n.84 settembre 2015

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n.84 settembre 2015
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newsletter per l’investitore istituzionale
settembre 2015
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anno XI – n.
l’editoriale di questo mese:
Alle soglie dell’autunno torna come di consueto sui vostri monitor il
buon ANTEO, un po’ provato dall’afa estiva, ma in maggior misura dal
più costoso dei “made in China” della storia: …
> pagina 4
prometeia
advisor sim
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newsletter per l’investitore istituzionale
in questo numero:
n.84
editoriale
p. 4
La parola a…
Prof. Paolo Onofri p. 6
contributi
Fundamental Indexing nei mercati dei Titoli di Stato… come mai adesso? p. 8
Shane Shepherd, Ph.D., Senior Vice President, Head of Macro Research — Research
Affiliates
William de Vries, Head Core Fixed Income — Kempen Capital Management
Emma Weeder, Portfolio Manager — Kempen Capital Management
Focus sul mercato dei bond ibridi p. 11
François Lavier, CFA — Lazard Frères Gestion
Fondi Long/Short azionari: uno strumento efficiente per mercati difficili p. 16
Giacomo Mergoni, Chief Executive Officer —Banor Capital Limited
osservatorio prometeia
Asset Allocation: alla conquista del West o un americano a Roma? Francesco Amoroso, Emanuele De Meo, Lorenzo Prosperi, Giacomo Tizzanini,
Ugo Speculato, Lea Zicchino, — Prometeia
(sintesi della presentazione tenuta da Lea Zicchino a Barcellona in occasione del XI Percorso di
InFormazione di Prometeia Advisor Sim - «Spazio rendimento-rischio: una rivisitazione “modernista” »)
p. 18
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newsletter per l’investitore istituzionale
approfondimenti
Prospettive del prezzo del petrolio ed effetti macroeconomici p. 22
Manuel Bonucchi, Michele Burattoni — Prometeia Associazione
Federico Ferrari — Prometeia
Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (gennaio 2015)
Commercio internazionale, il peso della Cina p. 30
Michele Burattoni — Prometeia Associazione
Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (luglio 2015)
La crescita dopo la ripresa: le prospettive per il Pil potenziale dell’Italia p. 35
Monica Ferrari, Wildmer Daniel Gregori, Stefania Tomasini — Prometeia Associazione
Dal Rapporto di Previsione di Prometeia Associazione (aprile 2015)
pillole
Analisi congiunturale dell’economia reale e dei mercati finanziari
Francesco Amoroso, Guja Bacchilega, Lorenzo Prosperi, Ugo Speculato,
Giacomo Tizzanini — Prometeia
p. 44
n.84
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editoriale
Alle soglie dell’autunno torna come di consueto sui vostri monitor il buon ANTEO, un po’
provato dall’afa estiva, ma in maggior misura dal più costoso dei “made in China” della storia:
la fortissima correzione di molti mercati a seguito delle manovre sul cambio e del repentino
sgonfiamento dei corsi azionari dei mercati locali cinesi.
La storia ci dirà se quelle di molti mercati e valute emergenti sono state le prime “bolle”
scoppiate, cui dovrebbero seguirne altre, oppure se abbiamo assistito ad un robusto “risk
– off”, guidato più dalle macchine che dagli umani, essendo questi ultimi sempre restii ad
interrompere confortevoli trend rialzisti e poco volatili.
La rilevanza dell’economia cinese, specie se confrontata con quella della Grecia, della quale
si è a lungo discettato, merita da parte nostra la massima attenzione, nel consueto tentativo
di proporre qualche spunto di riflessione originale. Lo facciamo con un approfondimento
sulla rilevanza della Cina nel commercio internazionale, grazie agli amici di Prometeia
Associazione.
Sempre dalla loro rigogliosa penna vi offriamo, in questo numero di ANTEO, altri due
approfondimenti di particolare attualità: uno sugli scenari attesi per il prezzo del petrolio,
con le relative conseguenze macroeconomiche, l’altro (necessariamente correlato)
sull’evoluzione attesa del PIL potenziale italiano, che finalmente pare dare concreti “segni di
vita”!
prometeia
advisor sim
Il consueto “angolo dell’analisi” del Prof. Onofri fa da trait - d’union tra gli approfondimenti
macroeconomici e i tre contributi delle società di gestione, che affrontano tematiche relative
alla gestione obbligazionaria e azionaria in questo contesto di mercato particolarmente
complesso.
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Di scenario e relative prospettive in termini di asset allocation si occupano anche i nostri
analisti, rivisitando in forma di articolo la presentazione svolta da Lea Zicchino, nel corso
dei lavori del XI Percorso di InFormazione, tenutosi lo scorso giugno a Barcellona. Come
già altre volte in passato, diversi temi trattati allora si sono poi rivelati di particolare
attualità nelle settimane successive: riteniamo quindi che il pezzo sia di utile lettura,
proprio nel momento in cui molti investitori istituzionali si accingono a rivedere la loro
asset allocation, strategica o tattica.
Lo scorso autunno ci si occupava, con una certa apprensione, della minaccia
indipendentista scozzese, mentre quest’anno tocca ai catalani. Per il resto le
preoccupazioni sono molto simili: un anno fa parlavamo di caos mediorientale, Ucraina,
Nord Africa e risiko delle politiche monetarie, tutti temi geopolitici ancora sul tavolo.
Chiudiamo chiosando il Prof. Onofri, ovvero segnalando come i forti sbalzi di volatilità,
aggiungiamo noi unitamente agli interventi di QE della BCE sulle singole emissioni
di bond, ottengano il risultato di rendere molto poco liquide posizioni di portafoglio
convenzionalmente ritenute tali. Questo effetto, necessariamente da aggiungere
all’impennarsi delle correlazioni positive tra tutti i mercati nelle fasi di “risk off”, tende a
vanificare l’asset allocation tattica tradizionale, rendendo invece necessarie strutturali
coperture dei rischi ritenuti non tollerabili.
Ringraziamo come sempre tutti i contributori a questo numero di ANTEO e auguriamo a
tutti una buona lettura!
prometeia
advisor sim
L'angolo dell'analisi
Prof. Paolo Onofri
I mercati finanziari hanno subito una
scossa rilevante nel mese di agosto, a
causa principalmente delle criticità rilevate
sull’economia cinese e le conseguenti manovre
adottate; innanzitutto ci potranno essere
riflessi sulle economie reali tali da modificare lo
scenario?
Cerchiamo di sollevare lo sguardo dalle
fluttuazioni giornaliere; la Cina era sotto
osservazione da qualche tempo sia per le
attese di sgonfiamento delle bolle immobiliari
e azionarie, sia per l’attesa di un rallentamento
strutturale del processo di catching-up in atto da
più di due decenni. In questi giorni cominciamo a
vedere che, come prevedibile, gli effetti di natura
strettamente finanziaria trasmessi ai mercati
mondiali non dovrebbero essere drammatici. Più
inquietanti gli effetti che transitano attraverso i
canali dell’economia reale e influenzano anche i
mercati finanziari per le attese di rallentamento
dell’economia mondiale. Questi canali sono
facilmente individuabili: il deprezzamento
del tasso di cambio dello yuan, che porta con
sé quello degli altri emergenti, la riduzione
dell’assorbimento di importazioni per la riduzione
dell’attività economica interna, la riduzione dei
prezzi delle commodity che esporta deflazione
verso le economie avanzate e riduce i redditi
per quelle emergenti, senza che la loro minore
domanda sui mercati mondiali sia compensata
pienamente dagli effetti di aumento del potere
d’acquisto nelle economie avanzate.
Finora è stato fatto molto affidamento al
ruolo delle banche centrali nello stabilizzare i
mercati; la situazione che si sta venendo a creare
potrebbe rendere più complessa la gestione
delle politiche monetarie rispetto a quanto
avvenuto finora?
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Nelle economie avanzate, tutto ciò rischia di
far aumentare i tassi di interesse reale attesi a
parità di quelli nominali. Un’azione di contrasto
richiederebbe la riduzione di quelli nominali
(impossibile, sono già a zero) e/o maggiori
acquisti attesi da parte delle Banche Centrali
sui mercati obbligazionari a lungo termine per
temperare l’effetto della minore inflazione
attesa. Di qui gli annunci, per il momento ancora
circospetti, di Mario Draghi circa la possibilità
di allargare le maglie del Qe (quantità e durata),
proprio per agire sulle aspettative ed evitare il
rialzo dei tassi reali attesi. Diversa è la situazione
della Fed, che si trova stretta tra necessità di
avviare il processo di normalizzazione della
politica monetaria dopo più di sei anni dall’inizio
della ripresa e l’intento di non amplificare gli
effetti negativi sull’economia mondiale che
discendono da quanto detto in precedenza su
Cina ed emergenti. In questa luce si spiegano
i messaggi inviati da tutti i membri del Fomc
che, comunque, quando procederanno al rialzo
questo sarà contenuto e la sua prosecuzione
nel tempo molto cauta. Rimangono, invece,
differenze sulla valutazione circa l’opportunità
di mettere fine a breve al “tormentone” (per dirla
all’italiana) “la Fed rialza o non rialza”. La cautela,
una volta eventualmente rialzato il tasso sui Fed
Funds, riguarderà anche la smobilitazione dello
stock di attivo accumulato dalla Fed, per cui
l’interventismo sui mercati non sarà comunque
terminato con la manovra sul tasso di policy.
Alla luce di queste vicende quali possono essere
gli elementi che possono assumere maggiore
rilievo nelle aspettative sui mercati?
I timori della Bce, la cautela della Fed e della
BoE, per non parlare della aggressività di
mercato della BoJ, sono le spie degli andamenti
prospettici, confermati dalle recenti vicende
estive, che la crescita mondiale sarà minore del
passato, l’inflazione, nonostante le politiche
monetarie espansive, sarà molto contenuta
e di conseguenza i tassi nominali lo saranno
altrettanto. L’andamento di quelli reali sarà il
risultato del fluttuare delle aspettative sui prezzi
dei beni e delle loro reazioni ai vari shock che
inevitabilmente si sperimenteranno ancora nel
futuro.
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La conseguenza sarà che, sia pure rientrata
rispetto ai livelli di queste settimane, la volatilità
dei rendimenti e delle quotazioni azionarie
permarrà a lungo sopra la norma. Le quotazioni
dei titoli decennali non lasciano tranquilli e
le oscillazioni dei loro prezzi possono essere
frequenti, inducendo fluttuazioni di origine
finanziaria anche sul mercato dei cambi.
