorazione profonda dello Spazio con astronauti (progetto umano) hanno costituito la base per l’elaborazione di strategie multinazionali spaziali. Con le proprie specificità, l’esplorazione e la progressiva conquista dello Spazio, sono state portate avanti principalmente dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dalla Russia, attori consapevoli che lo Spazio rappresenta, oggi più che mai, in un contesto congiunturale di crisi mondiale profonda, un volano formidabile per lo sviluppo di tecnologie, con spill-overs scientifici ed industriali in diversi settori. 48 Il successo delle missioni Apollo e lo sbarco sulla Luna furono possibili grazie al flusso enorme di investimenti che raggiunsero il 4% del PNL statunitense. 49 Il presidente Reagan, con la Presidential National Security Decision Directive 119 del 6 gennaio 1984, istituiva la Strategic Defense Initiative (SDI) attraverso la quale si proponeva di esplorare la possibilità di sviluppare un sistema di difesa antimissile quale strumento alternativo di deterrenza. 50 Si vedano: Saadet Deger, Somnath Sen, Military expenditure: the political economy of international security, Vol. Strategic Issue Papers, Oxford University Press, 1990; Steve Chan, Alex Mintz, Defense, welfare, and growth, Routledge, 1992; Lawrence R. Klein, Fu-chen Lo, Arms reduction: economic implications in the postCold War era, United Nations University Press, 1995 104 Sebbene interagenti entro un contesto comune, i tre principali attori spaziali, si muovono tuttavia sulla base di proprie specificità e di politiche particolari. La politica e le linee strategiche statunitensi attraversano oggi una fase di grande transizione, dovuta essenzialmente all’avvicendamento dell’amministrazione. Le nuove direttrici verranno rese note tra settembre ed ottobre 2009, dopo la pubblicazione del rapporto sul programma spaziale richiesto dal Presidente Obama. Il rapporto dovrebbe contenere la richiesta di un aumento consistente del bilancio della NASA, oggi di circa 17-18 miliardi di dollari, aumento indispensabile per poter rispettare gli ambiziosi traguardi fissati nel 2004 da George W. Bush e condivisi oggi dallo stesso Obama, senza tuttavia prevedere investimenti importanti. Tra questi, la realizzazione del programma Constellation, che trae origine dal piano Vision for Space Exploration (2004)51 e dal NASA Authorisation Act (2005), e che ha come suo punto focale la ripresa dei viaggi e della esplorazione spaziale con equipaggi umani (human spaceflight), attraverso lo sviluppo specifico di veicoli spaziali (Orion) e di lanciatori (Ares I e V). I fini ultimi sono il ritorno sulla Luna (con il modulo per l’allunaggio Altair) e la prima esplorazione umana del pianeta Marte. Il ritorno all’esplorazione umana, dopo i successi dei primi anni Settanta, è uno degli obiettivi strategici condivisi a livello mondiale, anche attraverso specifici programmi nazionali, e che vedono la Russia, con il programma Soyuz e la Cina, con il programma Shenzhou, quali attori principali con la NASA. L’Unione Europea, mirando a far leva sulle eccellenze espresse dai propri membri (in particolare Francia, Gran Bretagna, Germania ed Italia), ha fatto scelte ben definite ed ha concentrato i propri sforzi sul settore robotico. Satelliti e sonde autopropulse rappresentano oggi l’eccellenza tecnologica della UE. Secondo alcuni autorevoli scienziati italiani, uno dei principali limiti dell’Europa è che l’Unione non si sia data obiettivi che contemplino programmi di esplorazione umana dello Spazio, ma solo attraverso sonde. In una recente intervista rilasciata a Radio 24,52 Giovanni Bignami ha sottolineato di come non vi sia oggi né indipendenza culturale, né pratica per poter compiere esplorazioni di tipo umano esclusivamente europee. Ecco dunque, che un tipo di approccio cooperativo, rappresenta oggi la soluzione ottimale per poter portare avanti progetti di esplorazione profonda, che permette di unire, in maniera sinergica, le diverse eccellenze dei principali attori spaziali mondiali. L’Italia partecipa ai progetti di collaborazione europea ed all’interno del più vasto programma di esplorazione mondiale in maniera assai attiva, apportando le proprie competenze, che la caratterizzano anche storicamente. L’Italia, infatti, fu il terzo paese al mondo – dopo Stati Uniti ed 51 “President Bush Announces New Vision for Space Exploration Program”, Remarks by the President on U.S. Space Policy, NASA Headquarters, Washington, D.C.; January 14th, 2004; http://history.nasa.gov/Bush%20SEP.htm 52 Intervista del 25 agosto 2009. 105 Unione Sovietica, che nel 1964, a lanciare in orbita un satellite, il San Marco I. Attraverso le proprie eccellenze industriali, l’Italia costruisce oggi il 40-50% dei moduli abitativi spaziali, fondamentali per il mantenimento in operatività della ISS, ed è il primo paese al mondo ad avere una costellazione di satelliti radar che osservano la Terra dall’alto (Cosmo Skymed). La Russia sta attualmente cercando di sviluppare le direttive strategiche contenute nel Russian Federal Space Program, che copre il periodo 2006-2015. Tra i principali obiettivi, il governo di Mosca cerca di realizzare vi sono: i) lo sviluppo, l’aumento e la manutenzione dell’Orbital Spacecraft Constellation, a beneficio dei settori socio-economici, scientifici e della sicurezza nazionale (comunicazioni, trasmissioni televisive, monitoraggio ecologico, gestione delle crisi e delle emergenze, Earth remote sensing, ricerca spaziale, ricerca spaziale nel settore della microgravità); ii) lo sviluppo, la messa in funzione e la manutenzione degli elementi del segmento russo (RS) della International Space Station per la ricerca di base ed applicata, la realizzazione di ricerca scientifica applicata e di esperimenti sul lungo periodo, pianificati per essere condotti a bordo del segmento stesso; iii) il sostegno al COSPAS-SARSAT 53 International Search ed il funzionamento del Rescue System’s Russian Segment (RSRS). Il Cospas/Sarsat è un sistema spaziale per la ricerca delle navi in difficoltà; nel suo insieme l’organizzazione che gestisce la rete di satelliti e stazioni terrestri atte a ricevere i segnali inviati dagli ELT per poi allertare gli opportuni enti di ricerca e salvataggio del sistema di soccorso russo RSRS; iv) lo sviluppo di lanciatori avanzati, con l’obiettivo di portare a termine programmi di esplorazione sulla Luna (Luna Glob), su Marte (Phobos Grunt) e su Venere (Venera D), v) la manutenzione ed il miglioramento della strumentazione e delle apparecchiature del cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan, ma sotto amministrazione russa. 5.1.2 Le politiche dello spazio in ambito europeo I membri della Comunità Economica Europea iniziarono a cooperare nel settore dello spazio, con la creazione della European Space Agency (ESA), nel 1975. Considerato un settore altamente strategico, ma che tuttavia necessitava di forti investimenti, le politiche spaziali, per volontà degli stessi governi europei, vennero sin da subito coinvolte le imprese e le banche. La congiuntura internazionale, che alla fine degli anni Settanta iniziava a caratterizzarsi con un’attenuazione della corsa allo spazio tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, complice anche una drastica riduzione dei budget dello spazio, l’ESA iniziò un proprio programma di esplorazione spaziale. Il progetto International Ultraviolet Explorer, realizzato in collaborazione con la NASA costituì un primo passo importante per una nuova pianificazione dei programmi, che ebbero quale 53 COSPAS: Space System for Search of Distress Vessels; SARSAT Search and Rescue Satellite-Aided Tracking. 106 risultato la costruzione del primo telescopio ad orbita geosincronica, lanciato nel 1978 e tenuto in operatività per 18 anni. A questi importanti eventi si inserì la caparbia politica francese volta, per prestigio nazionale, alla realizzazione del programma Hermes, un mini-shuttle che si sarebbe dovuto impiegare per collegare la base terrestre con la stazione spaziale Columbus Orbital Facility. Sebbene l’Hermes non vide mai la luce, si tratto’ comunque di un progetto importante, poiché prevedeva la collaborazione di Francia, Germania e Italia, il nucleo portante delle future linee spaziali europee. Fu tuttavia grazie al progetto Ariane, che le eccellenze dei paesi europei, attraverso il consorzio Arianespace, trovarono la loro massima espressione. Quello del vettore europeo ebbe una lunga genesi. Proposto dalla Francia nel 1972 all’indomani del fallimento del Progetto Europa 2, il progetto Ariane, considerato uno strumento indispensabile per affrancarsi dalla dipendenza statunitense, progredì a partire dall’anno successivo, grazie alla collaborazione di Gran Bretagna e Italia. collaborazione che si concretizzò con il primo lancio avvenuto nel 1979. Sin dai primi anni Ottanta, si riscontrò tuttavia che, qualora l’Europa avesse voluto mantenere un proprio ruolo di leader nella ricerca spaziale del futuro, sarebbe allora stato necessario procedere all’elaborazione di un piano di sviluppo più ampio del programma Ariane, basato anche e soprattutto su una maggiore collaborazione intracomunitaria, poiché nessun paese, da solo, avrebbe avuto risorse economico-finanziare sufficienti per realizzare programmi spaziali. Seguì quindi una prima importante apertura di Arianespace ad altri partner (1 febbraio 1990), attraverso la creazione di Arianespace Participation. Il programma Ariane segna, in effetti, uno spartiacque tra le politiche degli anni Settanta e le successive scelte strategiche europee, producendo un impatto profondo sul ruolo dei paesi dell’Europa verso il settore spaziale. I successi conseguiti produssero un radicale cambiamento nelle aspettative e nelle potenziali realizzazioni del settore spaziale. Infatti, durante gli anni Ottanta, i voli spaziali con equipaggio mutarono il loro carattere, da elementi di eccezionalità a routinari. Sulla base di questo cambiamento un’ulteriore evoluzione venne rappresentata dalla costituzione, nel 1990 dall’European Astronaut Centre di Colonia, quale centro di eccellenza per la selezione e l’addestramento di astronauti ed elemento di coordinamento tra partner per la Stazione Spaziale Internazionale. Le potenzialità espresse da Arianespace ebbero anche effetti positivi sul mercato. Tra il 1988 ed il 1997, il consorzio europeo, grazie al successo ottenuto con l’Ariane IV, conquistò oltre il 53% del mercato mondiale dei lanciatori, anticipando di molto la domanda del mercato di lanciatori per i grossi satelliti. I progetti Arianespace funsero da elemento trainante per la pianificazione economicoindustriale spaziale sia nazionale che europea, che ebbero un effetto di spill-over nel comparto spaziale militare. Infatti, se si esclude il comparto lanciatori, il sistema militare europeo ha spesso derivato la propria tecnologia dal comparto civile, in una situazione diametralmente opposta a quella che andò verificandosi negli Stati Uniti. 107 Nel dicembre del 1996, la Commissione Europea propose una nuova Strategia Spaziale Europea (ESS),54 per mezzo della quale si cercò di favorire un maggiore impegno nel settore delle comunicazioni, nella navigazione satellitare e nell’osservazione terrestre, attraverso le linee di finanziamento già esistenti, quali l’RTD Framework Programme, i Trans-European networks, i programmi ESA, delle agenzie nazionali, e dell’EIB-EIF financing. L’anno successivo, la Commissione, attraverso la Comunicazione relativa all’industria per la Difesa55 propose l’applicazione delle regole comunitarie per l’assegnazione di contratti pubblici, per i bandi intracomunitari e per le gare del settore, incluso quello del settore dell’industria aerospaziale. L’impegno e le modifiche sostanziali apportate dal livello politico, diedero un importante contributo nel trasformare le attività spaziali da mera ricerca scientifica europea ad uno strumento sempre più pragmatico e concreto che potesse offrire ai membri dell’Unione tecnologie e spin-offs capaci di elaborare e di conseguire una serie obiettivi politici connessi alla crescita economica, alla progressiva informatizzazione di una società in divenire, alla trasformazione ed all’ammodernamento delle infrastrutture dei trasporti, al miglioramento delle capacità di monitoraggio ambientale e delle competenze in ambito della sicurezza interna ed internazionale. Il politico, così come da tempo aveva già fatto il comparto industriale, prese coscienza che lo Spazio poteva esprimere potenziali sarebbero potuti divenire parte integrante delle politiche comunitarie, costituendone uno dei fulcri e degli assi portanti. Tra i primi benefici apportati dalla sinergia tra ricerca spaziale – industria – livello politico sono stati i risultati conseguiti attraverso con il programma Galileo per la navigazione satellitare, e con il Global Monitoring for the Environment and Security (GMES), per il monitoraggio globale a fini ambientali e di sicurezza. Da allora il livello politico ha continuato ad implementare, per mezzo di nuovi strumenti e direttive, questa sinergia. Nel 2000, la Commissione, attraverso un’ulteriore Comunicazione,56 elaborata sulla base della risoluzione della UE e dell’ESA, diedero il via ad un’unità operativa congiunta UE-ESA, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo e di potenziare la strategia europea per lo spazio. Nell’arco di un anno, l’unità produsse un rapporto di ricerca (Libro Verde) contenente le proprie analisi e raccomandazioni, evidenziando, in particolare, la necessità assoluta ed imperativa da parte delle strutture politiche comunitarie di collaborare con l’Agenzia Spaziale Europea. 54 Si veda: Commission of the European Communities, The European Union and Space: Fostering Applications, Market and Industrial Competitiveness. Communication from the Commission to the Council and the European Parliament. COM (96) 617 final, Brussels, 04.12.1996. 55 Si veda: Commission of the European Communities, Implementing European Union Strategy on Defencerelated Industries. Communication from the Commission to the Council, the European Parliament, the Economic and Social Committe and the Committe of the Regions, COM (97) 583 final Brussels, 04.12.1997. 56 Commission of the European Communities, European Space Agency, Europe and Space: Turning To a New Chapter, Communication From The Commission to the Council and the European Parliament, COM(2000) 597 final. 108 Con il Libro Verde sulla Politica Europea per lo Spazio,57 la Commissione Europea aprì il dibattito sui potenziali benefici per l’Europa derivanti dall’uso dello Spazio sul medio e lungo periodo, cercando di portare il dibattito al di fuori dell’hortus conclusus dell’accademia, rendendo nel contempo partecipi della discussione in atto e cercando di far comprendere l’importanza strategica e politica dello Spazio e dei suoi spin-offs, le autorità politiche, le imprese ed i cittadini europei. Secondo il Libro Verde, una forte spinta propulsiva alla ricerca può essere data dalla “ambizione europea”, di ricoprire un ruolo di primaria importanza a livello mondiale nel settore spaziale, un ruolo che ogni stato, se preso singolarmente, mai potrebbe assurgere a rivestire per gli enormi investimenti richiesti. Per il Libro Verde è necessario innanzitutto partire dai presupposti che la presenza effettiva dell’Europa nello spazio condiziona il successo di alcune delle sue politiche di medio e lungo termine. A tal fine essa ha scelto una via d’azione del tutto originale, contraddistinta da diverse specificità, quali: - la via dell’indipendenza quale ambizione politica: l’acquisizione e il mantenimento di un accesso autonomo allo spazio garantito dallo sviluppo di lanciatori indipendenti e di satelliti; - un impegno sostenuto per lo sviluppo della scienza, delle applicazioni e delle infrastrutture associate; - una politica industriale orientata allo sviluppo di una base industriale competitiva e innovativa e alla ripartizione geografica delle attività; - la priorità data agli aspetti civili e commerciali, in particolare nel settore dei servizi di lancio e dei satelliti; - la scelta della cooperazione internazionale con le grandi potenze spaziali per la realizzazione di grandi strumenti e missioni rilevanti, in particolare per i voli con persone a bordo.58 Lo Spazio, ovvero la tecnologia derivante dallo studio e dalla sperimentazione della ricerca applicata in questo ambito, deve avere ricaschi i più ampi possibili e, secondo le indicazioni contenute nella pubblicazione, deve essere anche al servizio dei cittadini. Il Libro, infatti, sottolinea di come: “La tecnologia spaziale possa offrire crescenti opportunità di impieghi multipli, che permettono di elaborare soluzioni in risposta alle diverse necessità; deve però soddisfare maggiormente le aspettative degli utenti, in materia di costo delle soluzioni, rispondenza alle necessità reali e Continuità dei servizi offerti. Oltre all’uso molto ampio dei satelliti di telecomunicazioni per lo scambio di informazioni (telefonia, televisione e trasmissione di dati digitali), l’Europa ha già sviluppato negli ultimi anni una serie di applicazioni che dimostrano il valore aggiunto delle 57 European Commission, European Space Policy - Green Paper, Brussels, 21 January 2003, COM(2003)0017 final. 58 Green Paper, cit., Par. 1 109 infrastrutture spaziali ,che sono per la maggior parte all’origine di servizi di interesse generale per i cittadini.”59 Oltre ai cittadini, lo Spazio ingenera anche opportunità commerciali al di là dell’industria spaziale. Le tecnologie spaziali offrono opportunità non solo ai soggetti dell'industria spaziale "tradizionale", ma anche a PMI, fornitori di servizi, fornitori di contenuti e utenti pubblici e privati. La televisione digitale, le comunicazioni mobili della terza generazione e Internet via satellite sono buoni esempi di piattaforme di servizio cui contribuiscono i sistemi spaziali. Il trasferimento delle tecnologie spaziali dalla ricerca all'industria e il passaggio dalla ricerca "blue sky" ad applicazioni commerciali e da temi puramente spaziali ad altri settori, sono una priorità assoluta per l'Europa. Dalle esperienze e dalle raccomandazioni contenute nel Libro Verde, l’Unione Europea, quale passo successivo, ha elaborato un Libro Bianco,60 nel quale si sottolinea come l’Europa, per il suo sviluppo e per la sua crescita, ma anche per far fronte all’ampliamento cui è soggetta, necessiti “di una politica spaziale ampliata, improntata alla domanda, che permetta di sfruttare gli speciali vantaggi delle tecnologie spaziali a sostegno delle politiche e finalità dell’Unione: crescita economica più rapida, creazione di posti di lavoro e competitività industriale, ampliamento e coesione, sviluppo sostenibile, sicurezza e difesa”. L’Europa è tuttavia conscia che tale politica richieda un necessario aumento degli investimenti e della spesa complessiva. Ciò a sostegno dello sviluppo e della diffusione delle applicazioni, della tecnologia e delle infrastrutture. Il Libro Bianco prevede quindi un impegno preciso da parte delle istituzioni comunitarie nello stanziare maggiori di risorse finanziarie per la realizzazione delle politiche dello spazio. L’Europa necessita dello Spazio, poiché lo “Spazio offre soluzioni” per lo sviluppo e la crescita della stessa comunità europea. Secondo il documento, la politica spaziale europea si sarebbe dovuta attuare in due fasi tra loro distinte: una prima fase, da realizzarsi tra il 2004 ed il 2007, consistente nell’attuazione delle attività contemplate nell’Accordo Quadro tra la comunità europea e l’ESA, ovvero: 59 – una struttura di gestione che riunisca i vari soggetti di GMES; – una tabella di marcia (roadmap) per lo sviluppo e la diffusione di sistemi di osservazione – interoperabili GMES, infrastrutture e servizi di dati spaziali; – un piano di lavoro europeo comune di ricerca e sviluppo, corredato da scenari di progetti – dimostrativi nell’ambito del programma quadro. Green Paper, cit., Par 2. 60 European Commission, White Paper ‘Space: a new frontier for an expanding Union. An action plan for implementing the European space policy’, Bruxelles, 11.11.2003 COM(2003) 673 def. 110 La seconda fase, da attuarsi dal 2007 in poi, prenderà il via dopo l’entrata in vigore del trattato costituzionale europeo, dove lo Spazio si configurerà come una competenza condivisa tra l’Unione ed i suoi Stati membri. La mancata adozione di politiche per lo Spazio da parte dell’Europa potrebbe causare il declino dell’Unione come potenza spaziale, dettata dal fatto che essa si mostrerebbe incapace nello sviluppare nuove tecnologie e nel sostenere applicazioni, con conseguenti gravi danni per la sua competitività in generale. 5.1.3. I rapporti tra l’Unione Europea e l’ESA ed i loro ruoli La cooperazione tra il braccio legislativo dell’Unione Europea – la Commissione – e l’Agenzia Spaziale Europea rappresenta un esempio di partnership unica tra due strutture primus inter pares, due organizzazioni leader a livello europeo – nel suo più puro significato geografico, e non ancora essenzialmente politico, che hanno come obiettivo comune il mantenimento di un certo livello di leadership nel settore spaziale. Tale rapporto cooperativo è veicolato da due ordini di idee: il primo si fonda su una realtà assai scontata, espressamente riferibile alla natura stessa del settore aerospaziale, ovvero il settore spaziale impone alti investimenti per la ricerca e per lo sviluppo, il secondo sorge dal comune sentire, che si fa esigenza, che ogni paese partner deve necessariamente fare assegnamento su altri paesi per realizzare i propri obiettivi di politica pubblica spaziale, che sovente coincidono con gli interessi degli altri paesi partner. Ciò da’ vita ad una struttura coerente di attività spaziali in Europa. Le varie forme di collaborazione hanno trovato basi legislative sin dagli anni Novanta e nel 2000 l’elaborazione del primo documento congiunto European Strategy for Space, ha sottolineato le potenzialità e le sinergie che i due organismi avrebbero potuto esprimere attraverso la loro collaborazione. A partire dal 2003 le basi di cooperazione strategica si sono ulteriormente rafforzate attraverso l’elaborazione e la stesura di un Policy Framework Agreement61 che hanno dato il via alla cooperazione istituzionale nel settore dello spazio cosmico (outer space), con l’obiettivo di: – assicurare l’indipendenza dell’Europa ed un suo accesso allo Spazio che sia economicamente efficiente; – sviluppare altri campi di interesse strategico necessari per garantire l’uso e l’applicazione indipendenti delle tecnologie spaziali in Europa; – garantire che il complesso delle politiche spaziali europee non prescindano alle politiche generali dell’Unione Europea; – sostenere le politiche comunitarie attraverso l’uso di tecnologie spaziali e delle infrastrutture spaziali; 61 European Parliament, European Space Agency, Policy Framework Agreement (Council Decision 2004/578/EC), February 2004. 111 – promuovere l’uso dei sistemi spaziali quale strumento di supporto per uno sviluppo sostenibile, per la crescita economica e per l’occupazione; – ottimizzare le conoscenze e le risorse disponibili e contribuire al consolidamento della collaborazione tra la comunità europea e l’Agenzia Spaziale Europea, e quindi legare la domanda e l’offerta dei sistemi spaziali entro una partnership strategica; – realizzare una maggiore coerenza e sinergia della ricerca e dello sviluppo al fine di ottimizzare le risorse economico-finanziare e tecnologiche disponibili in Europa. La collaborazione tra UE ed ESA è risultata essere particolarmente proficua e nel 2004 si è concretizzata nell’EC-ESA Framework Agreement, con il fine di realizzare uno sviluppo progressivo della politica spaziale europea, da attuarsi per mezzo di basi comuni e di una serie di intese operative attraverso le quali regolamentare la cooperazione tra le due istituzioni. Il documento ha contemplato la creazione di un Consiglio per lo Spazio a livello ministeriale, una Segreteria congiunta EC/ESA, nonché un gruppo per la politica spaziale ad alto livello. Ed è sulla base dei documenti sopra descritti, nel maggio 2005, la Commissione ha enunciato gli elementi preliminari della nuova Politica Spaziale Europea62, che gettano le basi di un programma spaziale europeo nel nuovo contesto istituzionale e tecnologico dell'UE (sviluppo di Galileo e del GMES). Inoltre si afferma che L’attuazione della politica spaziale europea dovrà essere accompagnata dall’elaborazione di: – una politica industriale specifica del settore, che consenta all’Europa di garantire le necessarie fonti e competenze industriali e tecnologiche critiche e, contemporaneamente, un’industria spaziale globalmente competitiva; – una politica in tema di cooperazione internazionale che soddisfi nel contempo i più ampi obiettivi geopolitici delle politiche europee delle relazioni esterne, compresa la politica di vicinato, e un’efficace gestione quotidiana dei sistemi spaziali; – strumenti per investire nei programmi e garantirne una gestione efficace. Il documento sottolinea inoltre la necessità di ridefinire i ruoli e le responsabilità nel quadro della politica spaziale europea dei principali soggetti attivi, quali Unione Europea ed ESA, al fine di conseguire una ripartizione delle mansioni chiara e complementare, conformemente alle attuali disposizioni giuridiche. 62 Commission of the European Communities, European Space Policy - Preliminary Elements. Communication from the Commission to the Council and the European Parliament, Brussels, 23.05.2005, COM(2005) 208 final. 112 Pertanto l’Unione Europea avrà il compito di: – definire le priorità e le esigenze dei sistemi basati sullo spazio al servizio degli obiettivi e delle politiche principali dell’UE e delle necessità dei cittadini; – riunire la volontà politica e la domanda degli utenti a loro sostegno; – garantire la disponibilità e la continuità dei servizi che sostengono le politiche comunitarie finanziando pertinenti attività di ricerca a monte, acquistando servizi o garantendo l’organizzazione e le fasi operative dei sistemi spaziali, se del caso, e incoraggiando a tempo debito i finanziamenti da parte degli utenti; – garantire l’integrazione dei sistemi basati sullo spazio con i relativi sistemi a terra e in situ nel promuovere lo sviluppo di servizi applicativi richiesti dagli utenti a sostegno delle politiche dell’UE; – creare un ambiente normativo ottimale per agevolare l’innovazione; – promuovere il coordinamento della posizione europea nel quadro della cooperazione internazionale. Le attività spaziali dell’UE verranno realizzate avvalendosi delle capacità europee esistenti, in particolare mediante le agenzie spaziali europea e nazionali e l’industria aeronautica e spaziale. L’ESA avrà invece il compito di: – sostenere la specifica tecnica del segmento spaziale dei programmi di applicazioni spaziali, prestando un’attenzione particolare alle esigenze dell’UE; – sviluppare e applicare tecnologie spaziali, in particolare per quanto riguarda l’accesso allo spazio, alla scienza e all’esplorazione; – perseguire l’eccellenza nella ricerca scientifica nello spazio, dello spazio e a partire dallo spazio; – consigliare l’UE circa le esigenze del segmento spaziale al fine di contribuire alla disponibilità e alla continuità dei servizi; – realizzare la cooperazione internazionale nell’ambito dei programmi diretti dall’ESA.63 Nel maggio 2007, il Consiglio Spaziale Europeo adottò una risoluzione attraverso la quale la UE, l’ESA e gli stati membri, per la prima volta condividevano una struttura politica comune per le attività spaziali in Europa, con l’obiettivo di produrre benefici concreti per i propri cittadini e di mantenere l’industria europea forte e competitiva. La nuova politica spaziale europea sottolinea l’importanza dello Spazio quale settore strategico per l’indipendenza, la sicurezza e la prosperità 63 European Space Policy - Preliminary Elements, cit. Par. 2. 113 dell’Europa e fa’ esplicito riferimento alle applicazioni che la ricerca spaziale può comportare per la difesa e la sicurezza. L’Unione Europea, nel suo insieme, necessita di una serie di politiche spaziali a lungo termine, guidate dalla domanda pubblica e privata dei più svariati settori. Di politiche che siano in grado di supportare strategicamente gli obiettivi e le più ampie politiche di sviluppo dell’Unione, quelle miranti alla realizzazione: i) di uno sviluppo sostenibile, ii) di una rapida crescita economica, iii) della creazione di posti di lavoro e di competitività industriale, iv) di un ricasco omogeneo tra i membri degli spin-off derivanti dai programmi spaziali, al fine di favorire un maggiore livello di integrazione tra i membri dell’Unione, v) di rispondere in maniera puntuale ed esaustiva alle esigenze delle politiche di sicurezza e della difesa comunitaria (Common Foreign and Security Policy – CFSP; European Security and Defence Policy, ESDP). A tal fine, la UE, attraverso l’Agenzia Spaziale Europea, i propri membri e le rispettive agenzie spaziali nazionali, ha elaborato uno specifico programma spaziale europeo pluriennale, che prevede, quali elementi cardine: i) un aumento degli investimenti a sostegno della ricerca e sviluppo delle tecnologie e delle infrastrutture; ii) l’implementazione della collaborazione internazionale, non solo nei confronti dei suoi tradizionali partner, Stati Uniti e Russia, ma anche verso le ‘nazioni spaziali emergenti’. Una sottovalutazione delle politiche per lo spazio o una loro mancata adozione, da parte dei membri e/o delle istituzioni, condurrebbero l’interna Unione ad un pernicioso declino nel ruolo di potenza spaziale, con ricaschi estremamente negativi in gran parte dei settori produttivi anche nazionali. Le priorità strategiche dell’Unione Europea mirano a: – garantire l'accesso europeo allo spazio e il suo finanziamento a lungo termine; – condividere le responsabilità tra soggetti nazionali ed europei; – equilibrare l'autonomia europea e la cooperazione internazionale: l'Europa deve prendere l'iniziativa e intervenire presso i suoi partner per svolgere un ruolo strategico nei grandi progetti spaziali realizzati in cooperazione; – disporre di un tessuto industriale di qualità e di un accesso alle tecnologie chiave: l'Europa deve individuare i campi a valore aggiunto e stabilire se vuole mantenere una base industriale che copra l'intera filiera spaziale; 114 garantire una base tecnologica vasta ed efficace, alimentata da programmi di ricerca e – dimostrazione: l'UE, l'ESA, i soggetti nazionali e l'industria hanno istituito diversi strumenti (piano direttivo della tecnologia spaziale, il Settimo Programma Quadro di Ricerca e i programmi nazionali di ricerca). Lo sfruttamento del potenziale tecnico della comunità spaziale deve rispondere alle nuove esigenze della società. L'obiettivo è creare una società della conoscenza competitiva e garantire a tutti i cittadini europei, in particolare a quelli con esigenze particolari, l'accesso alle tecnologie e ai servizi avanzati, secondo le seguenti linee direttrici i) Le politiche spaziali e lo sviluppo sostenibile Le politiche spaziali possono essere concepite per promuovere lo sviluppo sostenibile: la tecnologia spaziale è impiegata per l’osservazione della Terra, a fini meteorologici e ambientali, per seguire l’evoluzione del pianeta (previsioni meteorologiche, monitoraggio del cambiamento climatico, mezzi di reazione più rapidi in caso di catastrofi naturali, riscaldamento del pianeta, monitoraggio delle maree nere, studio dei cicli dell’acqua in determinate regioni, ecc.), per implementare le conoscenze già acquisite e quindi far progredire la ricerca, attraverso i programmi di osservazione degli oceani (altimetri oceanografici di precisione), i piani di studio per il magnetismo terrestre o la visualizzazione della Terra in 3D. Oltre al grande uso dei satelliti di telecomunicazioni per lo scambio di informazioni (telefonia, televisione e trasmissione di dati numerici), la messa in orbita di vettori spaziali europei offre alle imprese, ai poteri pubblici ed ai cittadini un’amplissima gamma di servizi, che possono produrre benefici positivi in diversi campi del vivere comune. Tra questi, gli investimenti nello spazio possono contribuire a realizzare una mobilità più sostenibile, attraverso l’implementazione della navigazione satellitare (Galileo/EGNOS: European Geostationary Navigation Overlay Service/System), con l’obiettivo di rendere più performante il servizio di radionavigazione satellitare; l’aumento del controllo in entrata del traffico nelle grandi città, per una miglior gestione del flusso di veicoli in ambito urbano (congestion charging” policy, sui modelli adottati, ad esempio da Londra e da Milano) e quindi dei livelli di inquinamento da polveri sottili, o il controllo della velocità su determinati tratti stradali ed autostradali (“sistema Tutor” o “adattamento intelligente della velocità”, l’intelligent speed adaptation - ISA) L’elenco sopra fornito dei contributi che lo spazio dà e può dare al benessere delle popolazioni e allo sviluppo economico svuotano di significato le domande/obiezioni più ricorrenti tra i detrattori delle politiche spaziali, che contestano gli alti investimenti in settori che in apparenza non hanno 115 benefici immediati sui cittadini, asserendo che, se le stesse cifre venissero investite in altri comparti (trasporti, costruzioni civili, implementazione programmi di aiuto ai paesi in via di sviluppo), si avrebbero risultati più immediatamente percepibili e più concreti (in apparenza). ii) Spazio e creazione di competitività industriale Gli investimenti nello Spazio generano anche diversi spillovers industriali. In Europa, il principale esempio, è dato, ancora una volta dal programma Ariane. La creazione di Arianespace, oltre a porre le basi per lo sviluppo di un piano spaziale europeo, ha portato anche alla creazione di posti di lavoro ad alta qualificazione e di conseguenza alla creazione di nuove competenze avanzate: oltre 100 industrie europee sono state, infatti, coinvolte nello sviluppo e nella costruzione dei lanciatori. Sulla base di questa esperienza, l’Unione Europea, attraverso l’attuazione delle proprie politiche spaziali ha teso a: – estendere il campo della ricerca spaziale a altri soggetti, diversi da quelli dell'industria spaziale classica: favorire il passaggio delle azioni di ricerca verso applicazioni industriali e servizi a valore aggiunto che vadano oltre la filiera spaziale in senso stretto; – trasferire le tecnologie del settore della ricerca verso il settore commerciale, incoraggiando l’investimento privato mediante impegni a lungo termine da parte delle autorità pubbliche; – sviluppare nuove applicazioni sfruttando meglio i rispettivi vantaggi delle tecnologie terrestri e spaziali; – mantenere il trasferimento di conoscenze e informazioni tra le generazioni di scienziati e ingegneri: si calcola che in Europa quasi il 30% degli addetti del settore spaziale andrà in pensione nei prossimi 10 anni. iii) Politiche spaziali e politiche di integrazione europea Il coinvolgimento europeo nelle politiche spaziali offre soluzioni concrete utili a colmare quei gap tecnologici che ancora oggi caratterizzano alcuni paesi membri dell’Unione Europea, cosi come determinate regioni rurali o da un punto di vista geografico particolarmente impervie. Nel campo delle telecomunicazioni satellitari, ad esempio, le politiche spaziali permettono la trasmissione di tecnologia a banda larga in quelle aree nelle quali le soluzioni convenzionali non sono possibili; − contribuisce a colmare il divario digitale tra coloro i quali possono disporre di determinate nuove tecnologie e chi non ne ha accesso per carenza di infrastrutture di sostegno; 116 − permette lo sviluppo di applicazioni in aree strategiche per lo sviluppo ed il benessere della società (trasporti, agricoltura, sanità). iv) Politiche spaziali e politiche di sicurezza Le applicazioni spaziali in campo della sicurezza sono molteplici. Tra queste l’Unione, grazie agli spin-offs, intende: − contribuire allo sviluppo di sistemi di navigazione via satellite a vantaggio della navigazione aerea, marittima e terrestre; − rafforzare la sicurezza dei cittadini: la gestione delle crisi è in diretto rapporto con il controllo delle tecnologie spaziali, soprattutto nel campo spaziale militare. 5.1.4 Le linee di politica spaziale nazionali 5.1.4.1 Francia La Francia rappresenta una delle colonne portanti delle politiche spaziali europee, grazie soprattutto agli investimenti in questo settore. E’, infatti, il terzo paese al mondo per investimenti pubblici in questo settore, con quasi 2,7 miliardi di dollari nel 2008, contro gli 1,2 miliardi dell’Italia, ma addirittura la seconda nazione dopo gli Stati Uniti, per percentuale di investimenti pubblici sul PIL (0,1%) e per investimenti pro-capite (42 dollari).64 64 Fonte: European Space Policy Institute (ESPI), Space Policies, Issues and Trends in 2008/2009 – ESPI Report 18, Vienna, May 2009, Figg. 2.1, 2.2, 2.2, pp. 15 ss. 117 Figura 5.1 Finanziamenti pubblici nel settore spaziale, 2008 Fonte: nostre eleborazioni su dati European Space Policy Institute (ESPI), Space Policies, Issues and Trends in 2008/2009 – ESPI Report 18, Vienna, May 2009, Fig. 2.1, p. 15 La Francia è anche il paese europeo con il bilancio per le attività spaziali in campo civile più elevato, che, nel 2008, è stato di 1.495 milioni di Euro, con una spesa pro-capite tra le più elevate in Europa. Le priorità francesi, sia in ambito europeo, sia in ambito nazionale, ruotano attorno ai sistemi di lancio, per i quali ha previsto stanziamenti pari a oltre 500 milioni di Euro. Tale ammontare è volto a conseguire importanti spin-offs industriali anche nel settore della difesa nazionale, soprattutto alla luce dell’impianto strategico nucleare francese.65 A questi si associano i progetti per lo sviluppo di voli spaziali umani nell’ambito del programma per la realizzazione di Automated Transfer Vehicles (ATV), strutture essenziali per il funzionamento ed il rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale.66 65 Con il Libro Bianco sulla Difesa e la Sicurezza Nazionale pubblicato nel 2008, il Governo di Parigi ha dichiarato la sua intenzione di migliorare le proprie capacità militari spaziali, aumentando, di conseguenza, gli investimenti in questo settore. 66 Circa le prerogative e le potenzialità dell’ATV, si vedano: International Astronautical Federation, United Nations, Office for Outer Space Affairs, International Institute of Space Law, Highlights in Space 2006: Progress in Space Science, Technology and Applications, International Cooperation and Space Law, United 118 Durante il corso del 2008, il Governo di Parigi ha continuato a sviluppare proprio rapporti di collaborazione internazionale non solo con potenze spaziali consolidate, quali Stati Uniti, Russia o Giappone, ma anche con i nuovi stati (spaziali) emergenti, come Brasile (progetto COROT) , Cina ed India (progetto Mega-Trophiques), voluti fortemente dal Presidente Sarkozy. Le analisi sulla quota-parte versata dai singoli stati membri all’ESA e sugli investimenti allocati per il settore spazio su programmi nazionali, sottolineano di come la Francia abbia intenzione di mantenere solido il proprio ruolo di leader. Un obiettivo palesemente enunciato da Sarkozy quando la Francia assunse la presidenza della UE, riconfermata, ad un livello ben più pragmatico dal notevole incremento del budget per lo spazio nei prossimi anni. Dopo una fase di stallo, i contributi francesi all’ESA, fermi per diversi anni a circa 585 milioni di Euro, dal 2007 sono aumentati a 770 milioni annui, facendo del paese transalpino il secondo maggior finanziatore dopo la Germania. Negli ultimi anni anche la Germania ha visto rafforzato il proprio ruolo all’interno dell’Agenzia Europea. I domini di interesse primario si sono focalizzati attorno a programmi di osservazione terrestre, nella robotica, nelle tecnologie radar, e nei sensori ottici, tutti settori nei quali ha sempre espresso un’alta expertise. 5.1.4.2 Germania Nel 2007, il Ministero per l’Economia e la Tecnologia tedesco, con il documento Mission Raumfahrt ha sottolineato di come le tecnologie spaziali rappresentino uno degli aspetti chiave dello sviluppo delle società moderne e soprattutto per le piccole medie-imprese. Sulla base di questa presa di posizione, il governo federale ha deciso di aumentare gli investimenti per la ricerca spaziale. A livello di contributi per l’ESA, la Germania ha versato, nel 2008, 2,7 miliardi di Euro per vari programmi, divenendo il finanziatore maggiore. Nel 2008 ha allocato 300 milioni di Euro per i programmi relativi ai lanciatori, oltre 730 milioni per la ricerca di voli spaziali umani e 634 milioni per progetti che contemplano lo sviluppo delle tecnologie e strumenti per l’osservazione terrestre. 5.1.4.3 Italia L’Italia è il terzo finanziatore dell’ESA e si pone tra i principali attori in campo spaziale, grazie anche alle eccellenze espresse dal proprio comparto industriale. Nonostante nel 2008 il Parlamento abbia votato per una diminuzione di 20 milioni di Euro della quota-parte riservata all’Agenzia Europea, l’Italia si mantiene particolarmente attiva nella partecipazione dei programmi di Nations Publications, 2007, p. 11 ss.; John E. Catchpole, The International Space Station: Building for the Future, Springer, 2008. 119 ricerca. Tra le sue priorità vi sono quella di implementare le ricerche nel settore dei lanciatori, per il quale ha investito, nel 2008, 130 milioni di Euro, dei viaggi spaziali con astronauti, con investimenti pari a 250 milioni di Euro e con 230 milioni per progetti dedicati all’osservazione terrestre, per i quali il paese è all’avanguardia. 5.1.5 Le politiche spaziali degli Stati Uniti: cenni Sin dall’ultima amministrazione repubblicana, gli Stati Uniti hanno iniziato a ripensare alla propria politica spaziale, in termini di ritorno sulla Luna, dopo l’ultimo viaggio umano del 1972 e in termini di uno sbarco su Marte (programma Constellation). Progetti ambiziosi che necessitano, oltre che di investimenti massicci, di sostegni non solo governativi interni, ma anche e soprattutto internazionali e di sostegno da parte delle industrie, anche di un certo supporto da parte dell’opinione pubblica. Se durante il varo di queste nuove priorità, nel 2004, non si volle (o non si poté, a causa degli alti costi della guerra in Iraq e della campagna afghana) predisporre un adeguato piano di finanziamenti, con il progressivo ritiro da almeno uno dei due principali teatri di guerra, pare che la presente amministrazione democratica sia interessata non solo a recepire le priorità dettate da Bush, ma di allocare finanziamenti che nel lungo periodo potrebbero contribuire a concretizzarli. Nella comunità scientifica statunitense ed internazionale c’è molta attesa per la pubblicazione del rapporto richiesto da Barack Obama e volto a rivedere in parte la strategia per lo spazio. La possibile rivalutazione del programma dovrebbe ruotare attorno al possibile mantenimento in operatività della flotta degli Shuttles oltre la naturale data prevista per il loro ritiro nel settembre 2010, dopo aver compiuti otto ultimi viaggi per completare l’assemblaggio della Stazione spaziale internazionale ed una missione in direzione del telescopio spaziale Hubble.67 L’ipotesi del ritiro annovera tra i detrattori Mike Griffin, il direttore della NASA scelto da Bush nel 2005, e che secondo il quale implicherebbe investimenti addizionali per circa tre miliardi di Euro, oltre ad aumentare esponenzialmente la possibilità di incidenti. La Casa Bianca ha deciso quindi di nominare Norm Augustine, già sottosegretario per l’Esercito e presidente della Lockheed Martin, a capo di una speciale commissione di esperti per valutare i progressi dell’ente spaziale nella costruzione della flotta da trasporto che dovrà sostituire gli Shuttle. Considerando che la prima nuova missione con equipaggio del programma Constellation no sarebbe pronta prima del 2015, gli Stati Uniti si troverebbero a dover fronteggiare un gap di un lustro, che – almeno teoricamente – impedirebbe loro un accesso in tutta autonomia alla stazione spaziale internazionale. Il governo di Washington ha calcolato che il mantenimento di un certo livello di supremazia nel settore spaziale dovrebbe implicare investimenti per circa 230 miliardi 67 Space News, 14 July 2008 120 di dollari nei prossimi vent’anni. Ad oggi è in corso la progettazione e lo sviluppo della nuova capsula Orion, del vettore Ares I ed Ares V cui associare il modulo di allunaggio. Barack Obama ha basato gran parte del suo programma scientifico sull’esplorazione spaziale umana e sulla ricerca. Secondo le decisioni della Casa Bianca, il budget previsto per la NASA dovrebbe salire a 18,7 miliardi di dollari nel 2010, facendo registrare un aumento di meno di un miliardo rispetto all’esercizio 2009. Per il 2009, infatti, il Congresso ha stanziato 17,78 miliardi di dollari (+2,2% sul 2008), aumentando, seppur lievemente, la richiesta avanzata da Bush con l’Omnibus Appropriation Act di 17,64 miliardi. Nello specifico, il comparto Scienza ha ricevuto, per l’anno fiscale 2009, 4,5 miliardi di dollari (-4,3% sul 2008), la sezione riguardante i progetti dei Sistemi di esplorazione ha ottenuto allocazioni pari a 3,5 miliardi (+11,5%), i programmi della Cross-Agency Support68 3,3 miliardi (+ 18,5%) e quelli delle Operazioni spaziali 5,76 miliardi (+4,3%).69 Gli incrementi maggiori rispetto all’anno fiscale precedente che si sono registrati (esplorazioni) sono giustificati dall’interesse dell’Amministrazione per il programma Constellation. Oltre al normale bilancio, lo Stimulus Bill del febbraio 2009, ha allocato un ulteriore un miliardo di dollari, di cui 400 milioni per i programmi scientifici, soprattutto riguardanti lo studio ed il monitoraggio terrestre, 150 milioni per il settore aeronautico e 50 milioni per le riparazioni alle strutture NASA danneggiate dagli uragani.70 68 La Cross-Agency Support (CAS) è un centro per la gestione delle capacità tecniche e per le funzioni di supporto alle missioni dell’Agenzia. Il suo bilancio interno è ripartito in tre aree distinte: una parte è destinata al Center Management and Operations (CM&O), una all’Agency Management and Operations (AMO), e la terza alla Institutional Investments (II). La CAS non è direttamente identificata o schierata con un programma specifico o con le esigenze di un determinato progetto, ma la sua funzione è necessaria per assicurare efficienza ed efficacia alle operazioni ed all’amministrazione della NASA. 69 Per una analisi complete sulla ripartizione del bilancio della NASA si vedano: http://appropriations.house.gov/pdf/2009_Con_Bill_DivB.pdf e National Aeronautics and Space Administration, Fiscal Year 2009. Budget estimates, NASA 2009, www.nasa.gov 70 Space News, 2 March 2009. 121 Figura 5.2 Allocazione programmatica del bilancio della NASA (esercizio 2008), valori percentuali Fonte: nostre elaborazioni su dati ESPI, Space policies, Issues and Trends 2008/2009, Report 18, May 2009 122 5.2 LA POLITICA SPAZIALE DEL REGNO UNITO 5.2.1 Introduzione Questa sezione inizia con una spiegazione delle economie dei mercati spaziali, che mostra come i fallimenti di mercato e le analisi di scelta pubblica possano essere usate per giustificare l’intervento del Governo nei mercati spaziali. Segue una descrizione e valutazione della politica spaziale del Regno Unito, delle sue attività spaziali civili e militari, del British National Space Centre, del ruolo del Regno Unito nell’ESA e dell’industria spaziale del paese. La conclusione individua la necessità di una valutazione economica indipendente della politica spaziale del Regno Unito. 5.2.2 L’economia dei mercati spaziali Analisi dei fallimenti di mercato. Gli economisti giustificano l’intervento dello Stato nei mercati privati quando vi siano gravi fallimenti dei mercati (Tisdell and Hartley, 2008). Questi fallimenti possono derivare da imperfezioni del mercato (ad es. monopolio; barriere all’ingresso); esternalità (sia positive che negative, come degli spillovers di tecnologia, e l’inquinamento nocivo, rispettivamente); e dove si trovino beni pubblici caratterizzati dalla non rivalità, non esclusione e dal fenomeno del free riding (ad es. la Difesa). A causa di alcuni di questi motivi, i mercati non possono venire ad esistere: questi sono mercati mancati, come nel caso dei mercati del rischio e per lo scambio di futures, nei quali i costi di transazione sono troppo elevati per poter generare un mercato conveniente. I mercati spaziali hanno tre caratteristiche economiche che riguardano la proprietà comune, le industrie strategiche e i governi. Punto primo, lo spazio è una risorsa di proprietà comune che manca di qualsiasi mercato privato con diritti di proprietà. Caratteristiche simili si applicano ad altre proprietà comuni, come la acque internazionali, e le conseguenze sono lo sfruttamento eccessivo di queste proprietà comuni arrivando, ad esempio, all’overfishing e all’impoverimento di importanti risorse ittiche. Riguardo allo spazio, lo sfruttamento eccessivo si riflette nel crescente problema dei detriti spaziali e nella domanda eccessiva di accesso a orbite spaziali limitate per i satelliti. Una soluzione a questo problema sono le azioni collettive, che si risolvono in accordi internazionali finalizzati a regolare l’utilizzo delle proprietà comuni (ad es. la politica dell’UE per la pesca comune nelle sue acque territoriali ; gli accordi internazionali sulla pesca delle balene: Sandler and Hartley, 2001). Per lo spazio, ci sono norme internazionali che regolano l’orbita e la frequenza alla quale i satelliti possono operare (cioè, la quantità limitata di spazio orbitale è assegnata dall’ International Telecommunications Union Radiocommunications Bureau ). In alternativa, i diritti di proprietà possono essere assegnati ad un 123 gruppo specifico (ad es. i pescatori). Altri esempi di proprietà comune includono l’ambiente (il riscaldamento globale), i fiumi e l’acqua, certi tipi di informazioni e ricerca, l’accesso ai pascoli comuni e l’utilizzo delle strade. Come conseguenza, dove i diritti di proprietà non sono ben definiti, i mercati potrebbero essere inefficienti: da qui le ragioni per delle forme di intervento statale anche imperfette71. Lo spazio è una proprietà comune dove non esiste un mercato, e pertanto non possiamo aspettarci che i mercati allochino le risorse efficientemente, se un mercato non esiste. Proprietà comune significa che le risorse non appartengono a nessuno, e non possono essere usate da nessuno. Tuttavia, a differenza della proprietà comune sulla terra, l’accesso allo spazio non è senza costi, e le spese necessarie per accedervi formano una barriera all’ingresso. L’industria spaziale fornisce i lanciatori e i satelliti necessari ad ottenere l’accesso allo spazio. Punto secondo, le industrie spaziali hanno le caratteristiche di un’industria economicamente strategica. Si tratta, infatti, di oligopoli di imprese ad alta tecnologia (ad es. la costruzione di aerei di linea civili) dove il commercio internazionale è caratterizzato da guadagni (rendite) sostanziali e dove il supporto dei governi per le loro industrie nazionali permette di ottenere una quota di quelle rendite. Le industrie sono ad alta intensità di R&S con spillovers tecnologici e costi decrescenti (Krugman, 1989; Tisdell and Hartley, 2008, pp177-178). La ricerca e sviluppo è costosa, rischiosa e richiede un’ottica di lungo termine. Per esempio, il lander europeo Huygens impiegò più di 20 anni per passare dal progetto iniziale all’atterraggio su Titano, la luna di Saturno (HCP66, 2009). Punto terzo, i governi sono fondamentali per comprendere i mercati spaziali, perché sono coinvolti sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta di mercato. Sono i principali acquirenti di sistemi spaziali (per uso militare e per l’esplorazione spaziale); forniscono fondi per la R&S spaziale; sono i principali acquirenti di sistemi aerospaziali (aerei militari, elicotteri e missili; fondi per lo sviluppo di aerei civili) e, dato che le imprese aerospaziali sono coinvolte anche nei mercati spaziali, possono effettuare politiche di finanziamenti incrociati. I governi determinano anche l’ingresso nell’industria spaziale e nei mercati (ad es. consentendo l’installazione di siti di lancio in un paese; regolando i requisiti per i lanci e per intraprendere qualsiasi attività spaziale ; richiedendo garanzie da parte di terzi per l’indebitamento durante i lanci e mentre il satellite è operativo; e in alcuni casi, coprendo i costi di assicurazione e i rischi legati al lancio dei veicoli) mentre in certe nazioni, le imprese spaziali sono di proprietà statale. Tuttavia, ci sono delle opportunità di mercato privato, attraverso il finanziamento privato dei satelliti e il mercato emergente del turismo spaziale. Nonostante questo, il largo coinvolgimento del governo nel mercato spaziale solleva la possibilità di 71 Per esempio, riguardo al riscaldamento globale, se la comunità internazionale cercasse un accordo internazionale “perfetto”, nessun trattato potrebbe mai essere firmato. Un trattato imperfetto ma pratico sarebbe meglio che nessun trattato. 124 un fallimento del governo in questo mercato. Le analisi di spesa pubblica forniscono un approccio alternativo per comprendere la politica economica dei mercati spaziali. Un’analisi di scelta pubblica. I mercati spaziali possono essere analizzati come dei mercati politici, laddove questi mercati sono dominati da agenti dei mercati politici, ovvero da elettori, partiti politici, governi, organismi burocratici e gruppi di produttori. Questi gruppi perseguiranno i propri interessi, con gli elettori che cercheranno la massima soddisfazione dai propri voti; i partiti politici che cercheranno di fare la scelta che massimizzerà i voti per loro; i governi che cercheranno di essere rieletti; gli organi burocratici che cercheranno di massimizzare il budget; e i gruppi di produttori che punteranno alla massimizzazione dei loro redditi o profitto (rent-seekers). Il comportamento di questi agenti influenzerà le scelte pubbliche riguardo ai mercati spaziali. Difatti, l’analisi agente-principale può essere applicata alla politica spaziale. Questa analisi mostra come i problemi di allocazione delle risorse si verificano a causa delle difficoltà che si presentano quando si scrivono e controllano contratti finalizzati ad indurre gli agenti ad agire nell’interesse dei principali . Gli elettori (come principali nel rapporto di agenzia) sono verosimilmente male informati riguardo allo spazio, e pertanto lasceranno che siano i loro rappresentanti eletti (in qualità di agenti)a prendere le scelte riguardanti la politica spaziale. Per contro, i governi saranno consigliati e influenzati dalle loro burocrazie con un interesse particolare nello spazio (ad es. un’agenzia spaziale) e che punteranno alla massimizzazione dei loro bilanci. Per fare questo, sovrastimeranno la domanda di programmi spaziali del settore pubblico, e sottostimeranno i costi derivanti da risultati economicamente inefficienti. Questi comportamenti saranno sostenuti con tesi sui benefici derivanti dagli spin-offs e dalla tecnologia delle attività spaziali. Sosterranno che lo spazio è ad alta tecnologia, che tutta la tecnologia spaziale è “buona” e più desiderabile e che l’alta tecnologia assicura un futuro alla competitività internazionale di una nazione. Queste tesi saranno molto probabilmente sostenute dai gruppi di produttori, che guadagneranno dall’assegnazione di contratti del settore pubblico (soprattutto nel caso di contratti basati sui costi). Gli economisti hanno il compito di sottoporre queste tesi a un controllo rigoroso, separando i miti, le emozioni e implorazioni speciali da solide analisi economiche e correlativi supporti empirici. Bisogna controllare con attenzione che le risorse usate per le attività spaziali del settore pubblico portino benefici sociali maggiori che nel caso fossero utilizzate da qualche altra parte nell’economia. Ad esempio, le risorse investite nelle attività spaziali del settore pubblico creeranno più posti di lavoro, più tecnologia e maggiori spin-offs che se fossero impiegate in ricerca universitaria o in qualche altro settore aerospaziale o nei veicoli a motore o nelle industrie dell’information technology? Devono essere poste delle domande anche riguardo alla causa precisa del fallimento dei mercati nel settore spaziale. I mercati spaziali stanno fallendo? Se sì, perché? Ad esempio, i mercati dei capitali privati non riescono a fornire i fondi necessari per le esplorazioni spaziali per via degli alti costi di sviluppo, dei lunghi periodi di sviluppo, dei consistenti rischi tecnici e commerciali e dei 125 profitti solo a lungo termine risultanti dallo sviluppo di lanciatori? Probabilmente il fallimento dei mercati del capitale privati potrà solo rafforzarsi, a causa delle caratteristiche di proprietà comune dei mercati spaziali (mercati mancati), con in aggiunta qualsiasi esternalità positiva collegata agli spinoffs tecnologici. Questi fattori potrebbero spiegare perché i mercati dei capitali privati sono poco propensi (e incapaci) di provvedere finanza di rischio a “costi ragionevoli” per l’esplorazione spaziale. Ma questo non costituisce per forza un fallimento di mercato perché il mercato stesso si è fatto l’idea che ci siano degli usi alternativi più redditizi per i suoi scarsi fondi. In effetti, i mercati dei capitali privati finanziano delle attività spaziali, come ad esempio i satelliti per telecomunicazioni. L’esplorazione spaziale è diversa e può essere vista come ricerca di base, che rappresenta un caso tipico in cui i mercati privati “sotto-investono”: da qui, un’argomentazione per l’intervento statale. Tuttavia, questa non è un’argomentazione decisiva per un sostegno statale all’esplorazione spaziale. C’è una gamma di altre industrie e settori che sono coinvolti nella ricerca base (ad es. le università) e i governi devono fare scelte difficili riguardo a come allocare i pochi fondi tra le varie alternative . Nel fare le loro scelte, i governi saranno influenzati da agenti del mercato politico (il complesso spaziale-industriale-politico). Saranno analogamente influenzati da questi agenti in altre attività del settore pubblico, come l’educazione, la sanità, la difesa e l’edilizia. Questi agenti hanno il potenziale per influenzare le scelte pubbliche in modi tali da condurre a consistenti inefficienze economiche. Ci sono incentivi all’uso delle analisi del fallimento del mercato per difendere le tesi delle burocrazie e dei gruppi di produzione alla ricerca dell’assegnazione di contratti e di budget. Per esempio, verrà detto che l’esplorazione spaziale porta sostanziali esternalità positive attraverso spinoffs (o spillovers) di tecnologia, ma questi sono difficili da misurare. I critici potrebbero addirittura rispondere che le difficoltà di misurazione sono dovute al fatto che non ci sia nulla da misurare! Il messaggio è chiaro. Dichiarazioni riguardo ai fallimenti del mercato e i benefici dell’esplorazione spaziale devono essere sottoposti a delle analisi critiche con una solida teoria economica di base e con delle prove a supporto. I mercati privati possono fallire, ma i modelli di scelta pubblica mostrano che anche i governi possono fallire. Le analisi delle scelte pubbliche presentano le potenziali inefficienze dei mercati politici di cui bisogna tenere conto in ogni valutazione economica della politica spaziale. 126 5.2.3 La politica spaziale del Regno Unito Il governo del Regno Unito è impegnato sia nei mercati militari che nei mercati civili. Il Regno Unito non ha lanciatori o strutture per il lancio. Attività spaziali militari. Il Regno Unito non possiede alcun satellite esclusivamente militare. Invece, le forze armate REGNO UNITO sono supportate dal sistema Skynet. Dal 2005, i servizi Skynet sono stati forniti da un’impresa privata, ovvero la Paradigm, attraverso un’iniziativa finanziaria privata (PFI – Private Finance Initiative) valutata attorno a £3.6 miliardi. Questo accordo procura satelliti per i servizi di comunicazione al Ministero della difesa REGNO UNITO (MoD); e tutta la capacità in eccesso del sistema può essere resa disponibile ad altri utenti militari o governativi, inclusa la NATO. I satelliti sono stati lanciati dai razzi europei Ariane e sono di proprietà della Paradigm, che è una società interamente controllata della EADS (cioè, una caratteristica specifica è che i satelliti Skynet non sono di proprietà del MoD). C’è, tuttavia, una convergenza crescente tra gli usi militari e civili dello spazio, e molte tecnologie delle navette spaziali possono essere utilizzate in entrambi i settori in modo tale che il Regno Unito dovrà riconoscere le opportunità del “dual use” Attività spaziali civili. Il Regno Unito ha adottato un approccio user-driven per lo spazio, che si concentra sulle attività spaziali che valorizzano la conoscenza scientifica e producono benefici per l’economia e la società del REGNO UNITO (esternalità positive).Questo approccio user-driven si concentra sull’uso pratico dei progetti spaziali piuttosto che sul loro prestigio (vedi invece la Francia che è disposta a spendere per programmi spaziali prestigiosi: HCP66, 2007). La caratteristica distintiva del Regno Unito rispetto alle altre nazioni con una considerevole industria aerospaziale è che il coinvolgimento del governo nelle attività spaziali è di gran lunga inferiore a quello dei suoi principali rivali europei: per esempio, Italia, Francia e Germania spendono molto più che il Regno Unito nei programmi ESA(HCP66, 2007). In altre parti, altre nazioni spendono considerevolmente più del Regno Unito nello “spazio civile”: nel 2004/05, le spese del governo per lo spazio civile è stata di $392 milioni, a fronte di $16 miliardi degli USA, $2.5 miliardi del Giappone, circa $0.5 miliardi della Russia, e circa $2.3 miliardi della France (HCP66, 2007). Nonostante tutto, il Regno Unito ha sviluppato una posizione competitiva per i satelliti piccoli e a basso costo, le telecomunicazioni, i sistemi di sorveglianza spaziali e gli effetti del tempo nello spazio72(POST, 2006). E’ considerato come il leader mondiale nella tecnologia satellitare in una vasta gamma di applicazioni (ad es. le comunicazioni; i servizi di banda larga mondiali; le trasmissioni televisive; le comunicazioni sicure; ed ha un coinvolgimento nel nuovo sistema GPS europeo, ovvero Galileo). 72 Nel Giugno 2009, l’REGNO UNITO ha annunciato la creazione di uno Space Innovation and Growth Team (IGT) con l’obiettivo di sviluppare una strategia ventennale per lo spazio REGNO UNITO. 127 Il Regno Unito non è coinvolto in alcun programma di volo spaziale umano. La politica spaziale del Regno Unito riconosce come lo spazio sia ad alto rischio e costoso (ad es. la perdita di vite su voli spaziali con equipaggio; la perdita di un satellite durante il lancio; la perdita dei contatti con Beagle 2 dopo l’atterraggio su Marte ). Di conseguenza, il Regno Unito non ha al momento alcun progetto di partecipazione ad attività spaziali con equipaggio, rispecchiando l’idea che i benefici potenziali non giustificano i costi richiesti (HCP66, 2007). La sua esplorazione spaziale si basa sull’uso della robotica, telerobotica e sistemi semiautonomi (ad es. Beagle 2: HCP66, 2007). Tuttavia, una review parlamentare della politica spaziale del Regno Unito raccomandava che il esso dovesse essere preparato a considerare futuri coinvolgimenti in programmi di esplorazione spaziale con equipaggio, sottoposti ad analisi dei costi e dei benefici (HCP66, 2007). Altrove, ci sono prospettive per le imprese private di finanziare il nuovo mercato emergente del turismo spaziale e per la creazione di un mercato commerciale del turismo spaziale (ad es. Virgin Galactic (HCP66, 2007). La posizione del Governo del Regno Unito è che il finanziamento del nascente mercato del turismo spaziale non sia responsabilità del governo; invece, il ruolo del Governo dovrebbe essere limitato a creare un sistema di regole appropriato (HCP66, 2007). Il governo del Regno Unito non finanzia lanciatori spaziali con nessuna cifra significativa (da solo un piccolo contributo al programma launcher dell’ESA: HCP66, 2007). Al momento, il Governo del Regno Unito crede che ci sia un mercato dei servizi di lancio in grado di assicurare che esso abbia accesso allo spazio (ad es. lanciatori in Europa, USA, Russia, China, Giappone and India). In futuro, potrebbe esserci una richiesta della Difesa Inglese per la creazione di una potenziale lanciatore nazionale (ad es. per lo sviluppo di un launcher per satelliti piccoli a basso costo). Gli elevati costi dei progetti spaziali comportano che il Regno Unito persegua molte delle sue attività spaziali attraverso la collaborazione europea, in particolar modo attraverso l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e la European Organisation for the Exploitation of Meteorological Satellites (EUMETSAT). Nel 2005-06, la spesa complessiva del Governo del Regno Unito per lo spazio è stata di £207.6 milioni, di cui il 67% (£139.6 million) era destinato all’ESA. Sul totale della spesa dedicata all’ESA, la quota maggiore è stata assegnata alla scienza spaziale, all’osservazione della Terra e alle telecomunicazioni/navigazione, con oltre il 70% dei contributi finanziari del Regno Unito provenienti dal Research Councils. In aggiunta, il Regno Unito è coinvolto in alcuni progetti bilaterali (ad es. con il Giappone e gli USA). La strategia spaziale del Regno Unito, 2008-12. La strategia spaziale del Regno Unito per il 20082012 e oltre si basa su cinque obiettivi: i) Conquistare una fetta più grande del mercato mondiale dei sistemi spaziali e delle loro applicazioni; 128 ii) Fornire uno sfruttamento di punta a livello mondiale di sistemi spaziali per gestire i cambiamenti del nostro pianeta; iii) Diventare membro alleato di missioni mondiali spaziali per l’esplorazione dell’Universo ; iv) Giovare alla società del Regno Unito rafforzando l’innovazione dallo spazio e stimolando la creazione di nuovi prodotti e servizi per l’uso quotidiano; v) Sviluppare un canale importante per la creazione di qualificazioni lavorative, protendersi verso un futuro ad alta tecnologia e migliorare il riconoscimento pubblico e politico del valore dei sistemi spaziali come parte delle infrastrutture nazionali critiche del Regno Unito (BNSC, 2009). La politica del governo del Regno Unito è di provvedere “sementi” (‘seedcorn’) per le attività spaziali. I finanziamenti governativi sono giustificati perché le tecnologie spaziali sono spesso ad alto rischio e richiedono lunghi tempi d’esecuzione, tra la fase di ricerca e sviluppo e quella di realizzazione di un profitto (ad es. tipicamente tempi d’esecuzione di 10 anni sono necessari prima che la finanza privata si mostri verosimilmente disponibile). Tipicamente, i capitali privati ricercano profitti di breve periodo piuttosto che profitti futuri molto speculativi. E’ difficile convincere dei venture capitalists ad investire in tecnologie spaziali che sono ancora solo “abbozzate” e non collaudate: da qui, il sostegno del governo del Regno Unito del ricorso al finanziamento ‘seedcorn’ per ridurre alcuni di questi rischi totali (blue-skies risks). Inoltre, si sostiene che lo spazio sia un’industria ad alta tecnologia nella quale molti paesi come USA e Francia investono strategicamente; e quindi per rimanere competitivo anche il Regno Unito dovrebbe investire strategicamente. Queste tesi devono essere valutate in modo critico. Il semplice fatto che altri paesi stiano investendo nello spazio non è un argomento sufficiente perché il Regno Unito copi i suoi rivali: potrebbero esserci usi alternativi migliori per le risorse. Similmente, le tesi sul finanziamento ‘seedcorn’ vanno collegate a specifici fallimenti di mercato e alle loro cause (quali mercati stanno fallendo e perché e qual è la soluzione politica più appropriata per “correggere” questi fallimenti di mercato?). Bisogna fare una valutazione critica dei mercati dei capitali privati e dei loro possibili fallimenti nel finanziare mercati ad alta tecnologia come lo spazio Inoltre, la tesi ‘seedcorn’, richiede anche che si dimostri il successo della linea politica. Ci sono esempi di casi studiati dove i fondi ‘seedcorn’ sono riusciti a sviluppare business di successo, ma pochi risultati non sono una prova convincente del successo generale della politica. E non è neppure sufficiente sostenere come questi investimenti abbiano prodotto grandi profitti. C’è bisogno di indicatori di performance e di evidenza di supporto (ad es. sulla ragione del successo piuttosto che del fallimento) sul valore di mercato creato dai finanziamenti ‘seedcorn’ (ad es. i benefici hanno superato i costi della politica?). Le prove dimostrano che questi investimenti abbiano effettivamente prodotto grandi profitti (as claimed: HCP66, 2007)? 