n.84 settembre 2015
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n.84 settembre 2015
A anteo newsletter per l’investitore istituzionale settembre 2015 84 anno XI – n. l’editoriale di questo mese: Alle soglie dell’autunno torna come di consueto sui vostri monitor il buon ANTEO, un po’ provato dall’afa estiva, ma in maggior misura dal più costoso dei “made in China” della storia: … > pagina 4 prometeia advisor sim A anteo newsletter per l’investitore istituzionale in questo numero: n.84 editoriale p. 4 La parola a… Prof. Paolo Onofri p. 6 contributi Fundamental Indexing nei mercati dei Titoli di Stato… come mai adesso? p. 8 Shane Shepherd, Ph.D., Senior Vice President, Head of Macro Research — Research Affiliates William de Vries, Head Core Fixed Income — Kempen Capital Management Emma Weeder, Portfolio Manager — Kempen Capital Management Focus sul mercato dei bond ibridi p. 11 François Lavier, CFA — Lazard Frères Gestion Fondi Long/Short azionari: uno strumento efficiente per mercati difficili p. 16 Giacomo Mergoni, Chief Executive Officer —Banor Capital Limited osservatorio prometeia Asset Allocation: alla conquista del West o un americano a Roma? Francesco Amoroso, Emanuele De Meo, Lorenzo Prosperi, Giacomo Tizzanini, Ugo Speculato, Lea Zicchino, — Prometeia (sintesi della presentazione tenuta da Lea Zicchino a Barcellona in occasione del XI Percorso di InFormazione di Prometeia Advisor Sim - «Spazio rendimento-rischio: una rivisitazione “modernista” ») p. 18 A anteo newsletter per l’investitore istituzionale approfondimenti Prospettive del prezzo del petrolio ed effetti macroeconomici p. 22 Manuel Bonucchi, Michele Burattoni — Prometeia Associazione Federico Ferrari — Prometeia Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (gennaio 2015) Commercio internazionale, il peso della Cina p. 30 Michele Burattoni — Prometeia Associazione Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (luglio 2015) La crescita dopo la ripresa: le prospettive per il Pil potenziale dell’Italia p. 35 Monica Ferrari, Wildmer Daniel Gregori, Stefania Tomasini — Prometeia Associazione Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (aprile 2015) pillole Analisi congiunturale dell’economia reale e dei mercati finanziari Francesco Amoroso, Guja Bacchilega, Lorenzo Prosperi, Ugo Speculato, Giacomo Tizzanini — Prometeia p. 44 n.84 A anteo 4 editoriale Alle soglie dell’autunno torna come di consueto sui vostri monitor il buon ANTEO, un po’ provato dall’afa estiva, ma in maggior misura dal più costoso dei “made in China” della storia: la fortissima correzione di molti mercati a seguito delle manovre sul cambio e del repentino sgonfiamento dei corsi azionari dei mercati locali cinesi. La storia ci dirà se quelle di molti mercati e valute emergenti sono state le prime “bolle” scoppiate, cui dovrebbero seguirne altre, oppure se abbiamo assistito ad un robusto “risk – off”, guidato più dalle macchine che dagli umani, essendo questi ultimi sempre restii ad interrompere confortevoli trend rialzisti e poco volatili. La rilevanza dell’economia cinese, specie se confrontata con quella della Grecia, della quale si è a lungo discettato, merita da parte nostra la massima attenzione, nel consueto tentativo di proporre qualche spunto di riflessione originale. Lo facciamo con un approfondimento sulla rilevanza della Cina nel commercio internazionale, grazie agli amici di Prometeia Associazione. Sempre dalla loro rigogliosa penna vi offriamo, in questo numero di ANTEO, altri due approfondimenti di particolare attualità: uno sugli scenari attesi per il prezzo del petrolio, con le relative conseguenze macroeconomiche, l’altro (necessariamente correlato) sull’evoluzione attesa del PIL potenziale italiano, che finalmente pare dare concreti “segni di vita”! prometeia advisor sim Il consueto “angolo dell’analisi” del Prof. Onofri fa da trait - d’union tra gli approfondimenti macroeconomici e i tre contributi delle società di gestione, che affrontano tematiche relative alla gestione obbligazionaria e azionaria in questo contesto di mercato particolarmente complesso. A anteo 5 Di scenario e relative prospettive in termini di asset allocation si occupano anche i nostri analisti, rivisitando in forma di articolo la presentazione svolta da Lea Zicchino, nel corso dei lavori del XI Percorso di InFormazione, tenutosi lo scorso giugno a Barcellona. Come già altre volte in passato, diversi temi trattati allora si sono poi rivelati di particolare attualità nelle settimane successive: riteniamo quindi che il pezzo sia di utile lettura, proprio nel momento in cui molti investitori istituzionali si accingono a rivedere la loro asset allocation, strategica o tattica. Lo scorso autunno ci si occupava, con una certa apprensione, della minaccia indipendentista scozzese, mentre quest’anno tocca ai catalani. Per il resto le preoccupazioni sono molto simili: un anno fa parlavamo di caos mediorientale, Ucraina, Nord Africa e risiko delle politiche monetarie, tutti temi geopolitici ancora sul tavolo. Chiudiamo chiosando il Prof. Onofri, ovvero segnalando come i forti sbalzi di volatilità, aggiungiamo noi unitamente agli interventi di QE della BCE sulle singole emissioni di bond, ottengano il risultato di rendere molto poco liquide posizioni di portafoglio convenzionalmente ritenute tali. Questo effetto, necessariamente da aggiungere all’impennarsi delle correlazioni positive tra tutti i mercati nelle fasi di “risk off”, tende a vanificare l’asset allocation tattica tradizionale, rendendo invece necessarie strutturali coperture dei rischi ritenuti non tollerabili. Ringraziamo come sempre tutti i contributori a questo numero di ANTEO e auguriamo a tutti una buona lettura! prometeia advisor sim L'angolo dell'analisi Prof. Paolo Onofri I mercati finanziari hanno subito una scossa rilevante nel mese di agosto, a causa principalmente delle criticità rilevate sull’economia cinese e le conseguenti manovre adottate; innanzitutto ci potranno essere riflessi sulle economie reali tali da modificare lo scenario? Cerchiamo di sollevare lo sguardo dalle fluttuazioni giornaliere; la Cina era sotto osservazione da qualche tempo sia per le attese di sgonfiamento delle bolle immobiliari e azionarie, sia per l’attesa di un rallentamento strutturale del processo di catching-up in atto da più di due decenni. In questi giorni cominciamo a vedere che, come prevedibile, gli effetti di natura strettamente finanziaria trasmessi ai mercati mondiali non dovrebbero essere drammatici. Più inquietanti gli effetti che transitano attraverso i canali dell’economia reale e influenzano anche i mercati finanziari per le attese di rallentamento dell’economia mondiale. Questi canali sono facilmente individuabili: il deprezzamento del tasso di cambio dello yuan, che porta con sé quello degli altri emergenti, la riduzione dell’assorbimento di importazioni per la riduzione dell’attività economica interna, la riduzione dei prezzi delle commodity che esporta deflazione verso le economie avanzate e riduce i redditi per quelle emergenti, senza che la loro minore domanda sui mercati mondiali sia compensata pienamente dagli effetti di aumento del potere d’acquisto nelle economie avanzate. Finora è stato fatto molto affidamento al ruolo delle banche centrali nello stabilizzare i mercati; la situazione che si sta venendo a creare potrebbe rendere più complessa la gestione delle politiche monetarie rispetto a quanto avvenuto finora? prometeia advisor sim A anteo 6 Nelle economie avanzate, tutto ciò rischia di far aumentare i tassi di interesse reale attesi a parità di quelli nominali. Un’azione di contrasto richiederebbe la riduzione di quelli nominali (impossibile, sono già a zero) e/o maggiori acquisti attesi da parte delle Banche Centrali sui mercati obbligazionari a lungo termine per temperare l’effetto della minore inflazione attesa. Di qui gli annunci, per il momento ancora circospetti, di Mario Draghi circa la possibilità di allargare le maglie del Qe (quantità e durata), proprio per agire sulle aspettative ed evitare il rialzo dei tassi reali attesi. Diversa è la situazione della Fed, che si trova stretta tra necessità di avviare il processo di normalizzazione della politica monetaria dopo più di sei anni dall’inizio della ripresa e l’intento di non amplificare gli effetti negativi sull’economia mondiale che discendono da quanto detto in precedenza su Cina ed emergenti. In questa luce si spiegano i messaggi inviati da tutti i membri del Fomc che, comunque, quando procederanno al rialzo questo sarà contenuto e la sua prosecuzione nel tempo molto cauta. Rimangono, invece, differenze sulla valutazione circa l’opportunità di mettere fine a breve al “tormentone” (per dirla all’italiana) “la Fed rialza o non rialza”. La cautela, una volta eventualmente rialzato il tasso sui Fed Funds, riguarderà anche la smobilitazione dello stock di attivo accumulato dalla Fed, per cui l’interventismo sui mercati non sarà comunque terminato con la manovra sul tasso di policy. Alla luce di queste vicende quali possono essere gli elementi che possono assumere maggiore rilievo nelle aspettative sui mercati? I timori della Bce, la cautela della Fed e della BoE, per non parlare della aggressività di mercato della BoJ, sono le spie degli andamenti prospettici, confermati dalle recenti vicende estive, che la crescita mondiale sarà minore del passato, l’inflazione, nonostante le politiche monetarie espansive, sarà molto contenuta e di conseguenza i tassi nominali lo saranno altrettanto. L’andamento di quelli reali sarà il risultato del fluttuare delle aspettative sui prezzi dei beni e delle loro reazioni ai vari shock che inevitabilmente si sperimenteranno ancora nel futuro. A anteo La conseguenza sarà che, sia pure rientrata rispetto ai livelli di queste settimane, la volatilità dei rendimenti e delle quotazioni azionarie permarrà a lungo sopra la norma. Le quotazioni dei titoli decennali non lasciano tranquilli e le oscillazioni dei loro prezzi possono essere frequenti, inducendo fluttuazioni di origine finanziaria anche sul mercato dei cambi. L’ampiezza maggiore per tali valutazioni riguarderà i cambi dei paesi emergenti, mentre il tasso di cambio euro/dollaro, date le considerazioni precedenti, dovrebbe muoversi 7 entro ambiti più ristretti tra 1.15 -1.05 dollari per euro. La volatilità persistente può rendere più illiquide posizioni che prima non lo erano pur in presenza di elevata liquidità sui mercati e quindi la valutazione della illiquidità relativa va valutata non solo in relazione alla natura delle singole attività finanziarie, ma anche alla loro esposizione alla volatilità indotta da fenomeni macroeconomici. prometeia advisor sim A anteo 8 contributi Fundamental Indexing nei mercati dei Titoli di Stato… come mai adesso? Shane Shepherd, Ph.D., Senior Vice President, Head of Macro Research — Research Affiliates William de Vries, Head Core Fixed Income — Kempen Capital Management Emma Weeder, Portfolio Manager — Kempen Capital Management P er la maggior parte degli investitori, l’allocazione in obbligazioni governative rappresenta una parte importante del portafoglio d’investimento complessivo. Allo stesso tempo, ci troviamo in un contesto difficile per investire in Titoli di Stato. Tradizionalmente inseriti nei portafogli degli investitori per fornire stabilità e sicurezza, oggi i titoli di stato presentano numerose insidie che costringono gli investitori alla cautela: le banche centrali hanno azzerato i rendimenti, tenendo i rendimenti attesi artificialmente bassi, e anche la duration, il credito e i rischi di inflazione a lungo termine sono aumentati. Una soluzione basata su indici Fundamental Index può mitigare questi rischi attraverso una selezione di titoli di stato basata sui fondamentali economici sottostanti dell’emittente. L’asset allocation prediligerà titoli con indici di debito inferiori, emessi da paesi che presentano un intervento più limitato delle banche centrali, solitamente con un’economia più sana e un’esposizione inferiore ai rischi di repressione finanziaria. prometeia advisor sim Ci piace pensare che i nostri mercati finanziari siano efficienti e quotati equamente; ma questa ipotesi di perfetta efficienza dei mercati non è né innocua né affidabile. Per esempio, sembra improbabile che l’attuale condizione dei mercati europei dei tassi rifletta mercati dei capitali “liberi ed equi”. La regolamentazione statale, l’intervento sovranazionale, gli acquisti di asset da parte delle banche centrali hanno interferito in maniera significativa sulla determinazione dei prezzi dei mercati obbligazionari mondiali, nel tentativo di tenere i rendimenti artificialmente bassi nei paesi storicamente caratterizzati da una spesa finanziata con il debito. Gli investitori negli indici cap-weighted, facendo affidamento sulla mano invisibile di un mercato efficiente per guidare la loro esposizione geografica, finiscono con l’avere un’esposizione relativamente elevata a nazioni molto indebitate, che operano con rendimenti valutati in modo tale da offrire un rapporto rischio/rendimento ridotto. Questa valutazioni inefficienti dei mercati obbligazionari creano un effetto negativo sui rendimenti (il return drag) per gli investitori in indici cap-weighted. Questo fenomeno è stato illustrato per i mercati azionari da Arnott, Hsu e Moore (2005), Hsu (2006), e per i mercati obbligazionari da Arnott, Hsu, Li e Shepherd (2010) e Shepherd (2012). Nei mercati dei titoli di stato questo problema diventa particolarmente acuto. La capacità di legiferare, normare o incentivare le decisioni di investimento può creare un pubblico domestico captive verso i titoli di stato nonché abbassare i rendimenti a livelli sotto ai quali si parlerebbe di mercato non regolamentato. L’impatto di questa “repressione finanziaria”, come illustrato da Reinhart, Kirkegaard e Sbrancia (2011), è un trasferimento di ricchezza dai risparmiatori agli emittenti di debito — in primo luogo di debito pubblico — e assomiglia a una tassa sui risparmiatori. La repressione finanziaria è diffusa soprattutto nei paesi maggiormente gravati dal debito che hanno più bisogno di ricorrere a queste tecniche. Pertanto, gli investitori in indici di titoli di stato cap-weighted sono maggiormente esposti proprio ai paesi fortemente incentivati a mettere in atto queste politiche repressive, e pertanto sono più esposti al rischio di tassazione della repressione finanziaria. Alla luce di tutto ciò, gli investitori possono voler evitare le esposizioni elevate ai paesi molto indebitati e dove questi problemi sono molto gravi. Inoltre, un portafoglio ponderato in base all’emissione di debito si trova intrappolato in un’allocazione maggiore ai paesi man mano che il loro livello di debito aumenta. Un semplice miglioramento può mitigare considerevolmente questi problemi. Anziché ricercare esposizioni geografiche basate sull’ammontare del debito emesso, una soluzione Fundamental Index può determinare l’esposizione del portafoglio in base alla dimensione dell’economia, scarsamente correlata alla capacità di servizio del debito, e fornire un’esposizione passiva diversificata ai mercati dei tassi senza rischiare ponderazioni elevate verso paesi altamente indebitati. Questo A anteo processo determina inoltre un portafoglio meno rischioso poiché gli emittenti di paesi molto indebitati sono spesso esposti a un rischio elevato di default. La ponderazione basata sulla dimensione dell’economia elimina le correlazioni tra un’errata valutazione dei prezzi e i pesi del portafoglio. I mercati inefficienti con valutazioni errate determinano errori nelle ponderazioni basate sulla capitalizzazione poiché questi errori vanno sempre nella stessa direzione. L’indice risultante è sovrapesato in tutte le componenti sopravvalutate e sottopesato in tutte le componenti sottovalutate, attraverso una ponderazione al “fair value”. Gli effetti negativi di rendimento associati all’orientamento sistematico della ponderazione sono potenzialmente elevati. Empiricamente, il return drag vale da 50 a 80 bps negli universi di titoli obbligazionari di qualità più elevata, quali i titoli di stato dei mercati sviluppati e i titoli corporate Investment Grade, e 1.25% - 2.5% circa nei mercati obbligazionari meno efficienti, come quelli del debito sovrano emergente e dell’High Yield (Arnott, Hsu, Li, Shepherd (2010)). Dal concetto alla strategia Un modo per applicare strategie Fundamental Index ai titoli di stato consiste nel determinare l’esposizione geografica attraverso una serie di misure che riflettono la dimensione e la maturità delle economie e non la dimensione del debito. L’utilizzo di variabili multiple per stimare la dimensione dell’economia può permettere una misura ampia di diverse dimensioni del ciclo economico. La stabilità dei fattori utilizzati per determinare l’esposizione geografica è importante perché fornisce un solido ancoraggio contro il quale è possibile riequilibrare l’indice. Il processo di ribilanciamento permette di aggiungere valore rispetto al benchmark con un trading contrarian rispetto ai movimenti dei prezzi nel mercato. Le variabili della dimensione dell’economia solitamente non prevedono i rendimenti futuri; forniscono piuttosto un punto di riferimento ragionevole per il ribilanciamento sistematico e non sono deputate a riflettere la ponderazione ottimale o l’esposizione corretta a un determinato paese. Mentre una misura ragionevole della dimensione permetterebbe probabilmente un ribilanciamento redditizio, è sensato legare questo ancoraggio alla capacità di un paese di servire il debito. Le metriche ideali sarebbero (1) misure ampie della dimensione – e della dimensione potenziale prospettica – di un paese nell’economia globale; (2) ampiamente disponibili e oggetto di rendiconti regolari; e (3) indicative dei fattori di produzione. L’economia classica prevede 9 due “fattori di produzione” principali: il capitale e la forza lavoro. Molti accademici ne aggiungono un terzo: le risorse. Le variabili fondamentali a livello di paese che soddisfano questi criteri includono metriche come il PIL, la popolazione, la superficie e la spesa energetica, quest’ultimo è un fattore produttivo chiave nonché un indicatore del grado di sofisticazione tecnologica. Una volta determinati i fattori, il peso di un paese si ottiene calcolando il peso relativo di ogni singolo fattore del paese rispetto al totale globale. Per esempio, il peso del paese Italia per il fattore PIL sarà semplicemente il PIL italiano diviso per la somma del PIL di tutti i paesi che hanno emesso i titoli di stato che costituiscono l’indice. I pesi finali del paese saranno la media dei pesi del paese su ogni singolo fattore. Per ottenere le caratteristiche più adeguate dell’indice con il passare del tempo, è necessario un processo di ribilanciamento poiché si presentano nuove variabili fondamentali e i prezzi si scostano dalle vecchie variabili fondamentali. Un ribilanciamento annuale è il compromesso migliore tra queste esigenze e il volume delle contrattazioni richiesto dal trading. Solitamente i movimenti di prezzi determinano la maggior parte dell’attività di ribilanciamento, permettendo di cogliere un rendimento più elevato. Ritornare a queste ponderazioni fondamentali stabili e con movimenti limitati ridurrà sistematicamente l’esposizione a paesi il cui debito si è apprezzato e aumenterà l’esposizione ai paesi il cui debito è sceso rispetto al ribilanciamento precedente. Nella misura in cui i cambiamenti delle valutazioni del debito di un paese sono determinati da un processo efficiente di mercato che riflette i cambiamenti di fair value, gli scambi hanno un effetto neutro sull’investitore; se tuttavia le modifiche delle valutazioni sono dovute in parte a errori dei prezzi, il processo di ribilanciamento consente agli investitori di cogliere il valore incrementale al correggersi delle valutazioni (nel tempo). I risultati empirici La tabella 1 illustra i risultati della simulazione della performance di un portafoglio Fundamental Index per titoli del Tesoro di paesi sviluppati come descritto precedentemente. Da gennaio 2001, un tale portafoglio avrebbe sovraperformato l’indice di riferimento basato sulla capitalizzazione di mercato di 80 bps annualizzati con un indice di Sharpe superiore. La volatilità leggermente superiore è dovuta alla maggiore esposizione valutaria (i rendimenti sono calcolati in USD senza coperture e con un’esposizione media inferiore a Titoli di Stato USA, l’indice Fundamental Index prometeia advisor sim A anteo 10 Tabella 