L’ampiezza maggiore per tali valutazioni
riguarderà i cambi dei paesi emergenti,
mentre il tasso di cambio euro/dollaro, date le
considerazioni precedenti, dovrebbe muoversi
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entro ambiti più ristretti tra 1.15 -1.05 dollari per
euro.
La volatilità persistente può rendere più
illiquide posizioni che prima non lo erano pur
in presenza di elevata liquidità sui mercati e
quindi la valutazione della illiquidità relativa va
valutata non solo in relazione alla natura delle
singole attività finanziarie, ma anche alla loro
esposizione alla volatilità indotta da fenomeni
macroeconomici.
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contributi
Fundamental Indexing nei mercati dei Titoli di
Stato… come mai adesso?
Shane Shepherd, Ph.D., Senior Vice President,
Head of Macro Research — Research Affiliates
William de Vries, Head Core Fixed Income —
Kempen Capital Management
Emma Weeder, Portfolio Manager — Kempen
Capital Management
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er la maggior parte degli investitori,
l’allocazione in obbligazioni governative
rappresenta una parte importante
del portafoglio d’investimento
complessivo. Allo stesso tempo, ci troviamo in un
contesto difficile per investire in Titoli di Stato.
Tradizionalmente inseriti nei portafogli degli
investitori per fornire stabilità e sicurezza, oggi
i titoli di stato presentano numerose insidie che
costringono gli investitori alla cautela: le banche
centrali hanno azzerato i rendimenti, tenendo i
rendimenti attesi artificialmente bassi, e anche la
duration, il credito e i rischi di inflazione a lungo
termine sono aumentati. Una soluzione basata
su indici Fundamental Index può mitigare questi
rischi attraverso una selezione di titoli di stato
basata sui fondamentali economici sottostanti
dell’emittente. L’asset allocation prediligerà titoli
con indici di debito inferiori, emessi da paesi che
presentano un intervento più limitato delle banche
centrali, solitamente con un’economia più sana e
un’esposizione inferiore ai rischi di repressione
finanziaria.
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advisor sim
Ci piace pensare che i nostri mercati finanziari
siano efficienti e quotati equamente; ma questa
ipotesi di perfetta efficienza dei mercati non è
né innocua né affidabile. Per esempio, sembra
improbabile che l’attuale condizione dei mercati
europei dei tassi rifletta mercati dei capitali “liberi
ed equi”. La regolamentazione statale, l’intervento
sovranazionale, gli acquisti di asset da parte
delle banche centrali hanno interferito in maniera
significativa sulla determinazione dei prezzi dei
mercati obbligazionari mondiali, nel tentativo
di tenere i rendimenti artificialmente bassi nei
paesi storicamente caratterizzati da una spesa
finanziata con il debito. Gli investitori negli indici
cap-weighted, facendo affidamento sulla mano
invisibile di un mercato efficiente per guidare la
loro esposizione geografica, finiscono con l’avere
un’esposizione relativamente elevata a nazioni
molto indebitate, che operano con rendimenti
valutati in modo tale da offrire un rapporto
rischio/rendimento ridotto. Questa valutazioni
inefficienti dei mercati obbligazionari creano un
effetto negativo sui rendimenti (il return drag)
per gli investitori in indici cap-weighted. Questo
fenomeno è stato illustrato per i mercati azionari
da Arnott, Hsu e Moore (2005), Hsu (2006), e
per i mercati obbligazionari da Arnott, Hsu, Li e
Shepherd (2010) e Shepherd (2012).
Nei mercati dei titoli di stato questo problema
diventa particolarmente acuto. La capacità di
legiferare, normare o incentivare le decisioni di
investimento può creare un pubblico domestico
captive verso i titoli di stato nonché abbassare
i rendimenti a livelli sotto ai quali si parlerebbe
di mercato non regolamentato. L’impatto di
questa “repressione finanziaria”, come illustrato
da Reinhart, Kirkegaard e Sbrancia (2011), è un
trasferimento di ricchezza dai risparmiatori
agli emittenti di debito — in primo luogo di
debito pubblico — e assomiglia a una tassa sui
risparmiatori. La repressione finanziaria è diffusa
soprattutto nei paesi maggiormente gravati dal
debito che hanno più bisogno di ricorrere a queste
tecniche. Pertanto, gli investitori in indici di titoli
di stato cap-weighted sono maggiormente esposti
proprio ai paesi fortemente incentivati a mettere
in atto queste politiche repressive, e pertanto
sono più esposti al rischio di tassazione della
repressione finanziaria.
Alla luce di tutto ciò, gli investitori possono voler
evitare le esposizioni elevate ai paesi molto
indebitati e dove questi problemi sono molto
gravi. Inoltre, un portafoglio ponderato in base
all’emissione di debito si trova intrappolato in
un’allocazione maggiore ai paesi man mano che
il loro livello di debito aumenta. Un semplice
miglioramento può mitigare considerevolmente
questi problemi. Anziché ricercare esposizioni
geografiche basate sull’ammontare del debito
emesso, una soluzione Fundamental Index può
determinare l’esposizione del portafoglio in base
alla dimensione dell’economia, scarsamente
correlata alla capacità di servizio del debito, e
fornire un’esposizione passiva diversificata ai
mercati dei tassi senza rischiare ponderazioni
elevate verso paesi altamente indebitati. Questo
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processo determina inoltre un portafoglio meno
rischioso poiché gli emittenti di paesi molto
indebitati sono spesso esposti a un rischio
elevato di default. La ponderazione basata sulla
dimensione dell’economia elimina le correlazioni
tra un’errata valutazione dei prezzi e i pesi del
portafoglio. I mercati inefficienti con valutazioni
errate determinano errori nelle ponderazioni
basate sulla capitalizzazione poiché questi
errori vanno sempre nella stessa direzione.
L’indice risultante è sovrapesato in tutte le
componenti sopravvalutate e sottopesato in
tutte le componenti sottovalutate, attraverso una
ponderazione al “fair value”. Gli effetti negativi di
rendimento associati all’orientamento sistematico
della ponderazione sono potenzialmente elevati.
Empiricamente, il return drag vale da 50 a 80 bps
negli universi di titoli obbligazionari di qualità
più elevata, quali i titoli di stato dei mercati
sviluppati e i titoli corporate Investment Grade,
e 1.25% - 2.5% circa nei mercati obbligazionari
meno efficienti, come quelli del debito sovrano
emergente e dell’High Yield (Arnott, Hsu, Li,
Shepherd (2010)).
Dal concetto alla strategia
Un modo per applicare strategie Fundamental
Index ai titoli di stato consiste nel determinare
l’esposizione geografica attraverso una serie di
misure che riflettono la dimensione e la maturità
delle economie e non la dimensione del debito.
L’utilizzo di variabili multiple per stimare la
dimensione dell’economia può permettere una
misura ampia di diverse dimensioni del ciclo
economico. La stabilità dei fattori utilizzati per
determinare l’esposizione geografica è importante
perché fornisce un solido ancoraggio contro il
quale è possibile riequilibrare l’indice. Il processo
di ribilanciamento permette di aggiungere valore
rispetto al benchmark con un trading contrarian
rispetto ai movimenti dei prezzi nel mercato.
Le variabili della dimensione dell’economia
solitamente non prevedono i rendimenti futuri;
forniscono piuttosto un punto di riferimento
ragionevole per il ribilanciamento sistematico e
non sono deputate a riflettere la ponderazione
ottimale o l’esposizione corretta a un determinato
paese. Mentre una misura ragionevole della
dimensione permetterebbe probabilmente un
ribilanciamento redditizio, è sensato legare
questo ancoraggio alla capacità di un paese di
servire il debito. Le metriche ideali sarebbero
(1) misure ampie della dimensione – e della
dimensione potenziale prospettica – di un paese
nell’economia globale; (2) ampiamente disponibili
e oggetto di rendiconti regolari; e (3) indicative dei
fattori di produzione. L’economia classica prevede
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due “fattori di produzione” principali: il capitale e
la forza lavoro. Molti accademici ne aggiungono un
terzo: le risorse. Le variabili fondamentali a livello
di paese che soddisfano questi criteri includono
metriche come il PIL, la popolazione, la superficie
e la spesa energetica, quest’ultimo è un fattore
produttivo chiave nonché un indicatore del grado
di sofisticazione tecnologica.
Una volta determinati i fattori, il peso di un paese
si ottiene calcolando il peso relativo di ogni singolo
fattore del paese rispetto al totale globale. Per
esempio, il peso del paese Italia per il fattore
PIL sarà semplicemente il PIL italiano diviso
per la somma del PIL di tutti i paesi che hanno
emesso i titoli di stato che costituiscono l’indice.
I pesi finali del paese saranno la media dei pesi
del paese su ogni singolo fattore. Per ottenere
le caratteristiche più adeguate dell’indice con
il passare del tempo, è necessario un processo
di ribilanciamento poiché si presentano nuove
variabili fondamentali e i prezzi si scostano dalle
vecchie variabili fondamentali. Un ribilanciamento
annuale è il compromesso migliore tra queste
esigenze e il volume delle contrattazioni richiesto
dal trading. Solitamente i movimenti di prezzi
determinano la maggior parte dell’attività di
ribilanciamento, permettendo di cogliere un
rendimento più elevato. Ritornare a queste
ponderazioni fondamentali stabili e con movimenti
limitati ridurrà sistematicamente l’esposizione
a paesi il cui debito si è apprezzato e aumenterà
l’esposizione ai paesi il cui debito è sceso rispetto
al ribilanciamento precedente. Nella misura in cui
i cambiamenti delle valutazioni del debito di un
paese sono determinati da un processo efficiente
di mercato che riflette i cambiamenti di fair value,
gli scambi hanno un effetto neutro sull’investitore;
se tuttavia le modifiche delle valutazioni sono
dovute in parte a errori dei prezzi, il processo
di ribilanciamento consente agli investitori di
cogliere il valore incrementale al correggersi delle
valutazioni (nel tempo).