129 British National Space Centre (BNSC). Il British National Space Centre (BNSC) è stato creato alla fine del 1985 e coordina le attività spaziali civili del Regno Unito e la sua politica spaziale. E’ una collaborazione tra sei diversi dipartimenti del Governo e due consigli di ricerca. I Dipartimenti del Governo comprendono il Department for Business, Innovation and Skills; il Department for Children, Schools and Families, il Department for Transport, il Department for Environment, Food and Rural Affairs, the Foreign and Commonwealth Office, the Ministry of Defence, insieme al Natural Environment Research Council e the Science and Technology Facilities Council più the Met Office e il Technology Strategy Board. BNSC riferisce al Minister for Science nel Department for Business, Innovation and Skills. La tabella 6.3.1 mostra i dettagli del suo bilancio tra il 2000 e il 2009. Tra il 2002/03 e il 2009, il bilancio per lo spazio civile del Regno Unito è aumentato in termini reali del 40%. Nel 2008/09, il bilancio del BNSC era costituito per circa il 76% dai contributi ai progetti ESA e per il 90% il suo budget era conferito dal Science and Technology Facilities Council (44%), the Department for Business, Innovation and Skills (28%) e dal Natural Environment Research Council (20%: BNSC, 2009). Il bilancio 2008/09 del BNSC era stanziato principalmente per la scienza e l’esplorazione spaziale (40%); l’osservazione terrestre (26%); le telecomunicazioni e la navigazione (22%: BNSC, 2009). Nel periodo tra il 2000/01 e il 2009, il Regno Unito ha modificato le quote per lo spazio del BNSC. La quota dedicata all’osservazione della terra è diminuita dal 38% al 26%; la quota per le scienze spaziali e l’esplorazione è aumentata dal 26% al 40%; e la quota per le telecomunicazioni e la navigazione è aumentata dal 17% al 22% (BNSC, 2009). Table 5.2.1. I finanziamenti per lo spazio civile del BNSC, dal 2000 al 2009. Anno Finanziamenti per lo spazio del BNSC (milioni di £, prezzi 2007/08) 212.9 199.1 186.6 209.4 213.6 219.9 224.2 239.1 262.8 2000/01 2001/02 2002/03 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09 Fonte: BNSC (2009) Punti di forza e punti deboli del BNSC. Il “modello” BNSC ha sia punti di forza che punti deboli. Tra i suoi pregi c’è quello di fornire una base per presentare una panoramica chiara e coerente della politica spaziale del Regno Unito; di supportare la filosofia user-led; di essere un quartier generale a basso costo; di consentire un’effettiva consultazione con gli utenti; e di assicurare che i progetti 130 spaziali competano con altri progetti non spaziali per l’assegnazione dei fondi governativi, incentivando così la pressione competitiva tra i vari Dipartimenti del Governo. Tra i suoi difetti vi sono la scarsa autorità e la complessità della collaborazione all’interno del BNSC; l’attenzione posta sugli utenti e gli usi potrebbe far perdere opportunità in alcune aree di ricerca; i soggetti della collaborazione differiscono nella loro conoscenza ed esperienza sullo spazio; e gli investimenti per lo spazio sono spesso a lungo termine, laddove i Dipartimenti del Governo tendono a focalizzarsi su priorità a breve termine (ad es. i Dipartimenti considerano la prospettiva spaziale come una prospettiva troppo a lungo termine e ancora nei suoi stadi iniziali: HCP66, 2007). Complessivamente, un rapporto del National Audit Office ha concluso che la collaborazione nel BNSC “ha numerosi punti di forza, tra i quali l’appoggio a programmi focalizzati sugli utenti, costruiti su un’ampia consultazione, e molti dei quali hanno apportato importanti vantaggi scientifici e commerciali ”(NAO, 2004). Tuttavia, ci sono dei punti deboli nella valutazione che BNSC fa dei progetti che comportano il trattamento dei rischi e la valutazione dei vantaggi (ad es. Beagle 2 era stato valutato come un progetto ad alto rischio ma dagli elevati vantaggi: NAO, 2004). C’è quindi spazio per migliorare la performance del management attraverso il supporto di indicatori di performance: per esempio, servono dati sul contributo dello spazio al miglioramento della produttività dell’economia del Regno Unito. Ci sono modelli di organizzazione diversi dalla struttura collaborativa del BNSC . Questi includono agenzie spaziali specializzate (ad es. la NASA negli USA), diversi accordi di collaborazione e Dipartimenti Governativi responsabili per lo spazio. Il Comitato Parlamentare del Regno Unito, che ha esaminato la possibilità di istituire un’agenzia spaziale, ha concluso che con gli attuali livelli di spesa, non si dovrebbe costituire una tale agenzia ma continuare con l’approccio della struttura collaborativa del BNSC per lo spazio. Tuttavia, se i finanziamenti del Regno Unito per lo spazio dovessero aumentare sostanzialmente, la questione sulla necessità di un’agenzia spaziale dovrebbe essere riesaminata (HCP66, 2007). Il Regno Unito e l’ ESA. La collaborazione internazionale attraverso l’ESA ha permesso al Regno Unito di intraprender attività spaziali che non sarebbero state giudicate utili in base ai criteri nazionali. Inoltre, il Regno Unito contribuisce verso attraverso la sua enfasi sul valore dei soldi nelle spese spaziali. Gli stati membri contribuiscono ai programmi obbligatori dell’ESA e possono scegliere se contribuire ai programmi opzionali.. Nel 2005, il Regno Unito era il secondo maggior contribuente dei programmi obbligatori ESA, con una quota del 17.7% del budget (dietro la Germania); ma contribuiva solo a circa il 6% del budget per i programmi opzionali (ad es. Aurora; Galileo; GMES). Nonostante ciò, dal 1998, la spesa per l’ESA è sempre stata una considerevole porzione della spesa complessiva del Regno Unito per lo spazio, contando tra il 50% e il 70% della spesa totale (HCP66, 2007). 131 L’ESA è il maggiore singolo fornitore di contratti del settore pubblico civile all’industria spaziale europea. La politica industriale dell’ESA si pone quattro obiettivi: curando l’efficienza dei costi; la competitività industriale; le offerte competitive; e lo juste retour. La distribuzione imparziale o uguale delle attività tra i membri dell’ESA (juste retour) mira ad assicurare che ogni Stato membro riceva indietro contratti di lavoro proporzionati al loro contributo al budget complessivo dell’ESA. Nel 2005, l’ESA ha accordato un return rule di 0.91 per i 5 anni successivi. Su queste basi, il Regno Unito ha ricevuto un ‘under return’ nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006. Parte di questo ‘under return’ rifletteva una ristrutturazione industriale in corso nel Regno Unito, che rendeva difficile piazzare contratti industriali con società del Regno Unito (HCP66, 2007). 5.2.4 L’industria spaziale del Regno Unito L’industria spaziale del Regno Unito è formata da oltre 200 imprese con vendite annuali di 7miliardi £ impiegando circa 19,000 persone nel 2007/08. L’industria del Regno Unito ha punti di forza competitivi nei satelliti, come la produzione di satelliti, la tecnologia satellitare, la programmazione del software, le comunicazioni satellitari, i sistemi di navigazione e di telecomunicazione (BNSC, 2009). La tabella 6.3.2 mostra gli andamenti delle vendite e dell’occupazione nell’industria tra il 1993 e il 2008. Durante il periodo, le vendite reali sono aumentate di quasi 7 volte e l’impiego diretto è cresciuto 3 volte tanto. Nello stesso periodo, le vendite reali totali dell’industria aerospaziale del Regno Unito sono cresciute del 22% mentre l’impiego diretto è diminuito del 30%. Durante il periodo precedente, tra il 1988 e il 1993, le vendite reali dell’industria spaziale del Regno Unito sono aumentate del 9% all’anno ma l’occupazione è diminuita del 2% all’anno (DTI, 1995). Il settore spaziale rimane un’area relativamente piccola dell’industria aerospaziale del Regno Unito. Tra il 1998 e il 2008, le vendite dello spazio sono cresciute da un 2% al 4% delle vendite totali dell’industria aerospaziale (SBAC, 2009). Gli impieghi del settore sono concentrati a Londra, nel SudEst e nel Sud-Ovest. Table 5.2.2. L’industria spaziale del Regno Unito, 1993-2008 132 Features 1993/04 1999/2000 2007/08 1015 3251 7000 vendite (milioni di £, prezzi 2007/08) 6,300 14,651 18,873 Impiego diretto Nota: I dati provengono da fonti diverse che non sono necessariamente comparabili. Fonti: DTI (1995); SBAC (2009) L’industria comprende settori a monte e a valle. I settori a monte riguardano la fornitura di tecnologia ed includono i prime contractors spaziali e i loro fornitori. I settori a valle riguardano invece lo sfruttamento della tecnologia spaziale (ad es. i servizi di trasmissioni satellitari contano per il 69% del fatturato del settore a valle; i fornitori di servizi di comunicazioni satellitari contano per il 17%; assicurazioni e operazioni finanziarie contano per il 2%: BSNC, 2008). Le attività a valle nel 2006/07 hanno contato per l’85% del fatturato totale dell’industria e valevano circa sei volte tanto il valore monetario delle attività a monte (BNSC, 2008). Tuttavia, le valutazioni sull’occupazione nell’industria devono essere trattate con cautela. Spesso non è chiaro in che modo venga definita un’industria e se le valutazioni sull’occupazione sono basate solo sulle imprese principali e sulle loro catene di fornitura o se includano anche stime dei moltiplicatori del lavoro indotto (ad es. la spesa locale dei lavoratori dell’industria spaziale). Per esempio, alcuni stimano che l’industria spaziale del Regno Unito fornisca 70.000 posti di lavoro (Flight, 2008). I gruppi di interesse del settore spaziale sono incentivati ad esagerare la dimensione e l’importanza dell’industria spaziale. Il lavoro diretto totale nel 2008 per le attività a monte ammontava a 5.816 posti di lavoro e l’equivalente per il settore a valle era di 13.057 persone (BNSC, 2008). Le attività a monte del Regno Unito sono dominate da una singola grande compagnia pan-europea, la Astrium, e da un numero di PMI. Il personale dell’ Astrium nel Regno Unito è composto da più 2500 persone (Portsmouth; Poynton; Stevenage)73. Inoltre, nel 2008, EADS Astrium ha acquisito la Surrey Satellite Technology Ltd (SSTL) che era stata in origine fondata dall’Università di Surrey. Prima della sua acquisizione da parte della EADS, SSTL era la compagnia leader mondiale per i satelliti piccoli, impiegando circa 300 persone nel 2008. Altre grandi compagnie del Regno Unito con degli interessi nello spazio includono la BAE Systems e QinetiQ 74 . Anche le attività a valle sono dominate da una singola società, la BSkyB. Nel 2004/05, l’industria spaziale ha portato circa £2.4 miliardi al PIL del Regno Unito, equivalenti allo 0.2% del PIL. 73 Nel 2008, Astrium impiegava più di 15,000 persone in Francia, Germania, il Regno Unito e l’Olanda. Thales Alenia Space è una joint venture tra la Thales (67%) e Finmeccanica (33%) e impiega 7,200 persone in Francia, Italia, Belgio e Spagna. 74 Una ricerca dell’attuale Company Annual Reports ha trovato che sia la BAE che la QinetiQ fanno riferimento ai loro interessi nello spazio. Tuttavia, una ricerca simile del Company Annual non ha trovato alcun riferimento alle proprie attività spaziali delle seguenti compagnie: Rolls-Royce; Saab; e la Smiths Aerospace (di proprietà della GE). 133 L’industria spaziale del Regno Unito si distingue anche per la presenza di numerose PMI. Tra gli esempi, la Clyde Space (sub-sistemi avanzati di alimentazione di energia); l’Orbital Optics Space (apparecchi fotografici) la SEA (una struttura che riceve i campioni ottenuti da Marte); e la Reaction Engines (motori spaziali per Skylon: BNSC, 2009). I punti di forza classici delle PMI sono la loro flessibilità, l’innovazione, la velocità di reazione e l’efficienza della spesa. Ciononostante, sorgono dei problemi quando si tratta del coinvolgimento delle PMI in programmi spaziali su larga scala come quelli dell’ESA. Ad esempio, ci sono difficoltà e costi ad entrare nei mercati di approvvigionamento spaziali (ad es. norme e requisiti di assicurazione; la reputazione) e le PMI mancano di competenze nei sistemi di organizzazione richiesti (HCP66, 2007). Inoltre, numerose Università del Regno Unito hanno interessi di ricerca nello spazio: queste includono l’Università di Cardiff, Leicester, London, Oxford, Reading e Surrey. L’industria spaziale del Regno Unito è ad alta tecnologia e impiega lavoratori altamente specializzati (nel 2004/05, il 57% della forza lavoro era laureato e con un PIL procapite per lavoratore di £135.000). Le competenze richieste condizionano la domanda del Regno Unito di scienziati spaziali preparati dalle università (ad es. astrofisici; fisici del sistema solare). Il finanziamento governativo della ricerca scientifica universitaria influisce anche sulla reputazione internazionale delle Università del Regno Unito. Le società a monte sono a più elevata intensità di R&S, spendendo in media il 2.5% del loro fatturato in R&S finanziata in proprio: questa cifra sale al 14.1% del fatturato se includiamo anche i finanziamenti esterni (HCP66, 2007). Lo spazio produce anche degli spin-off tecnologici verso svariati settori dell’economia, come l’aerospazio, la difesa, la sanità, i trasporti e l’energia. Tuttavia, l’ESA ha constatato come la commercializzazione al di fuori del settore spaziale delle tecnologie spaziali nel Regno Unito è molto limitata e non diffusa (ad es. un’indagine del 2001 su 187 società spaziali e gruppi di ricerca del Regno Unito ha trovato che solo in 26 avevano cercato di commercializzare le loro ricerche al di fuori dell’ambito spaziale: HCP66, 2007). Bisogna riconoscere come ci siano esempi di successo (ad es. Anson Medical; Thruvision Ltd), ma lo studio di pochi casi non può sostituire una valutazione approfondita dei meccanismi di trasferimento della tecnologia e del valore di mercato risultante da questi spin-off. Conclusione: la necessità di una valutazione indipendente della politica spaziale del Regno Unito. La politica spaziale del Regno Unito è stata dominata dagli scienziati e dal complesso scientifico industriale e di ricerca. C’è stata una sorprendente mancanza di una valutazione economica indipendente critica e genuina di quella politica. Vi sono larghe opportunità per questa valutazione economica, che richiede sia lavori teoretici che empirici . I dibattiti politici attuali si sono concentrati sulla descrizione della politica spaziale del Regno Unito, sui dati di bilancio, su rassegne annuali sulla salute dell’industria spaziale del Regno Unito e su vaghi riferimenti a considerazioni sulla possibilità 134 di spillovers tecnologici (ad es. HCP 66, 2007; BNSC, 2008;2009). Tutti questi dovrebbero diventare utili punti di partenza per delle analisi indipendenti più profonde. Ogni valutazione economica dello stato della politica spaziale del Regno Unito deve partire facendo riferimento ad almeno tre questioni. Primo, esaminare le analisi dei fallimenti di mercato. Lo spazio è caratterizzato da dei sostanziali fallimenti di mercato. Questi includono la caratteristica di beni pubblici per i mercati spaziali militari e per la ricerca di base ; l’importanza del Governo sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta del mercato spaziale del Regno Unito; lo spazio come risorsa di proprietà comune; la presenza di esternalità positive (gli spillovers tecnologici); i difetti dal lato dell’offerta dell’industria (monopolio; barriere all’ingresso); e i possibili fallimenti dei mercati dei capitali. Ciascuna di queste fonti potenziali di fallimenti di mercato deve essere sviluppata e applicata alla politica spaziale del Regno Unito. Quanto la politica spaziale del Regno Unito è spiegata e giustificata dalle analisi dei fallimenti di mercato? Questi fallimenti sono sostanziali? Quali sono le cause precise di ciascuno di questi fallimenti di mercato? Una volta che le cause dei fallimenti di mercato siano state identificate, allora si dovrebbe tracciare la gamma delle possibili soluzioni politiche alternative tra le quali poter scegliere la soluzione più appropriata. Tra queste diverse politiche alternative, il sostegno finanziario dello Stato è solo una delle opzioni: tra le altre c’è la possibilità di rimuovere le barriere all’entrata (ad es. per le PMI e per le autorizzazioni richieste) e al trasferimento tecnologico e la promozione di accordi internazionali sull’uso dello spazio come risorsa di proprietà comune. Secondo, il ruolo dei mercati del capitale privati. Sono necessarie delle analisi dettagliate per le possibili cause di ogni fallimento dei mercati di capitale privati nel fornire finanziamenti privati alle industrie spaziali . Ad esempio, quei mercati potrebbero essere riluttanti ad investire in attività di ricerca di base perché sono viste come ad alto rischio con profitti sul lungo periodo; dove ci sono problemi a stabilire i diritti di proprietà su ogni idea commerciabile e dove potrebbe essere economicamente efficiente promuovere la diffusione estesa di queste idee attraverso l’economia. Ma i beni pubblici e le esternalità positive della ricerca di base si applicano a tutte le ricerche di base e non solo a quelle sullo spazio. Da qui, nello stanziare i fondi per la ricerca di base, è necessario portare prove per identificare lo spazio come un settore ad alto valore aggiunto se paragonato ad altri usi alternativi dei fondi governativi (ad es. la medicina; le tecnologie ecosostenibili). Terzo, la necessità di una politica basata sull’evidenza empirica. L’argomentazione per la politica spaziale del Regno Unito ha bisogno di giustificazioni empiriche più convincenti75. Ad 75 Come esempio delle possibilità di lavoro empirico, abbiamo calcolato il coefficient di correlazione di Spearman tra l’ordinamneto dei contribute nazionali all’ESA e quello delle nazioni in base all’European Innovation Scoreboard (EC 2007). Il coefficiente di correlazione di rango è risultato, R = 0,37, positivo ma non significativo. Una simile correlazione di rango tra l’ordinamento dei risultati dell’innovazione regionale nel Regno Unito (EC 2007; Tavola 5, pp. 026-027) e quello dell’occuopazione diretta per regione delle insustrie della difesa del Regnio Unito ha dato un coefficiente positivo di R = 0,78 e significativo al livello dell’1%. E’ chiaro che c’è molto spazio per studi simili, ma più approfonditi e rigorosi sul contributo della spesa spaziale ai risultati dell’economia. 135 esempio c’è una carenza di dati statistici sull’industria spaziale del Regno Unito e sui trasferimenti tecnologici. Ci sono alcuni dati pubblicati sull’industria spaziale, ma sono comunque scarsi paragonati coni dati disponibili per l’industria aerospaziale del Regno Unito. C’è bisogno di dati e prove solide a sostegno del valore aggiunto dell’industria spaziale a confronto con altre industrie del Regno Unito, che rappresentano impieghi alternativi delle risorse (ad es. l’industria automobilistica; l’industria farmaceutica; il petrolio e la benzina). C’è anche bisogno di evidenze empiriche affidabili sui trasferimenti tecnologici. Ad esempio, non è convincente sostenere che “Il programma ARTES... dovrebbe produrre elevati guadagni” (HCP66, 2007, Conclusions): quali erano le evidenze empiriche sui guadagni attesi e realizzati da questi programmi? Similarmente, gli esempi e gli studi sulle tesi sui trasferimenti tecnologici non centrano le domande principali sugli effettivi meccanismi di trasmissione e sull’effettivo valore effettivo di questi trasferimenti tecnologici. 136 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BNSC (2008). Size and Health of REGNO UNITO Space Industry 2008, British National Space Centre, Swindon. BNSC (2008a). REGNO UNITO Civil Space Strategy: 2008-2012 and beyond, BNSC, Swindon. BNSC (2009). REGNO UNITO in Space: Annual Report 2009, British National Space Centre, Swindon. DIS (2005). Defence Industrial Strategy, Cmnd 6697, TSO, London, December. DTS (2006). Defence Technology Strategy, Ministry of Defence, London. DTI 1995). REGNO UNITO Space Policy: A Discussion Document, Department of Trade and Industry, London. Flight (2008). Making the case for space, Flight International, 8-14 July, pp130-133. HCP66 (2007). REGNO UNITO Civil Space Policy, House of Commons, Select Committee on Science and Technology, Seventh Report, TSO, London, July. Krugman, P (1989). Industrial organization and international trade in R. Schamalensee and R. Willig, eds, The Handbook of Industrial Organization, Elsevier, New York. NAO (2004). Department of Trade and Industry: The United Kingdom’s Civil Space Activities, National Audit Office, TSO, London. POST (2006). Military uses of space, POSTNOTE, Parliamentary Office of Science and Technology, London. Sandler, T and Hartley, K (2001). Economics of alliances: The lessons for collective action, Journal of Economic Literature, XXIX, 3, 869-896. SBAC (2009). REGNO UNITO Aerospace Industry Survey 2009, Society of British Aerospace Companies, London. Tisdell, C and Hartley, K (2008). Microeconomic Policy, Elgar, Cheltenham. UNIDIR (2009). At the crossroads: the necessity for rules of the road for space, Alex Karl, Disarmament Forum, United Nations Institute for Disarmament Research, Geneva. 137 CAPITOLO 6 – LE SCELTE DELLE POLITICHE SPAZIALI E LE POLITICHE D’APPROVVIGIONAMENTO SPAZIALE IN EUROPA Come si è già più volte avuto modo di osservare (ad es. sez. 1.2 e 3.2) gli organismi pubblici, nazionali e internazionali, svolgono un ruolo ancora predominante nel sostegno della domanda spaziale. Va però tenuto presente che queste incidono anche sullo sviluppo della struttura produttiva, intesa sia come base industriale per i programmi con obiettivi pubblici, civili e militari, sia come fonte di spin-offs di nuove attività produttive nel settore dei servizi satellitari, quantitativamente ben più importante di quello dell’industria spaziale (vedi l’accenno nella sez. 2.2 e la discussione in 7.2). Nella sezioni 6.1, dopo avere evidenziato la natura strategica globale degli obiettivi delle politiche spaziali e i loro stretti intrecci per la natura massimamente duale del satellite (6.1.1, 6.1.3 e 6.14), ci si sofferma (6.1.2) sul fatto che le politiche spaziali dei paesi europei sono caratterizzate da una vasta collaborazione attraverso l’ESA, resa necessaria dall’impossibilità per un singolo paese europeo di sostenere con la sola sua domanda ed il suo solo contributo finanziario i costi ed i rischi dei programmi spaziali. In particolare si evidenzia la complessità di questa collaborazione, che fa sì che le istituzioni preposte alla collaborazione seguano spesso le iniziative con cui vari paesi europei, unilateralmente o bilateralmente, avviano nuovi progetti. La sezione 6.3 mette a fuoco, con un semplice esempio numerico e un richiamo dell’esperienza del progetto Galileo, il problema del costo delle collaborazioni internazionali, inteso come un esempio (gigantesco) di costo delle transazioni. I costi delle transazioni emergono anche nei vari tipi di contratto utilizzato dall’ESA con le imprese spaziali europee. Questi sono esaminati in dettaglio nella sezione 6.2 che porta l’attenzione su due fattori che potrebbero ridurre quei costi e promuovere una maggiore efficienza nell’industria spaziale: una maggiore pubblicità degli approvvigionamenti ed un allargamento dello spazio del subcontracting. 6.1 LA FORMAZIONE DELLE POLITICHE 6.1.1 Introduzione e tendenze globali Sempre più paesi, collettivamente o singolarmente, hanno piani per lo sviluppo delle loro capacità spaziali. Lo spazio è un’attività economica che dipende in larga parte dal governo, poiché rappresenta un patrimonio umano, che rassomiglia a quello del mare aperto. Una differenza fondamentale, che rende lo spazio un settore strategico, è il fatto che il volo dei satelliti sopra terre continentali e acque nazionali ha luogo giornalmente. Lo spazio, in questa prospettiva, è il luogo 138 strategico definitivo e per questa ragione ogni coinvolgimento commerciale deve avvenire sotto l’egida del governo ed è fortemente regolato. Nella tabella 1 viene mostrato come lo sviluppo della tecnologia e delle sue applicazioni spaziali di rilevanza strategica si sono svolte col passare del tempo. Pochi paesi hanno raggiunto l’accesso allo spazio con equipaggi umani o sono riusciti a realizzare dei propri sistemi autonomi di posizionamento, nonostante molti di loro abbiano le capacità per lanciare i propri satelliti, o lanciare satelliti di osservazione terreste. Ad eccezione degli Stati Uniti che dominano in tutti gli aspetti dello spazio e delle capacità significative della Russia, la maggior parte degli altri paesi continuano a lottare per un’autonomia. Cina India e Giappone stanno investendo molto per sviluppare le proprie capacità e lo stesso fanno nazioni come il Brasile e Israele. Le nazioni europee in larga parte collaborano attraverso un’agenzia spaziale civile multilaterale (European Space Agency- ESA) e stanno cercando sempre di più di estendere le applicazioni civili nella sicurezza e nei sistemi di difesa. La natura dei sistemi spaziali e dei satelliti fa si che siano utilizzabili sia per usi civili che militari e molti di loro vengono definiti come ‘dual-use’. I satelliti di osservazione terrestre sono un buon esempio, dato che le immagini possono essere usate per una gran varietà di scopi, dall’agricoltura al puntamento militare, a seconda della risoluzione e dell’uso stabilito dall’operatore. Tabella 6.1 Lo stato delle capacità spaziali; tempo e applicazioni NOTA: COMSAT = satellite di comunicazione. CSIS, 2008: 46 Le attività dell’industria spaziale sono in crescita, trascinate dalle applicazioni dei satelliti per le comunicazioni (figura 6.1). I dati della figura 6.1 includono le attività di produzione commerciale sia per clienti privati che governativi; similmente, i servizi di lancio fanno riferimento a fornitori privati sia per i carichi privati che per quelli governativi, ma non includono le missioni dello Space 139 Shuttle, o quelle verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che sono organizzate non commercialmente. Per concludere, la precedente classificazione si concentra in generale sui miliardi dei mercati commerciali, e per fare un confronto il bilancio della difesa degli Stati Uniti dedicata allo spazio eccede i 20 miliardi76 US$(2008) (SSI, 2009: 16) e quello della NASA nel 2009 supera i 17 miliardi US$(2009) (NASA, 2009a). Figura 6.1 I ricavi dell’industria spaziale globale per settore Profitti in miliardi US$ (2008) $160 $140 Servizi $120 satellitari $100 Produzione di $80 satelliti $60 Industria del $40 lancio $20 Equpaggiamento $0 2003 di terra 2004 2005 2006 2007 2008 Fonte: SIA, 2008: 6 Le politiche nazionali affrontano le sfide di integrare obiettivi e programmi scientifici e di esplorazione con operazioni di difesa e di sicurezza e sistemi applicativi. L’osservazione della terra sotto l’aspetto dei cambiamenti climatici, e della gestione terreste e marina di attività di settori primari sono aspetti che certe volte faticano a combaciare con sistemi di sorveglianza militare e applicazioni per la sicurezza, ma spesso utilizzano dati e satelliti in comune. Sfide significative derivano anche dai tentativi di collaborazione per l’esplorazione della luna e di altri corpi celesti, per le quali i programmi nazionali hanno difficoltà a reperire le risorse necessarie, anche nel caso degli Stati Uniti. 76 La spesa totale del Governo degli Stati Uniti per la difesa è vicino ai 500 miliardi US$(2009) (OMB, 2009), dei quali appena 10 miliardi US$(2009) sono dedicati direttamente allo spazio, ma non si devono dimenticare sistemi quali la difesa missilistica, con una significativa componente spaziale(vedi SWF, 2009). 140 I benefici derivanti dai programmi spaziali e dalle loro applicazioni consistono in larga parte nei benefici indiretti di natura sociale, la cui appropriazione risulta difficile e pertanto diventa difficile raggiungere attraverso i mercati un’allocazione efficiente. D’altro canto, la mancanza di trasparenza nelle attività spaziali e l’inconsistenza di indicatori quantitativi dell’allocazione delle risorse e dei benefici rende difficile realizzare valutazioni rilevanti. In aggiunta, la mescolanza di considerazioni riguardo alla sicurezza nazionale con ragionamenti in termini di industria nascente e mercati commerciali ha spesso come risultato politiche i cui obiettivi ed effetti sono difficili da valutare e giustificare. Le seguenti sezioni esaminano in dettaglio le linee di sviluppo e di condotta politiche per l’Europa, gli Stati Uniti e altre nazioni con programmi spaziali al fine di arrivare ad un’analisi delle politiche e tendenze mondiali. 6.1.2 La politica spaziale europea: autonomia e collaborazione La politica spaziale europea è caratterizzata da due principali obiettivi: la coordinazione delle politiche e delle industrie europee e l’autonomia nelle principali applicazioni spaziali. Poiché vi sono numerose difficoltà per coordinare le politiche spaziali militari, gli sforzi collaborativi dell’Europa si sono focalizzati a livello multilaterale sui programmi spaziali civili, con sforzi sostanziali per catturare quote di mercati commerciali, perché l’industria non ottiene da un programma spaziale militare coordinato un mercato che superi la soglia critica per sostenere livelli di R&S sufficientemente grandi e ottenere le economie di scala necessarie. La creazione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), in seguito all’integrazione di una riuscita Organizzazione Europea per lo Sviluppo dei Lanciatori (ELDO) e di una meno riuscita Organizzazione per la Ricerca Europea (ESRO), ha avuto un successo senza precedenti che hanno portato ad un’agenzia spaziale multilaterale di primaria importanza. Il fiore all’occhiello del programma ESA è stata la famiglia Ariane di lanciatori, che ha permesso all’Europa di ottenere la propria indipendenza nell’accesso allo spazio, di raggiungere una buona quota di mercato civile/commerciale e di realizzare operazioni che hanno assicurato la sostenibilità dell’industria di lancio europea. Il trattato costitutivo dell’ESA indica qual è il suo ruolo in quanto agenzia spaziale civile: “The purpose of the Agency shall be to provide for and to promote, for exclusively peaceful purposes, cooperation among European States in space research and technology and their space applications, with a view to their being used for scientific purposes and for operational space applications systems” ESA, 2005 Buona parte del successo dell’ESA è basato sulla sua flessibilità in termini di scelta dei programmi e sulla sua politica industriale rivolta ai ritorni economici, che attira finanziamenti rilevanti dai paesi membri, secondo principi presenti fin dai tempi dell’ESRO. L’ESA ha seguito 141 ampiamente la politica di votare i propri programmi con una regola di maggioranza semplice (ad esclusione degli stanziamenti per i programmi obbligatori e per il bilancio generale - vedi Suzuki, 2003: 95-96), ottenendo una maggiore flessibilità ed evitando trattative infinite. Il ruolo ed il successo dell’ESA nell’intraprendere programmi è diventato la forza propulsiva degli sforzi e delle politiche di collaborazione spaziale europei, dell’integrazione dell’industria spaziale Europea e della presenza di un partner europeo importante in programmi spaziali internazionali, come la Stazione Spaziale Internazionale (vedi ESA, 2009c) Il successo dell’ESA nei programmi spaziali e la sua portata europea l’hanno resa de-facto un’agenzia spaziale per l’Unione Europea; le sfide per una piena integrazione dell’ESA all’interno delle istituzioni della UE sono però venute fuori durante le trattative per il programma Galileo, dove si è manifestato un problema di incompatibilità tra queste organizzazioni difficile da risolvere. Il problema nasce dal fatto che la commissione generalmente adotta una politica di approvvigionamento competitiva in Europa, mentre l’ESA è impegnata non solo per mantenere una politica del juste retour, ma anche per forgiare la struttura dell’industria spaziale Europea (vedi Zervos e Siegel, 2008). Gli sforzi per creare un’integrale politica spaziale europea hanno raggiunto una pietra miliare nel 2004 con la creazione di un consiglio spaziale, seguito nel 2007 da un documento di Politica Spaziale Europea e dalla sua approvazione da parte dei ministri europei (ESA, 2007). L’elemento della sicurezza e la definizione di un’area grigia tra le applicazioni militari e per la sicurezza ha assunto un ruolo chiave nella politica spaziale europea. L’Agenzia per la Difesa Europea, la Commissione Europea e l’ESA sono impegnate in un ‘dibattito sistematico sullo spazio e la sicurezza’, che è impostato in modo da sfruttare le sinergie dei sistemi dual-use. L’idea stessa di un sistema dual-use deve affrontare delle difficoltà di definizione simili a quelle necessarie per definire il concetto di un’arma e distinguere i sistemi non in termini di capacità tecniche, ma di intenzioni d’uso. La maggioranza dei programmi per lanciatori sono una versione diretta di missili balistici e la differenza consiste solamente nell’uso inteso e in piccole differenze tecniche. L’ESA è coinvolta in quelli che sono comunemente descritti come principali programmi dual-use che comportano un elemento molto forte di sicurezza: Global Monitoring for Environment and Security (GMES, rinominato di recente Kopernikus), Space Situational Awareness (SSA), European Data Relay System (EDRS) e Galileo (descritto sotto). 142 Figura 6.2 Le alleanze spaziali e per la sicurezza dell’Europa e del Nord Atlantico La figura 6.2 mostra alcuni dei potenziali problemi di frammentazione presenti nello spazio europeo e sul fronte della sicurezza. Per quanto la vasta maggioranza dei paesi europei siano membri dell’Unione Europea (UE), NATO, e dell’Agenzia di Difesa Europea (EDA) e seggano nel consiglio dirigente dell’ESA, la coordinazione di importanti scelte politiche dove viene richiesta l’unanimità per un gruppo di paesi così eterogenei risulta impegnativa. La frammentazione è ancora più evidente se andiamo ad esaminare la struttura delle istituzioni più rilevanti. OCCAR (Organisation Conjointe 143 de Coopération en matière d'Armement: Organisation for Joint Armament Cooperation) è un tentativo di collaborazione di un gruppo di paesi europei nell’approvvigionamento per la difesa e nell’organizzazione di nuovi progetti per i propri stati membri (vedi figura 2). Rappresenta, in effetti, un tentativo istituzionale di centralizzare la cooperazione tra paesi che supportano numerosi programmi collaborativi e pertanto è un’organizzazione ad-hoc che si occupa della gestione dei programmi, piuttosto che della loro progettazione. Questo permette all’OCCAR di lavorare sulla base di un rendimento non equo (OCCAR, 2009). WEU dall’altro lato è un’istituzione operativa, che usa attività, ed un’entità coordinatrice per la gestione di situazioni di crisi e il miglioramento della sicurezza. La sua creazione è stata finalizzata alla coordinazione delle capacità di difesa dei paesi europei in una cornice trans-atlantica: “WEU will be developed as the defence component of the European Union and as the means to strengthen the European pillar of the Atlantic Alliance. To this end, it will formulate common European defence policy and carry forward its concrete implementation through the further development of its own operational role.” WEU, 2000. La creazione dell’EDA è diretta al consolidamento di questo quadro frammentato. Sotto questo aspetto, molte delle funzioni della WEU menzionate sopra saranno di fatto trasferite all’EDA, che dovrebbe formalmente diventare l’agenzia per la difesa dell’UE strettamente collegata alla NATO (NATO, 2009b). Il successo dell’EDA non va però preso per certo, anche se un primo passo verso di esso è stata l’adozione e l’attuazione di una politica per la sicurezza e la difesa europea (European Defence and Security Policy - EDSP) e l’adozione del trattato di Lisbona nel 2007. Da questo punto di vista, l’obiettivo dell’EDA è di incorporare sia le funzioni del WEU che dell’OCCAR nell’area UE: “In November 2008 the Council in Defence Ministers formation adopted a political Declarationon EDA-OCCAR cooperation. The EDA Steering Board in National Armaments Directors formation has now directed the Head of the Agency, Javier Solana, to open negotiations with OCCAR. They will be pursued with a view to approval of an agreed text by the Council at its November 2009 meeting.“This decision reflects EDA’s growing output. The Agency’s activities are ‘upstream’ in launching cooperative projects, often involving R&T investment. OCCAR is more ‘downstream’ and perfectly equipped and experienced for programme management, once a group of Member States has decided to develop and procure a system. We now need to codify this natural relationship”, said Alexander Weis, EDA Chief Executive.”, EDA, 2009b. Pertanto, è prevedibile che tanto l’ESA quando l’EDA saranno coordinate all’interno dell’UE (Burzykowaska, 2006). Per quanto riguarda il settore spaziale in particolare, questo porta a sforzi per 144 utilizzare l’esperienza dell’ESA e sviluppare applicazioni e network rilevanti. Il Consiglio Spaziale, che è formato dai ministri competenti dei membri dell’UE e dell’ESA (la Norvegia e la Svizzera sono gli unici membri dell’ESA a non fare parte dell’UE, mentre il Canada a sua volta non è un membro UE, ma siede nel consiglio dell’ESA) sta trattando lo spazio come uno dei principali obiettivi degli sforzi della sicurezza europea, con l’ESA come parte competente per il supporto tecnico. Al riguardo il Direttore Generale dell’ESA Jean-Jacques Dordain ha fatto le seguenti dichiarazioni alla fine del quinto Consiglio Spaziale: “Europe’s Ministers have renewed the momentum behind the European Space Policy. The European Commission and ESA are committed to delivering the flagship application programmes Galileo and GMES, now known as Kopernikus, which are crucial to the economic and environmental well-being of Europe and elsewhere…Beyond these first priorities, Ministers have given us clear orientations as to their next priorities. It is particularly significant that they have stressed their wish for ESA to be involved in the structured dialogue on space and security and for the Commission to address the political debate on Europe’s vision for its role in the exploration of space.” ESA, 2008a. Kopernikus è, di fatto, un sistema di sistemi che si basa su attività basate nello spazio e fornisce applicazioni collegate al controllo del tempo e all’osservazione della Terra, mentre Galileo è il sistema basato sullo spazio di radio-navigazione proposto dall’Europa; e SSA è addetto all’osservazione dello spazio, per prevenire minacce di oggetti vicino alla Terra (come asteroidi che potrebbero colpirla) e oggetti in orbita (satelliti, detriti). Tutti i sistemi sono di vitale importanza non solo per i loro scopi civili, ma anche per i loro usi militari di natura strategica. Nello specifico, Kopernikus è diretto a provvedere una capacità indipendente per il controllo globale attraverso satelliti sia ottici che radar, così come tramite componenti aviotrasportati, marittimi e terrestri. I dati ottenuti sono utilizzati per allargare le conoscenze sul clima e l’ambiente in generale, ma anche a fini di sicurezza in caso di disastri naturali. La collaborazione europea non è impedita da problemi di tipo tecnico, dato che molti programmi europei si rivelano in grado di creare e sviluppare le applicazioni rilevanti. Le vere sfide riguardano gli enti gestionali e il controllo sulle istituzioni operative. Kopernikus è un caso esemplare di come lo sviluppo degli elementi e delle infrastrutture tecniche precedono di parecchio la costituzione di un ente organizzativo: “Substantial work has been undertaken so far to move GMES from concept to reality. Recognising the importance of Earth observation, the Council endorsed the approach and welcomed the Austrian and German EU Presidency initiatives on the future architecture and governance of GMES based on the combined efforts of the European Space Agency (ESA) and the European Union (EU). GMES has now entered into its pre-operational phase. In 2011 it will be technically feasible to move into the operational phase. Thus the Council has recently reaffirmed the need to implement GMES rapidly. It 145 has requested the Commission to elaborate an action plan leading to the setting-up of an EU programme, aiming at securing the availability of GMES services and of critical observation data.” EC, 2008: 2 Per quanto il coinvolgimento della Commissione Europea sia chiaramente significativo per il sistema di controllo e organizzazione, l’esatta natura degli enti di controllo è sconosciuta: “The Commission will be responsible for the overall co-ordination of GMES, assisted by a Partners Board and a Programme Committee for the implementation of the EU programme. In addition it is suggested to foresee establishing a Security Board and a User Forum, which should advise the Commission. A process for establishing user needs has been used for the selection of fast track and pilot services and for the development of space observation infrastructure by ESA. This process should be now formalised with the establishment of the GMES programme. The process will include: - definition of user requirements; - consolidation of the scope and content of services and related observation requirements; and - definition of related observation infrastructure architecture according to available means. All partners should be involved in a structured way in this decision-making process.” EC, 2008: 9-10 L’Europa pertanto segue un approccio dal basso verso l’alto, nel quale lo sviluppo del sistema e la creazione di capacità tecniche precedono i loro enti operativi e la scelta della loro esatta forma di utilizzo. In questa cornice, la natura dual-use di Kopernikus è un invito per il coinvolgimento dell’EDA, Frontex e di future istituzioni appropriate: “In order to remain user-driven, GMES needs to establish a strong link with users through structures that are close to the user communities. Several agencies and bodies established by the EU will not only be future users of GMES services, but could also contribute to the aggregation of service requirements and service provision. For instance, the European Environment Agency (EEA), the European Maritime Safety Agency (EMSA), the European Union Satellite Centre (EUSC), the European Defence Agency (EDA) and the European Agency for the Management of Operational Cooperation at the External Borders (FRONTEX). Other agencies might also be involved depending on the needs and the evolution of GMES services.” EC, 2008. L’Europa affronta le stesse sfide sia in termini di autorità di controllo che di efficienza operativa in altri programmi principali, precisamente SSA e Galileo. Entrambi i programmi hanno una significativa dimensione di sicurezza: Galileo permette di realizzare un sistema indipendente di posizionamento e di navigazione per l’Europa e ci si aspetta che migliori i servizi commerciali rendendo più accurati e disponibili i segnali di posizionamento e navigazione. Anche SSA copia le attrezzature USA e russe, usate da questi paesi principalmente a fini militari, monitorando gli oggetti 146 in orbita. Le applicazioni commerciali hanno per lo più a che fare con i premi assicurativi per i satelliti e l’elusione dei detriti. L’Europa sta pertanto chiaramente sviluppando un sistema spaziale strategico di natura dualuse, simile a quelli operativi in Russia e negli USA, con uno sforzo volto a ottenere l’autonomia e a sfruttare quel sistema per fini commerciali e di sicurezza. Questi obiettivi non sono ben definiti e dovrebbero diventarlo dopo che entrambi i sistemi saranno diventati operativi. Questo processo non è senza inconvenienti, compresi inconvenienti tecnici come il fallimento di Hermes,il progetto ESA per l’accesso allo spazio con equipaggio impiegando un piccolo “space shuttle” Europeo, analogo all’ottimo e ben collaudato STS degli USA e al sistema non operativo russo Buran. Il fallimento nontecnico più degno di nota è stata la recente riprogrammazione di Galileo, in seguito al completo fallimento del modello PPP originariamente previsto. Questo è stato dovuto a problemi politici, a prescindere dalla minaccia USA di prendere provvedimenti nel caso i propri interessi fossero minacciati, in quanto Galileo intendeva usare per uno dei suoi segnali le stesse frequenze delle frequenze militari USA. Ciò avrebbe significato che gli USA non sarebbero stati in grado di disturbare il segnale di Galileo senza perdere il proprio (vedi Zervos e Siegel, 2008). Uno schema comunemente seguito dagli sforzi spaziali europei, in particolare a riguardo della sicurezza e la difesa, è che il programma comincia come uno sforzo multilaterale e tende a frammentarsi in programmi bi- e tri-laterali coordinati tra loro. Questo permette di ottenere la flessibilità necessaria nella gestione degli enti operativi, ma influenza negativamente i tempi, gli associati costi di coordinazione e la disponibilità di sistemi in caso di dispute o di situazioni di negoziazione. Nel caso dei sistemi strategici di difesa e sicurezza, il livello politicamente determinato di compatibilità delle differenti politiche nazionali estere e per la difesa ha profonde implicazioni politiche non solo per la funzionalità del sistema, ma anche per gli incentivi alle parti verso la collaborazione. Si può stabilire un’analogia con le relazioni tra gli USA e i paesi europei all’interno della NATO. Nel caso in cui le risorse spaziali non hanno la natura di un bene pubblico puro all’interno dell’alleanza, perché ad esempio gli USA sono in grado di escludere gli alleati da accessi rilevanti, lo sviluppo di capacità spaziali europee non ha necessariamente un impatto positivo sulla posizione della sicurezza USA, e viceversa. Il semplice schema della figura 6.3 mostra come Galileo possa abbassare i costi dei servizi di posizionamento e radio-navigazione nei mercati commerciali globali. Miglioramenti nella precisione e nella forza del segnale conseguenti al fatto che gli USA abbandonerebbero la propria politica di rilasciare un segnale di scarsa qualità per l’utilizzo commerciale, rispetto al segnale codificato militare, comportano una netta diminuzione dei costi per gli utenti, che non dovrebbero più utilizzare segnali terrestri o altri sistemi per aumentare la precisione (Zervos e Siegel, 2008). 147 Figura 6.3 Mercati USA ed europei per i servizi di posizionamento commerciali Price (Europe) Price (US) SGPS‐Jammed SGPS‐Jammed SGPS SGPS SGPS+Galileo SGPS+Galileo DUS DEurope Quantity US Quantity Europe Questo tuttavia aumenta significativamente i costi per i servizi di sicurezza USA dato che per i militari ciò che importa è la posizione faccia a faccia con il rivale, che potrebbe disporre di un segnale commerciale di qualità, a meno che i militari USA non perseguano costose politiche di interferenze locali o contromisure di altro tipo. Lo stesso varrebbe se venisse introdotto il sistema Galileo, incrementando ulteriormente la precisione e l’affidabilità del segnale commerciale. I costi rilevanti per i fornitori di servizi di sicurezza USA ed europei dipenderanno dagli accordi politici, o dalla rivalità tra le due aree. In caso di dispute tra l’Europa e gli USA la presenza di un sistema come Galileo finirebbe con l’aggiungere dei costi alla sicurezza USA: “From a techno-nationalist, geostrategic perspective Galileo is an indicator of power. But it does not, nor is it intended to, place Europe in competition with the USA as a global military power. It does, however, impinge on a strategically important area in which the USA has previously dominated.” Johnson-Freese e Erickson, 2006. Comunque lo stesso principio può essere applicato ad alleanze focalizzate sull’Europa che parteciperebbero allo sviluppo e alle operazioni di questo sistema. In aggiunta, Galileo, Kopernikus e altri sistemi criticamente strategici esaminati qui sotto, coordinati all’interno dell’Europa, porterebbero solamente ad un rafforzamento di questi effetti come quello al quale si riferisce la precedente citazione. La figura 6.4 illustra la situazione, nella quale Galileo riduce i costi dei servizi di sicurezza per i partecipanti europei, ma ha come risultato dei costi addizionali per l’approvvigionamento di questi 148 servizi di sicurezza per gli USA e le forze armate USA, dato che il segnale criptato militare di Galileo copre il segnale militare criptato USA. Figura 6.4 Mercati USA ed europei per i servizi di posizionamento militari Price (US) Price (Europe) SGPS-Jammed SGPS+Galileo SGPS SGPS SGPS+Galileo SGPS‐Jammed DUS DEurope Quantity US Quantity Europe L’approccio “dal basso all’alto” seguito in Europa, dove le applicazioni vengono sviluppate e gli accordi sugli enti operativi vengono di seguito, può essere chiaramente osservato in programmi quali il MUSIS (Multinational Space-based Imaging System for Surveillance, reconnaissance and observation). Questo sistema ha lo scopo di armonizzare i sistemi di osservazione ottici e radar ed integrare le risorse militari o dual-use (WEU, 2008). Esso è complementare a Kopernikus, nel senso che questo si occupa dell’ambiente e della sicurezza, mentre il MUSIS si occupa della sicurezza e della difesa. E’ importante notare come questi sistemi siano basati sulla specializzazione dei contributi dei paesi partecipanti, a riflettere l’equilibrio organizzativo seguito alle negoziazioni e alla convergenza degli obiettivi. Il MUSIS nello specifico è supportato in larga parte da satelliti ottici di osservazione ad alta risoluzione francesi e da sistemi radar-satellitari italiani e tedeschi. Questi equilibri dipendono dalle rilevanti specializzazioni e risorse portate e sviluppate da ogni partecipante e non sono necessariamente stabili. La Germania sembra essere specializzata in sistemi radar, mentre la Francia domina i sistemi ottici. L’intenzione della Germania di sviluppare un proprio sistema ottico potrebbe essere visto come una provocazione da parte della Francia (de Selding, 2009), o come un bilanciamento delle risorse tedesche con quelle Italiane. La figura 6.5 illustra i sistemi MUSIS e Kopernikus e le loro interfacce. Le componenti di satelliti ottici del MUSIS e Kopernikus vengono dalla serie di satelliti Helios (Francia, Spagna, Belgio, Italia e Grecia) Spot e Pleiades (Francia), Topsat (UK) e Seosat (Spagna). Le tecniche d’immagini 149 radar vengono dalla serie di satelliti Cosmos-Skymed (Italia), SAR Lupe (Germania), TeraSAR X1(Germania), TANDEM X (Germania) e SeoSAR (Spagna). Il contributo dell’ESA a Kopernikus consiste (in aggiunta ai già esistenti satelliti ENVISAT e ERS) nello sviluppo della serie Sentinel di satelliti con capacità quali SAR, Ocean e il monitoraggio della composizione atmosferica e della vegetazione; in aggiunta, ESA sta aiutando EUMETSAT con lo sviluppo dei suoi satelliti e contratti per la meteorologia, che saranno incorporati in Kopernikus. Figura 6.5 I contributi satellitari ai sistemi MUSIS e Kopernikus MUSIS Kopernikus Planned/Operational ’09‐‘10 Planned/Operational Planned/Operational ’09‐‘10 ’09‐‘10 Helios IA, IIA and IIB SAR‐Lupe 1‐5 Cosmo‐Skymed 1‐4 SEOSAT Pleiades 1‐2 Envisat In tutte le applicazioni spaziali, la tendenza è quella di coinvolgere il settore privato e creare una collaborazione pubblico-privato che operi e faciliti lo sviluppo di sistemi importanti. Nel caso di Galileo, questo approccio è risultato in un fallimento. Nel caso dei sistemi di telecomunicazione, l’esperienza dimostra che la collaborazione può avere successo, a partire dall’esempio del Regno Unito di coinvolgere il settore privato (Paradigm Secure Communications- PSC, controllata da EADS) per finanziare e gestire in parte le esigenze del MilSatcom del Regno Unito, attraverso iniziative di finanza privata (Private Finance Initiative - PFI). Questa esperienza si è in seguito sviluppata in una collaborazione di successo tra i satelliti delle comunicazioni del Regno Unito (Skynet), Francia (Syracuse) e Italia (Sicral), coinvolgendo PSC al fine di fornire alla NATO buona parte delle capacità di comunicazione satellitari di cui ha bisogno (EADS, 2004). Il senso di questa collaborazione è che i servizi militari/ di sicurezza sono i principali, ma non unici , utenti/consumatori di queste risorse. Un “manager” privato distribuisce le risorse (inutilizzate) in maniera ottimale, 150 prendendo in considerazione sia la dimensione finanziaria che quella della sicurezza nella scelta dell’utente (vedi anche la sezione approvvigionamenti). Questo accordo può essere fatto sin dall’inizio della progettazione del sistema, ma può anche avere una natura più ad-hoc, come nel caso del provider di telecomunicazioni mobili Americano Iridium, commercialmente fallito, ma usato dal Dod degli USA, che diventato il suo principale cliente. Una prova ulteriore di questa tendenza è evidente nello sviluppo dello European Data Relay Satellite System. Un sistema di importanza strategica poiché permette il trasferimento dei dati attraverso il collegamento dei satelliti ad una stazione terrestre fuori dalla vista del satellite che genera i dati (Un satellite fuori dalla vista di una stazione di ricezione terrestre non può scaricare dati, a meno che non vi sia un sistema di trasmissione dati sulla Terra o nello spazio): “The intent is to implement a PPP with an Operator. The terms of the PPP will require that the Operator will provide services to ESA on the basis of a Service Level Agreement (SLA). At the same time, the Operator will be free to commercialise services to additional institutional/commercial users. The Operator will acquire full availability and use of all assets developed in EDRS (piggyback payloads, dedicated satellite, ground segment). Moreover, the Operator will have the right to embark additional payloads on the dedicated satellite within the capabilities of the selected platform.” ESA, 2008b A parte i recenti sviluppi verso la sicurezza ed i sistemi dual-use che complicano la natura multilaterale dei programmi spaziali europei, i mercati commerciali spaziali sono stati tradizionalmente un punto centrale per l’industria europea. La famiglia di lanciatori Ariane è il caso più esemplare, avendo ottenuto un notevole successo commerciale, proprio come i fornitori di servizi di telecomunicazioni satellitari (SES-Astra; Eutelsat) e in minor misura di applicazioni per l’Osservazione Terrestre (Spot Image). Uno sviluppo recente degno di nota riguarda la partecipazione russa al settore di lancio europeo, con il lancio del Soyuz dallo spazioporto di Kouou nella Guinea Francese e il massiccio acquisto di 10 lancitori Soyuz da parte di Arianespace. Questo sviluppo costituisce un ulteriore passo verso la collaborazione nelle attività di lancio spaziale commerciale dopo la creazione della società Starsem, nella quale sono presenti come partner l’EADS Spazio e Arianespace per l’Europa e l’Agenzia Spaziale Federale Russa e il Centro Spaziale di Samara, per vendere i lanciatori Soyuz sui mercati commerciali (Arianespace, 2009; French Senate, 2009). Un ultimo punto riguarda le implicazioni per la proliferazione di uno sviluppo ed utilizzo sempre crescenti di sistemi satellitari militari e dual-use da parte dell’Europa. L’attenzione alle politiche si è rivolta storicamente alla posizione degli USA circa i controlli sulle esportazioni imposti alle proprie industrie satellitari (vedi la prossima sezione); ma anche le istituzioni e le politiche europee dovranno in futuro confrontarsi con questo problema, dato lo sviluppo futuro di applicazioni e capacità. 151 Per concludere, l’Europa sembrerebbe seguire una politica di sviluppo di sistemi spaziali strategici nella quale la fase dello sviluppo delle applicazioni precede la messa a punto degli accordi necessari per il controllo e l’organizzazione operativa di quei sistemi. Questa politica ha conseguito successi, ma in certi programmi ha avuto anche fallimenti, sia a livello tecnico (Hermes), che a livello istituzionale (Galileo). Inoltre, la natura dual-use dei sistemi spaziali è servita all’Europa ad utilizzare i sistemi civili spaziali e i relativi accordi per applicazioni dual-use e per la sicurezza, in contrasto con il modello USA, che esamineremo in seguito, nel quale tradizionalmente gli spinoffs e le applicazioni civili derivano generalmente dai programmi spaziali militari. 6.1.3 La politica spaziale degli USA: leadership e controllo Gli Usa seguono una politica di dominio nel settore spaziale: le risorse dedicate al proprio programma spaziale sono molto più sostanziali di quelle di ogni altra nazione e sono l’unico paese a seguire questa politica fin dall’inizio dell’era spaziale, all’indomani della II guerra mondiale. La presenza di un’agenzia spaziale militare e civile sotto il controllo del governo federale che integra sia lo spazio che l’aeronautica è indicativa dell’approccio diretto all’integrazione seguito, dato che i problemi di duplicazione e rivalità tra le agenzie erano stati fin troppo evidenti durante i primi tempi dell’era spaziale, in seguito all’inaspettato successo dei Sovietici nei loro programmi spaziali. Gli USA hanno raggiunto l’egemonia nello spazio, prima nel mondo occidentale e nella NATO durante la guerra fredda specializzandosi nei sistemi strategici delle alleanze rilevanti (vedi Zervos, 1998), in seguito hanno mirato al controllo e al consolidamento del loro dominio nello spazio in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. Con un ampio e moderno spettro di applicazioni spaziali intese per l’uso militare e civile, si può promuovere la creazione di un settore commerciale basato sullo spazio, attraverso lo ‘spinningoff’ dai programmi governativi rilevanti. Tuttavia, è ancora più importante la spesa crescente degli USA per mantenere questa posizione nello spazio attraverso programmi finanziati dal governo, date le capacità in costante crescita di Europa, Cina, Russia e altri paesi. Gli USA spendono approssimativamente il 95% del budget conosciuto mondiale per lo spazio militare, fatto che gli permette di mantenere un ruolo di predominio non solo nello spazio, ma anche di riflesso, attraverso il potere moltiplicativo delle risorse strategiche, nelle capacità militari terrestri (SSI, 2009). Oltre agi ovvi costi diretti associati al mantenimento di questa posizione, ci sono anche dei costi indiretti necessari per assicurarsi che le tecnologie più importanti e il know-how non vengano diffusi. Le politiche nei primi anni ’90 hanno portato al consolidamento dell’industria spaziale USA e alla creazione di integratori spaziali. Questo ha facilitato il compito di tenere segrete le più importanti tecnologie e ha permesso di godere delle economie di scala e di varietà (Zervos e Swann, 2009). 152 Vi sono però due inconvenienti nello sviluppo di un complesso industriale-spaziale di questo genere: il primo , che la concorrenza per l’approvvigionamento è limitata (Zervos, 2005; Zervos, 2008). Questo, unito alla chiusura verso i mercati governativi degli altri paesi, rende problematici gli incentivi alla competitività industriale nei mercati commerciali (vedi Zervos, 2001), così come gli incentivi all’innovazione (vedi Zervos e Swann, 2009). Il costo di una non-proliferazione basata su considerazioni di sicurezza nazionale riguarda lo sviluppo delle regolamentazioni ITAR per i beni spaziali, dovute alle loro affinità tecniche con la tecnologia missilistica e militare. Questa è un’area molto controversa, dato che le imprese commerciali orientate all’esportazione devono affrontare una concorrenza indiscriminata sui mercati internazionali per molti importanti beni spaziali. Inoltre, le aziende che dipendono dal governo non possono sfruttare i loro vantaggi tecnici, di economie di apprendimento e di varietà nei mercati commerciali. Ciò viene visto come un fattore fondamentale nella caduta della posizione degli USA nei mercati commerciali da quando pesanti limiti alle esportazioni furono introdotti nel 1999 (figura 6.6). 153 Figura 6.6 Satelliti GEO commerciali per comunicazioni, per anno di lancio e costruttore FONTE: CSIS, 2008: 52 Si deve tuttavia osservare che, date le considerazioni di carattere di sicurezza nazionale e i componenti ad alta tecnologia associati con il settore spaziale, ci siano scambi commerciali molto limitati e gli stessi “mercati commerciali” siano soggetti a considerazioni di carattere politico. La dipendenza degli USA nello spazio risulta anche nei suoi interessi a godere dello spazio come un ambiente “funzionale” per importanti missioni e satelliti. A causa di ciò, i detriti spaziali e le minacce ai satelliti sono un pericolo economico, che viene riconosciuto, così come lo sono le orbite spaziali che possono diventare un posto più pericoloso per le operazioni dei satelliti. Il fatto che i satelliti in orbita viaggino ad alte velocità significa che anche detriti spaziali di diametro relativamente piccolo possono provocare danni critici in caso di collisione: “Traveling at speeds of up to 7.8 kilometers per second, space debris poses a significant threat to spacecraft. The number of objects in Earth orbit has increased steadily; today the US Department of Defense (DOD) is using the Space Surveillance Network to track more than 19,000 objects approximately 10 centimeters in diameter or larger. It is estimated that there are over 300,000 objects with a diameter larger than one centimeter, and millions smaller.” SSI, 2009: 9 154 Ironicamente, una delle fonti primarie di questi detriti è da collegarsi ad un esperimento USA, in cui nuvole di milioni di aghi (alcuni dei quali hanno formato gruppi solidi) vennero rilasciate nello spazio esterno tra il 1961 e il 1963 (Klinkrad, 2006: 86). Allo stesso modo dei provider di satelliti per la radionavigazione, l’aggiunta di ulteriori programmi di osservazione oltre a quelli russi e USA già esistenti, in funzione dalla guerra fredda, hanno come risultato dei benefici netti per gli operatori civili e commerciali. I benefici delle assicurazioni spaziali e la possibilità di ridurre il pericolo di detriti spaziali hanno come prerequisito la precisione del monitoraggio. Gli USA rendono disponibili al pubblico carte con il numero degli oggetti, ma una maggiore precisione renderebbero più facili gli sforzi di creare modelli di traiettorie e realizzare previsioni rilevanti ( vedi Figura 7). Figura 6.7 Numero mensile di oggetti in orbita terrestre, per tipo FONTE: NASA, 2009b La natura di “bene comune” dello spazio e la sua fragilità di fronte ai detriti richiede misure adatte a proteggere e mitigare il rischio di detriti, che possono essere facilmente creati ma difficilmente neutralizzati (NAS, 2009: 33-34). In questa prospettiva, da un punto di vista politico, lo sviluppo di regole per l’utilizzo dello spazio attraverso iniziative intraprese principalmente dall’Europa sono viste come vantaggiose per gli sforzi degli USA di sviluppare capacità che consentano di arrivare al controllo dello spazio esterno e dei suoi principali rischi. 155 Figura 6.8 Satelliti militari USA Fonte: SSI, 2009: 107 Gli USA hanno il più vasto programma spaziale nelle applicazioni sia militari che civili. Una delle sfide è quella di integrare i più rilevanti programmi ed evitare rivalità improduttive e una “duplicazione” di risorse governative. Mentre le attività spaziali civili negli USA sono principalmente condotte dalla NASA, esse sono allo stesso tempo più episodiche e i loro obiettivi, per loro stessa natura, sono spesso meno consistenti nel tempo se paragonati con programmi orientati alla difesa (per lo più di competenza del DoD). Gli obiettivi principali del programma civile spaziale fanno riferimento a: un allargamento della conoscenza di base scientifica e tecnologica, ispirare le generazioni contemporanee e future, la ricerca di forme di vita extra-terrestri, fornire obiettivi economici e sociali per supportare il settore privato, e ‘enhance US strategic leadership through leadership in civil space activities’ (NAS, 2009: 32). Tra i più importanti programmi di esplorazione spaziale diretti dagli USA c’è la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e le missioni pianificate verso la Luna così come quelle possibili future verso Marte. La sfida dell’integrazione,c così come il bilanciamento tra priorità e risorse civili e militari, è un punto fondamentale per gli USA, nonostante il loro sistema federale (se paragonato all’Europa): “Given the broad mandates of civil and military space efforts and their influence on many aspects of U.S. society, economy, and national image, it is unrealistic and unworkable to expect that there should be a single space agency. But a process, led by the senior executive branch officials that has as its purpose the proper alignment of the nation’s space activities would help to ensure that each participating agency has the resources necessary to achieve its established goals; that avoidable duplication is reduced; and that the nation has the effective civil and military space programs that it requires…A successful process would provide stability to civil space projects and minimize changes in 156 direction, priorities and resources until the systemic effects of changes could be understood”, NAS, 2009: 38. Mentre la NASA si concentra principalmente sull’esplorazione scientifica e ad inseguire i programmi rivolti alla Luna e a Marte, l’esercito si concentra principalmente sul sistema per ridurre le minacce e controllare lo spazio esterno attraverso Operational Responsive Space (un sistema di integrazione e schieramento rapido di piccoli satelliti - ISU, 2009) e lo sviluppo di spazio-aeroplani, del quale si hanno poche informazioni, ma verso il quale sono state storicamente stanziate risorse notevoli sia dall’esercito che dalle agenzie spaziali civili. 