1: Rendimenti medi e caratteristiche (giugno 2015) Portafoglio Rendimento annualizzato Deviazione Standard Indice di Sharpe Rating medio del credito Rendimento medio Duration Modificata Indice Fundamental Index 6.5% 7.4% 0.69 AA+ 1.28% 6.72 Benchmark ponderato sulla capitalizzazione di mercato 5.7% 6.8% 0.63 AA 1.15% 7.11 Fonte: Research Affiliates LLC, basata su dati Bloomberg e Citi. Rendimento annualizzato, deviazione standard e Sharpe Ratio calcolati nel periodo gen 2001 – giu 2015; credit rating medio,rendimento medio e duration modificata sono rappresentati per singolo portafoglio al giugno 2015. Il benchmark ponderato sulla capitalizzazione di mercato è un portafoglio cap-weighted con gli stessi titoli del paese utilizzati per la costituzione del portafoglio Fundamental Index. I rendimenti sono in USD senza coperture. ha un’esposizione valutaria media maggiore). Si ottengono rendimenti più elevati nonostante un credit rating medio migliore e una duration inferiore. L’indice Fundamental Index evita la “tassazione della repressione finanziaria” tipica delle nazioni altamente indebitate, e permette il ribilanciamento rispetto alla volatilità dei prezzi, avvantaggiandosi così dalle inefficienze tipiche di un noisy market. Questo processo realizza la promessa dello Fundamental Index associando rendimenti più elevati a una minore esposizione al rischio in un volume di contrattazioni basso, un formato facilmente realizzabile per permettere un’esposizione intelligente ai mercati dei titoli di stato. Come mai adesso Recentemente, la Cina è diventata una nuova protagonista del gioco delle svalutazioni competitive messo in atto dalle principali economie mondiali. Ha deciso di svalutare il Renmimbi a causa delle difficoltà per l’economia cinese di affrontare gli effetti della svalutazione monetaria operata dai suoi principali partner commerciali, il Giappone e l’Europa. La politica monetaria giapponese aveva come obiettivo svalutare lo yen rispetto al dollaro USA e all’euro. I massicci programmi di quantitative easing sono lo strumento di politica monetaria utilizzato per dare fiato all’economia. L’Europa ha esitato prima di avviare il QE, ma da quest’anno la BCE acquista 60 miliardi di euro di titoli governativi al mese. E anche se un euro più debole non è l’obiettivo ufficiale, Mario Draghi ripete a iosa che poiché la ripresa è ancora in fase embrionale, un euro forte non è scontato. Nel frattempo, la Federal Reserve americana intende rimandare ancora un primo rialzo dei tassi poiché teme l’impatto di un dollaro forte sull’economia. prometeia advisor sim Non ci sono vincitori in una guerra valutaria. Le politiche del rubamazzo sono difficili da perseguire se si crea un effetto a catena. Ed è una guerra che determina gravi distorsioni nei mercati dei titoli di stato, perché buona parte del debito sovrano è assorbita dai bilanci sempre più gonfiati delle banche centrali. I rendimenti sono artificialmente bassi. Visti questi sviluppi, è difficile continuare a credere che gli attuali prezzi del mercato obbligazionario riflettano il fair value dei titoli. Con il quantitative easing come unico tema dominante dei mercati dei titoli di stato, scorgiamo tre importanti sviluppi: 1. Il rendimento, e quindi il rendimento atteso dei titoli sovrani, è ai minimi storici. 2. La duration degli indici dei titoli di stato è in aumento, perché i debitori sono tentati di assicurare a lungo termine questi livelli estremamente bassi dei rendimenti. 3. La qualità del debito dell’indice dei titoli di stato si sta deteriorando, perché le emissioni di titoli sovrani di qualità elevata si riduce mentre gli emittenti di scarsa qualità sembrano in grado di emettere una quantità illimitata di debito. Significa che quest’anno il mercato dei titoli di stato riserva solo cattive notizie? Naturalmente no. Gli investitori obbligazionari si trovano nella stessa situazione dell’anno scorso, quando non sembrava essere immaginabile nessun altro scenario oltre a quello dei rendimenti più elevati dei titoli di stato e di return loss. Ci sbagliavamo. E, per quanto possa sembrare surrealistico, i titoli di stato potrebbero rimanere a questi livelli ancora a lungo perché la ripresa economica mondiale appare fragile e la guerra valutaria non è terminata. Il calo dei prezzi delle commodity e le svalutazioni competitive creano un contesto di investimento più volatile. In questo mondo caratterizzato dall’incertezza, aumenta la domanda di obbligazioni di qualità elevata mentre l’offerta scarseggia. La filosofia dell’indice basato sui fondamentali, fondata sul verificarsi di sviluppi economici strutturali di lungo termine in un paese, presenta i vantaggi di costo classici delle soluzioni di investimento passive ed evita di essere risucchiati nella “trappola del debito” dell’esposizione massiccia a emittenti con una qualità del credito discutibile. A anteo 11 contributi Focus sul mercato dei bond ibridi François Lavier, CFA — Lazard Frères Gestion N ell’attuale mercato obbligazionario caratterizzato da tassi bassi, ma anche dal rischio della loro prossima impennata, ci sembra opportuno riprendere e analizzare più a fondo i diversi comparti del mercato obbligazionario, per rompere il classico dualismo “Titoli di stato/ Corporate bonds” e identificare quei segmenti di mercato che offrono ancora valore. Dopo una rapida rassegna del mercato obbligazionario europeo, nonché delle performance registrate dai principali comparti, l’autore propone di centrare l’analisi sul segmento dei bond ibridi bancari. Questa nicchia da 650 miliardi di euro circa, presenta un allineamento astrale che raramente si verifica per gli investitori istituzionali dove, al miglioramento dei fondamentali, si aggiungono valutazioni ancora piuttosto interessanti e una domanda di titoli fortemente sostenuta dagli investitori. Per ultimo, si evidenzieranno le competenze necessarie e i fattori chiave per investire in questo specifico comparto. Il segmento dei bond ibridi bancari all’interno del mercato obbligazionario A fine luglio 2015 l’annata si è rivelata alquanto agitata rispetto alle performance per gli investitori nel mercato obbligazionario europeo. Il repentino aumento dei tassi d’interesse a lungo termine in Europa da fine aprile, nonostante gli acquisti della BCE, ha condizionato le performance deboli o negative in numerosi comparti. Così, secondo gli indici Bloomberg, mentre il debito sovrano dell’Eurozona (BEUR Index) ha registrato una performance dello +0,47% YTD, i titoli Investment Grade (BERC Index) sono entrati invece in territorio negativo (-0,60%). I rendimenti nominali di questi due indici sono scarsi: 0,87% per il debito sovrano, con uno spread di 49 bps sui Bund tedeschi, e 1,16% per le emissioni IG, con uno spread di 98 bps, con duration a 7 o 5 anni rispettivamente. Lo scarso reddito di questi due segmenti non ha permesso di compensare un’impennata dei tassi tale come quella registrata la scorsa primavera. Invece di limitare il mercato obbligazionario a questi due segmenti principali, proponiamo di analizzare più approfonditamente la sua composizione. Il grafico sottostante mostra il mercato obbligazionario europeo suddiviso in grandi segmenti a sinistra (debito sovrano, obbligazioni bancarie e corporate bonds), poi in sotto-segmenti di obbligazioni bancarie nel Una asset class importante Dimensioni e spaccato del mercato obbligazionario europeo (in mld €) Bond quasi sovrani 1 492 Obbligazioni subordinate 648 miliardi di € Bond sovrani 7 504 Bond sovrani e quasi sovrani 8 996 Cartolarizzazioni 1 544 Bancari 6 766 Corporate bonds 2 414 Corporate convertibles 100 Corporate HY 300 Senior bonds 1 822 Covered Bonds 2 752 Subordinate 648 Assicurazioni Subordinate Banche 108 Tier 2 Additional Tier 1 291 114 Banche «old» Tier 1 135 Corporate IG 2 014 Totale: 18 200 miliardi di euro Fonte: Lazard, BCE e Morgan Stanley, 27 febbraio 2015 . prometeia advisor sim A anteo 12 Hybrids Tier 2 AT1 Equities Senior mezzo e, infine, all’interno dei bond ibridi, suddiviso nei vari tipi di titoli emessi nel grafico di destra. mostra i diversi veicoli disponibili, classificati per livelli di rischio crescenti da destra a sinistra. Il mercato del debito ibrido è un mercato da 650 miliardi di euro circa, ossia oltre il doppio delle dimensioni del mercato europeo delle obbligazioni high-yield e più di 6 volte quelle del mercato delle obbligazioni convertibili europee. Gli investitori istituzionali al momento di realizzare le allocazioni spesso decidono di investire su un portafoglio di obbligazioni HY o convertibili pari a circa il 5%, ma ignorano il segmento dei bond ibridi. Sottovalutare questo mercato, a nostro avviso, è un errore che va corretto per svariati motivi, oltre che per l›importanza delle sue dimensioni. Il segmento dei bond ibridi offre l’enorme vantaggio di consentire un compromesso in fatto di rischio/rendimento tra azioni da un lato e obbligazioni senior dall’altro. Permettere inoltre di costruire un portafoglio assai più diversificato rispetto a quello costituito unicamente da azioni del settore bancario. Motivo n. 1: la diversificazione per un binomio rischio-rendimento. Semplificando, possiamo affermare che ogni investitore dispone di circa tre possibili veicoli d’investimento possibili in emittenti bancari: azioni, sapendo che la metà del sistema bancario europeo non è quotata; bond tradizionali senior “unsecured”, e infine un comparto detto ibrido, che raggruppa tutte le obbligazioni subordinate e i titoli di capitale contingente. Il diagramma successivo A fine luglio 2015, stando agli indici di JP Morgan e Barclay, le obbligazioni subordinate bancarie Tier 2 (JPSULTEI Index) dimostravano una performance di + 1,6% YTD, e le obbligazioni “Additional Tier 1” in euro (BCCUTREU Index) di +5,7% YTD. I rendimenti offerti da questi indici sono del 2,7% e 5,2%, con degli spread di 240 bps e 530 bps ed una duration a 4,6 e 4,3 anni rispettivamente. Questi titoli hanno sovraperformato il resto del mercato obbligazionario grazie non solo al loro rendimento ed i loro spread più elevati, ma anche alla loro duration ridotta, che li rende meno sensibili alle oscillazioni dei tassi. Osservando la volatilità di questa classe di attivi, la Bassa volatilità annuale persistente Volatilità annuali consecutive (260 giorni) -cronologia 65 Stoxx 600 Europe Banks ND 60 JPM Susi T1 Index 55 JPM Susi LT2 Index 50 Objectif Crédit Fi 45 Objectif Capital Fi 40 35 30 25 20 15 10 5 0 11-01 prometeia advisor sim 11-02 11-03 11-04 11-05 11-06 11-07 11-08 11-09 11-10 11-11 Fonte: Lazard, JP Morgan e Bloomberg data: 30/06/2015Calcoli realizzati su base giornaliera. L’opinione espressa sopra risale al mese di luglio 2015 ed è suscettibile di modifiche. 11-12 11-13 11-14 A anteo 13 Livelli di spread tuttora elevati Evoluzione degli spread delle obbligazioni LT 2 (JP Morgan Subordinated Security Index Lower Tier II Banks Govt Spread) 1 000 280 900 270 800 260 700 250 600 240 500 400 Periodo recente 220 300 210 200 200 100 190 A 12 mesi consecutivi 230 180 0 01-01 05-02 09-03 01-05 05-06 09-07 01-09 05-10 09-11 01-13 05-14 07-14 09-14 11-14 01-15 03-15 05-15 07-15 Fonte: Bloomberg, JP Morgan 14/07/2015. L’opinione espressa sopra risale al mese di luglio 2015 ed è suscettibile di modifiche. volatilità annua oscilla attualmente intorno al 2-4% a seconda del tipo di bond ibridi, ossia 5-10 volte meno rispetto alle azioni bancarie. Questo tasso di volatilità è storicamente “normale”, con picchi che sono saliti fino al 20-40%, in funzione dei veicoli, al culmine della crisi finanziaria del 2008-09. Il grafico sottostante mostra l’evoluzione del tasso di volatilità secondo gli indici di JP Morgan. Motivo n. 2: le valutazioni interessanti in termini di rendimento e spread. A seconda degli emittenti, le maturità e il tipo di titoli, i rendimenti oscilleranno tra 2,5-5% per le obbligazioni Tier 2 e il 3-7% per le “Additional Tier 1”. Per contro, le obbligazioni bancarie senior “unsecured” offrono un misero 1,1%, come i corporate bond IG, mentre le obbligazioni HY offrono quasi il 4%. Il rendimento dei bond ibridi è quindi superiore per degli emittenti di qualità paragonabile o superiore a quella di altri segmenti del mercato obbligazionario. Osservandone le valutazioni dal punto di vista degli spread, il panorama è altrettanto allettante: nel comparto “Lower Tier 2” ad esempio, gli spread si aggirano attualmente sui 240 bps, quasi 10 volte il livello minimo prevalente prima della crisi. Il grafico successivo mostra l’evoluzione degli spread delle obbligazioni bancarie Tier 2 dopo 15 anni a sinistra, e su 1 anno consecutivo a destra. Per le “Additional Tier 2” gli spread si aggirano mediamente sui 400-650 bps in funzione degli emittenti. Il principale rischio supplementare di questi titoli rispetto alle Tier 2 è quello di mancato pagamento della cedola. Ciò significa che per sopportare questo rischio supplementare, un investitore in bond ibridi “Additional Tier 1” riceverà un supplemento variabile di 160-400 bps rispetto a un’emissione di Tier 2. Motivo n. 3: i fattori tecnici della domanda e dell’offerta. Le banche emettono bond ibridi in quanto obbligate per legge. Ciascun istituto deve disporre almeno dell’1,5% di obbligazioni “Additional Tier 1” (AT1) e del 2% di obbligazioni Tier 2. Alcune banche ne emettono in misura superiore, ma nel complesso il mercato primario si aggira sui 50-70 miliardi di euro di emissioni all’anno, un livello assolutamente assorbibile dal mercato. In tal modo si assicura un rinnovamento regolare degli stock esistenti. Per quanto riguarda la domanda, questa è assai eterogenea: molti investitori istituzionali sono posizionati sul comparto Tier 2 innanzitutto per questioni di rating, e poi per la minor complessità. Nei titoli più rischiosi, come le obbligazioni “Additional Tier 1” gli investitori più numerosi sono le banche private, i fondi specializzati, i fondi total return e i fondi hedge ossia la totalità della community di investitori non soggetti a restrizioni particolari di capitale o di rating dei titoli soggiacenti dei portafogli. Questi ultimi titoli offrono migliori prospettive di rendimenti e performance, ma la loro complessità ha indotto molti investitori a posporre la loro adozione come veicolo di investimento. Riteniamo comunque che, considerata la qualità degli attuali emittenti in questo segmento, gli investitori dovrebbero riconsiderare le loro posizioni, affidando a terzi esperti in questi titoli la gestione ed il monitoraggio di questi portafogli. prometeia advisor sim Motivo n.4: la qualità di emittenti e delle emissioni dal punto di vista del rating. La maggior parte dello stock di obbligazioni Tier 2 ha un rating pari a BBB o persino A. Per quanto riguarda le obbligazioni Tier 1, la maggior parte ha un rating BB. Un portafoglio costituito principalmente da bond ibridi Tier 2 avrà quindi un rating medio BBB, mentre un portafoglio composto principalmente di obbligazioni AT1 avrà un rating medio BB. Si tratta di un fattore importante perché spiega l’essenza dell’attuale dualismo degli investitori in questa classe di titoli. Ciononostante, riteniamo poco prudente sia affidarsi esclusivamente alle agenzie di rating per la selezione dei veicoli di investimento, che basarsi solo sul rating dei titoli per valutare il rischio effettivo sopportato dall’investitore. Il rischio sottostante al titolo infatti è quello dell’emittente. Noi invece crediamo che sia meglio investire in un veicolo emesso da un emittente solido, con rating A o BBB, la cui emissione ottenga un rating inferiore, piuttosto che in un emittente e un veicolo con rating identici, ma appartenenti entrambi alla categoria HY. La probabilità di insolvenza e quindi di perdite per l’investitore è assai inferiore per gli emittenti di buona qualità. Noi crediamo che un portafoglio gestito attivamente e monitorato giornalmente offrirà migliori performance nonché un miglior binomio rischio-rendimento. Gli investitori istituzionali dovrebbero riconsiderare la questione da questo punto di vista e approfittare delle numerose opportunità nel mercato dei bond ibridi. prometeia advisor sim A anteo 14 Per ultimo, motivo n. 5: miglioramento dei fondamentali. Sotto la spinta delle nuove direttive (Basilea 3 e Solvency 2), ma anche della pressione degli investitori e della concorrenza, gli emittenti del settore bancario hanno continuato incessantemente a migliorare la qualità dei dati dei loro bilanci dalla crisi finanziaria. La quantità nonché la qualità dei fondi propri non ha cessato di crescere, con oltre 1.000 miliardi di euro di aumento dei fondi propri di base delle banche europee dalla fine del 2007, ossia +70% in 7 anni. Le dimensioni dei bilanci sono fissate per legge e non aumentano più, anzi diminuiscono per molti istituti. La conseguenza: una diminuzione del tasso di leverage, ai livelli più bassi da 20 anni a questa parte per le banche europee. Gli istituti bancari sono pertanto oggi non solo più forti, ma anche meno rischiosi. Questa tendenza è strutturale e non è destinata a invertirsi nei prossimi 2-3 anni, grazie alla supervisione delle autorità di vigilanza e dei mercati. Il settore bancario è quindi uno dei pochi settori che offre visibilità nel perseguimento del miglioramento dei propri fondamentali. E questa è una qualità rara e preziosa per gli investitori istituzionali. Come approfittare di questo mercato ed evitare i rischi principali Conviene ricordare che i bond ibridi non sono privi di rischi. È quindi importante sforzarsi di conoscere non solo i rischi propri del settore bancario in generale, degli emittenti, ma anche e soprattutto delle caratteristiche dei diversi titoli su cui si posizionerà l’investitore istituzionale. Ogni emissione è differente e dotata di caratteristiche peculiari proprie dipendendo dalla categoria, le cedole, le date di rimborso anticipato, la modalità di fissazione della cedola in assenza di rimborso anticipato, il rischio di mancato pagamento delle cedole, di perdita del capitale in determinate circostanze per insolvenza dell’emittente o i rischi associati a clausole di declassamento del titolo imposto dalla legge. Gli investitori sopravvissuti alla crisi finanziaria hanno imparato la lezione. Alcuni titoli di banche in difficoltà hanno pagato le loro cedole, altri dello stesso emittente, no. Alcune emissioni sono state rimborsate in anticipo come previsto, altre no. Alcuni bond ibridi hanno causato perdite di capitale per i loro detentori, altri dello stesso emittente sono riusciti a evitarle. La conoscenza delle caratteristiche di ciascun titolo è quindi fondamentale. La lettura dei prospetti delle emissioni, documenti particolarmente densi e tecnici, è quindi un passaggio obbligato per comprendere i rischi cui ci si espone. L’universo dei bond ibridi comprende più di 2.000 differenti emissioni. Sviluppare pertanto delle competenze in questo segmento non è semplice e non si può improvvisare. Alcuni investitori istituzionali comprano i bond ibridi come veicoli che offrono un coefficiente beta rispetto a un indice di mercato. È un’idea eccellente, ma noi pensiamo che si debba andare oltre, attuando un’analisi dei rischi da evitare e delle opportunità da cogliere in relazione alle valutazioni dei mercati. La generazione di una performance superiore a quella del mercato in generale è quindi possibile disponendo dei seguenti punti forti: 1. Capacità di ricerca ed analisi fondamentale “equity-debt” degli emittenti bancari, per anticipare le tendenze nei fondamentali di ogni emittente. 2. Strumenti di analisi e monitoraggio dei mercati obbligazionari specificamente focalizzati sul debito ibrido, per rilevare rapidamente qualsiasi inversione di tendenza nel settore o nei mercati. 3. Conoscenza approfondita del vasto universo A anteo 15 investibile e delle caratteristiche dei titoli in portafoglio, per poter effettuare una selezione oculata valutando rischi e potenzialità del singolo investimento. 4. Monitoraggio regolare del rischio normativo, per misurarne l’impatto sul settore bancario, sugli emittenti, ma anche sulle emissioni. 5. Gestione multi-valuta del portafoglio, per approfittare della diversificazione offerta dai titoli in valuta estera e delle differenze di valutazione. 