I risultati empirici
La tabella 1 illustra i risultati della simulazione
della performance di un portafoglio Fundamental
Index per titoli del Tesoro di paesi sviluppati come
descritto precedentemente. Da gennaio 2001,
un tale portafoglio avrebbe sovraperformato
l’indice di riferimento basato sulla capitalizzazione
di mercato di 80 bps annualizzati con un indice
di Sharpe superiore. La volatilità leggermente
superiore è dovuta alla maggiore esposizione
valutaria (i rendimenti sono calcolati in USD senza
coperture e con un’esposizione media inferiore
a Titoli di Stato USA, l’indice Fundamental Index
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Tabella 1: Rendimenti medi e caratteristiche (giugno 2015)
Portafoglio
Rendimento
annualizzato
Deviazione
Standard
Indice di
Sharpe
Rating medio
del credito
Rendimento
medio
Duration
Modificata
Indice Fundamental Index
6.5%
7.4%
0.69
AA+
1.28%
6.72
Benchmark ponderato sulla
capitalizzazione di mercato
5.7%
6.8%
0.63
AA
1.15%
7.11
Fonte: Research Affiliates LLC, basata su dati Bloomberg e Citi. Rendimento annualizzato, deviazione standard e Sharpe Ratio
calcolati nel periodo gen 2001 – giu 2015; credit rating medio,rendimento medio e duration modificata sono rappresentati per
singolo portafoglio al giugno 2015. Il benchmark ponderato sulla capitalizzazione di mercato è un portafoglio cap-weighted con gli
stessi titoli del paese utilizzati per la costituzione del portafoglio Fundamental Index. I rendimenti sono in USD senza coperture.
ha un’esposizione valutaria media maggiore). Si
ottengono rendimenti più elevati nonostante
un credit rating medio migliore e una duration
inferiore. L’indice Fundamental Index evita la
“tassazione della repressione finanziaria” tipica
delle nazioni altamente indebitate, e permette il
ribilanciamento rispetto alla volatilità dei prezzi,
avvantaggiandosi così dalle inefficienze tipiche
di un noisy market. Questo processo realizza la
promessa dello Fundamental Index associando
rendimenti più elevati a una minore esposizione
al rischio in un volume di contrattazioni basso, un
formato facilmente realizzabile per permettere
un’esposizione intelligente ai mercati dei titoli di
stato.
Come mai adesso
Recentemente, la Cina è diventata una nuova
protagonista del gioco delle svalutazioni
competitive messo in atto dalle principali economie
mondiali. Ha deciso di svalutare il Renmimbi a causa
delle difficoltà per l’economia cinese di affrontare
gli effetti della svalutazione monetaria operata dai
suoi principali partner commerciali, il Giappone e
l’Europa. La politica monetaria giapponese aveva
come obiettivo svalutare lo yen rispetto al dollaro
USA e all’euro. I massicci programmi di quantitative
easing sono lo strumento di politica monetaria
utilizzato per dare fiato all’economia. L’Europa ha
esitato prima di avviare il QE, ma da quest’anno la
BCE acquista 60 miliardi di euro di titoli governativi
al mese. E anche se un euro più debole non è
l’obiettivo ufficiale, Mario Draghi ripete a iosa che
poiché la ripresa è ancora in fase embrionale, un
euro forte non è scontato. Nel frattempo, la Federal
Reserve americana intende rimandare ancora un
primo rialzo dei tassi poiché teme l’impatto di un
dollaro forte sull’economia.
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Non ci sono vincitori in una guerra valutaria. Le
politiche del rubamazzo sono difficili da perseguire
se si crea un effetto a catena. Ed è una guerra che
determina gravi distorsioni nei mercati dei titoli
di stato, perché buona parte del debito sovrano
è assorbita dai bilanci sempre più gonfiati delle
banche centrali. I rendimenti sono artificialmente
bassi. Visti questi sviluppi, è difficile continuare
a credere che gli attuali prezzi del mercato
obbligazionario riflettano il fair value dei titoli.
Con il quantitative easing come unico tema
dominante dei mercati dei titoli di stato,
scorgiamo tre importanti sviluppi:
1. Il rendimento, e quindi il rendimento atteso
dei titoli sovrani, è ai minimi storici.
2. La duration degli indici dei titoli di stato è
in aumento, perché i debitori sono tentati
di assicurare a lungo termine questi livelli
estremamente bassi dei rendimenti.
3. La qualità del debito dell’indice dei titoli
di stato si sta deteriorando, perché le
emissioni di titoli sovrani di qualità elevata si
riduce mentre gli emittenti di scarsa qualità
sembrano in grado di emettere una quantità
illimitata di debito.
Significa che quest’anno il mercato dei titoli di stato
riserva solo cattive notizie? Naturalmente no. Gli
investitori obbligazionari si trovano nella stessa
situazione dell’anno scorso, quando non sembrava
essere immaginabile nessun altro scenario oltre a
quello dei rendimenti più elevati dei titoli di stato e
di return loss. Ci sbagliavamo. E, per quanto possa
sembrare surrealistico, i titoli di stato potrebbero
rimanere a questi livelli ancora a lungo perché la
ripresa economica mondiale appare fragile e la
guerra valutaria non è terminata. Il calo dei prezzi
delle commodity e le svalutazioni competitive
creano un contesto di investimento più volatile.
In questo mondo caratterizzato dall’incertezza,
aumenta la domanda di obbligazioni di qualità
elevata mentre l’offerta scarseggia. La filosofia
dell’indice basato sui fondamentali, fondata sul
verificarsi di sviluppi economici strutturali di lungo
termine in un paese, presenta i vantaggi di costo
classici delle soluzioni di investimento passive ed
evita di essere risucchiati nella “trappola del debito”
dell’esposizione massiccia a emittenti con una
qualità del credito discutibile.
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contributi
Focus sul mercato dei bond ibridi
François Lavier, CFA — Lazard Frères Gestion
N
ell’attuale mercato obbligazionario
caratterizzato da tassi bassi, ma
anche dal rischio della loro prossima
impennata, ci sembra opportuno
riprendere e analizzare più a fondo i diversi
comparti del mercato obbligazionario, per
rompere il classico dualismo “Titoli di stato/
Corporate bonds” e identificare quei segmenti di
mercato che offrono ancora valore.
Dopo una rapida rassegna del mercato
obbligazionario europeo, nonché delle
performance registrate dai principali comparti,
l’autore propone di centrare l’analisi sul segmento
dei bond ibridi bancari. Questa nicchia da 650
miliardi di euro circa, presenta un allineamento
astrale che raramente si verifica per gli
investitori istituzionali dove, al miglioramento
dei fondamentali, si aggiungono valutazioni
ancora piuttosto interessanti e una domanda
di titoli fortemente sostenuta dagli investitori.
Per ultimo, si evidenzieranno le competenze
necessarie e i fattori chiave per investire in
questo specifico comparto.
Il segmento dei bond ibridi bancari all’interno
del mercato obbligazionario
A fine luglio 2015 l’annata si è rivelata alquanto
agitata rispetto alle performance per gli investitori
nel mercato obbligazionario europeo. Il repentino
aumento dei tassi d’interesse a lungo termine
in Europa da fine aprile, nonostante gli acquisti
della BCE, ha condizionato le performance deboli
o negative in numerosi comparti. Così, secondo
gli indici Bloomberg, mentre il debito sovrano
dell’Eurozona (BEUR Index) ha registrato una
performance dello +0,47% YTD, i titoli Investment
Grade (BERC Index) sono entrati invece in territorio
negativo (-0,60%). I rendimenti nominali di questi
due indici sono scarsi: 0,87% per il debito sovrano,
con uno spread di 49 bps sui Bund tedeschi, e 1,16%
per le emissioni IG, con uno spread di 98 bps, con
duration a 7 o 5 anni rispettivamente. Lo scarso
reddito di questi due segmenti non ha permesso
di compensare un’impennata dei tassi tale come
quella registrata la scorsa primavera.
Invece di limitare il mercato obbligazionario
a questi due segmenti principali, proponiamo
di analizzare più approfonditamente la sua
composizione. Il grafico sottostante mostra
il mercato obbligazionario europeo suddiviso
in grandi segmenti a sinistra (debito sovrano,
obbligazioni bancarie e corporate bonds), poi
in sotto-segmenti di obbligazioni bancarie nel
Una asset class importante
Dimensioni e spaccato del mercato obbligazionario europeo (in mld €)
Bond quasi sovrani
1 492
Obbligazioni subordinate
648 miliardi di €
Bond sovrani
7 504
Bond sovrani
e
quasi sovrani
8 996
Cartolarizzazioni
1 544
Bancari
6 766
Corporate bonds
2 414
Corporate
convertibles
100
Corporate HY
300
Senior bonds
1 822
Covered Bonds
2 752
Subordinate
648
Assicurazioni
Subordinate
Banche
108
Tier 2
Additional
Tier 1
291
114
Banche «old»
Tier 1
135
Corporate IG
2 014
Totale: 18 200 miliardi di euro
Fonte: Lazard, BCE e Morgan Stanley, 27 febbraio 2015 .
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12
Hybrids
Tier 2
AT1
Equities
Senior
mezzo e, infine, all’interno dei bond ibridi, suddiviso
nei vari tipi di titoli emessi nel grafico di destra.
mostra i diversi veicoli disponibili, classificati per
livelli di rischio crescenti da destra a sinistra.
Il mercato del debito ibrido è un mercato da 650
miliardi di euro circa, ossia oltre il doppio delle
dimensioni del mercato europeo delle obbligazioni
high-yield e più di 6 volte quelle del mercato delle
obbligazioni convertibili europee. Gli investitori
istituzionali al momento di realizzare le allocazioni
spesso decidono di investire su un portafoglio di
obbligazioni HY o convertibili pari a circa il 5%, ma
ignorano il segmento dei bond ibridi. Sottovalutare
questo mercato, a nostro avviso, è un errore
che va corretto per svariati motivi, oltre che per
l›importanza delle sue dimensioni.
Il segmento dei bond ibridi offre l’enorme
vantaggio di consentire un compromesso in
fatto di rischio/rendimento tra azioni da un lato e
obbligazioni senior dall’altro. Permettere inoltre
di costruire un portafoglio assai più diversificato
rispetto a quello costituito unicamente da azioni
del settore bancario.