6.1.4 Russia, Cina e altri paesi più piccoli con programmi spaziali In seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Russia ha perseguito una politica spaziale alquanto inconsistente; inizialmente, date le condizioni economiche povere, l’obiettivo era mantenere l’alto livello di forza lavoro altamente qualificata, in modo da evitare una fuga di cervelli e la diffusione delle tecnologie. Il secondo obiettivo era condiviso con l’ Europa Occidentale, con gli USA, l’Australia e altri, dove vi furono significativi fenomeni di immigrazioni. L’ ISS offriva l’opportunità di conservare le potenzialità locali russe e il programma attinente rappresenta la sola transazione monetaria degna di nota in tutta la storia della NASA con un’agenzia straniera per consegnare dell’hardware. Dopo quasi una decade di ridimensionamento, a partire dai primi anni ’90 il numero di satelliti operativi ha cominciato a diminuire (con un ritardo dovuto alla durata della loro vita) e pare si sia stabilizzato su basse cifre tra il 2001-2008 (Figura 9). Bisogna notare, tuttavia, che i satelliti più recenti hanno una qualità di gran lunga superiore e una vita più lunga, in seguito ad un rinnovo degli investimenti nelle tecnologie, in contrasto con l’attenzione verso la quantità data in precedenza dai Sovietici. I componenti e le capacità più critiche (come l’accesso allo spazio con equipaggio) sono stati conservati, per quanto a bassi livelli durante i periodi più importanti, dovendo molto alla presenza della stazione spaziale Mir ai contributi ISS menzionati prima. 157 Figura 6.9 Satelliti militari russi FONTE: SSI, 2009: 112 Le capacità ingegneristiche russe e i loro hardware sono affidabili, a basso costo e non rappresentativi della quota sui mercati commerciali, in particolare riguardo all’industria dei lanci. L’assenza di un mercato libero e considerazioni di natura politica e di sicurezza hanno avuto come conseguenza un ingresso ritardato dei launcher russi e ucraini nel mercato commerciale, con tutto l’hardware principale commerciato da industrie di launcher in Europa e negli USA. Uno dei casi più degni di nota di trasferimento di tecnologie ha avuto luogo con l’autorizzazione per le industrie USA di produrre motori di missili russi (RD-180), la cui produzione tuttavia non ha mai avuto luogo. La mancanza di un commercio e le diverse misure adottate per gli standard richiesti ai finanziamenti ai programmi spaziali comporta che i dati monetari siano una fonte poco accurata delle loro capacità, contrapposte a valutazioni sulle caratteristiche tecniche e sulla “qualità” 158 Figura 6.10 Missioni spaziali con equipaggio FONTE: SSI, 2009: 71 Cina e India stanno sviluppando programmi spaziali e capacità sempre più sofisticati e con un occhio di riguardo per i mercati commerciali. La Cina sta sviluppando il proprio sistema di navigazione satellitare (Beidu), che dovrebbe portare ad almeno tre sistemi del genere operativi nel futuro prossimo. Il Beidu cinese si è registarto presso lo International Telecommunications Union (ITU) per trasmettere segnali che si sovrappongono sia a Galileo sia al codice militare USA. Ci sono segnali di una disponibilità da parte dei cinesi di cooperare con gli altri sistemi, ma non è ancora stato fatto niente di concreto (SSI, 2009: 39). La Cina vede ogni aspetto dei propri programmi spaziali come rilevante per la propria sicurezza nazionale e difesa, senza fare una chiara distinzione tra capacità e applicazioni civili, militari e commerciali. I due attacchi anti-satellitari compiuti agli inizi del nostro secolo sono collegabili al test AntiSATellite (ASAT) cinese agli inizi del 2007 e all’uso di un’arma ASAT da parte degli USA contro i propri satelliti all’inizio del 2008. In aggiunta, due satelliti si sono scontrati nel Febbraio del 2009, un satellite russo Cosmos non più in uso e un satellite Iridium. Oltre al problema dei detriti, i tempi e la natura di questi incidenti hanno avuto come risultato importanti dibattiti e discussioni politiche. L’approccio europeo alle regole accennate in precedenza e gli sforzi di Russia, Cina e molte altre nazioni con programmi spaziali di vietare l’uso delle armi nello spazio sono punti chiave del dibattito internazionale politico in una cornice di legislazione internazionale. Precisamente, il sistema legale internazionale attuale proibisce effettivamente il posizionamento di armi di distruzione di massa (nucleari) nello spazio esterno, ma non viene vietato nessun’altro tipo di arma. La Russia ha cominciato un’iniziativa all’interno della conferenza per il disarmo, sottoposta insieme alla Cina nel 159 2002 per realizzare un trattato che proibisse l’uso delle armi nello spazio esterno, ma è stata largamente combattuta dagli USA sin da allora(SWF, 2008). Questa iniziativa si chiama Prevenzione di una Corsa all’Armamento nello Spazio Aperto (PAROS) ed è un tentativo di negoziare una nuova legislazione internazionale per lo spazio aperto, che non vede alcun sviluppo significativo dagli anni della guerra fredda. E’ verosimile che la proliferazione di armi e la natura dello spazio esterno porteranno inevitabilmente a nuovi sviluppi in quest’area, per poter avere un settore spaziale funzionale. 6.1.5 Conclusioni Le politiche spaziali su scala globale sono caratterizzate da sforzi significativi e allocazioni delle risorse da parte degli USA per il controllo e il dominio dello spazio, facendo attenzione ad assicurarne la funzionalità, mentre gli altri principali paesi spaziali cercano di sviluppare le proprie capacità e di raggiungere un’autonomia. L’Europa, in particolare, a causa delle proprie complicazioni multinazionali, sviluppa le proprie capacità attraverso accordi unilaterali o bilaterali prima di stabilire gli enti operativi. Lo sdoppiamento delle attività strategiche, come avviene nel caso dei sistemi di posizionamento, osservazione terrestre e controllo dello spazio esterno, può essere considerato vantaggiosi per lo sviluppo di mercati commerciali, perchè potrebbero così godere di servizi più precisi e affidabili. Per contro, i rilevanti servizi militari e di sicurezza devono prendere in considerazione questa “proliferazione” di servizi strategici sui mercati commerciali. La natura delle applicazioni spaziali e l’ambiente rendono difficile distinguere chiaramente tra applicazioni militari e non; di conseguenza, sistemi dual-use vengono sempre più utilizzati su scala globale. Ci si aspetta che il settore spaziale aumenterà la sua importanza per la sicurezza nazionale e globale, data la proliferazione di capacità e politiche riguardanti lo sviluppo di nuovi sistemi, così come gli accordi internazionali dovrebbero diventare sempre più importanti e meglio definiti. 160 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DELLA SEZIONE 6.1 Arianespace, 2009. ‘Soyuz Overview’, company online site, accessed http://www.arianespace.com/launch-services-soyuz/soyuz-introduction.asp 05 November: Burzykowaska, A., 2006. ‘ESDP and the Space Sector—defining the architecture and mechanisms for effective cooperation’, Space Policy, Vol. 22: 35-41. Centre for Strategic and International Studies (CSIS), 2008. ‘Health of the US Space Industrial Base and the Impact of Export Controls’, Centre for Strategic and International Studies, Washington DC, accessed online 05 November 2009 at: http://csis.org/publication/health-us-space-industrial-base-and-impact-export-controls De Selding, P., 2009. ‘Germany Eyes Teaming with Industry for its Own Optical Satellite System’, Space News, 16th October. EADS, 2004. ‘European Nations Selected for NATO Milsatcom Solution’, company news report, London, 07 May 2004, online at: http://www.eads.com/1024/en/pressdb/archiv/2004/2004/en_20040507_mil.html European Commission (EC), 2008. ‘Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions Global Monitoring for Environment and Security (GMES): we care for a safer planet’, COM(2008) 748 final, Brussels, 12 November. European Defence Agency (EDA), 2009a. ‘EDA Agrees on Norway’s Participation in Regime on Defence Procurement’, EDA online News Release: http://www.eda.europa.eu/newsitem.aspx?id=365 European Defence Agency (EDA), 2009b. ‘EDA and OCCAR to negotiate cooperation arrangement’, EDA press release, 2 April, Brussels, Belgium, accessed online 05 November 2009 at: http://ec.europa.eu/enterprise/policies/space/documents/gmes_en.htm ESA, 2005. ‘Convention for the Establishment of a European Space Agency, ESA Publications Division, ESTEC, The Netherlands, accessed 05 November 2009: http://www.esa.int/esapub/sp/sp1300/sp1300.pdf ESA, 2007. ‘Resolution on the European Space Policy’, ESA, BR 269, 22 May, accessed online on 05 November 2009 at: http://esamultimedia.esa.int/docs/BR/ESA_BR_269_22-05-07.pdf ESA, 2008a. ‘Ministers meet to take forward the European Space Policy’, ESA PR 40-2008, accessed online on 05 November 2009 at: http://www.esa.int/esaMI/About_ESA/SEMW506EJLF_0.html ESA, 2008b. ‘Appendix 5 EDRS: European Data Relay Satellite System’, ESA report, D/TIA/200812152/CE App5, accessed online 05 November, 2009 at: http://emits.esa.int/emits-doc/ESTEC/EDRSAppendix5.pdf 161 EU, 2009. ‘Member States of the EU’, European Union online resource, accessed 05 November: http://europa.eu/abc/european_countries/index_en.htm ESA, 2009a. ‘New Member States’ online ESA source, http://www.esa.int/esaMI/About_ESA/SEMP936LARE_0.html ESA, 2009c. ‘ISS’, ESA online scheme, accessed http://www.spaceflight.esa.int/users/technical/acc_euro.htm online accessed 05 05 November, November: 2009 at: French Senate, 2009. ‘La Politique Spatiale Française: Bilan et Perspectives’ the French Senate, accessed online 05 November, 2009 at : http://www.senat.fr/rap/r00-293/r00-2932.html International Space University (ISU), 2009. ‘Space and Responsive Systems’, International Space University’s Team Project Report, accessed online 05 November at: http://www.isunet.edu/index.php?option=com_docman&task=doc_download&gid=933 Joan Johnson-Freese, and Andrew S. Erickson, 2006. ‘The emerging China–EU space partnership: A Geotechnological Balancer’, Space Policy, Volume 22, Issue 1, February: 12-22. Klinkrad Heiner, 2006. ‘Space Debris Models and Risk Analysis’, Praxis Publishing ltd., Chichester, UK. National Academy of Sciences (NAS), 2009. ‘America’s Future in Space: Aligning the Civil Space Program with National Needs’, National Academy of Sciences, July 7, Washington DC, US. NASA, 2009a: ‘NASA Unveils $17.6 Billion Budget’, NASA news Release 08-034, accessed online 05 November, 2009 at: http://www.nasa.gov/home/hqnews/2008/feb/HQ_08034_FY2009_budget.html NASA, 2009b. ‘Orbital Debris Quarterly news’ NASA, Vol. 13, No 3, accessed online 05 November at: http://orbitaldebris.jsc.nasa.gov/newsletter/pdfs/ODQNv13i3.pdf NATO, 2009a. ‘NATO countries’ online NATO http://www.nato.int/cps/en/natolive/nato_countries.htm source, accessed 05 November: NATO, 2009b. ‘NATO’s relations with the European Union’, online NATO news report, accessed November 05: http://www.nato.int/issues/NATO-eu/index.html OCCAR, 2009. ‘General’, OCCAR online information, accessed 05 November at: http://www.occarea.org/view.php?nid=138 Office of Management and the Budget (OMB), 2009. ‘Department of Defence’, Office of Management and Budget, White House, Washington DC, US, accessed online on 05 November 2009 at: http://www.whitehouse.gov/omb/rewrite/budget/fy2009/defense.html 162 Satellite Industry Association (SIA), 2008. ‘State of the Satellite Industry Report’, Satellite Industry Association report by Futron Corporation, Bethesda, Maryland, US. Space Security Index (SSI), 2009. ‘Space Security 2009’, Report on Space Security Index, SpaceSecurity.org, Ontario Canada. Secure World Foundation (SWF), 2008. ‘Governmental Space Arms Controls Proposals’, Secure World Foundation news report, 2008, accessed online 05 November 2009 at: http://www.secureworldfoundation.org/index.php?id=151&page=Governmental_Proposals Secure World Foundation (SWF), 2009. ‘Space Security Programs of Interest in the FY 2010 Department of Defense Budget Proposal’ Secure World Foundation Report, accessed online 05 November, 2009 at: http://www.secureworldfoundation.org/siteadmin/images/files/file_372.pdf Suzuki, 2003, ‘Policy Logistics and Institutions of European Space Collaboration’, Ashgate Publishing, Arlington US. Western European Union (WEU), 2000. ‘WEU Today’, Western European Union Secretariat-General Brussels, Belgium January, accessed online 05 November 2009 at: http://www.weu.int/ Western European Union (WEU), 2008. ‘Multinational Space-based Imaging System (MUSIS): European Space Cooperation for Security and Defence’ Western European Union document A/2025, accessed online 05 November 2009 at: http://www.assemblyweu.org/en/documents/sessions_ordinaires/rpt/2008/2025.php Zervos, V., 2001. ‘The Economics Of the European Space Industry’, Centre for Defence Economics, Department of Economics, University of York, DPhil Thesis, York, UK. Zervos, V., 2005. ‘The Evolution of European and US Aerospace and Defence Markets’, Frontiers in Finance and Economics, Vol. 2: 32-52. Zervos, V., and Siegel, D., 2008. ‘Technology, Security and Policy Implications of Future Transatlantic Partnerships in Space: Lessons from Galileo’, Research Policy, 37: 1630-1642. Zervos, V., 2008. ‘Whatever Happened to Competition in Space Agency Procurement? The Case of NASA’, Journal of Applied Economics, Vol XI: 221-236. Zervos, V., and G. M. Swann, P., 2009. ‘The Impact of Defence Integrators and Standards on Vertical and Horizontal Integration in the Defence Industry’, Vol 20: 27-42. 163 6.2 L’APPROVVIGIONAMENTO SPAZIALE EUROPEO77 Un passo fondamentale nella valutazione dell’effetto dei finanziamenti delle attività spaziali consiste nello stimare l’efficienza con cui gli stanziamenti di bilancio e i profili del finanziamento raggiungono i loro obiettivi. La politica di approvvigionamento è una politica “derivata”; il modo migliore di pensarla è come un insieme tattico di politiche che, accanto alle politiche sulle esportazioni e a quelle industriali, servono alle politiche di livello più alto. Il successo delle politiche di approvvigionamento è pertanto misurabile a fronte della loro capacità di raggiungere gli obiettivi strategici. Chi si occupa di politiche strategiche spaziali generalmente fa riferimento ad agenti ed istituzioni designati. L’istituzione responsabile della politica strategica può scegliere se assegnare la sua progettazione ed implementazione delle politiche tattiche ad agenti specializzati, o se realizzarle internamente. A questo primo insieme di scelte governative segue la scelta degli appaltattori, il tipo di contratto e il sistema di assegnazione, ed anche il processo di monitoraggio e valutazione. Questa sezione si occupa dei processi di approvvigionamento e dei sistemi di contrattazione adottati dalle agenzie spaziali, tenendo d’occhio la loro efficienza. 6.2.1 Le istituzioni della politica spaziale Dati la natura specializzata del settore e i requisiti tecnici richiesti, che spesso non sono compresi pienamente da chi si occupa di realizzare le strategie politiche, le agenzie spaziali specializzate tendono ad assumersi l’incarico di raccomandare al governo le politiche strategiche e di sorvegliare la loro realizzazione . Questo significa che il governo nomina un agente specializzato nel gestire programmi spaziali pubblici. L’ESA ad esempio deve tener conto dell’organizzazione strategica delle politiche spaziali in Europa e lavorare con l’Unione Europea e i suoi membri per: – establishing a European Space Programme and the coordination of national and European level space activities, with a user-led focus; – increasing synergy between defence and civil space programmes and technologies, having regard to institutional competencies; and – developing a joint international relations strategy in space (ESA, 2007a). 77 Riconoscimenti per questa sezione sono da attribuire agli inestimabili input avuti durante incontri dell’autore con i seguenti esponenti dell’ASI: Maria Cristina Falvella, Cristiana Cirina, Donatella Frangipane e Delfina Bertolotto. Devo riconoscere anche il prezioso sostegno di Giancarlo Graziola e Simonetta Di Ciaccio per realizzare quegli incontri. 164 La presenza di un’agenzia in un settore industriale richiama il concetto di un’industria regolata con un sostanzioso coinvolgimento e controllo pubblico. Le agenzie spaziali civili sono delle organizzazioni pubbliche molto sfaccettate: sono impostate in modo da promuovere la ricerca e le scoperte scientifiche, le applicazioni spaziali, supportare l’industria e le capacità nazionali e spendere con parsimonia i soldi pubblici. Agenzie spaziali multi-nazionali quali l’ESA hanno in aggiunta la preoccupazione di mettere d’accordo i diversi obiettivi nazionali in programmi eccitanti e sensati che possano attirare contributi finanziari da parte degli stati membri. I rappresentati politici, responsabili della creazione e divisione della “torta” di soldi pubblici sulla base dei mandati e sotto il controllo dell’elettorato, incaricano l’agenzia spaziale di realizzare programmi spaziali, prudentemente finanziati e ispirati, regolando e prendendosi così cura dell’industria spaziale. Questo è spesso un obiettivo implicito: l’agenzia spaziale deve essere prudente con i soldi pubblici, per quanto ciò non sia regolarmente enfatizzato. Questo obiettivo sta al centro dell’esistenza stessa dell’agenzia e a volte può entrare in conflitto con il complesso spaziale industriale-politico (che discuteremo in seguito). E’ più semplice vedere questo processo in due passaggi che si sviluppano attorno alla tempistica di un programma spaziale: 1. Per cominciare, l’approvazione dei programmi spaziali è sostenuta dall’agenzia spaziale davanti ai supervisori politici per e in questa fase l’interesse dell’agenzia coincide in larga parte con l’interesse dell’industria, ovvero entrambi desiderano avere benefici dai contratti risultanti da quei programmi. 2. Una volta che gli stanziamenti di fondi sono stati approvati e assegnati all’agenzia assieme al mandato di realizzare il programma spaziale, gli obiettivi dell’agenzia spaziale dovrebbero differenziarsi da quelli dell’industria, dato che si suppone che la prima controlli costi, sforzo e redditività . Questo processo in due passaggi ha luogo all’interno dell’agenzia spaziale e complica le analisi, dato che per ogni programma il comportamento dell’agenzia è inconsistente nel tempo e nelle diverse fasi, rendendo difficile applicare l’approccio di Laffont e Tirole in termini di incentivi e scelte (Laffont and Tirole, 1993: 540-550 Ch. 13). Nello specifico, durante la fase di presentazione del programma, l’agenzia spaziale tende a massimizzare il suo bilancio (sia in termini di dimensione che numero di progetti), secondo quando descritto da Niskanen (1971), ed avrà probabilmente scarsi incentivi a verificare che i costi dei programmi non si basino su stime inattendibili poco costose. L’analisi della teoria dei giochi mostra come l’esercito, ad esempio, induca il Congresso a finanziare livelli di produzione superiori ai livelli di first-best, suggerendo impianti di produzione più grandi (Rogerson, 1991). In questo caso, l’introduzione di una politica dal budget fisso da parte dei politici potrebbe risolvere il problema, ma a costo di alti costi di sviluppo. 165 La seconda parte inizia quando i politici prendono la decisione di finanziare il programma, e l’agenzia ha il compito di gestire il contratto e lo sviluppo che ne segue. In questa fase, l’interesse dell’agenzia spaziale potrebbe anche essere in contrasto con l’interesse dell’impresa. Questo significa che gli obiettivi dell’agenzia spaziale adesso richiedono una minimizzazione dei costi e un programma che funzioni e sia in tempo. Di conseguenza, nel settore spaziale, dei tre gruppi di interesse (politici, burocrati e produttori) solamente due (politici e produttori) hanno obiettivi coerenti. I politici cercano di minimizzare i costi del programma ed i produttori cercano di massimizzare i profitti, mentre le agenzie spaziali tendono a mostrare un insieme di obiettivi inconsistenti nel tempo, che coincidono con quelli dei produttori prima dell’approvazione del budget e con quelli dei politici dopo. L’impatto del recente obiettivo (1990s) dell’agenzia spaziale di migliorare la competitività della propria industria spaziale interna sugli obiettivi “tradizionali” di minimizzazione dei costi e dei profitti deve essere preso in considerazione, perché dà luogo probabilmente ad un conflitto tra obiettivi. C’è un numero di scelte che il governo (o l’agenzia spaziale primaria) deve prendere in riferimento ai due passi dell’approvvigionamento. Una delle scelte più importanti, che esamineremo in seguito, riguarda il ruolo preciso dell’agenzia di fronte all’industria privata, nel fornire i servizi/beni finali. Implicazioni della fornitura di beni spaziali da parte di agenzie governative o imprese private. Ad un estremo, possiamo avere l’agenzia spaziale (o il governo) che si prende carico della proprietà e del controllo degli impianti di produzione per la costruzione e la conservazione delle risorse spaziali (la base della piramide nella figura 6.11). L’altro estremo al contrario è caratterizzato dal governo che dà in appalto i servizi e le applicazioni necessarie ad appaltatori, comportandosi come un cliente, che non interferisce né partecipa allo sviluppo dei sistemi (la punta della piramide nella figura 6.11). Le posizioni intermedie riflettono le diverse combinazioni di proprietà e controllo, tra il governo e il settore privato, delle risorse industriali e delle varie applicazioni. Il livello ‘End user’ nella figura 6.11 fa riferimento al caso in cui il governo, come utente finale, può anche partecipare al processo di specificazione e alle soluzioni industriali relative alle rilevanti applicazioni del sistema, al fine di assorbire il know-how necessario e definire le specificazioni in modo più dettagliato e continuo. Questo livello non preclude la partecipazione del governo nelle fasi di sviluppo del sistema. Il livello della collaborazione pubblico-privato (Private Public Partenership-PPP) nella figura 6.11 è quello dove questa collaborazione ha luogo in termini più significativi e formali. Il livello PPP include un vettore di alternative possibili , che spaziano da un settore privato che si limita a fornire fondi (PFISkynet, McLean, 1999) ad un governo che fornisce i finanziamenti per tecnologie che verranno commercializzazione e gestite dal settore privato (il caso Galileo esaminato qui sotto). 166 Verso la punta della piramide nella figura 6.11 l’integratore di sistemi (sezione nera) è l’impresa e non il governo e larga parte del valore aggiunto viene creato all’interno della prima. Tuttavia questo caso solleva numerosi problemi etici politici sulla responsabilità dell’impresa e sulla dipendenza pubblica, soprattutto nel caso di servizi di sicurezza, come è avvenuto a proposito dell’efficienza degli appaltatori in Iraq e altrove (vedi Zervos, 2005). Un approccio più realistico potrebbe essere quello di un governo che conserva la proprietà, ma appalta la gestione e la manutenzione ai privati. Paesi diversi hanno storicamente adottato diverse combinazioni industria-governo per fornire servizi spaziali o di difesa. Paesi come gli USA hanno scelto un sistema con imprese di proprietà privata che si comportano come appaltatori e produttori di sistemi spaziali commissionati dal governo, mentre buona parte della R&S viene svolta da aziende di proprietà sia pubblica che privata. Al contrario, nel modello sovietico vi erano dipartimenti di progettazione in concorrenza tra loro per i diversi progetti, che sarebbero stati prodotti da fabbriche non collegate a loro (in termini di management), ma sotto il controllo pieno dello Stato. Con la fine della Guerra Fredda, la conseguente ondata di privatizzazioni su scala globale ha portato ad un consolidamento dell’industria spaziale europea, mentre gli USA si sono ulteriormente spostati in alto nella piramide della figura 6.11 commissionando all’esterno la manutenzione dei principali sistemi, come lo Space Shuttle (affidata alla United Space Alliance, una joint venture 50-50 tra la Lockheed Martin e la Boeing) e provando a privatizzare i servizi satellitari di rilevazione a distanza (Landsat). L’identità trans-nazionale dell’industria europea della difesa si è materializzata nell’aerospazio attraverso la creazione dell’EADS e l’inizio di una collaborazione pubblico-privato che avrebbe assegnato il controllo e la gestione dei sistemi e le risorse di navigazione e posizionamento satellitari ad un ente commerciale (Galileo- vedi Zervos e Siegel, 2008). 167 Figura 6.11 Il ruolo del settore pubblico di fronte all’industria spaziale customer End‐user Private Public Partnership Publicly owned industry, service provision and maintenance FONTE: Zervos (2005) I precedenti esempi mostarno un chiaro spostamento verso l’alto della piramide della figura 6.11 su scala globale. Assumendo la presenza di vantaggi economici di costo derivanti dalla privatizzazione della R&S, della produzione e della gestione dei servizi spaziali, la critica principale si focalizza sulla potenziale fuga di tecnologie critiche per la sicurezza nazionale. Gli USA controllano questo rischio attraverso un severo sistema di regolamentazione delle esportazioni di tecnologie spaziali; che considera questi beni e servizi come se fossero di natura militare quando si tratta della loro esportazione. In seguito a numerose richieste per il passaggio ad una politica più moderata, probabilmente in futuro si avrà un’attenuazione di alcune delle restrizioni più gravose. Al contrario, in Europa, con il suo settore spaziale orientato per lo più al settore civile e commerciale, si sono tradizionalmente evitate scelte difficili su questo problema; ma con la crescente diffusione di politiche dual-use potrebbe emergere in futuro una politica di restrizione alle esportazioni, che avrebbe anche la virtù di facilitare le collaborazioni transatlantiche. Le scelte sui diversi modelli di appropriazione discusse sopra hanno implicazioni sia per le scelte in tema di contratti da parte del governo, sia per quelle riguardanti la base industriale. I mercati e il modello di Partnership Pubblico-Privato (PPP). L’obiettivo delle agenzie spaziali di commercializzare le proprie tecnologie e applicazioni ha come conseguenza una varietà di 168 collaborazioni dirette a coniugare le capacità tecniche dei programmi spaziali con finanziamento pubblico ed il relativo il know-how con la conoscenza specifica del mercato degli agenti commerciali. Tra gli esempi ben noti di tecnologie spaziali che sono diventate successi commerciali vi sono le telecomunicazioni ed i servizi di trasmissione spaziale, i servizi di posizionamento e navigazione globali e i servizi di osservazione terrestre. I profitti dell’industria spaziale nel 2008 sono stimati intorno ai 103 mld di Euro, con un tasso di crescita medio dal 2003 di oltre il 14% (SIA, 2009)78. Di questa cifra, il 58% deriva dai servizi satellitari, il 32% dall’equipaggiamento da terra e solo il 7% dalla produzione di satelliti e il 3% dall’industria dei lanci. La più grande quota viene dai servizi di trasmissione TV diretti verso le case, con oltre 46 mld di Euro (2009) (SIA, 2009). I mercati delle telecomunicazioni sono generalmente percepiti come i più sviluppati tra i mercati spaziali, sia in termini di dimensioni che di numero di applicazioni, con servizi di commercializzazione offerti sia da piccoli fornitori di telecomunicazioni regionali, sia dai grandi fornitori su scala mondiale. I militari sono spesso un cliente chiave per i servizi dei fornitori privati di telecomunicazione, come nel caso di Iridium per gli USA, o di Skynet per il Regno Unito. In Europa sta avanzando un modello secondo il quale agenzie governative civili o militari diventano partners di aziende private che possono vendere sui mercati commerciali i servizi prodotti in eccesso, in particolar modo nei mercati delle telecomunicazioni e del monitoraggio a distanza (remotesensing). Galileo è un esempio di uno sforzo per sviluppare una collaborazione piena e matura tra diversi enti pubblici e privati, dove il settore privato avrebbe un ruolo chiave nello sviluppo e nella gestione di un nuovo programma globale di navigazione basato su un sistema radio-satellitare. Questo modello ha rivelato i limiti della collaborazione PPP nello spazio, in quanto i ritardi, i disaccordi politici e sulla sicurezza tra i diversi membri hanno provocato il collasso del modello collaborativo e il proseguimento del programma con fondi pubblici e un modello di approvvigionamento più “tradizionale”. Questa esperienza ha dimostrato che, in aggiunta ai problemi di commercializzazione, le applicazioni spaziali devono fronteggiare seri problemi riguardo alla sicurezza e alle rivalità tra le industrie nazionali, che possono rivelarsi fatali per il modello collaborativo. La creazione di una partnership transatlantica potrebbe aiutare ad un consolidamento degli obiettivi, ma sarebbe importante trovare dei punti in comune per le politiche in tema di sicurezza all’interno dell’Europa stessa (vedi Zervos e Siegel, 2008). Il settore spaziale è in buona parte diretto dal governo, proprio per queste complicazioni e pertanto le sue scelte del giocano un ruolo chiave per comprendere e modellare le applicazioni ed i programmi spaziali. 78 Il tasso di cambio usato per convertire dai dollari US $ (2009) è 1.4 dollari per Euro(2009). 169 Scelte e allocazioni di bilancio. Gli approvvigionamenti europei per lo spazio fanno riferimento a numerose agenzie controllate dai governi. La maggior parte di questi paesi ha delegato a un’agenzia spaziale l’amministrazione dei programmi spaziali e i suggerimenti di politiche e strategie. Questo significa che ci sono agenzie spaziali nazionali che si occupano di una vasta gamma di programmi, ma principalmente focalizzati su applicazioni spaziali civili. Tuttavia Francia, Regno Unito, Italia, Germania e Spagna, hanno un significativo potenziale di applicazioni di tipo militare. Se paragoniamo i bilanci spaziali su una scala mondiale, possiamo osservare due cose: 1o il bilancio non equivale alle capacità; e 2o paragoni monetari in assenza di mercati di per i beni devono essere affrontati con cautela. Un esempio evidente è il caso della Russia, dove il bilancio non esprime le capacità, successivamente al crollo dell’Unione Sovietica. Lo stesso si può dire del Regno Unito, dove le capacità dell’industria spaziale non sono rappresentate dai finanziamenti stanziati, che sono in netto calo dagli anni ’80. La Cina e l’India stanno investendo in programmi e applicazioni spaziali, riducendo la distanza tra loro e i paesi leader nella spesa spaziale (Russia inclusa), così come stanno facendo altre nazioni emergenti come il Brasile. Figura 6.12 I bilanci spaziali nel mondo (2007) FONTE: ESD (2009) 170 nel 2007, in milioni di Euro Figura 6.13 La spesa nazionale e per l’ESA di alcuni paesi europei nel 2007** * In euro (2007) FONTE: ESD (2009) NOTE: Anello esterno: spesa nazionale; Anello interno: spesa per l’ESA. Il budget militare UK non è incluso in quello nazionale, ma dato il significativo fatturato della sua industria militare (figura 6.14) ci si può aspettare che sia molto più grande dei contributi del paese all’ESA. Italia e Spagna investono massicciamente in programmi spaziali diretti allo sviluppo delle loro capacità nazionali, al contrario dell’andamento ESA-centrico della Germania. Il contributo del Regno Unito all’ESA è limitato, ma bisogna tenere a mente che il dato sul bilancio nazionale per lo spazio non include la spesa sostanziosa del Regno Unito per le attività spaziali militari. La Francia è piuttosto bilanciata dal punto di vista della distribuzione dei contributi tra quelli per la propria autonomia e quelli all’ESA. I paesi europei più piccoli (non elencati) generalmente concentrano i loro bilanci sull’ESA, non avendo a disposizione le risorse necessarie per sviluppare individualmente capacità significative. Gli stanziamenti per i programmi spaziali militari giocano un ruolo chiave dato che storicamente l’Europa dipendeva dalle capacità spaziali militari USA all’interno della NATO (vedi Zervos, 1998). In questa cornice, gli USA hanno contribuivano in generale agli elementi strategici all’interno della NATO, come ad esempio i missili balistici nucleari, le infrastrutture spaziali, ecc, al contrario dell’orientamento più tattico dell’apporto Europeo, funzionale ad un potenziale conflitto con l’Unione Sovietica, con evidenti implicazioni per lo sviluppo delle industrie rilevanti. Gli sforzi della Francia per un’autonomia europea nello spazio, per quanto concentrati sui programmi civili, hanno costituito lo stimolo principale al coinvolgimento europeo nello sviluppo di programmi spaziali militari accanto al Regno Unito, che dà molta importanza al mantenimento di capacità spaziali militari indipendenti. Tuttavia i relativi stanziamenti sono solo una piccola frazione di quelli del DoD degli 171 USA. Un altro punto da osservare è che i programmi spaziali militari e invero le capacità spaziali nazionali in Europa non sono sempre coordinate in modo da non portare a duplicazioni, in mancanza di politiche comuni di difesa ed estere. Di conseguenza il livello di duplicazione dovrebbe essere più elevato che per i programmi spaziali civili condotti dall’ESA. Figura 6.14 Fatturato industriale derivante da programmi militari nel 2007, in milioni di Euro(2007) FONTE: ESD (2009) Italia e Germania condividono modelli molto simili sia in termini di spesa militare che di modello industriale. Nello specifico, il fatturato industriale per attività è molto simile per tutte le categorie della tabella 6.2, mostrando un coinvolgimento e un interesse industriale in ogni campo. Per quanto riguarda gli altri principali paesi spaziali europei, l’industria del Regno Unito si concentra principalmente sulle applicazioni satellitari, mentre la Francia - di gran lunga il leader nelle attività spaziali europee- sembrerebbe più coinvolta a livello industriale nelle applicazioni satellitari e nei sistemi di lancio. Sia l’Italia che la Germania sono tradizionalmente forti nell’esplorazione scientifica ed entrambi sembrano essere sempre più coinvolte in applicazioni dual-use, tramite collaborazioni con altri paesi europei, in particolare la Francia. 172 Tabella 6.2 Fatturato dell’industria spaziale europea per paese e attività, 2007 Paese Belgi0 Occupazione spaziale diretta 1233 Fatturato consolidato (EURO 000) 157714 Applicazioni dei satelliti Fatturato per attività Sistemi Attività Supporto/ di lancio scientifiche testing Altre 63117 54335 19967 11082 9213 Danimarca 155 19453 5333 - 7557 6562 - Francia 11355 2403520 1663525 560160 167039 3132 9663 Germania 4799 810153 386504 221203 168621 23082 10744 Italia 3969 775733 372779 201750 168193 18141 14870 Spagna 2137 247491 148222 31903 48890 7931 10545 Svezia 678 98770 52344 35675 10752 - - UK 3144 565138 490774 1318 26248 35498 11299 29637 5360314 3289125 1184706 689714 109576 87192 Totale Europa FONTE: ESD, 2009 La creazione dell’ESA, un’agenzia spaziale europea dedicata alle applicazioni civili, ha avuto come risultato di dare ai paesi europei la possibilità di intraprendere programmi spaziali all’interno dell’ESA, al fine di coordinare gli sforzi Europei nello spazio. Per attirare dagli stati membri i finanziamenti necessari all’ESA per realizzare i programmi collaborativi, si è adottata una politica del giusto guadagno (juste retour), con la quale si chiede che i contributi nazionali all’ESA siano pareggiati da contratti alle industrie nazionali dello stesso ordine di grandezza (vedi la sezione 6.1). 6.2.2 La scelta del contraente (appaltatore) e gli effetti della concorrenza La scelta del contraente da parte dell’agenzia può essere fatta in diversi modi e, soprattutto, può avere un forte impatto sulla struttura, comportamento e risultati dell’industria spaziale nazionale. I programmi spaziali dei governi rappresentano un buon business per le imprese spaziali; questo significa che l’esclusione di un’impresa spaziale dai maggiori programmi spaziali del governo la porterà probabilmente a ridimensionare le sue operazioni ed a diventare un subcontraente, o anche ad uscire dal mercato. Il governo può anche decidere di assegnare costantemente contratti ad un piccolo numero di imprese, o a condizione che le imprese si fondano, aprendo la strada ad un consolidamento industriale. I risultati delle imprese spaziali sono direttamente legati alle scelte delle imprese da parte del governo, poiché i profitti dai contratti governativi sono in genere più alti di quelli del business spaziale 173 commerciale. (vedi Florens et al, 1996). Tecnicamente la scelta del contraente può essere fatta attraverso negoziazioni dirette in forma non competitiva o attraverso una competizione aperta tra numerosi partecipanti all’offerta. Un fattore importante è “l’insieme di appaltatori” tra i quali il governo può sceglierei, dato che la scelta può essere usata per il supporto all’industria spaziale nazionale. Questi gruppi sono usati dalla NASA e dall’Esa, dove gli appaltatori compilano un modulo di domanda per unirsi ai loro rispettivi gruppi di appaltatori (L’ESA per esempio ha un sistema di mail elettronico per gli inviti alle offerteEMITS). Questi gruppi sono club esclusivi nel senso che le rispettive agenzie mandano inviti a fare offerte per i loro programmi spaziali solamente a questi “insieme di appaltatori” e l’appartenenza ad un “insieme di appaltatori” per aggiudicarsi un contratto. I requisiti per un’impresa spaziale per unirsi ad un simile gruppo corrispondono ad una preferenza nell’acquisto con la quale si escludono le imprese straniere dai benefici goduti dalla lobby spaziale nazionale e dai profitti delle rispettive imprese. Ci sono quindi due diversi livelli di concorrenza: concorrenza tra le imprese nazionali spaziali e concorrenza che include anche le imprese spaziali internazionali. Negli Stati Uniti ed in Europa esiste un numero di misure protezionistiche per assicurarsi che le imprese straniere siano esplicitamente o implicitamente escluse dal grosso dei mercati controllati dal governo. Ci sono tre tipi di tali trattamenti preferenziali: Politica industriale generale. Un esempio è fornito dal DoD degli Stati Uniti che segue la legge “Buy American” del 1933, che vuol dire che per i progetti federali, che includono quelli spaziali, si devono scegliere fornitori nazionali. Politiche industriali specifiche per l’industria spaziale. Un esempio è quello della direttiva presidenziale USA secondo la quale nessun carico governativo può essere inviato nello spazio con un lanciatore non Americano, sempre che sia disponibile una capacità di lancio USA (NASA, 1994). Nel caso dell’ESA, la politica del profitto equo (juste retour) per sua stessa natura comporta una grande sfida per l’impresa che, non essendo membro dell’ESA, vuole diventare un suo fornitore.. Misure politiche sul commercio internazionale. Ne sono esempi le quote e i minimi di prezzo per i lanciatori cinesi o russi imposti dallo statunitense Office of Space Commercialization, e le restrizioni alle esportazioni tecnologiche delle imprese nazionali che scelgono come partners imprese straniere. La prova dell’esistenza del protezionismo è anche documentata da un caso legale. Nel 1985 un’impresa statunitense (Transpace Carriers Inc.) portò un caso legale contro l’ESA ed i suoi stati membri all’attenzione del presidente americano, affermando tra le altre cose che Arianespace si confrontava con un mercato nazionale protetto e questo violava il Trede Act degli USA del 1974. 174 Figura 6.15: I paesi membri dell’Agenzia Spaziale Europea ed i loro contributi, 2007 FONTE: ESA, 2007b. Questo caso fu rifiutato principalmente in base alla motivazione che il settore pubblico americano adottava simili pratiche protezionistiche per lasua industria spaziale nazionale: “Protected Home Market: ESA and its Member States have agreed to give Arianespace a preference over other launch service providers with respect to payloads owned and operated by these government entities. Because of this preference and because almost all European communication satellites are operated by governments, rather than private firms, U.S. ELV’s and the Shuttle (STS) have limited opportunities to penetrate the European market. In contrast, much of the U.S. market, which is the major market in the world, is open because communication satellites are owned and operated by private sector firms. However, U.S.G. [US government] payloads are also carried almost exclusively by U.S. launch service providers. Thus, there is little difference in the respective treatment by ESA and the United States of government payloads. The major difference is in the structure of the market 175 with European communication satellites being operated primarily by government entities.79” (Reagan, 1985). E’ chiaro che sia gli USA che l’Europa applicano politiche che hanno come obiettivo la protezione delle loro industrie spaziali nazionali con il ricorso a politiche di approvvigionamento che escludono i concorrenti stranieri 80 (vedi Zervos, 2001). Il numero di imprese che competono per un contratto spaziale governativo in America ed in Europa è quindi limitato al numero delle imprese spaziali nazionali. Il risultato di questo è che il consolidamento delle industrie spaziali in America ed in Europa limita ulteriormente la concorrenza per i contratti spaziali governativi. Al fine di valutare criticamente l’impatto di questo protezionismo nell’approvvigionamento è necessario esaminare se l’industria spaziale nazionale benefici realmente da tali politiche protezionistiche. E’ inoltre importante valutare le potenziali perdite del settore pubblico, data l’efficacia della concorrenza nel ridurre i costi dei progetti e minimizzare la quota di rendita appropriata dalle imprese. Il successo del protezionismo nell’approvvigionamento nel promuovere la competitività dell’industria nazionale spaziale nei mercati commerciali spaziali, dipenderà principalmente dall’esistenza di misure protezionistiche di segno contrario adottate dai possibili concorrenti. E’ chiaro al riguardo che sia l’Europa che gli Stati Uniti applicano misure protezionistiche il cui risultato è probabilmente che i contribuenti di entrambe le regioni sussidiano i consumatori dei servizi commerciali di lancio. Malgrado la mancanza di evidenza empirica su questo, Smith ed altri (1985) forniscono esempi di tali casi nell’industria della difesa, e Neven et al (1995) forniscono un esempio simile nell’industria del trasporto aereo commerciale, dove i reciproci protezionismi non consentono miglioramenti nella competitività dell’industria nazionale. Per quanto riguarda l’impatto sui costi e benefici della concorrenza nella contrattazione, bisogna notare come in generale in assenza di collusione la concorrenza viene vista come un sistema efficace per mantenere bassi i profitti delle imprese. Tuttavia, nelle industrie a costi medi decrescenti c’è un costo opportunità sotto forma di un incremento del costo di produzione, che potrebbe risultare in prezzi più elevati per i programmi spaziali rispetto a quello ottenuto con l’approccio noncompetitivo, come dimostrato da evidenze empiriche per l’industria della difesa: Following the EU policies on liberalization of the telecommunications market, the ownership status of the telecommunication organizations in Europe has shifted towards privately owned organizations since 1985. 79 80 La protezione dell’industria spaziale domestica è in accordo con l’obiettivo delle agenzie spaziali (e dei rispettivi governi) USA e Europei di promuovere la competitività delle proprie industrie spaziali sui mercati spaziali commerciali. 176 “Estimates suggest that second sourcing designed to promote competition might lead to higher overall program costs of 40 percent compared with sole sourcing” (Burnett, 1987; Mayer, 1986; Sandler and Hartley, 1995: 154). Sandler and Hartley (1995) fanno una lista dei costi di transazione in presenza di concorrenza nel contrattazione nell’industria della difesa, che sono rilwevanti anche per il settore spaziale. Questi costi che possono fare della concorrenza un fattore di aumento piuttosto che di diminuzione dei costi includono: (i) costi legali associati alle dispute e proteste; (ii) costi associati al monitoraggio da parte del governo dei risultati e delle capacità di numerose imprese in concorrenza fra loro; (iii) l’interruzione di relazioni di lungo termine tra i contraenti e l’agenzia spaziale; (iv) sottoinvestimento in R&S da parte dell’impresa a causa di aspettative di minori profitti. (v) costi di duplicazione e perdite di benessere associati con sovraccapacità (Sandler and Hartley, 1995:146, 154). I benefici della concorrenza nella contrattazione derivano per lo più dagli incentivi ad un maggior sforzo delle imprese e dall’estrazione della rendita così creata a beneficio dell’agenzia spaziale. Lasciando da parte i costi di produzione, è più efficiente per l’agenzia avere numerose imprese spaziali che fanno offerte per un contratto, perché in questa maniera essa estrae rendite attraverso la concorrenza tra le imprese. Inoltre, una maggiore concorrenza incentiva gli sforzi per ridurre i costi della R&S e promuove l’innovazione da parte delle imprese. Le agenzie spaziali in Europa e negli Stati Uniti hanno impostato una politica a favore della competitività nell’assegnazione dei contratti, il che contraddice le politiche industriali dei rispettivi governi, che permettono e promuovono il consolidamento delle industrie spaziali nazionali. Nell’industria spaziale, quindi, la maggiore concorrenza da un lato spinge nella direzione di più alti costi per il progetto (a causa di minori economie di scala), dall’altro aumenta lo sforzo e riduce l’inefficienza - X. Un modo per neutralizzare l’impatto negativo delle minori economie di scala è aumentare la dimensione del mercato. Questo potrebbe essere ottenuto se sia l’Europa che gli Stati Uniti seguissero una politica di approvvigionamento più aperta alla concorrenza straniera. Con l’attuale politica protezionistica, comunque, l’impatto netto della concorrenza nell’approvvigionamento è ambiguo. L’evidenza empirica in generale suggerisce un numero di benefici che derivano dalla concorrenza nei contratti governativi. In particolare Dews ed altri (1979) mostrano che nel caso degli USA quando si confrontano i risultati ottenuti con contratti concorrenziali e non concorrenziali sulla base di costi del programma, risultati e tempi di consegna, in tutti e tre i casi i contratti concorrenziali battono quelli non concorrenziali. Va notato, comunque, che la principale critica a tali confronti è che 177 essi potrebbero comparare cose differenti, poiché non tengono conto del fatto che progetti specifici assegnati con schemi di contratto non concorrenziali tendono più facilmente a sforare i costi ed i tempi a causa dei loro più alti rischi. La questione dei benefici e svantaggi associati alla concorrenza nei contratti spaziali governativi in caso di protezionismo (cioè in caso di mercato limitato e assenza di contestabilità da parte di imprese straniere) deve anche affrontare la questione della sostenibilità della concorrenza, cioè se le politiche governative possono effettivamente mantenere un numero sufficiente di imprese spaziali nazionali, motivate ed efficienti. Questo potrebbe non essere fattibile, perché in industrie con costi medi decrescenti non verrebbe permesso alle imprese di fallire al fine di mantenere un numero di contraenti adeguato al mantenimento della politica della concorrenza. Così si sviluppa una situazione di azzardo morale, dato che l’impresa sa che non le verrà permesso di fallire, e così i benefici associati alla presenza della concorrenza sono annullati. Complessivamente, le politiche di approvvigionamento statunitensi sono chiuse ai concorrenti stranieri, cosa che combinata all’aumentato consolidamento dell’industria spaziale potrebbe portare ad una minore concorrenza nell’approvvigionamento. Nel caso di mercati spaziali pubblici chiusi, i benefici di questa mancanza di concorrenza si prospettano nella forma di costi di produzione più bassi a causa di una scala produttiva più larga (consolidamento), mentre i costi si prospettano nella forma di prezzi più alti o perdite associate alla presenza di strutture di mercato monopolistiche o semi monopolistiche. Nel caso in cui, grazie all’apertura alla concorrenza nei mercati pubblici spaziali negli Stati Uniti ed in Europa, si raggiungessero una scala efficiente e una situazione di concorrenza, si otterrebbero benefici netti. Inoltre, come si è detto precedentemente, non è possibile determinare il livello di concorrenza nella contrattazione semplicemente osservando le politiche dichiarate dalle agenzie spaziali in tema di concorrenza, in assenza di informazioni sui tipi di contratti impiegati. Questi verranno esaminati nella sezione seguente. 6.2.3 La scelta del contratto e l’economia della contrattazione I progetti spaziali messi a gara dal governo sono spesso non solo ad alta tecnologia ed intensivi di R&S , ma anche caratterizzati da un alto livello di specificità delle risorse (programmi satellitari e di scienza spaziale unici ed irripetibili). Queste caratteristiche rendono l’investimento così rischioso che una transazione di mercato diventa impossibile, perché non c’è nessun altro potenziale utilizzatore diretto oltre al governo, con il quale condividere i costi, nel caso il governo si tiri fuori. Il supporto del governo comporta un trasferimento di fondi pubblici in una varietà di modi che includono sussidi, prestiti garantiti dal governo, esenzioni fiscali, ecc. (Laffont and Tirole, 1993: 10). D’altra parte, con l’introduzione di mercati commerciali, i programmi finanziati dal governo possono portare a prodotti e clienti validi, con conseguenti profitti per l’impresa, sollevando così la 178 questione di fare assorbire all’impresa alcuni dei costi associati con i rischi di quei programmi In tale caso, il governo potrebbe contrattare per non rimborsare i costi completi del progetto, scontando i profitti futuri del progetto per l’impresa. La scelta del contratto e il potere contrattuale dell’impresa e dell’agenzia spaziale sono fattori fondamentali nel determinare il successo col quale il governo può attuare la sua politica e raggiungere i suoi obiettivi. Questa sezione descrive i differenti tipi di contratto, fornendo il nucleo fondamentale di un’analisi empirica della scelta dei contratti della NASA e della loro sostenibilità per gli obiettivi dell’agenzia. La rilevanza del tipo di contratto adottato sta nel fatto che esso determina il potere degli incentivi utilizzati dal governo per controllare i profitti, i risultati, i costi, i prezzi e lo sforzo dell’industria spaziale. Così, per esempio, il profitto dell’impresa che intraprende un rischioso progetto per conto dell’agenzia spaziale è una funzione non solo della prevista redditività stabilita dal governo all’inizio del progetto, ma anche dei costi maggiori al completamento del progetto e di chi pagherà tali costi. Il profitto derivante all’impresa da un progetto spaziale può così essere rappresentato nella seguente forma algebrica: ∏ = ∏e + s (Ce – C) (*) dove ∏ = profitti realizzati dal contraente ∏e = profitti stimati dell’impresa (margine di profitto determinato dal governo) Ce = costi stimati nel contratto del progetto spaziale C = costi effettivi del progetto spaziale s = coefficiente di condivisione. Il valore del coefficiente di condivisione per l’impresa riflette il tasso al quale l’agenzia ed il contraente divideranno la differenza fra i costi stimati e quelli effettivi. Il valore di s è tra 0 e 1 (0 ≤ s ≤ 1) e le implicazioni di questo valore sono discusse di seguito. Il valore di s in (*) è un elemento cruciale di ogni accordo di approvvigionamento. Il coefficiente di condivisione riflette il trade-off tra incentivi e estrazione della rendita, concordato tra l’agenzia spaziale e l’impresa. Assumendo che gli obiettivi primari dell’agenzia spaziale siano la minimizzazione dei costi dei progetti spaziali, ed anche della rendita che l’impresa riceve è facile capire perché questi obiettivi sono in contrasto. Assumendo un singolo progetto spaziale senza differenze qualitative: - nel caso di s =0 l’impresa non ha nessun incentivo a minimizzare i costi realizzati, perché qualsiasi differenza tra i costi realizzati e stimati non ha un impatto sulla profittabilità realizzata dall’impresa. Il presso del contratto in questo caso diventa P = (1+ πe)C, dove πe = ∏e/C = ∏/C. Questo tipo di contratto è chiamato contratto cost-plus: l’agenzia paga all’impresa i suoi costi più una “ragionevole” somma, che può essere una percentuale dei costi totali del progetto. In questo caso l’agenzia riesce chiaramente a controllare la rendita che l’impresa riceve, ma deve accettare gli alti costi del progetto e sopportare tutti i rischi (vedi figura 6.16). 179 - nel caso di s = 1 l’impresa ha un forte incentivo a minimizzare i costi (vedi figura 6.16), aumentando i suoi sforzi, perché i costi hanno un impatto pieno sui profitti realizzati. Dall’altro lato, l’agenzia non ha alcun controllo del profitto e l’impresa può realizzare forti rendite (o perdite). Questo tipo di contratto è un contratto a “prezzo fisso”. Il prezzo del contratto diventa in questo caso: P = Pe. dove Pe è il prezzo stimato (o prezzo obiettivo) del contratto. - nel caso intermedio di 0 <s <1, abbiamo un contratto con obiettivo di costo/pagamento d’incentivo. Il prezzo del contratto diventa: P = Pe + (1-s) (C – Ce) = [Pe – (1-s)Ce ] + (1-s) C. Questo significa che il pagamento è collegato al risultato e al costo in un modo predeterminato. Per un progetto con scarsi risultati, ritardi e costi in eccesso, il pagamento può essere aggiustato verso il basso. Tipicamente, ciò comporta un prezzo massimo a carico del governo. Per l’agenzia, il valore ottimale di s dipende in larga parte dal livello delle informazioni che l’agenzia possiede a fronte del contraente. Nel caso in cui le agenzie spaziali hanno accesso a informazioni complete sulla tecnologia del contraente, il contratto migliore per il regolatore sarebbe il contratto a costo fisso (Laffont e Tirole, 1993: 40). Col diminuire del livello di informazione il contratto ottimale diventa un contratto con incentivo (dove il valore di s varia tra zero e uno). Nel negoziare contratti non competitivi, l’agenzia e l’impresa devono accordarsi non solo su un obbligo condizionato riguardo al prezzo, ma anche sui valori di s e Ce. La relazione tra il prezzo del progetto (P) e il suo costo (C) nel caso di contratti cost-plus, a prezzo fisso e ad incentivo è esaminata graficamente nella figura 6.16 (da Sandler e Hartley, 1995: 139). Si assume che i contratti di tipo cost-plus includano i profitti dell’impresa sotto forma di markup sui costi (ad esempio, come una percentuale) e sono pertanto disegnati come rette, sopra la linea costi = prezzo. I contratti a prezzo fisso sono rappresentati da delle rette parallele all’asse dei costi, dato che le variazioni di costo non influiscono sul prezzo pagato, mentre i contratti con incentivo sono rappresentati da una retta con una pendenza compresa tra le pendenze delle rette relative ai contratti cost-plus e a prezzo fisso, in funzione del valore del coefficiente di condivisione, s81. Figura 6.16 Relazione tra costo e prezzo di un progetto 81 Un contratto cost‐plus implica un coefficiente di condivisione uguale a zero, per cui il prezzo del progetto dipende dai costi effettivi. Quando i costi effettivi sono inferiori ai costi stimati, il prezzo pagato per il progetto è minore del prezzo obiettivo. Quando i costi effettivi sono uguali ai costi stimati si vede, dall’equazione (*) che i profitti effettivi sono uguali ai profitti attesi e il prezzo obiettivo è uguale al costo atteso più il profitto atteso (come nel caso del prezzo fisso). Questo valore è indicato nella figura 6.16 come il punto di intersezione tra la retta del costo fisso e quella del cost‐plus. 180 FONTE: Sandler e Hartley (1995) La figura 6.16 assume che il prezzo obiettivo sia uguale al profitto obiettivo più il costo atteso (Sandler e Hartley, 1995: 139). Assumendo che il profitto obiettivo e il profitto atteso siano uguali, allora Pe = ∏e + Ce . Quando il profitto atteso o obiettivo sono posti uguali a zero, allora il prezzo obiettivo è uguale al costo atteso, come è mostrato nel punto Pe = Ce sull’asse del Prezzo del Progetto nella Figura 6.16 (retta a 45°). Nell’equazione (*) un contratto a prezzo fisso implica che il prezzo del contrato sia uguale al costo atteso, più il profitto atteso (nella misura concordata in anticipo), dato che il coefficiente di condivisione è uguale a uno. Pertanto, i contratti a prezzo fisso non variano al variare dei costi e sono mostrati nella figura 6.16 come una retta parallela all’asse del costo. Le agenzie spaziali hanno le loro idiosincrasie nel mischiare i modelli generali descritti sopra in funzione delle loro specifiche esigenze. L’ESA ha adottato tre principali tipi di contratti, ovvero, quello cost-plus, quello a prezzo fisso e un ibrido chiamato “contratto con un prezzo massimo da convertire in prezzo fisso”, con la conversione che dovrebbe avere luogo nel momento in cui ciò sia fattibile e prima della chiusura del contratto. Inoltre, è importante notare le raccomandazioni dell’ESA a potenziali offerenti di verificare anticipatamente che le loro proposte siano conformi alle richieste delle rispettive agenzie spaziali nazionali, perché se così non fosse avrebbero poche probabilità di essere accettate. Questo è un limite evidente imposto agli offerenti, dato che la mancanza del supporto nazionale all’interno di un sistema di juste retour nel processo di aggiudicazione dell’ESA implica un trattamento sfavorevole all’offerente nazionale. Contratti a prezzo fisso (s=1). Ci sono diversi modi per definire un contratto a prezzo fisso. La distinzione più evidente si ha tra un contratto a prezzo fisso per l’impresa, con il quale il prezzo è fissato una volta per tutte al momento della firma del contratto dopo il periodo di negoziazione e un 181 contratto con il quale il prezzo fissato inizialmente è soggetto a “forze esterne”, quali l’inflazione, i tassi di cambio, ecc. I contratti a prezzo fisso sono ottimali quando ciò che deve essere consegnato è un prodotto standardizzato con un rischio minimo, quando vi sia assenza di asimmetrie informative tra le parti contraenti e quando vi sia concorrenza per il contratto. Nel caso in cui il rischio sia elevato, è probabile che anche in presenza di informazione incompleta simmetrica, ci sarà un extra profitto extra o perdita nella data di completamento del contratto. In presenza di asimmetrie informative, è evidente come la parte avvantaggiata (di solito, ma non necessariamente, l’industria) sia incentivata ad usare a proprio vantaggio le informazioni addizionali in suo possesso e ad ottenere il massimo beneficio alla chiusura del contratto. Inoltre, in presenza di asimmetrie informative tra il governo ed impresa, questa potrebbe “nascondere i profitti” utilizzando procedure contabili basate sulla manipolazione dei prezzi di trasferimento, per sussidiare altre operazioni vantaggiose (mercati commerciali). Infine, in mancanza di concorrenza dal lato del contraente, ci sono forti incentivi per lui ad adottare un comportamento monopolistico e massimizzare i profitti. In questo caso, un monopolista può chiudere con extra profitti che assorbono il massimo surplus dal consumatore, fissando il suo prezzo in base alla disponibilità dell’agenzia a intraprendere il progetto piuttosto che su una valutazione del suo costo. Complessivamente, un potere contrattuale del governo relativamente elevato (monopsonio) non è per forza di cose sufficiente ad assicurare l’ottimalità dei contratti a prezzo fisso. Questo perché il governo potrebbe non avere il modo di controllare gli sforzi effettivi dell’impresa o di ottenere informazioni complete sui suoi costi (asimmetrie informative). I contratti a prezzo fisso sono ben visti dalle autorità competenti dato che minimizzano i costi di controllo, ma ciò ha un prezzo: se non ci sono le giuste condizioni quando il contratto viene firmato, allora è verosimile che il contraente chiuda con degli extra-profitti. La situazione in cui il contraente chiude con delle perdite significative nel caso di contratti importanti è meno probabile che avvenga, poiché potrebbe potenzialmente escluderlo dal mercato o indurlo ad una richiesta di rinegoziazione (vedi i paragrafi seguenti sul controllo e le stime). Considerazioni di sicurezza nazionale, un numero limitato di imprese di dimensioni adeguate ed una situazione di mercati chiusi, come quella descritta in precedenza, aumentano la probabilità che il governo salvi il contraente. Questo elimina un incentivo cruciale, rendendo così questo tipo di contratti per i grandi programmi spaziali con rischi tecnologici meno adatti di quanto preferirebbe un’agenzia burocratica che mira ad un minimo sforzo di monitoraggio. La NASA e l’ESA hanno categorie di contratti a prezzo fisso molto simili. La prima categoria comune ad entrambi è quella del prezzo fisso nella sua forma più semplice, vale a dire il prezzo fisso per l’impresa. In questo tipo di contratto non sono ammesse variazioni di prezzo, pur in presenza di variazioni nei costi degli input dell’impresa (APR, 1998): “The price of the contract is not subject to any adjustment or revision by reason of the actual costs incurred by the Contractor in the performance of the contract.” (ESA, 2009) 182 Sia l’ESA che la NASA impiegano anche un modello di contratto a prezzo fisso più flessibile, che permette certe variazioni di prezzo. La NASA utilizza un ‘Fixed-price-contracts with economic adjustment’ (APR, 1998). Questo modello tiene conto della possibilità di cambiamenti nei prezzi dei fattori esogeni all’impresa ed identifica specificamente i prezzi stabilito degli input o delle consegne finali, da usare come riferimenti per un completo o parziale rimborso in caso di loro fluttuazioni. In particolare questi contratti tengono conto di cambiamenti nel costo effettivo degli input di capitale, materie prime o lavoro, misurati o individualmente per ognuna di queste categorie, o sulla base di indice dei costi del lavoro e dei materiali (APR, 1998). Questi contratti sono ampiamente utilizzati quando il processo di produzione è lungo, e/o ci sono buone ragioni per aspettarsi fluttuazioni (ad esempio nei tassi di inflazione) e altri disturbi nei mercati del lavoro, del capitale e dei materiali. La NASA utilizza anche numerosi altri tipi di contratto, adattati a requisiti particolari, come i fixed-price contracts with prospective price redetermination. Questo tipo di contratto viene usato principalmente nei casi in cui è richiesta un’offerta continua di un certo bene spaziale per un lungo periodo di tempo, e quando: “The initial period should be the longest period for which it is possible to negotiate a fair and reasonable firm fixed price. Each subsequent period should be at least 12 months...” (APR, 1998: 9)82. Uno dei principali problemi con i contratti a prezzo fisso e tutti gli altri tipi di contratto con clausole di aggiustamento è l’impatto di queste clausole di variazioni di prezzo (Variation of price VOP) hanno sugli appaltatori e sull’agenzia. Tali clausole spesso sono interpretate erroneamente come strumenti usati dall’agenzia per incentivare l’impegno da parte dei contraenti; ciò fa si che il contraente inserisca stime più elevate sull’inflazione, ecc nelle clausole del contratto, rendendo il processo di negoziazione lungo e inefficiente, se paragonato all’utilizzo di un contratto con rimborso del costo. L’ESA fa uso di un approccio simile chiamato contratto a prezzo fisso con variazioni di prezzo. La presenza di fattori esterni è presa in considerazione nel contratto che fa delle previsioni sulle fluttuazioni che potrebbero influire sui costi. Nel caso in cui l’aggiustamento economico venisse applicato a consegne in ritardo per responsabilità dell’appaltatore (vedi il punto 3.c più sotto) l’agenzia utilizza una formula diversa di aggiustamento. E’ evidente come numerosi fattori complichino questo processo favorendo una maggiore discrezionalità, in quanto le fluttuazioni dei prezzi, le azioni delle società ed i rapporti con i fornitori presentano numerosi elementi di incertezza nel processo: “a) The price of the contract is not subject to any adjustment or revision by reason of the actual costs incurred by the Contractor in the performance of the contract save upon occurrence of certain Vedi APR (1998) per un elenco più esteso. 82 183 contingencies specifically stated in the contract and within the limits defined in paragraphs b) to d) inclusive. b) The contract with price variation clause shall define: 1) the price factors whose variations shall determine revision of the contract price; these factors shall generally be raw material prices, rates of remuneration for categories of labour incorporated in the contract, relevant social charges; 2) the manner in which the variation of a price factor shall be established. This shall be done as far as possible on the basis of official indices published by authority of the Contractor's government or generally used for similar purposes in the contract placed by that government on its own behalf; 3) the formula based upon the indices indicated above for determining the effect on the contract price of a variation in such price factor. c) Where the delivery of the supply or service by the Contractor is overdue by the latter's own fault, price fluctuations during the overdue period shall be assessed separately according to a formula specified in the contract. In this case no allowance shall be made to the Contractor for price increases occurring after the contractual delivery dates for the supply or service; the Agency shall be given the benefit of any decreases in price after this date. d) The contract may stipulate if price variations are below a certain value they shall not be taken into account; in the same way it may determine an initial period during which no account shall be taken of fluctuations in the stipulated price factors.” (ESA 2009). Infine, l’ESA utilizza un tipo particolare di contratto, chiamato contratto a prezzo fisso per unità. Con questo particolare contratto si affronta la questione della quantità da consegnare definendo un “prezzo per unità”, a prescindere da meccanismi di mercato, che vincoli il fornitore e l’agenzia, in modo che non rinegozino costantemente nel caso di consegne standardizzate. “a) When at the time of concluding the contract the quantity of the supplies or services cannot be precisely determined, a fixed price contract or a fixed price contract with variation clause may establish the unit price of the various supplies and services or their component parts. b) The price to be paid shall be arrived at by applying the unit prices to the quantities of supplies or services delivered. No other charge may be added thereto. c) Such contracts shall stipulate: 1) the period of their validity; 2) the minimum quantities of supplies or services which the contracting authority undertakes to order from the Contractor and the maximum quantities which the latter agrees to delivery; 3) the terms and conditions on which firm orders will be placed for each supply or service. 184 d) The Contractor shall state the exact quantity of goods supplied or services performed under the contract, and shall communicate all information and afford all facilities required in order to verify the correctness of such statement.” (ESA, 2009) Contratti ibridi con un prezzo massimo convertibile in prezzo fisso. Questo tipo di contratto utilizzata dall’ESA punta ad affrontare i rischi e le incertezze al momento della firma del contratto senza ricorrere ad un modello di contratto cost-plus, ma sviluppando uno schema ibrido nel quale inizialmente si stabilisce un prezzo massimo, similmente a quanto avviene con un contratto cost-plus. Nelle fasi successive, quando ci saranno minori incertezze intorno alle consegne previste dal progetto, il contratto viene convertito in un contratto a prezzo fisso. Questo, in effetti, pone una serie di problemi, a prescindere dal fatto che per certi contratti le informazioni diventano disponibili solo all’avvicinarsi della loro chiusura. Dati gli sforzi fatti per utilizzare questo tipo di schema i suoi vantaggi, relativamente ad un contratto cost-plus monitorato con attenzione, non sono ben chiariti: “CLAUSE 3 - CONTRACT WITH CEILING PRICE TO BE CONVERTED INTO A FIXED PRICE 3.1 When the parties intend to conclude a firm fixed price contract (Clause 2.1) or a fixed price contract with price variation (Clause 2.2) and if at the time of concluding the contract there is not sufficient basis for assessing a fixed price, they may conclude a contract with ceiling price to be converted into a fixed price. 