6. Reattività nei mercati obbligazionari, con particolare riferimento a quei mercati contraddistinti da una situazione di scarsa liquidità destinata a protrarsi nel tempo. Definizioni: Oltre a una gestione fondamentale per selezionare i rischi buoni ed eliminare quelli cattivi, quest’ultimo punto è fondamentale. La solidità di un emittente non è mai strutturale ma in continua evoluzione dipendendo dall’ambiente macro e dalle decisioni manageriali. Un portafoglio di bond ibridi non può quindi rimanere statico, ma deve evolversi per liquidare rapidamente i titoli emessi da istituti i cui fondamentali si stanno deteriorando. La seconda ragione a favore della gestione attiva è l’ottimizzazione del portafoglio, non solo esclusivamente dal punto di vista dei fondamentali, ma anche delle valutazioni o dei fattori tecnici. Due emissioni di un identico emittente possono essere valutate di volta in volta diversamente, creando delle opportunità. Tali opportunità sono più numerose specie in momenti in cui i mercati obbligazionari sono caratterizzati da una certa illiquidità, che rappresenta certamente una fonte di rischio, ma anche di valore aggiunto, soprattutto per investitori a lungo termine. In conclusione, cosa desumere dall’analisi di questo segmento di mercato di nicchia? In un periodo in cui le opportunità nei mercati obbligazionari sono più rare e i rendimenti rischiano di rimanere stabilmente bassi per il contesto economico, il settore bancario offre un allineamento astrale perfetto: 1) dei fondamentali solidi e in netto miglioramento per l’impulso delle nuove normative, 2) delle valutazioni piuttosto interessanti a fronte di un rischio moderato e 3) un’offerta ragionevole in un mercato già consolidato e ben sviluppato, con una domanda in notevole crescita da alcuni trimestri trainata dagli investitori istituzionali che ricominciano a considerare attrattivo questo segmento. Al giorno d’oggi è possibile quindi formare due portafogli: uno focalizzato, ma non esclusivamente, a obbligazioni Tier 2, che offrono rendimenti del 3-4% con un portafoglio globalmente classificato Investment Grade (intorno a BBB) e l’altro focalizzato a obbligazioni “Additional Tier 1”, che offrono rendimenti del 5-6%, ed un rating medio pari a BB. Questi due portafogli ci sembrano complementari ed è consigliabile diversificare i portafogli integrando entrambe le strategie seconda delle capacità di ciascuno di assumere o meno rischi (ad esempio intorno a 2/3 di obbligazioni Tier 1 e 1/3 di obbligazioni “Additional Tier 1”). Bond ibridi (altrimenti denominati anche obbligazioni bancarie subordinate) si dividono in 2 comparti: »» Obbligazioni Tier 2: titoli più simili ad obbligazioni tradizionali in fatto di pagamento delle cedole e rimborso del capitale, tranne in caso di salvataggio della banca emittente, nel qual caso i titoli possono soffrire elevati rischi di perdite. »» Obbligazioni “Additional Tier 1”: titoli simili ad azioni per le loro caratteristiche. Sono perpetui, le cedole possono non essere liquidate interamente come i dividendi, ma i detentori hanno diritto ogni anno a una cedola fissata anticipatamente secondo un calendario e una formula specificati nel prospetto dell’emissione. Come le obbligazioni Tier 2, in caso di salvataggio della banca emittente, i titoli possono soffrire elevati rischi di perdite. François Lavier, CFA, è analista/gestore di Objectif Crédit Fi e di Objectif Capital Fi. Si è unito a Lazard Frères Gestion nel 2008. In qualità di analista, François è responsabile del settore finanziario europeo, banche de assicurazioni ed è specializzato in obbligazioni finanziarie. In precedenza ha lavorato per Groupe OFI, come responsabile di analisi del credito dal 2004 al 2008, responsabile di controllo interno dal 2002 al 2003, nonché responsabile di controllo del rischio per le attività per conto proprio dal 1998 al 2001. Possiede un Master in Contabilità, controllo e audit dell’Institut National des Techniques Economiques et Comptables ed è Chartered Financial Analyst dal 2008. prometeia advisor sim A anteo 16 contributi Fondi Long/Short azionari: uno strumento efficiente per mercati difficili Giacomo Mergoni, Chief Executive Officer — Banor Capital Limited I gestori di portafogli istituzionali si confrontano regolarmente con un dilemma: l’obiettivo di rendimento del portafoglio è di lungo periodo mentre gli eventi e le emozioni (e i rendiconti) viaggiano su un calendario ben più corto. Il gestore, in buona fede, ritiene spesso che un investimento “tradizionale” long only sia lo strumento ideale per risolvere il dilemma: consente di cogliere a pieno la crescita naturale di lungo periodo dei mercati e in caso di correzioni significative consente di ridurre l’esposizione azionaria in modo repentino. Ma proprio per l’interferenza del fattore emotivo, della pressione per generare sempre risultati positivi e per la difficoltà di “tradare” il mercato col giusto tempismo, anche il gestore più avveduto può trovarsi in grosse difficoltà e creare danni permanenti al portafoglio. Negli ultimi anni però la normativa europea (caso raro) è andata in aiuto dei gestori, consentendo loro di accedere a strategie e strumenti prima riservati a investitori molto sofisticati e a portafogli non soggetti a limitazioni in termini di liquidabilità e regolamentazione degli investimenti. In parole povere, la normativa UCITS IV ha introdotto nell’universo investibile dell’istituzionale europeo gestori e strategie alternative (ad es. Long/Short) con liquidità giornaliera, regolamentazione europea e armonizzazione fiscale. Al gestore istituzionale non rimane (si fa per dire…) che selezionare i prodotti e soprattutto i gestori giusti a cui affidare i vari tasselli che compongono il proprio portafoglio, sapendo che, a differenza di prima, l’onere del market timing è delegato anch’esso al gestore del fondo, un professionista che dedica a questo gran parte della sua vita. Il gestore istituzionale deve dare al gestore del fondo il tempo per realizzare a pieno il potenziale della propria strategia, esigendo – dopo tale periodo – un rendimento ponderato per il rischio superiore a quello dei mercati azionari di riferimento. prometeia advisor sim Non dimentichiamoci che quelle che noi chiamiamo “strategie alternative” sono state create nella prima metà del novecento in America proprio per gestire in modo efficiente i grandi patrimoni delle grandi famiglie industriali, con un profilo di rischio/ rendimento molto simile a quello delle fondazioni e dei fondi pensione di oggi. La vera discriminante è la selezione del gestore e della strategia giusta e per questo esistono intere biblioteche e dottorati, sebbene l’esperienza e il buon senso siano forse gli asset più rilevanti. Assumendo dunque di aver le capacità per selezionare i gestori e le strategie giusti e limitandoci a quello che conosciamo meglio (le strategie fondamentali-value long/short) vediamo come queste possono contribuire in modo efficiente al rendimento di un portafoglio istituzionale anche nell’attuale scenario. L’estate appena trascorsa ha tolto il sorriso ai mercati e a molti investitori. Quello che sembrava un anno da celebrare è al momento (inizio settembre) un anno mediocre/brutto, con USA, Europa e Asia in territorio negativo. Sottolineiamo “al momento” perchè non riteniamo che gli eventi di quest’estate indichino un cambiamento nel paradigma che guida le nostre idee di investimento ormai da diversi mesi. Se non ci sbagliamo dunque, passato il clamore dei titoli di giornale catastrofici, molti mercati potrebbero tornare in territorio positivo dopo aver scremato parte degli eccessi passati ed aver lasciato qualche operatore con ferite anche importanti. All’inizio dell’anno scrivevamo che “…Gli Stati Uniti hanno confermato la lenta ripresa in corso, il dollaro si è rafforzato, tornando intorno a un fair value di lungo periodo, il sistema industriale è forte e l’over capacity si sta riassorbendo. In Europa stiamo finalmente realizzando di trovarci in piena deflazione ed essendo i governi oberati dai debiti, stiamo discutendo di politiche monetarie non convenzionali. In Cina, dopo tre anni in cui gli investitori si interrogano sull’hard landing, ci sembra più corretto parlare di un long landing. Il governo continua a concentrarsi sulla qualità della vita e la crescita domestica, cercando di togliere ossigeno alla speculazione e contemporaneamente di sostenere la domanda di credito al consumo. Nonostante queste A anteo divergenze, gli strumenti adoperati dai vari governi sono pressochè gli stessi: tassi bassi e una corsa alla svalutazione per agevolare l’export sono un tema comune, con alterne fortune. Chi può permetterselo, cioè la Cina, utilizza le leve fiscali. “ Rispetto ad allora, la bolla delle A shares cinesi è scoppiata, e molti investitori l’hanno confusa con un crollo dell’economia cinese (l’Economist del 27 Agosto titolava in copertina “The great fall of China”, un evidente segnale di acquisto!). Se, come ci riporta il nostro gestore sul campo, l’impatto dello scoppio della bolla sui consumi cinesi sarà limitato e transitorio, torneremo presto a meravigliarci per quanto petrolio, acciaio, carne e borsette consumano i cinesi. L’investitore istituzionale con un portafoglio bilanciato “classico” si trova rendimenti obbligazionari pressochè piatti e rendimenti azionari piatti o negativi. Lo stesso gestore, con in portafoglio strategie absolute return obbligazionarie e fondi long/short azionari, può anch’esso avere una performance “low single digit”, ma, nell’ipotesi iniziale di aver scelto il gestore giusto, sa che i gestori dei suoi fondi hanno gli strumenti adeguati per limitare le perdite, partecipare al recupero e limitare la volatilità andando lunghi e corti e variando l’esposizione netta dei fondi. Strumenti questi che i gestori long only non hanno. Per diversi motivi, riteniamo che i tre blocchi geografici a cui abbiamo appena fatto cenno si affrontino meglio, anche in questa fase, con 17 strumenti long/short. Negli Stati Uniti, dopo tre anni di bull market, gli investitori sono più cauti e aspettano l’inizio del ciclo restrittivo della Fed. Ci aspettiamo un mercato “orizzontale” dove un gestore long/short capace può discriminare tra titoli sopravvalutati e titoli con maggior potenziale e generare alpha (extra rendimenti rispetto al mercato). In Europa il gestore long/short ha lo strumento per districarsi tra le fasi di euforia e quelle di panico utilizzando l’esposizione netta in modo tattico. In Cina, quando l’attuale movimento (molto importante) in corso sarà terminato, gli investitori torneranno a concentrarsi sulla crescita dell’economia domestica, trascurando i settori che hanno beneficiato della prima fase dell’espansione cinese (infrastrutture, costruzioni, esportazioni). Gli investitori saranno in buona compagnia: il governo e la banca centrale cinese guardano nella stessa direzione. Un investitore long/short ha, anche in Cina, gli strumenti per discriminare tra questi due macro-settori. Per concludere, sebbene in situazioni molto diverse, e per motivi diversi, quello che accomuna queste tre aree è la grande difficoltà di investirle con strumenti tradizionali e i nervi a fior di pelle. Per questi motivi selezionare dei bravi gestori, che guardino ai fondamentali e al posizionamento delle aziende in modo coerente nel tempo, e dare loro gli strumenti per separare il buono dal marcio e guadagnare su entrambi, è secondo noi la strategia vincente (anche) per un gestore istituzionale. prometeia advisor sim A anteo 18 osservatorio prometeia Asset Allocation: alla conquista del West o un americano a Roma? dalle attese sul tasso (nominale) di breve termine dalla data di emissione fino alla scadenza e quindi dall’evoluzione delle sue due componenti: il tasso reale e quello di inflazione a breve termine. L’altra componente che determina il rendimento è il premio al rischio, il cosiddetto term premium, che è il compenso per detenere fino a scadenza un titolo a lungo termine piuttosto che investire su una serie di strumenti a breve. Il term premium dipende dalla incertezza sull’evoluzione dei tassi (reali e di inflazione), dall’avversione al rischio degli investitori e dall’ammontare di liquidità del mercato. Su questi elementi agiscono le politiche non convenzionali delle Banche centrali che quindi, con l’acquisto di titoli, contribuiscono a ridurre il term premium. Ed è quello che è accaduto negli ultimi anni, come emerge dalla Fig. 1 in cui il tasso tedesco è stato scomposto nelle sue componenti. Il term premium ha iniziato a ridursi anche prima dell’intervento della Bce perché su di esso avevano avuto effetto le misure di QE intraprese dalle altre banche centrali e altre misure non convenzionali della stessa Bce, tra cui le operazioni di rifinanziamento a lungo termine. A partire dal simposio annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole, ad agosto 2014, in cui Francesco Amoroso, Emanuele De Meo, Lorenzo Prosperi, Giacomo Tizzanini, Ugo Speculato, Lea Zicchino, — Prometeia (sintesi della presentazione tenuta da Lea Zicchino a Barcellona in occasione del XI Percorso di InFormazione di Prometeia Advisor Sim «Spazio rendimento-rischio: una rivisitazione “modernista” ») I n questo articolo discuteremo dei fattori fondamentali che guideranno l’andamento dei mercati finanziari internazionali e delle prospettive di rendimento di diverse categorie di attività finanziarie. In particolare, le attività di quale area geografica, Usa o Uem, potranno dare opportunità di rendimento migliori? Dovremo dirigerci verso gli Usa o converrà mantenere gli investimenti in Europa, con la possibilità che anche gli investitori americani dirigano i loro flussi di investimenti verso il Vecchio Continente? Il primo dei fattori chiave che hanno avuto, e avranno, effetti sui mercati internazionali è la politica monetaria delle Banche centrali che, dopo molti anni di convergenza, inizierà ad avere un profilo divergente in Usa e Uem. Andranno in direzioni opposte sia i tassi, lo strumento tradizionale di politica monetaria, sia gli attivi delle Banche centrali. L’attivo della Federal Reserve comincerà probabilmente a ridursi progressivamente con la scadenza dei titoli acquistati nell’ambito dei successivi piani di Quantitative Easing (QE) mentre quello della Banca centrale europea aumenterà, per l’acquisto di titoli pubblici e privati previsto fino al 2016 e la liquidità immessa nel sistema bancario attraverso le operazioni di rifinanziamento a lungo termine condizionate all’offerta di credito bancario (TLTRO). Per provare a capire l’effetto già avuto dal programma di acquisto di titoli della Bce e tentare inoltre di fornire una spiegazione dell’aumento dei tassi dell’Uem avvenuto a metà aprile, guardiamo brevemente ai canali di trasmissione del QE sui rendimenti di lungo termine. prometeia advisor sim Il rendimento su un titolo a lungo termine, ad esempio un decennale, è determinato in parte Figura 1: Scomposizione dei rendimenti a 10 anni sui titoli di Stato, Germania (per cento)(a) 5 Jackson Hole 4 3 2 1 0 -1 -2 gen-07 giu-08 nov-09 apr-11 set-12 feb-14 tasso atteso reale term premium tasso atteso inflazione Bund 10 anni ago-15 Fonte: Thomson Reuters, Bloomberg, elaborazioni Prometeia; dati al 31/8/15. (a) La scomposizione è ottenuta mediante un modello affine applicato alla struttura a termine governativa nominale e reale (ricavata come differenza con gli inflation swap). Medie mensili. A anteo Draghi ha manifestato la volontà di un ulteriore allentamento monetario, il term premium si è ridotto in misura più marcata. L’altro canale attraverso cui può agire il QE è il cosiddetto “effetto segnale”: se la Bce acquista titoli “segnala” la sua determinazione al raggiungimento dell’obiettivo di inflazione e quindi rafforza le attese che l’inflazione si sposterà verso il target (facendo aumentare le aspettative di inflazione di lungo termine); inoltre, ma questo canale ha tempi di trasmissione probabilmente più lunghi, se il programma inizia a dare qualche evidenza di essere efficace si rafforzeranno le prospettive di crescita dell’economia che si rifletteranno in un aumento del tasso reale atteso. L’aumento di queste componenti – tasso di inflazione e tasso reale attesi – fa innalzare il tasso di breve termine atteso, contribuendo alla risalita dei tassi di lungo periodo. Nell’Uem le aspettative di inflazione di lungo termine, ottenute da strumenti di mercato (inflation swap) sono effettivamente aumentate già dall’annuncio, a gennaio 2015, dell’estensione del QE ai titoli di Stato. La riduzione del term premium ha contribuito alla riduzione dei rendimenti decennali sul Bund (circa 90 punti base da Jackson Hole fino a metà aprile) e sul Btp (-108 pb), ma anche su quello statunitense (-51 pb). Tuttavia, dal 20 Figura 2: Andamento dei tassi di interesse governativi dall’avvio di diverse misure monetarie espansive (var.% cumulate)(a) 1.5 Bund 10y dall'annuncio del QE Bce (21/1/15) mediana altri interventi 1.0 0.5 0.0 -0.5 Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; dati al 10/9/15. (a) Corrente=variazioni cumulate dell’indice azionario Uem ponendo come data zero l’annuncio del QE (22/1/15); mediana=la mediana delle variazioni cumulate dei rispettivi indici azionari ponendo come data zero le date di annuncio o di avvio di 19 misure di allentamento quantitativo negli Usa, Uk e Giappone 19 aprile i rendimenti sono tornati ad aumentare e anche piuttosto repentinamente. Perché? Non sembrano infatti essere cambiati i fattori fondamentali che hanno guidato i tassi nei mesi precedenti. Una possibile spiegazione è che il term premium si era probabilmente compresso eccessivamente e gli investitori, nell’ipotesi che il rendimento sul Bund, ormai intorno a zero, non potesse scendere ulteriormente hanno iniziato a vendere. A supporto di questa ipotesi si può guardare alla risposta del tasso tedesco comparata a quella di altri tassi in diversi precedenti episodi di allentamento quantitativo in Usa, Uk e Giappone: per alcune settimane dopo l’annuncio del QE della Bce il Bund si era ridotto in linea con la mediana degli altri tassi, ma poi il calo è proseguito più marcatamente (Fig. 2). Dove andranno i tassi ora? Da un nostro modello sul valore fondamentale – costruito sulla base di variabili macroeconomiche, fiscali e finanziarie che dovrebbero “spiegare” il rendimento su un titolo di Stato – emerge che il rendimento del Bund dovrebbe essere poco sopra l’1%. Sebbene questo livello sia più elevato del valore corrente, crediamo che il QE dovrebbe avere l’effetto di mantenere i rendimenti sotto il valore di “equilibrio” e quindi ci attendiamo che il Bund si mantenga sotto questo valore fino alla fine del 2016.1 Non c’è solo un effetto diretto sui rendimenti dei titoli acquistati – riduzione del premio al rischio, aumento delle attese di inflazione e dei tassi reali attesi – ma anche uno indiretto sulle altre attività finanziarie: attraverso il cosiddetto “canale di ribilanciamento dei portafogli” il QE contribuisce all’aumento dei prezzi delle attività più rischiose (azioni e obbligazioni societarie, ma non solo) poiché il minor rendimento degli asset sicuri incoraggia gli investitori a rivedere l’allocazione dei loro investimenti. Ma c’è un’evidenza degli effetti di ribilanciamento dei portafogli? Per valutare l’impatto del QE sul comportamento degli investitori abbiamo analizzato la dinamica dei flussi di investimento di famiglie, società finanziarie, assicurazioni e fondi pensione in diverse asset class (azionario, obbligazionario, liquidità) sia in presenza che in assenza di politiche monetarie espansive. L’analisi è stata condotta per tre differenti aree in cui è stato possibile stimare l’effetto del QE: Usa, Uk e Giappone (per l’Uem il QE è iniziato da troppo poco tempo per avere dati 1 Previsioni pubblicate nell’aggiornamento del Rapporto di Previsione di Prometeia di settembre 2015. prometeia advisor sim sufficienti all’analisi). Abbiamo costruito un modello cosiddetto “controfattuale” in cui la variabile dipendente (il flusso di investimento verso una determinata asset class) è funzione di se stessa ritardata, di una serie di altre variabili di controllo, non direttamente influenzabili dal QE, e della variabile di QE. La differenza tra la stima del modello con o senza la variabile di QE (in quest’ultimo caso il coefficiente è stato posto uguale a zero) quantifica l’effetto sui flussi di investimento dell’acquisto dei titoli di Stato da parte della banca centrale per un determinato Paese. L’analisi condotta conferma che come conseguenza del QE degli Usa c’è stata una ricomposizione dei flussi di investimento da asset class meno rischiose (titoli di debito e liquidità) verso i mercati azionari. La figura 3 mostra che i flussi di investimento in azionario hanno registrato l’incremento maggiore. Per