Motivo n. 1: la diversificazione per un binomio
rischio-rendimento. Semplificando, possiamo
affermare che ogni investitore dispone di circa
tre possibili veicoli d’investimento possibili in
emittenti bancari: azioni, sapendo che la metà
del sistema bancario europeo non è quotata;
bond tradizionali senior “unsecured”, e infine
un comparto detto ibrido, che raggruppa
tutte le obbligazioni subordinate e i titoli di
capitale contingente. Il diagramma successivo
A fine luglio 2015, stando agli indici di JP Morgan e
Barclay, le obbligazioni subordinate bancarie Tier 2
(JPSULTEI Index) dimostravano una performance
di + 1,6% YTD, e le obbligazioni “Additional Tier
1” in euro (BCCUTREU Index) di +5,7% YTD. I
rendimenti offerti da questi indici sono del 2,7% e
5,2%, con degli spread di 240 bps e 530 bps ed una
duration a 4,6 e 4,3 anni rispettivamente. Questi
titoli hanno sovraperformato il resto del mercato
obbligazionario grazie non solo al loro rendimento
ed i loro spread più elevati, ma anche alla loro
duration ridotta, che li rende meno sensibili alle
oscillazioni dei tassi.
Osservando la volatilità di questa classe di attivi, la
Bassa volatilità annuale persistente
Volatilità annuali consecutive (260 giorni) -cronologia
65
Stoxx 600 Europe Banks ND
60
JPM Susi T1 Index
55
JPM Susi LT2 Index
50
Objectif Crédit Fi
45
Objectif Capital Fi
40
35
30
25
20
15
10
5
0
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Fonte: Lazard, JP Morgan e Bloomberg data: 30/06/2015Calcoli realizzati su base giornaliera.
L’opinione espressa sopra risale al mese di luglio 2015 ed è suscettibile di modifiche.
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Livelli di spread tuttora elevati
Evoluzione degli spread delle obbligazioni LT 2 (JP Morgan Subordinated Security Index Lower
Tier II Banks Govt Spread)
1 000
280
900
270
800
260
700
250
600
240
500
400
Periodo
recente 220
300
210
200
200
100
190
A 12 mesi consecutivi
230
180
0
01-01 05-02 09-03 01-05 05-06 09-07 01-09 05-10 09-11 01-13 05-14
07-14
09-14
11-14
01-15
03-15
05-15
07-15
Fonte: Bloomberg, JP Morgan 14/07/2015.
L’opinione espressa sopra risale al mese di luglio 2015 ed è suscettibile di modifiche.
volatilità annua oscilla attualmente intorno al 2-4%
a seconda del tipo di bond ibridi, ossia 5-10 volte
meno rispetto alle azioni bancarie. Questo tasso di
volatilità è storicamente “normale”, con picchi che
sono saliti fino al 20-40%, in funzione dei veicoli,
al culmine della crisi finanziaria del 2008-09. Il
grafico sottostante mostra l’evoluzione del tasso di
volatilità secondo gli indici di JP Morgan.
Motivo n. 2: le valutazioni interessanti in termini di
rendimento e spread. A seconda degli emittenti, le
maturità e il tipo di titoli, i rendimenti oscilleranno
tra 2,5-5% per le obbligazioni Tier 2 e il 3-7% per
le “Additional Tier 1”. Per contro, le obbligazioni
bancarie senior “unsecured” offrono un misero 1,1%,
come i corporate bond IG, mentre le obbligazioni
HY offrono quasi il 4%. Il rendimento dei bond ibridi
è quindi superiore per degli emittenti di qualità
paragonabile o superiore a quella di altri segmenti
del mercato obbligazionario.
Osservandone le valutazioni dal punto di vista
degli spread, il panorama è altrettanto allettante:
nel comparto “Lower Tier 2” ad esempio, gli spread
si aggirano attualmente sui 240 bps, quasi 10
volte il livello minimo prevalente prima della crisi.
Il grafico successivo mostra l’evoluzione degli
spread delle obbligazioni bancarie Tier 2 dopo 15
anni a sinistra, e su 1 anno consecutivo a destra.
Per le “Additional Tier 2” gli spread si aggirano
mediamente sui 400-650 bps in funzione degli
emittenti. Il principale rischio supplementare di
questi titoli rispetto alle Tier 2 è quello di mancato
pagamento della cedola. Ciò significa che per
sopportare questo rischio supplementare, un
investitore in bond ibridi “Additional Tier 1” riceverà
un supplemento variabile di 160-400 bps rispetto a
un’emissione di Tier 2.
Motivo n. 3: i fattori tecnici della domanda e
dell’offerta. Le banche emettono bond ibridi
in quanto obbligate per legge. Ciascun istituto
deve disporre almeno dell’1,5% di obbligazioni
“Additional Tier 1” (AT1) e del 2% di obbligazioni
Tier 2. Alcune banche ne emettono in misura
superiore, ma nel complesso il mercato primario
si aggira sui 50-70 miliardi di euro di emissioni
all’anno, un livello assolutamente assorbibile dal
mercato. In tal modo si assicura un rinnovamento
regolare degli stock esistenti. Per quanto riguarda
la domanda, questa è assai eterogenea: molti
investitori istituzionali sono posizionati sul
comparto Tier 2 innanzitutto per questioni di
rating, e poi per la minor complessità. Nei titoli
più rischiosi, come le obbligazioni “Additional
Tier 1” gli investitori più numerosi sono le banche
private, i fondi specializzati, i fondi total return e
i fondi hedge ossia la totalità della community di
investitori non soggetti a restrizioni particolari
di capitale o di rating dei titoli soggiacenti dei
portafogli. Questi ultimi titoli offrono migliori
prospettive di rendimenti e performance, ma
la loro complessità ha indotto molti investitori
a posporre la loro adozione come veicolo
di investimento. Riteniamo comunque che,
considerata la qualità degli attuali emittenti in
questo segmento, gli investitori dovrebbero
riconsiderare le loro posizioni, affidando a
terzi esperti in questi titoli la gestione ed il
monitoraggio di questi portafogli.
prometeia
advisor sim
Motivo n.4: la qualità di emittenti e delle
emissioni dal punto di vista del rating. La maggior
parte dello stock di obbligazioni Tier 2 ha un rating
pari a BBB o persino A. Per quanto riguarda le
obbligazioni Tier 1, la maggior parte ha un rating
BB. Un portafoglio costituito principalmente da
bond ibridi Tier 2 avrà quindi un rating medio BBB,
mentre un portafoglio composto principalmente
di obbligazioni AT1 avrà un rating medio BB. Si
tratta di un fattore importante perché spiega
l’essenza dell’attuale dualismo degli investitori in
questa classe di titoli. Ciononostante, riteniamo
poco prudente sia affidarsi esclusivamente alle
agenzie di rating per la selezione dei veicoli di
investimento, che basarsi solo sul rating dei
titoli per valutare il rischio effettivo sopportato
dall’investitore. Il rischio sottostante al titolo
infatti è quello dell’emittente. Noi invece crediamo
che sia meglio investire in un veicolo emesso da
un emittente solido, con rating A o BBB, la cui
emissione ottenga un rating inferiore, piuttosto
che in un emittente e un veicolo con rating identici,
ma appartenenti entrambi alla categoria HY. La
probabilità di insolvenza e quindi di perdite per
l’investitore è assai inferiore per gli emittenti di
buona qualità. Noi crediamo che un portafoglio
gestito attivamente e monitorato giornalmente
offrirà migliori performance nonché un miglior
binomio rischio-rendimento. Gli investitori
istituzionali dovrebbero riconsiderare la questione
da questo punto di vista e approfittare delle
numerose opportunità nel mercato dei bond ibridi.
prometeia
advisor sim
A
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14
Per ultimo, motivo n. 5: miglioramento dei
fondamentali. Sotto la spinta delle nuove
direttive (Basilea 3 e Solvency 2), ma anche della
pressione degli investitori e della concorrenza, gli
emittenti del settore bancario hanno continuato
incessantemente a migliorare la qualità dei dati
dei loro bilanci dalla crisi finanziaria. La quantità
nonché la qualità dei fondi propri non ha cessato
di crescere, con oltre 1.000 miliardi di euro di
aumento dei fondi propri di base delle banche
europee dalla fine del 2007, ossia +70% in 7 anni.
Le dimensioni dei bilanci sono fissate per legge e
non aumentano più, anzi diminuiscono per molti
istituti. La conseguenza: una diminuzione del tasso
di leverage, ai livelli più bassi da 20 anni a questa
parte per le banche europee. Gli istituti bancari
sono pertanto oggi non solo più forti, ma anche
meno rischiosi. Questa tendenza è strutturale e
non è destinata a invertirsi nei prossimi 2-3 anni,
grazie alla supervisione delle autorità di vigilanza
e dei mercati. Il settore bancario è quindi uno dei
pochi settori che offre visibilità nel perseguimento
del miglioramento dei propri fondamentali.
E questa è una qualità rara e preziosa per gli
investitori istituzionali.
Come approfittare di questo mercato ed
evitare i rischi principali
Conviene ricordare che i bond ibridi non sono
privi di rischi. È quindi importante sforzarsi di
conoscere non solo i rischi propri del settore
bancario in generale, degli emittenti, ma anche e
soprattutto delle caratteristiche dei diversi titoli
su cui si posizionerà l’investitore istituzionale. Ogni
emissione è differente e dotata di caratteristiche
peculiari proprie dipendendo dalla categoria, le
cedole, le date di rimborso anticipato, la modalità
di fissazione della cedola in assenza di rimborso
anticipato, il rischio di mancato pagamento delle
cedole, di perdita del capitale in determinate
circostanze per insolvenza dell’emittente o i rischi
associati a clausole di declassamento del titolo
imposto dalla legge.
Gli investitori sopravvissuti alla crisi finanziaria
hanno imparato la lezione. Alcuni titoli di banche
in difficoltà hanno pagato le loro cedole, altri
dello stesso emittente, no. Alcune emissioni sono
state rimborsate in anticipo come previsto, altre
no. Alcuni bond ibridi hanno causato perdite di
capitale per i loro detentori, altri dello stesso
emittente sono riusciti a evitarle. La conoscenza
delle caratteristiche di ciascun titolo è quindi
fondamentale. La lettura dei prospetti delle
emissioni, documenti particolarmente densi
e tecnici, è quindi un passaggio obbligato per
comprendere i rischi cui ci si espone. L’universo
dei bond ibridi comprende più di 2.000 differenti
emissioni. Sviluppare pertanto delle competenze
in questo segmento non è semplice e non si può
improvvisare.