3.2 Such a contract shall stipulate a ceiling which the contract price shall not exceed and for which the Contractor shall be required to deliver in full the supplies and services stipulated in the contract. The fixed price shall be established as soon as a basis for assessing an equitable price exists and wherever possible, before the contract is completed. 3.3 Independent of the ceiling mentioned in paragraph 3.2, the Contractor shall provide at the time of concluding the contract the following cost information and specify which items thereof are estimates and which are firm: i) Material Cost; - issued from store - purchased ii) Material Overhead (if not included in iv) ) iii) Direct Labour Cost Category Man Hours Hourly Rates (Engineering, Manufacturing, etc.) iv) Labour Overhead Rate or Rates v) Jigs and Tools vi) Total Prime Cost (Sum of i, ii, iii, iv and v) vii) General and Administrative Overhead Rate on (vi) (if not already included in iv) ) viii) Other Direct Costs (Bought-out equipment, services, consultancies, licence fees, etc.) ix) Special Overhead Rate on viii), if any x) Profit 185 At the time of determining the fixed price, the Contractor shall provide an up-dating of those items mentioned as estimates. 3.4 If agreement on the fixed price cannot be reached prior to completion of the contract, the contract price shall, within the limit of the ceiling defined in 3.2, be determined in accordance with the procedure of cost reimbursement contracts. 3.5 If the Agency so requires, the Contractor shall afford all facilities to the Agency's representatives to visit the Contractor's factory or workshops in order to examine the processes of manufacturing and control the direct costs of the contract in order to estimate or ascertain the cost of production on the basis of which the fixed price shall be determined. If the overhead rates of the Contractor for similar contracts placed by national or international public services have been established or approved by a government agency or an agency accepted by his government and the Contractor proposes the application of these rates, he shall state the name and address of the agency recommending the rates and the period for which they were established. If he proposes rates which vary from the rates mentioned above, he shall furthermore provide a justification for the differences. If the overhead rates of the Contractor for similar contracts placed by national or international public services have not been established or approved by a government agency or an agency accepted by his government, he shall provide the necessary back-up data to support the proposed rates.” (ESA, 2009). Contratti a rimborso del costo/cost-plus. C’è una varietà di diversi contratti a rimborso del costo (o cost-plus), il cui uso, come si è visto in precedenza, permette all’agenzia di controllare le rendite del contraente, ma può anche avere come conseguenza bassi livelli di efficienza e costi elevati. I contratti a rimborso del costo sono utilizzati in condizioni di incertezza e costituiscono uno strumento per dividere i rischi tra l’impresa ed il governo, essendo che il secondo tipicamente assorbe la maggior parte, se non tutti i rischi. Nonostante il fatto che un progetto debba comportare un’elevata R&S per poter essere regolato da questo tipo di contratto, non ne consegue che il governo coprirà i costi totali associati alle incertezze di quella ricerca, sostenuti da un contraente che mira al profitto, se questo può utilizzare la R&S specifica del progetto anche in applicazioni commerciali o per aggiudicarsi il prossimo contratto (questo è una fonte di economie di diversificazione, sotto forma di economie congiunte di apprendimento). Questo tipo di contratti specifica i costi stimati che probabilmente verranno sostenuti durante la realizzazione del progetto spaziale, e la misura in cui questi costi saranno rimborsati dall’agenzia. Il modo in cui questi costi entrano nel contratto può essere quello di un limite (la fissazione di un tetto di costo, al di là del quale il contraente non sarà rimborsato), come nel caso della NASA (APR, 1998). Questo può spesso portare a battaglie legali tra l’agenzia e l’appaltatore quando sorgono divergenze sulle definizioni dei termini e sui ritardi. Questo tipo di contratti richiede un controllo del governo sulle prestazioni, sui costi e sugli sforzi sostenuti dall’impresa spaziale, dato che è lui che deve pagare 186 i conti. Pertanto, il controllo dei costi deve essere sommato ai costi totali del progetto spaziale, anche se nella pratica contabile ciò non avviene spesso. Il risultato è che, dato l’incentivo delle imprese a sottostimare i costi, spesso il costo dei progetti contrattato con questo sistema eccede le sue proiezioni iniziali. Se, da un lato, le agenzie spaziali in linea di principio sono in grado di ottenere stime dei costi ed effettuare controlli accurati, dato il loro coinvolgimento di lunga data in progetti spaziali (come il programma Apollo negli USA) e in attività manifatturiere, come abbiamo visto in precedenza, d’altro lato, durante la prima fase della formazione del bilancio i loro interessi coincidono con quelli degli appaltatori. Questo significa che le agenzie spaziali hanno un incentivo ad allentare le loro funzioni di controllo e di stima dei costi, rendendo così più facile per il Congresso, o qualsiasi altro organo decisionale, finanziare quelli che in apparenza sono progetti spaziali non costosi. Questo implica che l’agenzia è in larga parte responsabile dello sforamento dei costi, in quanto il suo comportamento in presenza di contratti cost-plus incoraggia a sottostimare i costi del progetto. Una soluzione a questo problema per il Congresso è quella di incentivare la NASA a fornire stime accurate, prevedendo penali finanziarie o politiche di bilancio fisso. Le principali categorie di contratti con rimborso del costo sono le seguenti (per un elenco completo, vedi APR, 1998): Contratti al costo (APR, 1998). Questo tipo di contratto con rimborso del costo non lascia alcuna rendita al contraente ed è per lo più utilizzato per la R&S di istituti non-profit, ad esempio Università. Contratti con ripartizione del costo (APR, 1998). Questo tipo di contratto rimborsa il contraente di una parte concordata dei costi specifici del progetto, ma non consente alcun pagamento di rendite. Viene utilizzato quando il contraente si aspetta degli spin-offs dal progetto che andrebbero a compensarlo della sua mancata rendita. Un’impresa spaziale multi-prodotto, che produca sia per i mercati spaziali governativi sia per quelli commerciali, può aspettarsi che dall’apprendimento del lavoro sui progetti governativi e da altre fonti comuni di economie di produzione derivino possibilità di ridurre i costi ed introdurre nuovi prodotti nel segmento spaziale commerciale. Contratti cost-plus pagamento fisso (APR, 1998). Questo tipo di contratto rimborsa il contraente per il costo effettivo del progetto spaziale e include il pagamento di una rendita, che viene stabilita in anticipo e varia solo in caso di variazioni delle specificazioni e dei risultati del progetto e non per effetto di fattori esogeni di costo. I contratti cost-plus pagamento fisso sono molto simili ai contratti cost-plus, definiti in precedenza, dove l’agenzia paga all’azienda i suoi costi più un compenso “ragionevole”, che può essere una percentuale sui costi stimanti del progetto. Il risultato è che riescono a controllare le rendite, ma permettono all’azienda di massimizzare i costi e, nel caso di controlli insufficienti, di sussidiare applicazioni spaziali commerciali. Questo tipo di contratto trova 187 applicazione nei casi di incertezza sul risultato e/o sugli sforzi richiesti per un progetto spaziale. Nello specifico, quando diventa disponibile l’informazione che il progetto spaziale è fattibile, si può fare un contratto con incentivi alla riduzione del costo. Cost-plus percentuale di profitto. Questo tipo di contratto rimborsa il contraente per il costo effettivo e include il pagamento di una rendita determinato in percentuale dei costi effettivi. La politica NASA di regola esclude questi tipi di contratti (APR, 1998), probabilmente perché incentivano fortemente le imprese a gonfiare i costi del progetto (contratti “assegno in bianco”) . E’ evidente come il problema fondamentale dei contratti cost-plus sia che gli amministratori dell’impresa hanno un incentivo a gonfiare i costi e possibilmente finanziare trasversalmente le operazioni commerciali (vedi Lichtenberg, 1995). Il governo potrebbe non necessariamente essere all’oscuro di questa pratica dell’impresa. Essa potrebbe costituire un sistema con cui il governo finanzia trasversalmente le operazioni dei gruppi spaziali sui mercati commerciali, impiegando modelli di aggiudicazione concorrenziali, ma anche contratti cost-plus che nasconderebbero quel finanziamento trasversale agli occhi delle industrie spaziali degli altri paesi. Come detto prima, i risultati positivi dell’industria spaziale in termini di bassi costi e di crescita della competitività potrebbero non essere dovuti ad un aumento della concorrenza nell’assegnazione dei contratti, ma all’impiego di contratti più favorevoli per l’industria. Questo sarebbe il risultato raggiunto dall’agenzia spaziale per migliorare la competitività dell’industria nazionale, a spese degli obiettivi “tradizionali” di minimizzazione dei costi e delle rendite. La politica dell’ESA punta ad abbassare la percentuale dei contratti cost-plus (o a rimborso del costo). Una ragione principale per questa politica è l’esigenza di controllare i contratti ed i costi associati, tuttavia bisogna riconoscere che nei contratti aventi per oggetto lo sviluppo di nuove e rischiose tecnologie è altamente impegnativo usare in modo efficiente contratti a prezzo fisso. L’ESA identifica una serie di strumenti utilizzati per verificare le voci di costo, come le tariffe orarie, le spese dirette e indirette, le spese fisse ed altro: “CLAUSE 4 - COST-REIMBURSEMENT PRICE CONTRACT The price of the contract is the total of all the costs insofar as they are allowable within the terms of Clause 6 of this Annex, and a profit as defined hereunder in this clause. The contract shall stipulate: - either a maximum amount as the limit of liability referred to in Clause 9 of this Annex, - or a maximum price (ceiling) which the Contractor may not exceed, while still being required to deliver in full the supplies and services stipulated in the contract. 4.1 Cost-plus-fixed-fee contract The cost-plus-fixed-fee contract is a cost-reimbursement type of contract which provides for the payment of a fixed fee to the Contractor. This fixed fee does not vary with actual cost, but can be 188 adjusted as a result of changes in the contract specifications made at the Agency's request under the provisions of Clause 26.1 of the General Conditions, likely to substantially vary the estimated cost. 4.2 Cost-plus-incentive-fee contract This contract is a cost-reimbursement type of contract which provides for the payment of a Target Fee which is the fee to be paid to the Contractor if the contract is executed in accordance with targets specified in the contract. Its amount shall be adjusted depending on whether the Contractor's execution of the contract is below or above the specifications fixed for the above mentioned targets. These targets usually consist of: a) A Target Cost meaning an amount which, if reached but not exceeded by the actual cost, shall give the Contractor a right to the Target Fee; if on the other hand the actual costs are higher or lower than the Target Cost the contract shall mention the proportion by which the Target Fee shall be increased or reduced. b) A Target Schedule for the attainment of which the Contractor shall be paid the Target Fee and the proportion by which the Target Fee will be increased or decreased for improving upon or not meeting this Target Schedule. c) A Target Performance for the attainment of which the Contractor shall obtain the Target Fee and the proportion by which the Target Fee shall be increased or decreased for improving or not obtaining Target Performance. The specifications of these targets can be adjusted as a result of changes in the contract specifications made under the provisions of Clause 26.1 of the General Conditions. 4.3 Time and material contract A time and material contract is a cost-reimbursement type of contract of which the price is determined on the basis of the following elements: a) average hourly rates or hourly rates per category, including direct as well as indirect charges, general administrative overhead and profit, either for personnel or for the hire of facilities including operating personnel; b) material and supplies at cost, possibly increased by a percentage for material handling charges to the extent that they are clearly excluded from the hourly rate; c) disbursements or payments made to third parties for services rendered in the fulfilment of the contract to the extent that they are clearly excluded from the hourly rate (e.g. travel expenses, transport, computer charges, etc.). Disbursements must be approved by the Agency and, unless otherwise provided in the contract, shall be reimbursed at their invoice value without any additional charges.” ESA, 2009 Contratti incentivanti. I contratti incentivanti offrono una maggior varietà di accordi contrattuali tra l’agenzia e il contraente, dato che includono tutto lo spettro dei valori di s , esclusi i valori zero e uno. 189 I contratti incentivanti possono essere più vicini a quelli rimborso o a quelli a prezzo fisso. Questo tipo di contratto deve chiaramente specificare l’obiettivo al quale sono mirati gli incentivi e usare gli schemi incentivanti adeguati per minimizzare le inefficienze. La definizione degli incentivi comporta solitamente una formula che collega specifici indicatori di prestazione e costo a ricompense e/o penalità (“la carota e il bastone”). Gli incentivi richiedono pertanto controlli ed il sostenimento dei costi per la stesura di contratti molto dettagliati e tecnici, nonché dei potenziali costi per le dispute legali, maggiori rispetto al caso dei contratti a prezzo fisso. Vi sono due tipi principali di incentivi (vedi APR, 1998): Incentivi di costo. Gli incentivi di costo collegano gli obiettivi di costo e di profitto ad un certo livello (obiettivo) delle specificazione del progetto (il tasso di condivisione del rischio). Per esempio, quando l’azienda raggiungere l’obiettivo con un costo inferiore, il profitto dell’obiettivo è aggiustato verso l’alto, e viceversa. Incentivi di risultato (performance). Gli incentivi di risultato collegano gli obiettivi individuati (rendimento) con i profitti obiettivo e sono generalmente usati nei casi in cui il risultato finale del prodotto/progetto è soggetto ad incertezza. In pratica, il fatto che gli incentivi di rendimento non tengano conto dei costi con i quali si ottiene un certo risultato fa sì che essi siano spesso utilizzati insieme ad incentivi di costo. Pertanto, assumendo che ci sia un’incertezza limitata alla fattibilità del raggiungimento degli obiettivi stabiliti, un contratto incentivante potrebbe prevedere solo incentivi di costo (il “bastone”). Nel caso in cui quell’incertezza sia elevata, gli incentivi di costo sono rafforzati da incentivi di risultato (“la carota”). Bisogna riconoscere che, nonostante questi contratti presentino costi di sorveglianza simili a quelli dei contratti con rimborso del costo, le agenzie spaziali negli Stati Uniti e in Europa hanno proprie capacità di produzione e/o R&S, e che in generale trattano con un numero limitato (e conosciuto) di appaltatori. Esse possono pertanto in linea di principio godere di costi di controllo minori (assumendo l’esistenza di un apprendimento nella sorveglianza) così come sostanziali poteri di contrattazione, grazie alle loro dimensioni. Per questo motivo è ragionevole aspettarsi che una larga parte delle contrattazioni delle agenzie spaziali avvenga con contratti incentivanti, o a prezzo fisso, piuttosto che con contratti a rimborso dei costi, soprattutto quando la tecnologia matura e le imprese entrano sempre più nei mercati spaziali commerciali. Implicazioni per l’efficienza della scelta dei contratti. I contratti cost-plus hanno ricevuto molte attenzioni negli USA in quanto portano benefici sostanziosi all’industria, e pagamenti superiori ai loro livelli ottimali da parte della NASA . Questa tuttavia non è una conclusione scontata, in quanto il 190 processo di stanziamento è consente rinegoziazioni su una base annuale, perché il programma non è completamente definito all’inizio del periodo contrattuale. Verosimilmente per progetti molto rischiosi potrebbe essere ancor più difficile impostare un contratto a prezzo fisso o ancora di più un contratto dell’ESA con prezzo massimo convertibile in prezzo fisso. Un contratto cost-plus permette tipicamente al contraente di spendere per una certa percentuale oltre il costo atteso, ma poiché su questa somma non si calcola alcun profitto, non vi è nessun incentivo a spenderla. Tuttavia, se quando un contratto viene negoziato con successo non viene posto alcun “blocco” in termini del profilo temporale del suo finanziamento, in seguito a un pieno impegno dell’autorità finanziante, allora il contraente può effettivamente trovarsi di fronte ad una rinegoziazione annuale, per ogni periodo di finanziamento aggiuntivo. In effetti, gli sforamenti dei costi in questo caso diventano parte del profilo del periodo successivo e pertanto non vengono mai trattati come tali. Lo sforamento è reale in termini del progetto complessivo, ma ha uno scarso impatto sugli incentivi o sulla redditività del contraente. Lo stesso si può dire dei contratti ESA con prezzo massimo convertibile in prezzo fisso (CP-FP). Per spiegare questo punto, si osservi che ciò che verrebbe considerato uno sforamento rispetto ad un contratto ben definito di tipo cost-plus o a prezzo fisso al momento della firma del contratto, diventa qui una “informazione addizionale”, che porta di fatto a una riscrittura dei termini del contratto. Per la NASA ciò ha luogo annualmente, mentre per i contratti CP-FP dell’ESA si suppone che ciò accada istituzionalmente solo una volta. Nella fase in cui il contratto non è ancora finalizzato ci sono pochi incentivi per l’industria a fare il massimo sforzo. Infatti, uno dei problemi della NASA sta nel fissare i prezzi del programma durante le fasi iniziali e di sviluppo, dove i margini di profitto sono gli stessi che per la produzione del manufatto. Si pone poca attenzione al fatto che l’uguaglianza dei margini di profitto ha come risultato che il contraente ha ogni incentivo a prolungare le prime fasi, durante le quali si i progetti sono sviluppati sulla carta. La giustificazione del governo per questa prassi è che un programma progettato nel modo migliore già dalle prime fasi sia un investimento per tutta la vita del programma e, pertanto, i fondi spesi per lo sviluppo sono fondi ben spesi. Ma il contraente potrebbe facilmente abusare di questo fatto. Per fare un esempio, i costi dei manufatti tengono conto di rischi sostanziosi, spese ed investimento di capitale, necessari per arrivare alle consegne finali (cioé, ai i risultati). Lo sviluppo è una parte del processo diretto ad ottenere questi risultati, e perciò coprire i suoi costi è importante sia per l’industria che per il governo. Tuttavia, ha forse meno senso per il governo garantire durante questa fase la stessa proporzione di profitto che si garantisce durante la fase di fabbricazione, nella quale si devono effettuare riconfigurazioni e sostenere vari altri rischi di produzione. La maggior parte dei costi di controllo e degli sforzi dell’agenzia e dei dirigenti del progetto per conto del contraente riguardano il controllo dei costi. Un sistema largamente utilizzato di valutazione dei progressi del progetto è il metodo del valore guadagnato (Earned Value Method System - EVMS), ampiamente utilizzato per la maggioranza dei grandi programmi negli USA (NASA, 191 1999). Il DoD degli Stati Uniti è un pioniere nello sviluppo di queste tecniche e nelle loro applicazioni fin dai primi anni sessanta. Questi meccanismi permettono di controllare e valutare i risultati del programma, paragonandoli al piano iniziale, permettendo correzioni (se possibili) e stime accurate della fine dei lavori in termini di tempi e costi, durante le varie fasi del programma. Bisogna tuttavia notare che, in seguito ad indicazioni di un uso eccessivo delle pratiche EVMS, che possono avere costi notevoli in termini di controllo e burocrazia, si è spostata la soglia di valore del programma per la applicazione dello EVMS (Office of the Secretary of Defense, 2004). La NASA ha delegato larga parte della sua autorità di sorveglianza sui suoi contratti al DoD (vedi NASA, 2009a, 2009b), in particolare alla Defense Contract Audit Agency, ottemperando così alla richiesta alle Agenzie Federali di controllare le loro attività contrattuali attraverso un approccio EVMS (Navy, 2009). La figura 6.17 considera una relazione lineare tra il costo e il prezzo ed “aumenta” l’analisi EVMS considerando le sue implicazioni sul prezzo (EVMS-P). Una ‘Scatola di pianificazione’ (Planning Box – PB = TpABPp) collega i punti dove il tempo pianificato per la conclusione (Tp) incontra il valore pianificato del programma (A: costo a bilancio); e incontra il prezzo pianificato alla sinistra della retta a 45° (B), risultando così nei profitti pianificati. Nell’istante T1 (tempo corrente) il progetto è riesaminato con il metodo del valore guadagnato, per vedere se si sta dirigendo verso ritardi o spese extra al completamento dei lavori. La nuova ‘Scatola di pianificazione, che prende in considerazione i ritardi (PBd), è definita da TdCDPp, o TdCEPd a seconda che il contraente faccia un profitto sulla parte del programma che è stata dilazionata ed ha sfiorato il budget. 192 Figura 6.17 Il sistema dello Augmented Earned Value Management System (Earned Value Management System, aumentato delle implicazioni per il prezzo, EVMS‐P) NOTE: Earned Value (EV) = costo a bilancio per il lavoro eseguito = Planned Value (PV) = costo a bilancio per il lavoro programmato = Actual Cost (AC) = costo effettivo del lavoro svolto = Budget at Completion (BaC) = A = bilancio al completamento atteso al tempo To Estimated Completion Budget (ECB) = C = bilancio stimato a T1 Schedule Variance (SV) = EV – PV Cost Variance (CV) = EV – AC To = tempo di avvio del progetto T1 = tempo corrente Td = tempo atteso di completamento a T1 Tp = tempo atteso di completamento a To Pp = proiezione di prezzo pianificata a To Pd = proiezione di prezzo pianificata a T1 Cost‐plus contract = Assumendo che il progetto sia accettato, senza alcuna penale aggiuntiva, in una data successiva a quella pianificata, un contratto a prezzo fisso per l’impresa nella data corrente risulterà in profitti nulli alla consegna finale, mentre un “puro” contratto cost-plus (come nel caso di un profitto calcolato come percentuale del costo), darà un profitto proporzionale al costo. Assumendo una rinegoziazione alla data corrente, la linea di rinegoziazione è definita da ED, con l’agenzia che mira al punto D, ed il contraente che mira al punto E. Nel caso cost-plus con un tetto, il contraente non riceve più profitti dopo un certo punto definito da uno sforamento di bilancio e/o tempo. E’ probabile che esistano asimmetrie informative nel caso in cui l’agenzia abbia delle informazioni alla data corrente solo sul lato sinistro del diagramma, mentre il contraente ha a disposizione il quadro completo. In 193 questo caso, il contraente può decidere se condividere queste informazioni con l’agenzia a seconda del tipo di contratto e delle aspettative. 6.2.4 Le politiche e i trend di approvvigionamento della NASA e dell’ESA L’affidamento al Dipartimento della Difesa, in considerazione della sua maggiore esperienza, della maggior parte dei contratti cost-plus della NASA, ha delle profonde implicazioni per la frammentazione del processo di assegnazione e controllo dei contratti. I costi di sorveglianza necessari per applicare un approccio EVMS nel caso di contratti cost-plus pongono un pesante fardello sulle agenzie, dando luogo ad un processo di sorveglianza a gradini a seconda del valore del contratto (vedi NASA, 2009c). E’ chiaro che le economie di scala nel controllo dei contratti mettono in gioco agenzie di grandi dimensioni come NASA, che si ritrovano a seguire numerosi contratti diversi, mantenendo un processo centralizzato. Negli USA le richieste di un passaggio a contratti a prezzo fisso segue l’esempio dell’esperienza europea dove, secondo fonti industriali, circa il 90% dei contratti ESA e delle altre principali agenzie spaziali come l’ASI sono a prezzo fisso. La centralizzazione dei processi di sorveglianza dell’esecuzione dei contratti è possibile, ma essa non è una scienza esatta, in quanto le ragioni sottostanti non sono sempre comprensibili e comuni tra i progetti ad alta tecnologia. Un importante svantaggio della centralizzazione è la scarsa familiarità e la potenzialmente crescente asimmetria informativa tra i funzionari sorveglianti ed il contraente. 194 Figura 6.18 Distribuzione percentuale delle allocazioni concorrenziali e non concorrenziali dei contratti della NASA nel tempo FONTE: APR, 1991; 2006; 2008 Le tendenze dell’approccio della NASA ad un approvvigionamento concorrenziale sono illustrate nella figura 6.18. La percentuale di valore assegnato con contratti non concorrenziali (%NASAnc) sembrerebbe stabile attorno a un livello vicino al 40% tra il 1997 e il 2004, mentre se si considerano anche i contratti a seguire (follow up) il dato supera il 40% (%NASAnc+fo). Il valore dei contratti assegnati con procedure concorrenziali mostra un andamento in lenta crescita nello stesso periodo, ma rimane palesemente sotto il 60%, in contrasto con il periodo iniziato subito dopo il programma Apollo e terminato alla metà degli anni novanta. Questo trend è da attribuire al forte consolidamento dell’industria spaziale USA dopo “l’ultima cena” del 1993, quando il governo invitò ufficialmente l’industria a consolidarsi e ristrutturarsi (vedi Zervos, 2008; AIA, 2009; SIPRI, 2009): “In 1993 DoD leadership hosted a dinner at the Pentagon for a dozen executives of the largest defense companies. The executives were informed that there were twice as many defense suppliers as expected in the next five years and that the government was prepared to watch some go out of business. This event, dubbed the “Last Supper,” precipitated a tidal wave of consolidation — in less than a decade more than 50 major defense companies had consolidated into only six. As part of this consolidation, what had been six aircraft primes narrowed to only two as Martin Marietta, General Dynamics’ fighter division, North American, Rockwell International and McDonnell Douglas merged into or were acquired by Lockheed 195 Martin and Boeing. Well-known companies such as GTE, Lucent, Hughes, Magnavox, TI, IBM, Eaton, GE, AT&T, Unisys, Westinghouse, Tenneco, Ford, Chrysler, Teledyne and Goodyear left the defense market entirely. Others sold off their defense and space assets.” AIA, 2009: 5. Inoltre, il sistema di aggiudicazione dei contratti relativamente poco concorrenziale della NASA è accompagnato da un’alta e crescente percentuale di contratti cost-plus (%CPAF) e in minor misura di contratti a prezzo fisso per l’impresa (%FFP), che non sembrerebbe modificare lo schema della contrattazione a favorevole dei contratti cost-plus. Ciò è illustrato nella figura 6.19 dove entrambi i fattori dell’assenza di concorrenza e di contrattazione cost-plus, puntano verso una maggiore profittabilità per il contraente, in contrasto ai prezzi fissi per l’impresa e al processo concorrenziale. Figura 6.19 La distribuzione percentuale dei contratti della NASA, per tipo di contratto nel tempo NOTA: contratti cost-plus = %CPAF; firm-fixed price = %FFP; cost-plus-fixed-fee = %CPFF; incentive: %INC FONTE: APR, 1991; 2006; 2008 Le informazioni pubbliche disponibili sulla NASA sono ben documentate online, con informazioni precise sui tipi di contratto impiegati, informazioni dettagliate sugli stanziamenti per le Piccole-Medie Imprese (Smal Medium Size Enterprises - SMEs), l’efficacia nella contrattazione, ecc. (figura 6.20) e un controllo costante dei risultati contrattuali a fronte degli obiettivi attesi. 196 Figure 6.20 Informazioni online sul budget NASA Data la natura federale delle politiche della NASA riguardanti l’informazione al pubblico e i controlli dei suoi risultati, l’amministrazione rilascia di conseguenza informazioni sulla sua efficienza programmatica. La tabella 6.3 illustra un caso particolarmente eccezionale di cattiva conduzione che riguarda l’astronomia e l’astrofisica. L’obiettivo per lo sfondamento fissa una percentuale minore del 10% del valore programmato (colonna “obiettivo”), mentre lo sfondamento effettivo è stato molto più alto, avvicinandosi anche all’85%. Tabella 6.3 Costi in eccesso per la NASA dei programmi in astronomia e astrofisica Year Eccesso di costo (%) Eccesso di tempo (%) Obiettivo Effettivo Obiettivo Effettivo 2005 < 10 42.9 < 10 35.7 2006 < 10 83.9 < 10 76.1 197 2007 < 10 51.4 < 10 57.8 FONTE: Whitehouse, 2009b L’efficienza contrattuale europea e i vantaggi dei contratti a prezzo fisso sono tuttavia difficili da determinare, perché\ in Europa il quadro è complicato dal fatto che non vi sono informazioni pubbliche disponibili sull’efficienza e i risultati dei contratti. Larga parte delle informazioni disponibili al pubblico servono come guida inestimabile per seguire le procedure riguardanti l’assegnazione dei contratti e l’assistenza all’industria nel preparare offerte impostate correttamente (figura 6.22). Riguardo alla distribuzione e ai risultati dei contratti c’è al contrario molta meno informazione pubblicamente disponibile. Inoltre, i progetti ad alto rischio non sono effettivamente sottoposti al regime iniziale di prezzi fissi, perché quando si verificano dei cambiamenti, è abitudine ricorrere ad una Contracts Change Notice (CCN), che ridefinisce parti del contratto originale, e che è incorporata come clausola ausiliaria nel contratto iniziale per modificane profilo e finanziamenti. Il processo attraverso il quale passa un tipico contratto può essere riassunto così: viene negoziato un contratto a prezzo fisso per l’impresa tra questa e l’ESA, segue l’avvio delle prime fasi del programma (fase A e B, vedi NASA 2007). In un momento successivo del programma (durante la fase C, o D ad esempio, vedi NASA, 2007), quando sono stati sviluppate nuove conoscenze in aree ad alto rischio/incertezza tecnologica, viene avanzata una Engineering Change Proposal (ECP). Questa viene sottoposta ad una valutazione tecnica dal direttore del programma che poi deve farla passare attraverso un processo di valutazione ed approvazione del costo, dopo di ché si aggiunge una CCN quale nuova clausola del contratto. 198 Figura 6.21 Il portale ESA online per il business Ad esempio, nel 2005 l’ESA ha assegnato 778 contratti e 353 ordini di lavoro, ma ben oltre 2300 note di modifica del contratto (Reynaud, 2005). Nonostante il fatto che la maggior parte di questi programmi fossero assegnati in un regime di prezzo fisso, le note di modifica provocarono una variazione di fatto del modello contrattuale originale. Oltre a ciò, Reynaud, 2005 fa sapere che il numero di contratti direttamente negoziati (251) è inferiore a quello dei contratti concorrenziali (238). La concorrenzialità è una sfida per l’ESA e per le agenzie spaziali europee, dati i limiti delle industrie spaziali nazionali ed europea, abbinati al principio dell’equo compenso. Ciò è illustrato dai casi in cui le linee guida dell’ESA giustificano l’assenza di concorrenza nella contrattazione: “… Restricted competitive tender may be applied: a) for supplies or services the special nature of which limits the capacity to procure them from a limited number of economic operators; b) for general procurements which have no industrial policy implications where the time and cost required to examine and evaluate a large number of tenders would be disproportionate to the value of the supplies or services to be procured; 199 c) for supplies or services procured by the Agency in the frame of international agreements entered into by the Agency with public bodies (including intergovernmental organisations), if expressly foreseen in the said agreements; d) where the supplies or services are procured by the Agency by means of a Framework Agreement as defined under Article 15.3 of these Regulations; e) for supplies or services classified secret or whose performance must be accompanied by special security measures in accordance with the Agency’s regulations in force or when the protection of the essential interest of the Agency so requires; f) if the Industrial Policy Committee has given a directive or a guideline to that effect to the Director General, in particular in application of Article VII of the Convention and Articles IV.5, IV.6 , IV.7 and V of Annex V to the Convention. 3. Wherever possible for restricted competitive tender, at least three economic operators shall be invited to tender. 4. The reason for applying restricted competitive tender and for the choice of the economic operators shall be recorded in the contracts file. … Competitive tendering may be waived in one or more of the following cases: a) if only one source for the supplies or services exists; b) in a case of extreme urgency resulting from compelling operational needs; c) where for scientific, technical or economic reasons contracts for additional or supplementary supplies or services cannot be separated from a previous contract; d) if the supplies or services required are the subject of intellectual property rights and can, as a consequence, only be procured from one particular source; e) where the supplies or services are procured by the Agency by means of Framework Agreement as defined under Article 15.4 of these Regulations. f) if the expenditure involved does not exceed 100 000 Euro; g) if the Industrial Policy Committee has given a directive or a guideline to that effect to the Director General. 2. Where, following a competitive tender, only one tender is admitted, the Invitation to Tender shall be re-issued unless it is considered that such reissuing would be unlikely to obtain better results or would not be feasible due to extreme urgency resulting from compelling operational needs, in such case competitive tendering may be waived. 3. Where the supplies or services are procured by the Agency in the frame of international agreements entered into by the Agency with public bodies (including intergovernmental organisations), competitive tendering may be waived if expressly foreseen in the said agreements. 200 4. Where the supplies or services are procured in the frame of an Agency programme which foresees “calls for proposals” and/or co-funding as the means of fulfilling its objectives, competitive tendering may be waived. 5. In all cases the reason for waiving competitive tendering shall be recorded in the contracts file. 6. Articles 35, 41 and 42 of these Regulations shall not apply when competitive tendering is waived.” (ESA, 2008: 23-25). E’ interessante notare come il comitato politico industriale, che effettivamente applica i principi del giusto guadagno, approvi porzioni significative dei più importanti programmi in termini delle loro dimensioni: “Prior to the issue of Invitations to Tender, the Director General shall submit for the approval of the Industrial Policy Committee procurement proposals in the following cases: a) General Studies exceeding 300 000 Euro; b) technological Programmes exceeding 500 000 Euro per activity committed; c) all other procurements exceeding 2 000 000 Euro; d) all procurements which involve expenditure exceeding 200 000 Euro with an economic operator ( contractor or subcontractor ) of a non- Member State not participating in the programme; or e) such other cases which the Industrial Policy Committee has asked to be submitted for approval.” (ESA, 2008: 34) Nonostante l’assenza di informazioni pubblicamente disponibili sulla dimensione dei contratti, il tipo utilizzato e la loro efficienza, sembrerebbero esserci indicazioni qualitative e quantitative di una debole concorrenza contrattuale. Purtroppo l’assenza di informazioni pubblicamente disponibili non permette in generale di valutare l’efficienza contrattuale e procedurale delle agenzie spaziali europee e la valutazione complessiva dell’efficienza dei processi rilevanti è un punto su cui bisognerebbe richiamare una maggiore attenzione. Data l’immagine consolidata dell’industria spaziale europea, l’ESA sembra sempre più favorevole ad un approccio che dovrebbe annullare gli effetti negativi di questo consolidamento per le PMI in Europa. Nello specifico, l’ESA assegna i sottocontratti direttamente ai subappaltatori, ma poiché è l’appaltatore primario a restare responsabile per il programma nel suo insieme ciò porta a zone grigie di responsabilità. Inoltre, sembrerebbe che le PMI abbiano poche opportunità di negoziare un ECP, a differenza di quanto avviene per i contraenti primari. L’ECP stesso è spesso applicabile a componenti ad alta tecnologia forniti dalle PMI che si fanno carico dei rischi nelle prime fasi a fronte della promessa di un ECP in seguito (Fuchs, 2001). Approcci e sfide simili sono affrontate dalle agenzie spaziali nazionali quali l’ASI che tuttavia, in quanto agenzie nazionali, godono nella loro contrattazione di un approccio più diretto di quello consentito dalla natura collaborativa dell’ESA. 201 Questo problema è direttamente collegato alla politica industriale del coefficiente del giusto rendimento, come avviene quando l’ESA contratta direttamente non solo con i nuovi piccoli stati membri, ma anche con le PMI dei maggiori paesi spaziali europei che non fanno parte della consolidata Base Spaziale Industriale (Spatial Industrial Base -SIB), per programmi dove il contraente principale ha la responsabilità primaria delle consegne. Un altro problema chiave riguardante il coefficiente del giusto rendimento e la politica spaziale dell’ESA è che con l’aumento del numero dei paesi che entrano nell’ESA e con una struttura della SIB europea che diventa sempre più complessa, a causa dei programmi militari spaziali nazionali, diventa sempre meno efficiente gestire il juste retour su una base annuale. Pertanto l’ESA sta seguendo un percorso in evoluzione verso un’applicazione più flessibile dell’attuale approccio quantitativo al juste retour. Non è però necessario limitare la misura del giusto rendimento alla dimensione quantitativa. Una dimensione qualitativa aggiungerebbe flessibilità alle negoziazioni interne all’ESA, in quando premetterebbe a singoli membri di essere soddisfatti da guadagni quantitativamente bassi, ma forse maggiori sulla base di un guadagno qualitativo per l’industria nazionale. 6.2.5 Conclusioni Per concludere, i punti chiave sono: 3. La Francia è in generale alla guida dei programmi spaziali europei, con la Germania e l’Italia a seguire nel settore spaziale civile. Questi due paesi condividono profili simili, tranne per il fatto che la Germania sembrerebbe essere più ESA-centrica in termini di industria e programmi. 4. Le differenze tra i diversi tipi di contratto impiegati dall’ESA sono offuscate dalla possibilità e dalla diffusa pratica di rinegoziare parte di un contratto a prezzo fisso. Sembrerebbe che ci sia una tendenza a fissare i termini del contratto inizialmente, ma questo è vero solo nominalmente, come è dimostrato dall’uso di “contratti con un prezzo massimo convertibile in prezzo fisso” e dal grande numero di ECP/CCN . 5. Sembrerebbero esserci dei costi sostanziali per il monitoraggio dei contratti. Ciò ha portato, specialmente per i contratti cost-plus impiegati dalla NASA, ha portato a ricorrere ad agenti specializzati (DoD) per monitorare e gestire i processi rilevanti, con l’impiego di strumenti sofisticati come l’EVMS. Bisogna tuttavia notare che l’analisi del costo deve essere accompagnata dalle rilevanti implicazioni per la fissazione del prezzo, che prendono in considerazione gli schemi di incentivi di profitto e pagamento previsti nei contratti. Un passo in questa direzione è lo Earned Value Management System “aumentato” dalle implicazioni di prezzo (EVMS-P, vedi figura 6.17). Le applicazioni europee di questi schemi risulterebbero 202 probabilmente in una distribuzione più bilanciata dei contratti e limiterebbero l’uso di ECPs/CCNs, come notato nel punto (2) sopra. 6. La mancanza di informazioni pubbliche disponibili sui contratti di approvvigionamento nel settore spaziale europeo rende difficile fare analisi rilevanti ed esprimere giudizi di efficienza; una maggiore trasparenza faciliterebbe una valutazione più rilevante. 7. L’ESA sembra seguire un approccio rivolto al collocamento diretto di sottocontratti per annullare alcuni degli effetti negativi del consolidamento industriale, ripristinando l’equilibrio dei poteri nelle negoziazioni tra i contraenti primari e le PMI. Le implicazioni di questo approccio per la politica industriale del juste retour dell’ESA non sono chiare. Inoltre questo processo ha come risultato che l’ESA gestisce indirettamente i subappaltatori nei programmi, e ciò pone problemi di responsabilità, in quanto l’appaltatore primario ha la responsabilità sull’esecuzione di tutto il programma 8. La politica industriale dell’ESA di un juste retour entrerà probabilmente sempre più in conflitto con l’efficienza, a causa del crescente numero di stati membri dell’ESA e del punto (3) qui sopra. Sarebbe consigliabile l’aggiunta di un elemento qualitativo per completare gli aspetti quantitativi del coefficiente del juste retour nelle negoziazioni rilevanti. 203 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DELLA SEZIONE 6.2 Aerospace Industries Association (AIA), 2009. ‘The Unseen Cost: Industrial Base Consequences of Defense Styrategy Choices’, Aerospace Industries Association, July, accessed online on 05 November, at: http://www.aia-aerospace.org/assets/report_industrial_base_consequences.pdf Annual Procurement Report (APR), 1998. ‘Annual Procurement Report, Fiscal year 1983’, NASA, Washington, DC, US. Annual Procurement Report (APR), 1991. ‘Annual Procurement Report, Fiscal year 1991’, NASA, Washington, DC, US. Annual Procurement Report (APR), 2006. ‘Annual Procurement Report, Fiscal year 2006’, NASA, Washington, DC, US. Annual Procurement Report (APR), 2008. ‘Annual Procurement Report, Fiscal year 2008’, NASA, Washington, DC, US. Burnett, B., W., 1987. ‘Competition in the Weapons Acquisition Process: The Case of US Warplanes’, Journal of Policy Analysis and Management, 7(1), 17 - 39. Dews, E, et al., 1979. ‘Acquisition Policy Effectiveness: Department of Defence Experience in the 1970s’, Rand, Sanda Monica, US. Office of the Secretary of Defense, 2004. ‘Business Case Analysis for Proposed Revision to DoD Earned Value Management Policy’, Report,US office of Acquisitions, November, assessed 05 November, 2009 at: www.acq.osd.mil/pm/historical/business_case.doc ESA, 2007a. ‘Resolution on the European Space Policy-ESA Director General’s Proposal for the European Space Policy’, : http://www.esa.int/esapub/br/br269/br269.pdf ESA, 2007b. ‘ESA Annual Report’, European Space Agency, accessed online on 05 November, 2009 at: http://esamultimedia.esa.int/multimedia/publications/AR-2007/pageflip.html ESA, 2008. ‘Procurement Regulations’ ESA Director General’s Office, ESA/C (2008)202, accessed online on 05 November at: http://emits.esa.int/emits-doc/ESA_HQ/EIOPROCUREMENT_REGULATIONS.pdf ESA, 2009. ‘General Clauses and Conditions for ESA Contracts’, ESA/C/290, accessed online on 05 November, 2009 at: http://esamultimedia.esa.int/docs/industry/SME/2004Training/WGP/Annex1_General_Clauses_and_Cond_Rev_6.pdf European Space Directory (ESD), 2009. ‘European Space Directory’, ESD Partners endorsed by Eurospace, Report, 24th Edition, Paris, France. 204 Florens, P.J., Hugo, A.M., and Richard F.J., 1996, ‘Game Theory Econometric Models: Application to Procurements in the Space Industry’, IDEI, discussion document 62. Fuchs, M., 2001. ‘Presentation on the Occasion of the Industry Open Days’ SMESpaceAlliance, ESA, ESTEC, The Netherlands, accessed online on 05 November, 2009 at: http://conferences.esa.int/isd2001/21.pdf Laffont, J., and Tirole, J., 1993. ‘A Theory of Incentives in Procurement and Regulation’, London, MIT Press. Mayer, K R, 1986. ‘The Political Economy of Defence Contracting’, Yale University Press, London. McLean, A., 1999. ‘PFI in the Sky, or Pie in the Sky? Privatising Military Space’, Space Policy, Vol. 15: 193-198. NASA, 1994. ‘Aeronautics and Space Report of the President, 1994’, NASA, Washington DC, US. NASA, 1999. ‘NASA Policy Directive’, NPD 7120.4C, December. NASA, 2007. ‘NASA Spaceflight Program and Project Management Requirements’, NASA procedural requirements, NPR7120 5D, accessed on 05 November, 2009 at: http://nodis3.gsfc.nasa.gov/npg_img/N_PR_7120_005D_/N_PR_7120_005D_.pdf NASA 2009a. ‘Procurement Notice PN04-19’, NASA procurement regulations, accessed on 05 November at: http://www.hq.nasa.gov/office/procurement/regs/pn04-19.html NASA, 2009b. ‘Memorandum of Understanding between National Aeronautics and Space Administration (NASA) and Defense Contract Management Agency (DCMA) for Earned Value Management System Acceptance/Surveillance and Earned Value Management Project Surveillance’ accessed online on 05 November at: http://evm.nasa.gov/mou.html NASA, 2009c. ‘Earned Value Management Regulations and Requirements’, Online Guide NASA, accessed online on 05 November at: http://evm.nasa.gov/regulations.html Navy, 2009. ‘EVM Contract Requirements Toolkit’, Director, Centre for Earned Value Management US Navy, report, accessed online on 05 November, 2009 at: https://acquisition.navy.mil/content/download/4820/21638/file/CEVM%20EVM%20Contract%20Req uirements%20Toolkit%20rev3-20080319.pdf Neven, D., R., L., and Seabright, P., 1995. ‘European Industrial Policy: the Airbus Case’, Journal of Economic Policy, No 21: 313-358, October. Reagan, R, 1985. ‘Determination Under Section 301 of the Trade Act of 1974, Memorandum for the United States Trade Representative’, The President of the US, White House, Washington, US. 205 Reynaud, P., M., 2005. ‘ESA Tendering Process and EMITS System’, ESA Procurement Department, Sinequanet Workshop, February, accessed online on 05 November, 2009 at: http://esamultimedia.esa.int/docs/industry/SME/SineQuaNet-workshops/Darmstadt8feb07/08_REYNAUD_The-Tendering-Process-and-ESA-EMITS-System.pdf Rogerson, P. W., 1991. ‘Incentives, the Budgetary Process, and Inefficiently Low Production Rates in Defence Procurement’, Defence Economics, Vol 3, 1- 18. Niskanen, W A Jr., 1971. ‘Bureaucracy and Representative Government’, Aldine Atherton, Chicago, US. Sandler T., and Hartley K., 1995. ‘The Economics of Defense’, Cambridge University Press, New York, US. Satellite Industry Association (SIA), 2008. ‘State of the Satellite Industry Report’, Satellite Industry Association report by Futron Corporation, Bethesda, Maryland, US. Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), 2009. ‘Concentration in the Arms Industry’, SIPRI online report, accessed on 05 November, 2009 at: http://www.sipri.org/research/armaments/production/researchissues/concentration_aprod Smith, P.,R., Humm, A., and Fontanel, J., 1985. ‘The Economics of Exporting Arms’, Journal of Peace Research, Vol 2, No 3: 239-347. Whitehouse, 2009a. ‘National Aeronautics and Space Administration Programs’, US White House, accessed online on 05 November at: http://www.whitehouse.gov/omb/expectmore/agency/026.html Whitehouse, 2009b. ‘Detailed Information on the NASA Astronomy and Astrophysics Research Assessment’, US White House, accessed online on 05 November at: http://www.whitehouse.gov/omb/expectmore/detail/10002316.2007.html Zervos, V., 2005. ‘The Evolution of European and US Aerospace and Defence Markets’, Frontiers in Finance and Economics, Vol. 2: 32-52. Zervos, V., and Siegel, D., 2008. ‘Technology, Security and Policy Implications of Future Transatlantic Partnerships in Space: Lessons from Galileo’, Research Policy, 37: 1630-1642. Zervos, V., 2008. ‘Whatever Happened to Competition in Space Agency Procurement? The Case of NASA’, Journal of Applied Economics, Vol XI: 221-236. 206 6.3 ECONOMIA DELLE COLLABORAZIONI INTERNAZIONALI Introduzione: alcuni esempi. La collaborazione internazionale coinvolge due o più nazioni che condividano lo sviluppo e la produzione di un progetto. L’Europa ha una vasta esperienza di collaborazioni di questo genere per i programmi aerospaziali. Gli esempi includono la collaborazione per aeri civili e militari; elicotteri; missili; sistemi spaziali; e motori di aerei. Tra gli esempi di progetti specifici vi sono le collaborazioni anglo-francesi per l’aereo da combattimento Jaguar e l’aereo di linea supersonico Concorde; la collaborazione tra tre nazioni per il progetto Tornado (Germania-ItaliaRegno Unito); il Typhoon (Germania-Italia-Spagna-Regno Unito); e la collaborazione italo-inglese per l’elicottero Merlin. Alcune collaborazioni hanno dato vita a società ed organizzazioni internazionali come l’Airbus (aerei di linea civili e trasporti militari), AgustaWestland (elicotteri), ESA, Eurofighter (Typhoon) e MBDA (missili). La collaborazione internazionale è stata una caratteristica distintiva della politica industriale della difesa europea e della politica aerospaziale civile europea. Il settore aerospaziale ha dominato le collaborazioni per la difesa europee, che hanno coinvolto una varietà di paesi diversi, diversi numeri di partner e diversi accordi per l’organizzazione e la gestione. Gli esempi vanno da un minimo di due paesi partner ai sette paesi coinvolti negli accordi di divisione del lavoro per il cargo A-400M (Belgio; Francia; Germania; Spagna; Sud Africa; Turchia; Regno Unito) e ai 18 paesi membri dell’ESA. In alcuni casi, sono state create delle organizzazioni specifiche per il progetto (es. Panavia; Eurofighter). Queste variazioni nel numero, composizione ed accordi organizzativi dei vari progetti di collaborazione comportano inevitabilmente un aumento dei loro costi di transazione quando i nuovi paesi partner devono imparare come “fare affari con gli stranieri”. Questa sezione spiega le economie di collaborazione, ovvero, il caso ideale ed i risultati effettivi con riferimento all’esperienza europea, specialmente riguardo ai programmi per la difesa. L’analisi è applicata anche all’esperienza del progetto satellitare Galileo. Collaborazione: il caso ideale. Nel caso ideale di collaborazione, due o più partner equivalenti si accordano per eseguire un progetto comune, dividere tutti i suoi costi di sviluppo e sommare i loro ordini di produzione . Il risultato che ci si aspetta è un risparmio sui costi sia nella fase di sviluppo che di produzione, poiché la somma degli ordini di produzione porta ad economie di scala e di apprendimento. Si può osservare un semplice esempio nella tabella 6.4 dove entrambe le nazioni hanno un fabbisogno comune ed identico. In questo esempio del caso ideale, i costi totali di sviluppo rimangono invariati nel singolo paese e il progetto di collaborazione e la somma degli ordini di produzione portano a risparmiare il 10% sui costi da un raddoppiamento dell’output. Per ogni nazione il risultato è un risparmio del 50% sui costi di sviluppo e un risparmio del 207 10% sui costi di produzione, con un risparmio complessivo sui costi del progetto di circa il 30% grazie alla collaborazione, paragonato con il caso di una singola nazione. Tabella 6.4 Collaborazione: il caso ideale Fasi Sviluppo Produzione totale Costi totali: Una nazione (Euro, miliardi) 10 10 (100 unità) Costo di produzione per unità Costo totale Risparmio Costi totali: Due nazioni (Euro, miliardi) 10 18 (200 unità) 0.09 0.1 20.0 28.0 Costi totali nazione: (Euro, miliardi) 5 9 per 0. 09 14.0 6.0 Collaborazione: i risultati effettivi. La collaborazione effettiva si discosta dal caso ideale. Solitamente, la collaborazione riflette un accordo politico tra i paesi partner riguardante il tipo di progetto richiesto, la sua durata, gli accordi organizzativo-gestionali e gli accordi di divisione del lavoro. Ognuno di questi aspetti del progetto implica una contrattazione all’interno del complesso politico-militare-industriale, che comporta compromessi e ritardi che alzano i costi di transizione per i paesi partner. Il risultato sono inefficienze di collaborazione che incidono sia sui costi di sviluppo che su quelli di produzione e sui tempi richiesti. La collaborazione in genere richiede accordi di spartizione del lavoro basati su criteri di negoziazione politica (juste retour) piuttosto che su criteri di efficienza e vantaggio comparato. Per lo sviluppo, ogni paese chiederà un’equa parte del lavoro ad alta tecnologia richiesto dal progetto. Ad esempio, per un aereo da combattimento, ogni membro chiederà una quota del lavoro ad alta tecnologia da effettuare per la cellula, il motore e l’avionica e richiederà anche un centro nazionale per i test di volo, Similarmente, per la produzione ogni paese richiederà una linea di assemblaggio finale. Trattare per la divisione del lavoro è solo un aspetto del negoziato politico nei programmi collaborativi. Trattative e compromessi sono necessari a riguardo dei requisiti operativi (la specificazione del progetto), le date di consegna richieste e gli accordi per il controllo e la sorveglianza del programma . Spesso, gli accordi per il monitoraggio richiedono un comitato dall’elaborata struttura dove tutti i membri e i gruppi di interesse devono essere rappresentati. Compromessi simili implicano che gli accordi organizzativo -manageriali richiedono la creazione di una nuova società internazionale appositamente per il progetto, dove nessuna impresa dei paesi membri ha la responsabilità di contraente principale (es. Eurofighter: Hartley, 2006). 208 I ritardi sono probabili soprattutto quando una decisione richiede l’unanimità dei voti piuttosto che la maggioranza. Di conseguenza i programmi collaborativi saranno verosimilmente soggetti a tempi di lavoro particolarmente lunghi e ritardi in misura maggiore rispetto a programmi equivalenti nazionali (ma i programmi nazionali non sono esenti dai problemi e hanno anche loro ritardi e aumenti dei costi). Ci sono prove della gravità di queste inefficienze collaborative. Per i costi di sviluppo, la regola della radice quadrata fornisce un’indicazione delle inefficienze collaborative. Paragonato con un progetto nazionale, il costo di sviluppo di un programma collaborativo può essere approssimato usando la radice quadrata del numero dei paesi membri. Ad esempio, un progetto con 4 paesi può arrivare a costare due volte un programma equivalente nazionale. Evidenze empiriche nel Regno Unito per Typhoon mostrano che i suoi costi di sviluppo erano 1.96 volte il costo dell’alternativa nazionale, ma questi costi erano suddivisi tra 4 paesi partner (NAO, 2001). Una stima alternativa delle inefficienze sullo sviluppo collaborativo suggerisce che i costi di sviluppo sono maggiorati del 50% per ogni paese che partecipa dopo il primo (Pugh, 2007). Entrambe le stime mostrano la dimensione di queste inefficienze, ma, tipicamente, la collaborazione porta lo stesso a risparmi sostanziosi sui costi di sviluppo per ogni paese membro, se paragonati con quelli di un progetto nazionale. Analogamente le inefficienze nella produzione collaborativa rispecchiano la divisone del lavoro e le molteplici linee di assemblaggio finali, il che significa che le economie di scala sui progetti collaborativi saranno verosimilmente attorno alla metà di quelle ottenibili da progetti nazionali (NAO, 2001, p17). Un esempio di inefficienze collaborative è mostrato nella Tabella 6.5. Questa è basata sui dati della tabella 6.4 e mostra le deviazioni dal caso ideale. Le inefficienze collaborative sia nello sviluppo che nella produzione conducono a riduzioni considerevoli nella quantità di costo risparmiato (le inefficienze riducono i risparmi del 30% nello sviluppo e del 5% nella produzione); ma, nonostante tutto, rimane un risparmio sostanzioso se si confronta la collaborazione con un progetto nazionale (in questo esempio, il risparmio totale è del 17.5%: Hartley, 2006a; Sandler and Hartley, 1995). Tabella 6.5 Inefficienze nella collaborazione. Fase Sviluppo Produzione Totale Costo per unità di produzione Costo totale Risparmio Costi totali: Una nazione (euro, miliardi) 10 10.0 Costi totali: nazioni (euro, miliardi) 14 19 0.1 20.0 0.095 33.0 Due Costo totale nazione (euro, miliardi) 7 9.5 per 0.095 16.5 3.5 Galileo come un esempio di collaborazione reale. Galileo è un sistema di navigazione satellitare globale che dovrebbe essere disponibile per i paesi della UE nel 2013. Programmato in origine come 209 una Public Private Partnership (PPP), la situazione cambiò nel 2007 quando i 27 paesi UE si accordarono per abbandonare l’approccio PPP e finanziare il progetto insieme e per una suddivisione del lavoro tra di loro (questo cambio di politica ha provocato un ulteriore ritardo, probabilmente di un anno). Secondo l’accordo del 2007 il costo previsto di Galileo era di 3,4 miliardi ma gli industriali hanno detto che questa cifra era irrealistica (Flight, 2009). La Commissione Europea ha stimato un mercato potenziale per i servizi di Galileo di 400 miliardi di euro su 10 anni ( il Regno Unito otterrebbe circa 24 miliardi di questo mercato o il 6% basato sui prezzi del 2007: HCP66, 2007). Galileo mostra tutte le inefficienze dei programmi collaborativi, soprattutto di uno con un numero così alto di paesi membri, con gli inevitabili compromessi e ritardi nel raggiungere degli accordi che possono portare a sostanziosi costi di transizione per il programma. Ci sono state dispute, ritardi e aumenti di costo. Il programma ha una storia di aumenti di costi rispetto alle stime iniziali (Flight, 2009; HCP66, 2007). La divisone del lavoro è stata uno dei principali problemi per raggiungere un accordo finale sui fondi UE per Galileo. L’accordo del 2007 con la UE fu rimandato all’ultimo minuto per la richiesta della Spagna di avere un centro di controllo a terra per Galileo. Alla fine, la Spagna ha accettato l’offerta di controllare l’unico centro ‘life safety’ del progetto, concepito per aiutare tutti i tipi di ricerca e servizi di salvataggio; e questo centro potrebbe prendere eventualmente le funzioni di un centro di controllo (EU 2007). Il piano industriale per Galileo richiede un programma di costruzioni in 6 fasi dove ogni fase ha un contraente principale e diversi subappaltatori: questo modello assicura che tutti gli stati membri possano fare offerte per il lavoro sul progetto. In definitiva, il lavoro di costruzione su Galileo “concilia misure necessarie di competizione e il desiderio di un’allocazione equa” del lavoro (EU, 2007). Tuttavia, ci sono dei conflitti inevitabili tra la competizione e “l’equa” ripartizione del lavoro. Inoltre, questi obiettivi sono stati criticati dagli ambienti industriali: sono stati molto criticati i piani di suddividere i contratti per i primi 16 satelliti attribuendo 8 satelliti ad ogni appaltatore e di introdurre in seguito una concorrenza per i satelliti rimanenti, per via della perdita di economie di scala, che comporteranno un costo e un prezzo più altro per ogni unità (Flight, 2009). Galileo offre però vantaggi politici, industriali ed economici. Fornisce l’Europa di un sistema di navigazione satellitare indipendente rispetto agli USA. I costi sono suddivisi tra tutti i paesi membri e il fatto che tutti gli stati siamo rimasti parte del “club” Galileo conferma come valga la pena farne parte (altrimenti alcune nazioni si sarebbero ritirate dal programma). Le nazioni avranno diversi obiettivi politici e diverse valutazioni dei benefici che ritengono di poter ottenere dal programma; e, come per ogni club, rimarranno membri di esso fino a quando lo riterranno vantaggioso (cioè, i benefici almeno uguali ai costi 210 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DELLA SEZIONE 6.3 EU (2007). EU agrees Galileo satellite project, EUobserver.com/9/25248 Flight (2009). Galileo system still bedevilled despite progress, Flight International, Reed Publishing, Sussex, 23-29 June, p42. Hartley, K (2006). The Industrial and Economic Benefits of Eurofighter Typhoon, Eurofighter, Munich. Hartley, K (2006a). Defence industrial policy in a military alliance, Journal of Peace Research, 43 (4), 473489. HCP66 (2007). REGNO UNITO Civil Space Policy, House of Commons, Select Committee on Science and Technology, TSO, London. NAO (2001). Maximising the Benefits of Defence Equipment Co-operation, National Audit Office, TSO, London. Pugh, P (2007). Source Book of Defence Equipment Costs, Dandy Booksellers, London. Sandler and Hartley (1995). The Economics of Defense, Cambridge University Press, Cambridge. 211 PARTE II . I MODELLI ED UN’ANALISI EMPIRICA DEGLI EFFETTI DEI SETTORI HIGH TECH SULL’ECONOMIA 212 CAPITOLO 7. CONCETTI E MODELLI DELL’ECONOMIA MAINSTREAM PER L’ANALISI DEGLI SPILLOVERS TECNOLOGICI Nella sezione 7.1 di questo capitolo si forniscono gli elementi essenziali dei modelli mediante i quali l’economia mainstream ha spiegato il ruolo del progresso tecnico nella crescita della produttività ed il ruolo della R&S come fonte di progresso tecnico. Si sono forniti anche gli elementi essenziali dei modelli con i quali si è spiegato il fenomeno pervasivo degli spillovers delle conoscenze create dagli investimenti in R&S e si è ricordato che le verifiche empiriche hanno confermato l’ipotesi che la R&S direttamente e attraverso i suoi spillovers ha un effetto positivo sulla crescita della produttività totale. Nella sezione 7.2 si è invece guardato, con un approccio più descrittivo, al fenomeno degli spillovers ed a quello collegato degli spin-offs all’interno delle imprese e dell’industria spaziale, trovando una convergenza di una pluralità di informate analisi sull’importanza del fenomeno e delle politiche che possono favorirlo. Nella sezione 7.3, infine, si presenta una prima analisi del ruolo delle attività spaziali nel determinare i risultati delle grandi imprese in cui sono presenti, mediante un confronto con i risultati di altri gruppi di imprese. L’unica differenza significativa che emerge è che le grandi imprese con produzioni spaziali hanno un’intensità di ricerca maggiore delle altre. 