l’Uem, dal momento che i dati disponibili sui flussi si fermano a fine 2014, per poter misurare i possibili effetti sulle allocazioni di portafoglio del QE della Bce abbiamo utilizzato una media dei coefficienti stimati per i tre Paesi.2 La figura 4 mostra l’effetto di riallocazione verso i titoli più rischiosi nell’Uem, da parte di tutte le categorie di investitori, ipotizzando un meccanismo di trasmissione uguale a quello degli altri Paesi. È interessante notare come l’effetto maggiore di ribilanciamento di portafoglio verso i mercati azionari potrebbe arrivare dalle famiglie. Con un altro modello abbiamo cercato di capire qual è l’effetto sui rendimenti di varie categorie di asset dei due driver di politica monetaria: il QE della Bce e l’aumento del tasso di politica monetaria negli Usa. Per ottenere una stima corretta degli effetti di questi fattori sui principali mercati finanziari è necessario tenere conto che le manovre di Fed e Bce agiscono su molteplici canali di trasmissione. Per questa ragione abbiamo adottato un modello proprietario di stima in data-rich environment che sintetizza un vasto insieme di variabili macro-finanziarie di Usa e Uem attraverso pochi fattori esplicativi e che tiene anche conto della trasmissione degli shock tra le diverse aree geografiche. Con questo modello abbiamo stimato l’effetto di un aumento di 25 punti base del tasso sui Fed Funds e del QE prometeia advisor sim A anteo 20 2 Per avere una stima dell’impatto del QE nei primi due trimestri del 2015 è stata fatta la differenza tra il modello in cui non è presente il regressore del QE e quello in cui il valore della variabile è stato determinato come il prodotto tra l’ammontare di acquisti già effettuati dalla Bce e una media aritmetica del coefficiente relativo al QE stimato per ogni paese (ad esempio il coefficiente del QE Usa sui flussi Usa e così via per ogni altro Paese). Figura 3: Effetto cumulato del QE Usa sui flussi di investimento Usa (miliardi di dollari) 2500 azionario debito liquidità 2000 1500 1000 500 0 -500 Fonte: Banca centrale europea, Federal Reserve, Bank of England, Bank of Japan, Office for National Statistics; Flow of Funds Sector Financial Assets and Liabilities; dati trimestrali al Q4-14. Figura 4: Stima dell’effetto cumulato sui flussi di investimento del QE in Uem nei primi due trimestri del 2015 (miliardi di dollari) 600 azionario debito liquidità 500 400 300 200 100 0 -100 soc. finanz famiglie ass. & fond. pens. tot. Fonte: Banca centrale europea, Federal Reserve, Bank of England, Bank of Japan, Office for National Statistics; Flow of Funds Sector Financial Assets and Liabilities; dati trimestrali al Q4-14. della Bce (identificato con una riduzione del term premium sul Bund) sulle variabili del modello e successivamente, tramite un altro modello di raccordo, su diverse categorie di attività finanziarie. Secondo le nostre stime il QE della Bce dovrebbe avere un effetto consistente (a parità di tutte le altre condizioni) sul mercato azionario europeo, con effetti di entità simile sull’altra sponda dell’Atlantico (Fig. 5). Per quanto riguarda l’indice A anteo Figura 5: Effetto cumulato del QE della Bce a 6 mesi sugli indici Total Return (var. %)(a) Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; stime al 30/4/15. (a) Lo spessore della freccia indica l’entità della trasmissio-ne tra i due Paesi. Figura 6: Effetto cumulato del rialzo della Fed a 6 mesi sugli indici Total Return (var.%)(a) 21 governativo (per l’indice corporate investment grade i risultati sono simili) l’effetto cumulato è contenuto anche perché dopo l’impatto iniziale i rendimenti governativi tendono a ritornare verso i livelli precedenti, quando il programma inizia ad avere effetti tangibili anche sull’economia reale. Inoltre anche la trasmissione tra le due aree è più modesta rispetto all’azionario. Per quanto riguarda la normalizzazione della politica monetaria statunitense, un rialzo dei Fed Funds contribuirebbe a un calo cumulato dell’indice azionario Usa del 3%. Anche nell’Uem si osserverebbe una riduzione dell’azionario, tuttavia solo della metà rispetto agli Stati Uniti (Fig. 6). La stessa cosa non vale per il governativo, dove la riduzione del Total Return nel vecchio continente è simile a quanto si osserverebbe negli Usa; a conferma del fatto che i rendimenti statunitensi sono in grado di “trainare” gli altri rendimenti governativi. Per concludere, dall’analisi degli effetti appena discussi emerge che i mercati dell’Uem dovrebbero essere favoriti dal QE della Bce, come ci si poteva attendere, e in particolare il mercato azionario che dovrebbe pertanto avere una performance migliore di quello statunitense. Gli effetti delle manovre della Bce sui mercati azionari potrebbero essere compensati dall’inizio della politica monetaria restrittiva da parte della Fed. Tuttavia in tal caso la correzione sull’azionario Uem sarebbe pari alla metà di quanto si osserverebbe negli Usa. Alla luce di questi risultati, le prospettive di investimento azionario nel vecchio continente sembrano essere più favorevoli rispetto all’azionario statunitense. Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; stime al 30/4/15. (a) Lo spessore della freccia indica l’entità della trasmissione tra i due Paesi. prometeia advisor sim A anteo 22 approfondimenti Prospettive del prezzo del petrolio ed effetti macroeconomici Manuel Bonucchi, Michele Burattoni — Prometeia Associazione Federico Ferrari — Prometeia Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (gennaio 2015) C omprendere le ragioni della riduzione del prezzo del petrolio negli ultimi mesi e del crollo nelle ultime settimane aiuta a formulare una previsione sulle prospettive di prezzo. L’utilizzo dei modelli di Prometeia per l’Economia Internazionale e per l’Economia Italiana consente di valutare gli effetti macroeconomici della variazione del prezzo del petrolio in termini di crescita e inflazione globali e, più nel dettaglio, per la nostra economia. L’andamento dei prezzi e le sue motivazioni strategiche e tecnologiche Nel corso degli ultimi dieci anni i corsi petroliferi sono variati notevolmente, il prezzo del Brent ha toccato un picco sia in dollari che in euro nell’estate del 2008 (Fig. 1). Il successivo calo dei prezzi, guidato dalla crisi finanziaria e dalla forte contrazione dell’attività economica mondiale, ha portato il prezzo a 38 dollari al barile alla fine del 2008. La seguente risalita, anche ripida in alcune fasi, lo ha ricondotto in prossimità del livello massimo storico nel corso del 2011 con Figura 1: Prezzo del Brent in $/brl e €/brl 145 125 105 85 65 45 25 dic-04 prometeia advisor sim dic-06 dic-08 dollari Fonte: Thomson Reuters. dic-10 dic-12 euro dic-14 una successiva sostanziale stabilità , attorno ai 108 dollari a barile e alcuni episodi di volatilità legata soprattutto agli eventi geopolitici, fino all’estate del 2014. Da sette mesi a questa parte però il prezzo sta calando con una brusca accelerazione nelle ultime settimane fino a i livelli minimi di questi giorni intorno ai 48$/brl. Le motivazioni di questa riduzione sono svariate e sono riconducibili sia a fattori di offerta che di domanda. Quest’ultima è più debole da tempo, per la recessione di alcuni paesi (nell’Eurozona e Giappone soprattutto) e per il passo rallentato della crescita di molti emergenti, Cina in primis. Non va inoltre trascurato un trend di lungo periodo che vede la diminuzione dell’intensità energetica per la gran parte dei paesi industrializzati ma anche per quelli emergenti (Fig. 2) per i quali è invece in aumento il consumo pro-capite. Ma è il lato dell’offerta che offre i maggiori spunti. L’aumento della produzione americana di shale oil è stato molto rapido e ha spiazzato molti fornitori con una brusca diminuzione delle importazioni degli Stati Uniti. Nonostante il permanere di varie difficoltà in produttori quali Iran, Iraq e Libia la produzione mondiale è sistematicamente in eccesso rispetto al consumo e qui si innesta un complesso gioco di strategie con molteplici risvolti. Per ritrovare uno scenario simile a quello attuale occorre risalire ai primi anni ’80, quando in un contesto di domanda poco brillante si assistette a un aumento considerevole della produzione globale di petrolio (prevalentemente del Mare del Nord). Allora l’Arabia Saudita tentò di contenere l’effetto ribassista sui prezzi “chiudendo i rubinetti”. Una mossa che tuttavia non servì ad arrestare il declino delle quotazioni e che ebbe come unico risultato quello di ridimensionare significativamente il peso del leader dell’Opec nello scenario petrolifero globale; alla fine, nel 1986, Riyad abbandonò questa strategia, inondando i mercati di greggio e creando i presupposti per un ritorno dei tassi di crescita della domanda globale su livelli sostenuti nel lungo periodo. Nonostante ciò non ebbe ragione dei produttori del Mare del Nord che continuarono a produrre per ammortizzare gli ingenti costi fissi. A anteo 23 Figura 2: Intensità energetica e consumi energetici pro-capite a) Intensità energetica (kg oil equivalenti per 1000 $ Pil reale PPP2001) b) consumo energetico pro-capite (kg oil equivalenti pro-capite) 220 2500 7000 6000 2000 5000 170 120 1500 4000 1000 3000 2000 500 70 90 92 94 96 98 00 02 04 06 08 10 Germania Spagna Francia Giappone 12 Italia Usa 1000 0 0 72 76 80 84 88 92 96 00 04 08 12 Cina India Brasile Russia (dx) Fonte: World Bank. In realtà gli aderenti al cartello hanno spesso sistematicamente sforato le quote produttive assegnate per massimizzare gli introiti e il vero paese “swing” in grado di cambiare l’intera posizione dell’offerta è sempre stata l’Arabia Saudita, che ha i costi di produzione più bassi e un’abbondante capacità produttiva: spesso essa ha aggiustato la propria offerta per sostenere i prezzi mondiali incassando quindi la perdita di quote nelle fasi di domanda debole. Ora, di fronte all’erosione delle proprie quote di mercato a opera dello shale oil, e consapevole che nel lungo periodo il mantenimento di una stance restrittiva avrebbe generato conseguenze simili a quelle osservate negli anni ‘80, negli ultimi mesi Riyad non ha esitato ad agire come nel 1986, lanciandosi in una competizione sui prezzi che ha assunto i contorni di una sfida nei confronti in particolare dei produttori nordamericani (ma anche per esempio con il calo dei prezzi sui contratti offerti ai clienti soprattutto asiatici, a spiazzare una pressante concorrenza iraniana). A questo punto l’eccesso di offerta “conclamato” ha iniziato a penalizzare i corsi petroliferi profondamente. ma non è tuttora chiaro se destinato al successo. Anche se nella scala dei costi di produzione le nuove tecnologie estrattive non si trovano certo in posizione favorevole, una quotazione del petrolio superiore ai 100 Us$/barile è ancora sufficiente a rendere economicamente convenienti le operazioni estrattive nei giacimenti marginali. Ai livelli attuali, inferiori ai 50 Us$/barile, buona parte delle trivelle statunitensi opera invece in perdita (essendo oltretutto il settore fortemente indebitato qualche produttore ha già dovuto dichiarare fallimento): le rilevazioni più recenti relative all’attività nel settore mostrano già un brusco calo degli investimenti; il che, almeno in prospettiva, sembra mettere gli Stati Uniti nella condizione di dovere restituire quote di produzione all’Arabia Saudita in un futuro non lontano. La storia però ha in molteplici occasioni mostrato come sia probabile una fase di ristrutturazione e accorpamento del settore, con guadagni di efficienza che potrebbero portare i costi di estrazione a livelli più competitivi degli attuali, rendendo la produzione profittevole anche ai livelli correnti di prezzo. L’Arabia Saudita ha una posizione molto forte: oltre ai minori costi ha una posizione intermedia per il cosiddetto break-even fiscale (il prezzo al quale dovrebbe essere venduto il petrolio per consentire al paese di mantenere il pareggio di bilancio pubblico continuando a finanziare l’economia tramite i trasferimenti ai livelli correnti), ma ha le più ingenti riserve di valuta e ha quindi la possibilità di reggere più a lungo di ogni altro paese produttore i bassi prezzi del petrolio. Il proposito dell’Arabia di eliminare dal mercato molti operatori si è reso via via più chiaro Per molti altri paesi produttori, sostanzialmente quelli al di fuori della penisola arabica, anche se i costi di estrazione consentono ancora buoni margini di profitto, diventa cogente il problema del finanziamento dell’economia. In molti di essi infatti il settore pubblico utilizza i proventi petroliferi per consumi, stipendi ai dipendenti pubblici, o più direttamente per trasferimenti tesi a sostenere la parte di economia non-oil. Agli attuali livelli di prezzo, il sostegno corrente implicherebbe pesanti deficit e per molti l’accumulo passato di riserve non sarebbe sufficiente che per breve tempo (Tab. 1). prometeia advisor sim Tabella 1: Relazione fra condizioni fiscali e prezzi del petrolio prezzi di breakeven ($/brl) per il deficit primario (2015) Kuwait Emirati Arabi Qatar Arabia Saudita Russia Algeria Angola Iraq Iran Nigeria Libia advisor sim debito/Pil per stabilizzare il debito 60 64 68 83 101 106 117 126 133 144 185 Riteniamo che questo possa essere un elemento rilevante per lo sviluppo dei prezzi nei prossimi trimestri assieme alla considerazione che agli attuali livelli di prezzo è verosimile un aumento della domanda (inizialmente anche per per stoccaggio) ma anche una spinta alla ripresa dell’economia mondiale (di cui parliamo nel seguito). I prezzi potranno permanere intorno ai livelli attuali nei prossimi mesi e subire un incremento contenuto per effetto contemporaneo della driving season americana, di una leggera accelerazione dell’attività mondiale, della contrazione della produzione marginale e di una crescente difficoltà nel mantenimento dei livelli di spesa nelle economie esportatrici che potrebbe ammorbidire la linea finora intransigente dei membri del Cartello. Non riteniamo altresì che vi siano sufficienti ragioni per una crescita molto forte dei prezzi anche nel medio periodo con una proiezione poco sopra i 70 $/brl a fine 2017. Quel prezzo può rappresentare un punto di equilibrio dopo l’uscita dall’offerta degli operatori meno efficienti penalizzati dai bassi prezzi con l’aumento moderato prospettato per la domanda di petrolio e si colloca in una posizione che potrebbe mettere l’offerta di shale oil statunitense nella posizione di assorbire la parte ciclica della domanda, togliendo da tale scomoda posizione l’Arabia Saudita. prometeia A anteo 24 Naturalmente tale previsione porta con sé un rischio molto elevato che può essere esemplificato considerando che l’intreccio fra aspetti strategici e tecnico/strutturali sta producendo nelle analisi pubblicate in questo periodo un intervallo di previsioni a medio termine che va dai 20 $/barile (il costo marginale minimo dei migliori produttori) ai 200 dollari, che secondo alcuni commentatori sarebbe invece l’esito di una violenta contrazione degli investimenti legato all’esiguità dei prezzi correnti che creerebbe fasi di 69 86 80 88 108 109 145 136 141 182 230 riserve/debito pubblico (%) (%) 11 12 35 3 10 9 39 31 11 10 5 102.2 17 3 35.8 2.9 14.1 1.9 1.3 3.3 6.6 penuria molto pronunciata di offerta in una fase di ripresa della domanda nel medio periodo. La valutazione delle ripercussioni globali L’effetto di un così consistente calo dei prezzi petroliferi su Pil e commercio mondiale, a priori non è determinato. Se da un lato i paesi importatori netti sicuramente beneficiano della riduzione della bolletta petrolifera, dall’altro gli esportatori netti ricavano un minor reddito. Al tempo del primo shock petrolifero (1973) quando i prezzi triplicarono repentinamente, per cercare di comprendere gli effetti sull’economia mondiale si impostò una linea di ragionamento in termini di redistribuzione del reddito (“il problema del trasferimento”). In breve si trasferiva potere d’acquisto dai paesi importatori netti agli esportatori netti. L’idea che in qualche modo questi ultimi potessero spendere in quantità tale da compensare la minor spesa dei paesi industrializzati venne smentita dai fatti poiché expost si potè verificare come il trasferimento fosse da paesi con un’elevata propensione al consumo a paesi che ne avevano una minore, principalmente i paesi mediorientali con un’elevata concentrazione della ricchezza derivante dai proventi petroliferi. Il Pil dei paesi importatori passò da una crescita del 6.3 per cento a una dell’1.2 (quasi azzerandosi per gli industrializzati) Simmetricamente il controshock del 1986 ha prodotto un trasferimento nell’opposta direzione. Nel frattempo la propensione al consumo dei paesi esportatori di petrolio era cresciuta ma non di molto mentre era rimasta stabile per i compratori. In realtà anche in quel caso il Pil degli importatori netti decelerò ma allora ci fu un altro importante fenomeno, un deprezzamento effettivo di circa il 10 per cento del dollaro (accordi del Plaza). In questi mesi si ripropone una situazione per alcuni A anteo 25 versi simile sul fronte petrolifero: un taglio dei prezzi del 50 per cento che, rapportato ai dati di quantità del 2013, equivale a un trasferimento di circa 900 miliardi di dollari dagli esportatori agli importatori netti di petrolio, pari a circa l’1.25 per cento del Pil mondiale a dollari correnti. Ci sono diversi aspetti che vanno considerati per cogliere l’impatto che tale redistribuzione può comportare. per i paesi importatori potrebbe infatti generare una risposta in termini di maggiori consumi, con gli effetti moltiplicativi da essi indotti sulla domanda interna e riverberarsi sulle importazioni dei paesi, con un incremento delle importazioni reali di manufatti, maggiori dei medesimi fenomeni generati con il segno opposto per i paesi esportatori. I paesi ai quali queste risorse afferiscono hanno propensione al consumo e propensione alle importazioni tuttora più elevate dei paesi che perdono tali risorse (Tab. 2). La dimensione economica dei primi inoltre è molto superiore a quella dei secondi, in termini di prodotto interno lordo, di quota di consumi mondiali e di quota di importazioni mondiali. Ne risulta che per i paesi importatori il risparmio è complessivamente pari a circa l’1.5 per cento del Pil mentre per gli esportatori la perdita rappresenta un corposo 15 per cento del Pil. Per questi ultimi inoltre la quota di importazioni coperta dalle entrate petrolifere ha raggiunto il 55-60 per cento negli ultimi anni evidenziando, se ancora fosse necessario, la dipendenza nel finanziamento della propria economia dalle esportazioni di oro nero. Queste caratteristiche e dimensioni relative dei due gruppi di paesi, importatori ed esportatori di petrolio, suggeriscono che l’impulso del calo del prezzo del petrolio possa essere positivo per il prodotto interno lordo mondiale e per il commercio. Il maggior reddito disponibile reale Un esercizio con il modello internazionale di Prometeia Per dare una valutazione più completa di queste intuizioni abbiamo utilizzato il modello internazionale di Prometeia la cui struttura consente di cogliere gli effetti legati alla propensione al consumo e ai moltiplicatori interni, alle elasticità del commercio internazionale e alle interrelazioni commerciali che redistribuiscono gli effetti nazionali attraverso la matrice degli scambi internazionali. Abbiamo effettuato uno shock pari a un calo del prezzo del Brent del 33 per cento, commisurato alla differenza fra il livello previsto nel Rapporto di Ottobre e quello presente, i cui risultati sono sintetizzati nella Fig. 3. Si tratta ovviamente di valutazioni meccaniche, a politiche monetarie invariate e tassi di cambio fermi, e che non tengono conto delle aspettative che giuocano un ruolo importante nella formazione delle decisioni di spesa (sia per consumi che per investimenti) soprattutto in presenza di variazioni così consistenti dei prezzi. Tabella 2: Alcuni indicatori nelle fasi di shock sui prezzi petroliferi shock 1973 1974 propensione al consumo (su dati reali, $ 2005) importatori imp.emerg imp.indus esportatori controshock 1985 1986 pre-crisi 2007 2008 58.8 47.1 60.0 41.5 58.5 54.3 59.1 43.9 59.0 54.0 59.7 43.8 59.2 52.4 61.1 52.2 59.0 52.3 61.0 51.4 58.5 49.6 61.9 50.4 11.1 11.1 11.1 16.1 12.1 15.1 11.8 14.8 12.4 14.7 12.1 14.6 28.1 41.3 24.4 32.9 28.3 41.7 24.4 33.3 29.4 41.3 24.9 31.0 -113.8 8.4 -230.3 19.2 -130.1 18.9 -1257.7 33.1 -1644.6 34.1 -1818.0 44.4 -1.0 -1.0 -3.0 -2.8 -2.0 -3.3 -1.1 -1.7 -2.8 -4.2 -3.4 -5.1 -3.2 -5.2 -1.0 -3.0 -1.8 -1.0 -2.4 -2.9 -2.5 10.5 30.8 16.6 9.6 18.7 23.6 21.6 59.0 46.8 60.1 41.6 ultimo 2013 propensione import (su dati reali, $ 2005) importatori imp.emerg imp.indus esportatori 10.9 10.1 11.0 14.7 importazioni mondiali di oil (mld $ correnti, p.p.) importatori quota emergenti -33.9 8.1 flusso pagamenti oil / Pil (dati reali $ 2005) importatori importatori emergenti importatori industrializzati esportatori prometeia advisor sim A anteo 26 Figura 3: Shock sui prezzi del petrolio a) Pil b) commercio e prezzi dei manufatti emergenti 0.75 Uem comm.mondiale 0.12 industrializzati 1.8 0.01 prezzo in $ dei manufatti mondiale -2.6 0.45 0.0 0.5 1.0 scostamenti % dalla base -4 -2 0 2 scostamenti % dalla base Fonte: elaborazioni Prometeia. L’effetto d’impatto sul Pil mondiale risulterebbe di incremento di 4 decimi di punto rispetto allo scenario di base con un maggior commercio mondiale di 1.8 p.p. Il maggior vantaggio in termini di Pil verrebbe ottenuto dai paesi emergenti mentre per i paesi industrializzati il più delle volte esso si traduce in un decimo di punto di differenza rispetto allo scenario di base. L’uso del modello consente di cogliere aspetti poco intuitivi legati soprattutto all’importanza del meccanismo di pass-through dei prezzi. L’importante effetto disinflazionistico del calo dei prezzi del petrolio comporterebbe una modificazione delle ragioni di scambio che dipende dalla rilevanza delle importazioni petrolifere sul totale di ciascun paese e dalla trasmissione dell’impulso del calo del petrolio ai prezzi interni. In alcuni casi questa trasmissione sarebbe debole e comporterebbe un tale miglioramento di ragione di scambio da compensare gli effetti sulla domanda interna con un netto peggioramento del contributo degli scambi con l’estero con un effetto inatteso sul Pil (Giappone per esempio o in termini opposti Russia). Va inoltre rimarcata l’importanza dell’aspetto deflazionistico che si innesterebbe su un panorama mondiale di inflazione già molto bassa, se si escludono alcuni focolai molto localizzati: l’impatto sui prezzi delle altre materie prime industriali sarebbe di un calo intorno a 3.5 p.p. (rispetto alla base) mentre sul prezzo dei manufatti mondiali intorno a 2.5 p.p. con un effetto sulle inflazioni interne che resterebbe fra 0.5 e 1.25 p.p. in meno per i paesi industrializzati e di diversi punti percentuali in meno per i paesi emergenti. prometeia advisor sim I canali di trasmissione per i paesi importatori netti di petrolio e gli impatti sui prezzi al consumo in Italia Prendendo in considerazione più nello specifico i paesi importatori netti, come è il nostro paese, la diminuzione del prezzo del petrolio determina effetti di reddito reale. Le ricadute sulla domanda sono riconducibili agli effetti delle quotazioni petrolifere sui prezzi al consumo (effetti diretti),1 che aumenta quindi il reddito reale disponibile e i consumi. Gli effetti sull’offerta rispecchiano l’importanza del petrolio quale input nel processo di produzione, per cui un calo delle quotazioni petrolifere determina una diminuzione dei costi di produzione (effetti indiretti). Le imprese possono affrontare tale situazione modificando i processi di produzione o di determinazione dei prezzi, con possibili effetti per gli utili, gli investimenti e i salari (effetti di second round): questi effetti, che sono infine solo eventuali, intervengono se il calo del livello dei prezzi è percepito come permanente ed è incorporato nelle aspettative degli operatori. Il calo delle quotazioni dei prodotti del petrolio (sia greggio che raffinato) sui mercati internazionali, comunemente espresse in dollari, ha portato a un forte calo del prezzo al consumo dei prodotti raffinati nel nostro paese, anche se questo fenomeno è stato lievemente attenuato nell’ultimo trimestre del 2014 dal deprezzamento dell’euro verso il dollaro. Il prezzo finale dei carburanti alla pompa è la parte conclusiva di una catena produttiva e 1 A riguardo si veda, La trasmissione degli aumenti dei prezzi internazionali ai prezzi interni, Rapporto di Previsione di luglio 2008. A anteo 27 Figura 4: Principali determinanti dei prezzi petroliferi in Italia a) prezzo al consumo della benzina (€/litro) b) prezzo al consumo del gasolio da autotrazione (€/litro) 2.0 2.0 1.5 1.5 1.0 1.0 0.5 0.5 0.0 dic-13 feb-14 apr-14 giu-14 ago-14 ott-14 dic-14 0.0 dic-13 feb-14 apr-14 giu-14 ago-14 ott-14 dic-14 greggio - brent dated margine di raffinazione greggio - brent dated margine di raffinazione margine lordo componente fiscale margine lordo componente fiscale c) var. % sul corrispondente delle principali voci dell’inflazione d) peso del settore energetico in Italia 2 0 0.33 1 -1 0.30 0 -2 0.27 -1 -3 -2 -4 -3 -5 -4 dic-13 feb-14 apr-14 giu-14 ago-14 ott-14 indice generale servizi -6 dic-14 alimentare energia (dx) 0.10 0.09 0.08 0.24 0.07 0.21 0.06 0.18 0.15 0.05 04 06 08 alla produzione 10 12 14 al consumo (dx) Fonte: elaborazioni Prometeia. distributiva e può essere visto come la somma di due componenti, una industriale e una fiscale. La componente industriale, o prezzo industriale dei carburanti, ha come principale elemento di costo il prezzo del petrolio greggio che, attraverso il processo di raffinazione, viene reso fruibile per i diversi usi finali. Anche i prodotti già raffinati hanno un proprio mercato internazionale, i cui prezzi sono genericamente definiti Platts. Il prezzo del prodotto raffinato è direttamente collegato alla rispettiva quotazione internazionale dei prodotti raffinati, sia quando viene acquistato sul mercato e importato sia nel caso in cui la raffineria sia di proprietà della compagnia petrolifera. Il prezzo Platts costituisce circa tre quarti del prezzo industriale. La differenza fra queste due voci definisce il margine lordo e serve a remunerare voci quali stoccaggio, distribuzione primaria e secondaria, altri costi di produzione e distribuzione, costi di trasporto, oltre ai margini di profitto delle compagnie e del gestore finale. Il prezzo alla pompa pagato dai consumatori tiene infine conto delle imposte e in Italia questa parte è costituita dall’accisa (diversa per tipologia di prodotto) nonché dall’Iva, che si applica nella misura del 22 per cento sia alla componente industriale che all’accisa.2 Nelle Figg, 4a-b sono presentate le strutture dei prezzi della benzina e del gasolio da autotrazione in Italia:3 il maggior contributo al calo del prezzo al consumo è riconducibile essenzialmente alla diminuzione del prezzo del greggio. Se il margine lordo e il margine di raffinazione non hanno avuto sostanziali variazioni della loro entità nell’ultimo anno, la componente fiscale sta registrando invece un calo, dovuto alla diminuzione dell’iva, semplicemente a causa del livello più basso del 2 Si veda: Bonucchi,M.,Tomasini S., Uno studio econometrico sulla dinamica di alcuni prezzi petroliferi in Italia, Note di Lavoro,Prometeia 3 Per un ulteriore approfondimento si veda il sito dell’Unione Petrolifera all’indirizzo: http://www.unionepetrolifera. it/it. prometeia advisor sim A anteo 28 indiretti (Fig. 5), nell’anno in corso il modello indica un calo dei prezzi alla produzione di circa il 14 per cento del settore energetico, una variazione pressoché nulla del settore alimentare e, infine, una diminuzione di circa il 2 per cento dei prezzi non alimentari e non energetici. La diminuzione prezzo, a cui contribuirà anche un lieve calo delle accise a partire da gennaio del 2015. Tramite la componente energetica dell’indice dei prezzi al consumo, l’evoluzione delle quotazioni del petrolio ha fornito un contributo rilevante al calo dell’inflazione (Fig. 4c). Tuttavia, l’andamento delle quotazioni del greggio ha probabilmente avuto ripercussioni anche sulle componenti non energetiche. Il peso del settore energetico nei prezzi alla produzione, dopo anni di stabilità, ha registrato un forte aumento nel 2011 (da 17 a 31 per cento) con il cambio di base effettuato dall’Istat: rispetto infatti alla struttura ponderale del 2005, in quella del 2010 è fortemente aumentato il peso della sezione relativa alla fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria. Ovviamente questo aumento comporta un impatto molto intenso sull’indice generale dei prezzi alla produzione in caso di shock dei prezzi dei prodotti petroliferi, come sta avvenendo appunto in questo periodo. Se si considera invece il peso del settore energetico nel calcolo dei prezzi al consumo, questo ha avuto un trend crescente dal 2004, mentre si è leggermente ridotto negli ultimi due anni (Fig. 4d). All’interno del comparto energetico, il solo settore dei carburanti e lubrificanti per mezzi di trasporto privati ha un peso molto alto, pari a circa il 50 per cento. L’impatto sull’attività economica italiana: una valutazione con il modello trimestrale di Prometeia Il nuovo scenario internazionale contiene, unitamente alla revisione al ribasso del prezzo del petrolio, quella dei prezzi all’importazione per l’Italia. Considerando i valori medi unitari, nel 2015 lo scostamento al ribasso è, rispetto allo scenario presentato in ottobre, nell’ordine del 35 per cento per quanto riguarda il settore energetico, di circa il 3 per cento per i manufatti e sostanzialmente nullo per i prodotti agricoli e alimentari. I prezzi all’esportazione dei concorrenti diminuiscono anch’essi di circa il 3 per cento. Figura 5: Variazioni percentuali medie cumulate rispetto al RdP di ottobre 2014 a) prezzi alla produzione 0 -2 -4 -6 -8 -10 -12 -14 -16 totale alimentari energia 2015 non alim. e non energia 2016 b) prezzi al consumo 0 -2 -4 -6 -8 -10 -12 -14 totale alimentari energia manufatti 2015 servizi 2016 c) principali variabili macroeconomiche 1.5 1.0 0.5 Al fine di stimare l’impatto dello scenario internazionale, presente in questo rapporto di previsione, sulla situazione macroeconomica dell’Italia, è stato compiuto un esercizio di valutazione con il modello trimestrale di Prometeia. Anche in questo caso tutti gli scostamenti sono da intendersi rispetto alle previsioni formulate nel Rapporto di Previsione dello scorso ottobre. prometeia advisor sim Se si prendono in considerazione gli effetti 0.0 -0.5 -1.0 prodotto interno spesa delle reddito retribuzioni famiglie e Isp disponibile a pro-capite prezzi industria s.s costanti 2015 Fonte: elaborazioni Prometeia. 2016 A anteo dell’indice totale dei prezzi alla produzione, nell’ordine del 5 per cento, comporterebbe, congiuntamente agli effetti diretti, un calo dell’inflazione rispettivamente dell’1.6 per cento nel 2015 e dell’1.9 per cento nel 2016. Considerando le singole voci dei prezzi al consumo, il settore energetico registrerebbe una diminuzione di circa il 12 per cento sia nel 2015 che nel 2016, mentre il calo per i manufatti e per i servizi sarebbe nell’ordine dell’1 per cento. Il calo dei prezzi al consumo comporterebbe anche effetti di second round. Nella nostra simulazione le aspettative di inflazione non vengono modificate: vi sarebbe invece un effetto sulle retribuzioni e, quelle relative all’industria in senso stretto, per esempio, cadrebbero di circa mezzo punto 29 percentuale. Nonostante questa dinamica, l’aumento del reddito disponibile delle famiglie si attesterebbe a circa l’1.3 per cento sia nel 2015 che nel 2016. I consumi crescerebbero dello 0.5 per cento il primo anno e dello 0.8 per cento il secondo anno e fornirebbero un importante contributo alla crescita del Pil, che si attesterebbe allo 0.4 per cento nel 2015 e allo 0.8 per cento nel 2016. Nella preparazione delle previsioni contenute in questo Rapporto si è tenuto conto delle valutazioni ottenute con gli esercizi di simulazione sopra descritti e quindi anche degli effetti diretti, indiretti e di second round derivanti dalla variazione del prezzo del petrolio rispetto alla previsione di tre mesi orsono. prometeia advisor sim A anteo 30 approfondimenti Commercio internazionale, il peso della Cina Michele Burattoni — Prometeia Associazione Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (luglio 2015) S i va indebolendo il commercio internazionale. Il maggiore contributo a questa debolezza viene dai paesi emergenti e dalla Cina in particolare. Indaghiamo le importazioni della Cina negli aspetti geografici e merceologici cercando di ricavare qualche informazione sulle loro ricadute sui partner commerciali. Esiste un chiaro cedimento dei prodotti di investimento mentre tengono quelli di consumo e nonostante il loro rallentamento qualche paese riesce ancora ad avere ricadute positive. Nei primi mesi del 2015 si è andato sempre più indebolendo il traffico internazionale di merci: in termini reali tendenziali il commercio internazionale dopo un secondo semestre del 2014 in cui era cresciuto ad un tasso medio del 3.4 per cento, nei primi quattro mesi del 2014 si è espanso mediamente dell’1.4 per cento. In termini di tassi di crescita congiunturali nel 2015 si sono registrati 3 segni negativi su quattro che hanno portato a un calo del 3.2 per cento delle importazioni fra dicembre e aprile. A questi dati sono certo sottesi mesi non positivi per la crescita delle maggiori economie mondiali che, a partire dagli Stati Uniti per proseguire con la Cina, hanno fatto registrare tassi di incremento piuttosto deludenti, a convalidare in certo modo l’andamento modesto degli scambi internazionali. Ma in realtà, da uno sguardo generale alle informazioni disponibili nella contabilità nazionale di molti paesi si evince che, anche a parità di crescita del prodotto interno lordo, per molte aree l’interscambio commerciale si sia decisamente asciugato o in altri termini, l’elasticità è diminuita, portandosi a livello mondiale vicino al valore di 1. In questo approfondimento cerchiamo qualche indicazione soprattutto dal mercato cinese, che possa aiutare nella comprensione dell’origine di questa debolezza. prometeia advisor sim Nel periodo considerato, il contributo alle importazioni mondiali in termini reali è stato fortemente negativo soprattutto da parte delle economie emergenti. Nel complesso esse hanno sottratto 3.6 p.p. di crescita mentre quelle industrializzate ne hanno aggiunti 0.4 p.p. ma, entrando ancora più nel dettaglio, la gran parte di questo calo è da attribuirsi a tre aree. I paesi di Medio-Oriente e Nordafrica continuamente attraversati da tensioni geopolitiche e colpiti da minori entrate petrolifere hanno sottratto 0.6 p.p.. La Russia e l’intera area CSI, hanno sottratto quasi altri 5 decimi, a causa della combinazione di molti fattori: le minori entrate petrolifere, il crollo della domanda interna, e il forte deprezzamento della valuta, in una fase in cui proseguono sanzioni e ritorsioni seguite alle tensioni russoucraine. Ma soprattutto l’Asia, ha sottratto 2.6 p.p. di cui 1.6 derivanti direttamente dalle minori importazioni cinesi che, verosimilmente, hanno anche attivato un minor interscambio per i paesi limitrofi più coinvolti nelle filiere produttive. Questa debolezza è ancor più rilevante ricordando che il riaggiustamento dei rapporti di cambio mondiali degli ultimi due anni ha prodotto un forte apprezzamento della valuta cinese, effettivo nominale di oltre 9 p.p. e reale intorno ai 12.5 p.p., e questo avrebbe dovuto incentivare la crescita delle importazioni cinesi, a maggior ragione tenendo poi in considerazione la caduta dei corsi della maggior parte delle materie prime, di cui la Cina è sempre vorace (Tab. 1). L’analisi delle statistiche più recenti relative alle importazioni cinesi di fonte doganale a valori in dollari correnti evidenzia diversi interessanti aspetti. Abbiamo analizzato l’insieme dei flussi di importazioni dove il singolo elemento è l’importazione da un certo partner in una singola categoria di prodotti secondo una classificazione a 177 settori merceologici anche se purtroppo la natura dei dati impedisce di avere indicazioni Tabella 1: Importazioni reali: peso e contributo alla crescita di aree selezionate (punti %) Usa Eu 27 Asia emergente di cui Cina America Latina CSI M.Oriente + N.Africa Altri Mondo Fonte: CPB. peso contributo 13.2 30.9 26.3 10.0 5.7 2.5 7.4 13.9 100.0 -0.1 0.1 -2.6 -1.5 0.1 -0.4 -0.6 0.3 -3.2 A anteo 31 precise sulle quantità, che sono presenti in unità fisiche e che, a livello aggregato hanno poca significatività. Mediamente (dato tendenziale gennaio-aprile 2015 rispetto al corrispondente periodo del 2014) le importazioni cinesi sono cadute di un 20 per cento abbondante. Restringendo il campo alle importazioni di prodotti non facenti parte delle categorie energetici-materie prime industriali (ovvero circa ¾ delle importazioni totali), il calo è stato del 15.5 per cento mentre per i prodotti energetici ecc. è stato superiore al 40 per cento. Se da un lato è immaginabile un ruolo giocato dal calo di domanda, dall’altro è necessario tenere in considerazione la differenza nello sviluppo dei prezzi dei diversi prodotti, con quelli dei prodotti energetici e delle materie prime crollati in maniera sostanziosa. Non esistono purtroppo informazioni che consentano di distinguere i prezzi di manifattura da una parte e altri prodotti dall’altra, per la Cina. Viene pubblicato dalle fonti nazionali cinesi un indice di prezzo alle importazioni aggregato dal quale si ricava una valutazione di circa il 7 per cento come calo medio nei primi tre mesi dell’anno, abbastanza per confortare una stima di un ordine di grandezza intorno al 10 per cento reale delle importazioni complessive (Tab. 2). Tabella 2: Importazioni cinesi: sommario di vari aggregati var. % totale totale solo energia e materie prime totale non energia e materie prime non energia e materie prime: top 200 non energia e materie prime: non top 200 energia e materie prime: top 50 energia e materie prime: non top 50 -20.9 -38.8 -15.5 -11.8 -22.6 -40.4 -21.7 Fonte: China Custom Administration. Addentrandosi ancor più nel dettaglio emergono alcuni aspetti interessanti di questo rallentamento. Dalla scomposizione geografica è molto significativo il dato relativo alle riesportazioni. In pratica, per motivi che vanno dai vantaggi fiscali all’approvvigionamento di valuta estera, soprattutto per quello che attiene prodotti che vengono poi usati come input per ulteriori produzioni, un prodotto può arrivare da un produttore cinese a un utilizzatore cinese attraverso esportazioni in Hong Kong e Taiwan e una successiva reimportazione in Cina (tali flussi possono essere classificati nei dati doganali come importazioni di un paese da se stesso o in una apposita categoria merceologica unica ma con perdita di informazione). Ebbene i flussi di questo genere sono stati fra quelli più resistenti cadendo solo del 3.5 per cento, e lo stesso è valso per le importazioni dirette da Taiwan, mentre dagli altri paesi le contrazioni sono state più evidenti (depurando dalle importazioni Cina-Cina il calo medio passa da 11.8 a 12.9). Se teniamo in considerazioni solo i prodotti manifatturieri e le produzioni di base, togliendo quelli energetici, agricoli ed estrattivi, i maggiori partner commerciali hanno tutti visto contrarsi le importazioni cinesi di cifre fra il 7 e il 15 per cento, i tre principali, Corea, Usa, Germania del 7, 8, 9 per cento rispettivamente. Ancora, nel complesso le importazioni dai paesi asiatici si sono contratte intorno al 7 per cento, contro il -23 dell’Europa e il -18 dall’America latina; in controtendenza il dato per i paesi del CSI dai quali le importazioni sono cresciute di oltre il 7 per cento. I risultati precedenti sono in gran parte in contrasto con quanto avrebbe suggerito l’andamento dei cambi relativi (essendosi lo yuan apprezzato verso l’euro e rimasto stabile/deprezzato verso i maggiori partner asiatici). È ovvia l’osservazione che proprio l’andamento dei cambi combinato con le politiche degli esportatori possa essere responsabile di questo pattern: per esempio un esportatore europeo che avesse mantenuto il prezzo in euro del proprio prodotto avrebbe registrato un 15 per cento in meno di ricavi in dollari nel periodo considerato. Non siamo purtroppo in grado di valutare puntualmente quanto sopra ma le differenze fra le performance dei vari partner accomunati dall’euro lasciano intuire che non sia solo questa la spiegazione (dal -8.9 di Germania e Spagna al -10.7 dell’Italia, al -14.2 della Francia al -19 di Belgio e Olanda). La dimensione merceologica rivela alcuni aspetti molto interessanti: cali fra il 20 e il 40 per cento per tutte le importazioni legate a materie prime ed energia, dove ha probabilmente più pesato l’effetto prezzo, un deciso calo delle importazioni di macchine