Alcuni investitori istituzionali comprano i bond
ibridi come veicoli che offrono un coefficiente
beta rispetto a un indice di mercato. È un’idea
eccellente, ma noi pensiamo che si debba andare
oltre, attuando un’analisi dei rischi da evitare e
delle opportunità da cogliere in relazione alle
valutazioni dei mercati. La generazione di una
performance superiore a quella del mercato
in generale è quindi possibile disponendo dei
seguenti punti forti:
1. Capacità di ricerca ed analisi fondamentale
“equity-debt” degli emittenti bancari, per
anticipare le tendenze nei fondamentali di
ogni emittente.
2. Strumenti di analisi e monitoraggio dei
mercati obbligazionari specificamente
focalizzati sul debito ibrido, per rilevare
rapidamente qualsiasi inversione di tendenza
nel settore o nei mercati.
3. Conoscenza approfondita del vasto universo
A
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15
investibile e delle caratteristiche dei
titoli in portafoglio, per poter effettuare
una selezione oculata valutando rischi e
potenzialità del singolo investimento.
4. Monitoraggio regolare del rischio normativo,
per misurarne l’impatto sul settore bancario,
sugli emittenti, ma anche sulle emissioni.
5. Gestione multi-valuta del portafoglio, per
approfittare della diversificazione offerta
dai titoli in valuta estera e delle differenze di
valutazione.
6. Reattività nei mercati obbligazionari, con
particolare riferimento a quei mercati
contraddistinti da una situazione di scarsa
liquidità destinata a protrarsi nel tempo.
Definizioni:
Oltre a una gestione fondamentale per
selezionare i rischi buoni ed eliminare quelli cattivi,
quest’ultimo punto è fondamentale. La solidità di
un emittente non è mai strutturale ma in continua
evoluzione dipendendo dall’ambiente macro e
dalle decisioni manageriali. Un portafoglio di
bond ibridi non può quindi rimanere statico, ma
deve evolversi per liquidare rapidamente i titoli
emessi da istituti i cui fondamentali si stanno
deteriorando. La seconda ragione a favore della
gestione attiva è l’ottimizzazione del portafoglio,
non solo esclusivamente dal punto di vista dei
fondamentali, ma anche delle valutazioni o dei
fattori tecnici. Due emissioni di un identico
emittente possono essere valutate di volta in volta
diversamente, creando delle opportunità. Tali
opportunità sono più numerose specie in momenti
in cui i mercati obbligazionari sono caratterizzati
da una certa illiquidità, che rappresenta
certamente una fonte di rischio, ma anche di
valore aggiunto, soprattutto per investitori a lungo
termine.
In conclusione, cosa desumere
dall’analisi di questo segmento di
mercato di nicchia? In un periodo in cui le
opportunità nei mercati obbligazionari
sono più rare e i rendimenti rischiano
di rimanere stabilmente bassi per il
contesto economico, il settore bancario
offre un allineamento astrale perfetto:
1) dei fondamentali solidi e in netto
miglioramento per l’impulso delle nuove
normative, 2) delle valutazioni piuttosto
interessanti a fronte di un rischio moderato
e 3) un’offerta ragionevole in un mercato
già consolidato e ben sviluppato, con
una domanda in notevole crescita da
alcuni trimestri trainata dagli investitori
istituzionali che ricominciano a considerare
attrattivo questo segmento.
Al giorno d’oggi è possibile quindi formare
due portafogli: uno focalizzato, ma non
esclusivamente, a obbligazioni Tier 2, che
offrono rendimenti del 3-4% con un portafoglio
globalmente classificato Investment Grade
(intorno a BBB) e l’altro focalizzato a obbligazioni
“Additional Tier 1”, che offrono rendimenti del
5-6%, ed un rating medio pari a BB. Questi due
portafogli ci sembrano complementari ed è
consigliabile diversificare i portafogli integrando
entrambe le strategie seconda delle capacità di
ciascuno di assumere o meno rischi (ad esempio
intorno a 2/3 di obbligazioni Tier 1 e 1/3 di
obbligazioni “Additional Tier 1”).
Bond ibridi (altrimenti denominati anche
obbligazioni bancarie subordinate) si dividono in 2
comparti:
»» Obbligazioni Tier 2: titoli più simili ad obbligazioni
tradizionali in fatto di pagamento delle cedole
e rimborso del capitale, tranne in caso di
salvataggio della banca emittente, nel qual caso i
titoli possono soffrire elevati rischi di perdite.
»» Obbligazioni “Additional Tier 1”: titoli simili
ad azioni per le loro caratteristiche. Sono
perpetui, le cedole possono non essere
liquidate interamente come i dividendi, ma i
detentori hanno diritto ogni anno a una cedola
fissata anticipatamente secondo un calendario
e una formula specificati nel prospetto
dell’emissione. Come le obbligazioni Tier 2, in
caso di salvataggio della banca emittente, i
titoli possono soffrire elevati rischi di perdite.
François Lavier, CFA, è analista/gestore di Objectif Crédit
Fi e di Objectif Capital Fi. Si è unito a Lazard Frères Gestion
nel 2008. In qualità di analista, François è responsabile del
settore finanziario europeo,
banche de assicurazioni ed è
specializzato in obbligazioni
finanziarie.
In precedenza ha lavorato per
Groupe OFI, come responsabile
di analisi del credito dal 2004
al 2008, responsabile di
controllo interno dal 2002 al
2003, nonché responsabile di
controllo del rischio per le attività per conto proprio dal
1998 al 2001. Possiede un Master in Contabilità, controllo e
audit dell’Institut National des Techniques Economiques et
Comptables ed è Chartered Financial Analyst dal 2008.
prometeia
advisor sim
A
anteo
16
contributi
Fondi Long/Short azionari: uno strumento
efficiente per mercati difficili
Giacomo Mergoni, Chief Executive Officer —
Banor Capital Limited
I
gestori di portafogli istituzionali si
confrontano regolarmente con un dilemma:
l’obiettivo di rendimento del portafoglio è di
lungo periodo mentre gli eventi e le emozioni
(e i rendiconti) viaggiano su un calendario ben
più corto. Il gestore, in buona fede, ritiene
spesso che un investimento “tradizionale” long
only sia lo strumento ideale per risolvere il
dilemma: consente di cogliere a pieno la crescita
naturale di lungo periodo dei mercati e in caso
di correzioni significative consente di ridurre
l’esposizione azionaria in modo repentino. Ma
proprio per l’interferenza del fattore emotivo,
della pressione per generare sempre risultati
positivi e per la difficoltà di “tradare” il mercato col
giusto tempismo, anche il gestore più avveduto
può trovarsi in grosse difficoltà e creare danni
permanenti al portafoglio.
Negli ultimi anni però la normativa europea (caso
raro) è andata in aiuto dei gestori, consentendo
loro di accedere a strategie e strumenti prima
riservati a investitori molto sofisticati e a
portafogli non soggetti a limitazioni in termini
di liquidabilità e regolamentazione degli
investimenti. In parole povere, la normativa
UCITS IV ha introdotto nell’universo investibile
dell’istituzionale europeo gestori e strategie
alternative (ad es. Long/Short) con liquidità
giornaliera, regolamentazione europea e
armonizzazione fiscale. Al gestore istituzionale
non rimane (si fa per dire…) che selezionare
i prodotti e soprattutto i gestori giusti a cui
affidare i vari tasselli che compongono il proprio
portafoglio, sapendo che, a differenza di prima,
l’onere del market timing è delegato anch’esso al
gestore del fondo, un professionista che dedica
a questo gran parte della sua vita. Il gestore
istituzionale deve dare al gestore del fondo il
tempo per realizzare a pieno il potenziale della
propria strategia, esigendo – dopo tale periodo –
un rendimento ponderato per il rischio superiore a
quello dei mercati azionari di riferimento.
prometeia
advisor sim
Non dimentichiamoci che quelle che noi chiamiamo
“strategie alternative” sono state create nella
prima metà del novecento in America proprio per
gestire in modo efficiente i grandi patrimoni delle
grandi famiglie industriali, con un profilo di rischio/
rendimento molto simile a quello delle fondazioni
e dei fondi pensione di oggi.
La vera discriminante è la selezione del gestore e
della strategia giusta e per questo esistono intere
biblioteche e dottorati, sebbene l’esperienza e il
buon senso siano forse gli asset più rilevanti.
Assumendo dunque di aver le capacità per
selezionare i gestori e le strategie giusti e
limitandoci a quello che conosciamo meglio
(le strategie fondamentali-value long/short)
vediamo come queste possono contribuire in
modo efficiente al rendimento di un portafoglio
istituzionale anche nell’attuale scenario.
L’estate appena trascorsa ha tolto il sorriso ai
mercati e a molti investitori. Quello che sembrava
un anno da celebrare è al momento (inizio
settembre) un anno mediocre/brutto, con USA,
Europa e Asia in territorio negativo. Sottolineiamo
“al momento” perchè non riteniamo che gli eventi
di quest’estate indichino un cambiamento nel
paradigma che guida le nostre idee di investimento
ormai da diversi mesi. Se non ci sbagliamo dunque,
passato il clamore dei titoli di giornale catastrofici,
molti mercati potrebbero tornare in territorio
positivo dopo aver scremato parte degli eccessi
passati ed aver lasciato qualche operatore con
ferite anche importanti.
All’inizio dell’anno scrivevamo che “…Gli Stati
Uniti hanno confermato la lenta ripresa in corso,
il dollaro si è rafforzato, tornando intorno a un
fair value di lungo periodo, il sistema industriale
è forte e l’over capacity si sta riassorbendo.
In Europa stiamo finalmente realizzando di
trovarci in piena deflazione ed essendo i governi
oberati dai debiti, stiamo discutendo di politiche
monetarie non convenzionali. In Cina, dopo tre
anni in cui gli investitori si interrogano sull’hard
landing, ci sembra più corretto parlare di un
long landing. Il governo continua a concentrarsi
sulla qualità della vita e la crescita domestica,
cercando di togliere ossigeno alla speculazione e
contemporaneamente di sostenere la domanda
di credito al consumo. Nonostante queste
A
anteo
divergenze, gli strumenti adoperati dai vari governi
sono pressochè gli stessi: tassi bassi e una corsa
alla svalutazione per agevolare l’export sono
un tema comune, con alterne fortune. Chi può
permetterselo, cioè la Cina, utilizza le leve fiscali. “
Rispetto ad allora, la bolla delle A shares cinesi è
scoppiata, e molti investitori l’hanno confusa con
un crollo dell’economia cinese (l’Economist del
27 Agosto titolava in copertina “The great fall of
China”, un evidente segnale di acquisto!). Se, come
ci riporta il nostro gestore sul campo, l’impatto
dello scoppio della bolla sui consumi cinesi
sarà limitato e transitorio, torneremo presto a
meravigliarci per quanto petrolio, acciaio, carne e
borsette consumano i cinesi.