7.1 IL PROGRESSO TECNICO ED I SUOI SPILLOVERS 7.1.1 PROGRESSO TECNICO, PRODUTTIVITA’ TOTALE E R&S Progresso tecnico e produttività totale dei fattori (PTF). Nel riquadro 4.1 abbiamo ricordato che l’economia mainstream applicata rappresenta la tecnologia considerando esplicitamente il tempo nella funzione di produzione, che viene quindi scritta: Y = F(K,L,t) (*), dove tutte le altre variabili sono funzioni del tempo. Un esempio di tale tipo di funzione è quella Cobb-Douglas, che appare nella formula (2)’’ del riquadro e che è qui sotto riportata. Y = A(t) Kα(t) L1 - α(t) 0 < α(t) < 1 (7.1) Si tratta di una funzione tuttora ampiamente usata nella letteratura non solo per la sua semplicità ma anche perché si è trovato che in molte applicazioni essa non fornisce risultati significativamente inferiori a quelli ottenuti usando funzioni più flessibili e quindi più aderenti alla realtà, ma anche molto più esigenti in dati (in particolare la funzione translog). Con la (1) si ipotizza 213 che le forze che agiscono sulla produttività totale dei fattori (PTF) agiscano in maniera moltiplicativa rispetto a una funzione di produzione di base Kα(t) L1 - α(t) . Secondo l’approccio della contabilità della crescita, nell’ipotesi che i mercati siano in equilibrio di concorrenza perfetta83, α(t) e 1- α(t) sono le quote rispettivamente del capitale e del lavoro sul prodotto, inteso come valore aggiunto. Con dati empirici sui valori di queste quote, e sui valori del prodotto reale, del lavoro e del capitale reale, la (7.1) fornisce direttamente l’indice della PTF: A(t) = Y/ Kα(t) L1-α(t) , con A(0) = 1 Nella letteratura sul rapporto tra R&S e produttività si preferisce calcolare A(t), passando per la determinazione del suo tasso di crescita (proporzionale), ottenuto dalla (7.1) come = - α(t) - (1 - α(t)) (7.2) Le (7.1) e (7.2) possono essere riferite ad un’impresa, un’industria (come si è fatto nella sezione 4.3 per l’industria spaziale italiana) o anche ad un’intera economia. In un contesto di lungo periodo, nel quale si può guardare alle grandezze che appaiono nella (7.2) come a grandezze che riflettono un’economia che utilizza normalmente i suoi fattori produttivi, ottenendo così un prodotto effettivo uguale al prodotto potenziale, l’andamento della PTF nel tempo può essere imputato sostanzialmente a due fattori: il progresso tecnico ed i miglioramenti delle qualità degli input di capitale reale e di lavoro. Per quanto riguarda il primo, si potrebbe pensare a prima vista che la (7.1) si presti a rappresentare solo il progresso tecnico che migliora i processi produttivi e non anche quello che migliora i prodotti o ne introduce di nuovi. Tuttavia, grazie alla possibilità di stabilire delle equivalenze quantitative tra un nuovo prodotto e uno già in commercio, o tra una nuova varietà qualitativa di un bene ed una già esistente (vedi riquadro 7.1), e agli sforzi che gli istituti di statistica stanno facendo in questa direzione, è possibile includere in A(t) anche il progresso tecnico che porta a innovazioni di prodotto. L’andamento di A(t) dipende però da altri due fattori che si sono rivelati molto importanti nel corso dello sviluppo economico moderno, i continui miglioramenti delle qualità del lavoro e del capitale. Per quanto riguarda il capitale, il suo miglioramento è di nuovo riconducibile al progresso tecnico (innovazione di prodotto applicata ai nuovi beni capitali). In questo caso la migliore qualità di un bene capitale si traduce direttamente in una maggiore capacità produttiva: un nuovo bene capitale di un dato valore (a prezzi costanti) è più produttivo di una quantità di beni capitali vecchi dello stesso 83 Il merito di avere inquadrato i contributi pioneristici al calcolo empirico della PTF dati negli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso, da autori come Tinbergen, Abramovitz, Kendrick , Schmookler e altri, nello schema concettuale della funzione di produzione e della collegata teoria mainstream della crescita è stato di R. M. Solow (vedi Solow (1957)) 214 valore. Evidentemente a parità di Y e L, se si rivaluta K per tenere conto della sua maggiore produttività si troverà corrispondentemente una produttività totale, A(t), più bassa. Anche per il lavoro, un aumento della qualità (imputabile ad esempio, ad un aumento del numero di anni d’istruzione) fa sì che un lavoratore diventi più produttivo e, di nuovo, la migliore qualità si traduce in un aumento della quantità. Se si rivaluta il lavoro, esprimendolo in unità di efficienza ottenendo così un livello di input maggiore di quello espresso in unità fisiche, si avrà una corrispondente diminuzione della produttività totale. R&S e progresso tecnico. Se il progresso tecnico, direttamente o attraverso il miglioramento della qualità dei beni capitali, è la variabile determinante della PTF, sorge la domanda di quali siano le fonti del progresso tecnico o più in generale del complesso delle conoscenze codificate e non, palesi o tacite, di carattere strettamente ingegneristico oppure relative all’organizzazione del lavoro, direttamente ed indirettamente rilevanti per le attività produttive. La sezione 8.3 delinea le risposte a questa domanda, date dalla teoria evoluzionistica del progresso tecnico, introducendo concetti (come quelli di paradigma, traiettoria e regime tecnologico) assai utili ad organizzare la nostra lettura di quel fenomeno complesso. Per quanto la teoria evoluzionistica del progresso tecnico sia considerata da molti come alternativa a quella mainstream, qui si ritiene invece che le due teorie possano essere usate come complementari. La maggiore aderenza alla realtà dell’innovazione dei concetti della teoria evoluzionistica svolgerà per noi un utile ruolo di avvertimento a prendere i nostri modelli come strumenti essenziali per fare emergere il ruolo, importante ma non esclusivo, di alcune fonti delle conoscenze tecnologiche, senza restare intrappolati nei loro inevitabili schematismi. Seguendo una tradizione ormai lunga e collaudata (fra gli altri Griliches (1979), (1992), (2000) cap.4, Nadiri (1993), Sveikauskas (2007)) faremo quindi l’ipotesi semplificatrice che la fonte del progresso tecnico, sia la R&S svolta nelle imprese e nelle istituzioni di ricerca scientifica, private e pubbliche. Ricordando che la R&S (costi del personale e delle attrezzature di ricerca) è una misura degli input delle attività che producono nuove conoscenze tecnologiche, si ha quindi la sequenza: R&S brevetti) nuove conoscenze (magari certificate da tasso di crescita della PTF. Elasticità del prodotto alla R&S e tasso di rendimento dell’investimento in R&S: il modello base di Griliches. Dopo una serie di importanti contributi empirici a cavallo degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, che produssero le prime analisi di regressione della produttività sulla R&S da parte di autori come Terleckyj, Griliches, Mansfield e altri, negli anni settanta emerse grazie soprattutto al contributo pionieristico di Griliches (vedi Griliches (1979)) un semplice modello per spiegare il nesso tra R&S e produttività, che venne in seguito e viene tuttora ampiamente utilizzato. Il modello si basa 215 sull’idea di trattare la spesa (reale) per R&S di ogni anno come una proxy della nuova conoscenza con essa creata, ipotizzando con ciò una produttività costante degli input (lavoro ed attrezzature dei ricercatori) della ricerca. La successione nel tempo delle spese per R&S di un’impresa, industria o economia contribuisce a creare un capitale di conoscenza o capitale di R&S, R, che viene trattato come un ulteriore input nella funzione di produzione. La funzione (7.1) viene così sostituita dalla seguente: Y = exp(mt) Kα Lβ Rγ (7.3) dove si è anche introdotto il fattore exp(mt) che rappresenta gli aumenti di quella che si potrebbe chiamare la produttività di fondo, cioè gli aumenti di produttività dovuti al complesso dei miglioramenti organizzativi e conoscenze tacitamente acquisite anche attraverso il learning by doing, che operano nell’unità a cui si riferisce la (7.3) al di fuori ed in aggiunta al capitale di R&S. I coefficienti che compaiono nella (7.3), presi per semplicità costanti, rappresentano le elasticità del prodotto rispetto al corrispondente input. In particolare, notiamo γ = (ΔY/ΔR)(R/Y) (7.4), l’elasticità del prodotto rispetto al capitale di R&S, che ci dice di quanto aumenta in percentuale il prodotto se il capitale di R&S aumenta dell’1%. L’impiego della (7.3) presenta due problemi quando la si utilizza facendo riferimento, come normalmente avviene, ad una situazione di concorrenza perfetta. Il primo è dovuto al fatto, sul quale torneremo all’inizio della sezione 7.1.2, che il prodotto dell’investimento di R&S è un bene non rivale nel consumo e non sempre facilmente escludibile dal consumo di altre imprese. Per recuperare l’investimento in nuovo prodotto, ad esempio, l’impresa ha quindi bisogno di una rendita monopolistica, anche quando ha la possibilità o convenienza di brevettare la sua invenzione. Il secondo è dovuto al fatto che l’investimento in R&S, come abbiamo già osservato nella sezione 1.2 genera economie di scala84: un fenomeno che porta ad aumentare le dimensioni delle imprese, rispetto a quelle del mercato, fino al punto in cui esse adottano comportamenti monopolistici. Il ricorso alla (7.3) è giustificabile, in nome della semplicità, se la si accetta come uno strumento d’analisi approssimativo e si è disposti ad accettare che le conclusioni che si traggono dal suo impiego hanno un valore indicativo, più che preciso. L’analisi della letteratura sugli effetti degli investimenti in R&S e dei loro spillovers, che svolgeremo nella sezione 7.1 darà delle conclusioni con un buon valore indicativo. La traduzione in termini operativi del concetto di capitale di R&S richiede che si facciano le opportune ipotesi semplificatrici riguardo ad aspetti come l’obsolescenza di quel capitale (tipicamente 84 Nel nostro caso le economie di scala emergerebbero dalla (7.3) se fosse α + β = 1, cioè rendimenti di scala rispetto agli input convenzionali, con γ > 0, cioè rendimenti positivi del capitale di R&S. Complessivamente avremmo quindi α + β + γ > 1, cioè rendimenti di scala crescenti e quindi economie di scala (costo medio decrescente). 216 più rapida per la singola impresa che per l’industria di cui fa parte e più rapida per la conoscenza applicata che per quella di base) ed il lasso di tempo richiesto perché una spesa in R&S si traduca in un incremento di conoscenza. Ad esempio Goto e Suzuki (1989) usano la formula ricorsiva: R(t) = E(t - θ) – (1-δ) R(t-1) (*) dove E rappresenta la spesa per R&S nell’anno (t - θ) e δ è il tasso d’obsolescenza. Gli autori stimano entrambi i parametri sulla base di dati (“vita media” dei brevetti e altri) prodotti da agenzie governative giapponesi. La disponibilità di dati di questo tipo è però un evento raro e, tipicamente, si ricorre ad ipotesi “ragionevolmente” ad hoc, come quella molto diffusa di assumere, δ = 0,15. Non di rado inoltre si pone θ = 0 nella (*), che viene così sostituita dalla seguente: R(t) – R(t-1) ≡ ΔR(t) = E(t) - δ R(t-1) (**) L’equazione corrispondente alla (7.3) in termini di tassi di variazione e scritta in modo da evidenziare il tasso di crescita della PTF, intesa ora come produttività totale dei fattori convenzionali, K e L è: (7.5) Disponendo di dati su un numero abbastanza grande di imprese (non necessariamente della stessa industria) o di industrie, per un congruo numero di anni, si possono usare i valori calcolati dei tassi di crescita della PTF di quelle imprese o industrie per regredirli sui corrispondenti tassi di crescita del capitale di R&S e stimare così l’elasticità della PTF rispetto al capitale di R&S per ogni anno preso in considerazione (stima cross section o between). Oppure, per ogni impresa o industria si possono calcolare i tassi di crescita della PTF nei successivi anni e regredirli sui rispettivi tassi di crescita del capitale di R&S (stima time series o within). Naturalmente la strategia di stima econometrica, mirata ad ottenere la migliore stima per γ (non distorta, stabile, ecc.), è alquanto più complessa di come l’abbiamo descritta (per un esempio vedi Griliches e Lichtenberg (1984 a) )ma non è qui il caso di entrare nel merito, se non per evidenziare che la stima di un’equazione come la (7.5) presuppone che le imprese o le industrie abbiano in comune i valori medi di m (tasso della produttività di fondo) e dell’elasticità γ. Se ciò è accettabile per le imprese, non lo è per le industrie e questa constatazione ha portato a stimare un’equazione diversa dalla (7.5), ottenuta dalla stessa sostituendovi per γ dalla (7.4) e per ∆R dalla (**), dopo avere posto δ = 0 (ipotesi che il capitale di R&S non subisce obsolescenza): (***) Nella (***) compaiono due grandezze rilevanti: (i) E/Y, il rapporto tra spese per R&S e valore del prodotto, che è una ben nota misura dell’intensità di ricerca di un’impresa o, come è qui il caso, di un’industria; e (ii) il prodotto marginale del capitale di R&S ovvero il tasso di rendimento dell’investimento in R&S. E’ ragionevole ritenere che, in presenza di libertà di entrata nelle varie 217 industrie, questa grandezza tende ad un comune valore che indicheremo con ρ = ( )it = produttività marginale del capitale reale nell’impresa o industria i nell’anno t. Con ciò la (***) diventa: (7.6), e procedendo in maniera analoga e in un contesto analogo a quello in cui si è stimato γ, si stima . Una volta noto ρ si può calcolare l’elasticità per ogni impresa i e anno t, osservando che γit = ρ (E/Y)it. Come osservato a suo tempo da Schankerman (1981) l’inclusione del capitale di R&S come terzo input in aggiunta agli input convenzionali di lavoro e capitale reale, comporta che si contino due volte le quantità di questi input impiegate nell’impresa o nell’industria, a meno che non si riducano K e L, nella (7.3), delle loro componenti dedicate alla R&S. Se non si effettua questo aggiustamento, deve essere interpretato come un tasso di rendimento in eccesso alle remunerazioni normali degli input convenzionali, quando tra questi siano inclusi anche quelli impiegati nella ricerca. Questa interpretazione di Se vale a prescindere che il suo calcolo sia fatto a livello d’industria o d’impresa. , fosse calcolato usando ΔR = E - δR, con δ > 0, si otterrebbe un tasso di rendimento in eccesso lordo (al lordo dell’obsolescenza del capitale di R&S). Infine, nel caso in cui fosse calcolato a livello d’industria, si potrebbe anche dire che esso è un tasso di rendimento in eccesso lordo sociale, semplicemente perché il rendimento non è riferito all’impresa che ha effettuato l’investimento, ma al prodotto dell’industria. Nella sezione seguente verrà chiarito che quest’ultima caratterizzazione del tasso di rendimento ρ, calcolato a livello d’industria, diventa necessaria se esistono significativi spillovers tecnologici tra le imprese all’interno dell’industria. In caso contrario il tasso di rendimento in eccesso lordo sociale non sarebbe altro che il comune valore degli analoghi tassi per le imprese. In un’ampia rassegna della letteratura sulla stima dei tassi di rendimento degli investimenti in R&S e dell’elasticità dell’output rispetto al capitale di R&S, Nadiri (1993) conclude che: (i) i tassi di rendimento e le elasticità calcolati con dati time series sono minori di quelli calcolati con dati cross section; ma nel complesso (ii) a livello d’impresa, le elasticità alla R&S hanno valori tra 0,1 e 0,3, mentre i tassi di rendimento variano tra 0,2 e 0,3, cioè tra 20% e 30%; (iii) a livello d’industria le elasticità hanno valori tra 0,08 e 0,3, ed i tassi di rendimento tra il 20% ed il 40% (ii) e (iii) indicano che vi è una forte relazione tra R&S e crescita dell’output e della produttività. Gli studi esaminati da Nadiri (1993) suggeriscono anche che (i) i tassi di rendimento della R&S finanziata privatamente sono elevati, tra il 27% ed il 60%, mentre quelli della R&S finanziata dalle autorità pubbliche hanno rendimenti poco significativi o negativi; (ii) i finanziamenti federali 218 della R&S inducono normalmente un’espansione di quelli privati, anche se in particolari industrie i primi possono effettivamente spiazzare i secondi. Tenendo presente che i tassi di rendimento sono normalmente calcolati “contando due volte” gli input della ricerca e sono quindi tassi di rendimento in eccesso a quello normale, i valori riportati sopra sono chiaramente elevati. Quest’indicazione ha trovato conferme successive. Ad esempio, Griliches (2000) (p.70) sintetizza i risultati osservando che i tassi stimati dei rendimenti in eccesso della R&S sono circa il 10% per le imprese e il 25% per le industrie (su questa differenza torneremo nella sezione 7.1.3). Questo risultato va però inquadrato in un contesto più realistico del processo innovativo nel quale l’investimento in R&S è affiancato ad altri investimenti necessari per portare l’innovazione sul mercato (vedi Sveikauskas (2007)), fra i quali la produzione di un impianto pilota, la formazione di lavoratori e manager, il coordinamento con l’attività di marketing e altri. Inoltre, come risultava già dallo studio di Mansfield (1971), i rendimenti degli investimenti in R&S sono altamente rischiosi e ciò porta a pensare che i loro valori attesi includano un premio per il rischio maggiore di quello medio. Su un piano metodologico, Nelson (1988) ritiene che i risultati delle regressioni delle PTF sulla R&S delle industrie non siano plausibili perché è assai verosimile che l’investimento in R&S non sia in realtà una variabile esogena, come richiesto per la validità dei risultati della stima, ma sia influenzato insieme alla produttività dalle opportunità tecnologiche (vedi 8.3.7) del settore. Naturalmente non mancano gli strumenti econometrici per risolvere il problema della simultaneità posto da Nelson85, ma resta vero che in parallelo sarebbe auspicabile scoprire ed introdurre nuove variabili per ottenere un quadro teorico più strutturato per spiegare la vera relazione causale tra R&S e PTF. Gli studi per la NASA nel periodo post-Apollo. Dopo il successo del progetto Apollo (1969) i bilanci della NASA entrarono in una fase di rapida contrazione e ciò basterebbe a spiegare perché essa commissionò una serie di studi che dovevano verificare l’impatto delle sue spese di R&S sull’economia. Un primo studio del MRI (1971) si basa su un modello molto simile a quello esposto sopra ma lo applica a livello molto più aggregato, cioè all’intero settore privato non agricolo dell’economia. Lo studio riprese da Solow (1957) la funzione di produzione (vedi sopra la (7.1)) e procedette a stimare l’indice della PTF, A(t), tra il 1949 ed il 1968 (trovando un valore di 1,37). Il passo successivo fu la scelta, basata sull’esame di una varietà di evidenze empiriche, di attribuire alla R&S nazionale gran parte della crescita di quella produttività. Infine lo studio mise direttamente in relazione il tasso di crescita del prodotto privato non agricolo nell’anno t, Gt, con una somma 85 Per una concisa e lucida spiegazione, vedi Griliches (2000), p.56 e segg. 219 ponderata delle spese per R&S nei 18 anni precedenti (con pesi minori di 1 e decrescenti, a riflettere l’indebolimento dei contributi delle spese più lontane alla conoscenza corrente), Rt: Gt = G(Rt) , con Rt = w0 rt + w1rt-1 + … + wt-18rt-18 (*) La lunghezza del periodo è stata fissata in funzione delle aspettative di pay-back per le spese di R&S e della durata della vita dei nuovi prodotti. Lo studio si conclude con il calcolo del tasso di rendimento della R&S spaziale civile della NASA tra il 1959-1969 (25 mld$, a prezzi del 1958). Posto che ad esso è risultato imputabile un incremento86 del prodotto privato non agricolo tra il 1970 ed il 1987 pari a181 mld$ (sempre a prezzi del 1958), quel tasso è risultato del 33%. La ricerca di MRI (1971) ha il limite di non trattare in modo diverso la R&S civile da quella militare e, all’interno della prima, di non trattare separatamente la R&S mission- oriented della NASA da quella industriale direttamente rivolta alla redditività. In Evans (1976) viene offerta un’analisi con la stessa impostazione di MRI (1971) ma metodologicamente più accurata. Egli considera separatamente gli investimenti in R&S della NASA e del resto dell’economia e si propone di valutarne l’impatto sul prodotto nazionale lordo (PNL) potenziale87. A tal fine, dopo avere concluso anche lui in base ad una varietà di considerazioni empiriche che la R&S è la determinante principale della crescita della PTF, egli stima i parametri di un’equazione con la quale si regredisce il tasso di crescita della PTF sulle seguenti variabili: (i) ∑ sui sette anni precedenti delle spese ponderate di R&S della NASA in rapporto al PNL; (ii) idem per le altre spese di R&S in rapporto al PNL; (iii) un indicatore del grado di utilizzazione della capacità produttiva; e (iv) un indicatore del mix dei settori produttivi. Il risultato è alquanto diverso da quello di MRI (1971), visto che il tasso di rendimento dell’investimento in R&S in termini di incrementi del PNL risulta pari al 43% oppure al 38%, a seconda che si assuma per esso una vita infinita oppure limitata a 10 anni. I risultati sugli elevati tassi di rendimento degli investimenti in R&S o R&S spaziale civile ottenuti nei due studi sopra esaminati non possono essere presi alla lettera per varie ragioni: (i) entrambi gli studi effettuano delle regressioni tra serie temporali piuttosto brevi, senza effettuare gli opportuni test circa possibilità di ottenere stime non distorte88; (ii) nel caso del secondo studio Griliches (1979) ha rilevato che il calcolo del valore del tasso di rendimento è molto sensibile a cambiamenti, anche secondari, nelle ipotesi; e più importante (iii) equazioni come le (7.5) e (7.6) stabiliscono un nesso tra investimenti in R&S e produttività senza tener conto degli (o “controllare”) gli effetti sulla produttività di altre variabili come qualità degli input, economie di scala, ecc. Questa procedura applicata a livello d’impresa o d’industria è tuttavia, 86 La somma degli incrementi annui ottenuti applicando la (*). 87 La scelta di questa misura dell’output è però meno difendibile di quella del prodotto privato non agricolo di MRI (1971). 88 Per un’applicazione di alcuni di questi test in un contesto simile vedi alla sezione 9.4.2 220 in prima approssimazione, accettabile e di conseguenza lo sono anche i valori che da esse si ottengono per il tasso di rendimento, ρ, o l’elasticità, γ. A livello dell’intera economia, invece, il ruolo dei fattori esclusi dal semplice nesso investimento in R&S/produttività è molto probabilmente più importante che a livello d’impresa o industria e di conseguenza i risultati sono molto meno accettabili. Gli effetti degli investimenti in R&S spaziale in un modello di crescita economica. Le precedenti critiche ai risultati degli studi sugli effetti degli investimenti in R&S della NASA rinviano alla ricerca di un modello di crescita economica più ricco di contenuto di quello di Solow su cui quegli studi si fondano. Un tale modello dovrebbe permettere in primo luogo di isolare l’effetto della R&S aggregata sull’andamento della PTF dagli effetti di altre variabili sulla crescita della grandezza macroeconomica prescelta; e, in secondo luogo, la probabile peculiarità della R&S mission-oriented di un’istituzione come la NASA. Il modello dovrebbe comunque soddisfare il requisito della verificabilità empirica. Per quanto riguarda le caratteristiche del modello non c’è dubbio che esso deve spiegare il fatto che il contributo principale di una R&S spaziale mission oriented, come quella della NASA, non sta tanto nel suo rendimento diretto costituito da un output (le scoperte scientifiche e l’esplorazione spaziali) praticamente non misurabile, quanto negli aumenti di produttività nei settori dell’economia che adottano e adattano alle loro esigenze le conoscenze prodotte dalla R&S spaziale. Quegli aumenti costituiscono un aspetto del fenomeno generale della produzione e diffusione o spillovers delle conoscenze scientifiche o tecnologiche, che è stato grandemente sviluppato nelle recenti teorie endogene e d’impronta schumpeteriana dello sviluppo economico89. L’analisi empirica degli spillovers nazionali ed internazionali è stata approfondita però sostanzialmente solo per quelli relativi alle industrie del settore manifatturiero, sui quali ci soffermeremo nella sezione seguente. Per quanto riguarda i dati empirici necessari per verificare l’impatto della R&S di un’istituzione pubblica come la NASA sullo sviluppo economico di un paese, gli unici che si avvicinano a soddisfare questa esigenza di quantificazione sistematica sono i dati sui brevetti ottenuti dalla NASA e, ancor più, quelli sulle loro citazioni90. Nonostante grandi passi avanti nei modi di utilizzare questo tipo di dati, il ricorso ad essi resta ancora molto laborioso (vedi comunque la sezione 9.5 per un esempio di utilizzazione dei dati sui brevetti). 7.1.2 GLI SPILLOVERS DELLA TECNOLOGIA: DEFINIZIONI E TIPOLOGIE 89 Per delle semplici e chiare introduzioni vedi Jones (2002), capp. 5 e 6 oppure Aghion e Howitt (2009), capp.3,4,5,7 e 9. 90 Un importante lavoro in questa direzione che chiarisce le questioni metodologiche relative all’uso di dati sui brevetti e le loro citazioni e che documenta una tendenza della NASA, a partire dal 1980, a sfruttare di più commercialmente le sue invenzioni, è Jaffé (1998). 221 Spillovers come conseguenza del carattere non rivale della conoscenza o pure knowledge spillovers. Il concetto di capitale di R&S ha rappresentato un primo fondamentale passo nell’analisi mainstream delle cause del progresso tecnico, ma ad esso ha fatto ben presto seguito un secondo passo per tenere conto del fatto che la conoscenza è un tipico bene non rivale nel consumo. Ciò porta a chiamare spillover di conoscenza tecnologica il fenomeno per cui le conoscenze tecnologiche provenienti dai laboratori di R&S di un’impresa o di un’istituzione di ricerca pubblica possono essere usate anche da altre imprese, senza per questo essere esaurite. Nella stragrande maggioranza dei casi questo trasferimento di conoscenze non avviene attraverso uno scambio di mercato con pagamento del relativo prezzo e quindi si può dire che esso rientra nell’ampia categoria delle esternalità (gli effetti delle azioni di un’unità economica su un’altra o altre non mediati da scambi di mercato o d’altro tipo tra le parti coinvolte). Il concetto di spillovers non coincide però con quello di esternalità, anche se è diffusa la prassi di usare i relativi termini come sinonimi, in quanto il primo può avere luogo anche attraverso uno scambio con pagamento di prezzo, come avviene quando si acquista una licenza d’uso di un brevetto. La questione dell’esistenza o meno di spillovers va anche tenuta distinta dalla questione del costo che deve sostenere chi adotta un’invenzione ottenuta da altri. La dimensione di questo costo dipenderà dalla specifica natura della conoscenza (più o meno codificata o più o meno complementare ad altre conoscenze, esplicite o tacite, e così via) e dalle modalità con cui essa si trasferisce (vedi sezione 8.4.5), ma la sua esistenza è documentata inequivocabilmente dalle ricerche empiriche. Invero, vi sono modelli teorici (vedi Griffith e altri (2000)) che formalizzano l’intuizione empirica che la R&S di un’impresa o industria svolge, oltre alla funzione primaria di produrre la “sua” conoscenza, anche quella di permettere un vantaggioso assorbimento delle conoscenze prodotte in altre imprese o industrie più avanzate91. I cosiddetti “ rent spillovers”. L’effetto di uno spillover di conoscenza per l’impresa ricevente è un aumento di produttività conseguente all’utilizzazione di conoscenze relative a nuovi processi produttivi o nuovi e migliori prodotti che rappresentano i frutti del progresso tecnico altrui, al netto dei costi sostenuti per la loro introduzione nell’impresa92. Una situazione particolare sorge quando il progresso tecnico determina un miglioramento della qualità di un bene capitale (bene di produzione durevole) o intermedio (bene di produzione non durevole)93. In tal caso un miglioramento della qualità 91 Per una verifica empirica della natura duale della R&S (fattore di produttività e fattore di assorbimento) vedi Griffith e altri (2004). 92 D’ora in avanti ometteremo per semplicità d’esposizione di fare questa precisazione. 93 Ci siamo già soffermati su questo fenomeno nel capitolo 2 dove abbiamo analizzato l’impatto degli investimenti in R&S dell’ISP, volti a migliorare la qualità dei suoi prodotti, sui consumatori finali dei servizi satellitari. Qui ci limiteremo all’analisi dei benefici per le industrie fornitrici ed utilizzatrice del bene intermedio. 222 del bene intermedio si traduce in una sua maggiore capacità produttiva e, quindi, in un maggiore prodotto dell’industria che lo utilizza. A parità degli altri input impiegate nella produzione dalle industrie fornitrice ed utilizzatrice, considerate come una sola industria verticalmente integrata, si registra quindi un aumento della PTF, che dovrebbe però essere imputato interamente all’industria fornitrice. Ciò avverrebbe se l’istituto di statistica valutasse correttamente la quantità del bene intermedio, calcolando il suo indice edonico della quantità (vedi riquadro 7.1), che porterebbe a ricontare una unità del bene di qualità superiore come più unità del bene della vecchia qualità. Ma se, come in pratica avviene non si procede o si procede solo parzialmente al calcolo dell’indice edonico della quantità, allora l’aumento della produttività verrebbe imputato, in tutto o in parte, ma comunque erroneamente all’industria utilizzatrice. Si supponga che l’industria fornitrice sia l’ISP e che quella utilizzatrice sia l’industria che fornisce servizi satellitari fissi. La produzione di un satellite per TLC di qualità migliore, col 50% in più di capacità di servizio, da parte di Astrium dovrebbe fare aumentare la sua produzione non di 1 ma di 1,5 satelliti (prendendo come standard il satellite con la qualità originaria), con un incremento di produttività del 50%. In tal modo, per Eutelsat non si registrerebbe alcun aumento di produttività. Se invece si equiparasse un satellite nuovo ad uno vecchio, tutto l’incremento di produttività di Astrium verrebbe erroneamente attribuito ad Eutelseat, che con 1 satellite produrrebbe ora 1,5 servizi. Diversa concettualmente dalla questione della corretta imputazione dell’incremento di PTF è quella della spartizione del beneficio o rendita monetaria che ne deriva alle due industrie, dato che esse a parità di costi di tutti gli altri input ottengono insieme più ricavi (per l’aumento della quantità prodotta del bene finale). Questa spartizione dipenderà ovviamente dalle condizioni di mercato del bene intermedio (concorrenziali, monopolistiche o ad’altro tipo). Nel caso limite in cui le imprese produttrici fossero in forte concorrenza tra loro (come è avvenuto per due delle imprese leader nel mercato dei microprocessori) ed il costo del bene intermedio migliorato fosse uguale al prezzo del bene precedente il miglioramento, la concorrenza porterebbe le imprese dell’industria utilizzatrice a pagare lo stesso prezzo per un bene più produttivo incassando così l’intera rendita creata dall’innovazione di qualità. Se, nello stesso tempo, l’istituto di statistica non facesse nessuna correzione edonica verso l’alto alla quantità (e, coerentemente, verso il basso del prezzo), le statistiche registrerebbero anche un incremento di PTF per l’industria utilizzatrice. Griliches (1979) si riferì per primo a questo fenomeno chiamandolo rent spillover, riconoscendolo non come un fenomeno reale, come lo è lo spillover di conoscenza, ma come il risultato di (praticamente inevitabili) errori di calcolo da parte degli istituti di statistica e di paralleli “errori” da parte del mercato (su quest’ultimo punto vedi Griliches e Lichtenberg (1984 b) L’analisi svolta dei cosiddetti rent spillovers ci ha portato a concludere che la loro presenza non è indicativa di un aumento della PTF nell’industria utilizzatrice dei beni intermedi (e capitali) 223 migliorati, ma naturalmente resta vero il fatto, già ricordato nella sezione 7.1.1 che il miglioramento tecnologico della qualità di quei beni è un canale molto importante attraverso il quale il progresso tecnico determina aumenti della PTF per l’aggregato dei settori industriali. Nel corso dello sviluppo economico moderno il progresso tecnico ha a più riprese prodotto nuove tecnologie chiamate General Purpose Technologies (GPT) o, meglio nuovi beni di produzione, la cui ampia diffusione ha generato forti aumenti della crescita economica94. Esempi storici sono stati il motore a vapore, l’elettricità, il laser, i turbo reattori e, per ultimo, l’information technology (IT) Infine va anche evidenziato che il rapporto che si stabilisce tra produttore ed utilizzatore di un bene intermedio ad essi specifico è per entrambi uno stimolo a scoprire miglioramenti tecnologici collegati alla produzione e all’impiego di quel bene. Nel caso delle GPT lo stimolo all’innovazione di nuovi beni da parte delle imprese che le utilizzano è per definizione pervasivo. Gli aumenti di produttività che ne conseguono in entrambe le industrie non possono essere imputati a dei veri e propri spillovers di conoscenze, ma la situazione di stimolo reciproco che ne è la causa non è forse molto diversa da quella degli spillovers. RIQUADRO 7. 1 CALCOLO DEI PREZZI EDONICI (HEDONIC PRICES): UN ESEMPIO Nel periodo zero l’industria dei satelliti ha prodotto N0 = 10 satelliti e li ha venduti ad un prezzo unitario p0 = 100€, con ricavi V0 = 1.000€. Nel periodo 1 sono stati prodotti N1 = 15 satelliti, venduti ad un prezzo p1 = 200€, con ricavi V1 = 3.000. In un caso come questo, con un solo bene, si possono calcolare separatamente i numeri indici della quantità 15/10 = 1,5, del prezzo 200/100 = 2 e del valore 3.000/1.000 = 3. Nel caso con due o più beni bisogna invece scegliere una formula di aggregazione degli indici individuali per costruire gli opportuni indici aggregati delle quantità e dei prezzi. Poiché in pratica i valori sono il dato più facile da reperire ed è anche più facile costruire direttamente indici dei prezzi, l’indice delle quantità viene calcolato indirettamente nel seguente modo: si deflaziona il valore delle vendite nel periodo 1 con l’indice dei prezzi, al fine di calcolare le vendite reali di quel periodo, V1R ; e si divide questo valore per il valore delle vendite iniziali. Applicando questa procedura al nostro esempio, solo al fine di illustrare il caso con più beni, si ottiene: 94 Per un’introduzione al ruolo delle GPT nello sviluppo economico, vedi Aghion e Howitt (2009), cap.9 224 V1R = V1 /(p1/p0) = 3.000/(200/100) = 1.500, per cui Indice delle quantità = V1R/V0 = 1.5 Le precedenti elaborazioni danno dei risultati corretti solo se “un satellite è un satellite”. Sappiamo invece che i satelliti, anche dello stesso tipo (ad esempio satelliti FSS), sono diversi per il continuo progresso tecnico. Per definire questa diversità si suppone che un satellite sia descritto da un insieme di caratteristiche relative ai suoi servizi (nel caso di un satellite per TLC: volume dei messaggi, grado di precisione degli stessi, ecc.) espresse in termini quantitativi. Immaginiamo che nel nostro esempio, confrontando e “pesando” una ad una queste caratteristiche, si trovi che un satellite del periodo 1 equivale a due satelliti del periodo zero. E’ chiaro che in questo caso i precedenti calcoli dei numeri indici danno delle misure erronee: sottostimano la crescita dell’output e sovrastimano l’indice dell’inflazione nell’industria dei satelliti. Un modo di eliminare queste distorsioni è di correggere l’indice dei prezzi verso il basso, dividendolo per l’indice della qualità del satellite, cioè calcolando l’indice edonico del prezzo. Nel nostro esempio: (p1/p0)H = (p1/p0)/2 = (200/100)/2 = 1. Le vendite reali del periodo 1 sono ora date da: V1R = V1 /(p1/p0)H = 3.000/[(200/100)/2]= 3.000; e Indice edonico della quantità = 3.000/1.000 = 3Ovviamente, nel nostro esempio con un bene solo avremmo potuto osservare che, nel periodo zero, la produzione di 10 satelliti vecchi ad un prezzo unitario di 100€ equivaleva alla produzione di 5 satelliti nuovi ad un prezzo unitario di 200€, e calcolare separatamente: indice edonico delle quantità = 15/5 = 3 e indice edonico dei prezzi = 200/200 = 1. Il nostro esempio riguarda un caso limite nel quale l’indice dell’inflazione risulta esattamente uguale all’indice della qualità del satellite e l’indice edonico dei prezzi è uguale ad 1. Quando l’innovazione avviene in un clima fortemente competitivo, nel quale le imprese puntano non solo sullo scavalcamento tecnologico delle rivali ma anche sul ribasso dei prezzi, l’indice dell’inflazione risulta inferiore all’indice di qualità del prodotto e l’indice edonico dei prezzi risulta inferiore ad 1. Nel caso opposto, in cui dominasse un’impresa 225 monopolistica, l’indice dell’inflazione potrebbe eccedere quello della qualità e l’indice edonico risulterebbe maggiore di 1. Nel testo ci si sofferma sul fatto che il calcolo dell’indice delle quantità senza la correzione edonica dei prezzi porta a sottovalutare la crescita dell’output e della produttività nel settore dei satelliti e, corrispondentemente, a sopravvalutare la crescita della produttività del settore dei servizi del satellite, dato che l’output del settore dei satelliti è anche l’input del settore dei servizi satellitari. Una tipologia degli spillovers. Il fenomeno degli spillovers può avere luogo all’interno di un’impresa, quando le invenzioni realizzate in una divisione o impianto possono essere utilizzate da altre divisioni o impianti. Per le imprese dei settori dell’aerospazio e della difesa l’esistenza di spillovers è associata alla natura dual use della ricerca più di base e, in questo caso, un modo ottimale di gestire gli spillovers potrebbe essere quello di portare in un unico laboratorio la R&S di base, lasciando alle varie divisioni civili e militari di svolgere le ricerche più applicate funzionali ai loro prodotti. Nella sezione seguente vedremo che un fenomeno analogo si può verificare per le imprese spaziali, con degli spillovers (i) che vanno dalle attività rivolte all’esecuzione di un contratto con l’ESA verso altre attività; oppure (ii) che portano alla creazione di nuove attività sotto forma di nuove divisioni o nuove imprese (controllate). In questo rapporto ci siamo riferiti e ci riferiremo a questo secondo fenomeno con il termine di spin-off. Una seconda categoria di spillovers riguarda quelli interni ad un’industria. Questi non solo sono importanti in pratica ma hanno avuto ed hanno anche un’importante rilevanza teorica, che risale al contributo fondante di A.Marshall. Ricordando che la presenza di rendimenti di scala crescenti ovvero di economie di scala è incompatibile con la concorrenza perfetta, perché esse portano ad imprese sufficientemente grandi da adottare comportamenti monopolistici (cioè, manovrare i prezzi invece di prenderli come dati, come avviene con la concorrenza perfetta), la presenza di spillovers tra le imprese di un’industria permette di assumere un settore perfettamente concorrenziale nel quale (i) ogni impresa percepisce la sua tecnologia come se fosse a rendimenti di scala costanti e resta abbastanza piccola da prendere il prezzo di mercato come dato; ma (ii) la tecnologia dell’industria risulta a rendimenti di scala crescenti per l’effetto degli spillovers sulla produttività di ogni impresa95. Infine vi sono gli spillovers tra imprese in diverse industrie o, ad un livello di aggregazione maggiore, gli spillovers tra industrie. La loro esistenza è riconducibile al fatto che le tecnologie di 95 Questi spillovers tecnologici hanno anche una dimensione spaziale. In questo caso essi, insieme ad altri fattori come l’esistenza di un ampio mercato del lavoro specializzato e di una rete locale di fornitori specializzati, concorrono a favorire l’agglomerazione delle imprese di un settore in aree molto ristrette (distretti industriali). 226 imprese o industrie diverse perché producono beni diversi, possono avere alcuni input o processi produttivi in comune o anche perché gli output di alcune industrie possono avere delle proprietà utili per gli input di altre industrie, senza che queste usino quegli output come beni intermedi. Questa circostanza è responsabile del fatto che la classificazione dei brevetti produce un sistema di categorie che non si sovrappongo a quelle ottenute con la classificazione industriale delle attività economiche. Come vedremo nella sezione 7.1.3 ciò complica l’analisi empirica degli spillovers di conoscenza. 7.1.3 MODELLI PER LA ANALISI DELLA R&S IN PRESENZA DI SPILLOVERS La funzione di produzione aumentata dalla R&S importata. La formalizzazione del fenomeno degli spillovers ai fini della loro verifica empirica nella letteratura mainstream sul progresso tecnico si basa sull’osservazione che gli spillovers della conoscenza possono essere visti come flussi che incrementano uno stock di R&S importata da altre imprese o industrie. Questo stock diventa un input aggiuntivo nella funzione di produzione (7.3) che diventa: Yit = exp(mt) Kitα Litβ Ritγ RIitμ (7.7) dove RI è lo stock di R&S importata; e dove i indica una specifica impresa e t uno specifico anno. I parametri di cui ci interessano qui i valori sono γ, l’elasticità del prodotto rispetto al capitale di R&S interna; e μ, l’elasticità del prodotto rispetto al capitale di R&S importata. Inoltre, nello stesso modo in cui dalla (7.3) siamo passati alla (7.5) e quindi alla (7.6) con la quale abbiamo stimato il tasso di rendimento dell’investimento in R&S dell’impresa o industria, così dalla (7.7) si può passare ad un’equazione analoga alla (7.6) che ci permette di stimare i tassi di rendimento degli investimenti della R&S interna e di quella importata: = m+ρ + (7.8) In una terminologia abbastanza diffusa il primo, ρ, viene chiamato tasso di rendimento diretto della R&S, il secondo, tasso di rendimento indiretto della R&S e la loro somma è chiamata tasso di rendimento sociale della R&S (vedi Nadiri (1993), Sveikauskas (2007)) Il problema da risolvere riguarda la scelta di una variabile empiricamente misurabile che sia una buona proxy di RI. La scelta dipenderà oltre che ovviamente dalla possibilità di raccolta dei dati anche dal tipo di spillovers sui quali si vuole indagare. Vediamo quindi alcune delle soluzioni tipiche presentate nella letteratura. Nel caso si fosse interessati agli spillovers tra imprese all’interno di industria una scelta abbastanza comoda e ragionevole è di porre per ogni impresa i : RIit = Rt. Ciò significa che ogni 227 impresa trae lo stesso beneficio in termini di maggiori conoscenze attinte a tutte quelle prodotte nell’industria (“che girano nell’aria” come diceva A. Marshall). La (7.7) diventa così: Yit = exp(mt) Kitα Litβ Ritγ RIμ (7.7)’ dove RIt = ∑ RIit e tutti i coefficienti sono positivi. Questa formulazione permette anche di illustrare quanto osservato sopra circa il fatto che le imprese “vedono” le loro tecnologie come se fossero a rendimenti di scala costanti (nella (7.7)’ l’impresa non vede RI ma vede che α + β + γ = 1), mentre la tecnologia dell’industria è a rendimenti di scala crescenti. Sommando ambo i membri della (7.7)’ si ottiene, con l’ipotesi che l’industria sia in un equilibrio perfettamente concorrenziale, Yt = exp(mt) Ktα Ltβ Rtγ+μ (7.7)’’, dove Yt = ∑ Yit, Kt = ∑ Kit e Lt = ∑ Lit . Poiché α + β + γ + μ > 1 l’industria è a rendimenti di scala crescenti: la PTF dell’industria aumenta all’aumentare delle sue dimensioni. E di ciò se ne accorgono anche le imprese che registrano, ex post, l’effetto del termine degli spillovers, RIμ. Il modello appena esposto serve più che altro a fissare il concetto di stock di spillovers importati e a suggerire come la loro presenza stimoli aumenti di produttività, ma la sua applicazione alla realtà esige una sua riformulazione più flessibile. In particolare, bisogna tenere conto che gli spillovers vanno in realtà da impresa ad impresa oppure, se l’analisi fosse condotta prendendo come unità le industrie, da industria ad industria. In tal caso lo stock di R&S importata da un’impresa (o industria) sarà dato dalla sommatoria degli stock di R&S delle altre imprese o industrie ponderati con dei coefficienti i cui valori (tra zero ed uno, con somme uguali ad uno) sono proporzionali all’intensità dello spillovers tra le imprese (o industrie) coinvolte. In formule abbiamo (lasciando cadere l’indicazione del tempo): RIi = ∑ ωij Rj , per j = 1,....I e i j; e 0 ≤ ωij ≤ 1 con ∑ ωij = 1 (7.9) dove I è il numero delle imprese o industrie; e ωij , il coefficiente di spillover, che misura l’intensità dello spillovers tra l’impresa o l’industria ricevente i e tutte le altre. Si noti che la ∑ che compare nella (7.9), può essere scritta per tutte le I unità di analisi, e quindi il network di spillovers tra di esse viene rappresentato con una matrice di coefficienti di spillover. Un aspetto interessante della (7.9) è che essa può essere applicata al caso particolarmente rilevante in pratica e spesso studiato nella letteratura in cui vi siano spillovers tra imprese appartenenti a diverse industrie. La domanda che essa si pone è: come si possono determinare empiricamente i valori degli ω? Una rassegna completa delle risposte obbligherebbe ad entrare in argomentazioni intricate che non sono qui rilevanti. Vale però la pena richiamare le principali impostazioni. Seguendo i contributi pionieristici di Scherer (1982), (1984) una serie di autori hanno calcolato i valori dei coefficienti di spillover, identificandoli con i valori degli elementi di una matrice 228 di flussi di variabili alle quali si può pensare che siano associati gli spillovers. Nel suo contributo originario Scherer (1982) calcolò (i) la distribuzione incrociata di un gran numero di brevetti tra le industrie in cui erano stati ottenuti e tra le industrie in cui ci si aspettava che i nuovi prodotti sarebbero stati principalmente utilizzati; e (ii) utilizzò i valori dei coefficienti così ottenuti come coefficienti di spillover. Egli si concentrò sugli effetti degli investimenti in R&S sulla produttività del lavoro e calcolò i tassi di rendimento diretto ed indiretto usando un’equazione diversa dalla (7.8) in quanto come variabile dipendente aveva il tasso di variazione della produttività del lavoro e tra le variabili dipendenti aveva il capitale per lavoratore. Egli trovò che il rendimento dell’investimento interno in R&S (per lui rivolto all’innovazione di prodotto) costituiva una piccola frazione del rendimento dell’investimento importato o dovuto agli spillovers o, nella sua terminologia, “usato” (che per lui era dovuto in parte all’innovazione nel bene intermedio acquistato ed in parte alla correlata innovazione di processo produttivo). La metodologia della matrice dei flussi di Scherer fu adottata in numerosi studi successivi, nei quali si trasformò spesso in una normale matrice input-output o anche in una piccola parte di questa matrice, in base all’ipotesi che le innovazioni tecnologiche di un settore circolano maggiormente verso il settore che risultano essere i suoi principali acquirenti (vedi Tsai e Wang (2004) per un interessante esempio), La nostra discussione precedente sui rent spillovers ci suggerisce però che quelli individuati da Scherer (1982) e dagli autori che hanno seguito la sua metodologia rientrano in quella categoria e lasciano quindi aperta la domanda sull’esistenza degli spillovers di pura conoscenza. La risposta a questa domanda è venuta da un altro filone di analisi empiriche nelle quali il calcolo dei valori dei coefficienti della matrice degli spillovers si basa su dati sui brevetti ottenuti dalle varie unità (imprese o industrie), classificati secondo le categorie tecnologiche dell’ufficio dei brevetti degli Usa o di quello europeo, nella scia del lavoro pionieristico di Jaffé (1986)96 Lo strumento chiave di questo lavoro è un indice di distanza tecnologica ottenuto nel modo seguente. Per ogni unità, i, si costruisce un vettore i cui elementi sono le quote relative dei numeri di brevetti delle varie categorie tecnologiche rispetto al numero totale dei brevetti: Zi = (z1i, z2i,...,zNi), dove N è il numero delle categorie tecnologiche, zni sono le quote relative, con zni ≥ 0 e ∑ zni= 1. Per indice di distanza tecnologica tra due unità, i e j, Jaffé sceglie la correlazione non centrata dei vettori Zi e Zj, data da ωij = dove appaiono i prodotti scalari dei vettori rilevanti. Se due imprese sono tecnologicamente uguali sarà: Zi = Zj e quindi ωij = ωji: tutta la R&S di j è importata da i e viceversa. 96 Per delle utili discussioni di questa metodologia anche in rapporto ad altre, vedi fra gli altri Griliches (1992), Verspagen (1997) e Los e Verspagen (2000). 229 Usando una matrice di coefficienti che riflettono in linea di principio solo aspetti puramente tecnologici, il calcolo della R&S importata nel settore da ogni altro settore j consente di interpretare questa grandezza come una misura di spillovers tecnologici di pura conoscenza. Il modello di Bernstein - Nadiri: una funzione di costo aumentata dalla R&S importata. La valutazione dell’impatto della R&S sulla produttività, può essere ottenuta con un metodo alternativo ma equivalente a quelli finora visti, basati sul ricorso alla funzione di produzione per il calcolo diretto dell’elasticità dell’output alla R&S, interna ed importata, o per il calcolo dei tassi di rendimento diretto ed indiretto della R&S. Il metodo in questione, di cui sono stati pionieri Bernstein e Nadiri (1988), consiste nel valutare l’impatto della R&S, sia interna che importata, sul costo di produzione97 stimando i parametri di una funzione del costo minimo di breve periodo (nel quale gli stock di conoscenze sono costanti), dai quali si può poi risalire alle elasticità e tassi di rendimento ottenuti direttamente con il primo metodo. Con il secondo metodo si verifica invece direttamente se un investimento in R&S comporta minori costi non solo per l’impresa che lo effettua ma anche per le altre imprese che ne ricevono gli spillovers. La funzione di costo, spostandosi dal livello dell’impresa a quello dell’industria, è quindi del seguente tipo: Ci = Ci (prezzo di Yi; prezzi di Ki,Li, beni intermedi da j i; Yi; Ri; Rj, per j i) (*) dove Ci è il costo del prodotto Yi. Bernstein e Nadiri assumono che il coefficiente di spillover da un’industria j all’industria i sia uguale al corrispondente coefficiente della tavola input-output, che dà la quota relativa delle vendite dalla prima alla seconda, sul totale. Essi trovano che il costo di ogni industria i diminuisce quando aumentano gli stock di R&S delle altre industrie; cioè una chiara evidenza empirica di spillovers. Il metodo seguito da Bernstein e Nadiri (1988) per calcolare i loro coefficienti di spillover tende ad identificarli con le innovazioni incorporate nei beni intermedi, vale a dire con dei rent spillovers. Un lavoro recente di Aiello e Cardamone (2008) sfugge a questo limite, calcolando i coefficienti di spillover con l’indice di distanza tecnologica di Jaffé98. Essi stimano i parametri di una funzione di costo del tipo (*) per più di 1.000 imprese manifatturiere italiane, nel periodo 1998 – 2003. Essi trovano in definitiva che gli spillovers della pura conoscenza nell’industria manifatturiera italiana sono pervasivi: l’elasticità del prodotto rispetto agli stock di R&S importata via quegli spillovers è sempre positiva e statisticamente significativa. 97 Così come il presupposto del primo metodo è la massimizzazione del profitto, la minimizzazione del costo è il presupposto del secondo metodo. Se un’impresa massimizza il profitto i due metodi sono equivalenti, perché la massimizzazione del profitto implica la minimizzazione del costo. 98 Essi impiegano in effetti un coefficiente di spillover che è la media aritmetica dell’indice di distanza tecnologica e di un indice di distanza geografica, nell’ipotesi che anche questa variabile incida sull’intensità degli spillover. Le loro stime confermano tale ipotesi. 230 Le indicazioni empiriche sull’importanza degli spillovers. Nelle precedenti discussioni dei modelli che definiscono gli effetti delle R&S sul tasso di crescita della produttività totale, direttamente o attraverso gli spillovers, abbiamo avuto modo a più riprese di notare che le verifiche empiriche dei modelli portavano ad accettare le ipotesi che quegli effetti erano positivi e cospicui. Nella letteratura non sono mancate rassegne sui risultati empirici che hanno cercato di stabilire delle uniformità pur partendo da risultati molto variabili. Cercheremo qui di trarre delle nostre conclusioni basate su una loro selezione ragionata. Si è già visto (sezione 7.1.1) che Nadiri (1993) riportava valori positivi per le elasticità dell’output rispetto alla R&S diretta e valori positivi e decisamente elevati (ricordando che si tratta di solito di tasso di rendimento in eccesso a quello normale) per i tassi di rendimento degli investimenti in R&S, sia a livello d’imprese (con una media del 30%) che d’industria (con una media del 26%). Valori elevati di ρ sono una chiara indicazione che la R&S ha una forte influenza diretta sul tasso di crescita della produttività totale dell’impresa o dell’industria. Il fatto che i tassi calcolati di rendimento a livello d’industria non siano superiori a quelli a livello d’impresa non quadra con l’aspettativa che vi siano significati spillovers all’interno di ogni industria. Questo è però un risultato che non viene confermato in diversi altri contesti. Ad esempio con Griliches (2000) (pagg.69-70) che trova a livello d’industria un tasso di rendimento sociale (che nella sua terminologia diventa “privato per l’industria”) del 25%, ben maggiore di quello del 10% calcolato a livello d’impresa. Questo risultato ottenuto con dati per 19 industrie manifatturiere (a 1 cifra) è particolarmente importante per questa ricerca, perché quadra perfettamente con i risultatati delle analisi bivariate e multivariate del capitolo 9. Ma l’evidenza empirica massiccia in favore del contributo positivo degli spillovers alla crescita della produttività totale, proviene dai numerosissimi studi che, stimando equazioni come la (7.7) o (7.8), hanno depurato, rispettivamente, l’elasticità del prodotto alla, o il tasso di rendimento della, R&S interna dell’impresa o industria del contributo di quella derivante dall’esterno, sotto forma di spillovers. Così (i) Griliches (2000) riporta i risultati di studi che trovano, a livello d’impresa e d’industria, un’elasticità del prodotto alla R&S importata con valori che sono tipicamente 3 – 5 volte quelli della corrispondente elasticità alla R&S interna; (ii) Mohnen (1996) (citato in Sveiskauskas (2007)) conclude che il tasso di rendimento della R&S esterna eccede in percentuali che vanno dal 50% al 100% di quello della R&S interna; e (iii) Griliches (1902) e Sveikauskas (2007) che portano risultati di studi a livello d’industria dai quali risultano in maniera abbastanza uniforme che “gli spillovers contribuiscono per circa tre quinti al rendimento totale della R&S” (Sveikauskas, (2007), p.8). 231 7.2 SPILLOVERS INTERNI ALLE IMPRESE ED AL SETTORE SPAZIALE Gli spillovers all’interno delle imprese possono riguardare tecnologie molto vicine, fino al punto di essere varianti della stessa tecnologia. In tal caso un miglioramento tecnologico nella qualità di un prodotto può essere utilizzato per migliorare la qualità di altri prodotti. Ciò può avvenire sia per una piccola impresa interessata all’allargamento della gamma delle sue varietà di prodotto, sia per una grande impresa con prodotti diversi, ottenuti però da tecnologie con importanti elementi comuni (dual use technologies). Il secondo caso è ben rappresentato dalle imprese o gruppi aerospaziali che possono sfruttare gli spillovers tecnologici tra le produzioni di velivoli militari e civili. L’importanza degli spillovers interni all’impresa dipende non solo dalle potenzialità tecnologiche, ma anche dalla capacità dell’impresa di far circolare le conoscenze al suo interno, tra le sue varie unità produttive o tra le sue varie divisioni. Come abbiamo già visto a più riprese (sez. 1.2, tabella 3.6 e sez. 6.2), la domanda pubblica da parte dei governi europei e dell’ESA gioca un ruolo preminente per l’ISP, non solo in termini quantitativi ma anche per l’elevato contenuto tecnologico richiesto in molti contratti (quelli “nobili” in contrapposizione ai contratti che richiedono tecnologie mediamente o poco o per nulla avanzate). Da qui nasce l’opportunità per le imprese, grandi e piccole, di sfruttare le conoscenze tecnologiche in senso stretto e le competenze organizzative acquisite nell’esecuzione dei contratti per l’ESA o per le agenzie nazionali, per diversificarsi (i) sviluppando nuovi prodotti dell’ISP; (ii) entrando nel settore dei servizi spaziali o (iii) sviluppando beni e servizi per settori esterni a quello spaziale. Due interessanti tentativi di valutare la rilevanza per l’impresa degli spin-offs delle attività spaziali svolte nell’ambito di contratti ESA o con agenzie spaziali nazionali, sono quelli recentemente fatti per le imprese dei settori spaziali della Norvegia e Danimarca. L’effetto spin-off secondo il Norwegian Space Center. Per i governi che sostengono le imprese spaziali attraverso contratti per l’acquisto di prodotti o per lo svolgimento di attività di R&S99 è naturale guardare alle relative spese come a degli “investimenti” per la promozione dei loro settori spaziali. Inoltre è anche naturale che nei rendimenti di quegli investimenti i governi includano otre a quelli direttamente riconducibili ai contratti ESA anche quelli riconducibili ad altre attività produttive 99 Secondo Danish Agency (2008) la parte principale del bilancio dell’ESA impegnato in contratti alle imprese (pari al 90% del suo bilancio totale) riguarda contratti relativi ad attività di R&S. 232 dell’impresa, spaziali o non spaziali, rese possibili dall’esperienza fatta nelle produzioni svolte nell’ambito dei contratti ESA iniziali. Il termine “investimenti” è messo tra virgolette perché si tratta di spese che sostengono non solo l’attività di R&S o la creazione di nuove capacità produttive delle imprese ma anche, ed in parte non trascurabile, attività di produzione corrente. Con in mente un quadro di questo tipo il Norwegian Space Center ha presentato nel suo rapporto per il 2007 (vedi Norwegian (2008)) il calcolo di un effetto spin-off dato dal rapporto tra l’ incremento di fatturato delle imprese del settore spaziale in un anno ed i finanziamenti ESA e governativi nello stesso anno. Il calcolo si basa sui dati forniti da 25 imprese e dà dei valori che sono saliti rapidamente da 3,4 nel 1997 a 4,6 nel 2007. Si tratta di una tendenza che suggerisce una crescente produttività marginale della spesa pubblica ma è evidente che, in mancanza di informazioni sui contenuti di questa spesa, sugli sfasamenti temporali tra spesa e risultati, sui meccanismi che portano il fatturato dell’impresa ad aumentare di un multiplo (maggiore di uno) del valore del contratto iniziale con ASI/governo e su altre varie circostanze, non si può pretendere di andare al di là del suggerimento. Lo spin-offs factor secondo la Danish Agency for Science, Technology and Innovation. All’inizio del 2008 la Danish Agency for Science, Technology and Innovation (in Danish Agency (2008)) ha presentato il calcolo di un indice analogo al precedente, esplicitando accuratamente le ipotesi usate per la definizione delle grandezze rapportate. Poiché la spesa pubblica spaziale della Danimarca passa pressoché interamente attraverso l’ESA, al denominatore compare il valore dei contributi del governo danese all’ESA nel 2000-2007 (moltiplicato per 1,2 per tenere conto dei costi dovuti agli effetti distorcenti delle tasse richieste per finanziare la spesa pubblica): 1,2 × CONTRATESA. Al numeratore compare invece, sempre per il 200-2007, l’effetto diretto di questi contratti, pari al valore dei contratti ottenuti dalle imprese danesi o fatturato ESA nello stesso periodo, ridotto della quota di quei contratti passati ai subfornitori esteri (FATTESTE) e l’effetto indiretto, pari al valore dei contratti o fatturato (FATTIND) ottenuto “by Danish ESA-contractors due to access to new technologies and know-how obtained through ESA-contracts, and due to the increate competitiveness achieved through involvement in ESA-contracts” (Danish Agency (2008), p.26). In sintesi, si calcola il seguente spin-off factor, SF: SF = A differenza dello spin-offs effect, SF rappresenta una grandezza media che, secondo i suoi proponenti può essere inteso come una grandezza indicativa di un vero e proprio tasso di rendimento dell’investimento pubblico nello spazio. Questa è una interpretazione senz’altro suggestiva, anche se si base su alcune ardite ipotesi, tra le quali spiccano (i) l’ipotesi, già accennata sopra, che i contratti ESA non remunerino attività produttive correnti; e (ii) l’ipotesi di misurare i rendimenti di un investimento 233 con il fatturato invece che con un cash flow, ottenuto come differenza tra il fatturato stesso e la somma dei costi dei beni intermedi e del costo del lavoro. Per il periodo 2000-2007 il valore di CONTRATESA è stato di 97,4 mln€; quello di (FATTESA – FATTESTE) di 99,3mln€ e quello di FATTIND di 462,6 mln€. Con queste cifre si ottiene: SF = 4,5. Un coefficiente dell’ordine di grandezza dello spin - offs effect norvegese nel 2007. I concetti e la metodologia del gruppo BETA. In una serie di studi degli anni ottanta del secolo scorso, di cui danno conto Cohendet (1997) e Bach e altri (2002), un gruppo di economisti del Bureau d’Economie Théorique et Appliqué (BETA) dell’Università L.Pasteur di Strasburgo ha condotto delle analisi dettagliate sugli effetti per un’impresa conseguenti all’assegnazione di contratti da parte dell’ESA. Si tratta di analisi volte ad appurare, al di là degli effetti diretti relativi all’esecuzione del contratto, gli effetti indiretti di ogni tipo ai quali gli autori si riferiscono con il termine di spin- offs. Tra questi effetti vi sono naturalmente non solo quelli tecnologici, corrispondenti ai nostri spillovers, ma anche altri effetti relativi all’organizzazione dell’impresa e all’evoluzione del suo capitale umano (vedi la tabella 7.1). La quantificazione di questi effetti si basa in buona parte sulla traduzione in termini monetari delle risposte dei manager a dei questionari opportunamente strutturati ed ha portato a calcolare dei rapporti tra i valori degli effetti indiretti e quelli dei contratti ESA ricevuti dall’impresa attorno a 3. Dalle analisi degli sviluppi nelle imprese spaziali o con produzioni spaziali sono emerse anche alcune caratteristiche tipiche dell’industria spaziale, come l’importanza dell’integrazione di sistemi per le imprese maggiori e le elevate competenze tecnologiche per le PMI fornitrici di parti destinate a prestazioni particolarmente impegnative e, l’importanza della cooperazione tra le imprese nell’ambito di network produttivi o commerciali, l’importanza di strategie di lungo respiro, imperniate sullo sviluppo tempestivo di tecnologie dual use oppure sulla diversificazione tra l’industria spaziale e quella dei servizi spaziali. TABELLA 7.1 La classificazione BETA degli spinoffs dai programmi ESA EFFETTI EFFETTI EFFETTI TECNOLOGICI COMMERCIALI SULL’ORGANIZZAZIONE FATTORE ED I METODI • Applicazioni di prodotti ESA • • Nuovi prodotti Diversificazioni • Miglioramenti di prodotto • • • Collaborazioni • internazionali • Nuovi network • di vendita Usare ESA come referenza per il marketing Controllo della qualità Gestione dei progetti Tecniche di produzione EFFETTI SUL LAVORO • • 234 Formazione di una massa critica di specialisti Miglioramento qualitativo della forza lavoro FONTE: Cohendet (1997) 7.3 LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELLE IMPRESE CON PRODUZIONI SPAZIALI: PRODUTTIVITA’, R&S E REDDITIVITA’ Si pongono delle domande riguardo ai risultati delle imprese spaziali paragonati con le imprese non-spaziali nell’industria aerospaziale e confrontati con altri usi alternativi delle risorse, in industrie quali i veicoli a motore o la farmaceutica. Le imprese spaziali hanno un risultato maggiore laddove esso sia misurato in termini di produttività, intensità della R&S e redditività? All’inizio dobbiamo riconoscere tre principali limiti dell’esercizio della nostra risposta. Per primo, ci sono dei gravi problemi con i dati, che riflettono la mancanza di dati sulle attività spaziali delle imprese aerospaziali. Tipicamente, ci sono dati comparabili sulle vendite totali, l’occupazione, la produttività, l’intensità della R&S e la redditività delle maggiori imprese aerospaziali i cui business riguardano un insieme di diversi gruppi di prodotti, che includono spesso velivoli civili e militari, elettronica e sistemi spaziali. Il risultato delle attività spaziali di queste grandi imprese non può essere identificato separatamente dai risultati dei loro business complessivi (quando si usino dati da fonti comparabili ed affidabili: BERR( 2008a; 2008b). Su queste basi è possibile procedere solo identificando due gruppi di industrie aerospaziali, ovvero, quelle con attività spaziali e quelle senza. Questa è un’area dove c’è spazio per ulteriore ricerca a livello di impresa (es. usando gli Annual Reports delle società). Punto secondo, i dati pubblicati riguardano solo le principali imprese, escludendo così quelle piccole. Punto terzo, questo è un esercizio puramente illustrativo, poiché è limitato ad un’analisi cross-section per un anno. Delle analisi più complete richiederebbero degli studi più dettagliati delle serie storiche e dei dati crosssection per più anni. I dati sui risultati d’impresa sono illustrati nella tabella 7.3 dove si è distinto tra imprese europee spaziali e non spaziali; imprese spaziali americane; e si è fatto un confronto con i veicoli a motore, la farmaceutica e un insieme di tutte le imprese, che sono presi come indicatori di un uso alternativo delle risorse. Il confronto tra le imprese europee spaziali e non spaziali basato sulla mediana, mostra come le società non spaziali abbiano un risultato superiore nella misura sia della produttività che della redditività; ma le imprese spaziali sono a più alta intensità di R&S. Il confronto tra le imprese spaziali europee e americane basato sulle mediane mostra una produttività del lavoro simile ma con le imprese europee con una più alta intensità di R&S e una più bassa redditività. Il confronto (basato sulle mediane) tra le imprese spaziali europee e l’uso alternativo delle risorse mostra i veicoli a motore, la farmaceutica e l’insieme di tutte le imprese con una più alta produttività 235 del lavoro, una produttività in termini di valore aggiunto uguale o maggiore e una redditività100 uguale o maggiore. Ma le imprese spaziali europee mostrano una intensità di R&S superiore se paragonata a quella dei veicoli a motore e di tutte le altre imprese. Inoltre, sulla base di alcuni indicatori di risultato, alcune singole imprese come EADS, Finmeccanica e Thales mostrano risultati superiori se comparati con un uso alternativo delle risorse (ma solo Finmeccanica ha mostrato una redditività superiore e solo se paragonata con i veicoli a motore)101. La farmaceutica è un settore ad alta redditività dove i finanziamenti possono essere usati per supportare la propria elevata intensità di R&S. 100 Gli Annual Reports di alcune compagnie portano dati anche sulle vendite e la redditività di diverse divisioni. Per esempio, EADS mostra come nel 2008, la redditività del suo settore spaziale era il 5% delle sue vendite, paragonato con il 7% delle vendite per la difesa e la sicurezza. Similarmente, per Finmeccanica nel 2008, lo spazio si è rivelato il settore a più basso profitto tra tutti i suoi business: profitti del 6.5% sulle vendite a confronto dell’11.6% per gli elicotteri e 11.4% per i sistemi di difesa. Questi dati mostrano come per queste industrie lo spazio sia un business a basso profitto (misurato dai profitti sulle vendite). 101 Una correlazione di rango tra le dimensioni delle compagnie misurate dalle vendite e dalla redditività ha mostrato un coefficiente positivo ma non significativo di R=0.09. 236 Tabella 7.3. Risultati delle imprese, 2007/08 Impresa Vendite Produttività del Produttività del R&S, Profitto, (£milioni) lavoro: lavoro: valore quota sulle quota sulle vendite per aggiunto per vendite vendite addetto addetto (%) (%) (£000s) (£000s per addetto) EU spazio: EADS 28735 246.7 66.0 6.9 -0.3 Finmeccanica 8752 149.1 60.5 16.4 8.5 SAFRAN 8442 160.8 45.9 7.7 0.5 Thales 9031 147.6 64.5 7.6 5.9 QinetiQ 1366 100.2 55.1 1.0 5.4 14309 172.4 66.6 1.2 7.6 Rolls-Royce 7435 192.6 72.9 6.1 6.9 Cobham 1061 118.0 58.6 5.2 15.5 33350 209.4 NA 5.8 9.5 21030 150.2 NA 2.9 10.7 16092 131.3 NA 1.7 9.3 436231 195.5 59.8 4.7 5.6 45595 230.5 130.0 16.1 28.4 273851 201.7 63.5 3.4 11.8 EU non-spazio: BAE US space Boeing Lockheed Martin Northrop Grumman Veicoli a motore europei Farmaceutiche europee Insieme di tutte le imprese Fonti: BERR (2008a; 2008b) Note: i) I dati per i veicoli a motore e le imprese farmaceutiche sono quelli delle top 750 imprese europee per vendite, sia nella misura della produttività che della redditività. Le quote di R&S per questi settori sono basate sulle top 1400 imprese globali. Bisogna notare che questi dati riguardano aggregati di imprese e sono più simili a stime sull’industria piuttosto che a dati sulle singole imprese. 237 ii) I dati sulla produttività in termini di valore aggiunto sono basati sulle top 750 imprese europee. Tutti gli altri dati sono basati sulle top 1400 imprese globali nel settore aerospaziale e della difesa. iii) L’insieme di tutte le imprese è costituito dall’aggregato dalle 1400 imprese per tutti i dati, tranne la produttività in termini di valore aggiunto che è basato sulle top 750 società europee. iv) ND: non disponibile. Inoltre, i dati sulla R&S sono limitati perché includono solo la R&S finanziata dalle imprese ed escludono quella finanziata dal governo. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AGHION P. e P.HOWITT, 2009, The Economics of Growth, MIT Press, Cambridge, Mass. AIELLO F. e P. CARDAMONE, 2006, R&D spillovers and firms’ performance in Italy. Evidence from a flexible production function, Empirical Economics, 34 BACH L., P.COHENDET e E.SCHENK, 2002, Technological Transfers from the European Space Programs: A Dynamic View and Comparison with Other R&D Projects, Journal of Technology Transfer, 27 BERNSTEIN J.I. e M.I. NADIRI, 1988, Interindustry R&D Spillovers, Rates of Return, and Production in High-Tech Industries, American Economic Review, vol.78, n.2, maggio BERR , 2008a, The 2008 R&D Scoreboard, Department for Business Enterprise and Regulatory Reform, London (Top 850 REGNO UNITO and 1400 global companies). BERR, 2008b, The 2008 Value Added Scoreboard, Department for Business Enterprise and Regulatory Reform, London (Top 800 REGNO UNITO and 750 European companies). COHENDET P., 1997, Evaluating industrial indirect effects of technology programs: the case of the European Space Agency, OECD Conference on Policy Evaluation in Innovation and Technology, Parigi, 26-27 giugno DANISH AGENCY FOR SCIENCE, TECHNOLOGY AND INNOVATION, 2008, Evaluation of Danish Industrial Activities in the European Space agency (ESA)., Ramboll Management EVANS M.K., 1976, The Economic Impact of NASA R&D Spending. Executive Summary. Chase Econometrics Associates, Contract NASW-2741, stralci in, LOGSDON J. M., Exploring the Unknown, Vol III: Using Space, NASA, 1998 GOTO A. e SUZUKI K., 1989, R&D Capital, Rate of Return on on R&D Investment and Spillover of R&D in Japanese Manufacturing Industries, The Review of Economics and Statistics, vol.71, 4 (novembre) GRIFFITH R., S., REDDING e J. VAN REENEN, 2000, Mapping the Two Faces of R&D: Productivity Growth in a Panel of OECD Industries, CEPR Discussion paper 2457 GRIFFITH R., S., REDDING e J. VAN REENEN, 2004, Mapping the Two Faces of R&D: Productivity Growth in a Panel of OECD Industries, Review of Economics and Statistics, novembre 2000, 86 (4) 238 GRILICHES Z., 1979, Issues in Assessing the Contribution of Research and Development to Productivity Growth, Bell Journal of Economics, 10 GRILICHES Z., 1992, The search for R&D Spillovers, Scandinavian Journal of Economics, 94 GRILICHES Z., 2000, R&D, Education and Productivity, Harvard University Press, Cambridge, Mass. GRILICHES Z. e F. LICHTENBERG, 1984 a, R&D and Productivity Growth at the Industry Level: Is there Still a Relationship?, cap. 21 in GRILICHES Z., a c.di, R&D, Patents and Productivity, University of Chicago Press, Chicago GRILICHES Z. e F. LICHTENBERG, 1984 b, Interindustry Technology Flows and Productivity Growth: A Reexamination, Review of Economics and Statistics, maggio 1984 MOHNEN P., 1996, R&D Externalities and Productivity Growth, STI Review, vol.18 JAFFE’ A.B., 1986, Technological Opportunity and Spillovers of R&D: Evidence from Firms’ Patents, Profits, and Market Value, American Economic Review, vol 76, n.5, dicembre JAFFE’ A.B., M.F. FOGARTY e B.A. BANKS, 1998, Evidence form Patents and Patent Citations on the Impact of NASA and Other Federal Labs on Commercial Innovation, Journal of Industrial Economics, vol. XLVI, giugno 1998, n.2 JONES C., 2002, Introduction to Economic Growth, Norton & Co, New York LOS B. e B. VERSPAGEN, 2000, R&D Spillovers and productivity: Evidence from U.S. manufacturing microdata, Empirical Economics, 25 MRI – MIDWEST RESEARCH INSTITUTE, 1971, Economic Impact of Stimulated Technological Activity. Final Report, Contract NASW 2030, 15 ottobre 1971, stralci in, LOGSDON J. M., Exploring the Unknown, Vol III: Using Space, NASA, 1998 NADIRI M.I., Innovations and Technological Spillovers, NBER, WP 4423, agosto NELSON R.R., 1988, Modeling the Connections in the Cross Section Between Technical Progress and R&D Intensity, Rand Journal of Economics, agosto NORWEGIAN SPACE CENTER, 2008, Annual Report 2007. SCHANKERMAN M., 1981, The Effect of Double-Counting and Expensing on the Measured Returns to R&D, Review of Economics and Statistics, vol.63, n.3 (agosto) SCHERER F. M., 1982, Inter-Industry Technology Flows and Productivity Growth, Review of Economics and Statistics, novembre 1982 SCHERER F.GM., 1984, Using Linked Patent and R&D Data to Measure Inter-Industry Technology Flows, capitolo 20 in GRILICHES Z., a c.di, R&D, Patents and Productivity, University of Chicago Press, Chicago SOLOW R.M., 1957, Technical Change and the Aggregate Production Function, Quarterly Journal of Economics, 70 (febbraio) 239 SVEIKAUSKAS L., 2007, R&D and Productivity Growth: A Review of the Literature, U.S. Bureau of Labor Statistics, Working Paper 408, settembre TSAI K.H. e WANG J.C., 2004, R&D, Productivity and the Spillovers Effects of High-tech Industry on the Traditional Manufacturing Sector: The case of Taiwan, The World Economy, vol 27(10) VERSPAGEN B., 1997, Estimating International Technological Spillovers Using Technology Flow Matrices, Welwirtschaftliches Archiv, vol 133 (2) 240 CAPITOLO 8. IL PROGRESSO TECNOLOGICO ED I SUOI SPILLOVERS SECONDO I MODELLI EVOLUTIVI 8.1. Introduzione Nel corso degli ultimi 30 anni, lo sviluppo del cosiddetto “approccio evolutivo” alla analisi della innovazione, della dinamica industriale e – più in generale – del cambiamento economico, ha sostanzialmente arricchito la comprensione di questi fenomeni e di riflesso anche la consapevolezza delle implicazioni di politica economica per la scienza, la tecnologia e l'innovazione. In questo Capitolo saranno prima discussi i principi fondamentali di questo approccio e le implicazioni che ne derivano per la concettualizzazione delle fonti e delle procedure dell'innovazione. In seguito, questi concetti – e l'evidenza empirica a sostegno – sono utilizzati per discutere il ruolo e le caratteristiche degli “effetti indiretti” o spillover) dell'attività innovativa. 8.2. Le ipotesi di base dell'approccio evolutivo Semplificando al massimo, l'approccio evolutivo si distingue in primo luogo per l'attenzione posta al cambiamento come caratteristica essenziale dei fenomeni economici: l'oggetto primario dell’analisi non è quindi tanto l'equilibrio, quanto i processi dinamici che possono spiegare l'osservazione di una determinata situazione dell'economia. In questo senso, un equilibrio - se esiste – deve essere necessariamente spiegato come punto di arrivo di uno specifico processo dinamico ipotizzato dall'analista, invece che essere assunto a priori. A maggior ragione, un dato fenomeno economico non deve essere necessariamente interpretato come un equilibrio, ma – appunto – come la particolare realizzazione di un processo dinamico anche al di fuori dell'equilibrio. L'innovazione ed il progresso tecnologico sono, in effetti, una delle cause principali del cambiamento economico, sia a livello micro (in singoli settori industriali) che macro. In questo senso, l'approccio evolutivo si allaccia strettamente alla tradizione schumpeteriana, che considera appunto l'innovazione il motore principale della competizione e dello sviluppo industriale ed economico. L'analisi delle fonti e delle procedure del progresso tecnologico costituisce dunque un terreno prioritario e privilegiato di indagine. 241 Una seconda caratteristica essenziale dell'approccio evolutivo consiste nel sottolineare i limiti cognitivi che gli agenti economici necessariamente presentano in contesti complessi e in continuo cambiamento. A differenza dell'approccio tradizionale, viene posta in discussione l'ipotesi che gli agenti economici siano in grado di comprendere perfettamente l'ambiente in cui operano né tantomeno prevedere con sufficiente accuratezza il futuro. Viene quindi rifiutata l'ipotesi di razionalità perfetta, normalmente espressa nei modelli tradizionali come massimizzazione di una funzione obbiettivo sotto vincoli dati. Piuttosto, i comportamenti economici vengono interpretati come caratterizzati da razionalità limitata, riprendendo e sviluppando i contributi in questo campo di Herbert Simon e della “Carnegie School” da un lato e degli sviluppi più recenti dell'applicazione della psicologia cognitiva all'economia (Kahnemann e Tversky, 2000) dall'altro (il nuovo approccio “comportamentista”). Secondo questi approcci – che hanno origine in larga misura da ricerche sperimentali e da analisi empiriche dirette - le procedure di scelta e più in generale i comportamenti reali di individui ed imprese – sono tipicamente e strutturalmente caratterizzati da “errori” e deviazioni sistematiche dalle ipotesi della razionalità perfetta. Inoltre, i comportamenti sono fondamentalmente basati sull'utilizzo di regole, routine ed euristiche robuste anche se non ottimali in senso stretto: ad esempio, l'investimento in R&S è normalmente stabilito a partire da una quota relativamente stabile del fatturato, in linea con l'intensità di R&S “tipica” del settore e delle imprese concorrenti. L'enfasi sulla razionalità limitata tuttavia non solo non esclude ma anzi attribuisce maggiore importanza all’innovazione rispetto ai modelli classici. Proprio in quanto gli agenti economici non sono in grado di comprendere a fondo l'ambiente circostante e le sue future modificazioni, né agiscono in modo ottimale, opportunità di innovazione sono sempre disponibili e possono essere individuate e realizzate mediante processi di apprendimento e conseguente “scoperta” di nuove alternative, anche se in condizioni di permanente incertezza. Sulla base di queste premesse generali, l'approccio evolutivo ha contribuito a sviluppare una nuova visione delle determinanti, delle fonti e delle modalità con cui l'innovazione ed il progresso tecnologico sono generati, si sviluppano e si diffondono nell'economia. Questa interpretazione consente di arricchire sostanzialmente gli approcci più tradizionali e di suggerire importanti implicazioni per la valutazione degli effetti delle innovazioni e, in generale per le politiche pubbliche per la scienza e la tecnologia. 8.3 Le proprietà dell'innovazione e del progresso tecnologico nell'approccio evolutivo 8.3.1 Concettualizzazioni della tecnologia e della innovazione 242 L’analisi delle procedure e delle fonti dell'innovazione e del progresso tecnologico nell'approccio evolutivo è fondata su questi principi concettuali e sulla sistematizzazione di una ormai immensa mole di studi storici ed empirici sull’evoluzione delle tecnologie. Allo scopo di caratterizzare adeguatamente questa interpretazione, può essere opportuno prima distinguere – brevemente e in modo altamente semplificato – tre approcci diversi alla concettualizzazione della tecnologia e dell'innovazione che sono presenti nell’analisi economica. 8.3.2 Innovazione come atto casuale In primo luogo, l'innovazione può essere rappresentata come un fenomeno puramente casuale ed esogeno al sistema economico. Per molti anni, ad esempio, questa concettualizzazione è stata alla base dei modelli di crescita economica, dove la tecnologia arriva come manna dal cielo ed è generata da “Dio, dagli scienziati e dagli ingegneri”. Questa rappresentazione è ovviamente insoddisfacente per almeno due motivi. Da un lato, essa rinuncia a fornire una spiegazione dei processi economici e sociali che sono chiaramente fondamentali nell'influenzare i tassi e le direzioni del progresso tecnologico, almeno dalla Prima Rivoluzione Industriale in poi. La creazione dei laboratori di R&S nell'industria chimica tedesca nella seconda metà del XIX secolo e la successiva diffusione di questa forma organizzativa ad altri settori ed altri paesi (in particolare gli USA nel secolo successivo) sono forse l'esempio più chiaro di come la tecnologia e l'innovazione possano essere disciplinate e consapevolmente utilizzate a scopi economici. D'altro lato, la concettualizzazione dell'innovazione come “atto casuale” in effetti, cattura una proprietà fondamentale de progresso tecnologico, cioè la sua intrinseca imprevedibilità ed incertezza. Tuttavia, la struttura dei processi casuali di generazione delle innovazioni è certamente più complessa ed articolata di quanto suggerito – almeno in prima approssimazione – da questa visione, cioè come “shocks” indipendenti e identicamente distribuiti. 8.3.3 Tecnologia e innovazione come informazione Una seconda concettualizzazione identifica la tecnologia a informazione e il progresso tecnologico come produzione e acquisizione di nuova informazione. Il concetto di funzione di produzione esemplifica questo aspetto. La funzione di produzione specifica – almeno in linea di principio – le condizioni tecniche necessarie per produrre un particolare prodotto (in diversi volumi). La funzione di produzione fornisce cioè l'informazione necessaria per produrre e come tale è codificata in una serie di istruzioni, blueprints, disegni, ecc. Questa concettualizzazione della tecnologia ha grandissimi pregi e in particolare pone in evidenza in modo molto chiaro come l'innovazione implichi necessariamente importanti “fallimenti del mercato” (Arrow (1962), Nelson (1959) e (1962)). 243 Infatti, in primo luogo, la produzione di informazione comporta indivisibilità (il valore di mezzo teorema di Pitagora è vicino a zero), costi affondati significativi ma costi variabili (al limite) nulli: l'informazione può essere in linea di principio riprodotta ed utilizzata continuamente da chiunque. In questo senso, la produzione di informazione implica economie di scala e più in generale rendimenti crescenti, perché il costo unitario si riduce all'aumentare del volume del suo utilizzo. Inoltre, l'informazione ha le caratteristiche di un bene pubblico: essa non gode cioè delle proprietà di non rivalità nel consumo (l'utilizzo da parte di un agente non riduce la disponibilità per altri) e – in assenza di ulteriori vincoli – di escludibilità (una volta che l'informazione sia stata prodotta chiunque può averne accesso a costo zero). Per queste ragioni, agenti economici motivati dal profitto non investiranno in queste attività in quanto non possono appropriarsi privatamente dei benefici economici che ne derivano: l'innovazione richiede necessariamente potere monopolistico. Più in generale, un’economia perfettamente concorrenziale è inevitabilmente caratterizzata da sottoinvestimento in attività innovative. Le classiche “soluzioni” a questi fallimenti del mercato consistono nell'intervento pubblico, in due forme principali: il finanziamento pubblico della ricerca e/o la concessione all'inventore di diritti di escludere i potenziali utilizzatori dal consumo gratuito, tramite, ad esempio, la concessione di diritti di proprietà intellettuale. L'inventore può anche mantenere segreta l'innovazione: in ogni caso, l'attività innovativa implica un trade-off tra “efficienza dinamica” - il progresso tecnologico – e “efficienza statica”, cioè le perdite di benessere sociale che derivano dal potere monopolistico ottenuto dall'inventore e dalle restrizioni all'utilizzo delle innovazioni. Le proprieta' della tecnologia e dell'innovazione in quanto informazione comportano inoltre altre importanti imperfezioni. I mercati dell'informazione sono per loro natura imperfetti, perché per definizione lo scambio implica asimmetrie: chi “vende” conosce la qualità del proprio prodotto, ma il compratore può verificarla solo dopo che lo scambio sia stato effettuato. La verifica “ex-ante” del contenuto e della qualità del bene richiederebbe il trasferimento del prodotto stesso a costo nullo. Più in generale, i mercati dell'informazione comportano costi aggiuntivi e un volume di scambi inferiore a quello che sarebbe nozionalmente ottimale. 8.3.4 Informazione, conoscenza e apprendimento Questi contributi hanno senza dubbio posto le basi per la moderna analisi economica dell'innovazione e continuano ed essere uno strumento concettuale fondamentale, con implicazioni profondissime sulle teorie contemporanee della crescita economica e del commercio internazionale 244 (Romer, Krugman). Tuttavia, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, l'accumulazione di un vastissimo corpo di studi multidisciplinari (storia, management, sociologia, economia, ecc.) sulla tecnologia e l'innovazione ha progressivamente portato all’affermazione di una nuova concettualizzazione, definita come la “Sintesi Stanford-Yale-Sussex” (SYS), (cf. Dosi, Llerena and Sylos Labini, 2006) che è alla base dell'approccio evolutivo e ne incorpora i principi essenziali. Questa interpretazione riconosce le intuizioni fondamentali dell’economia dell'informazione ma aggiunge che la conoscenza scientifica e tecnologica ha ulteriori importanti proprietà specifiche e approfondisce sostanzialmente l'analisi delle modalità attraverso cui essa è generata e utilizzata nei sistemi economici contemporanei (Freeman, 1982, 1994; Freeman and Soete, 1997; Nelson, 1981; Nelson and Winter, 1977 e 1982; Pavitt, 1987 e 1999; Rosenberg, 1976 e 1982; Winter, 1982, 1987, e 2006; David,1993 e 2004 Dosi, 1982 e 1988). In primo luogo, la SYS e l'approccio evolutivo sottolineano una distinzione profonda tra informazione e conoscenza (tecnologica). Quest'ultima senza dubbio incorpora, ma non è completamente riducibile a informazione, cioè ad un insieme ben definito e codificato di affermazioni e istruzioni. La conoscenza include invece categorie cognitive e codici di interpretazione dell'informazione stessa. Inoltre, la conoscenza è caratterizzata da una forte componente tacita, che non è cioè completamente articolata ed espressa: “sappiamo più di quanto non possiamo esprimere” (Polany, 1966). Semplificando al massimo, un manuale sulla produzione di un aereo (la funzione di produzione) si avvicina alla nozione di informazione, mentre la conoscenza implica anche le capacità del lettore di comprendere, contestualizzare ed eseguire le istruzioni contenute. Analogamente, per ricordare l'esempio classico utilizzato da Nelson e Winter (1982), la preparazione di una torta non è può essere semplicemente ridotta alla lettura di una ricetta (per quanto dettagliata) ed all’acquisizione degli ingredienti, ma richiede le capacità di interpretare i termini utilizzati ed il gergo; di reinterpretare le istruzioni e di collegare questa informazione alla propria esperienza ed al contesto specifico in cui ci si trova ad operare; e di realizzare effettivamente le operazioni suggerite. Da questo punto di vista, la conoscenza tecnologica e più in generale produttiva va molto al di là della specificazione degli input ma comprende in modo critico le procedure ed i processi necessari per trasformare gli input in output. In estrema sintesi, dunque, la conoscenza tecnologica implica quindi la disponibilità di capacità, skill e competenze. L'evidenza empirica mostra come queste competenze siano sia in larga misura immagazzinate, organizzate ed espresse in routine ed euristiche, proprio come proposto dall'approccio della razionalità limitata. La ricerca ha anche evidenziato come queste regole e sistemi di regole manifestano alcune importanti proprietà: in particolare, esse sono specifiche e locali, perché per quanto generali, esse sono applicabili ed applicate a problemi particolari, nell'ambito di contesti 245 differenziati e da soggetti diversi (e quindi anche con risultati eterogenei). Inoltre, esse sono “complesse”, in quanto sono fondate sulla padronanza e sull’integrazione - secondo schemi concettuali particolari anch'essi specifici - di diverse basi di conoscenza. Se la conoscenza non è semplicemente informazione, l'innovazione non è riconducibile solo ad un processo di acquisizione di nuova informazione. Piuttosto, l'innovazione è concepita come risultato di un processo di apprendimento, che implica appunto l' applicazione di specifiche categorie e procedure per definire, decomporre e risolvere i problemi; e lo sviluppo di nuove routines e competenze. 8.3.5 Implicazioni Queste caratteristiche della conoscenza tecnologica hanno alcune importanti implicazioni per la comprensione e la spiegazione dell’evoluzione delle tecnologie. In primo luogo, questo approccio porta a qualificare la nozione che l'innovazione debba essere considerata “semplicemente” come un bene pubblico. Certamente, il progresso tecnologico produce benefici sociali maggiori di quelli privati. Ma la replicazione della conoscenza tecnologica non avviene normalmente a costi irrilevanti – anche in assenza di esplicite barriere – ma richiede l'acquisizione e lo sviluppo delle capacità necessarie per utilizzare l'informazione. Non solo i costi, ma anche le modalità con cui la conoscenza può essere replicata variano, in effetti, significativamente tra tecnologie (Winter and Szulanski, 2001 and 2002). Ma in generale, la componente tacita e specifica della conoscenza tecnologica implica che la replicazione e l'apprendimento richiedano pratica, osservazione e esposizione diretta alle procedure, interazioni faccia a faccia, accumulazione di esperienza. In secondo luogo, l'innovazione in quanto processo di apprendimento implica quasi per definizione cumulatività, o in gergo più tecnico, rendimenti crescenti dinamici: ciò che è possibile apprendere dipende in modo cruciale da quanto si conosce già. I tassi e le direzioni del progresso tecnico sono cioè fortemente influenzati dalle competenze acquisite in passato. Ciò significa anche che l'innovazione è quasi intrinsecamente un processo “path-dependent”: in altri termini, ciò che si conosce ora e che cosa e quanto sarà possibile apprendere in futuro dipende dalla storia passata, incorporata nelle competenze e capacità specifiche accumulate. La presenza di rendimenti crescenti dinamici implica anche, però, che l’evoluzione della tecnologia possa seguire percorsi complessi e a volte imprevedibili, che presentano ad esempio “lunghi” periodi di stabilità intervallati da transizioni di fase e improvvisi radicali mutamenti. Analogamente, la presenza di rendimenti crescenti può portare 246 a cosiddetti fenomeni di “lock-in”, cioè di situazioni in cui una soluzione tecnologica inferiore può restare dominante (David, 1985). In questo senso, queste osservazioni forniscono un primo fondamento all’idea, ormai ampiamente riconosciuta, che le tecnologie avanzino secondo un processo evolutivo, nel senso che esso è generato da una varietà di attori e basi conoscitive e procede in larga misura in modo cumulativo sulla base dei risultati ottenuti in precedenza attraverso prove ed errori, fallimenti e successi spesso del tutto inattesi. Anche se l'industrializzazione della ricerca e sviluppo e la costituzione di strutture espressamente dedicate alla scoperta ed al miglioramento delle tecnologie – i laboratori di R&S nelle grandi imprese e nei grandi centri di ricerca - hanno introdotto nel processo innovativo fortissimi elementi organizzativi, quasi mai l'innovazione deriva da processi di analisi perfettamente razionali, che implicano cioè un’analisi completa delle possibili alternative e previsioni accurate . Piuttosto, l'avanzamento tecnologico dipende in modo da sostanziale da procedure, routine ed euristiche imperfette ed esse stesse soggette a miglioramenti e modifiche. Nelle economie industriali moderne, i risultati di questi processi di apprendimento sono poi oggetto di processi di selezione multipli, che includono i processi decisionali interni alle imprese, la valutazione delle comunità tecniche e scientifiche e naturalmente la competizione industriale ed il mercato. A differenza della selezione naturale darwiniana, i mutamenti tecnologici non sono puramente casuali, ma derivano da comportamenti orientati e motivati da una molteplicità di incentivi come il profitto, ma anche la sicurezza nazionale, il benessere collettivo, la reputazione ed il prestigio dei ricercatori stessi. Tuttavia, analogamente al modello darwiniano, anche i processi di selezione sono “miopi” ed imperfetti. 8.3.6 Paradigmi e traiettorie Una ulteriore importante qualificazione riguarda la dinamica del progresso tecnologico ed i meccanismi che ne influenzano i tassi di avanzamento e le direzioni. In particolare, l’approccio evolutivo e la SYS sottolineano come gli avanzamenti tecnologici non siano interamente spiegabili come fenomeni puramente casuali, ma neppure come completamente “plastici” agli incentivi di profitto degli agenti economici, alle dinamiche sociali o politiche. Questi fattori sono senz'altro di primaria importanza. Ma la dinamica del progresso tecnologico mantiene una propria intrinseca autonomia e definisce i confini entro i quali questi fattori possono effettivamente operare. Le prime concettualizzazioni della tecnologia e dell’innovazione viste in precedenza hanno suggerito visioni diverse secondo le quali, estremizzando, da un lato il progresso tecnico è fondamentalmente determinato esogenamente e dall'altro esso dipende dagli incentivi di profitto attesi 247 degli agenti economici (e dagli interventi pubblici che si ritengano necessari per ovviare almeno parzialmente ai fallimenti del mercato). Dal punto di vista empirico, questa distinzione concettuale ha dato origine ad una controversia tra una visione secondo cui l'innovazione è fondamentalmente “spinta” dai progressi scientifici e tecnologici (technology push) ed un’interpretazione alternativa che suggerisce invece che l'innovazione sia “tirata” dalla domanda da parte degli utilizzatori (demand pull). Evidentemente, questa contrapposizione è eccessivamente semplificata e l’evidenza empirica al riguardo è non sorprendentemente scarsamente conclusiva: in generale, si tende a ritenere oggi che ovviamente entrambe le direzioni di causazione siano importanti ed interagiscano tra loro, anche se l'interpretazione “ technology push” sembri essere più adeguata a dare conto delle innovazioni più radicali, mentre la spinta della domanda spieghi soprattutto il progresso incrementale. In effetti, è ormai ampiamente accettato che il cambiamento tecnologico procede seguendo specifici paradigmi e traiettorie che definiscono, vincolano e delimitano ciò che è ritenuto possibile e desiderabile dal punto di vista tecnico ed economico. La discussione precedente suggerisce che ciascuna tecnologia sia costituita da (a) una specifica base di comprensione dei fenomeni rilevanti, in parte pubblicamente disponibile, in parte protetta privatamente ma anche in larga misura condivisa tra i soggetti professionali attivi in quel campo; (b) una specifica base di conoscenza “pratica” e procedurale, che include conoscenza tacita incorporata in individui e organizzazioni; e (c) una specifica nozione di che cosa possa e si voglia ottenere, ad esempio sotto forma di particolari “design” di un prodotto. Ad esempio, nel caso di aeroplano, gli attributi di base includono gli input e i costi di produzione, ma anche caratteristiche tecniche essenziali come il carico delle ali, il peso al decollo, velocità, distanza percorribile, ecc. Questi elementi possono essere considerati insieme come costitutivi di un paradigma tecnologico (Dosi, 1982, 1988). Un paradigma incorpora una visione, una definizione dei problemi rilevanti che devono essere affrontati e delle metodologie di indagine necessarie per risolvere tali problemi. Un paradigma implica allo stesso tempo una visione dei bisogni degli utilizzatori e quindi del valore degli attributi dei prodotti e dei servizi; ma anche i principi tecnico-scientifici che guidano la ricerca. In generale, un paradigma definisce specifiche modalità di soluzione di particolari problemi tecno-economici basati su principi derivati dalle scienze naturali e sulle regole da utilizzare per acquisire nuove conoscenze; in altri termini esso fornisce una comprensione (imperfetta) di come e perché le pratiche prevalenti di ricerca effettivamente funzionino. I paradigmi tecnologici quindi forniscono il riferimento per gli sforzi innovativi e li indirizzano e canalizzano lungo traiettorie distinte e relativamente stabili di miglioramento. Ad 248 esempio, gli avanzamenti nelle tecnologie aeronautiche hanno seguito due traiettorie differenti -una civile, l'altra militare – caratterizzate da progressi nei trade-off tra potenza, peso lordo al decollo, velocità di crociera, carico delle ali e distanza di crociera (Sahal, 1985; Frenken, Saviotti e Trommetter, 1999; Frenken e Leydesdorf, 2000; Giuri, Tomasi e Dosi, 2006). Analogamente, nella microelettronica i progressi tecnici sono rappresentati con accuratezza da una traiettoria esponenziale di miglioramento nella relazione tra densità di un chip, velocità di calcolo e costo per bit di informazione (Dosi, 1984). Più in generale poi, esistono traiettorie naturali comuni a (quasi) tutti i paradigmi tecnologici come le tendenze alla meccanizzazione e alla'automazione dei processi produttivi. Un'altra traiettoria che si riscontra frequentemente consiste nelle curve di apprendimento, cioè nella riduzione esponenziale dei costi all'aumentare della produzione cumulata. Le curve di apprendimento riflettono processi come learning -by-doing e – by-using, accumulo di esperienza, ecc. 8.3.7 Regimi tecnologici I paradigmi tecnologici focalizzano e organizzano il progresso tecnico lungo traiettorie specifiche. Gli stimoli provenienti dal mercato o dalla società nel suo complesso operano dunque all'interno di questi confini, ma – per quanto importanti - difficilmente sono in grado di plasmare completamente i tassi e le direzioni dell'innovazione. Inoltre, paradigmi diversi implicano ovviamente modalità alternative attraverso cui l'innovazione procede e si organizza. In questo senso, non esiste “la tecnologia”, ma insiemi di tecnologie differenti, che presentano logiche e modalità di sviluppo autonome. In effetti, una delle osservazioni - apparentemente più ovvia ma concettualmente fondamentale – offerta dalla SYS e dall'approccio evolutivo si riferisce alla varietà di forme che l'innovazione assume tra tecnologie e settori industriali. Tuttavia, progressi significativi sono stati ottenuti nella concettualizzazione di che cosa diversi paradigmi tecnologici abbiano in comune ed in che cosa differiscano, in particolare per quanto riguarda: a) le fonti della conoscenza su cui essi si basano e le opportunità di innovazione che essi offrono; b) il grado di cumulatività con cui il progresso tecnologico procede all'interno di diverse tecnologie. c) i meccanismi attraverso cui tali opportunità sono effettivamente realizzate e le possibilità che gli innovatori hanno di estrarre benefici economici dalle loro attività tecnologiche; 249 L'insieme delle condizioni di opportunità, appropri abilità e cumulativi definisce un regime tecnologico, cioè le condizioni che contribuiscono a definire le modalità con cui l'innovazione si manifesta nel sistema economico. 8.3.7.1 Opportunità tecnologiche Ciascun paradigma offre diverse opportunità di innovazione. Ad esempio, la possibilità di generare nuovi prodotti o processi è certamente più elevata nel campo aerospaziale e nelle scienze della vita che nel settore del cemento. A loro volta le opportunità innovative sono create e formate da un mix di diverse discipline scientifiche e tecniche e più in generale di basi conoscitive. In alcuni casi, un contributo essenziale alle opportunità di innovazione tecnologica è fornito dal progresso scientifico e dalla sistematica attività di ricerca di organizzazioni pubbliche private. In altri casi, il progresso tecnico è legato solo in modo molto indiretto alla scienza ed è basato invece su esperienza operativa, che cresce soprattutto mediante processi meno formalizzati di learning-by-doing e -by-using. In questi ultimi casi, il ritmo del progresso tecnologico è battuto dall’esperienza accumulata e dalle capacità di incorporare, adattare e utilizzare nuovi macchinari e componenti. L’esistenza di attività di ricerca scientifica dedicata all'obbiettivo di comprendere i principi di funzionamento della natura potenzialmente rilevanti per le attività in questione può incrementare drasticamente il tasso di progresso tecnico. Diversi studi (Klevorick et al. 1995; Nelson and Wolff, 1997) hanno mostrato che i campi tecnologici che sono progrediti più rapidamente sono associati con l'esistenza di forti aree di ricerca scientifica applicata e ingegneristica; e le imprese che operano in questi campi tendono ad avere intensità di R&S superiore alla media. In effetti, l'analisi storica suggerisce che dalla Prima Rivoluzione Industriale in poi il contributo relativo della scienza al progresso tecnico sia sostanzialmente cresciuto. Le ultime grandi rivoluzioni tecnologiche (ad esempio ICT e scienze della vita) derivano in larga misura dalla ricerca scientifica e, più in generale, da ricerca volta a definire esplicitamente le cause dei fenomeni naturali (Mokyr, 1990 e 2002; Nelson, 2003). E' importante sottolineare, però che il contributo della scienza alla tecnologia assume diverse forme. In primo luogo, essa fornisce quasi direttamente nuove opportunità di innovazione tecnologica, aprendo campi di ricerca radicalmente nuovi (ad esempio, genetica molecolare). Anche in questi casi, comunque, la scienza non è sufficiente per lo sviluppo tecnologico, che richiede l'applicazione di conoscenza pragmatica (e tacita): il caso della ricerca biomedica è esemplare in questo senso. 250 Secondo, e probabilmente molto più importante, la ricerca scientifica aumenta la produttività della ricerca tecnologica dimostrando false ed impraticabili alcune possibili direzioni di avanzamento. Terzo, la ricerca accademica risulta avere un’importanza significativa per la soluzione di problemi tecnologici delle imprese attraverso una molteplicità di altri canali (Klevorick et al. 1995, Pavitt 1996): a) strumenti e tecniche di programmazione ingegneristica, incluse la creazione di modelli e la simulazione, oltre alla previsione teorica. b) Strumentazione (si pensi ad esempio all’invenzione del tubo catodico e, più recentemente, alle tecniche di “gene sequencing”). c) Conoscenza di fondo: i ricercatori industriali spesso non sono interessati al contenuto delle pubblicazioni scientifiche, ma all’esperienza ed alla conoscenza tacita che gli autori dimostrano di avere. d) Appartenenza a network professionali nazionali ed internazionali: scienziati ed ingegneri apportano, nell’attività di soluzione di problemi tecnologici, la “conoscenza di conoscenza”, cioè sanno di poter ricorrere agli “skill” di altri colleghi per specifici problemi. In generale, l’evidenza sembra confermare che la ricerca scientifica sia, in effetti, una componente fondamentale dei processi di innovazione tecnologica, soprattutto come strumento che aumenta la capacità di risolvere problemi tecnologici complessi. Tuttavia, questa stessa evidenza suggerisce al tempo stesso che quantificare tale rilevanza appare estremamente difficile; che un ruolo diretto della conoscenza scientifica è riscontrabile solo in alcune tecnologie e settori industriali; che esistono lag significativi, sia in termini di tempo che di spazio nell’impatto della scienza sull’innovazione. Occorre anche sottolineare come la relazione tra scienza e tecnologia non è unidirezionale. Al contrario, in molti casi, avanzamenti tecnologici hanno preceduto la spiegazione scientifica. Tra i casi più noti, il motore a vapore è stato sviluppato prima che Carnot chiarisse le leggi della termodinamica e modellasse il “motore teorico”; la possibilità di costruire un aeroplano in grado di volare è stata dimostrata empiricamente prima che le scienze applicate ne provassero la fattibilità teorica ed i principi sottostanti. La maggior parte dei vaccini oggi disponibili sono stati sviluppati in assenza di una teoria ben definita che ne chiarisse le ragioni della loro efficacia. In molti altri casi, il progresso scientifico è stato reso possibile da avanzamenti tecnologici, soprattutto per quanto riguarda la strumentazione (si pensi al ruolo del microscopio elettronico per la ricerca scientifica nelle life sciences). In effetti, l'esistenza di stretti legami tra i progressi nelle scienze applicate e nelle tecnologie è un fattore determinante nel caratterizzare diversi paradigmi tecnologici. 251 Tuttavia, è importante ricordare che in larga misura il progresso tecnologico, anche in assenza di contributi diretti dalla scienza, procede in modo autonomo ed endogeno, creando continuamente tramite il proprio avanzamento nuove opportunità, soprattutto di sviluppo incrementale. 8.3.7.2 Cumulatività Una seconda proprietà che distingue diversi paradigmi tecnologici, infatti, è il grado di cumulatività dell'innovazione. Come accennato in precedenza, l'apprendimento ha quasi per definizione una natura almeno parzialmente cumulativa. Intuitivamente, questa caratteristica cattura le semplici idee che “successo genera successo” e che l'innovazione normalmente è generata da nani sulle spalle di giganti. La cumulatività riflette anche la natura incrementale del progresso tecnologico. Più in generale, essa riassume la presenza pervasiva di rendimenti crescenti dinamici nei processi di apprendimento, che endogenamente creano nuove opportunità di miglioramento ed indirizzano la ricerca verso traiettorie relativamente rigide ed inflessibili. Il grado di cumulatività varia notevolmente tra paradigmi. Ad esempio, esso è molto forte nelle tecnologie meccaniche (dove tipicamente la nuova generazione di un macchinario industriale è fortemente basata su modifiche del design precedente) o nel software. Viceversa, la cumulatività tende a essere più bassa nella farmaceutica e nella ricerca biomedica, dove la conoscenza accumulata per sviluppare un farmaco antitumorale può essere solo in minima parte rilevante per un nuovo trattamento di problemi cardiovascolari. Inoltre, occorre considerare che la cumulatività si manifesta a diversi livelli di analisi. In alcuni casi, essa è immediatamente osservabile a livello di singole imprese: in altre circostanze, la cumulatività si esprime all'interno di insiemi di soggetti e comunità di ricerca, ad esempio localizzati territoralmente vicini. Elevati livelli di cumulatività a livelli di impresa possono però essere la fonte di fenomeni di lock-in e di rigidità se di fronte all'emergere di discontinuità tecnologiche (ed organizzative) l'impresa trova difficoltà a modificare le proprie traiettorie di ricerca. In questi casi, il progresso tecnologico può essere “distruttivo” delle competenze acccumulate in precedenza, tanto più quando i leader del settore avevano costruito la propria dominanza grazie a processi cumulativi di apprendimento in specifiche direzioni (Tushman and Anderson, 1986). Le difficoltà incontrate da IBM al momento dell'introduzione dei PC o da Microsoft nei browser con lo sviluppo di Internet esemplificano questi casi. 252 8.3.7.3 Appropriabilità L'aspettativa di extra-profitti è certamente un fattore essenziale nel motivare agenti economici privati ad intraprendere attività innovative. La capacità quindi di prevenire o limitare l'imitazione, guadagnando potere monopolistico (per quanto temporaneo) costituisce una pre-condizione necessaria per l'innovazione privata e le condizioni a cui gli innovatori riescono ad appropriarsi dei benefici economici dell'innovazione è una caratteristica fondamentale di diversi paradigmi tecnologici. Tipicamente, il brevetto è considerato come lo strumento principale per assicurare l'incentivo privato all’innovazione. Tuttavia, numerosi studi hanno consistentemente mostrato come il brevetto sia uno strumento importante di appropriablità solo in alcuni settori, in particolare, la farmaceutica e la chimica fine (Mansfield et al., 1981; Levin et al., 1985; Cohen et al., 2002; Arundel, van de Paal and Soete 1995). Viceversa, le imprese dispongono di numerosi altri strumenti per difendersi dall’imitazione, come il segreto (soprattutto per le innovazioni di processo), lo sfruttamento di lead times (essere sempre un passo avanti ai concorrenti sfruttando la cumulatività dell'apprendimento, le curve di esperienza ed altri vantaggi di prima mossa), il controllo di attività complementari, cioè di asset non direttamente connessi all’attività innovativa, ma essenziali per catturarne i benefici economici: ad esempio il marketing o le strutture organizzative e le competenze nelle procedure di approvazione dei prodotti da parte delle autorità pubbliche (Teece, 1986). Inoltre, le stesse competenze e routine organizzative delle imprese costituiscono di per sé importanti ostacoli all’imitazione. L'evidenza empirica mostra come le imprese utilizzino questi strumenti in modo complementare, anche se la loro efficacia ed il grado di appropriabilità complessivo variano notevolmente tra paradigmi e settori. In ogni caso, il rischio di imitazione non sembra rappresentare in generale un ostacolo significativo all’intrapresa di attività innovative, la cui intensità sembra essere essenzialmente determinata dalle opportunità disponibili e dalla cumulatività dell'apprendimento. Diversi studi, ad esempio, hanno mostrato come le tendenze al rafforzamento dei regimi di proprietà intellettuale manifestatesi a partire dagli anni Ottanta negli USA, ma poi anche in Europa e Giappone e a globalmente con i TRIPS e gli accordi commerciai bilaterali non hanno, in effetti, avuto effetti significativi nell'accrescere il tasso di progresso tecnologico, ma in alcuni casi, semmai il contrario (Sakakibara and Branstetter 2001, Kortum and Lerner 1998, Hall and Ziedonis 2001, Lerner 2002, Moser 2003, Qian 2007). La relazione tra grado di appropriabilità e innovazione non è dunque lineare e neppure monotona. Essa è poi almeno parzialmente endogena ai livelli ed alla distribuzione di competenze 253 all'interno di un paradigma e di un settore: ad esempio dall’effettiva presenza di potenziali imitatori e dei loro comportamenti, strategie e capacità tecnologiche. Infine, è importante ricordare che il progresso tecnologico “privato” è stato intimamente legato e complementare al sistema “pubblico”, dove la ricerca di base è essenzialmente finanziata dallo Stato ed è fondata sul modello della “Open Science”, cioè sui principi della peer review e della libera circolazione delle conoscenze. Il regime della Open Science ha convissuto in una fragile divisione del lavoro con il regime “privato” mosso dalle motivazioni di profitto delle imprese, ma ne costituisce una precondizione essenziale. 8.3.8 Regimi tecnologici e pattern dell'innovazione Diversi studi hanno mostrato come specifici regimi tecnologici, cioè combinazioni delle condizioni di opportunità, cumulatività ed appropriabilità, siano legati a diverse modalità con cui si manifestano i processi innovativi. Ad esempio, in alcuni casi le attività innovative si concentrano attorno a poche imprese innovatrici, mentre in altre sono distribuite fra numerose imprese. In alcune tecnologie sono soprattutto le grandi imprese a sostenere l’attività innovativa, mentre in altre sono le piccole imprese ad essere più attive. Il ruolo relativo dei nuovi innovatori e delle imprese incumbent varia significativamente. Di conseguenza, la posizione gerarchica dei maggiori innovatori può rimanere stabile oppure può variare molto velocemente. In generale, i processi innovativi sono caratterizzati da una notevole turbolenza, ma anche – al tempo stesso - da alti livelli di persistenza. Queste differenze nella struttura delle attività innovative possono essere ricondotte alla fondamentale distinzione suggerita da Schumpeter. Egli identificò due modalità principali di processi innovativi. Il modello Schumpeter Mark I è caratterizzato da una “distruzione creatrice”, ovvero dalla facilità di entrata e dal ruolo giocato dai nuovi imprenditori e dalle nuove imprese (Schumpeter, 1932). Il modello Schumpeter Mark II è caratterizzato invece da “accumulazione creativa”: l’innovazione si concentra in poche grandi imprese, che erigono rilevanti barriere all’entrata per i nuovi innovatori (Schumpeter, 1942). i pattern Schumpeteriani dell’innovazione possono essere considerati come risultato di ben definite condizioni di regime. I pattern di tipo Schumpeter I sono determinati da un alto livello di opportunità ed un basso livello di appropriabilità, che favoriscono la continua entrata di nuovi innovatori all’interno dell’industria, oltre che da basse condizioni di cumulatività, che non permettono il permanere di vantaggi monopolistici nelle industrie. I pattern di tipo Schumpeter II sono caratterizzati da alte condizioni di opportunità, appropriabilità e cumulatività, che garantiscono agli innovatori la possibilità di accumulare continuamente conoscenze, competenze tecnologiche e vantaggi innovativi rispetto ai non-innovatori ed ai potenziali entranti (Breschi, Malerba e Orsenigo 2000). 254 L'evidenza empirica mostra come in effetti questa distinzione cattura in modo soddisfacente le diversità settoriali e come esse siano relativamente invarianti tra paesi. Le classi tecnologiche del tipo Schumpeter Mark I si possono trovare specialmente nei settori “tradizionali”, nelle tecnologie meccaniche, nella strumentazione ed in alcuni settori “science-based”. Diversamente, la maggior parte delle tecnologie chimiche ed elettroniche sono caratterizzate dal modello Schumpeter Mark II. Naturalmente i pattern schumpeteriani sono due casi estremi che delineano un gran numero di casi intermedi. Altre indagini propongono tassonomie più precise e dettagliate. In particolare, Pavitt (1984) distingue quattro gruppi di settori: i) “dominati dai fornitori”, dove le opportunità di innovazione sono create tramite l'acquisizione di nuovi macchinari, componenti e altro input intermedi (ad esempio, tessile e abbigliamento, prodotti in metallo); ii) “fornitori specializzati”, che includono i produttori di macchinari industriali o il custom software. In questo caso, il progresso tecnologico è generato soprattutto dall’interazione tra fornitori ed utilizzatori e procede in modo cumulativo mediante il continuo adattamento dei prodotti alle specifiche esigenze dei clienti; iii) “ad alta intensità di scala”, dove le grandi dimensioni della produzione e la presenza di forti economie di scala influenzano le capacità di sfruttare opportunità in parte create endogenamente (tramite R&S formalizzata, ma anche learning-by-doing nel processo produttivo) ed in parte esogenamente da input della ricerca scientifica e dei fornitori specializzati (auto, chimica di base, ecc..) iv) “basate sulla scienza”, le cui opportunità innovative sono strettamente legate ad avanzamenti nelle scienze pure e applicate (microlettronica, informatica, scienze della vita) 8.3.9 Sistemi dell'innovazione I paradigmi e i regimi tecnologici sono caratterizzati da specifiche forme organizzative e sono sorretti da un insieme di istituzioni che governano la ricerca pubblica, la formazione ad un estremo e le interazioni tra produttori, fornitori ed utilizzatori dall'altro. Più in generale, l'innovazione ha luogo e si manifesta diversamente in differenti contesti istituzionali, che non solo forniscono il contesto ma disegnano anche direttamente incentivi ed ostacoli alle attività innovative. La nozione di “sistemi dell’innovazione” è stata proposta proprio per catturare e comprendere la varietà delle forme istituzionali che influenzano i tassi e le direzioni del progresso tecnologico (Freeman 1993, Lundvall 1992, Nelson 1993). Ad esempio, alcuni studi si sono concentrati inizialmente sulla comparazione di diversi sistemi nazionali dell'innovazione ed in particolare sul confronto e sull’identificazione dei vantaggi e degli svantaggi relativi del sistema americano e giapponese (Nelson, 1993). Altri lavori hanno esaminato in dettaglio come le istituzioni finanziarie, i mercati per il lavoro qualificato, la corporate governance, oltre che i sistemi di ricerca e 255 formazione possano assumere forme più o meno coerenti tra loro e favorire ad esempio pattern del progresso tecnologico orientati ai settori basati sulla scienza e all’innovazione “radicale” (le economie “liberali” esemplificate dal modello anglosassone stilizzato) o al perseguimento di traiettorie cumulative e meno rischiose (le economie di mercato “coordinate” dei sistemi dei paesi dell’Europa continentale, in particolare la Germania) (Hall and Soskice, 2001). Al di là dell'enfasi sul ruolo cruciale svolto dai contesti istituzionali, il concetto di sistema dell'innovazione sottolinea soprattutto il carattere interattivo del progresso tecnologico, come fenomeno di apprendimento collettivo. Viene posto in evidenza cioè come gli agenti non operino in isolamento ma innovino traendo le proprie conoscenze e opportunità da un insieme vasto di relazioni competitive e collaborative. Le imprese interagiscono nei loro processi innovativi con università e altri centri di ricerca di base ed applicata, fornitori ed utilizzatori, concorrenti (dai quali possono trarre possibilità di imitazione), altre imprese in settori diversi, ecc. L'innovazione risulta quindi da un sistema di relazioni, la cui struttura deve essere adeguamente descritta e specificata. Negli ultimi anni, in questa prospettiva, si è progressivamente affermato un approccio che prende come unità di analisi proprio la rete di relazioni tra agenti e ne analizza la struttura con gli strumenti della network anaysis. In questo filone, il soggetto dell'innovazione è la rete nel suo complesso e non il singolo nodo. La struttura specifica della rete definisce i modi e l’intensità dei flussi di conoscenza e la posizione del singolo nodo (le sue opportunità, il suo ruolo, ecc.) sono determinati dalla posizione che esso ha nell'insieme della rete. La performance della rete viene quindi a dipendere dalle sue caratteristiche strutturali, come il grado di interconnessione tra i nodi, la densità, la presenza di alcuni nodi centrali, l'assenza o la debolezza di alcuni legami critici o l'esistenza di relazioni “sovrabbondanti” (cioè relazioni molto strette tra nodi molto simili tra loro e che quindi aggiungono conoscenza). Questa impostazione ha iniziato ad avere un notevole impatto anche sulle politiche per la scienza, tecnologia ed innovazione, in alcuni casi implicitamente, in altri in modo del tutto esplicito (come ad esempio in Svezia, Danimarca e Finlandia). Particolare importanza viene attribuita proprio all’instaurazione di legami tra attori differenti, ad esempio attraverso “istituzioni ponte”, centri di trasferimento della tecnologia, ecc. La nozione di sistema dell'innovazione ha evidentemente non solo una dimensione nazionale (la cui importanza persiste anche in presenza dei fenomeni di globalizzazione degli scambi, della produzione e dell’innovazione), ma anche una dimensionale locale e settoriale. La nuova geografia dell'innovazione è strettamente legata al concetto di sistema innovativo e si salda con gli studi dei distretti e dei sistemi locali di produzione nel concetto di sistemi regionali dell'innovazione (Cooke, 2002). Al tempo stesso, la dimensione settoriale continua mantenere una specificità ed una rilevanza autonoma: i sistemi settoriali dell'innovazione (Malerba 2004) si estendono altre i confini regionali e 256 nazionali, ma tendono ad avere caratteristiche simili anche tra paesi e in presenza di contesti istituzionali diversi. 8.4. Gli effetti dell'innovazione, gli spillovers e i flussi di conoscenza 8.4.1 Innovazione e rendimenti crescenti La centralità dell'innovazione ed in generale del progresso tecnologico nel determinare la crescita economica è oggi largamente accettata, anche se permangono forti discussioni sull’entità e soprattutto sulle modalità con cui tale effetto si manifesta. Nell'approccio evolutivo, non sorprendentemente, il ruolo del cambiamento tecnologico è evidentemente essenziale. Tuttavia, le caratteristiche della tecnologia e dell'innovazione evidenziate dalla SYS portano ad approfondire l'analisi dei meccanismi attraverso cui il progresso tecnico influenza la performance di imprese, settori e economie nel loro complesso e offrono al tempo stesso indicazioni perfino più incoraggianti di quanto previsto e misurato dai modelli tradizionali, ma anche notevoli qualificazioni e caveat. Inoltre, l'approccio evolutivo sottolinea la necessità di distinguere ed integrare diversi livelli di analisi: da quello delle singole imprese, dei settori, a quello intersettoriale fino a quello macroeconomico. L' aspetto essenziale del progresso tecnologico – che lo differenzia da altre determinanti delle performance economiche e della crescita – consiste principalmente nella sua natura di fonte di rendimenti crescenti. Tuttavia, mentre l'analisi tradizionale insiste soprattutto sulle caratteristiche dell’innovazione come bene pubblico – cioè una volta sviluppata la tecnologia è in linea di principio disponibile per tutti e può essere utilizzata per creare nuove tecnologie – l'approccio evolutivo avverte che la diffusione e riproduzione delle conoscenze implicano processi molto più articolati. D'altro lato, la cumulatività dei processi di crescita della conoscenza tecnologica introduce forme di rendimenti crescenti dinamici parzialmente diverse, che non si manifestano solo in spillover ma in meccanismi di generazione che si autoalimentano e continuamente creano nuove opportunità di avanzamento. 8.4.2 Innovazione e performance d'impresa e di settori: effetti diretti La disponibilità di database longitudinali a livello di impresa su dati economici e finanziari da un lato ed indicatori dell'attività innovativa dall'altro ha consentito di accumulare una vasta letteratura che indica chiaramente effetti positivi dell'innovazione sulle performance d'impresa, misurate in termini di una varietà di indicatori: livelli e tassi di crescita della produttività più elevati, salari, esportazioni, profitti, sopravvivenza, ecc. (per una rassegna, si veda Brusoni, Cefis e Orsenigo, 2006). 257 In buona misura, questi effetti sono anche persistenti: in altri termini, l'innovazione non si traduce solo in un miglioramento temporaneo delle performance delle imprese, destinato ad affievolirsi nel tempo, ma si traduce in prestazioni sistematicamente migliori di quelle dei concorrenti. Ciò suggerisce che le imprese innovative sviluppino competenze durevoli che consentono loro di affrontare le sfide del mercato meglio dei non-innovatori (Cefis and Ciccarelli, 2005). Ad esempio, le imprese innovative soffrono meno nelle fasi congiunturali sfavorevoli (Geroski, Machin and Van Reenen (1993); Geroski, Van Reenen and Walters (1997)) . Inoltre, l'effetto positivo dell'innovazione sulle performance è più grande e persistente quanto più le imprese innovano persistentemente e non occasionalmente nel tempo. Ciò sembra suggerire che, sebbene l'innovazione sia un fenomeno intrinsecamente casuale, oltre una certa soglia di attività innovativa le imprese siano in grado di continuare ad innovare con sistematicità, sia incrementalmente sia ricreando nuove opportunità sulla base delle competenze costruite. Tuttavia, l'evidenza empirica è più articolata. I dati disponibili mostrano che questi fenomeni di persistenza coesistono con una forte turbolenza: ogni anno, molte imprese innovano per la prima volta e molte imprese cessano di innovare. La maggior parte delle imprese non innova mai o solo occasionalmente. Tuttavia, gli innovatori persistenti danno origine a una quota molta elevata dell’attività innovativa di un settore. Queste relazioni inoltre variano significativamente tra settori e tra paesi, corroborando le ipotesi sulla rilevanza dei regimi tecnologici e dei sistemi nazionali dell'innovazione. In altri termini, tra paesi gli stessi settori mostrano livelli di persistenza più elevati; ed alcuni paesi (ad esempio il Giappone e la Germania) mostrano persistenza più elevata in tutti i settori (Cefis and Orsenigo, 2003). Inoltre, resta molto più difficile stabilire relazioni tra l'innovazione e la crescita delle imprese. In effetti, quest'ultima risulta scarsamente correlata con qualsiasi altra caratteristica delle imprese (comprese produttività e profittabilità) e presenta un andamento “quasi erratico”. L'analisi della crescita delle imprese rimane un problema molto aperto. Anche ad un livello di aggregazione più elevato, cioè a livello di settori, l'evidenza empirica disponibile indica una relazione significativa tra innovazione e performance (in termini di output, produttività e loro crescita), ma soprattutto nei settori ad alta tecnologia. Analogamente si riscontra una relazione tra capacità innovative, velocità di adozione delle nuove tecnologie e esportazioni. Tuttavia, di nuovo queste correlazioni non sono valide per tutti i settori e sono molto più forti nelle industrie ad alta intensità di innovazione. 8.4.3. Effetti indiretti: Rent spillovers e mercati della tecnologia Tuttavia, questi risultati devono essere qualificati dall’osservazione che la crescita e l'innovatività di un’impresa e di settore sono influenzati non solo dalla propria attività innovativa, ma anche da quella effettuata in altre imprese e in altre industrie. Questo risultato non è evidentemente 258 sorprendente. Nella letteratura tradizionale, questo aspetto è tradotto nel concetto di spillover e direttamente legato alla natura di bene pubblico dell'innovazione: all'estremo, questa è la caratteristica della conoscenza tecnologica incorporata nei modelli di crescita endogena (Romer, 1991). Le analisi empiriche mostrano però – assorbendo in modi diversi i risultati dell'approccio evolutivo e della SYS – che i processi attraverso cui la conoscenza fluisce nell’economia prendono forme ed intensità molto diverse, tra settori e nello spazio. E' possibile e necessario però distinguere diverse forme attraverso cui l'innovazione influenza l'attività innovativa di altri agenti economici. Una prima distinzione classica riguarda i flussi di conoscenza che sono regolati da meccanismi di mercato e quelli che invece che passano attraverso altri canali, cioè tra “rent spillovers” e “knowledge spillovers” (Griliches 1979). E' importante inoltre distinguere tra la dimensione settoriale e intersettoriale dei flussi di conoscenza e la dimensione geografica: questi due aspetti sono fortemente sovrapposti tra loro ma mantengono una loro autonomia concettuale. Per quanto riguarda i “rent spillovers”, essi riflettono i benefici dell'innovazione che ricadono sugli utilizzatori, ad esempio sotto forma di input produttivi, macchinari e componenti più efficienti o comunque, in generale, in migliori rapporti prezzo – qualità dei beni. In questo caso, queste “ricadute” dell'innovazione si distribuiscono tra inventori e utilizzatori, fondamentalmente in funzione della struttura del mercato. Tuttavia, il termine spillover è in questo caso improprio perché la ripartizione dei benefici è definita da meccanismi di mercato, per quanto imperfetti. Un'altra categoria importante di “rent spillovers” riguarda i mercati delle tecnologie, cioè lo scambio di conoscenza tecnologica non incorporata direttamente in beni materiali, ma in brevetti, licenze, ecc. L'evidenza storica suggerisce che i mercati delle tecnologie fossero già ampiamente sviluppati all'inizio del XIX secolo negli USA e che essi abbiano svolto un ruolo molto rilevante nello sviluppo industriale e tecnologico di diversi settori e regioni americane (Lamoreaux and Sokoloff, 2001). Più recentemente, è stato mostrato come negli ultimi 20-25 anni si sia manifestata a livello mondiale una forte accelerazione delle royalty da licenze. Allo stesso modo, dati OCSE (2006) mostrano che nei paesi G-8 i pagamenti relativi alle royalty tecnologiche sono aumentati in media del 10,7% all’anno dal 1980 al 2003, ben più della crescita del PIL di questi paesi (Arora, Fosfuri e Gambardella, 2001). In particolare, Arora et al. (2001) argomentano che la produzione di idee e di innovazioni sia diventata un’attività specializzata. Molti ricercatori o tecnologi lavorano in organizzazioni che non integrano la ricerca e l’innovazione con la fabbricazione e la vendita dei prodotti finali. Ad esempio, molte imprese fabless o chipless producono prototipi o meri simulatori del funzionamento di un semiconduttore; oppure esistono imprese biotecnologiche che si concentrano sulla scoperta dei composti che cedono su licenza alle imprese farmaceutiche più grandi; o ancora, produttori di software, nanotecnologie, e così via, si specializzano nella produzione di idee che vendono a chi ha le risorse per svilupparle, produrle e commercializzarle su larga scala (Arora et al., 259 2001). I mercati delle tecnologie non si limitano allo scambio di tecnologie già esistenti, ma riguardano anche lo sviluppo di nuove tecnologie: anche le alleanze nella R&S rientrano in questa categoria e anch'esse sono cresciute in maniera considerevole a partire dagli anni ’80. Date le caratteristiche della conoscenza tecnologica, i mercati per la tecnologia soffrono di numerose imperfezioni e probabilmente sono meno sviluppati di quanto sia nozionalmente possibile. Essi tendono a riguardare conoscenza “generale, astratta e codificata” e, data la struttura dei costi di produzione della conoscenza (elevati costi fissi, costi di riproduzione trascurabili) essi tendono a svilupparsi in tecnologie sufficientemente pervasive da consentire una molteplicità di applicazioni dell'idea di base (Arora et., 2001). In ogni caso, questi mercati soffrono di elevati costi di transazione dovuti ai costi di ricerca dei partner, la paura di opportunismo nelle negoziazioni, la preoccupazione di non vedere garantiti i diritti di proprietà intellettuale. Inoltre, i prezzi a cui possono avvenire gli scambi sono largamente indeterminabili a priori, data la difficoltà di valutare ex-ante la “qualità” della conoscenza scambiata e l'assenza di un riferimento concreto (ad esempio, i costi variabili) su cui ancorare una valutazione. Il prezzo e le condizioni dello scambio dipendono soprattutto dalla contrattazione tra le parti e la negoziazione è tipicamente incerta e lunga. Incertezza, difficoltà e costi di transazione possono essere tenuti sotto controllo attraverso iniziative pubbliche e accordi di associazioni di categoria, ma più in generale, attraverso la formazione di istituzioni o soggetti di intermediazione, come finanziatori, venture capitalist o imprese di maggiori dimensioni in grado di coordinare questi processi. 8.4.4 “Knowledge spillovers” Gli spillover di conoscenza riguardano, in senso stretto i benefici sulla produttività e l'attività innovativa di altre imprese e agenti economici che non sono mediati da transazioni di mercato. Anche in questo caso, possono essere utili alcune distinzioni. In primo luogo, quando la conoscenza è (sufficientemente) codificata ma non perfettamente protetta (dal segreto o dalla proprietà intellettuale, ecc.), le innovazioni generano opportunità di imitazione da parte di imprese concorrenti o operanti in altri settori (spillovers imitation-enhancing). In secondo luogo, la nuova conoscenza può dare luogo a nuove idee ed opportunità, nello stesso campo di applicazione o, più frequentemente, in altri collegati (spillover idea-creating). La distinzione è importante, sia da punto di vista legale che da quello economico. Ad esempio, le leggi sui diritti di proprietà intellettuale non dovrebbero in linea di principio ostacolare gli spillover idea-creating, mentre dovrebbero esplicitamente proteggere gli inventori dagli spillover imitation-enhancing. Dal punto di vista economico, gli spillover ideacreating non implicano immediatamente una maggiore concorrenza nei confronti del'innovatore, in quanto la nuova idea può essere sviluppata in un campo diverso. Questi effetti indiretti dell'innovazione riflettono la caratteristica essenziale della conoscenza tecnologica di essere fonte di rendimenti crescenti, sia in quanto parzialmente bene pubblico sia in 260 quanto intrinsecamente cumulativa, e sono stati studiati negli ultimi anni da una letteratura ormai enorme (si veda il cap. 9) e hanno catturato l'interesse dei policy-maker. In questo ambito, l'approccio evolutivo sottolinea che – per quanto i “knowledge spillover” svolgano un ruolo fondamentale – la trasmissione della conoscenza tecnologica sia vincolata e canalizzata da un insieme di fattori: la conoscenza – in quanto distinta dalla pura informazione - non fluisce senza vincoli come “manna dal cielo”, ma semmai è “appiccicosa” (Pavitt 2001, Dosi, Orsenigo e Sylos-Labini, 2003) e si diffonde tramite una molteplicità di meccanismi in funzione della natura delle tecnologie, dai livelli e distribuzione delle competenze accumulate dagli agenti, dalle caratteristiche organizzative ed istituzionali dei contesti entro i quali essa si localizza. Una prima caratteristica che influenza l'entità degli spillover ha a che fare naturalmente con le proprietà specifiche di ciascun paradigma e regime tecnologico. Da tempo è riconosciuto che alcuni settori o tecnologie svolgono la funzione di motori della crescita tecnologica e della produttività di altri settori. Questa idea è stata catturata in modo estremo dalla nozione di “general purpose technologies” (Bresnahan and Trajtenberg, 1995), cioè tecnologie pervasive, capaci di trovare applicazioni sia nei settori a valle – che utilizzano queste innovazioni come input produttivi – sia in altre industrie collegate orizzontalmente, in contesti eterogenei e sul territorio. Oltre all'impatto immediato all'interno del proprio settore e negli altri a cui vengono applicate, queste tecnologie danno luogo a una serie di innovazioni incrementali che accrescono la qualità dei prodotti e ne riducono i costi. Più in generale, le general purpose technologies abilitano nuovi processi innovativi, diventando motori d'innovazione non solo di prodotti e processi, ma anche e soprattutto creando nuove “tecnologie dell'innovazione”, cioè riducendo i costi della ricerca e introducendo nuovi strumenti e traiettorie di miglioramento. Alla base di questo concetto, si trova l'osservazione che la crescita economica è associata in particolari periodi storici allo sviluppo di particolari tecnologie dominanti che generano grappoli di innovazione: ad esempio, il motore a vapore, l'elettricità ed il motore a combustione interna e oggi le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT). Anche nel caso delle general purpose technologies, tuttavia, la diffusione e la realizzazione delle loro potenzialità richiede tempo – decenni - ed influenza in modo molto differenziato i vari settori dell'economia. Nelle fasi iniziali, non è infrequente osservare anzi rallentamenti nella crescita della produttività (David 1990). Ciò dipende in parte dalla complementarietà o sostituibilità con le tecnologie esistenti ma soprattutto è dovuto alla necessità di sviluppare competenze, assetti organizzativi ed istituzionali nuovi nelle imprese e nell'economia nel suo complesso. In una prospettiva più ampia, la maturazione di una tecnologia richiede profondi cambiamenti strutturali e la faticosa e conflittuale creazione di “paradigmi tecno-economici” (Freeman and Perez (1988), Freeman and Louça (2001). Più in generale, l'impatto di innovazioni in un settore su altre industrie dipende dall’importanza dell'innovazione stessa, e dalla sua pervasività. Ad esempio, diversi studi sui cluster 261 innovativi a livello spaziale (Silicon Valley, ecc.) mostrano come il numero e la performance di nuove imprese create in seguito alle ricerche e alle scoperte effettuate dal sistema della ricerca di base (tipicamente le università) dipendano non tanto dal numero complessivo di ricercatori o dalle loro pubblicazioni totali, quanto dalla presenza di “star scientist” in grado di generare ricerca di altissima qualità (Zucker, Darby and Brewer, 1998). Gli effetti indiretti dell'innovazione dipendono però anche dal grado di cumulatività ed appropriabilità della tecnologia stessa. Elevati livelli di cumulatività possono dare luogo a serie di innovazioni incrementali e alla creazione di nuove opportunità in altri settori. Ad esempio, in alcuni casi, il progresso tecnologico tende ad essere più veloce in aree geografiche fortemente specializzate in particolari tecnologie e settori industriali (le cosiddette externalità “Marshalliane”), in quanto la specializzazione favorisce la circolazione e la riproduzione delle conoscenze lungo traiettorie ben definite. In altri casi, il ritmo dell’innovazione è positivamente associato alla diversificazione produttiva e tecnologica (esternalità Jacobiane, Jacobs 1969). Inoltre, come discusso in precedenza, elevati livelli di appropriabilità possono ostacolare la diffusione della conoscenza tecnologica, soprattutto quando l'innovazione corrisponde a una tecnica di base che può essere utilizzata in diverse applicazioni ed apre la strada a nuovi miglioramenti e utilizzi. Infine, è fondamentale sottolineare come gli spillover di conoscenza siano strettamente legati e vincolati dalle capacità degli agenti non solo di innovare, ma anche e soprattutto di assorbire conoscenza dall'esterno, di comprendere i codici specifici al contesto nei quali essa è strutturata e di incorporarla nelle proprie competenze e routine: cioè dalle capacità di assorbimento (Cohen and Levinthal, 1999). Queste competenze sono a loro volta sviluppate mediante la conduzione di attività innovativa e di ricerca: la ricerca “esterna” non è mai sostituiva, ma semmai altamente complementare alla ricerca “interna”. L'evidenza empirica a questo riguardo è robustissima, sia a livello macroeconomico che in studi micro di singoli settori ed imprese. Ad un estremo, ad esempio, Verspagen (2001) dimostra che dopo gli anni Settanta, la spesa di R&S risulta avere effetti positivi sulla crescita economica dei paesi soprattutto in quanto strumento per acquisire tecnologie prodotte altrove. A livello microeconomico, diversi studi hanno mostrato come la ricerca collaborativa tra imprese (e la sua performance) sia strettamente dipendente dall'impegno autonomo in attività innovative (Roijakkers and Hagedoorn, 2007). Gli spillover tecnologici quindi sono anche determinati dai livelli e dalla distribuzione di competenze nei settori che “ricevono” l'innovazione. In presenza di un tessuto di capacità innovative debole e scarsamente integrato, gli effetti indiretti potenziali del progresso tecnologico non possono manifestarsi. 