utensili, intorno al 15 per cento, escluse quelle per la lavorazione dei metalli e quelle per uso generale, una simile diminuzione delle importazioni di automobili, un calo del 20 per cento per la chimica di base, e per contro, cali contenuti per prodotti in plastica, gomma e medicinali, prodotti elettronici, di consumo e per la telefonia, elettrodomestici, tessuti, carta e legno. Grossomodo quindi da un lato calo delle importazioni di mezzi di produzione e “big ticket” di consumo come l’auto, con una tenuta dall’altro di prodotti più legati direttamente al consumo finale (tabella settori), che ben si concilia con il rallentamento dell’attività produttiva e degli prometeia advisor sim Tabella 3: Importazioni cinesi: dettaglio settoriale var. % peso tessili ferramenta/prodotti in metallo elettronica-tlc elettrodomestici legno carta chimica-cons 0.2 -1.3 -1.4 -1.6 -2.1 -2.8 1.8 0.9 27.9 0.6 1.8 2.8 plastica/gomma/vetro/ceram/cem -3.9 2.0 -4.1 -6.6 -9.8 -14.5 -15.1 -17.2 -19.8 -20.3 -23.9 -33.6 -38.8 -42.3 3.5 0.1 1.4 2.7 6.5 5.0 8.1 2.9 4.0 1.9 24.5 1.5 motori e apparecchi mobili siderurgia macchinari-utensili auto-veicoli agricoltura chimica base alimentari metalli non ferrosi petroliferi oil-estraz altri Fonte: China Custom Administration. investimenti e con il maggior contributo che i consumi dovrebbero avere nella crescita cinese (Tab. 3). Abbiamo cercato di indagare in un ulteriore dettaglio, nella combinazione sia della dimensione merceologica che di quella geografica. Per cercare di semplificare l’analisi abbiamo considerato per i prodotti non energetici/materie prime i primi 200 flussi di importazioni che coprono circa il 50 per cento delle importazioni totali (il restante è distribuito su quasi 10mila altri flussi): per questo primo sottogruppo (top200) la contrazione è stata dell’11.8 per cento (sempre in valore) contro il 22 per cento nei restanti scambi, forse a sottolineare la maggiore facilità a rinunciare a flussi meno rilevanti e più distribuiti, anche geograficamente, rispetto a consolidate forniture di grandi dimensioni, anche per la maggiore facilità che si potrebbe avere nel sostituirli con produzione locale (Tabb. 4-5). prometeia advisor sim A anteo 32 Più di metà di questi grandi flussi provengono da paesi asiatici (108) e 27 di questi (il 25 per cento) hanno avuto tassi di crescita positivi, mentre per i paesi non asiatici questo è stato vero per il 15 per cento degli scambi. La Germania, fortemente presente in questi flussi top200, in dollari ha avuto un andamento generalmente peggiore degli altri concorrenti tranne che nelle macchine utensili per i metalli e, in parte, nelle automobili rispetto soprattutto al principale concorrente ovvero il Giappone. I maggiori flussi di importazioni relativi all’elettronica/computer/tlc sono stati in molti casi in crescita dai vari partner esclusa la Germania e così le “macchine di impiego generale” che costituiscono la voce più corposa dei macchinari. Il quadro cambia molto se consideriamo questi dati nelle valute nazionali. Applicando i tassi medi tendenziali di apprezzamento/deprezzamento rispetto al dollaro coerenti al periodo considerato, Germania e Giappone hanno fatto registrare una crescita (la Germania sfiora l’en plein) nella maggior parte dei flussi di importazioni cinesi, al contrario di Usa, Corea e Taiwan, gli altri maggiori partner. Un confronto fra paesi europei per il solo gruppo delle macchine mostra come però la Germania sia risultata di gran lunga “migliore” in quasi tutti i sottogruppi rispetto agli altri paesi europei (oltre a essere di dimensione almeno tripla rispetto al più vicino concorrente ovvero l’Italia) poiché poche sono le voci in crescita per tutti gli altri paesi, anche in euro. Quest’ultima informazione aiuta in parte a comprendere quanto sta caratterizzando gli ultimi mesi. L’economia cinese è in rallentamento tale da produrre un assorbimento minore del corrispondente periodo del 2014, dell’ordine del 10 per cento in termini reali. Esistono però consistenti asimmetrie: sicuramente i paesi esportatori di materie prime ed energia subiscono le peggiori perdite in termini di trasferimento di potere d’acquisto dalla Cina, subendo sì il rallentamento ma soprattutto i prezzi in calo. I loro ricavi in dollari calano del 30-40 per cento e questo non può che riflettersi in modo importante a sua volta sulla loro capacità di importare. I paesi esportatori di prodotti di consumo sono relativamente meno colpiti poiché questo appare il macrosettore più resiliente e riguarda circa un terzo delle importazioni cinesi. I cali sono di entità inferiore e molti sono i flussi aumentati, senza particolare riguardo per gli aspetti geografici. Per i prodotti atti a loro volta alla produzione, macchinari e parti di macchinari e impianti, il calo di importazioni è considerevole, diffuso, ma se da un lato immette nei venditori minor potere d’acquisto in dollari, sulla base dei mutamenti dei rapporti di cambio consente ad alcuni di essi, i più “bravi”, di registrare aumenti notevoli delle vendite in valuta nazionale. Giappone e Germania, spiccano fra questi, e anche in un confronto più stretto con i partner europei, la capacità di penetrazione dei prodotti tedeschi si conferma di gran lunga superiore anche in questa fase. A anteo 33 Tabella 4: Importazioni cinesi in dollari correnti: dettaglio geografico/settoriale (var. %) filati e tessuti prima lavorazione del legno carta ausiliari fini e specialistici specialità medicinali prodotti in gomma prodotti in plastica: imballaggi prodotti in plastica: altri prodotti vetro piano e tecnico microelettronica computer e unità periferiche macchine per tlc elettronica di consumo strumenti di misurazione e orologi elettromedicali strumenti ottici e attrezzature fotografiche app. per la generazione, trasform., distrib. dell'elettricità accumulatori e batterie fili, cavi, interruttori segnalazione, insegne e altre apparecchiature elettriche motori non elettrici e turbine rubinetti e valvole organi di trasmissione pompe e compressori apparecchi di sollevamento e movimentazione altre macchine di impiego generale macchine utensili per la formatura dei metalli altre macchine utensili macch. per industria tessile, abbigliamento, pelle e cuoio macch. per l'industria delle mat. plastiche e della gomma altre macchine per impieghi speciali automobili componenti autoveicoli Totale complessivo numero di flussi Cina Taiwan Germania Corea del Sud Usa Giappone -17.9 -18.4 -10.8 -7.6 -8.5 1.7 -9.7 44.1 -4.9 -10.7 8.3 -2.5 0.5 -6.5 -7.5 -34.0 -10.1 -3.5 11.0 0.1 -7.7 -1.4 -9.4 -10.4 -9.1 -9.6 -0.5 -3.0 -14.0 2.0 33.6 -5.7 16.9 2.5 -4.2 2.0 -8.3 -2.6 -24.1 -29.1 24.2 2.7 -0.2 27.0 0.6 -3.8 12.0 -12.0 -34.0 -9.1 -16.9 -8.0 -9.1 21.0 -4.8 22.7 -15.0 4.4 -2.0 12.7 -4.8 -21.2 -14.4 -2.9 -2.0 2.3 -32.8 -19.9 -9.2 -21.5 -11.3 -11.6 -9.4 -14.9 -2.6 -7.7 17.9 -11.0 -7.1 8.1 -58.7 -28.8 -9.6 -2.9 -8.8 21.0 -8.4 -1.6 -11.1 21.0 4.6 -7.9 -30.8 -61.2 -2.4 -35.5 -25.8 -11.2 28.0 Fonte: China Custom Administration. Sono indicati solo i lflussi appartenenti al gruppo dei maggiori 200 per valore. Sono evidenziati i tassi di crescita positivi. prometeia advisor sim A anteo 34 Tabella 5: Importazioni cinesi in valuta del paese esportatore: dettaglio geografico/settoriale (var. %) Taiwan Germania filati e tessuti prima lavorazione del legno carta ausiliari fini e specialistici specialità medicinali prodotti in gomma prodotti in plastica: imballaggi prodotti in plastica: altri prodotti vetro piano e tecnico microelettronica computer e unità periferiche macchine per tlc elettronica di consumo strumenti di misurazione e orologi elettromedicali strumenti ottici e attrezzature fotografiche app. per la generazione, trasformazione, distribuzione dell'elettricità accumulatori e batterie fili, cavi, interruttori segnalazione, insegne e altre apparecchiature elettriche motori non elettrici e turbine rubinetti e valvole organi di trasmissione pompe e compressori apparecchi di sollevamento e movimentazione altre macchine di impiego generale macchine utensili per la formatura dei metalli altre macchine utensili macchine per l'industria tessile, dell'abbigliamento, della pelle e del cuoio macchine per l'industria delle materie plastiche e della gomma altre macchine per impieghi speciali automobili componenti autoveicoli Totale complessivo -22.6 -12.7 4.1 -6.7 advisor sim 12.2 10.5 9.5 -11.7 -38.2 2.5 Usa Giappone -3.0 -14.0 2.0 33.6 3.1 -5.6 14.2 19.9 5.5 -1.2 5.0 -5.3 0.4 -21.1 -29.1 24.2 2.7 -0.2 22.8 -3.6 8.3 10.5 5.0 17.3 12.2 37.8 -8.0 7.9 -14.1 10.8 3.0 11.9 10.8 5.1 11.3 38.8 1.1 20.5 14.1 28.8 11.3 -21.2 1.7 13.2 -2.0 18.4 -16.7 -3.8 6.9 -5.4 8.6 Fonte: China Custom Administration. Sono indicati solo i lflussi appartenenti al gruppo dei maggiori 200 per valore. Sono evidenziati i tassi di crescita positivi. prometeia 9.1 12.3 Corea del Sud -4.1 8.1 -55.7 -28.8 -6.6 0.1 -5.8 -8.4 -1.6 -11.1 20.7 8.2 -14.7 -45.1 13.7 -19.4 -9.7 4.9 A anteo 35 approfondimenti La crescita dopo la ripresa: le prospettive per il Pil potenziale dell’Italia Monica Ferrari, Wildmer Daniel Gregori, Stefania Tomasini — Prometeia Associazione Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (aprile 2015) P roponiamo una stima del Pil potenziale sulla base delle sue determinanti. Pur incorporando previsioni caute sull’evoluzione di capitale e lavoro, la crescita del potenziale nei prossimi anni potrebbe riprendere e tornare positiva già nel 2016, riavviandosi verso i ritmi pre-crisi. Si moltiplicano i segnali che col 2015 si possa finalmente chiudere la più lunga e profonda recessione nella storia repubblicana e si possa avviare una fase di ripresa. Ma quale crescita ci aspetta dopo la ripresa? In questi anni le previsioni sono state ripetutamente riviste al ribasso e oggi la domanda che si pone è la stessa di quella che si poneva all’inizio della crisi, ossia se essa abbia condizionato, e in che misura, solo il livello del Pil potenziale o anche il suo tasso di crescita, e quali le prospettive che si possa invertire la rotta. rappresentano la distribuzione del reddito tra i fattori di produzione1. Come noto, nessuna delle variabili che determinano il prodotto potenziale è direttamente osservabile, di conseguenza in questo contesto le modalità con cui vengono stimate le singole componenti della funzione di produzione hanno un ruolo centrale. Mentre rimandiamo ai precedenti Rapporti2 per maggiori dettagli sulle metodologie di stima e i problemi connessi, prenderemo qui in esame le prospettive per ognuna delle determinanti del potenziale, con particolare riferimento ai canali attraverso i quali la crisi finanziaria può averne permanentemente abbassato il livello potenziale: attraverso gli investimenti in capitale, attraverso l’occupazione potenziale, attraverso la produttività totale dei fattori (TFP). L’abbassamento del livello del potenziale ne produce anche una riduzione temporanea del suo ritmo di crescita, tuttavia ciò non implica necessariamente che esso si riduca in modo permanente, come cercheremo di mostrare. Figura 1: Stock di capitale in macchinari, impianti e mezzi di trasporto (miliardi di euro a prezzi concatenati, anno di riferimento 2010) Lo schema concettuale attraverso il quale procederemo a questo esame è quello consueto della funzione di produzione, che definisce il livello massimo (potenziale) di prodotto ottenibile per una determinata dotazione di input produttivi, lavoro e capitale. Ci muoveremo nell’ambito della definizione di prodotto potenziale che adotta la Commissione Europea (CE) poiché, nonostante le numerose critiche che possono esserle mosse, definisce la misura utilizzata dalla Commissione per determinare l’aggiustamento strutturale che gli stati dell’Unione europea devono compiere al fine di raggiungere l’obiettivo di medio termine (OMT) e come tale non può non rappresentare il benchmark da cui partire. 0.55 750 700 0.50 650 600 0.45 550 500 0.40 450 0.35 400 95 97 99 01 03 stock di capitale su pil 05 07 09 11 13 stock di capitale (dx) Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat. La formula è ben nota: YP = TFPT * (LP )α * K1-α dove YP è il Pil potenziale, la TFP rappresenta la componente di trend della produttività totale dei fattori, LP è il lavoro potenziale, K è lo stock di capitale presente nell’economia, α e (1-α ) 1 La Commissione Europea considera la quota del lavoro uguale a 0.65. 2 Il Pil potenziale, una base incerta per la costruzione dei parametri europei”, Aggiornamento al Rapporto di Previsione, Dicembre 2014, Prometeia ;”Le linee della Commissione nell’applicazione del Patto di Stabilità”, Rapporto di Previsione, Gennaio 2015, Prometeia. prometeia advisor sim A anteo 36 Gli investimenti e lo stock di capitale Dall’inizio della crisi economica e finanziaria gli investimenti strumentali hanno registrato una profonda contrazione a cui ha fatto seguito un modesto recupero nella prima metà del 2011, ben presto interrotto dalla crisi dei debiti sovrani. Agli effetti derivanti dalla minore domanda presente e attesa si sono aggiunti quelli del credito più costoso e razionato e della maggiore incertezza, che si sono riflessi in una drastica riduzione dei piani di investimento delle imprese. Nel corso del 2014 i primi accenni di ripresa della spesa per consumi e l’aumento delle esportazioni non sono stati sufficienti a invertirne il trend negativo, se non alla fine dell’anno, quando gli investimenti sono tornati a espandersi, favoriti anche dal sostegno delle misure fiscali3 Mentre tutti questi fattori negativi tenderanno a svanire con la ripresa, tanto più lunga la crisi tanto più lungo sarà il tempo necessario affinché lo stock di capitale ritorni al suo sentiero di crescita pre-crisi, essendo una grandezza che si muove lentamente, come emerge chiaramente dalla consueta formula dell’accumulazione del capitale: nel 2012 (ultimo anno di cui si dispone del dettaglio settoriale) hanno contributo in egual misura il settore manifatturiero e quello dei servizi. In particolare, tutti i comparti dei servizi hanno registrato una contrazione della dotazione Figura 2: Investimenti netti per tipologia di prodotto e per settore (migliaia di euro a prezzi concatenati, anno di riferimento 2010) a) macchinari e impianti 20000 10000 0 -10000 -20000 95 97 Nel biennio 2010-2011 gli investimenti netti in macchinari e impianti effettuati da tutta l’economia (Fig. 2a) sono stati seppure di poco positivi, pertanto lo stock di capitale netto non ha subito flessioni. La correzione dello stock è avvenuta successivamente, nel biennio 20122013, quando gli investimenti netti sono divenuti negativi. Alla flessione del capitale intervenuta prometeia advisor sim Tra queste ricordiamo: il credito di imposta (DL 91/14) e la Nuova Sabatini (DL 69/13). 3 03 05 07 09 11 13 manifattura costruzioni servizi totale b) mezzi di trasporto 10000 5000 0 -5000 -10000 -15000 -20000 95 97 99 agricoltura La caduta degli investimenti si è progressivamente riflessa sullo stock di capitale netto, che dal 2008 ha iniziato a ridursi, portandosi alla fine del 2013 (ultimo dato disponibile) ai livelli del 2006 (Fig. 1). Vediamo nel dettaglio l’evoluzione storica degli investimenti netti a livello di beni e di macro settori. 01 estrattive Kt = Kt-1 (1-δ) + It secondo la quale il capitale netto al tempo t, Kt , è dato dal capitale del periodo precedente, Kt-1, meno la sua obsolescenza fisica, δKt-1, più il flusso di investimenti lordi, I, effettuati in t. E’ chiaro che se I è in valore assoluto inferiore a δKt-1, lo stock di capitale si riduce, in quanto gli investimenti netti, (I- δKt-1,), diventano negativi. Questo significa che gli investimenti effettuati non sono in grado di colmare la riduzione del capitale dovuta alla sua obsolescenza fisica. 99 agricoltura 01 costruzioni 03 05 estrattive 07 09 11 13 manifattura servizi totale c) prodotti della proprietà intellettuale 10000 5000 0 -5000 -10000 -15000 -20000 95 97 99 01 03 05 07 09 11 13 agricoltura estrattive manifattura costruzioni servizi totale Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat. A anteo 37 Figura 3: Stock di capitale produttivo su Pil Figura 4: Stock di capitale in macchinari, impianti e mezzi di trasporto su Pil 2.8 0.53 2.7 0.51 2.6 0.49 2.5 2.4 0.47 2.3 0.45 2.2 2.1 0.43 2.0 02 04 06 08 10 Italia Spagna 12 14 0.41 00 Germania Francia 02 04 06 08 Germania 10 12 Italia Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Ocse. di capitale tranne quello dell’ “informazione e comunicazione”. Per quanto riguarda i mezzi di trasporto, la correzione verso il basso dello stock di capitale è stata più veloce; come si evince dalla Fig. 2b gli investimenti netti sono entrati in territorio negativo per circa -4 miliardi nel 2009 e hanno oscillato intorno a quel valore fino al 2013. Si differenzia il comportamento degli investimenti netti in prodotti della proprietà intellettuale (circa il 30 per cento degli investimenti), che si sono ridimensionati durante la crisi, rimanendo però positivi fino al 2013 (Fig. 1.2c). In sintesi, nel biennio 2012-2013 la riduzione dello stock di capitale (escluse le costruzioni) ha riguardato quello detenuto in macchinari e impianti in modo particolare e quello in mezzi di trasporto. Anche lo stock di capitale degli altri paesi dell’Uem, seppure con intensità e tempistiche diverse, ha risentito degli effetti della crisi (Fig. 3). Al di là dell’evoluzione recente, continua a “sorprendere” che lo stock di capitale produttivo4 in termini di Pil dell’Italia sia superiore a quello della Germania fin dai primi anni duemila, e soprattutto che il divario si accentui fino a raggiungere quasi mezzo punto di Pil nel 2014. Nello stesso arco temporale vi è stata una rincorsa della Spagna, il cui valore arriva a superare anche se di poco quello dell’Italia nel 2014. Questi risultati “anomali” si ridimensionano quando scendiamo nel dettaglio della tipologia di investimento (disponibile per un confronto omogeneo solo per l’Italia e la Germania) dal quale emerge che la maggiore intensità di capitale dell’Italia in relazione alla Germania è riconducibile soprattutto agli investimenti in costruzioni non residenziali. Infatti, nel caso dei macchinari, impianti e mezzi di trasporto (Fig. 4) questo gap negli anni recenti si annulla. Vi è invece un divario a favore della Germania nella dotazione di capitale in prodotti della proprietà intellettuale, che ammonta a circa lo 0.05 del Pil ed è stabile dall’inizio del nuovo secolo (Fig. 5). Considerando la Germania un benchmark, non sembra dunque che il problema dell’economia italiana dipenda da una minore dotazione di capitale in beni strumentali ma piuttosto in prodotti della proprietà intellettuale che, benché caduti meno del totale durante la crisi, non hanno ridotto l’ampio gap che ci separa dalla Germania. Tuttavia, la quota di questa tipologia di investimenti rispetto al totale è cresciuta in Italia dal 2011 a oggi di cinque punti percentuali, da 27 Figura 5: Stock di capitale in prodotti della proprietà intellettuale su Pil 0.18 0.16 0.14 0.12 0.10 0.08 00 02 04 06 08 Germania 4 Per la definizione e la costruzione del capitale produttivo si veda “Measuring productivity”, Oecd Manual, 2001. Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Ocse. 10 Italia 12 prometeia advisor sim A anteo 38 a 32 per cento, suggerendo che la crisi ha indotto uno spostamento verso un capitale più produttivo/ avanzato. E’ un segnale del fatto che le imprese più forti avrebbero reagito alla crisi investendo laddove avrebbe consentito un guadagnato in efficienza, al fine di migliorare la loro posizione competitiva nazionale e internazionale. L’input di lavoro L’input di lavoro potenziale è influenzato da scelte e dinamiche che afferiscono alla demografia e al contesto socio-culturale ed economico che condiziona il mercato del lavoro. Un intreccio complesso che può essere sintetizzato nella seguente formula, seguendo la metodologia adottata dalla Commissione: LP = (POPW * PARTS * (1 – NAWRU))* HOURST Figura 6: Popolazione in età lavorativa (milioni) 65 50 60 45 55 40 50 35 45 40 30 52 62 72 82 92 02 12 22 totale di cui: italiani totale attiva (dx) di cui: italiani (dx) Fonte: Istat. Figura 7: Struttura della popolazione attiva (quote %) 40 35 30 25 20 15 52 prometeia advisor sim 62 15-29 72 82 30-39 92 02 40-49 Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat. 12 22 50-64 dove il termine tra parentesi, che definisce il numero potenziale di occupati, viene moltiplicato per HOURST, la componente potenziale delle ore lavorate per occupato. Il numero di occupati potenziali è scomposto nelle sue componenti date dalla popolazione in età lavorativa nella fascia di età 15-74 anni (POPW), dal tasso di partecipazione potenziale (PARTS) e dal tasso di disoccupazione compatibile con una crescita dei salari stabile (NAWRU 5). Procediamo dunque prendendo in esame separatamente ognuno di questi fattori. E’ ben noto che l’Italia è, assieme al Giappone, tra i paesi industrializzati quello con l’invecchiamento della popolazione in fase più avanzata, un fattore che certamente ne ha condizionato negativamente la crescita potenziale già a partire dagli anni 2000. La popolazione italiana è passata da tassi di crescita medi dello 0.7 per cento negli anni 60-70 allo 0.1 negli anni 80-90, quella in età lavorativa (14-65 anni) dallo 0.6 per cento medio fino agli anni 80 al -0.1 per cento degli anni a cavallo del 2000. L’immigrazione ha tamponato nel corso degli anni 2000 questo trend: 5 milioni di immigrati arrivati nel nostro paese tra la fine degli anni 90 e oggi hanno sostenuto la crescita della popolazione. Complessivamente la popolazione italiana è cresciuta negli ultimi 15 anni di 3.6 milioni, quella in età lavorativa di circa 1 milione (Fig. 6). Nonostante la crisi abbia ridotto i flussi migratori, riteniamo che nell’orizzonte di previsione essi rimarranno consistenti, benché inferiori a quelli impliciti nelle ultime previsioni demografiche ufficiali Istat, riducendosi progressivamente dai 250 mila dell’anno in corso ai 200 mila nel 2022. La popolazione totale continuerà così a salire ma non in misura sufficiente da impedire il declino della popolazione in età lavorativa, che nel 2022 risulterà inferiore a quella del 2014 per circa 50 mila persone. Così come non ne impedirà l’invecchiamento (Fig. 7): si ridurrà drasticamente il peso dei giovani e aumenterà quello degli over50. Che effetti avrà questa evoluzione demografica sull’offerta potenziale di lavoro e la produttività? Con riferimento all’offerta, se è vero che coorti più anziane hanno una propensione minore a entrare nel mercato del lavoro se non vi sono già, è anche vero che le riforme del sistema pensionistico nei prossimi anni innalzeranno progressivamente l’età pensionabile, per cui l’offerta “potenziale” tenderà a crescere, come mostra la Fig. 8, per il minore flusso di uscita rispetto ai flussi di ingresso di giovani, ridotti perché le coorti sono meno 5 Non-accelerating-wage rate of unemployment. A anteo numerose ma anche perché si sta innalzando il tasso di scolarità, e si sta quindi restringendo il tasso di partecipazione dei 15-24enni. Alle spinte di ordine demografico, con dinamiche molto persistenti che evolvono lentamente nel tempo, benché non completamente immuni dalle condizioni economiche (ad esempio, nell’afflusso di immigrati), sull’offerta di lavoro si sovrappongono le spinte esercitate dal ciclo economico, certamente molto più potenti anche se di segno non definibile a priori. Le recessioni, infatti, possono ridurre il livello del potenziale attraverso una riduzione dei tassi di partecipazione se prevale l’effetto scoraggiamento, mentre possono aumentarlo se a prevalere è il cosiddetto effetto “lavoratore addizionale”. Infatti, tassi di disoccupazione elevati possono scoraggiare i lavoratori dal cercare un impiego, mantenendoli o spingendoli fuori dalle forze di lavoro. Un effetto che sarebbe solo temporaneo, a meno che questi lavoratori dovessero rimanere permanentemente fuori dal mercato, come potrebbe accadere per alcune tipologie specifiche, quali i lavoratori in età avanzata, le donne, mentre è meno verosimile che avvenga per i giovani. D’altro canto, tassi di disoccupazione elevati possono spingere sul mercato fasce di popolazione precedentemente inattive, tipicamente donne, spinte dalla necessità di compensare la perdita di reddito del percettore principale nel nucleo famigliare. A questi effetti di stampo tipicamente economico, possono sommarsi le influenze del contesto normativo, come è stato in Italia. Nel caso del nostro paese, infatti, nei sette anni di crisi l’offerta di lavoro è aumentata in misura consistente, del 4.7 per cento pari a 1.1 milioni di persone, ma con una composizione particolare, come mostra la Fig. 9, sia per sesso che per età. E’ aumentata l’offerta di lavoro femminile, a fronte di un aumento modesto della componente maschile, e delle persone con più di 45 anni, a fronte di un calo delle coorti più giovani. Diversi fattori sembrano quindi avere operato: innanzitutto le riforme pensionistiche hanno mantenuto nel mondo del lavoro coorti di over 55enni, con un aumento considerevole del corrispondente tasso di attività (circa 15 punti percentuali, ora al 50 per cento), mentre l’innalzamento della scolarità ha rallentato l’ingresso dei più giovani. Per le coorti centrali, l’interpretazione è più complicata: per i 35-44enni, si è ridotta l’offerta maschile (effetto scoraggiamento?) mentre è aumentata per le donne del centro-sud (effetto lavoratore addizionale?), per i 45-54enni vi è stato un aumento per tutte le categorie anche in termini di tasso di partecipazione. Che per la partecipazione 39 Figura 8: Popolazione attiva ufficiale e tenendo conto della normativa (migliaia) 41000 40000 39000 38000 37000 36000 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 pre-pensioni e obbligo obbligo scol. 16anni con ob+pens 15-64 Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat. Figura 9: Variazioni dell’offerta di lavoro (2014-2007, migliaia) >55 45-54 25-44 15-24 femmine maschi totale -1500 -1000 -500 0 500 1000 1500 Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat. delle donne vi sia stato un effetto lavoratore addizionale è una interpretazione convalidata anche da indagini ad hoc6, dalle quali sembra anche emergere come queste non si siano ritirate dal mercato una volta che il partner ha ritrovato lavoro, determinando un aumento permanente del tasso di partecipazione. Nel complesso, comunque, l’aumento della partecipazione osservato negli anni della crisi non ha solo origini congiunturali ma, derivando da mutamenti sia normativi sia comportamentali, ha carattere strutturale, e dunque con un effetto positivo sul prodotto potenziale. Gli effetti sull’occupazione potenziale dal lato della 6 Franceschi F., The Added Worker Effect for Married Woman in Italy, Bank of Italy, July 2014. prometeia advisor sim domanda di lavoro sono ovviamente ancora più marcati. In particolare per quanto qui interessa, crisi prolungate nel tempo possono dare luogo a fenomeni di isteresi (ossia di persistenza nel tempo) e quindi tradursi in aumenti della disoccupazione strutturale (o del NAIRU/NAWRU), tanto di più quanto più lunga è la recessione e più rigide e incapaci di adattarsi sono le economie. Anche in questo caso, aumenti del NAWRU portano a una riduzione temporanea della crescita del potenziale, che tende tuttavia a rientrare man mano che il NAWRU torna al suo livello di partenza. Non entreremo qui nella discussione sul calcolo del NAWRU, le cui controverse modalità di stima sono state recentemente oggetto di particolare attenzione da parte della CE, che ha apportato diverse innovazioni7. Rimane comunque presente la criticità di fondo, costituita dal fatto che per stimare il Pil potenziale, il tasso di disoccupazione dovrebbe risentire il meno possibile dell’andamento del ciclo economico, mentre, come evidenziato dalla stessa CE8, il NAWRU come attualmente stimato mantiene una non trascurabile componente ciclica, in particolare quando l’inflazione è distante dall’obiettivo ufficiale della BCE del 2 per cento9. In altri termini, il NAWRU non sembra la misura più adeguata per esprimere la disoccupazione strutturale. Ciò premesso, percorreremo una strada diversa per quantificare la disoccupazione strutturale, concentrandoci sulle tipologie dei disoccupati cercando di identificare le caratteristiche che possono essere più chiaramente considerate come permanenti. In particolare, ci concentreremo sui disoccupati di lunga durata10, poiché è ben noto che la prometeia advisor sim A anteo 40 7 In particolare, essa non si limita più ad utilizzare la sola curva di Phillips keynesiana tradizionale (TKP), ma ha bensì implementato la nuova curva di Phillips keynesiana (NKP). Quest’ultima, incorporando le aspettative razionali, tende a ridurre l’effetto del ciclo economico sulla stima del e questa peculiarità ha portato a una revisione nelle stime del Pil potenziale e dell’output gap per i paesi interessati (l’Italia non è tra questi). 8 European Commission, “European Economic Forecast Spring 2014”, European Economy, 3/2014, p. 38. 9 Un’altra criticità dipende dalla sensibilità delle stime del NAWRU rispetto alle ipotesi di partenza. In particolare, esso è stimato tramite il filtro di Kalman, che richiede di fissare una serie di parametri al fine di inizializzare il filtro stesso e per poter così procedere con la stima. Piccole variazioni nei parametri iniziali possono produrre importanti differenze nella stima del NAWRU e, di conseguenza, nel Pil potenziale e nell’output gap. Come mostrato da un recente lavoro dell’Ufficio parlamentare di Bilancio , piccole variazioni possono far divergere l’output gap anche di valori prossimi al punto percentuale. 10 Olivieri A. e S. Tomasini (2015), “La crisi sta lasciando segni permanenti sul mercato del lavoro in Italia?”, Rapporto permanenza prolungata in questa situazione riduce molto velocemente la probabilità di rientrare nel mercato del lavoro: si ricordi che dopo la recessione del 1992-93, la disoccupazione di lunga durata impiegò 13 anni per rientrare sui valori pre-crisi. Identifichiamo dunque alcune tipologie che possono contribuire a caratterizzarli come disoccupati “strutturali”: (i) essere residenti nel Mezzogiorno, dove la disoccupazione è strutturalmente più elevata e il numero dei senza lavoro da più tempo è più che raddoppiato durante gli anni di crisi (sono passati da 430 mila a 990 mila); (ii) avere lavorato nelle costruzioni, il cui numero è passato da 40 mila a 186 mila; (iii) avere un’età compresa tra i 45 e i 54 anni (passati da 95 mila a 380 mila), poiché mentre per i giovani si potranno aprire nuove opportunità e i disoccupati più anziani usciranno via via dal mercato per quiescenza (anche se per essi si potrebbe presentare un problema di dimensioni della prestazione pensionistica), per questa fascia di età intermedia sarà molto complicato rientrare, in assenza di adeguati interventi di riqualificazione. Basandoci sui micro dati dell’Indagine sulle Forze di lavoro abbiamo stimato che i disoccupati con queste caratteristiche siano circa 500 mila che, sommati ai disoccupati esistenti prima della crisi, quando il tasso di disoccupazione aveva raggiunto livelli di minimo e si riteneva fosse molto vicino al livello strutturale, porta il tasso di disoccupazione “strutturale” al 7.8 per cento. La produttività e la Tfp Veniamo infine alla produttività e alla Tfp, ossia al modo in cui i fattori capitale e lavoro vengono combinati nei processi produttivi e che è, come ben noto, forse l’ambito in cui il nostro paese risulta più carente. La recessione può avere avuto conseguenze di segno opposto sulla Tfp, con effetti netti difficili da valutare a priori. Da un lato, la crisi può ridurre gli investimenti in innovazione (attraverso quelli in ricerca e sviluppo), come abbiamo mostrato in precedenza. Dall’altro, le crisi possono sia dare alle imprese più forti incentivi a migliorare la loro efficienza sia migliorare l’efficienza media del sistema attraverso il processo di “distruzione creatrice”. Allo stesso modo, anche l’effetto sulla produttività e la Tfp attraverso il capitale umano è ambiguo, poiché per un verso vi potrebbe essere un effetto positivo derivante dall’incentivo per le imprese a investire di più in training e organizzazione, per gli individui a rimanere più di Previsione, Gennaio 2015, Prometeia. A anteo tempo nel sistema scolastico e formativo. Per altro verso, durante la recessione si riduce la formazione “on the job” (il learning by doing) e le ridotte disponibilità economiche delle famiglie possono limitare la formazione universitaria dei giovani, costretti a entrare nel mercato del lavoro per compensare le perdite del reddito della famiglia di origine. La recessione riduce il livello di output potenziale anche attraverso la riallocazione settoriale che può rendere lavoratori/capitale fisico obsoleti tanto di più quanto siano caratteristici dei settori colpiti dalla crisi, esempio tipico è l’uscita dal settore delle costruzioni/immobiliare. Tuttavia la riallocazione può avvenire da settori con bassa produttività verso settori con alta produttività o viceversa, con un effetto a priori non determinabile. L’effetto, qualunque sia il segno, in questo caso potrebbe essere di lunga durata nel caso in cui la riallocazione abbia natura permanente. L’analisi condotta, di cui diamo conto nel Capitolo 10, sembra però suggerire che non si sia verificato un significativo spostamento verso settori più produttivi e quello, modesto, verso quelli a più elevata intensità di ICT non è stato sufficiente a compensare quello meno virtuoso, dal punto di vista della crescita della produttività, avvenuto dalla manifattura ai servizi. Rimandando ulteriori riflessioni in questo ambito ai risultati di una ricerca in corso che studia gli effetti di riallocazione tra le imprese all’interno di uno stesso settore, non possiamo non concludere che da questo ambito non sembrano emergere particolari segnali di risveglio strutturale della produttività. Va altresì notato che proprio per il ritardo che caratterizza il nostro paese nell’impiego delle tecnologie più innovative, alla frontiera, lascia la possibilità che la loro introduzione consenta un rimbalzo nella crescita della produttività. Possibilità che, in via cautelativa, non abbiamo inserito tra le ipotesi di questa previsione. Anche con riferimento all’influenza che sulla Tfp può essere esercitato dal capitale umano, l’analisi condotta con il modello a generazioni sovrapposte ne segnala il contributo positivo ma comunque limitato nelle dimensioni, soprattutto se confrontato con quello di altri paesi europei quali Francia e Germania. Infatti, non solo la scolarità media della popolazione italiana è largamente inferiore, come peraltro ben noto, ma lo è anche quella delle fasce più giovani della popolazione (Fig. 10). Ciò segnala l’ancora inadeguato investimento della società italiana, istituzioni famiglie e imprese, nell’istruzione delle sue giovani generazioni. D’altro canto, possiamo coglierne il lato positivo: c’è ampio spazio perché il livello di istruzione, e quindi il bagaglio di competenze e 41 Figura 10: Livelli di scolarità dei 15-39enni (quote %) a) primaria e secondaria 60 50 40 30 20 10 0 93 97 01 05 09 13 05 09 13 05 09 13 b) diploma 60 50 40 30 20 10 0 93 97 01 c) laurea 40 40 30 30 20 20 10 0 10 93 97 01 05 09 13 0 93 97 01 Germania Francia Italia Spagna Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Eurostat. professionalità, della popolazione italiana possa aumentare, e contribuire quindi a innalzare la produttività media della nostra economia e, con essa, il suo tasso di sviluppo potenziale. Altre prometeia advisor sim A anteo 42 In assenza di chiare indicazioni sul fatto che il nostro paese possa veramente cambiare passo nell’investimento in capitale umano, abbiamo valutato con cautela la sua crescita nell’orizzonte di previsione per cui l’esercizio di simulazione indica per l’Italia un contributo della tecnologia piuttosto basso fino al 2022 e in leggero aumento fino al 2027 per l’effetto positivo di una più elevata qualità del capitale umano e una maggiore intensità di capitale fisico per addetto. Figura 11: Contributi alla crescita del Pil potenziale (punti percentuali) a) TFP 1.4 1.2 1.0 0.8 0.6 0.4 0.2 In sintesi, la nostra stima del prodotto potenziale al 2022 0.0 -0.2 -0.4 00 02 04 06 08 10 12 Italia Germania 14 16 18 Francia Spagna b) Lavoro 0.04 0.03 0.02 0.01 0 -0.01 -0.02 00 02 04 06 08 10 12 14 16 Italia Francia Germania Spagna 18 c) Capitale 0.06 0.05 0.04 0.03 0.02 0.01 0 -0.01 00 02 04 06 08 10 12 14 16 Italia Francia Germania Spagna 18 Fonte: Commissione europea. prometeia advisor sim economie più avanzate, da quelle del Nord Europa agli Stati Uniti, dove i livelli di scolarità sono oramai a livelli molto alti, non avranno questa possibilità di catching up nelle competenze. Siamo ora in grado di procedere a una stima del prodotto potenziale, che effettueremo ponendola a confronto con quella della Commissione. Partiamo analizzando il contributo apportato al Pil potenziale dai singoli fattori, così come calcolato dalla CE per i quattro grandi paesi dell’area dell’euro. Si nota che per l’Italia: (i) la TFP, a partire dal 2004, ha contribuito negativamente, mentre per Germania, Francia e Spagna il contributo è sempre stato positivo (Fig. 11a); (ii) l’apporto del lavoro è stato in media negativo durante la crisi, si è azzerato nel 2014, ed è previsto positivo negli anni successivi (Fig. 11b); (iii) il contributo dello stock di capitale è stato positivo ma in costante declino dall’inizio della recessione, sino a cambiare si segno negli anni 2013 e 2014. Le previsioni della CE indicano un’inversione di tendenza negli anni a seguire (Fig. 11c). Rispetto agli altri paesi analizzati, i punti deboli dell’Italia risultano essere perciò legati alla produttività totale dei fattori e al declino dello stock di capitale. Infatti, la crescita del potenziale che ne deriva è estremamente deludente, rimanendo negativa anche nel 2015, nonostante la ripresa ciclica, azzerandosi nel 2016 e tornando positiva solo nel 2017. Anche in termini di ranking non vi sarebbero novità all’orizzonte, secondo tale stima, poiché l’Italia manterrebbe il tasso di crescita del potenziale più basso fra i grandi paesi dell’area. (Fig. 12). Partendo dalla metodologia adottata dalla CE e dai dati così ottenuti sino al 2014, proponiamo un esercizio dove si confronta il Pil potenziale nel quinquennio 2015-2019 stimato dalla stessa CE e quello che si ottiene, a parità di TFP, incorporando le nostre previsioni sui fattori di produzione. In merito al capitale, le nostre previsioni indicano una crescita meno ottimistica di quella elaborata dalla CE: tra il 2014 e il 2019 il capitale, invece di crescere complessivamente dell’1.1 per cento crescerebbe dello 0.7 per cento. A anteo Per quanto riguarda la componente lavoro, nel quinquennio considerato: (i) abbiamo considerato le proiezioni della popolazione basate sui più recenti dati Istat corretti per tenere conto di un minore afflusso di immigrati indotto dalla crisi. Ciò porta a stimare una popolazione in età lavorativa nella fascia di età 15-74 anni che cresce dello 0.92 per cento invece che dell’1.18 per cento, come nelle previsioni della CE; (ii) anche per la partecipazione le nostre previsioni sono meno ottimistiche rispetto a quelle CE, ovvero considerano un incremento del tasso di partecipazione di 0.85 punti percentuali invece che di 1.99 pp. E’ pur vero che negli anni della crisi il tasso di partecipazione è aumentato in misura consistente (1.7 punti percentuali il tasso di partecipazione dei 1564enni) ma, come abbiamo argomentato in precedenza, in parte tale aumento ha carattere ciclico e tenderà ad attenuarsi una volta avviata la ripresa; (iii) il NAWRU, invece di crescere in 5 anni di 0.71 punti percentuali, si ipotizza che resti invariato nel 2015 e che diminuisca lentamente di 1.16 punti nel periodo 2016-2019, tornando così al 9.66 per cento, il livello del 2012 e dunque ancora ben superiore sia ai livelli pre-crisi del 7.5 per cento sia a quello che sulla base delle valutazioni prima esposte risulterebbe tutt’ora essere il tasso di disoccupazione strutturale; (iv) le ore lavorate per occupato, invece di rimanere pressoché stabili, aumentano dell’1.54 per cento negli anni 20152019, recuperando parte del calo registrato nel quinquennio precedente. Come illustrato dalla Fig. 13, tali differenze portano a stimare una crescita del Pil potenziale più alta rispetto a quella della CE: 2.08 per cento a fronte di 0.99 l’aumento cumulato nell’arco di cinque anni. Per gli anni successivi, le considerazioni svolte nel capitolo 8 portano a incrementare la crescita del Pil potenziale verso l’1.2 per cento medio che il modello OLG stima per il quinquennio 2021-2025. Una previsione che potrebbe apparire ottimistica, se commisurata alla crescita estremamente deludente non solo degli ultimi sette anni ma anche degli anni pre-crisi, ma che si basa, come mostrato, su ipotesi di evoluzione dell’input di lavoro, capitale e Tfp conservative. Nel complesso, quindi, la caduta del livello di 43 Figura 12: Pil potenziale (var. %) 4 3 2 1 0 -1 -2 01 03 05 07 09 11 13 15 17 Italia Francia Germania Spagna 19 Fonte: Commissione europea. Figura 13: Pil potenziale dell’Italia: confronto tra scenari 1.0 0.8 0.6 0.4 0.2 0.0 -0.2 -0.4 -0.6 14 15 16 Commissione europea 17 18 19 Prometeia Fonte: elaborazioni Prometeia. potenziale durante la crisi, stimata in 2.6 punti percentuali, verrebbe recuperata nell’orizzonte di previsione nel 2020. Il suo tasso di crescita tornerebbe nel 2019 ai ritmi pre-crisi (lo 0.8 per cento stimato per il triennio 2005-2007) mentre negli anni successivi potrebbe risalire verso i ritmi medi degli anni 2000, l’1.2 per cento. Alla domanda iniziale rispondiamo quindi che la crisi ha pesantemente intaccato il livello di prodotto potenziale ma che le sue prospettive di crescita non ne sono risultate permanentemente intaccate. prometeia advisor sim A anteo 44 pillole Analisi congiunturale dell’economia reale e dei mercati finanziari Francesco Amoroso, Guja Bacchilega, Lorenzo Prosperi, Ugo Speculato, Giacomo Tizzanini — Prometeia La congiuntura e le prospettive macroeconomiche L a crescita dell’economia mondiale è stata moderata nel secondo trimestre e solo lievemente superiore a quella del primo, frenata dall’indebolimento di molti Paesi emergenti e dalla espansione contenuta delle economie avanzate. Tra le economie emergenti, è proseguita e si è intensificata la fase recessiva in Brasile e Russia, mentre in India la crescita del Pil, pur mostrando una certa tenuta, ha rallentato il passo; anche tra le economie avanzate gli andamenti sono stati divergenti: alla netta accelerazione del ritmo di crescita dell’economia statunitense, peraltro superiore alle attese, si sono contrapposte la contrazione dell’economia giapponese e una marginale decelerazione nell’Uem (Fig. 1). Per il periodo successivo, i dati congiunturali al momento disponibili non incorporano completamente gli effetti delle tensioni sui mercati finanziari e valutari e della flessione dei prezzi delle commodity manifestatesi a seguito dei timori sulla Figura 1: Pil reale (var.