L’investitore istituzionale con un portafoglio
bilanciato “classico” si trova rendimenti
obbligazionari pressochè piatti e rendimenti
azionari piatti o negativi. Lo stesso gestore,
con in portafoglio strategie absolute return
obbligazionarie e fondi long/short azionari, può
anch’esso avere una performance “low single digit”,
ma, nell’ipotesi iniziale di aver scelto il gestore
giusto, sa che i gestori dei suoi fondi hanno
gli strumenti adeguati per limitare le perdite,
partecipare al recupero e limitare la volatilità
andando lunghi e corti e variando l’esposizione
netta dei fondi. Strumenti questi che i gestori long
only non hanno.
Per diversi motivi, riteniamo che i tre blocchi
geografici a cui abbiamo appena fatto cenno
si affrontino meglio, anche in questa fase, con
17
strumenti long/short.
Negli Stati Uniti, dopo tre anni di bull market,
gli investitori sono più cauti e aspettano l’inizio
del ciclo restrittivo della Fed. Ci aspettiamo un
mercato “orizzontale” dove un gestore long/short
capace può discriminare tra titoli sopravvalutati
e titoli con maggior potenziale e generare alpha
(extra rendimenti rispetto al mercato). In Europa il
gestore long/short ha lo strumento per districarsi
tra le fasi di euforia e quelle di panico utilizzando
l’esposizione netta in modo tattico. In Cina,
quando l’attuale movimento (molto importante)
in corso sarà terminato, gli investitori torneranno
a concentrarsi sulla crescita dell’economia
domestica, trascurando i settori che hanno
beneficiato della prima fase dell’espansione
cinese (infrastrutture, costruzioni, esportazioni).
Gli investitori saranno in buona compagnia: il
governo e la banca centrale cinese guardano nella
stessa direzione. Un investitore long/short ha,
anche in Cina, gli strumenti per discriminare tra
questi due macro-settori.
Per concludere, sebbene in situazioni molto
diverse, e per motivi diversi, quello che accomuna
queste tre aree è la grande difficoltà di investirle
con strumenti tradizionali e i nervi a fior di pelle.
Per questi motivi selezionare dei bravi gestori,
che guardino ai fondamentali e al posizionamento
delle aziende in modo coerente nel tempo, e
dare loro gli strumenti per separare il buono dal
marcio e guadagnare su entrambi, è secondo
noi la strategia vincente (anche) per un gestore
istituzionale.
prometeia
advisor sim
A
anteo
18
osservatorio prometeia
Asset Allocation: alla conquista del West o un
americano a Roma?
dalle attese sul tasso (nominale) di breve termine
dalla data di emissione fino alla scadenza e quindi
dall’evoluzione delle sue due componenti: il tasso
reale e quello di inflazione a breve termine. L’altra
componente che determina il rendimento è il
premio al rischio, il cosiddetto term premium, che
è il compenso per detenere fino a scadenza un
titolo a lungo termine piuttosto che investire su
una serie di strumenti a breve. Il term premium
dipende dalla incertezza sull’evoluzione dei tassi
(reali e di inflazione), dall’avversione al rischio
degli investitori e dall’ammontare di liquidità
del mercato. Su questi elementi agiscono le
politiche non convenzionali delle Banche centrali
che quindi, con l’acquisto di titoli, contribuiscono
a ridurre il term premium. Ed è quello che è
accaduto negli ultimi anni, come emerge dalla
Fig. 1 in cui il tasso tedesco è stato scomposto
nelle sue componenti. Il term premium ha iniziato
a ridursi anche prima dell’intervento della Bce
perché su di esso avevano avuto effetto le misure
di QE intraprese dalle altre banche centrali e altre
misure non convenzionali della stessa Bce, tra cui
le operazioni di rifinanziamento a lungo termine.
A partire dal simposio annuale dei banchieri
centrali a Jackson Hole, ad agosto 2014, in cui
Francesco Amoroso, Emanuele De Meo,
Lorenzo Prosperi, Giacomo Tizzanini,
Ugo Speculato, Lea Zicchino, — Prometeia
(sintesi della presentazione tenuta da Lea
Zicchino a Barcellona in occasione del XI Percorso
di InFormazione di Prometeia Advisor Sim «Spazio rendimento-rischio: una rivisitazione
“modernista” »)
I
n questo articolo discuteremo dei fattori
fondamentali che guideranno l’andamento
dei mercati finanziari internazionali e
delle prospettive di rendimento di diverse
categorie di attività finanziarie. In particolare,
le attività di quale area geografica, Usa o Uem,
potranno dare opportunità di rendimento
migliori? Dovremo dirigerci verso gli Usa o
converrà mantenere gli investimenti in Europa,
con la possibilità che anche gli investitori
americani dirigano i loro flussi di investimenti
verso il Vecchio Continente?
Il primo dei fattori chiave che hanno avuto, e
avranno, effetti sui mercati internazionali è la
politica monetaria delle Banche centrali che,
dopo molti anni di convergenza, inizierà ad avere
un profilo divergente in Usa e Uem. Andranno
in direzioni opposte sia i tassi, lo strumento
tradizionale di politica monetaria, sia gli attivi
delle Banche centrali. L’attivo della Federal
Reserve comincerà probabilmente a ridursi
progressivamente con la scadenza dei titoli
acquistati nell’ambito dei successivi piani di
Quantitative Easing (QE) mentre quello della
Banca centrale europea aumenterà, per l’acquisto
di titoli pubblici e privati previsto fino al 2016
e la liquidità immessa nel sistema bancario
attraverso le operazioni di rifinanziamento a
lungo termine condizionate all’offerta di credito
bancario (TLTRO). Per provare a capire l’effetto
già avuto dal programma di acquisto di titoli della
Bce e tentare inoltre di fornire una spiegazione
dell’aumento dei tassi dell’Uem avvenuto a
metà aprile, guardiamo brevemente ai canali
di trasmissione del QE sui rendimenti di lungo
termine.
prometeia
advisor sim
Il rendimento su un titolo a lungo termine, ad
esempio un decennale, è determinato in parte
Figura 1: Scomposizione dei rendimenti a 10 anni
sui titoli di Stato, Germania (per cento)(a)
5
Jackson Hole
4
3
2
1
0
-1
-2
gen-07 giu-08 nov-09 apr-11
set-12
feb-14
tasso atteso reale
term premium
tasso atteso inflazione
Bund 10 anni
ago-15
Fonte: Thomson Reuters, Bloomberg, elaborazioni Prometeia; dati al 31/8/15.
(a)
La scomposizione è ottenuta mediante un modello affine
applicato alla struttura a termine governativa nominale e
reale (ricavata come differenza con gli inflation swap). Medie
mensili.
A
anteo
Draghi ha manifestato la volontà di un ulteriore
allentamento monetario, il term premium si è
ridotto in misura più marcata.
L’altro canale attraverso cui può agire il QE
è il cosiddetto “effetto segnale”: se la Bce
acquista titoli “segnala” la sua determinazione
al raggiungimento dell’obiettivo di inflazione
e quindi rafforza le attese che l’inflazione si
sposterà verso il target (facendo aumentare le
aspettative di inflazione di lungo termine); inoltre,
ma questo canale ha tempi di trasmissione
probabilmente più lunghi, se il programma inizia
a dare qualche evidenza di essere efficace
si rafforzeranno le prospettive di crescita
dell’economia che si rifletteranno in un aumento
del tasso reale atteso. L’aumento di queste
componenti – tasso di inflazione e tasso reale
attesi – fa innalzare il tasso di breve termine
atteso, contribuendo alla risalita dei tassi di lungo
periodo. Nell’Uem le aspettative di inflazione di
lungo termine, ottenute da strumenti di mercato
(inflation swap) sono effettivamente aumentate
già dall’annuncio, a gennaio 2015, dell’estensione
del QE ai titoli di Stato.
La riduzione del term premium ha contribuito
alla riduzione dei rendimenti decennali sul
Bund (circa 90 punti base da Jackson Hole fino
a metà aprile) e sul Btp (-108 pb), ma anche su
quello statunitense (-51 pb). Tuttavia, dal 20
Figura 2: Andamento dei tassi di interesse
governativi dall’avvio di diverse misure
monetarie espansive (var.% cumulate)(a)
1.5
Bund 10y dall'annuncio del QE Bce (21/1/15)
mediana altri interventi
1.0
0.5
0.0
-0.5
Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; dati al
10/9/15.
(a)
Corrente=variazioni cumulate dell’indice azionario Uem
ponendo come data zero l’annuncio del QE (22/1/15); mediana=la mediana delle variazioni cumulate dei rispettivi
indici azionari ponendo come data zero le date di annuncio o
di avvio di 19 misure di allentamento quantitativo negli Usa,
Uk e Giappone
19
aprile i rendimenti sono tornati ad aumentare
e anche piuttosto repentinamente. Perché?
Non sembrano infatti essere cambiati i fattori
fondamentali che hanno guidato i tassi nei mesi
precedenti. Una possibile spiegazione è che il
term premium si era probabilmente compresso
eccessivamente e gli investitori, nell’ipotesi che
il rendimento sul Bund, ormai intorno a zero,
non potesse scendere ulteriormente hanno
iniziato a vendere. A supporto di questa ipotesi
si può guardare alla risposta del tasso tedesco
comparata a quella di altri tassi in diversi
precedenti episodi di allentamento quantitativo
in Usa, Uk e Giappone: per alcune settimane dopo
l’annuncio del QE della Bce il Bund si era ridotto in
linea con la mediana degli altri tassi, ma poi il calo
è proseguito più marcatamente (Fig. 2).