262 8.4.5 I canali di trasmissione della conoscenza In effetti, i canali ed meccanismi attraverso cui la conoscenza fluisce sono molto differenziati ed articolati. Ad esempio, la Yale Survey (cioè la nota indagine sulla appropriabilità delle innovazioni svolta da diversi economisti della Yale University e successivamente confermata da moltissimi altri studi) (Levin et al, 1987) distingueva sette principali meccanismi di trasmissione della conoscenza, la cui importanza relativa varia significativamente tra settori e tecnologie: I primi due, acquisizione di licenze e R&S indipendente, sono già stati richiamati e non rientrano nella categoria di “knowledge spillovers. Tra questi ultimi, il reverse engineering risultava, in media, la fonte più importante di conoscenza “esterna”. Un altro canale di grande importanza è la mobilità dei ricercatori, che individualmente incorporano parte della conoscenza rilevante e spostandosi in un'altra impresa o laboratorio portano con sé idee, tecniche e skills. La conoscenza inoltre fluisce tramite i canali tradizionali della comunicazione tecnico-scientifica, cioè pubblicazioni su riviste specializzate, convegni e conferenze: data la natura volontaria di questa forma di disseminazione, questi spillover tendono ad essere del tipo idea-creating. Un’importanza appena più limitata risultano avere i brevetti. Le imprese studiano i documenti brevettuali non solo per determinare se un’innovazione è brevettabile o meno (o per controllare che il brevetto non violi un diritto di proprietà intellettuale posseduto) ma per raccogliere informazione utile per la propria ricerca. Questa informazione può essere usata liberamente finché il prodotto o il processo specifico oggetto del brevetto non sia violato. Quindi, questo tipo di canale dovrebbe essere essenzialmente idea-creating, anche se le imperfezioni del sistema brevettuale possono facilmente indurre spillover “imitation enhancing”. L'ultimo meccanismo di trasmissione delle conoscenze identificato dalla Yale Survey consiste nella “acquisizione tramite conversazioni informali con dipendenti dell'impresa innovativa”. Questo canale risulta avere una rilevanza empirica molto elevata e in molti casi è stato considerato come un indicatore dell’importanza della conoscenza tacita. In effetti, quest'ultimo canale – assieme in parte alla mobilità dei ricercatori ed in generale del personale – non sempre è legittimamente interpretabile come uno spillover. In molti casi, questo tipo di interazioni sono attivamente perseguite dalle imprese come parte di una strategia volontaria di trasmissione della conoscenza e – in modo in parte informale – regolato da accordi specifici. Ad esempio, le relazioni di sub-fornitura e più in generale le interazioni tra utilizzatori e fornitori costituiscono un meccanismo fondamentale di trasmissione della conoscenza e una fonte molto importante di innovazione (Pavitt, 1984, von Hippel 1988). Queste relazioni però devono essere consapevolmente create, organizzate e gestite e normalmente richiedono significativi investimenti da entrambe le parti. 263 8.4.6 Il carattere locale dei flussi di conoscenza Quest'ultimo punto può essere generalizzato da due prospettive complementari. In primo luogo, la discussione precedente mostra come l'acquisizione di conoscenza tecnologica – per quanto non mediata da meccanismi di mercato – richieda in ogni caso e per qualsiasi canale di trasmissione investimenti e strutture organizzative. In altri termini, la conoscenza non è (quasi mai) semplicemente “nell'aria”, ma anche quando essa sia in linea di principio accessibile a costo zero, la sua acquisizione implica costi positivi, anche se minori del “prezzo pieno” che sarebbe determinato dal mercato. Inoltre, la trasmissione della conoscenza è mediata da molti altri meccanismi diversi dal mercato: in particolare strutture organizzative, istituzionali e sociali. In termini più generali, l'impatto indiretto delle innovazioni è circoscritto. Molteplici studi hanno mostrato, utilizzando tecniche e formalizzazioni diverse, che gli spillover tecnologici non sono illimitati ma hanno intensità diverse a seconda dei settori che originano la conoscenza della “prossimità” tecnologica dei settori che la “ricevono” - definita e misurata in vari modi: citazioni di brevetto, relazioni input-output, ecc, si veda il capitolo 9 di questo Rapporto - e dalla distanza geografica. Esiste, in effetti, un’evidenza empirica enorme che mostra come l’innovazione tenda a concentrarsi in alcune tecnologie e aree geografiche. Per quanto riguarda l'aspetto tecnologico, è sufficiente ricordare come le spese di R&S siano fortemente concentrate in un numero piuttosto ristretto di settori e di imprese; e come gli effetti indiretti delle innovazioni tendano ad esercitarsi con intensità decrescente in settori e applicazioni più lontani, secondo le varie misure di prossimità tecnologica utilizzabili (Los and Verspagen, 2007). Per quanto riguarda la dimensione spaziale, anche nel lunghissimo periodo vi è una robustissima evidenza che l'innovazione sia concentrata in un piccolo gruppo di paesi, con entrata di nuovi membri limitata (il Giappone nel XX secolo, la Corea e la Cina a cavallo del nuovo millennio) con piccole modifiche nel “ranking” (Germania e USA superano il Regno Unito, emergenza del Giappone, ecc.). Ma anche a scala locale e regionale, l'innovazione tende a concentrarsi in pochi cluster: la geografia dell’'innovazione è molto più concentrata di quella produttiva (Feldman, 1994) Una spiegazione di questi fenomeni è certamente legata alla natura tacita e, appunto, locale della conoscenza tecnologia. Questi risultati, al di là delle tecniche specifiche utilizzate per la misurazione, sono consistenti con la nozione che il trasferimento delle conoscenze implichi l'assorbimento di conoscenza tacita e lo sviluppo di codici di comunicazione e di interpretazione condivisi. La prossimità tecnologica e spaziale – in prima approssimazione – dovrebbe dunque facilitare la circolazione delle conoscenze e gli spillover, nella misura in cui tecnologie “simili” utilizzano almeno parzialmente basi conoscitive comuni e aree geografiche vicine condividono 264 linguaggi, favoriscono e interazioni faccia a faccia, promuovono la fiducia tra gli agenti (come nella “mitologia” della Silicon Valley e dei distretti industriali). Tuttavia, l'evidenza empirica più recente sottolinea come altri meccanismi circoscrivano l'estensione degli spillover di conoscenza. In primo luogo, la prossimità organizzativa: la conoscenza tende a circolare più facilmente all'interno della stessa organizzazione, che condivide routine, euristiche e procedure. Questa è una delle ragioni classiche che spiegano la tendenza alla integrazione delle attività di ricerca nella stessa organizzazione ed al mantenimento di strutture centralizzate a livello headquarter, anche in periodi caratterizzati da tendenze all'apertura a fonti conoscitive esterne e decentramento delle attività di ricerca. Analogamente, la trasmissione delle conoscenze tende ad avvenire più facilmente tra organizzazioni che condividono stili organizzativi simili, anche se sono lontane dal punto di vista geografico. In secondo luogo, come già accennato con riferimento ai sistemi dell'innovazione, le strutture istituzionali formali ed informali svolgono un ruolo cruciale nel definire le condizioni ed i meccanismi attraverso cui la conoscenza può fluire. In terzo luogo, i flussi di conoscenza sono canalizzati da relazioni sociali: il know-how tecnologico è incorporato in individui e gruppi di ricerca e le loro relazioni professionali e sociali, l'appartenenza a comunità di ricerca (misurate ed esempio dalla rete di relazioni di co-invenzione desumibili dai dati sulle citazioni di brevetto) sono relativamente più importanti della pura vicinanza geografica nello spiegare, ad esempio, la formazione di cluster innovativi ( Breschi e Lissoni, 2009). In termini più generali, la nozione che la conoscenza si trasmetta come un puro spillover, sia pure all'interno di particolari aree geografiche (e settori) richiede l'ipotesi che la rete di relazioni tra gli agenti sia sufficientemente densa e altamente connessa. La determinazione delle proprietà strutturali del network di relazioni esistenti tra gli agenti e della dinamica del network stesso in seguito ad un’innovazione è invece essenziale per comprendere l'entità, i percorsi e gli snodi critici dei flussi di conoscenza. 8.5. Conclusioni L'approccio evolutivo e la SYS offrono strumenti interpretativi importanti per comprendere, qualificare e distinguere gli effetti “indiretti” (spillone) dell'innovazione. In estrema sintesi, questo approccio riconosce ed enfatizza che il progresso tecnologico non esaurisce il proprio impatto all'interno di una singola impresa o di un singolo settore. Al contrario, la natura cumulativa dell'innovazione implica l'instaurarsi di feedback positivi che possono potenzialmente portare ad una crescita tecnologica sostenuta e non lineare. Tuttavia, la comprensione delle sostanziali differenze tra informazione e conoscenza porta ad un’analisi più approfondita delle modalità di creazione e diffusione di nuove tecnologie e del loro impatto successivo. In particolare, occorre riconoscere che i flussi di conoscenza passano attraverso una molteplicità di canali e in ogni caso sono strutturati da 265 variabili di mercato, organizzative, sociali ed istituzionali. Gli effetti indiretti dell'innovazione sono inoltre determinati dalle caratteristiche specifiche di ciascun paradigma e regime tecnologico e dai livelli e distribuzione delle competenze tecnologiche. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI A. Arora, A. Fosfuri, A. Gambardella Markets for Technology:The Economics of Innovation and Corporate Strategy, The MIT Press, Cambridge MA, 2001. Arrow K.J. (1962). ‘Economics of Welfare and the Allocation of Resources for Invention’, in Nelson (1962), 609-625. Arundel, A., van de Paal, G., Soete L. (1995). ‘Innovation Strategies of Europe’s Largest Firms. Results of the PACE Survey’. European Innovation Monitoring System, Report No.23. Brussels: European Commission Stefano Breschi & Francesco Lissoni, 2009. "Mobility of skilled workers and co-invention networks: an anatomy of localized knowledge flows”, Journal of Economic Geography, 9(4), pp. 439-468, July. Breschi, S., Malerba, F., Orsenigo, L. (2000). ‘Technological regimes and Schumpeterian patterns of innovation’. Economic Journal 110, 388–410 Bresnahan, T.F., Trajtenberg, M. (1995). ‘General purpose technologies: ‘Engines of growth’?‘.Journal of Econometrics, 65:1, 83-108 S. Brusoni, E. Cefis and L. Orsenigo (2006), Innovate or Die? A critical review of the literature on innovation and performance, CESPRI Working Papers, 179. August Cefis, E. and Ciccarelli, M., (2005), “Profit Differentials and Innovation”, Economics of Innovation and New Technology, 14(1-2), pp.43-61. E. Cefis and L. Orsenigo, (2001), “The Persistence of Innovative Activities: A Cross-Country and Cross-Sectors Comparative Analysis”, Research Policy Cohen, W., Nelson R.R., Walsh J.P. (2002). ‘Links and impacts: the influence of public research on industrial R&D’. Management Science 48 (1), 1-23 Cohen, W.M., Levinthal, D.A. (1990). ‘Absorptive capacity: a new perspective on learning and innovation’, Administrative science quarterly, Vol. 35, 1990. P. Cooke (2002), Knowledge Economies: Clusters, Learning & Cooperative Advantages, Routledge, London David, P.A. (1985). ‘Clio and the economics of QWERTY’, The American Economic Review, 75, 332337. David, P.A. (1990). ‘The dynamo and the computer: an historical perspective on the modern productivity paradox’. American Economic Review, Vol. 80, No. 2, 355-361 266 David, P.A. (1993). ‘Knowledge property and the system dynamics of technological change’. In: Summers, L., Shah, S. (Eds.), Proceedings of the World Bank Conference on Development Economics, The World Bank. Washington, DC, 215–248. David, P.A., (2004). ‘Understanding the emergence of ‘open science’ institutions: functionalist economics in historical context.’ Industrial and Corporate Change 13 (3), 571–589 Dosi, G. (1982). ‘Technological Paradigms and Technological Trajectories. A Suggested Interpretation of the Determinants and Directions of Technical Change’. Research Policy 11, 147-162. Dosi, G. (1984). Technical change and industrial transformation. London, Macmillan Dosi, G. (1988). ‘Sources, procedures and Microeconomic Effects of Innovation’, Journal of Economic Literature 26 (3), 1120-71. Dosi, G., Freeman, C., Nelson, R.R., Silverberg, G. and Soete, L. (eds.) (1988). Technical Change and Economic Theory. London, Pinter Publishers Dosi, G., Llerena, P., Sylos Labini, M. (2006). ‘Science-Technology-Industry Links and the ‘European Paradox’: Some Notes on the Dynamics of Scientific and Technological Research in Europe’, Research Policy 35 (10), 1450-1464. Dosi, G., Orsenigo, L., Sylos Labini, M. (2005). ‘Technology and the Economy’. In:. Smelser, N.J ., Swedberg, R. (Eds.), The Handbook of Economic Sociology, 2nd ed., Princeton University Press, Russell Sage Foundation Feldman, M.P. 1994. “The Geography of Innovation”. Dordrecht: Kluwer Academic Publishers. Freeman, C. (1982).The Economics of Industrial Innovation, 2nd edn. Frances Pinter, London. Freeman, C. (1993). ‘The ‘National System of Innovation’ in historical perspective’, Cambridge Journal of Economics, 19:1, 5-24. Freeman, C., (1994), ‘The Economics of Technical Change’, Cambridge Journal of Economics, 18, 463-514. Freeman, C., Soete L.(1997). The Economics of Industrial Innovation. 3rd Edition. London and Washington, Pinter. Freeman. C., Perez, C. (1988), ‘Structural Crises of Adjustment: Business Cycles and Investment Behavior’. In: Dosi et al. (1988). Freeman, C. and F. Louca (2001). As Time Goes By: The Information Revolution & the Industrial Revolutions in Historical Perspective, Oxford/New York: Oxford University Press. Frenken, K., Saviotti, P.P., Trommetter, M. (1999). ‘Variety and niche creation in aircraft, helicopters, motorcycles and microcomputers’. Research Policy 28(5), 469-488 Frenken K., Leydesdorff, L. (2000). ‘Scaling trajectories in civil aircraft (1913-1997)’, Research Policy 28, 469-488. Geroski, P.A., Machin, S., and Van Reenen, J., (1993), “The Profitability of Innovating Firms”, RAND Journal of Economics, 24(2), pp. 198-211. 267 Geroski, P.A., Van Reenen, J. and Walters, C.F. (1997), “How Persistently Do Firms Innovate?”, Research Policy, 26(1), pp. 33-48. Giuri P., Tomasi, C., Dosi, G. (2007). L’industria aerospaziale. Innovazione, tecnologia e strategia economica. Il Sole 24 Ore e Fondazione Cotec, Milano Jacobs, J. 1969. “The Economy of Cities”. Random House, New York. Hall, Peter A. and David Soskice, 2001: Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advantage. Oxford/New York: Oxford University Press. Hall, Bronwyn H., and Rosemarie Ham Ziedonis. 2001. The Patent Paradox Revisited: An Empirical Study of Patenting in the U.S. Semiconductor Industry, 1979-1995. Rand Journal of Economics 32: 101-128. Kahneman, D. and Tversky, A. (2000) (Eds.), Choices, Values and Frames, Cambridge, MA., Cambridge University Press. Klevorick, A. Levin, R., Nelson, R. and Winter S. (1995), On the Sources and Significance of InterIndustry Differences in technological Opportunities, Research Policy, 24, 185- 205 Kortum, Samuel, and Josh Lerner. 1998. Stronger Protection or Technological Revolution: What is Behind the Recent Surge in Patenting? Carnegie-Rochester Conference Series on Public Policy 48: 247-304. N. R. Lamoreaux and K. L. Sokoloff, “Market Trade in Patents and the Rise of a Class of Specialized Inventors in the Nineteenth-Century United States,” American Economic Review, Papers and Proceedings, 91 (May 2001), pp. 39-44 Lerner, Josh. 2002. 150 Years of Patent Protection. American Economic Review 92(2): 221-225 Levin, Richard C., Alvin K. Klevorick, Richard R. Nelson, and Sidney G. Winter. 1987. Appropriating the Returns from Industrial Research and Development. Brookings Papers on Economic Activity (3): 783-820. Levin, R.C., Cohen, W.M., Mowery, D.C. (1985). ‘R&D appropriability, opportunity and market structure: New evidence on some Schumpeterian hypotheses’. American Economic Review Proceedings 75, 20-24 B. Los and B. Verspagen (2007), Technology Spillovers and their Impact on Productivity, in H. Hanusch and A. Pyka (eds.) The Elgar Companion to Neo-Shumpeterian Economics, Edward Elgar, Cheltenham, pp. 574-595. Lundvall, B.A. (1992). National Systems of Innovation: Towards a Theory of Innovation and Interactive Learning. Pinter Pub. Ltd Malerba, F. (ed.) (2004). Sectoral System of Innovation: concepts, issues, and analyses of six major sectors in Europe. Cambridge/New York, Cambridge University Press. Mansfield, E., Schwartz, M., Wagner, S. (1981). ‘Imitation Costs and Patents: An Empirical Study’, The Economic Journal 91 (364), 907-918. 268 Mokyr, J. (1990). The Lever of Riches: Technological Creativity and Economic Progress. Oxford University Press, Oxford/New York. Mokyr, J. (2002). The Gifts of Athena: Historical Origins of the Knowledge Economy. Princeton University Press, Princeton Moser, Petra. 2005. How Do Patent Laws Influence Innovation? Evidence for 19th Century World Fairs. NBER Working Papers Series, No. 9909. Nelson R.R. (1959). ‘The Simple Economics of Basic Scientific Research’, Journal of Political Economy 67 (3), 297-306 Nelson R.R. (ed.) (1962). The Rate and Direction of Inventive Activity. Princeton, Princeton University Press. Nelson R.R. (1981). ‘Research on Productivity Growth and Productivity Differences: Dead Ends and New Departures,’ Journal of Economic Literature, American Economic Association, 19(3), 1029-64. Nelson, R.R. (1993). National Systems of Innovation: A Comparative Analysis. Oxford University Press, New York. Nelson R.R. (2003). ‘On the uneven evolution of human know-how,’ Research Policy 32(6), 909-922. Nelson R.R., Wolff, E.N. (1997). ‘Factors behind cross-industry differences in technical progress,’ Structural Change and Economic Dynamics, 8(2), 205-220 Nelson R.R., Winter, S.G. (1977). ‘In search of a useful theory of innovation’, Research Policy, 6, 3676. Nelson, R.R., Winter, S.G. (1982). An Evolutionary Theory of Economic Change, Cambridge Mass, Harvard University Press. Pavitt, K. (1984). ‘Sectoral patterns of technical change: towards a taxonomy and a theory’. Research Policy 13, 343–373. Pavitt, K. (1986). ‘ ‘Chips’ and ‘Trajectories’: How Does the Semiconductor Influence the Sources and Directions of Technical Change?’ in MacLeod, R.M. (ed.), Technology and the Human Prospect. Pinter, London. Pavitt, K. (1987). ‘The objectives of technology policy.’ Science and Public Policy, 14, 182–188. Pavitt, K. (1999). Technology, Management and Systems of Innovation. Cheltenham, UK and Lyme, US: Edward Elgar. Pavitt, K. (2001). ‘Public policies to support basic research: what can the rest of the world learn from US theory and practice? (and what they should not learn)’. Industrial and Corporate Change 10 (3), 761–779. Polanyi, M. (1967). The Tacit Dimension. New York, Anchor Books Qian, Y. (2007), Do national patent laws stimulate domestic innovation in a global patenting environment? A Cross-Country Analysis of Pharmaceutical Patent Protection, 1978–2002, The Review of Economics and Statistics, 89(3): 436–453 269 Roijakkers N. and Hagedoorn, J. (2007), Strategic and organizational understanding of inter-firm partnerships and networks, in H. Hanusch and A. Pyka (eds.) The Elgar Companion to NeoShumpeterian Economics, Edward Elgar, Cheltenham, pp. 201-210 Romer, P.M. (1994). ‘The origins of endogenous growth’, Journal of Economic Perspectives 8(1), 322. Rosenberg, N. (1976). Perspectives on Technology. Cambridge University Press, Cambridge. Rosenberg, N. (1982). Inside the Black Box: Technology and Economics. Cambridge University Press, Cambridge. Sahal, D. (1985). ‘Technological guideposts and innovation avenues’. Research Policy 14 (2), 61-82. Schumpeter, J.A. (1934). The theory of economic development [German original, 1911], Harvard University Press, Cambridge MA. Schumpeter, J.A. (1942). Capitalism, socialism and democracy. New York, Harper Tushman, M.L., Anderson, P. (1986). ‘Technological Discontinuities and Organizational Environments’, Administrative Science Quarterly, 31, 439-465. Verspagen, B. (2001), “Economic growth and technological change: an evolutionary interpretation”, STI Working Paper, 2001/1. Winter, S. G. (1982). ‘An essay on the theory of production’. In: Hymans, S.H. (ed.), Economics and the World Around it. University of Michigan Press: Ann Arbor. Winter, S. G. (1987). ‘Knowledge and competence as strategic assets’. In: Teece, D. J. (Eds.), The competitive challenge: strategies for industrial innovation and renewal. Cambridge, MA:Ballinger, 159-184 Winter, S.G. (2006). ‘Toward a Neo-Schumpeterian theory of the firm’, Industrial and Corporate Change 15(1), 125-141 (original working paper, 1968). Winter, S.G., Szulanski, G. (2001). ‘Replication as Strategy’. Organization Science 12, 730-743. Winter, S.G., Szulanski, G. (2002). ‘Replication of Organizational Routines: Conceptualizing the Exploitation of Knowledge Assets’. In: Choo, C.W., Bontis, N. (eds.). The Strategic Management of Intellectual Capital and Organizational Knowledge, Oxford University Press, Oxford/New York. Zucker L.G., Darby M.R., Brewer M. (1998), “Intellectual human capital and the birth of US biotechnology enterprises” , American Economic Review, 88(1): 290-306. 270 CAPITOLO 9. LE ESTERNALITA’ DELLE SPESE IN R&S: ANALISI EMPIRICA Il presente capitolo si propone di catturare i possibili spillover delle spese in R&S dei settori high-tech sul valore aggiunto, sul valore aggiunto per dipendente e sulla produttività del lavoro del settore manifatturiero, esclusi i settori high-tech. Per catturare tali spillover considereremo differenti proxy degli investimenti in attività innovative svolte dai settori high-tech e la loro interazione con il capitale umano. Nella sezione 9.1, si fa un breve richiamo ai principali problemi che emergono quando si effettua un’analisi empirica di quegli spillover ed al risultato generale sulla loro esistenza ed importanza raggiunto nella letteratura empirica. Nella sezione 9.2 si illustrano le basi dati (e le loro fonti) utilizzate, mentre nella sezione 9.3 viene svolta un’analisi univariata (statistiche descrittive, correlazioni e grafici) che serve da base per l’analisi multivariata, cioè per la stima del modello econometrico proposto nella sezione 9.4. L’analisi univariata mette in luce le relazioni incondizionate tra le variabili di interesse, mentre quella multivariata è un’analisi condizionata, ovvero che controlla anche per altri fattori che possono influire sulla relazione in oggetto. La sezione 9.5 fornisce delle indicazioni empiriche sulla potenzialità di generazione di spillover analizzando l’entropia della distribuzione dei brevetti richiesti dalle imprese aerospaziali italiane e europee allo European Patent Office dal 1078 al 2005. 9.1 INTRODUZIONE Il principale obiettivo dell’analisi empirica è quello di catturare quantitativamente gli spillover che la ricerca e sviluppo (R&S) e i processi innovativi del settore aerospaziale e più in generale dei settori high-tech hanno sulla produttività e la crescita della produttività del settore manifatturiero. Utilizzando dati a livello settoriale, si vuole stimare un modello empirico per valutare quali siano gli spillover degli investimenti in R&S e in attività innovative fatti dai settori high-tech sul valore aggiunto, la produttività del lavoro e la loro crescita. I primi studi sulle esternalità derivanti da spese in R&S compaiono già dai primi anni Cinquanta, come studi di caso molti dei quali sul settore agricolo (e.d. T.W. Schultz, 1954; Griliches, 1958). A questi fanno seguito lavori basati su analisi econometriche. Qui le misure di output o la produttività totale dei fattori o, ancora, i relativi tassi di crescita sono messi in relazione con misure dello stock di R&S o con l’intensità degli investimenti in R&S (pari al rapporto tra gli investimenti in R&S e le vendite). Griliches (1964) utilizza le differenze tra gli output e gli input di diversi stati degli U.S. misurati su tre anni (1949, 1954 e 1959) includendo nella funzione di produzione anche una 271 misura della spesa pubblica nella ricerca agricola e trova un effetto statisticamente significativo e positivo. Molti altri studi, tra cui Evenson (1968) e Huffman e Evenson (1991), sviluppano ulteriormente le analisi inserendo funzioni ritardate (lag function) più complicate della variabile R&S e, soprattutto, introducendo il concetto di geographic spillover. In letteratura (tra i tanti: Griliches, 1991; Breschi e Lissoni, 2001) si distinguono due forme di esternalità derivanti da spese in R&S. Una è rappresentata dalle rent externalities generate negli scambi di mercato quando gli acquirenti di beni intermedi tecnologicamente più avanzati realizzano un beneficio dal loro impiego senza pagarne il prezzo ai fornitori (vedi anche sopra, sezione 7.1). Ci sono, poi, le technological externalities o pure knowledge externalities che hanno luogo tramite interazioni non di mercato, non sono monetarie e non sono racchiuse in un particolare prodotto. Si tratta di conoscenze, non solo formali ma anche tacite, con le caratteristiche di un bene pubblico (è possibile utilizzarlo gratuitamente, non si esaurisce e può essere utilizzato contemporaneamente da altri). Sono queste le esternalità o spillover che esamineremo empiricamente in questo capitolo. Come si è notato nella sezione 7.1.3 il problema principale per il loro studio è la costruzione del capitale di R&S. Il livello di produttività di un’impresa o di un settore, infatti, dipende non solo dagli sforzi fatti in ricerca dall’impresa o dal settore stesso, ma anche dalle conoscenze esterne loro accessibili (Griliches, 1991). Ciò porta ad un’interazione tra gli sforzi in R&S individuali e aggregati (Griliches, 1991). Lo studio si complica quando il livello di analisi coinvolge più settori, perché in questo caso è necessario tenere conto della distanza tecnologica tra i settori. Tale distanza è empiricamente definita attribuendo dei pesi alle conoscenze. Brown e Conrad (1967) e Goto e Suzuki(1989) utilizzano la tabella di input-output per misurare la vicinanza dei settori in modo proporzionale agli acquisti che effettuano tra loro. Tsai e Wang (2004) applicano la medesima metodologia ai flussi tecnologici verso il settore manifatturiero tradizionale incorporati nei beni intermedi del settore high-tech e trovano un’elasticità significativa e maggiore che in altri settori. Terleckyi (1974) utilizza la matrice dei pesi di capitale e di input intermedi acquistati, assumendo che la parte di ricerca e sviluppo acquisita da altri sia incorporata in essi. Raines (1968) applica la classificazione orizzontale dei gruppi di prodotti NSF al fine di includere come input anche le spese in ricerca e sviluppo di altri settori che sono riportate come appartenenti alla categorie di prodotti del settore considerato. Verspagen (1997) utilizza la ‘Yale’ matrix o ‘Pure knowledge spillover’ matrix102 e dimostra che gli spillover di conoscenza apportano un contributo fondamentale alla crescita economica con impatti più o meno forti a seconda del settore (high-tech, medium-high-tech e lowtech) e che si tratti di spillover diretti o indiretti. Caballero e Jaffe (1993) utilizzano, invece, le informazioni sulle citazioni fatte e ricevute dai brevetti come approssimazioni dell’accumulazione di tecnologia, mentre Scherer (1982, 1984) 102 Applicazione della technology flow matrix ((Scerer, 1982; Putnam e Evenson, 1994) a più Paesi. 272 classifica un ampio campione di brevetti sia del settore dove l’invenzione è stata fatta, sia dei settori sui quali tale invenzione potrebbe avere maggior impatto, e dimostra che l’R&S ‘trasmessa’ ha un impatto più significativo e maggiore dell’R&S ‘propria’. Jaffe (1986, 1988, e 1989) misura la vicinanza tecnologica tra due imprese utilizzando la sovrapposizione fra le distribuzioni dei loro brevetti suddivisi per classi e indicizzandoli attraverso coefficienti di correlazione decentrata o ‘angular separation’. Jaffe et al. (1998) nel loro caso studio riscontrano che le citazioni di brevetti sono una valida ma caotica misura degli spillover tecnologici. Infine Breschi e Lissoni (2001) e Griffith et al. (2004) mettono in luce due funzioni dell’R&S: stimolare l’innovazione, aspetto che ha ricevuto maggiori attenzioni nella letteratura empirica; e facilitare l’imitazione delle invenzioni degli altri. Investendo, infatti, in ricerca e sviluppo, in un particolare ambito tecnologico o intellettuale, è possibile acquisire quella conoscenza tacita che consente una migliore comprensione e assimilazione delle scoperte altrui. Così facendo, gli autori sottolineano l’importanza del capitale umano e della absorptive capacity di chi riceve conoscenza. Inserendo tra le variabili in regressione, per ogni settore analizzato, la distanza di ogni Paese da quello con la migliore TFP, oltre ad una variabile di interazione tra intensità dell’R&S e skilled labour, come approssimazione della capacità di trasferimento della conoscenza, trovano evidenza di come l’R&S abbia effetti positivi su entrambi i tassi di innovazione e di absorptive capacity. In conclusione, nonostante tutte queste difficoltà di misurazione, nella letteratura empirica è presente un numero consistente di lavori che dimostra che gli spillover delle spese in R&S esistono, che la loro entità può essere piuttosto significativa e che i tassi sociali di ritorno restano al di sopra di quelli privati (Griliches, 1991). 9.2 Le banche dati e le variabili 9.2.1 Le banche dati Le analisi qui descritte si basano su dati tratti da due fonti: l’OECD, in particolare dagli Structural Analysis (STAN) Databases; e l’EU-KLEMS database, risultato dall’EU KLEMS project a cui hanno partecipato 15 organizzazioni dell’Unione Europea, rappresentate da istituzioni accademiche e enti nazionali di ricerca, supportati da uffici statistici e dall’OECD. Gli STAN forniscono dati basati sull’International Standard Industrial Classification (ISIC) di tutte le attività economiche ad un livello di dettaglio sufficiente ad evidenziare i settori high 273 technology, per 28 Paesi (oltre alla Germania Ovest), con una copertura temporale che va dal 1970 al 2007103. Gli Structural Analysis Database si suddividono in: STAN Bilateral Trade, STAN database for Structural Analysis, STAN Indicators Database e STAN R&S Expenditures in Industry – ANBERD. Lo STAN Bilateral Trade database (BTD) è compilato dal Dipartimento di Analisi Economiche e Statistiche (EAS) del Direttorato per la Scienza, la Tecnologia e l’Industria (STI) dell’OECD. Tale fonte fornisce dati relativi all’esportazione e all’importazione di beni dal 1988 al 2006 e i valori sono espressi in dollari. I dati sono basati sulla classificazione ISIC, Revision 3. Lo STAN database for Structural Analysis, è principalmente basato sui resoconti annuali nazionali di ogni Paese membro dell’OECD, completati tramite altre fonti come le survey industriali nazionali. Include misure annuali della produzione, del valore aggiunto, dell’input di lavoro, oltre a valori annuali sulle esportazioni e sulle importazioni e sulla formazione di capitale fisso. Il periodo coperto va dal 1970 al 2007 e i valori sono espressi in euro a prezzi correnti. Si fa notare che il dettaglio, di nostro interesse, sul settore spaziale o, più in generale, sull’high-tech, è, però, presente solo dal 1980 al 2006. E’, inoltre, possibile estrarre i deflatori per l’ottenimento delle variabili a prezzi costanti. Non avendo tali dati una profondità settoriale a 3 digit, si sceglie, come l’OECD, di utilizzare i valori dell’aggregato a 2 digit. I dati sono basati sulla classificazione ISIC, Revision 3. Lo STAN Indicators Database fornisce una serie di indicatori sull’international trade, l’industrial composition, l’R&S, l’employment, la produttività e gli investimenti. Tali indicatori si basano sullo STAN Database for Industrial Analysis e sull’ANBERD versione 2005. I dati sono basati sulla classificazione ISIC, Revision 3. Infine, lo STAN R&S Expenditures in Industry – ANBERD consente di superare i problemi legati alla comparabilità internazionale dei dati time-series ufficiali relativi alle spese in R&S attraverso l’applicazione di tecniche di stima accreditate su dati OECD unitamente alle survey Eurostat sull’R&S104. I valori sono espressi in prezzi correnti e, per i dati dal 1991, anche in prezzi costanti (anno base 2000). Il periodo coperto va dal 1973 al 2007 (anche per il settore spaziale e dell’high technology). I dati sono basati sulla classificazione ISIC, Revision 3 dal 1991 in poi, mentre per i dati che si riferiscono agli anni precedenti105 è necessario effettuare una conversione, oltre che dalle lire italiane agli euro, dalla classificazione ISIC Revision 2 a quella ISIC Revision 3. L’EU KLEMS Database è suddiviso in due parti. 103 Quello riportato è la massima copertura temporale che è possibile reperire negli STAN. Il periodo varia a seconda del dato che si desidera estrarre. 104 Per maggiori dettagli circa i problemi presentati dall’utilizzo di dati sulle spese in ricerca e sviluppo si rimanda al documento sulla metodologia ANBERD reperibile on line all’indirizzo: http://www.oecd.org/dataoecd/52/23/1962156.pdf 105 In realtà, i dati dal 1991 al 1998 sono disponibili in entrambe le revisioni ISIC (permettendo una controverifica dei dati ottenuti dalle estrazioni effettuate). Su consiglio, via mail, degli esperti dell’OECD si decide di tenere in considerazione per questi anni la rilevazione in ISIC Rev.3. 274 La prima rappresentata dall’EU KLEMS Growth and Productivity Accounts, risultato di un progetto finanziato dalla Commissione Europea, che contiene 62 variabili, incluse misure di Growth Accounting, employment, skill creation e capital formation. Tali file seguono la classificazione settoriale NACE, mostrando, in alcuni casi, aggregazioni alternative come: market versus non-market, goods versus services e ICT production. I dati sono relativi agli anni dal 1970 in poi. La seconda, rappresentata dall’EU KLEMS technology indicators satellite database, contiene una serie di dati complementari suddivisibili in tre gruppi principali: 1. Patents e R&S stocks, 2. Distributed microdata indicators e 3. Dati derivanti dai bilanci delle imprese. Questi dati variano nella copertura temporale: dal 1970 al 1999 per i brevetti, dal 1980 al 2003 per lo stock di R&S e dal 1997 al 2006 per i dati sui bilanci delle imprese. La copertura temporale è variabile a seconda del paese relativamente ai dati DMD. Inoltre, i dati non sono presenti per tutti i settori arrivando spesso al livello del secondo digit. I dati da noi analizzati sono estratti dallo STAN database for Structural Analysis, e dallo STAN R&S Expenditures in Industry – ANBERD, e da entrambi i database EU KLEMS. Il lavoro si focalizza sull’Italia e riguarda i settori manifatturieri, con particolare attenzione al settore aircraft and spacecraft (settore a 3 digit) e al macro-settore dell’high technology (high-tech) più in generale. Come si evince dai dettagli appena forniti sui singoli database, è possibile fornire un’analisi di dettaglio su questi settori con una profondità temporale che va dal 1980 al 2006, periodo che si restringe se nelle analisi si vogliono inserire i dati sull’high skilled labour (1980-2005), sugli stock di R&S (1980-2003) e sui brevetti (1980-1999). Seguendo le definizioni OECD, raggruppiamo, inoltre, per le nostre analisi, i settori manifatturieri106 in tre macro-settori: il settore high technology (high-tech) (che comprende i settori: pharmaceuticals; office, accounting and computing machinery; radio, television and communication equipment; medical, precision and optical instruments; e aircraft and spacecraft), il medium/high technology (medium/high tech) (Chemicals excluding pharmaceuticals; machinery and equipment n.e.c.; electrical machinery and apparatus n.e.c.; motor vehicles, trailers and semi-trailers e railroad equipment and transport equipment n.e.c.), e il low technology (low-tech) (contenente i restanti settori). Ai dati presentati finora, se ne uniscono altri relativi ai brevetti richiesti e concessi da tutte le imprese del settore aerospaziale italiano, da noi utilizzati per catturare gli spillover di tipo tecnologico attraverso il calcolo dell’entropia, ovvero la varietà tecnologica presente nella distribuzione dei brevetti delle imprese aerospaziali attraverso le tecnologie nell’industria nel suo insieme. I dati sono tratti dal database EP-CESPRI del centro di ricerca KITeS dell’Università Luigi Bocconi, accuratamente descritto in Lissoni et al. (2006). In questa sede solo una presentazione 106 Non avendo disponibilità di alcuna classificazione OECD sui servizi high technology, si è preferito come si specificherà in seguito, focalizzare l’analisi sul settore manifatturiero. 275 sommaria di tale banca dati, mentre nella sezione 9.5.1 viene fornita una dettagliata descrizione dei dati usati per l’analisi dell’entropia.. EP-CESPRI è un database che fornisce informazioni sui brevetti dello European Patent Office (EPO) dal 1978 (data di fondazione dell’EPO) al gennaio 2005. L’EP-CESPRI si basa su informazioni regolarmente pubblicate dallo Espacenet Bullettin ed è aggiornato annualmente. I dati possono essere suddivisi in cinque categorie: 1. Dati sui brevetti; 2. Dati sul candidato; 3. Dati sull’inventore; 4. Dati sulla compagnia del candidato; 5. Citazioni. 9.2.2 Le variabili 9.2.2.1 Le variabili dipendenti Valore Aggiunto. Fonte: STAN database for Structural Analysis. Il valore aggiunto è da noi considerato dal 1980 al 2006 ed è presente per ogni settore ISIC (3 digit). E’ una variabile continua ed è a prezzi correnti. Utilizzando il deflatore per il valore aggiunto distinto per settori e per anni, otteniamo la variabile a prezzi costanti. Abbiamo, poi, costruito un’ulteriore variabile scalando il valore aggiunto per la dimensione del settore, in termini di dipendenti (numero di employee). Produttività del lavoro. La produttività del lavoro è calcolata come rapporto tra la produzione e il numero di dipendenti totale (total employment) (Fonte: STAN database for Structural Analysis). Il periodo considerato va dal 1980 al 2006. Attraverso il rapporto con i deflatori per la produzione, distinti per settore e anno, è possibile ottenere la produttività del lavoro a prezzi costanti. Tasso di crescita del Valore Aggiunto. Partendo dal valore aggiunto deflazionato si calcola il relativo tasso di crescita come rapporto tra: i) la differenza tra la variabile al tempo t e al tempo t-1; e ii) la variabile al tempo t-1. Tasso di crescita della Produttività del lavoro. Partendo dalla produttività del lavoro a prezzi costanti si calcola il relativo tasso di crescita come rapporto tra: i) la differenza tra la variabile al tempo t e al tempo t-1; e ii) la variabile al tempo t-1. 276 9.2.2.2 Le variabili indipendenti Spese in R&S. Fonte: STAN R&S Expenditures in Industry – ANBERD. Dal 1991 al 2006 i dati sono basati sulla classificazione ISIC Revision 3 e sono espressi in euro, mentre per gli anni precedenti si basano sulla classificazione ISIC Revision 2 e sono espressi in milioni di Lire italiane. Per ottenere dati omogenei dal 1980 al 2006 è, dunque, necessario effettuare due conversioni. La prima è quella che consente di uniformare la valuta utilizzata attraverso il rapporto tra il valore delle spese in R&S in milioni di lire italiane e il tasso di cambio costante con l’euro, 1.936,27. La seconda, attraverso la tavola di conversione da ISIC Revision 2 a ISIC Revision 3, permette di ottenere omogeneità sulla suddivisione settoriale. Infine, su suggerimento dell’OECD, si decide di utilizzare i deflatori della produzione anche per il calcolo delle spese in R&S a prezzi costanti. E’ possibile, infatti, tramite semplici calcoli, verificare che il rapporto medio tra i deflatori dell’R&S (ottenuti dal rapporto tra le spese in R&S a prezzi correnti e quelle a prezzi costanti; queste ultime disponibili solo dal 1991 al 2007 e senza variazione sui settori) e i deflatori della produzione è molto vicino all’unità (1.0089). Abbiamo, inoltre, calcolato due ulteriori variabili scalando le spese in R&S prima per la dimensione in termini di dipendenti dei macro-settori (total employees) e poi per la produzione. Successivamente, al fine di inserire in regressione un numero limitato di variabili per non diminuire i gradi di libertà (considerato il numero modesto di osservazioni temporali), partendo dalla variabile di R&S scalata per la dimensione, ne abbiamo ricavato un’altra pari alla media dei primi quattro ritardi temporali delle spese in R&S per dipendente ponderata per i coefficienti di correlazione di quest’ultima variabile con il valore aggiunto per dipendente e con la produttività del lavoro. Stock di R&S. Fonte: EU KLEMS technology indicators satellite database. Quando questi dati vengono inseriti in regressione il periodo di analisi è limitato al periodo dal 1980 al 2003. Percentuale di high e medium skilled labour in termini di numero di dipendenti, ore lavorate o retribuzione (ovvero: rapporto tra “high skilled labour employees/ total employees” per ogni macro settore, e lo stesso rapporto in termini di ore lavorate e di retribuzione). Fonte: EU KLEMS Growth and Productivity Accounts. Come Griffith et al. (2004) tentiamo di catturare i meccanismi di conoscenza messi in atto dal capitale umano e sottostanti ai rendimenti degli investimenti in ricerca e sviluppo e all’applicazione delle conoscenze che ne derivano inserendo variabili relative alle skills dei lavoratori. I dati relativi allo skilled labour sono disponibili fino al 2005 e non sempre arrivano al terzo digit della classificazione ISIC. Quando tali variabili sono considerate, quindi, è necessario limitare il periodo di analisi dal 1980 al 2005. E’ stato, inoltre, indispensabile estendere il valore 277 relativo all’aggregato a 2 digit al dettaglio a 3 digit, ipotizzando una distribuzione uniforme tra i settori a 3 digit della quota di high e medium skilled labour. Variabile di interazione tra Spese in R&S e Quota di high e medium skilled labour in termini di numero di dipendenti, ore lavorate o retribuzione. Sempre seguendo il lavoro di Griffith et al. (2004) inseriamo una variabile che catturi la capacità di assorbimento della conoscenza tacita. Tale variabile esprime la complementarietà tra la presenza, nel settore, di spese in ricerca e sviluppo e quella di adeguate competenze per l’apprendimento, l’assorbimento e l’applicazione di tali conoscenze, ovvero l’absorptive capacity107 del macro-settore. Questa variabile di interazione è calcolata come prodotto tra i valori delle spese in R&S a prezzi costanti e i valori delle quote di high e medium skilled labour. Brevetti. Fonte: EU KLEMS technology indicators satellite database. Quando questi dati vengono utilizzati il periodo di analisi è limitato al periodo dal 1980 al 1999. Si prendono in considerazione due variabili derivanti da due distinti approcci. Il primo è il ‘whole counting’ che, nel caso in cui un brevetto sia associato a più settori, lo conteggia in tutti come unità. Tale approccio riflette la natura di bene pubblico della conoscenza: l’utilità di un brevetto per un dato settore non si riduce necessariamente se altri settori possono beneficiarne. Se, però, si vuole calcolare il numero totale di brevetti su più settori, con l’approccio ‘whole counting’ si ottiene un numero maggiore di patent. Questo svantaggio può essere risolto tramite il ‘fractional counting approach’ che conteggia 1/k di brevetto per ogni k settore associato al brevetto. In altre parole, si ipotizza che il brevetto sia un bene condivisibile. Successivamente, al fine di inserire nei modelli da stimare un numero limitato di variabili per non diminuire i gradi di libertà, considerato il numero modesto di osservazioni temporali, abbiamo applicato lo stesso approccio seguito con le spese in R&S per dipendente. Partendo, quindi, dai brevetti, abbiamo ricavato la media dei primi quattro ritardi temporali ponderata per i coefficienti di correlazione dei brevetti con il valore aggiunto per dipendente e con la produttività del lavoro. Industry size. Fonte: STAN database for Structural Analysis. La dimensione del settore è uno dei principali controlli che prendiamo in considerazione. La variabile che la misura è l’occupazione totale del macro settore ed è disponibile dal 1980 al 2006 per ogni settore oggetto dell’analisi. Infine, sono stati calcolati i logaritmi di molte delle variabili presentate. 107 Per un’approfondimento sull’absorptive capacity vedere Cohen e Levinthal (1989). 278 9.3 L’analisi univariata dei dati a prezzi costanti In questa sezione vengono presentati i risultati dell’analisi univariata. Tuttavia prima di passare alla loro analisi è necessario sottolineare tre punti. Innanzitutto le statistiche qui presentate sono state rielaborate su dati a prezzi costanti che, come sarà possibile osservare, consentiranno di dare conferma alle conclusioni tratte nel rapporto intermedio dai risultati ottenuti sui dati a prezzi correnti. In secondo luogo, visto il permanere dell’impossibilità di costruire le classificazioni in hightech, medium high-tech e low tech per i servizi, si è deciso di focalizzare le nostre analisi sul settore manifatturiero. In ultimo, è stato possibile reperire dati relativi allo skilled labour maggiormente dettagliati che consentiranno di tentare di catturare i meccanismi di trasmissione della conoscenza che sottostanno alla creazione di rendimenti degli investimenti in R&S. In particolare sono stati estratti dati relativi alla percentuale di lavoro high skilled sul totale presente nei diversi settori in analisi in termini di: numero di dipendenti, retribuzione e ore lavorate. 9.3.1 Le statistiche descrittive. Una volta messi in evidenza i limiti dell'analisi che permangono e quelli che è stato possibile superare, passiamo ad analizzare i risultati. La Tavola 1 presenta le statistiche descrittive (Media, Deviazione Standard, valore Minimo, valore Massimo, 5° percentile, 50° percentile o Mediana, 95° percentile, numero di osservazioni, periodo di osservazione) per le variabili che utilizzeremo nella stima econometrica. Non sorprendentemente, le spese in Ricerca e Sviluppo (R&S) e soprattutto le spese in R&S per dipendente sono più alte in media e in mediana per il settore high-tech di un ordine di grandezza rispetto al low tech, ed anche più alte rispetto a medium/high-tech, anche se in quest'ultimo caso la media e la mediana sono dello stesso ordine di grandezza. La Figura 1 e la Figura 2, che rappresentano nel tempo, rispettivamente, l'andamento delle spese in R&S e le spese in R&S per dipendente, evidenziano come per tutti gli anni del periodo di osservazione il settore high-tech investa in modo costante molto di più degli altri due settori. Se si considerano, infatti, gli stock di R&S dei tre macro settori, l’high-tech risulta sempre maggiore, sia in media che in mediana, rispetto a medium/high e low, dove quest’ultimo risulta addirittura di un ordine di grandezza inferiore ai primi due. I brevetti (sia frazionati che non), se considerati in valore assoluto, risultano essere maggiori, sia in media che in mediana, nel settore medium/high-tech al quale l’high-tech risulta secondo (ultimo 279 il settore low-tech). Se si prendono in considerazione, però, i valori relativi, ovvero il numero di brevetti per dipendente, la situazione cambia. Ora il settore con media e mediana più elevata è, infatti, l’high-tech108. I dati sullo skilled labour, poi, mostrano che, in termini di numero di dipendenti, di retribuzione, e di ore lavorate, la presenza di lavoratori con skills elevate è preponderante nel settore high-tech, soprattutto se confrontato con il low-tech. Tendenza contraria mostrano i valori relativi alla presenza di competenze e capacità medie o basse. Il valore aggiunto e la produzione sono ovviamente più elevati in valore assoluto per i macrosettori più numerosi (ovvero che raccolgono più settori a 2/3 digit, e cioè il low-tech e il medium/hightech) ma se andiamo ad analizzare il valore aggiunto per dipendente e la produzione per dipendente (cioè la produttività del lavoro) le relazioni cambiano in modo significativo. Possiamo, infatti, osservare che il valore aggiunto per dipendente del settore high-tech in media e in mediana è più alto di quello del settore medium/high-tech e del settore low-tech, ma il settore low-tech ha un valore aggiunto per dipendente più alto di quello del medium/high-tech. Se guardiamo la Figura 3 possiamo però notare che il valore aggiunto per dipendente del low-tech rimane sempre al di sotto del valore aggiunto per dipendente del medium/high-tech. Lo scatter plot riportato nella Figura 3.1 ci aiuta a capire l’apparente contraddizione. Lo scatter plot riporta il valore aggiunto per dipendente tra i settori a due digit che compongono il macro-settore low-tech. Appare evidente che il settore 29 (il numero corrisponde alla classificazione industriale internazionale usata, ISIC), ovvero il settore ‘Coke, prodotti da petrolio raffinato e materiale fissile’, è un outlier. E’ questo un settore ben noto per la sua alta redditività quasi mai dovuta a importanti e continui investimenti in innovazione tecnologica che possano risultare in una maggiore efficienza, ma per motivi di ben altra natura. Se dal macro-settore low-tech escludiamo il settore 29, otteniamo la Figura 3.2 che ci rivela che l’andamento del low-tech è trascinato verso l’alto dal settore petrolifero. Anche la media, che è una misura sensibile agli outlier, risulta spostata verso l’alto dalla presenza del settore 29. L’analisi della produttività del lavoro presenta un quadro simile (ma non identico) a quello del valore aggiunto per dipendente. La Tavola 1 ci mostra che la produttività del lavoro del settore lowtech è in media la più alta di tutte, ma se si prende in considerazione la mediana si nota che il settore high-tech presenta una produttività del lavoro maggiore del settore medium/high-tech e del settore low-tech, anche se la Figura 4 ci mostra che la produttività del lavoro del settore low-tech, nel corso del tempo è sempre più bassa degli altri due settori. L’inversione del ranking è spiegato dal fatto che nel macro-settore low-tech sono presenti degli outliers (come si può notare dal 95° percentile e dal valore Massimo) che trascinano la media verso l’alto. Lo scatter plot della produttività del lavoro tra i settori a 2 digit che compongono il macro-settore low-tech, riportato in Figura 4.1, ci mostra la 108 Per questioni di spazio riportiamo solo i valori relativi per i brevetti non frazionati. 280 presenza chiarissima di un outlier: di nuovo il settore 29, ‘Coke, prodotti da petrolio raffinato e materiale fissile’. La Figura 4.2 mostra l’andamento nel tempo della produttività del lavoro del settore 29 ed evidenzia come la produttività del lavoro di tale settore sia per tutto il periodo di osservazione sempre ben al di sopra della produttività del lavoro del settore low-tech. E’ la presenza di questo settore che trascina verso l’alto la media della produttività del lavoro del settore low-tech e la fa essere maggiore della media della produttività del lavoro del settore high-tech e medium/high-tech (si veda Tavola 1). Tuttavia, la mediana più alta dei settori high-tech e medium/high-tech ci indica che nella maggioranza dei casi (settori e anni di osservazione) i settori che compongono l’high-tech e il medium/high-tech hanno una produttività del lavoro più alta dei settori low-tech. 9.3.2 Le correlazioni. Nella Tavola 2 vengono presentati i risultati delle correlazioni calcolate tre le variabili di performance di maggior interesse (Valore Aggiunto, Valore Aggiunto per dipendente, Produttività del lavoro, Crescita del valore aggiunto e Crescita della Produttività) e le maggiori variabili indicatori dell’attività innovativa (Spese in R&S in valore assoluto, le Spese in R&S per dipendente (R&S/EMP) e la crescita annuale delle spese in R&S). Le correlazioni vengono calcolate tra i valori contemporanei delle variabili di performance (cioè al tempo t) e le variabili di innovazione al tempo t e le stesse ritardate fino a 10 anni (lag 10). Le variabili ritardate sono introdotte per capire se esista e quale sia la struttura temporale che determina la correlazione tra le variabili riguardanti l’attività innovativa (espresse in differenti modi) e gli indicatori di performance dei macro-settori. Sono state calcolate le correlazioni pairwise e quelle significativamente differenti da 0, sono mostrate nella Tavola 2 con un asterisco, ad un livello di significatività del 5%. Partendo dal settore manifatturiero si può notare innanzitutto che le correlazioni tra le spese in R&S in valore assoluto e per dipendente e le variabili di performance sono sempre significativamente differenti da 0 e assai elevate. Diversamente, per quanto riguarda la crescita delle spese in R&S, solo gli ultimi due ritardi temporali considerati nell’analisi (i lag 9 e 10) sono significativi e positivi quando la correlazione è calcolata sulla crescita della produttività del lavoro. La correlazione tra il valore aggiunto e la produttività del lavoro e i vari indicatori delle spese in R&S (R&S, l’R&S/EMP, e Crescita R&S) è sempre positiva e con valori che eccedono sempre lo 0,5. Al crescere delle spese in R&S cresce il valore aggiunto e la produttività del lavoro, qualunque sia il lag temporale in cui sono stati fatti gli investimenti in R&S. Come avveniva per le correlazioni calcolate sui prezzi correnti, qualunque investimento in R&S fatto nel passato sembra avere un effetto positivo sia sul valore aggiunto che sulla produttività del lavoro del lavoro, ma diversamente da prima, sembra avere una struttura temporale. Col passare degli anni, infatti, le correlazioni aumentano la loro intensità. Ciò sembrerebbe indicare che gli investimenti in R&S, non solo richiedano tempo prima di esplicare tutta 281 la loro potenzialità sulla produttività, ma anche che questo effetto tenda ad aumentare sempre di più, probabilmente fino ad un punto di massimo oltre il quale gli investimenti effettuati inizieranno a perdere la loro potenzialità. La correlazione tra la crescita delle variabili assume valori più bassi. Prendendo in considerazione la disaggregazione del settore manifatturiero nei 3 macro-settori, possiamo notare che i settori analizzati singolarmente mostrano sempre una correlazione significativa e positiva tra spese in R&S in termini relativi e produttività del lavoro, qualunque sia il ritardo temporale considerato. Il valore della correlazione diminuisce rispetto a quello dell’intero settore manifatturiero considerato nella sua interezza, ma mantiene un andamento crescente col passare degli anni dal momento dell’investimento. Relativamente al legame tra le spese in R&S, in termini assoluti e relativi, e il valore aggiunto, sembra esistere un comportamento simile per quanto riguarda il settore high-tech e il medium/high-tech, dove, diversamente da quanto avviene per la produttività del lavoro, si evidenzia un andamento decrescente nel tempo fino a perdere di significatività all’ottavo ritardo temporale per l’high-tech e al quinto per il medium/high. La correlazione tra le medesime variabili che assume, invece, andamento crescente nei valori assoluti, e crescente prima e decrescente poi in quelli relativi, sembra dare spiegazione all’andamento descritto prima per il settore manifatturiero nel suo complesso. La correlazione tra crescita delle spese in R&S e crescita del valore aggiunto o produttività del lavoro, come avveniva per le correlazioni a prezzi correnti, perde di importanza. La Tavola 3 mostra, invece, le correlazioni tra i vari indicatori delle spese in R&S del settore high-tech e gli indicatori di performance del settore manifatturiero escluso l’high-tech. La correlazione tra le spese in R&S in valore assoluto e il valore aggiunto e la produttività del lavoro è sempre significativa e positiva. La correlazione per tutti i ritardi temporali considerati assume un valore assai alto e crescente al passare del tempo dal momento in cui si è effettuato l’investimento. Identici risultati si hanno per la correlazione tra la R&S relativa (R&S/dipendenti) nel settore hightech e il valore aggiunto per dipendente e la produttività del lavoro nel manifatturiero. Questi risultati sono in linea con quanto calcolato all’interno del settore manifatturiero appena presentato. Anche in questo caso, inoltre le correlazioni calcolate sulla crescita annuale delle variabili oggetto di analisi perdono di significatività. Nella Tavola 4 si presentano le correlazioni per i brevetti, frazionati e non. Anche in questo caso, i brevetti del settore high-tech, sia in termini relativi che assoluti, presentano una correlazione significativa e positiva con il valore aggiunto scalato per la dimensione e la produttività del lavoro del settore manifatturiero (eccetto l’high-tech). Nessun andamento temporale sembra portarsi in evidenza con chiarezza. Tutti i valori sono elevati e, dopo una prima decrescita, aumentano per poi diminuire di nuovo. Tutti i risultati riportati nelle Tavole 3 e 4 sono una prima indicazione dell’esistenza di spillover della ricerca e sviluppo finanziata e condotta nel settore high-tech sul valore aggiunto e la produttività del lavoro del settore manifatturiero. Queste correlazioni ci mostrano la relazione 282 incondizionata tra investimenti in R&S del settore high-tech e performance del manifatturiero, sono cioè una prima misura degli spillover dell’attività innovativa dell’high-tech che dovrà essere qualificata con l’analisi multivariata, dove si prenderanno in considerazione le relazioni condizionate agli altri fattori. 9.4 L’analisi Multivariata 9.4.1 I modelli empirici Il principale obiettivo dell’analisi empirica è quello di catturare quantitativamente gli spillover che la ricerca e sviluppo (R&S) e i processi innovativi in generale dei settori high-tech hanno sulla performance del settore manifatturiero.109 Utilizzando i dati a livello settoriale sopra descritti, stimiamo alcuni modelli per valutare se esistono e quale entità abbiano gli spillover degli investimenti in R&S e in attività innovative fatti dai settori high-tech sul valore aggiunto, la produttività del lavoro e la loro crescita del settore manifatturiero. I modelli empirici che vogliamo testare sui dati raccolti sono i seguenti: X jt = α + β n R & Di (t − n ) + δ n LSkilli (t − n ) + η n ( R & D * LSkill )i (t − n ) + +γ n Pati ( t − n ) + λ ' Z t + ε t dove j: settore manifatturiero esclusi i settori high-tech con t= 1980,…,2006; i: settori high-tech con n= 1,…,4 ritardi temporali Variabili dipendenti: Xjt : VAjt /Empjt = valore aggiunto per dipendente del settore manifatturiero Lprodjt = produttività del lavoro (Fatturato/dipendenti) ∆ VAjt/Empjt = crescita del valore aggiunto per dipendente tra t e t+1 ∆ Lprodjt = crescita della produttività del lavoro tra t e t+1 109 D’ora in avanti, quando si menziona il settore manifatturiero si intende il settore manifatturiero esclusi i settori high‐tech, sia che questo venga esplicitamente detto nel testo, sia che nel caso appena riportato. 283 Variabili indipendenti: R&S : Spese di ricerca e sviluppo del settore dei settori high-tech, ritardati di 1 o più anni (n: 1,..,4) i(t-n) LSkill : spese in High Skill labor dei settori high-tech, ritardati di 1 o più anni (n: 1,..,4). In i(t-n) alternativa alle spese è stata considerata la composizione della forza lavoro in percentuale (% di high skill labour, % di medium skill, e % di low skill impiegato nei settori high-tech) R&S * LSkill i(t-n) i(t-n) :interazione per catturare l’Absorbtive Capacity delle imprese che investono in R&S Pat i(t-n) : numero di brevetti richiesti (e concessi) dalle imprese dei settori high-tech, ritardati di 1 o più anni (n: 1,..,4) Z : matrice di variabili di controllo, quali time dummy e variabili economiche che influiscono sulla it produttività å : errore stocastico t Per stimare questi modelli abbiamo seguito una metodologia che viene descritta nella seguente sezione. 9.4.2 Metodologia Nel caso di serie storiche, è bene che il ricercatore esplori le caratteristiche statistiche delle variabili oggetto di analisi. Anzitutto è necessario verificarne la stazionarietà. Se una serie non fosse generata da un processo stazionario, infatti, le sue osservazioni sarebbero eterogenee e la media varierebbe nel tempo, quindi, non avrebbe senso considerarle in modo congiunto in un’unica stima. Per fenomeni non stazionari, in altre parole, le stime dei momenti secondi non hanno senso perché misurano dispersione e correlazioni rispetto a dati medi non informativi (se non addirittura fuorvianti). Una serie può essere resa stazionaria mediante trasformazioni. Una tipica trasformazione che elimina la non-stazionarietà delle serie è la differenza prima. Quando si studiano fenomeni economici, è bene, però, cercare di interpretare il risultato di una trasformazione statistica. I test di stazionarietà da noi utilizzati sono i seguenti. 284 Augmented Dickey-Fuller unit-root test Nell’Augmented Dickey-Fuller unit-root test (Dickey e Fuller, 1979) l’ipotesi nulla è che la variabile contenga una radice unitaria, mentre l’ipotesi alternativa è che la variabile sia generata da un processo stazionario. Hamilton (1994, 528-529) descrive quattro differenti casi in cui il test di Dikey e Fuller può essere applicato. I casi si differenziano a seconda che l’ipotesi nulla includa un termine di spostamento o che la regressione utilizzata per ottenere la statistica del test includa la costante e/o il trend. Il test stima, infatti, il seguente modello: yt = α + ρyt −1 + δt + ut con il metodo dei minimi quadrati ordinari (OLS) dove α e δ possono essere posti uguali a zero. Tale regressione è, però, probabile che contenga correlazione seriale. E’, quindi, necessario che il modello stimato diventi: Δyt = α + β yt −1 + δt + γ 1Δyt −1 + γ 2 Δyt − 2 + ... + γ k Δyt − k + ε t dove k è il numero di ritardi temporali; ovvero è necessario utilizzare le differenze prime. La scelta del caso da applicare avviene in base alla teoria economica e ad un’analisi dei grafici sull’andamento delle variabili in esame. Dickey-Fuller GLS regression Il test esegue un Dickey-Fuller modificato in cui le serie sono state trasformate attraverso una regressione GLS (Elliott et al., 1996). Elliott, Rothenberg e Stock e studi successivi mostrano che questo test ha maggior forza rispetto alla precedente versione di Dickey-Fuller. Il modello include da 1 a k lags delle differenze prime delle variabili de-trendizzate, dove k può essere definito esternamente o, di default, è definito applicando il metodo descritto da Schwert (1989). L’ipotesi nulla è che la variabile sia random walk, possibilmente con drift. Ci sono due ipotesi alternative: la variabile è stazionaria con un trend lineare o non lineare nel tempo. Il modello stimato è analogo a quello presentato per il Dickey-Fuller test, solo su dati GLS-detrendizzati. Phillips-Perron unit-root test Il Phillips-Perron (1987) verifica l’esistenza di radice unitaria in una variabile. L’ipotesi nulla, come per i due test precedenti, è che la variabile contenga radice unitaria, mentre l’ipotesi alternativa è che 285 la variabile sia generata da un processo stazionario. Il test utilizza gli standard errors Newey-West per tener conto della correlazione seriale, diversamente dal Dickey-Fuller che utilizza le differenze prime delle variabili. Quindi, il test di Phillips-Perron può essere letto come un Dickey-Fuller reso robusto alla correlazione seriale attraverso l’utilizzo delle matrici di covarianza di Newey-West consistenti rispetto all’eteroschedasticità e all’autocorrelazione. I risultati dei test su tutte le variabili sono presentati nella Tavola 5. Dopo aver verificato la stazionarietà delle serie, è possibile applicare un modello di stima OLS con variabili stazionarie o integrate dello stesso ordine. E’, però, importante un ulteriore controllo. Si potrebbero, infatti, presentare problemi di autocorrelazione e di eteroschedasticità degli errori, ai quali sarebbe necessario rimediare adottando il modello di stima adeguato. I test da noi applicati per la verifica della presenza di autocorrelazione sono il Durbin-Watson Alternative test e il Breusch-Godfrey test, mentre per l’eteroschedasticità utilizziamo l’LM test for autoregressive conditional heteroskedasticity (ARCH). Nei primi due test l’ipotesi nulla è la NON esistenza di correlazione seriale tra gli errori. Il Durbin-Watson Alternative verifica la presenza di correlazione seriale di ordine 1 e non richiede che i regressori siano strettamente esogeni, mentre il Breusch-Godfrey testa la correlazione per ordini più alti. L’LM test for autoregressive conditional heteroskedasticity, invece, ha come ipotesi nulla la NON esistenza di eteroschedasticità condizionale autoregressiva a cui contrappone l’ipotesi alternativa che sostiene la presenza di eteroschedasticità autoregressiva di ordine 1. Tutti e tre i test hanno distribuzione χ2. Nei casi in cui gli errori sono risultati essere autocorrelati, abbiamo sostituito il modello di stima dei minimi quadrati ordinari con il modello Prais-Winsten Regression che utilizzando il metodo GLS risolve, o per lo meno attenua, tale problema. 