% trimestrale) 1.5 1.1 0.9 1.0 0.5 0.5 0.4 0.2 0.0 -0.3 -0.5 Usa prometeia advisor sim III-14 Uem IV-14 Giappone I-15 II-15 Fonte: Thomson Reuters elab. Prometeia; dati al 14/9/15. crescita dell’economia mondiale, accresciuti dai segnali di rallentamento dell’economia cinese. Le informazioni statistiche finora acquisite descrivono, per i mesi estivi, una tenuta dell’attività nelle economie avanzate sebbene vi sia la possibilità di un rallentamento del ritmo della ripresa negli Usa e un recupero modesto in Giappone, mentre in Europa i dati sembrano suggerire il mantenimento di un ritmo di crescita complessivamente regolare; sono invece più sfavorevoli le indicazioni per i Paesi emergenti, dove l’India costituisce un’eccezione. Nel complesso, queste indicazioni sembrano prefigurare la possibilità che nel terzo trimestre la crescita dell’economia mondiale rimanga moderata. Questi andamenti dell’attività economica e della domanda hanno portato a un ulteriore indebolimento del commercio mondiale: nel secondo trimestre le importazioni mondiali sono diminuite per il secondo trimestre consecutivo, anche se a un ritmo più contenuto, con il contributo sia delle economie avanzate sia di quelle emergenti (Fig. 2). Il quadro non sembra migliorato nel periodo successivo: i dati qualitativi riferiti ai mesi di luglio e agosto segnalano, infatti, un ulteriore indebolimento degli scambi internazionali di beni. Negli Usa il Pil nel II-15 è cresciuto dello 0.9% su base trimestrale, superiore alle attese e allo 0.2% nel I-15; la crescita è stata rivista al rialzo rispetto allo 0.6% della prima release a seguito di una valutazione di crescita più sostenuta soprattutto per gli investimenti privati e la domanda proveniente dal settore pubblico. L’accelerazione del Pil riflette il venir meno degli effetti di alcuni fattori che nei primi mesi dell’anno avevano frenato consumi ed esportazioni, come le avverse condizioni metereologiche e scioperi nel settore portuale. Gli indicatori qualitativi continuano ad evidenziare un’attività più debole nel settore manifatturiero, con indicazioni di rallentamento della produzione e dei nuovi ordini, interni ed esteri. Per il III-15, l’aggiustamento delle scorte e gli effetti dell’apprezzamento del dollaro e del calo del prezzo del petrolio potrebbero portare a un rallentamento del ritmo della ripresa. Nell’Uem la crescita del Pil nel II-15 è risultata in lieve rallentamento, dello 0.4% rispetto allo 0.5% del trimestre precedente (rivista dallo A anteo Figura 2: Importazioni mondiali di merci e contributi (var.% trimestrale e punti %) 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 emergenti industrializzati mondiali (var.% trimestrale) II-10 IV-10 II-11 IV-11 II-12 IV-12 II-13 IV-13 II-14 IV-14 II-15 Fonte: Thomson Reuters, CPB, elaborazioni Prometeia; dati al 14/9/15. * Importazioni di merci per area di origine, $ 2005, destagionalizzate 0.3% della stima preliminare, ma è stato rivisto al rialzo anche il dato del I-15). La tendenza alla decelerazione è spiegata dalla più contenuta dinamica della domanda interna, su cui potrebbero aver influito le incertezze connesse anche alla crisi greca e il rientro degli effetti di fattori transitori che avevano agito nei mesi precedenti: si è infatti ridotto il contributo, comunque positivo, dei consumi privati mentre sono calati gli investimenti privati. È stato invece ampiamente positivo il contributo della domanda estera, in seguito a un buon andamento delle esportazioni, in particolare verso gli Usa. A livello regionale, è stata inattesa la stagnazione in Francia, che sta affrontando una nuova fase negativa del ciclo immobiliare, mentre Germania e Spagna hanno costituito le principali eccezioni presentando una accelerazione del ritmo di crescita del Pil. Gli indicatori qualitativi per il periodo estivo sono risultati poco brillanti, evidenziando che la ripresa economica possa aver perso slancio anche nel III-15. In Giappone il Pil è diminuito dello 0.3% su base trimestrale, guidato dalla contrazione delle esportazioni e dei consumi privati; in tal modo si è interrotto il recupero intervenuto tra la fine del 2014 e i mesi iniziali del 2015, dopo la recessione attraversata nei trimestri centrali dello scorso anno a seguito dell’aumento dell’imposta sui consumi. Per il periodo successivo ci sono segnali di un recupero moderato dell’attività, condizionata dalle perduranti difficoltà delle esportazioni. Esaurito da aprile l’effetto dell’aumento delle imposte indirette, l’inflazione 45 è in decelerazione, su valori poco sopra lo zero, mostrando gli effetti del ridimensionamento della componente energetica: ciò potrebbe portare le autorità monetarie giapponesi a decidere nuovi interventi espansivi. Per quanto riguarda la Cina, i dati di contabilità nazionale per il secondo trimestre sono stati migliori delle attese, segnalando un sia pur contenuto recupero dell’attività. Tuttavia, queste indicazioni non sono state confermate dai dati a più elevata frequenza per il periodo successivo: essi sembrano, infatti, prospettare un nuovo rallentamento della crescita economica nel terzo trimestre, con un deterioramento del contributo fornito dal settore estero. Proprio i timori circa l’intensità della crescita di questa economia hanno alimentato, in particolare dopo la svalutazione dello yuan, una forte correzione della borsa cui il governo ha risposto con misure straordinarie. La congiuntura e le prospettive per i mercati finanziari Mercati interbancari e tassi di lungo termine Il rallentamento della crescita economica e il deterioramento di numerosi indicatori macroeconomici cinesi insieme al deprezzamento dello yuan hanno generato ad agosto forti turbolenze nei mercati finanziari, con un conseguente ritorno dell’avversione al rischio che ha compresso i rendimenti governativi core. La caduta del prezzo del petrolio ha spinto al Figura 3: Inflazione attesa nell’area euro (per cento)(a) e prezzo del Brent (€/barile) 100 2.5 90 2.3 80 2.1 70 1.9 60 50 1.7 40 1.5 30 1.3 20 gen-13 giu-13 nov-13 mag-14 ott-14 mar-15 set-15 inflation swap fw 5a5a Brent (dx) Fonte: Bloomberg, Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; dati al 15/9/15. (a) Il tasso forward 5a5a indica il tasso di inflazione a 5 anni atteso dopo 5 anni prometeia advisor sim A anteo 46 ribasso le aspettative a breve e lungo termine di inflazione, concorrendo a comprimere il livello dei rendimenti governativi (Fig. 3). punti base nel 2017. L’avversione al rischio ha inoltre portato a un allargamento dei differenziali di rendimento a dieci anni tra i Paesi periferici dell’area euro e il Bund (Fig. 4). Tuttavia, nonostante la volatilità azionaria abbia raggiunto livelli elevati, gli spread non sono stati particolarmente influenzati grazie allo scudo del Quantitative Easing della Banca centrale europea e al raggiungimento dell’accordo per la risoluzione della crisi greca (si veda Box 1). Dall’inizio del terzo trimestre i mercati azionari internazionali sono stati caratterizzati da perdite significative: i mercati emergenti, in particolare la Cina, hanno registrato i cali maggiori. Le turbolenze di agosto hanno azzerato di fatto tutti i guadagni successivi all’euro summit di metà luglio (che vedeva il raggiungimento di un accordo per un nuovo piano di aiuti a favore della Grecia in cambio di riforme urgenti). La svalutazione dello yuan e i timori di un rallentamento dell’economia cinese hanno contribuito ad aumentare il clima di incertezza, innescando un’ondata di vendite tra le azioni cinesi ma anche degli altri mercati internazionali, nonostante gli interventi, sul finire del mese, della Banca centrale cinese a sostegno dei mercati finanziari (Fig. 5). Figura 4: Differenziali tra i rendimenti dei titoli governativi a 10 anni di alcuni Paesi Uem vs. il Bund tedesco (punti base) e il Vstoxx (per cento)(a) 1200 60 50 900 40 600 30 20 300 10 0 0 mag-11 gen-12 ott-12 lug-13 mar-14 dic-14 set-15 Vstoxx (dx) Spagna Italia Francia Irlanda Portogallo Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 15/9/15. (a) Medie mobili a 5 giorni. I timori di un rallentamento della crescita economica mondiale potrebbero influire sulle decisioni di politica monetaria di Fed e Bce, che potrebbero rimanere più espansive di quanto atteso dai mercati prima dell’estate. La Bce si è dichiarata pronta a intensificare il Quantitative Easing se necessario; negli Usa la politica monetaria potrebbe dimostrarsi più cauta – in un contesto di inflazione ancora contenuta e di maggiori rischi sulla crescita globale – e potrebbe rialzare i tassi solo nel primo trimestre 2016. prometeia advisor sim Ci attendiamo tassi decennali in rialzo, in misura maggiore negli Usa a seguito di una crescita economica più robusta e una politica monetaria restrittiva. Dall’inizio del 2016, l’attenuarsi delle tensioni sui mercati dovrebbe favorire il restringimento spread dei Paesi periferici rispetto al Bund, che prevediamo sotto quota 100 Mercati azionari A questi fattori si sono aggiunte le incertezze circa il timing del primo rialzo dei tassi di politica monetaria da parte della Federal Reserve, per i maggiori rischi sulla crescita economica statunitense e l’inflazione dovuti al rallentamento della Cina, ai prezzi delle commodities e alla volatilità dei mercati. La volatilità implicita ha raggiunto e superato per alcuni giorni il percentile più elevato degli ultimi 10 anni (Fig. 6): sebbene le prospettive per i mercati azionari restino favorevoli per il medio periodo, alcuni fattori di rischio emersi nelle ultime settimane potrebbero portare a rapide e marcate fasi di correzione nel breve termine. Figura 5: Mercati azionari dei principali Paesi (ind. di prezzo,1/7/15=100) 110 105 100 95 90 85 80 75 lug-15 lug-15 S&P 500 FTSE 100 Msci Emerging ago-15 set-15 Eurostoxx 50 Nikkei 225 Ftse Italia Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 15/9/15. A anteo 47 Figura 6: Volatilità implicita degli indici azionari di Usa e Uem (per cento)(a) 45 40 35 30 25 20 15 10 5 set-10 set-11 set-12 set-13 set-14 S&P 500 Eurostoxx 50 ultimo decile S&P 500 ultimo decile Eurostoxx 50 set-15 Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 15/9/15. (a) Ottenute da opzioni call su indici azionari con scadenze a un mese; medie mobili a 5 giorni. Ultimo decile calcolato dal 2004. Figura 7: Deprezzamento delle valute di alcuni Paesi emergenti nei confronti del dollaro (var.% dal 31/7/15) 16.1 14.0 13.1 5.9 Dopo l’intervento della Banca centrale cinese del 25 agosto le turbolenze sui mercati finanziari internazionali si sono attenuate e l’euro, che nel periodo di maggiori turbolenze aveva beneficiato del ruolo di valuta rifugio, si è indebolito. L’atteggiamento più “dovish” mostrato dalla Bce nel meeting di inizio settembre, che ha anche rivisto le aspettative su crescita e inflazione, ha contribuito a riportare il cambio dollaro/euro intorno a 1.11 dall’1.15 raggiunto a fine agosto. L’euro potrebbe risultare più debole nei confronti del dollaro all’inizio del 2016, quando sarà più marcata la divergenza tra le politiche monetarie in Usa e Uem. Singapore 1.2 Corea del sud Cina Cile 3.0 2.8 2.7 2.6 Taiwan India Messico Indonesia Sud Africa Turchia Malesia Brasile 4.3 3.8 Russia Tra l’11 e il 13 agosto la Banca centrale cinese ha lasciato svalutare lo yuan del 4.6%, in soli tre giorni, nei confronti del dollaro statunitense, dichiarando che gli interventi fanno parte del programma di internazionalizzazione dello yuan e che in futuro il fixing sarà portato su livelli più vicini al tasso a pronti. A causa delle preoccupazioni sull’economia cinese, alla svalutazione dello yuan sono seguiti deprezzamenti verso il dollaro delle valute di molti Paesi emergenti, e in particolare di quelli più in difficoltà e con più ampi squilibri, come Russia, Brasile e Malesia (Fig. 7). Nella tabella 1 sono riportate le variazioni dei rendimenti di alcune asset class nel 2015 e negli anni passati: 9.0 7.1 Cambi Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 15/9/15. prometeia advisor sim A anteo 48 Tabella 1: Variazioni % in valuta locale (indici total return) classi di attività liquidità e strumenti a breve Uem 2010 2011 2012 2013 0.8 1.4 0.6 0.2 2014 2015 15-set-15 volatilità ultimi 5 anni 0.2 0.0 0.0 indici obbligazionari governativi* Italia -0.6 -5.9 21.3 7.4 15.7 2.0 7.9 Uem 1.2 1.8 11.4 2.4 13.5 0.1 3.9 Usa 6.1 9.9 2.2 -3.4 6.1 0.5 4.1 Giappone 2.5 2.3 1.8 2.2 4.8 -0.2 2.2 Uk 7.5 16.8 2.6 -4.2 14.1 1.5 6.5 11.8 9.2 18.0 -8.3 6.2 1.3 5.6 Uem 4.8 2.0 13.0 2.4 8.3 -1.1 2.4 Usa 9.5 7.5 10.4 -1.5 7.5 -0.8 4.4 Uem 14.3 -2.5 27.2 10.1 5.5 1.7 3.8 Usa 15.2 4.4 15.6 7.4 2.5 0.6 3.4 0.1 -2.0 18.3 0.0 9.1 0.4 6.1 paesi emergenti (in u$) indici obbligazionari corporate I.G. *° indici obbligazionari corporate H.Y.*° indice inflation linked Uem indici obbligazionari convertibili Uem 4.0 -7.5 17.5 14.7 1.3 1.9 6.6 15.7 -3.8 13.6 26.6 10.0 1.9 9.3 Italia -8.1 -19.6 11.7 16.1 3.6 16.9 25.3 Uem 3.3 -14.1 20.6 24.4 5.1 6.9 19.4 Usa 15.4 2.0 16.1 32.6 13.4 -2.2 15.1 0.7 -18.6 21.8 54.8 9.8 3.6 19.8 Usa indici azionari Giappone Uk 12.2 -1.8 10.2 18.5 0.5 -4.3 15.0 paesi emergenti (in u$) 19.2 -18.2 18.6 -2.3 -1.8 -13.7 15.6 9.0 -1.2 0.1 -1.2 -33.1 -19.2 18.4 commodities (S&P GSCI Commodity Index in U$) cambi nei confronti dell'euro (^) dollaro Usa yen sterlina 6.9 3.3 -1.5 -4.3 13.9 7.3 9.5 22.8 8.9 -12.4 -21.3 -0.2 7.0 11.4 3.7 2.6 3.0 -2.5 7.2 5.7 7.7 Fonte: WM/Reuters; dati al 15/09/2015; * Indici obbligazionari All Maturities. ° Indici corporate euro/dollar issues. (^) I segni negativi indicano un apprezzamento dell'euro. prometeia advisor sim A anteo 49 Box 1 La timeline della risoluzione della crisi greca Lo scorso 11/8 è stato raggiunto l’accordo tecnico sul protocollo di intesa (Memorandum of Understanding) tra la Commissione europea (per conto dell’European stability mechanism, Esm), il governo greco e la Banca centrale della Grecia per il programma triennale Esm di sostegno alla stabilità a favore della Grecia. Il MoU, approvato sia dai Ministri delle Finanze dell’Eurozona il 14/8 sia dall’Esm il 19/8, dopo la ratifica dei Parlamenti nazionali, include una serie di misure politiche che il Paese deve attuare, raggruppate in quattro pilastri: 1. riforma fiscale per raggiungere l’obiettivo di medio termine di un avanzo primario al 3.5 per cento del Pil (-0.25 per cento nel 2015, +0.50 nel 2016, +1.75 nel 2017 e +3.5 nel 2018); 2. riforma del sistema pensionistico, in vigore dal 2016, che prevede di portare l’età pensionistica a 67 anni entro il 2022 e altre misure per migliorare la sostenibilità di lungo termine del sistema pensionistico; 3. riforme nei mercati del lavoro e dei prodotti, inclusi dell’energia, per stimolare gli investimenti e la concorrenza; 4. misure per salvaguardare la stabilità del settore finanziario, tra cui la ricapitalizzazione delle banche, entro la fine del 2015, e misure urgenti per il problema dei Non-Performing Loan. Il 14/8 le autorità greche hanno inoltre approvato un’altra serie di 35 misure legislative, le cosiddette “azioni prioritarie” da attuare prima del secondo esborso (previsto per novembre). Le misure includono importanti riforme, identificate nel MoU o come correzioni degli accordi di luglio, relative a tassazione dell’industria mercantile, liberalizzazioni, pensioni anticipate, esenzioni fiscali per le isole (da eliminare, gradualmente, dalla fine del 2016) e programma di privatizzazioni. Relativamente al programma di privatizzazioni, entro la fine di ottobre 2015 il governo greco deve approvare il progetto per l’istituzione di un fondo indipendente, sotto il controllo delle istituzioni europee, che sarà operativo entro la fine dell’anno; nel fondo confluiranno asset per un valore complessivo di € 50 mld. da utilizzare per metà per ripagare la ricapitalizzazione bancaria e, per l’altra metà, per ridurre il debito e per investimenti. L’Eurogruppo – secondo la nota diffusa da Bruxelles – è pronto a considerare, se necessario, possibili misure aggiuntive sul debito greco, come ad esempio l’allungamento delle scadenze e dei periodi di grazia, ma condizionate all’applicazione del MoU e solo dopo la prima review. È stata in ogni caso esclusa la possibilità di un taglio del valore nominale del debito. Sempre secondo la nota, l’Eurogruppo considera indispensabile e accoglie con favore l’intenzione del Fmi di raccomandare al board un nuovo sostegno alla Grecia una volta completate le riforme e raggiunto l’accordo sulla sostenibilità del debito. Il programma di aiuti coprirà un ammontare fino a € 86 miliardi, di cui € 25 miliardi per la ricapitalizzazione o risoluzione del sistema bancario greco. La prima tranche da € 26 miliardi sarà erogata in due tempi. Il 20/8, subito dopo l’approvazione del MoU dall’Esm, sono stati pagati € 23 miliardi, che dovranno essere restituiti in 32.5 anni a un tasso di circa l’1%, di cui: ▶▶ € 10 mld., inizialmente su un conto Esm, serviranno per la ricapitalizzazione o risoluzione del sistema bancario. ▶▶ € 16 mld. finalizzati al finanziamento del bilancio e le esigenze del servizio del debito e già utilizzati per ripagare il prestito ponte ricevuto a luglio (€ 7.2 mld.), per il rimborso dei titoli greci detenuti dalla Bce in scadenza ad agosto (€ 3.2 mld.) e per il rimborso dei prestiti Fmi e la riduzione degli arretrati statali (€ 2.6 mld.). I restanti € 3 mld. saranno erogati al massimo entro fine novembre, una volta completate le azioni prioritarie contenute nel MoU. La seconda tranche, fino a € 15 miliardi, sarà erogata, inizialmente sempre presso un contro dell’Esm, dopo la prima review del programma (comunque non oltre il 15/11) e sarà soggetta al completamento dell’AQR e degli stress test dato che verrà utilizzata per la ricapitalizzazione del sistema bancario. prometeia advisor sim A anteo 50 Disclaimer Il presente documento deve essere inteso come fonte di informazione e non può, in nessun caso, essere considerato un’offerta o una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di prodotti finanziari. Le informazioni contenute in questo documento sono frutto di notizie e opinioni che possono essere modificate in qualsiasi momento senza preavviso. Il presente documento e i risultati delle analisi in esso contenute, sono elaborati sulla base di dati e informazioni forniti da terzi. 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