Dove andranno i tassi ora? Da un nostro modello
sul valore fondamentale – costruito sulla base di
variabili macroeconomiche, fiscali e finanziarie
che dovrebbero “spiegare” il rendimento su un
titolo di Stato – emerge che il rendimento del
Bund dovrebbe essere poco sopra l’1%. Sebbene
questo livello sia più elevato del valore corrente,
crediamo che il QE dovrebbe avere l’effetto
di mantenere i rendimenti sotto il valore di
“equilibrio” e quindi ci attendiamo che il Bund si
mantenga sotto questo valore fino alla fine del
2016.1
Non c’è solo un effetto diretto sui rendimenti dei
titoli acquistati – riduzione del premio al rischio,
aumento delle attese di inflazione e dei tassi reali
attesi – ma anche uno indiretto sulle altre attività
finanziarie: attraverso il cosiddetto “canale di
ribilanciamento dei portafogli” il QE contribuisce
all’aumento dei prezzi delle attività più rischiose
(azioni e obbligazioni societarie, ma non solo)
poiché il minor rendimento degli asset sicuri
incoraggia gli investitori a rivedere l’allocazione
dei loro investimenti.
Ma c’è un’evidenza degli effetti di ribilanciamento
dei portafogli? Per valutare l’impatto del QE
sul comportamento degli investitori abbiamo
analizzato la dinamica dei flussi di investimento
di famiglie, società finanziarie, assicurazioni e
fondi pensione in diverse asset class (azionario,
obbligazionario, liquidità) sia in presenza che
in assenza di politiche monetarie espansive.
L’analisi è stata condotta per tre differenti
aree in cui è stato possibile stimare l’effetto
del QE: Usa, Uk e Giappone (per l’Uem il QE è
iniziato da troppo poco tempo per avere dati
1
Previsioni pubblicate nell’aggiornamento del Rapporto
di Previsione di Prometeia di settembre 2015.
prometeia
advisor sim
sufficienti all’analisi). Abbiamo costruito un
modello cosiddetto “controfattuale” in cui la
variabile dipendente (il flusso di investimento
verso una determinata asset class) è funzione di
se stessa ritardata, di una serie di altre variabili
di controllo, non direttamente influenzabili dal
QE, e della variabile di QE. La differenza tra la
stima del modello con o senza la variabile di QE
(in quest’ultimo caso il coefficiente è stato posto
uguale a zero) quantifica l’effetto sui flussi di
investimento dell’acquisto dei titoli di Stato da
parte della banca centrale per un determinato
Paese. L’analisi condotta conferma che come
conseguenza del QE degli Usa c’è stata una
ricomposizione dei flussi di investimento da
asset class meno rischiose (titoli di debito e
liquidità) verso i mercati azionari.
La figura 3 mostra che i flussi di investimento
in azionario hanno registrato l’incremento
maggiore. Per l’Uem, dal momento che i dati
disponibili sui flussi si fermano a fine 2014, per
poter misurare i possibili effetti sulle allocazioni
di portafoglio del QE della Bce abbiamo utilizzato
una media dei coefficienti stimati per i tre Paesi.2
La figura 4 mostra l’effetto di riallocazione
verso i titoli più rischiosi nell’Uem, da parte di
tutte le categorie di investitori, ipotizzando un
meccanismo di trasmissione uguale a quello degli
altri Paesi. È interessante notare come l’effetto
maggiore di ribilanciamento di portafoglio verso i
mercati azionari potrebbe arrivare dalle famiglie.
Con un altro modello abbiamo cercato di capire
qual è l’effetto sui rendimenti di varie categorie
di asset dei due driver di politica monetaria: il
QE della Bce e l’aumento del tasso di politica
monetaria negli Usa. Per ottenere una stima
corretta degli effetti di questi fattori sui principali
mercati finanziari è necessario tenere conto che
le manovre di Fed e Bce agiscono su molteplici
canali di trasmissione. Per questa ragione
abbiamo adottato un modello proprietario di
stima in data-rich environment che sintetizza
un vasto insieme di variabili macro-finanziarie di
Usa e Uem attraverso pochi fattori esplicativi e
che tiene anche conto della trasmissione degli
shock tra le diverse aree geografiche. Con questo
modello abbiamo stimato l’effetto di un aumento
di 25 punti base del tasso sui Fed Funds e del QE
prometeia
advisor sim
A
anteo
20
2
Per avere una stima dell’impatto del QE nei primi due
trimestri del 2015 è stata fatta la differenza tra il modello in
cui non è presente il regressore del QE e quello in cui il valore
della variabile è stato determinato come il prodotto tra l’ammontare di acquisti già effettuati dalla Bce e una media aritmetica del coefficiente relativo al QE stimato per ogni paese
(ad esempio il coefficiente del QE Usa sui flussi Usa e così via
per ogni altro Paese).
Figura 3: Effetto cumulato del QE Usa sui flussi di
investimento Usa (miliardi di dollari)
2500
azionario
debito
liquidità
2000
1500
1000
500
0
-500
Fonte: Banca centrale europea, Federal Reserve, Bank
of England, Bank of Japan, Office for National Statistics;
Flow of Funds Sector Financial Assets and Liabilities; dati
trimestrali al Q4-14.
Figura 4: Stima dell’effetto cumulato sui flussi
di investimento del QE in Uem nei primi
due trimestri del 2015 (miliardi di dollari)
600
azionario
debito
liquidità
500
400
300
200
100
0
-100
soc. finanz
famiglie
ass. & fond.
pens.
tot.
Fonte: Banca centrale europea, Federal Reserve, Bank
of England, Bank of Japan, Office for National Statistics;
Flow of Funds Sector Financial Assets and Liabilities; dati
trimestrali al Q4-14.
della Bce (identificato con una riduzione del term
premium sul Bund) sulle variabili del modello
e successivamente, tramite un altro modello
di raccordo, su diverse categorie di attività
finanziarie.
Secondo le nostre stime il QE della Bce dovrebbe
avere un effetto consistente (a parità di tutte le
altre condizioni) sul mercato azionario europeo,
con effetti di entità simile sull’altra sponda
dell’Atlantico (Fig. 5). Per quanto riguarda l’indice
A
anteo
Figura 5: Effetto cumulato del QE della Bce a 6
mesi sugli indici Total Return (var. %)(a)
Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; stime al
30/4/15.
(a)
Lo spessore della freccia indica l’entità della trasmissio-ne
tra i due Paesi.
Figura 6: Effetto cumulato del rialzo della Fed a 6
mesi sugli indici Total Return (var.%)(a)
21
governativo (per l’indice corporate investment
grade i risultati sono simili) l’effetto cumulato è
contenuto anche perché dopo l’impatto iniziale i
rendimenti governativi tendono a ritornare verso
i livelli precedenti, quando il programma inizia ad
avere effetti tangibili anche sull’economia reale.
Inoltre anche la trasmissione tra le due aree è più
modesta rispetto all’azionario.
Per quanto riguarda la normalizzazione della
politica monetaria statunitense, un rialzo dei
Fed Funds contribuirebbe a un calo cumulato
dell’indice azionario Usa del 3%. Anche nell’Uem
si osserverebbe una riduzione dell’azionario,
tuttavia solo della metà rispetto agli Stati Uniti
(Fig. 6). La stessa cosa non vale per il governativo,
dove la riduzione del Total Return nel vecchio
continente è simile a quanto si osserverebbe
negli Usa; a conferma del fatto che i rendimenti
statunitensi sono in grado di “trainare” gli altri
rendimenti governativi.
Per concludere, dall’analisi degli effetti appena
discussi emerge che i mercati dell’Uem
dovrebbero essere favoriti dal QE della Bce,
come ci si poteva attendere, e in particolare il
mercato azionario che dovrebbe pertanto avere
una performance migliore di quello statunitense.
Gli effetti delle manovre della Bce sui mercati
azionari potrebbero essere compensati dall’inizio
della politica monetaria restrittiva da parte
della Fed. Tuttavia in tal caso la correzione
sull’azionario Uem sarebbe pari alla metà di
quanto si osserverebbe negli Usa. Alla luce di
questi risultati, le prospettive di investimento
azionario nel vecchio continente sembrano
essere più favorevoli rispetto all’azionario
statunitense.
Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; stime al
30/4/15.
(a)
Lo spessore della freccia indica l’entità della trasmissione
tra i due Paesi.
prometeia
advisor sim
A
anteo
22
approfondimenti
Prospettive del prezzo del petrolio ed effetti
macroeconomici
Manuel Bonucchi, Michele Burattoni — Prometeia
Associazione
Federico Ferrari — Prometeia
Dal Rapporto di Previsione di Prometeia
Associazione (gennaio 2015)
C
omprendere le ragioni della riduzione
del prezzo del petrolio negli ultimi
mesi e del crollo nelle ultime settimane
aiuta a formulare una previsione sulle
prospettive di prezzo. L’utilizzo dei modelli di
Prometeia per l’Economia Internazionale e per
l’Economia Italiana consente di valutare gli effetti
macroeconomici della variazione del prezzo del
petrolio in termini di crescita e inflazione globali e,
più nel dettaglio, per la nostra economia.
L’andamento dei prezzi e le sue motivazioni
strategiche e tecnologiche
Nel corso degli ultimi dieci anni i corsi petroliferi
sono variati notevolmente, il prezzo del Brent
ha toccato un picco sia in dollari che in euro
nell’estate del 2008 (Fig. 1). Il successivo calo dei
prezzi, guidato dalla crisi finanziaria e dalla forte
contrazione dell’attività economica mondiale,
ha portato il prezzo a 38 dollari al barile alla fine
del 2008. La seguente risalita, anche ripida in
alcune fasi, lo ha ricondotto in prossimità del
livello massimo storico nel corso del 2011 con
Figura 1: Prezzo del Brent in $/brl e €/brl
145
125
105
85
65
45
25
dic-04
prometeia
advisor sim
dic-06
dic-08
dollari
Fonte: Thomson Reuters.
dic-10
dic-12
euro
dic-14
una successiva sostanziale stabilità , attorno ai
108 dollari a barile e alcuni episodi di volatilità
legata soprattutto agli eventi geopolitici, fino
all’estate del 2014. Da sette mesi a questa
parte però il prezzo sta calando con una brusca
accelerazione nelle ultime settimane fino a i
livelli minimi di questi giorni intorno ai 48$/brl.
Le motivazioni di questa riduzione sono svariate
e sono riconducibili sia a fattori di offerta che di
domanda. Quest’ultima è più debole da tempo,
per la recessione di alcuni paesi (nell’Eurozona e
Giappone soprattutto) e per il passo rallentato
della crescita di molti emergenti, Cina in primis.