9.4.3 Analisi dei risultati delle stime ottenute. La Tavola 6 mostra i risultati delle stime effettuate sui modelli proposti nella sezione precedente. Alcune precisazioni debbono essere fatte prima di entrare nel vivo della discussione dei risultati. Innanzitutto i modelli proposti nella sezione 9.4.1 sono i modelli empirici che in assenza di vincoli dettati dai dati sarebbe stato ottimo testare per verificare l’esistenza degli spillover dai settori high-tech al resto del manifatturiero. I modelli, infatti, miravano a quantificare l’impatto sulla produttività del lavoro e sulla crescita del valore aggiunto dei settori manifatturieri low e medium tech, delle spese di R&S e dei ritardi temporali dell’R&S dei settori high-tech, della composizione della forza lavoro (medium e high skilled labour), l’interazione tra le spese in R&S e la composizione della forza lavoro, dei brevetti ottenuti e di quelli ottenuti negli anni precedenti, e, per concludere, inseriscono alcune variabili di controllo, quale la dimensione dei settori, high, medium e low tech. 286 Nonostante i dati a livello di macro-settori (low, medium e high-tech) siano stati raccolti partendo dai settori a 2 e 3 digit che compongono i macro-settori, non è stato possibile sfruttare la struttura panel dei dati (ovvero diversi settori per diversi anni) che ci avrebbe concesso una ricchezza di osservazioni significativa. Infatti, tutti i settori medium e low tech, (le cui variabili appaiono come variabili dipendenti (produttività del lavoro, valore aggiunto e crescita di entrambe) sarebbero dipesi dalle stesse variabili dipendenti (quelli dei settori high-tech) per ogni anno incluso nel periodo di osservazione. Siamo stati quindi costretti ad aggregare i dati raccolti e formare delle serie temporali di dati per ogni macro-settore: una per l’high-tech e una per il medium e low tech (ovvero il manifatturiero escluso l’high-tech). A questo si deve aggiungere che i dati provengono da fonti diverse, come illustrato nella sezione 9.2.1 e purtroppo non sono presenti per la stessa finestra temporale. In particolare, come la Tavola 1 mostra, i brevetti sono disponibili dal 1980 al 1999, la composizione della forza lavoro dal 1980 al 2005, mentre la produttività del lavoro e il valore aggiunto dal 1980 al 2006. Questo ha fatto in modo che le regressioni fossero stimate con il numero di osservazione minore corrispondente a quello della variabile con minore osservazioni. Inoltre ogni ritardo temporale, ogni differenza prima o crescita di una variabile riduce il numero di osservazioni disponibile che può essere utilizzato nella stima dei modelli. Ci siamo così ritrovati a dover contare su un numero esiguo di osservazioni che ci ha costretto a ridurre drasticamente il numero delle variabili indipendenti da poter inserire nei modelli. La nostra scelta è stata quella di escludere i termini di interazione e le variabili di controllo per poterci focalizzare sulle variabili che catturano gli effetti diretti degli spillover delle attività innovative dell’high-tech sulle variabili di performance del settore manifatturiero (escluso l’high-tech). Inoltre abbiamo forzatamente ridotto il numero di ritardi temporali delle variabili indipendenti che avremmo voluto inserire, visto soprattutto le correlazioni (cfr. Tavole 3 e 4) tra le variabili dipendenti e i lag temporali delle proxy per le attività innovative e, spese in R&S e brevetti. A questo proposito abbiamo costruito, come descritto nella sezione 9.2.2.2, una variabile pesata sia per le spese in R&S sia per i brevetti che fosse una media ponderata dei primi 4 ritardi temporali rispettivamente delle spese in R&S e dei brevetti e dove i pesi fossero rappresentati dai coefficienti di correlazione mostrati nelle Tavole 3 e 4. Le variabili così costruite sono “Log lagged R&S/employee pesato su VA/employee”, “Log lagged R&S/employee pesato sulla Produttività del lavoro”, “Lagged Brevetti pesati su Valore Aggiunto per employee” e “Lagged Brevetti pesati sulla Produttività del. Lavoro”, che si trovano nella Tavola 5 che riporta i test sulla stazionarietà delle variabili che abbiamo utilizzato per stimare i modelli proposti. La Tavola 6 presenta i modelli che abbiamo stimato utilizzando diversi metodi di stima e le variabili a disposizione. I Modelli 1 e 2 spiegano la produttività del lavoro in livelli nel settore manifatturiero, i Modelli 3 e 4 la crescita del valore aggiunto per dipendente e i modelli 5 e 6 la 287 crescita della produttività del lavoro. Rispetto ai modelli empirici riportati nella sezione 9.4.1 manca il modello per spiegare il valore aggiunto per dipendente in livelli. Questo è dovuto al fatto che le variabili Valore aggiunto e Valore aggiunto per dipendente sono due variabili che in livelli non sono stazionarie, come mostra la Tavola 5. Tutte le coppie di modelli sono costruite in modo che il primo modello abbia due sole variabili indipendenti mentre nel secondo viene aggiunta una terza variabile, normalmente una variabile con minor numero di osservazioni per cui il numero di osservazioni totali su cui è stimato il secondo modello è inferiore al numero di osservazioni del primo. Il modello 1 stima gli effetti delle spese in R&S nel settore high-tech dell’anno t-1 e della crescita tra l’anno t e t-1 della percentuale di medium skill labour nei settori high-tech sulla produttività del lavoro del settore manifatturiero al tempo t. Mentre l’impatto delle spese in R&S dell’anno precedente è positivo e statisticamente significativo, l’effetto della crescita del medium skilled labour impiegato nei settori high-tech ha un effetto che non è statisticamente diverso da zero. Aggiungendo come variabile indipendente il numero di brevetti fatti dal settore high-tech nell’anno t-1 (cfr. modello 2) ,si può notare che l’effetto delle due precedenti variabili sulla produttività del lavoro non cambia ed in più si aggiunge l’effetto positivo e significativo dei brevetti. Questi risultati suggeriscono che esistono degli spillover positivi tra il settore high-tech e il manifatturiero. In particolare ci dicono che le attività innovative svolte nei settori high-tech, sia che vengano misurate in spese in R&S e/o in numero di brevetti richiesti e concessi all’high-tech, hanno un effetto positivo sulla produttività del lavoro del settore manifatturiero. Il modello 3 usa come variabili esplicative della crescita del valore aggiunto per dipendente tra l’anno t e t+1, la crescita delle spese di R&S per dipendente tra l’anno t-1 e t e la crescita della percentuale di medium skill labour impiegato sempre tra l’anno t-1 e t. I risultati mostrano che la crescita delle spese in R&S ha un effetto positivo sulla crescita del valore aggiunto per dipendente, ma la variazione della percentuale di lavoro mediamente qualificato è ininfluente. Se aggiungiamo alle variabili esplicative la crescita del numero di brevetti richiesti e ottenuti dall’high-tech tra l’anno t-1 e t (si veda il modello 4) notiamo che la significatività delle due precedenti variabili non cambia, e l’effetto della nuova variabile risulta essere positivo e significativo. Come per la crescita delle spese in R&S per dipendente, così la crescita del numero di brevetti richiesti e ottenuti dal settore high-tech tra l’anno t-1 e t ha un effetto positivo sulla crescita del valore aggiunto per addetto del settore manifatturiero. Va notato che i coefficienti della crescita delle due proxy dell’attività innovativa del settore high-tech hanno un valore significativo ma assai piccolo. Rimane comunque il fatto che anche in questo caso, sembra confermata l’esistenza di spillover, in particolare di spillover di conoscenza tecnologica, dal settore high-tech al settore manifatturiero. Il modello 5 cattura gli effetti della crescita delle spese di R&S per dipendente del settore high-tech tra il tempo t-1 e t, sulla crescita tra il tempo t e t+1 della produttività del lavoro del settore manifatturiero. Viene anche inclusa come variabile esplicativa la crescita tra t-1 e t della percentuale di 288 high skilled labour impiegato nel settore high-tech. Entrambe le variabili hanno un effetto positivo e significativo sulla crescita della produttività del lavoro. Una volta che si aggiunge tra i regressori la crescita del numero di brevetti realizzati dal settore high-tech (modello 6), la situazione non cambia: tutte le variabili esplicative hanno effetti positivi e significativi sulla crescita della produttività del lavoro. Come nei casi precedenti, le attività innovative catturate dalla crescita delle spese in R&S, dalla crescita nel numero dei brevetti e dalla crescita della percentuale di high skilled labour hanno spillover positivi sulla crescita della produttività del lavoro del settore manifatturiero. Comunque si misurino le attività innovative svolte all’interno del settore high-tech (in livelli o in crescita, utilizzando i brevetti o le spese in R&S, o la quota di high skilled labour), un loro incremento sembra portare ad un incremento in una qualsiasi delle proxy della performance del settore manifatturiero. Questo effetto diretto e positivo suggerisce l’esistenza di spillover di tipo tecnologico tra i settori high-tech e il resto del manifatturiero. I miglioramenti della conoscenza e delle competenze tecnologiche che si raggiungono nel settore high-tech hanno effetti diretti e positivi sulla performance del settore manifatturiero, per cui gli investimenti in attività innovative del settore high-tech non porta vantaggi in termini economici solo al settore high-tech, ma a tutti gli altri settori del manifatturiero. In particolare, quello che emerge dai dati, è che c’è una relazione tra la dinamica degli investimenti in attività innovative e la dinamica della performance del manifatturiero: la crescita negli investimenti in attività innovative porta ad una crescita nella performance. 9.5 Analisi dei brevetti: entropia e diversificazione tecnologica Attraverso l’analisi dei brevetti richiesti e concessi alle aziende facenti parte del settore aerospaziale si vogliono valutare gli spillover di tipo tecnologico dell’output innovativo del settore aerospaziale verso gli altri settori manifatturieri. Attraverso il calcolo di un indice di diversificazione tecnologica (indice di entropia) si vuole valutare quanto l’attività innovativa svolta dal settore aerospaziale vada ad influire sugli altri settori. 9.5.1 Descrizione della base di dati Per calcolare l’indice di diversificazione tecnologica si sono identificate le imprese del settore aerospaziale italiano ed europeo. L’elenco delle imprese italiane è stato compilato dal nostro gruppo di ricerca in collaborazione con l’ASI– Agenzia Aerospaziale Italiana, mentre l’elenco delle imprese europee è stato preso da Eurospace annual facts and figures survey of European space manufacturing industry, indagine condotta Space Industry Markets Working Group, Eurospace (Lionnet, 2008). Si sono così individuate 120 imprese italiane (inclusa l’ASI) e 143 imprese europee (incluse 4 tra le 289 maggiori agenzie aerospaziali europee: ESA, Bruxelles, Belgio; CNES - Centre National d'Etudes Spatiales, Francia; DLR - Deutsche Zentrum fuer Luft- und Raumfahrt, Germany; e BNSC - British National Space Center, Regno Unito). Per ogni impresa si sono raccolti tutti i brevetti richiesti allo European Patent Office (EPO) di Francoforte dal 1978 (anno di apertura dell’EPO) al 2005 (anno più recente in cui sono disponibile i brevetti). Ogni richiesta di brevetto è stata assegnata a una classe tecnologica. I dati sui brevetti provengono dalla banca dati EP-CESPRI e sono stati forniti dal Kites dell’Università Bocconi.110 Il database EP-CESPRI111 contiene tutte le richieste di brevetti presentate allo European Patent Office da imprese, istituzioni e singoli individui che cercano protezione legale per le loro innovazioni nei 18 Paesi che hanno aderito alla convenzione di Monaco con cui è stato fondato l’EPO. Come Breschi, Lissoni e Malerba (2003) sottolineano, i brevetti, oltre a misurare la capacità innovativa delle imprese (se pur con tutti i limiti enfatizzati in Griliches, 1991), sono un eccellente indicatore delle competenze tecnologiche delle imprese. Il fatto che un’impresa richieda un brevetto in una specifica classe tecnologica significa che l’impresa è sulla frontiera tecnologica (o ad essa molto vicino) e possiede avanzate competenze tecnologiche in quello specifico campo tecnologico. Nel database EP-CESPRI le richieste di brevetto sono state elaborate a livello di impresa e per ogni brevetto il database fornisce informazioni concernenti il nome e la locazione del’impresa che richiede il brevetto; la data della richiesta presentata all’EPO; e la classe tecnologica che è stata assegnata al brevetto dagli esaminatori brevettuali dell’EPO. Tavola A: Technology classification (30 fields) based on the IPC 9. Organic chemistry 24. Handling 10. Polymers 1. Electrical engineering 11. Pharmaceutics 25. Food processing 16. Chemical engineering 26. Transport 2. Audiovisual technology 12. Biotechnology 17. Nuclear Surface engineering technology 27. 18. processing 28.Materials Space technology 3. Telecommunications 13. Materials 4. Information technology 14. Food chemistry 19. processes 29.Thermal Consumer goods 20. Environmental technology 30. Civil engineering 5. Semiconductors 15. Basic materials chemistry 6. Optics 110 21. Machine tools 7. Control technology 22. Engines 8. Medical technology 23. Mechanical elements A tale proposito si vuole ringraziare il Prof. Stefano Breschi e l’Ing. Gianluca Tarasconi del Kites, Università Bocconi, per la preziosa collaborazione nel fornirci i dati necessari a questa analisi. 111 Per una esaustiva descrizione della banca dati EP-CESPRI si rimanda alla due pubblicazioni: Breschi, Lissoni e Malerba (2003) e Lissoni, Sanditov e Tarasconi, (2006). 290 Tutti i brevetti vengono assegnati dagli esaminatori ad almeno una classe tecnologica dell’International Patent Classification (IPC). L’IPC è un sistema di classificazione internazionale dei brevetti, formato da classi tecnologiche esaustive e che non si sovrappongono. L’IPC è formato da oltre 60,000 codici individuali suddivisi in 12 digit e può essere usato a differenti livelli gerarchici. Il database EP-CESPRI ha adottato una classificazione tecnologica basata sull’IPC che distingue 30 classi tecnologiche. Queste classi vengono riportate nella Tabella A Tale sistema di classificazione è stato elaborato da diversi istituti e in particolare: dal Fraunhofer Gesellschaft-ISI (Karlsruhe); dall’Institut National de la Propriété Industrielle (INPI, Parigi); e dall’Observatoire des Sciences and des Techniques (OST, Parigi) (Breschi, Lissoni e Malerba, 2003). 9.5.2 Metodologia Per calcolare l’indice di diversificazione tecnologica dell’attività innovativa delle imprese che fanno parte del settore aerospaziale italiano e europeo, si procede al calcolo dell’entropia dei brevetti richiesti dalle imprese aerospaziali. Ogni brevetto viene classificato in una matrice di frequenza bi-dimensionale. La dimensione X riguarda le m classi tecnologiche (i =1,. . .,m) in cui sono classificati i brevetti, nel nostro caso m=30 poiché 30 sono le classi tecnologiche secondo la classificazione IPC, e la dimensione Y riguarda le n imprese ( j=1,. . .,n), nel caso dalle imprese italiane n=130 e nel caso delle imprese europee n=143. Si ottiene così la matrice di frequenza pij che descrive le frequenze dei brevetti appartenenti alla classe i e all’impresa j. Le frequenze marginali sono date da: pi. = n ∑p j =1 (i = 1,..., m) ij m ∑p L’entropia della distribuzione dei brevetti attraverso le classi tecnologiche (o tecnologie) è data da: p. j = i =1 ( j = 1,..., n) ij m H ( X ) = -∑ i =1 pi. p ln i. m m Il valore H(X) indica la varietà tecnologica presente nella distribuzione dei brevetti delle imprese aerospaziali attraverso le tecnologie nell’industria nel suo insieme. 291 La distribuzione dei brevetti è caratterizzata da un’entropia minima quando una singola classe tecnologica domina completamente le attività innovative delle imprese del settore, cioè quando tutti i brevetti richiesti dalle imprese del settore vengono assegnati ad una sola classe tecnologica. In questo caso si verifica un totale lock-in delle attività innovative del settore in esame in una tecnologia che porta a richiedere tutti i brevetti in una classe tecnologica sola. In questo caso, la quota di una classe tecnologica è il 100% e l’entropia è: H min ( X ) = −1.00 ln 1.00 = 0.00 Una distribuzione di brevetti è invece caratterizzata da massima entropia quando tutte le innovazioni tecnologiche sviluppate all’interno del settore aerospaziale hanno un’uguale quota sul totale delle classi tecnologiche, ovvero quando si ha una distribuzione uniforme dei brevetti attraverso tutte le classi tecnologiche e con pi. =1/m. L’entropia massima è data allora da: m H max ( X ) = -∑ i =1 pi. p ⎛m⎞ ⎛ 1 ⎞ ln i. = − ⎜ ⎟ ln ⎜ ⎟ = ln m m m ⎝m⎠ ⎝m⎠ Ogni altra distribuzione di brevetti ha un valore dell’entropia H(X) tra 0 e ln(m). Più alto è il valore dell’entropia della distribuzione dei brevetti attraverso le classi tecnologiche, più alta è la varietà e diversificazione tecnologica dell’attività innovativa sviluppata all’interno del settore aerospaziale e maggiori saranno i potenziali spillover tecnologici in altri settori manifatturieri e dei servizi Inoltre l’entropia fornisce un indicatore di diversificazione tecnologica che può essere usato per valutare se le attività innovative a livello di impresa in un’industria tendono ad un lock-in nel tempo. Tale processo di lock-in si manifesta quando l’entropia della distribuzione dei brevetti decresce con il trascorrere del tempo. 9.5.3 L’analisi dell’entropia. Utilizzando i dati sopra descritti riguardanti i brevetti richiesti dai due gruppi di imprese, quelle italiane e quelle europee, abbiamo calcolato l’entropia massima, l’entropia complessiva tra il 1978 e il 2005 e l’entropia anno per anno. I risultati sono riportati nelle Tavole 7 - 10. L’entropia massima, ovvero quando tutte le innovazioni tecnologiche sviluppate all’interno del settore aerospaziale hanno un’uguale quota sul totale delle classi tecnologiche, come abbiamo visto 292 nella sezione precedente, non dipende dal numero delle imprese ma solo dal numero delle classi tecnologiche. Le classi tecnologiche sono rimaste costanti e uguali a 30 per i 28 anni del periodo di osservazione per cui l’entropia massima è rimasta costante nel tempo ed uguale a 3,401. Considerando che l’entropia minima, ovvero quando una singola classe tecnologica domina completamente le attività innovative delle imprese del settore e tutti i brevetti richiesti dalle imprese del settore vengono assegnati ad una sola classe tecnologica, è sempre uguale a 0, possiamo prendere l’intervallo identificato dal valore minimo e da quello massimo e dividerlo in tre fasce di uguale ampiezza. Otteniamo così tre diverse fasce caratterizzate da diversi livelli di entropia: • la prima fascia, da 0 a 1.133, entropia bassa; • la seconda, da 1.133 a 2.266, entropia media; • la terza fascia, da 2.266 a 3.4001, entropia alta. Tale suddivisione ci aiuta a interpretare i risultati ottenuti e presentati nelle Tavole 8 e 10. L’entropia complessiva calcolata per le imprese italiane per l’intero periodo (cfr. Tavola 7) è pari a 2.710 e chiaramente è un valore assai alto. Esaminando l’andamento nel tempo dell’entropia della distribuzione dei brevetti delle imprese del settore aerospaziale (cfr. Tavola 8), diversi aspetti sono degni di nota. Innanzitutto, si può notare che il valore complessivo calcolato su tutto l’arco del tempo è maggiore di tutti i valori dell’entropia calcolata anno per anno. Questo risultato è dato dal fatto che la diversificazione tecnologica dei brevetti richiesti ogni anno spazia su un range di classi tecnologiche che varia di anno in anno, rendendo così la diversificazione tecnologica totale, calcolata sull’intero periodo, ben maggiore rispetto a quella annuale. Se le classi tecnologiche in cui le imprese aerospaziali non cambiassero di anno in anno, avremmo ottenuto un’entropia complessiva molto simile, se non uguale, ai valori dell’entropia annuale. Questo risultato ci dice che le imprese del settore aerospaziale hanno sviluppato conoscenze tecnologiche avanzate in molte aeree tecnologiche diverse tra loro. Si noti che 2.710 è un valore che si trova quasi a metà dell’ultima fascia e comunque molto vicino al valore massimo ovvero vicino a quel valore che ci direbbe che le imprese del settore aerospaziale hanno sviluppato avanzate conoscenze in tutte le classi tecnologiche in cui è stato suddivisa la conoscenza codificata e brevettabile. Altro aspetto degno di nota che la Tavola 8 ci mostra, è l’andamento crescente nel tempo dell’entropia. Bisogna precisare che gli anni non presenti nella Tavola sono anni in cui non sono stati richiesti brevetti dalle imprese italiane. La discontinuità nel tempo caratterizza solo il primo periodo. Questo è dovuto al fatto che l’EPO è stato fondato ed è diventato operativo nel 1978. Nei primi anni successivi alla sua apertura solo le imprese più grandi e ben affermate nel mercato ( e specialmente le imprese tedesche) si rivolsero all’EPO per la protezione legale dei loro brevetti. Con il tempo l’EPO 293 divenne conosciuto sempre a una maggiore fascia di imprese per cui il numero di richieste di brevetti crebbe e si diffuse territorialmente in modo più uniforme. La Tavola 8 ci mostra che per le imprese italiane aerospaziali l’entropia rimase bassa fino al 1986, per poi passare dalla fascia media dal 1987 (escludendo il 1989) fino al 1996. Dal 1997 in avanti l’entropia oscilla intorno alla soglia tra la fascia media e quella alta, ma senza mai andare sotto il valore di 2.000. Questa dinamica ci dimostra che le imprese aerospaziali hanno accresciuto le loro conoscenze tecnologiche in un range sempre più ampio di tecnologie e che non vi è stata né una classe tecnologica, né una tecnologia particolare che ha esercitato un effetto di lock-in. Al contrario, l’andamento crescente dell’entropia ci dimostra che le imprese hanno sviluppato progetti tecnologici che hanno avuto successo in un’ampia gamma di tecnologie, diversificando molto il loro bagaglio di conoscenze e competenze tecnologiche. Se passiamo ad analizzare le Tavole 9 e 10 in cui vengono riportati i risultati del calcolo dell’entropia per le imprese europee, possiamo notare che l’entropia complessiva calcolata sopra l’intero periodo di osservazione è uguale a 2.809. Valore ancora più vicino al valore massimo teorico che nel caso delle imprese italiane, anche se non molto differente. L’andamento nel tempo dell’entropia ci mostra innanzitutto che per le imprese europee non si sono verificate discontinuità nella richiesta dei brevetti, a differenza delle imprese italiane. La mancanza di discontinuità può essere data dal fatto che l’elenco delle imprese europee contiene una quota maggiore di grandi imprese rispetto a quelle italiane che contengono un numero non esiguo di medie-piccole imprese. A parte tre anni ( i due iniziali e il 1980), l’entropia dei brevetti delle imprese europee si colloca sempre nella fascia alta. La sua dinamica mostra un andamento che oscilla attorno ad un trend comunque crescente (forse meno rispetto alle imprese italiane, ma comunque crescente). I valori dell’entropia sono sempre molto alti e sempre molto vicini all’entropia complessiva calcolata sull’intero periodo. A differenza di quello che accade per le imprese italiane i valori annuali dopo il 1997 sono molto vicini al valore dell’entropia complessiva. Questo significa che la diversificazione tecnologica delle imprese europee è basata su un range di classi tecnologiche che non cambia nel tempo (ciò che invece accade per le imprese italiane) ma che comunque è assai ampio. Proprio la sua ampiezza potrebbe essere la causa del fatto che non cambi nel tempo, visto che i brevetti delle imprese europee coprono ogni anno quasi tutte classi tecnologiche con un’uguale intensità. Questi risultati mettono in evidenza che le imprese del settore aerospaziale sono sulla frontiera tecnologica di molte ( se non quasi tutte) aeree tecnologiche. Le loro conoscenze e il loro know-how spazia da aeree che costituiscono il core della loro conoscenza tecnologica ad aeree decisamente più lontane e che potrebbero sembrare non avere nulla a che fare con l’aerospazio. In un caso come questo, è facile immaginare che gli spillover di conoscenza tecnologica dai settori aerospaziali siano facili e rilevanti. Le conoscenze tecnologiche sviluppate all’interno delle 294 imprese aerospaziali possono passare senza grande difficoltà in settori economici che nulla hanno a che fare con l’aerospazio, proprio perché le avanzate competenze tecnologiche sviluppate dalle imprese aerospaziali vanno a influire in modo significativo sulle conoscenze di aree tecnologiche tra loro assi diversificate. 9.6 Conclusioni L’obiettivo di questo capitolo è stato quello di fare un apprezzamento quantitativo, attraverso un’analisi empirica a diversi livelli, degli spillover degli investimenti in attività innovative svolte dal settore high-tech e dal settore aerospaziale, sulla performance del settore manifatturiero. L’analisi univariata presentata in questo capitolo sembra voler dare conferma del fatto che gli investimenti in R&S, unitamente alla presenza di skills elevate, portino a migliori performance economiche. Questo si pone in evidenza quando l’oggetto di studio sono i macro-settori dell’high-tech, del medium-high-tech e del low tech. E’, infatti, nei settori ad alta tecnologia, dove le spese e gli stock di ricerca e sviluppo, il numero di brevetti prodotto e le competenze dei lavoratori sono superiori (in particolare se si osservano gli investimenti effettuati per dipendente), che si registrano un valore aggiunto e una produttività del lavoro più alti112. Anche le correlazioni prese in esame verificano l’esistenza di un legame significativo e positivo tra investimenti in R&S e performance dello stesso settore che si perde, però, quando si considera il settore low tech per quanto riguarda la produttività del lavoro. I calcoli a prezzi costanti hanno permesso, inoltre, di portare in evidenza una struttura temporale che sembra mostrare un aumento degli effetti degli investimenti in ricerca e sviluppo col passare degli anni. Quando si prende in considerazione la correlazione tra investimenti in R&S e produzione di brevetti del settore high-tech e la performance del settore manifatturiero (escluso l’high-tech) possiamo notare che la correlazione è significativa e positiva ad eccezione dei tassi di crescita delle variabili. Queste correlazioni sono una prima indicazione (che deve essere perfezionata con l’analisi multivariata) dell’esistenza di significativi spillover della ricerca e sviluppo finanziata e condotta nel settore high-tech sulla performance manifatturiero. Nel presente capitolo si è visto come la letteratura empirica presenti un numero consistente di lavori che dimostra che gli spillover delle spese in R&S esistono e che la loro entità può essere piuttosto significativa (Griliches, 1991). 112 Ciò avviene nonostante la media delle variabili di performance risulti essere maggiore (in particolare per la produttività del lavoro) nel settore low tech a causa della presenza di un settore outlier che per tutto il periodo di osservazione mostra valori ben al di sopra del rimanente settore low tech spostando così verso l’alto la media del low tech. 295 La significatività statistica e positiva delle correlazioni tra spese in R&S nel settore ad alta tecnologia e variabili di performance del rimanente settore manifatturiero è in linea con tali risultati. L’analisi multivariata ci mostra che comunque si misurino le attività innovative svolte all’interno del settore high-tech (in livelli o in crescita, utilizzando i brevetti o le spese in R&S, o la quota di high skilled labour), un loro incremento sembra portare ad un incremento in una qualsiasi delle proxy della performance del settore manifatturiero. Questo effetto diretto e positivo suggerisce l’esistenza di spillover di tipo tecnologico tra i settori high-tech e il resto del manifatturiero. I miglioramenti della conoscenza e delle competenze tecnologiche che si raggiungono nel settore hightech hanno effetti diretti e positivi sulla performance del settore manifatturiero,per cui gli investimenti in attività innovative del settore high-tech non porta vantaggi in termini economici solo al settore high-tech (come aveva mostrato l’analisi uni variata), ma anche a tutti gli altri settori del manifatturiero. In particolare, quello che emerge dai dati, è che c’è una relazione tra la dinamica degli investimenti in attività innovative e la dinamica della performance del manifatturiero: la crescita negli investimenti in attività innovative porta ad una crescita nella performance. L’analisi empirica dell’entropia dei brevetti realizzati dalle imprese del settore aerospaziale italiano ed europeo mette in luce un ulteriore aspetto delle attività innovative svolte all’interno del settore aerospaziale. I risultati mettono in evidenza che le imprese del settore aerospaziale sono sulla frontiera tecnologica di molte ( se non quasi tutte) le aeree tecnologiche. Le loro conoscenze e il loro know-how spazia da aeree che costituiscono il nucleo della loro conoscenza tecnologica ad aeree decisamente più lontane e che potrebbero sembrare non avere nulla a che fare con l’aerospazio. In un caso come questo, è facile immaginare che gli spillover di conoscenza tecnologica dai settori aerospaziali siano facili e rilevanti. Le conoscenze tecnologiche sviluppate all’interno delle imprese aerospaziali possono passare senza grande difficoltà in settori economici che nulla hanno a che fare con l’aerospazio, proprio perché le avanzate competenze tecnologiche sviluppate dalle imprese aerospaziali vanno a influire in modo significativo sulle conoscenze di aree tecnologiche tra loro assai diversificate. 296 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Breschi S. e Lissoni F. (2001), Knowledge Spillovers and Local Innovation Systems: a Critical Survey; Industrial and Corporate Change, Vol. 10(4): 975-1005; Breschi S., F. Lissoni, F. Malerba (2003), Knowledge-relatedness in firm technological diversification, Research Policy, Vol. 32: 69-87. Brown M. e Conrad A. (1967), The Influence of Research on CES Production Relations, in M. Brown (ed.) The Theory and Empirical Analysis of Production, Studies in Income and Wealth, Vol.3, New York, Columbia University Press per NBER: 275-340; Caballero R. J. e Jaffe A. (1993), How High are the Giants’ Shoulders: An Empirical Assesment of Knowledge Spillovers and Creative Destruction in A Model of Economic Growth, NBER Macroeconomics Annual, in Griliches Z. (1991), The Search for R&S Spillovers Scandinavian Journal of Economics, Vol. 94, Supplement: 29-47; Dickey D. A. e Fuller W. A. (1979), Distribution of the estimators for auto regressive time series with a unit root, Journal of the American Statistical Association, Vol. 74: 427-431; Elliott G., Rothenberg T. e Stock J. H. (1996), Efficient tests for an autoregressive unit root, Econometrica, Vol. 64: 813-836; Evenson R. (1968), The Contribution of Agricultural Research and Extension to Agricultural Production, unpublished Ph.D. Thesis, University of Chicago, in Griliches Z. (1991), The Search for R&S Spillovers Scandinavian Journal of Economics, Vol. 94, Supplement: 29-47; Geroski P. (1995), Markets for Technology: Knowledge, Innovation and Appropriability, in P. Stoneman (ed.), Handbook of the Economics of Innovation and Technological Change. Blackwell, Oxford: 90-131; Goto A. e Suzuki K. (1989), R&S Capital, Rate of Return on R&S Investment and Spillover of R&S in Japanese Manufactoring Industries, Review of Economics and Statistics, Vol. LXXI(4): 555-564; Griffith R. Redding S., Van Reenen J. (2004), Mapping the Two Faces of R&S: Productivity Growth in a Panel of OECD Industries, The Review of Economics and Statistics; 86(4): 883-895; Griliches Z. (1958), Research Cost and Social Returns: Hybrid Corn and Related Innovation, Journal of Political Economy, Vol. LXVI: 419-431; Griliches Z. (1964), Research Expenditures, Education, and the Aggregate Agricultural Production Function, American Economic Review, Vol. LIV(6): 961-974; Griliches Z. (1991), The Search for R&S Spillovers Scandinavian Journal of Economics, Vol. 94, Supplement: 29-47; Hamilton J. D. (1994), Time Series Analysis, Princeton, Pricenton University Press; 297 Huffman W. E. e Evenson R. E. (1991), Science for Agriculture, Iowa State University Press, in Griliches Z. (1991), The Search for R&S Spillovers Scandinavian Journal of Economics, Vol. 94, Supplement: 29-47; Jaffe A. (1986), Technological Opportunity and Spillovers of R&S: Evidence from firms’ Patents Profits and Market Value, American Economic Review, Vol. 76: 984-1001; Jaffe A. (1988), Demand and Supply Influences in R&S Intensity and Productivity Growth, Review of Economics and Statistics, Vol. LXX(3): 431-437; Jaffe A. (1989), Real Effects of Academic Research, The American Economic Review, Vol. 79(5): 957-970; Jaffe A. B., Fogarty M. S. e Banks B. A. (1998), Evidence from Patents and Patent Citations on the Impact of NASA and other Federal Labs on Commercial Innovation, The Journal of Industrial Economics, Vol. XLVI(2): 183-205; Jaffe, A. et al. (1993), Geographic localization of knowledge spillovers, Quarterly Journal of Economics, Vol. 108, pp: 577–598; Lionnet, P. (2008), Eurospace facts and figures. Data 2007, Source: Eurospace annual facts and figures survey of European space manufacturing industry. All data individually provided by participating companies. Survey monitored and supported by Space Industry Markets Working Group, Eurospace 2008 Lissoni F., Sanditov B., Tarasconi G. (2006), The Keins Database on Academic Inventors: Methodology and Contexts, WP n.181, Università Commerciale Luigi Bocconi – CESPRI, Milano; Newey W. K. e West K. D. (1987), A simple, positive semi-definite, heteroskedasticity and autocorrelation consistent covariance matrix, Econometrica, Vol. 55: 703-708; Phillips nP. C. B. e Perron P. (1988), Testing for a unit root in time series regression, Biometrica, Vol. 75: 335-346; Raines F. (1968), The Impact of Applied Research and Development on Productivity, Washington University Working Paper N. 6814, in in Griliches Z. (1991), The Search for R&S Spillovers Scandinavian Journal of Economics, Vol. 94, Supplement: 29-47; Scherer F. M. (1982), Interindustry Technology Flows and Productivity Growth, Review of Economics and Statistics, Vol. LXIV: 627-634; Scherer F. M. (1984), Using Linked Patent and R&S Data to Measure Interindustry Technology Flows, in Z. Griliches (ed.), R&S, Patents and Productivity, Chicago, University of Chicago Press, in Griliches Z. (1991), The Search for R&S Spillovers Scandinavian Journal of Economics, Vol. 94, Supplement: 29-47; Schultz T. W. (1954), The Economic Organization of Agriculture, New York, McGraw-Hill, in Griliches Z. (1991), The Search for R&S Spillovers Scandinavian Journal of Economics, Vol. 94, Supplement: 29-47; 298 Terleckyj N. (1974), Effects of R&S on the Productivity Growth of Industries: An Exploratory Study, National Planning Association, Washington, D. C. , in Griliches Z. (1991), The Search for R&S Spillovers Scandinavian Journal of Economics, Vol. 94, Supplement: 29-47; Tsai K. H. e Wang J. C. (2004), R&S Productivity and the Spillover Effects of High-tech Industry on the Traditional Manufactoring Sector: The Case of Taiwan, The World Economy, Vol. 27(10): 15551570; Verspagen B. (1997), Estimating International Technology Spillovers using Technology Flow Matrices, Weltwirtschaftliches Archiv, Vol. 133(2): 226-248. Database: EP INV database; EU KLEMS Growth and Productivity Account; EU KLEMS technology indicators satellite database; OECD ANBERD/ANRSE {Research and Development in Industry-Expenditure and Researchers, Scientists and Engineers) Database: dati sulle spese in R&S; OECD Intemationai Sectoral Database (tSDB): Dati sul valore aggiunto reale, stock di capitale, employment, ore di lavoro, retribuzione, e output reale lordo. 299 Tavola 1: Statistiche descrittive delle variabili d’interesse per macro-settori MANIFATTURIERO Var. R&D R&D/Employees VA VA/Employees Produzione Produttività del Lavoro %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) %low skilled labour - employees (1) %low skilled compensation (1) %low skilled labour - hours (1) R&D Stock Brevetti (2) Brevetti/Employees (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) Tassi di crescita (x(t)-x(t-1))/x(t-1) R&D R&D/Employees VA VA/Employees Produzione Produttività del Lavoro %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) %low skilled labour - employees (1) %low skilled compensation (1) %low skilled labour - hours (1) R&D Stock Brevetti (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) Media Dev.St. Min Max 5% Mediana 4.530E+09 1.070E+09 2.080E+09 6.030E+09 2.330E+09 4.890E+09 861.131 225.933 335.386 1080.448 383.364 961.529 1.930E+11 2.510E+10 1.510E+11 2.230E+11 1.520E+11 1.940E+11 36,537.880 6,779.077 25,135.560 44,570.440 25230.930 36442.770 6.320E+11 1.350E+11 4.440E+11 8.090E+11 4.440E+11 6.030E+11 120,473.300 32,007.850 71,451.600 160,620.300 73241.380 113948.000 2.393 0.445 1.641 3.136 1.658 2.441 2.814 0.448 2.069 3.472 2.081 2.892 2.564 0.497 1.765 3.409 1.801 2.590 95.502 0.744 93.836 96.202 93.943 95.721 95.657 0.739 94.057 96.331 94.134 95.943 95.207 0.747 93.497 95.857 93.596 95.477 2.105 1.174 0.705 4.524 0.772 1.826 1.528 1.175 0.233 3.874 0.267 1.165 2.229 1.216 0.786 4.739 0.855 1.933 30336.810 6358.092 18298.020 35729.080 19165.460 34521.310 1500.550 350.795 883.000 2072.000 912.500 1556.000 0.000 0.000 0.000 0.000 0.000 0.000 551.508 121.580 338.417 716.267 342.883 583.417 0.038 0.046 0.013 0.021 0.024 0.032 0.026 0.021 0.027 0.001 0.001 0.001 -0.071 -0.106 -0.069 0.029 0.037 0.032 0.074 0.078 0.026 0.029 0.030 0.031 0.020 0.009 0.016 0.001 0.001 0.001 0.034 0.022 0.029 0.030 0.115 0.105 -0.106 -0.087 -0.027 -0.034 -0.023 -0.014 -0.053 0.006 -0.043 0.000 0.000 0.000 -0.093 -0.129 -0.089 -0.013 -0.181 -0.170 0.185 0.206 0.068 0.084 0.086 0.107 0.046 0.041 0.043 0.003 0.003 0.003 0.078 -0.023 0.059 0.073 0.326 0.252 -0.071 -0.073 -0.024 -0.019 -0.011 -0.006 0.011 0.007 0.020 0.000 0.000 0.000 -0.092 -0.126 -0.088 -0.006 -0.181 -0.170 0.038 0.043 0.008 0.014 0.014 0.021 0.028 0.020 0.026 0.001 0.001 0.001 -0.080 -0.111 -0.076 0.032 0.002 -0.003 95% oss Periodo 5.870E+09 1079.074 2.220E+11 44523.300 8.040E+11 160074.300 3.050 3.435 3.341 96.188 96.314 95.852 4.399 3.784 4.603 35719.050 2040.500 0.000 711.475 27 27 27 27 27 27 26 26 26 26 26 26 26 26 26 24 20 20 20 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2003 1980-1999 1980-1999 1980-1999 0.150 0.158 0.067 0.078 0.082 0.088 0.045 0.038 0.042 0.003 0.002 0.003 -0.028 -0.079 -0.029 0.071 0.326 0.252 26 26 26 26 26 26 25 25 25 25 25 25 25 25 25 23 19 19 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2003 1980-1999 1980-1999 (1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti) (2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero. (3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore. 300 HIGH TECH Media Dev.St. Min Var. R&D R&D/Employees VA VA/Employees Produzione Produttività del Lavoro %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) %low skilled labour - employees (1) %low skilled compensation (1) %low skilled labour - hours (1) R&D Stock Brevetti (2) Brevetti/Employees (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) 4.530E+08 7979.850 3.510E+09 50085.040 9.700E+09 150460.200 5.830 6.073 5.830 92.841 92.933 92.841 1.329 0.994 1.329 3142.285 84.579 0.001 70.764 3.080E+08 5922.427 1.980E+09 17622.580 5.450E+09 67363.960 3.369 3.030 3.369 3.083 2.749 3.083 0.927 0.804 0.927 2425.409 58.736 0.001 55.425 1.470E+07 138.187 5.390E+08 13208.840 1.360E+09 41602.610 2.038 2.253 2.038 83.145 84.730 83.145 0.263 0.132 0.263 124.666 14.000 0.000 5.667 Tassi di crescita (x(t)-x(t-1))/x(t-1) R&D R&D/Employees VA VA/Employees Produzione Produttività del Lavoro %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) %low skilled labour - employees (1) %low skilled compensation (1) %low skilled labour - hours (1) R&D Stock Brevetti (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) 0.061 0.062 0.030 0.030 0.042 0.044 0.035 0.031 0.035 -0.001 -0.001 -0.001 -0.078 -0.100 -0.078 0.064 0.059 0.065 0.239 0.239 0.103 0.102 0.155 0.171 0.022 0.012 0.022 0.002 0.001 0.002 0.017 0.019 0.017 0.284 0.238 0.250 -0.540 -0.561 -0.278 -0.314 -0.278 -0.318 -0.077 0.011 -0.077 -0.006 -0.004 -0.006 -0.124 -0.128 -0.124 -0.522 -0.494 -0.526 Max 5% Mediana 95% oss Periodo 1.180E+09 22057.440 7.380E+09 100468.000 2.420E+10 323215.400 16.592 15.138 16.592 94.877 94.889 94.877 4.423 3.607 4.423 8854.662 285.000 0.004 262.333 3.600E+07 343.476 7.690E+08 23382.140 3.440E+09 46677.530 2.704 2.904 2.704 85.298 86.235 85.298 0.371 0.162 0.371 210.406 22.500 0.000 8.417 4.170E+08 7035.898 3.490E+09 48340.630 8.560E+09 143809.800 4.757 5.303 4.757 94.282 94.164 94.282 1.032 0.711 1.032 2399.279 75.280 0.001 65.675 1.010E+09 19354.180 6.690E+09 91769.730 1.910E+10 272892.500 14.201 13.470 14.201 94.849 94.781 94.849 3.312 2.628 3.312 8091.780 210.000 0.002 181.333 135 135 135 135 135 135 130 130 130 130 130 130 130 130 130 120 100 100 100 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2003 1980-1999 1980-1999 1980-1999 1.535 1.488 0.336 0.315 1.218 1.368 0.063 0.058 0.063 0.004 0.001 0.004 -0.030 -0.029 -0.030 1.576 0.727 0.922 -0.222 -0.230 -0.184 -0.152 -0.122 -0.149 0.021 0.015 0.021 -0.004 -0.003 -0.004 -0.106 -0.122 -0.106 -0.226 -0.317 -0.329 0.038 0.040 0.039 0.030 0.023 0.040 0.033 0.031 0.033 -0.001 -0.001 -0.001 -0.079 -0.105 -0.079 0.043 0.040 0.060 0.454 0.456 0.199 0.176 0.245 0.226 0.056 0.048 0.056 0.001 0.001 0.001 -0.041 -0.072 -0.041 0.508 0.475 0.534 130 130 130 130 130 130 125 125 125 125 125 125 125 125 125 115 95 95 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2003 1980-1999 1980-1999 (1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti) (2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero. (3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore. 301 MEDIUM HIGH TECH Media Dev.St. Min Var. R&D R&D/Employees VA VA/Employees Produzione Produttività del Lavoro %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) %low skilled labour - employees (1) %low skilled compensation (1) %low skilled labour - hours (1) R&D Stock Brevetti (2) Brevetti/Employees (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) 3.620E+08 1799.070 1.000E+10 41060.310 3.360E+10 149906.100 5.312 5.427 5.312 93.102 93.378 93.102 1.586 1.196 1.586 1815.038 141.331 0.001 117.671 2.840E+08 1274.841 8.010E+09 12481.960 2.480E+10 70072.430 3.654 3.369 3.654 3.298 3.057 3.298 1.090 0.936 1.090 1824.159 129.474 0.000 117.247 1.730E+07 104.674 9.610E+08 21483.470 3.040E+09 47084.960 1.591 1.873 1.591 83.145 84.730 83.145 0.263 0.106 0.263 0.000 5.000 0.000 3.333 Tassi di crescita (x(t)-x(t-1))/x(t-1) R&D R&D/Employees VA VA/Employees Produzione Produttività del Lavoro %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) %low skilled labour - employees (1) %low skilled compensation (1) %low skilled labour - hours (1) R&D Stock Brevetti (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) 0.073 0.085 0.015 0.026 0.031 0.043 0.039 0.034 0.039 -0.001 -0.001 -0.001 -0.082 -0.101 -0.082 0.044 0.059 0.061 0.279 0.276 0.081 0.082 0.082 0.090 0.020 0.013 0.020 0.002 0.001 0.002 0.022 0.023 0.022 0.290 0.295 0.299 -0.675 -0.670 -0.245 -0.203 -0.187 -0.247 -0.077 0.006 -0.077 -0.006 -0.004 -0.006 -0.124 -0.149 -0.124 -1.000 -0.706 -0.733 Max 5% Mediana 95% 1.310E+09 5776.950 3.170E+10 73477.050 1.060E+11 359140.600 16.592 15.138 16.592 96.440 96.554 96.440 4.423 3.607 4.423 7462.821 473.000 0.002 403.033 3.570E+07 403.139 1.080E+09 23125.600 4.030E+09 56232.860 2.038 2.253 2.038 85.298 86.235 85.298 0.371 0.162 0.371 0.000 11.000 0.000 5.792 3.210E+08 1465.426 8.290E+09 40118.950 3.010E+10 139909.900 4.088 4.261 4.088 94.295 94.434 94.295 1.243 0.903 1.243 1319.773 97.500 0.000 72.750 8.490E+08 4484.643 2.790E+10 71710.910 9.380E+10 326427.900 14.201 13.470 14.201 96.417 96.551 96.417 3.744 3.026 3.744 6401.664 422.000 0.001 359.850 135 135 135 135 135 135 130 130 130 130 130 130 130 130 130 120 100 100 100 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2003 1980-1999 1980-1999 1980-1999 2.084 1.957 0.263 0.311 0.307 0.330 0.063 0.058 0.063 0.004 0.002 0.004 0.058 -0.029 0.058 1.825 1.429 1.071 -0.290 -0.296 -0.122 -0.114 -0.104 -0.078 0.018 0.011 0.018 -0.004 -0.003 -0.004 -0.110 -0.140 -0.110 -0.312 -0.263 -0.425 0.040 0.050 0.020 0.013 0.022 0.027 0.049 0.036 0.049 -0.001 -0.001 -0.001 -0.081 -0.102 -0.081 0.039 0.035 0.032 0.402 0.456 0.118 0.150 0.175 0.208 0.056 0.051 0.056 0.002 0.001 0.002 -0.041 -0.069 -0.041 0.322 0.636 0.505 130 130 130 130 130 130 125 125 125 125 125 125 125 125 125 105 95 95 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2003 1980-1999 1980-1999 (1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti) (2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero. (3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore. 302 oss Periodo LOW TECH Var. R&D R&D/Employees VA VA/Employees Produzione Produttività del Lavoro %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) %low skilled labour - employees (1) %low skilled compensation (1) %low skilled labour - hours (1) R&D Stock Brevetti (2) Brevetti/Employees (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) Tassi di crescita (x(t)-x(t-1))/x(t-1) R&D R&D/Employees VA VA/Employees Produzione Produttività del Lavoro %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) %low skilled labour - employees (1) %low skilled compensation (1) %low skilled labour - hours (1) R&D Stock Brevetti (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) Media Dev.St. 5.300E+07 5.350E+07 414.492 765.926 1.150E+10 8.020E+09 47065.810 44755.860 3.800E+10 2.630E+10 201832.500 301215.500 2.350 2.362 2.342 2.238 2.350 2.362 95.342 2.427 95.920 2.394 95.342 2.427 2.307 1.563 1.738 1.476 2.307 1.563 292.558 311.028 51.607 51.785 0.000 0.000 35.220 36.359 0.184 0.193 0.006 0.014 0.020 0.028 0.020 0.009 0.020 0.001 0.001 0.001 -0.068 -0.098 -0.068 0.078 0.142 0.181 0.808 0.826 0.071 0.077 0.056 0.063 0.039 0.027 0.039 0.002 0.002 0.002 0.041 0.029 0.041 0.229 0.764 1.080 Min Max 8.129E+05 2.400E+08 2.925 4910.982 1.040E+09 3.730E+10 14929.450 282874.100 2.950E+09 1.200E+11 36875.690 1349350.000 0.413 11.676 0.528 10.636 0.413 11.676 87.368 98.373 88.740 99.151 87.368 98.373 0.305 8.559 0.097 7.852 0.305 8.559 0.448 1207.878 0.000 162.000 0.000 0.001 0.000 125.667 -0.890 -0.880 -0.304 -0.311 -0.329 -0.384 -0.212 -0.068 -0.212 -0.011 -0.003 -0.011 -0.116 -0.149 -0.116 -0.620 -1.000 -1.000 8.145 8.540 0.327 0.389 0.309 0.384 0.072 0.066 0.072 0.007 0.006 0.007 0.400 -0.025 0.400 1.617 6.000 10.000 5% 1.905E+06 6.868 1.400E+09 19013.870 4.710E+09 50872.090 0.544 0.581 0.544 90.125 90.963 90.125 0.594 0.290 0.594 5.672 1.000 0.000 1.000 -0.480 -0.479 -0.108 -0.131 -0.050 -0.043 -0.027 -0.055 -0.027 -0.002 -0.002 -0.002 -0.104 -0.135 -0.104 -0.110 -0.667 -0.667 Mediana 95% 3.270E+07 1.760E+08 126.865 1997.211 9.620E+09 2.670E+10 33607.670 175674.800 3.150E+10 9.510E+10 112980.900 1128816.000 1.526 8.005 1.741 7.798 1.526 8.005 95.704 98.144 96.225 98.804 95.704 98.144 1.906 4.974 1.263 4.500 1.906 4.974 167.033 941.862 31.000 134.000 0.000 0.001 15.375 102.933 0.031 0.031 0.007 0.015 0.017 0.028 0.023 0.015 0.023 0.001 0.001 0.001 -0.074 -0.102 -0.074 0.041 0.000 0.007 1.205 1.182 0.107 0.111 0.110 0.115 0.063 0.048 0.063 0.004 0.004 0.004 -0.027 -0.034 -0.027 0.547 1.000 1.000 oss Periodo 253 253 297 297 297 297 286 286 286 286 286 286 286 286 286 264 140 140 140 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2003 1980-1999 1980-1999 1980-1999 242 242 286 286 286 286 275 275 275 275 275 275 275 275 275 253 130 130 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2006 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2005 1980-2003 1980-1999 1980-1999 (1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti) (2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero. (3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore. 303 Fig. 1 Spese in R&S nei settori High, Medium/High e Low Tech. 3.000e+09 2.500e+09 2.000e+09 g 1.500e+09 1.000e+09 5.000e+08 0 1980 1985 1990 1995 High Tech 2000 2005 2010 Medium/High Tech Low Tech Fig. 2 Spese in R&S per dipendente nei settori High, Medium/High e Low Tech. 8000 7000 6000 5000 g 4000 3000 2000 1000 0 1980 1985 1990 1995 High Tech Low Tech 2000 2005 2010 Medium/High Tech 304 Fig. 3 Valore Aggiunto per dipendente nei settori High, Medium/High e Low Tech. 60000 50000 g 40000 30000 20000 10000 0 1980 1985 1990 1995 High Tech Low Tech 2000 2005 2010 Medium/High Tech Fig. 3.1 Scatter plot del Valore Aggiunto per dipendente tra i settori a 2 digit che compongono il Low Tech 300000 RVA 200000 100000 0 20 30 40 COD_IND 305 50 60 Fig. 3.2 Valore Aggiunto per dipendente nel settore Low Tech escluso il settore 29 Coke, prodotti da 60000 60000 50000 50000 40000 40000 30000 30000 20000 20000 10000 10000 0 0 1980 1985 1990 1995 Low tech meno Coke 2000 2005 2010 Coke Fig. 4 Produttività del lavoro nei settori High, Medium/High e Low Tech. 306 Coke Low tech meno Coke petrolio raffinato e materiale fissile e nel settore 29 200000 High Tech 150000 100000 50000 0 1980 1985 1990 1995 High Tech Low Tech 2000 2005 2010 Medium/High Tech Fig. 4.1 Scatter plot della Produttività del lavoro tra i settori a 2 digit che compongono il Low Tech. 1500000 Lprod 1000000 500000 0 20 30 40 COD_IND 50 60 Fig. 4.2 Produttività del lavoro nel settore Low Tech escluso il settore 29: Coke, prodotti da petrolio raffinato e materiale fissile e nel settore 29 307 200000 150000 150000 100000 100000 50000 50000 0 0 1980 1985 1990 1995 Low tech meno Coke 308 2000 2005 Coke 2010 Coke Low tech meno Coke 200000 Tavola 2: Correlazioni MANIFATTURIERO Valore Agg. Produt. Lav. R&D R&D lag 1 R&D lag 2 R&D lag 3 R&D lag 4 R&D lag 5 R&D lag 6 R&D lag 7 R&D lag 8 R&D lag 9 R&D lag 10 0.7309* 0.6208* 0.7517* 0.6236* 0.7611* 0.6316* 0.7733* 0.6521* 0.7889* 0.6751* 0.7982* 0.7070* 0.8047* 0.7399* 0.8276* 0.7862* 0.8796* 0.8429* 0.9308* 0.9069* 0.9509* 0.9409* VA/Emp Produt. Lav. R&D/EMP R&D/EMP lag 1 R&D/EMP lag 2 R&D/EMP lag 3 R&D/EMP lag 4 R&D/EMP lag 5 R&D/EMP lag 6 R&D/EMP lag 7 R&D/EMP lag 8 R&D/EMP lag 9 R&D/EMP lag 10 0.8130* 0.7407* 0.8226* 0.7460* 0.8306* 0.7525* 0.8475* 0.7681* 0.8708* 0.7848* 0.8917* 0.8075* 0.9076* 0.8294* 0.9332* 0.8639* 0.9642* 0.9066* 0.9777* 0.9527* 0.9590* 0.9738* VA/Emp Produt. Lav. R&D/EMP R&D/EMP lag 1 R&D/EMP lag 2 R&D/EMP lag 3 R&D/EMP lag 4 R&D/EMP lag 5 R&D/EMP lag 6 R&D/EMP lag 7 R&D/EMP lag 8 R&D/EMP lag 9 R&D/EMP lag 10 0.2703* 0.2994* 0.2796* 0.3137* 0.2874* 0.3296* 0.2897* 0.3452* 0.2900* 0.3579* 0.2863* 0.3786* 0.2677* 0.3950* 0.2458* 0.4131* 0.2319* 0.4399* 0,1967 0.4694* 0,1516 0.4731* Crescita VA Crescita Produt.Lav. Crescita R&D Crescita R&D lag 1 Crescita R&D lag 2 Crescita R&D lag 3 Crescita R&D lag 4 Crescita R&D lag 5 Crescita R&D lag 6 Crescita R&D lag 7 Crescita R&D lag 8 Crescita R&D lag 9 Crescita R&D lag 10 0,1727 0,0914 0,1668 0,0158 0,1465 0,0467 0,2167 0,1644 0,3696 0,1755 0,2745 0,1795 0,1431 0,1014 0,1377 0,3235 0,2952 0,4155 0,3974 0.5948* 0,4649 0.5626* HIGH TECH Valore Agg. Produt. Lav. R&D R&D lag 1 R&D lag 2 R&D lag 3 R&D lag 4 R&D lag 5 R&D lag 6 R&D lag 7 R&D lag 8 R&D lag 9 R&D lag 10 0.4379* 0,0891 0.4370* 0,1054 0.4225* 0,1185 0.4035* 0,1327 0.3743* 0,1423 0.3321* 0,1573 0.2947* 0,1768 0.2633* 0.2019* 0.2311* 0.2306* 0,2019 0.2726* 0,1732 0.3050* 309 HIGH TECH Crescita VA Crescita Produt.Lav. Crescita R&D Crescita R&D lag 1 Crescita R&D lag 2 Crescita R&D lag 3 Crescita R&D lag 4 Crescita R&D lag 5 Crescita R&D lag 6 Crescita R&D lag 7 Crescita R&D lag 8 Crescita R&D lag 9 Crescita R&D lag 10 0.2199* 0,0416 0,0946 0,0388 0,0378 0,0474 0,0559 0,0525 0,1345 -0,0078 0,1888 0,095 0,0545 -0,0466 0,0443 0,1186 -0,0137 -0,0697 0,1095 0,1707 0,1534 0,1589 MEDIUM HIGH TECHValore Agg. Produt. Lav. 0.3374* 0.1900* R&D R&D lag 1 R&D lag 2 R&D lag 3 R&D lag 4 R&D lag 5 R&D lag 6 R&D lag 7 R&D lag 8 R&D lag 9 R&D lag 10 0.3060* 0.1944* 0.2749* 0.2005* 0.2445* 0.2147* 0.2084* 0.2362* 0,1693 0.2525* 0,1516 0.2771* 0,1389 0.2953* 0,1257 0.3140* 0,1131 0.3302* 0,075 0.3421* R&D/EMP R&D/EMP lag 1 R&D/EMP lag 2 R&D/EMP lag 3 R&D/EMP lag 4 R&D/EMP lag 5 R&D/EMP lag 6 R&D/EMP lag 7 R&D/EMP lag 8 R&D/EMP lag 9 R&D/EMP lag 10 Crescita VA Crescita Produt.Lav. Crescita R&D Crescita R&D lag 1 Crescita R&D lag 2 Crescita R&D lag 3 Crescita R&D lag 4 Crescita R&D lag 5 Crescita R&D lag 6 Crescita R&D lag 7 Crescita R&D lag 8 Crescita R&D lag 9 Crescita R&D lag 10 -0,0981 -0,1647 -0,0692 0,0062 -0,1031 0,0119 0,162 -0,0055 -0,0419 0,0254 -0,0386 -0,0403 -0,0424 -0,1003 0,0811 -0,0331 0,0267 0,2039 0,0543 -0,0461 0,1357 0.2403* 310 VA/Emp Produt. Lav. 0.2438* 0.4315* 0.2333* 0.4321* 0.2267* 0.4367* 0.2145* 0.4425* 0.2005* 0.4519* 0,1834 0.4512* 0,1855 0.4656* 0,183 0.4762* 0,1815 0.4925* 0,1628 0.4939* 0,1532 0.4947* LOW TECH Valore Agg. Produt. Lav. R&D R&D lag 1 R&D lag 2 R&D lag 3 R&D lag 4 R&D lag 5 R&D lag 6 R&D lag 7 R&D lag 8 R&D lag 9 R&D lag 10 0.4277* 0,0118 0.4218* 0,0348 0.4265* 0,0544 0.4324* 0,071 0.4363* 0,0896 0.4406* 0,11 0.4597* 0,1121 0.4693* 0,1073 0.4856* 0,108 0.5046* 0,112 0.5213* 0,1207 R&D/EMP R&D/EMP lag 1 R&D/EMP lag 2 R&D/EMP lag 3 R&D/EMP lag 4 R&D/EMP lag 5 R&D/EMP lag 6 R&D/EMP lag 7 R&D/EMP lag 8 R&D/EMP lag 9 R&D/EMP lag 10 VA/Emp Produt. Lav. 0.6557* 0.6392* 0.7228* 0.6738* 0.7796* 0.7084* 0.7977* 0.7353* 0.8027* 0.7604* 0.8016* 0.7825* 0.7930* 0.7746* 0.7699* 0.7626* 0.7522* 0.7647* 0.7310* 0.7753* 0.7099* 0.7970* Crescita VA Crescita Produt.Lav. Crescita R&D Crescita R&D lag 1 Crescita R&D lag 2 Crescita R&D lag 3 Crescita R&D lag 4 Crescita R&D lag 5 Crescita R&D lag 6 Crescita R&D lag 7 Crescita R&D lag 8 Crescita R&D lag 9 Crescita R&D lag 10 0,1231 0,1199 0,0245 0,0675 -0,0239 -0,108 -0,003 0,0986 -0,0819 -0,0412 -0,1006 -0,0467 0,0595 0,0722 0,033 0,0308 -0,032 -0,0117 -0,0958 -0,0857 -0,008 0,0198 Tavola 3: Correlazioni – variabili di R&S relative al settore high-tech e variabili di performance relative al settore manifatturiero eccetto l’high-tech 311 Valore Agg. Produt. Lav. R&D R&D lag 1 R&D lag 2 R&D lag 3 R&D lag 4 R&D lag 5 R&D lag 6 R&D lag 7 R&D lag 8 R&D lag 9 R&D lag 10 0.6264* 0.5583* 0.7128* 0.6052* 0.7572* 0.6351* 0.7808* 0.6653* 0.8020* 0.6992* 0.8319* 0.7522* 0.8465* 0.7934* 0.8717* 0.8335* 0.9095* 0.8747* 0.9217* 0.9218* 0.9376* 0.9590* R&D/EMP R&D/EMP lag 1 R&D/EMP lag 2 R&D/EMP lag 3 R&D/EMP lag 4 R&D/EMP lag 5 R&D/EMP lag 6 R&D/EMP lag 7 R&D/EMP lag 8 R&D/EMP lag 9 R&D/EMP lag 10 VA/Emp Produt. Lav. 0.8163* 0.7433* 0.8702* 0.7935* 0.8887* 0.8156* 0.8961* 0.8321* 0.9076* 0.8499* 0.9295* 0.8829* 0.9425* 0.9036* 0.9599* 0.9243* 0.9774* 0.9470* 0.9666* 0.9687* 0.9443* 0.9848* Crescita VA Crescita Produt.Lav. Crescita R&D Crescita R&D lag 1 Crescita R&D lag 2 Crescita R&D lag 3 Crescita R&D lag 4 Crescita R&D lag 5 Crescita R&D lag 6 Crescita R&D lag 7 Crescita R&D lag 8 Crescita R&D lag 9 Crescita R&D lag 10 -0,1569 0,1343 0,2189 0,2774 0,2381 0,1931 0,162 0,2251 0,225 0,1447 0,338 0,2812 0,1235 0,1566 0,2112 0,2445 0,4625 0.4866* 0,1074 0,3755 0,2756 0,372 Tavola 4: Correlazioni – variabili sui Brevetti relative al settore high-tech e variabili di performance relative al settore manifatturiero eccetto l’high-tech 312 Brevetti Brevetti lag 1 Brevetti lag 2 Brevetti lag 3 Brevetti lag 4 Brevetti lag 5 Brevetti lag 6 Brevetti lag 7 Brevetti lag 8 Brevetti lag 9 Brevetti lag 10 VA/Emp Produt. Lav. 0.9635* 0.9225* 0.8750* 0.8299* 0.8291* 0.8334* 0.8485* 0.8953* 0.9143* 0.9078* 0.8326* 0.9674* 0.9453* 0.9154* 0.8726* 0.8602* 0.8246* 0.8196* 0.8701* 0.9130* 0.9326* 0.8875* VA/Emp Produt. Lav. Brevetti/Employees Brevetti/Employees lag 1 Brevetti/Employees lag 2 Brevetti/Employees lag 3 Brevetti/Employees lag 4 Brevetti/Employees lag 5 Brevetti/Employees lag 6 Brevetti/Employees lag 7 Brevetti/Employees lag 8 Brevetti/Employees lag 9 Brevetti/Employees lag 10 0.9507* 0.9077* 0.8603* 0.8152* 0.8052* 0.8265* 0.8353* 0.8815* 0.9080* 0.9204* 0.8596* Brevetti frazionati/Employees Brevetti frazionati/Employees lag 1 Brevetti frazionati/Employees lag 2 Brevetti frazionati/Employees lag 3 Brevetti frazionati/Employees lag 4 Brevetti frazionati/Employees lag 5 Brevetti frazionati/Employees lag 6 Brevetti frazionati/Employees lag 7 Brevetti frazionati/Employees lag 8 Brevetti frazionati/Employees lag 9 Brevetti frazionati/Employees lag 10 0.9517* 0.9064* 0.8598* 0.8174* 0.8021* 0.8477* 0.8539* 0.9022* 0.9218* 0.9203* 0.8633* 0.9632* 0.9408* 0.9128* 0.8737* 0.8573* 0.8396* 0.8179* 0.8506* 0.8878* 0.9235* 0.8984* Crescita VA Crescita Produt.Lav. Crescita Brevetti Crescita Brevetti lag 1 Crescita Brevetti lag 2 Crescita Brevetti lag 3 Crescita Brevetti lag 4 Crescita Brevetti lag 5 Crescita Brevetti lag 6 Crescita Brevetti lag 7 Crescita Brevetti lag 8 Crescita Brevetti lag 9 Crescita Brevetti lag 10 Brevetti frazionati Brevetti frazionati lag 1 Brevetti frazionati lag 2 Brevetti frazionati lag 3 Brevetti frazionati lag 4 Brevetti frazionati lag 5 Brevetti frazionati lag 6 Brevetti frazionati lag 7 Brevetti frazionati lag 8 Brevetti frazionati lag 9 Brevetti frazionati lag 10 0.5146* 0.2147 0.0423 -0.1708 0.188 -0.2045 -0.2167 -0.0171 -0.2168 0.0556 0.4715 0.4900* -0.0382 0.0161 -0.4569 0.1626 -0.2098 -0.2315 0.0217 0.0456 0.1973 0.437 VA/Emp Produt. Lav. 0.9673* 0.9243* 0.8789* 0.8366* 0.8321* 0.8585* 0.8656* 0.9107* 0.9218* 0.9005* 0.8331* 0.9711* 0.9484* 0.9223* 0.8848* 0.8723* 0.8589* 0.8455* 0.8882* 0.9250* 0.9382* 0.8951* VA/Emp Produt. Lav. Crescita VA Crescita Produt.Lav. Crescita Brevetti fraz. Crescita Brevetti fraz. lag 1 Crescita Brevetti fraz. lag 2 Crescita Brevetti fraz. lag 3 Crescita Brevetti fraz. lag 4 Crescita Brevetti fraz. lag 5 Crescita Brevetti fraz. lag 6 Crescita Brevetti fraz. lag 7 Crescita Brevetti fraz. lag 8 Crescita Brevetti fraz. lag 9 Crescita Brevetti fraz. lag 10 0.5475* 0.1967 0.0596 -0.1894 0.1563 -0.1622 -0.3208 -0.0196 -0.1513 0.0048 0.579 0.5864* -0.122 0.0164 -0.4154 0.0983 -0.1465 -0.3237 0.0188 0.1475 0.1469 0.4989 313 0.9636* 0.9400* 0.9141* 0.8795* 0.8610* 0.8692* 0.8453* 0.8743* 0.9064* 0.9366* 0.9088* Tavola 5: Test di stazionarietà Variabili Dickey Fuller DF-GLS Phillips-Perron Staz. in livelli Staz. in Diff.I Staz. in livelli Staz. in Diff.I Staz. in livelli Staz. in Diff.I Variabili Dipendenti Produttività del lavoro Valore Aggiunto Crescita della Prod. del lav. Crescita del Val. Agg. Val. Agg. / Employee SI SI SI SI SI SI SI Log Produttività del lavoro Log Valore Aggiunto Log Crescita della Prod. del lav. Log Crescita del Val. Agg. Log Val. Agg. / Employee SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI Variabili Indipendenti Variabili di R&D R&D R&D Stock R&D Intensity (R&D/Produzione) R&D/employee Lagged R&D/employee pesato su VA/employee Lagged R&D/employee pesato su Prod. Del lav. Log R&D Log R&D Stock Log R&D Intensity (R&D/Produzione) Log R&D/employee Log lagged R&D/employee pesato su VA/employee Log lagged R&D/employee pesato su Prod. Del lav. SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI 314 SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI Variabili Dickey Fuller DF-GLS Phillips-Perron Staz. in livelli Staz. in Diff.I Staz. in livelli Staz. in Diff.I Staz. in livelli Staz. in Diff.I Variabili sullo Skilled Labour %high skilled labour - employees (1) %high skilled compensation (1) %high skilled labour - hours (1) %medium skilled labour - employees (1) %medium skilled compensation (1) %medium skilled labour - hours (1) SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI Variabili sui Brevetti Brevetti (2) Brevetti frazionati (1/k) (3) Lagged Brevetti pesati su VA/emp Lagged Brevetti pesati su Prod. Lav. Lagged Brevetti frazionati pesati su VA/emp Lagged Brevetti frazionati pesati su Prod. Lav. SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI Log Brevetti (2) Log Brevetti frazionati (1/k) (3) Log lagged Brevetti pesati su VA/emp Log lagged Brevetti pesati su Prod. Lav. Log lagged Brevetti frazionati pesati su VA/emp Log lagged Brevetti frazionati pesati su Prod. Lav. SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI (1) Percentuale di high/medium/low skilled labour sul totale in termini di numero dipendenti, compensation e ore lavorate (i.e. % di numero di dipendenti high skilled sul numero totale di dipendenti) (2) Per i brevetti attribuibili a più settori, ogni brevetto è stato attribuito a ogni settore per intero. Il brevetto viene conteggiato in più settori per intero. (3) Per i brevetti attribuibili a k settori, ogni brevetto è conteggiato per 1/k in ogni settore. NB. Alcune variabili si sono verificate stazionarie solo all'inserimento dell'opzione trend. Ciò è stato considerato qualora queste variabili rientrassero nei modelli regressivi. 315 Tavola 6: I modelli Variabili Indipendenti Log R&D/Employee - Lag 1 %medium skilled labour - employees (differenza 1°) Log Brevetti - Lag 1 Modello 1 - Prais-Winsten Regression Var. Dip.: Log Produttività del Lavoro Coefficienti Standard Error P>|t| 1.362 *** 0.442 Durbin Watson Test (original) Durbin Watson Test (transformed) R&D/Employee (differenza 1°) %medium skilled labour - employees (differenza 1°) Brevetti (differenza 1°) 1.046 *** 0.351 0.442 ** 3.17 E -05 ** -0.061 Chi-squared 1.130 1.221 0.686 1.53 E -05 0.050 316 0.000 0.155 0.016 1.239 1.247 0.049 0.231 Statistiche: 25 0.092 0.187 0.117 Post-estimation Test: Prob>Chi-squared 0.288 0.269 0.408 * significatività statistica <= 10% ** significatività statistica <= 5% *** significatività statistica <=1% 0.121 0.236 0.165 20 0.000 0.990 0.988 Modello 3 - OLS Regression Var. Dip.: Crescita del Valore Aggiunto per Dipendente Coefficienti Standard Error P>|t| Osservazioni Prob>F R-squared Adj R-squared Alternative DW Test (Ho: no serial correlation) Breusch-Godfrey Test (Ho: no serial correlation) LM Test for eteroschedasticity (Ho: no Arch effects) 0.000 0.142 Statistiche: 25 0.000 0.997 0.997 Post-estimation Test: 0.260 1.277 Osservazioni Prob>F R-squared Adj R-squared Variabili Indipendenti 0.015 0.291 Modello 2 - Prais-Winsten Regression Var. Dip.: Log Produttività del Lavoro Coefficienti Standard Error P>|t| Modello 4 - OLS Regression Var. Dip.: Crescita del Valore Aggiunto per Dipendente Coefficienti Standard Error P>|t| 3.38 E -05 ** -0.041 3.75 E -04 ** 1.43 E -05 0.065 0.000 0.031 0.534 0.015 19 0.014 0.475 0.377 Chi-squared 0.243 0.302 0.303 Prob>Chi-squared 0.622 0.582 0.582 Variabili Indipendenti Log R&D/Employee (differenza 1°) %high skilled labour - employees (differenza 1° ) Log Brevetti (differenza 1°) Modello 5 - OLS Regression Var. Dip.: Log Crescita della Produttività del Lavoro Coefficienti Standard Error P>|t| 0.148 * 0.104 *** Osservazioni Prob>F R-squared Adj R-squared Alternative DW Test (Ho: no serial correlation) Breusch-Godfrey Test (Ho: no serial correlation) LM Test for eteroschedasticity (Ho: no Arch effects) * significatività statistica del 10% ** significatività statistica del 5% *** significatività statistica oltre il 5% Chi-squared 0.066 0.074 1.027 0.076 0.034 0.064 0.006 Statistiche: 25 0.001 0.458 0.411 Post-estimation Test: Prob>Chi-squared 0.798 0.785 0.311 317 Modello 6 - OLS Regression Var. Dip.: Log Crescita della Produttività del Lavoro Coefficienti Standard Error P>|t| 0.153 * 0.091 * 0.136 ** 0.084 0.047 0.063 0.088 0.070 0.047 19 0.002 0.610 0.537 Chi-squared 0.784 0.944 0.006 Prob>Chi-squared 0.376 0.331 0.937 Tavola 7: Entropia complessiva sull’intero periodo delle imprese italiane entropia teorica massima entropia totale (anno: 1978,…,2006) 3.401 2.710 Tavola 8: Entropia, anno per anno, imprese italiane anno 1978 1983 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 entropia 1.040 0.693 0.693 1.332 1.792 1.040 1.889 1.834 2.079 1.979 1.605 anno 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 318 entropia 1.332 1.696 2.151 2.008 2.168 2.112 2.294 2.109 2.032 2.453 2.026 Tavola 9: Entropia complessiva sull’intero periodo delle imprese europee escluse quelle italiane entropia teorica massima entropia totale (anno: 1978,…,2006) 3.401 2.809 Tavola 10: Entropia, anno per anno, imprese europee escluse quelle italiane anno 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 entropia 2.068 2.292 2.378 2.242 2.505 2.495 2.439 2.652 2.613 2.732 2.757 2.548 2.743 2.666 2.624 anno 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 319 entropia 2.590 2.740 2.629 2.687 2.722 2.741 2.868 2.809 2.788 2.692 2.779 2.816 2.773 2.835 2.513 CAPITOLO 10 – CONCLUSIONI GENERALI L’obiettivo di questa ricerca era di verificare l’impatto degli investimenti nei settori ad alta tecnologia ed in particolare nel settore spaziale in Europa sul resto dell’economia ovvero il loro aspetto moltiplicativo. All’inizio la ricerca ha chiarito varie interpretazioni di questo aspetto, inclusa quella del tradizionale moltiplicatore di Kahn-Keynes, per concludere che quella più rilevante consiste nella spinta verso l’alto della produttività totale e quindi del reddito e del benessere pubblico e privato in generale. Lungo questa linea si erano mossi anche alcuni importanti studi promossi dalla NASA nella seconda metà degli anni settanta del secolo scorso, ancorché i loro risultati non si fossero rivelati sufficientemente robusti sul piano empirico e sufficientemente fondati su quello teorico. Nella presente ricerca si è però ripresa quella via, che aveva le sue basi teoriche nella teoria della crescita dell’economia mainstream, per appurare i contributi dei settori ad alta tecnologia alla crescita economica e del benessere. Nel caso del settore spaziale quei contributi includono la produzione di beni capitali – i satelliti – che consentono l’offerta di servizi privati e pubblici che contribuiscono direttamente a quella crescita. La presente ricerca si è concentrata però sulla verifica del contributo indiretto che gli investimenti in R&S del settore spaziale e dei settori high tech possono dare attraverso la diffusione o spillovers delle loro conoscenze negli altri settori dell’economia. I concetti ed i modelli elaborati sia dagli economisti mainstream sia da quelli che seguono l’approccio evolutivo al progresso tecnico convergono nell’indicare la potenziale importanza del fenomeno degli spillovers tecnologici per la crescita della produttività delle imprese, industrie e dell’intero sistema economico. D’altra parte le verifiche empiriche dei vari modelli hanno sistematicamente accettato le ipotesi che il contributo alla crescita della produttività da parte degli spillovers tecnologici era non solo importante ma anche più importante del contributo diretto della R&S. Nella presente ricerca si è ottenuta un’ulteriore generale verifica di questi risultati con un’indagine empirica, estesa all’arco degli ultimi trent’anni, degli spillovers che vanno dai settori high tech agli altri settori del comparto manifatturiero dell’Italia. Il risultato della ricerca sull’importanza degli spillovers rappresenta quindi una variabile che va tenuta presente in ogni valutazione “indipendente” della politica spaziale europea e delle sue implicazioni per la domanda pubblica, il finanziamento pubblico alla ricerca e le politiche industriali. La ricerca ha anche prodotto un’analisi dell’industria spaziale italiana nel contesto dell’industria spaziale europea, evidenziandone i punti di forza, come la presenza di importanti integratori di sistemi e di produzioni di eccellenza, ma anche elementi di potenziale debolezza per il futuro, come la stagnazione della produttività totale e una scarsa propensione alla diversificazione verso il settore dei servizi spaziali. 320 La ricerca ha infine mostrato come il fenomeno degli spillovers interni all’industria spaziale o, come vengono talvolta chiamati, spinoffs sia a sua volta appurato ed importante, anche se necessita di una quantificazione più precisa. La sua considerazione da parte delle autorità responsabili può aiutare a formulare politiche di promozione dell’industria spaziale, congiuntamente alla promozione del settore dei servizi spaziali, su una base di investimenti in R&S derivanti da contratti ESA e/o nazionali. In questo contesto la ricerca suggerisce che la grande varietà delle applicazioni spaziali richiede una pianificazione degli investimenti dell’ASI, anche attraverso i suoi contributi ad ESA, che distingua chiaramente e faccia delle scelte di priorità tra, da un lato, le diverse missioni pubbliche e la missione della promozione della loro base industriale; e dall’altro, una politica industriale di promozione commerciale del settore spaziale. Nella formulazione di queste scelte dovrebbero essere considerate anche le diverse intensità di spillovers dei progetti. 321 COLLABORATORI DELLA RICERCA Prof. Giancarlo Graziola, Università di Bergamo Coordinatore generale e capp.1,2,3, 4.2, 4.3 e 7 Michele Brunelli, Università di Bergamo Cap. 5.1 Prof. Elena Cefis, Università di Bergamo Cap. 9 Prof. Keith Hartley, Università di York Capp. 5.2, 6.3 e 7.3 Prof. Luigi Orsenigo, Università di Brescia e CESPRI, Università Bocconi Cap.8 Prof. Sergio Parazzini, Università Cattolica, Piacenza Cap. 4.1 Prof. Vasilis Zervos, International Space University, Strasburgo Capp. 6.1 e 6.2 Hanno anche collaborato: Clemente Diena, assistente alla ricerca per i capp. 3 e 4 Paola Gritti, Università di Bergamo, assistente alla ricerca per il cap. 9 Alessandro Graziola, per le traduzioni dall’inglese dei capp. 5.2, 6 e 7.3 322