Non va inoltre trascurato un trend di lungo periodo
che vede la diminuzione dell’intensità energetica
per la gran parte dei paesi industrializzati ma
anche per quelli emergenti (Fig. 2) per i quali è
invece in aumento il consumo pro-capite. Ma
è il lato dell’offerta che offre i maggiori spunti.
L’aumento della produzione americana di shale oil
è stato molto rapido e ha spiazzato molti fornitori
con una brusca diminuzione delle importazioni
degli Stati Uniti. Nonostante il permanere di
varie difficoltà in produttori quali Iran, Iraq e
Libia la produzione mondiale è sistematicamente
in eccesso rispetto al consumo e qui si innesta
un complesso gioco di strategie con molteplici
risvolti.
Per ritrovare uno scenario simile a quello attuale
occorre risalire ai primi anni ’80, quando in un
contesto di domanda poco brillante si assistette
a un aumento considerevole della produzione
globale di petrolio (prevalentemente del Mare del
Nord). Allora l’Arabia Saudita tentò di contenere
l’effetto ribassista sui prezzi “chiudendo i
rubinetti”. Una mossa che tuttavia non servì ad
arrestare il declino delle quotazioni e che ebbe
come unico risultato quello di ridimensionare
significativamente il peso del leader dell’Opec
nello scenario petrolifero globale; alla fine,
nel 1986, Riyad abbandonò questa strategia,
inondando i mercati di greggio e creando i
presupposti per un ritorno dei tassi di crescita
della domanda globale su livelli sostenuti
nel lungo periodo. Nonostante ciò non ebbe
ragione dei produttori del Mare del Nord che
continuarono a produrre per ammortizzare gli
ingenti costi fissi.
A
anteo
23
Figura 2: Intensità energetica e consumi energetici pro-capite
a) Intensità energetica
(kg oil equivalenti per 1000 $ Pil reale PPP2001)
b) consumo energetico pro-capite
(kg oil equivalenti pro-capite)
220
2500
7000
6000
2000
5000
170
120
1500
4000
1000
3000
2000
500
70
90 92 94 96 98 00 02 04 06 08 10
Germania
Spagna
Francia
Giappone
12
Italia
Usa
1000
0
0
72 76 80 84 88 92 96 00 04 08 12
Cina
India
Brasile
Russia (dx)
Fonte: World Bank.
In realtà gli aderenti al cartello hanno spesso
sistematicamente sforato le quote produttive
assegnate per massimizzare gli introiti e il
vero paese “swing” in grado di cambiare l’intera
posizione dell’offerta è sempre stata l’Arabia
Saudita, che ha i costi di produzione più bassi e
un’abbondante capacità produttiva: spesso essa
ha aggiustato la propria offerta per sostenere i
prezzi mondiali incassando quindi la perdita di
quote nelle fasi di domanda debole. Ora, di fronte
all’erosione delle proprie quote di mercato a opera
dello shale oil, e consapevole che nel lungo periodo
il mantenimento di una stance restrittiva avrebbe
generato conseguenze simili a quelle osservate
negli anni ‘80, negli ultimi mesi Riyad non ha
esitato ad agire come nel 1986, lanciandosi in una
competizione sui prezzi che ha assunto i contorni
di una sfida nei confronti in particolare dei
produttori nordamericani (ma anche per esempio
con il calo dei prezzi sui contratti offerti ai clienti
soprattutto asiatici, a spiazzare una pressante
concorrenza iraniana). A questo punto l’eccesso
di offerta “conclamato” ha iniziato a penalizzare i
corsi petroliferi profondamente.
ma non è tuttora chiaro se destinato al successo.
Anche se nella scala dei costi di produzione le
nuove tecnologie estrattive non si trovano certo in
posizione favorevole, una quotazione del petrolio
superiore ai 100 Us$/barile è ancora sufficiente
a rendere economicamente convenienti le
operazioni estrattive nei giacimenti marginali.
Ai livelli attuali, inferiori ai 50 Us$/barile, buona
parte delle trivelle statunitensi opera invece in
perdita (essendo oltretutto il settore fortemente
indebitato qualche produttore ha già dovuto
dichiarare fallimento): le rilevazioni più recenti
relative all’attività nel settore mostrano già un
brusco calo degli investimenti; il che, almeno
in prospettiva, sembra mettere gli Stati Uniti
nella condizione di dovere restituire quote di
produzione all’Arabia Saudita in un futuro non
lontano. La storia però ha in molteplici occasioni
mostrato come sia probabile una fase di
ristrutturazione e accorpamento del settore, con
guadagni di efficienza che potrebbero portare i
costi di estrazione a livelli più competitivi degli
attuali, rendendo la produzione profittevole anche
ai livelli correnti di prezzo.
L’Arabia Saudita ha una posizione molto forte:
oltre ai minori costi ha una posizione intermedia
per il cosiddetto break-even fiscale (il prezzo al
quale dovrebbe essere venduto il petrolio per
consentire al paese di mantenere il pareggio
di bilancio pubblico continuando a finanziare
l’economia tramite i trasferimenti ai livelli
correnti), ma ha le più ingenti riserve di valuta
e ha quindi la possibilità di reggere più a lungo
di ogni altro paese produttore i bassi prezzi del
petrolio. Il proposito dell’Arabia di eliminare dal
mercato molti operatori si è reso via via più chiaro
Per molti altri paesi produttori, sostanzialmente
quelli al di fuori della penisola arabica, anche se
i costi di estrazione consentono ancora buoni
margini di profitto, diventa cogente il problema del
finanziamento dell’economia. In molti di essi infatti
il settore pubblico utilizza i proventi petroliferi
per consumi, stipendi ai dipendenti pubblici, o più
direttamente per trasferimenti tesi a sostenere
la parte di economia non-oil. Agli attuali livelli di
prezzo, il sostegno corrente implicherebbe pesanti
deficit e per molti l’accumulo passato di riserve non
sarebbe sufficiente che per breve tempo (Tab. 1).
prometeia
advisor sim
Tabella 1: Relazione fra condizioni fiscali e prezzi del petrolio
prezzi di breakeven ($/brl)
per il deficit primario (2015)
Kuwait
Emirati Arabi
Qatar
Arabia Saudita
Russia
Algeria
Angola
Iraq
Iran
Nigeria
Libia
advisor sim
debito/Pil
per stabilizzare il debito
60
64
68
83
101
106
117
126
133
144
185
Riteniamo che questo possa essere un elemento
rilevante per lo sviluppo dei prezzi nei prossimi
trimestri assieme alla considerazione che
agli attuali livelli di prezzo è verosimile un
aumento della domanda (inizialmente anche
per per stoccaggio) ma anche una spinta alla
ripresa dell’economia mondiale (di cui parliamo
nel seguito). I prezzi potranno permanere
intorno ai livelli attuali nei prossimi mesi e
subire un incremento contenuto per effetto
contemporaneo della driving season americana,
di una leggera accelerazione dell’attività
mondiale, della contrazione della produzione
marginale e di una crescente difficoltà nel
mantenimento dei livelli di spesa nelle economie
esportatrici che potrebbe ammorbidire la linea
finora intransigente dei membri del Cartello. Non
riteniamo altresì che vi siano sufficienti ragioni
per una crescita molto forte dei prezzi anche nel
medio periodo con una proiezione poco sopra i 70
$/brl a fine 2017. Quel prezzo può rappresentare
un punto di equilibrio dopo l’uscita dall’offerta
degli operatori meno efficienti penalizzati dai
bassi prezzi con l’aumento moderato prospettato
per la domanda di petrolio e si colloca in una
posizione che potrebbe mettere l’offerta di shale
oil statunitense nella posizione di assorbire la
parte ciclica della domanda, togliendo da tale
scomoda posizione l’Arabia Saudita.
prometeia
A
anteo
24
Naturalmente tale previsione porta con
sé un rischio molto elevato che può essere
esemplificato considerando che l’intreccio
fra aspetti strategici e tecnico/strutturali sta
producendo nelle analisi pubblicate in questo
periodo un intervallo di previsioni a medio termine
che va dai 20 $/barile (il costo marginale minimo
dei migliori produttori) ai 200 dollari, che secondo
alcuni commentatori sarebbe invece l’esito di una
violenta contrazione degli investimenti legato
all’esiguità dei prezzi correnti che creerebbe fasi di
69
86
80
88
108
109
145
136
141
182
230
riserve/debito pubblico
(%)
(%)
11
12
35
3
10
9
39
31
11
10
5
102.2
17
3
35.8
2.9
14.1
1.9
1.3
3.3
6.6
penuria molto pronunciata di offerta in una fase di
ripresa della domanda nel medio periodo.
La valutazione delle ripercussioni globali
L’effetto di un così consistente calo dei prezzi
petroliferi su Pil e commercio mondiale, a
priori non è determinato. Se da un lato i paesi
importatori netti sicuramente beneficiano della
riduzione della bolletta petrolifera, dall’altro gli
esportatori netti ricavano un minor reddito. Al
tempo del primo shock petrolifero (1973) quando
i prezzi triplicarono repentinamente, per cercare
di comprendere gli effetti sull’economia mondiale
si impostò una linea di ragionamento in termini
di redistribuzione del reddito (“il problema del
trasferimento”). In breve si trasferiva potere
d’acquisto dai paesi importatori netti agli
esportatori netti. L’idea che in qualche modo
questi ultimi potessero spendere in quantità
tale da compensare la minor spesa dei paesi
industrializzati venne smentita dai fatti poiché expost si potè verificare come il trasferimento fosse
da paesi con un’elevata propensione al consumo a
paesi che ne avevano una minore, principalmente i
paesi mediorientali con un’elevata concentrazione
della ricchezza derivante dai proventi petroliferi. Il
Pil dei paesi importatori passò da una crescita del
6.3 per cento a una dell’1.2 (quasi azzerandosi per
gli industrializzati)
Simmetricamente il controshock del 1986 ha
prodotto un trasferimento nell’opposta direzione.
Nel frattempo la propensione al consumo dei paesi
esportatori di petrolio era cresciuta ma non di
molto mentre era rimasta stabile per i compratori.
In realtà anche in quel caso il Pil degli importatori
netti decelerò ma allora ci fu un altro importante
fenomeno, un deprezzamento effettivo di circa
il 10 per cento del dollaro (accordi del Plaza). In
questi mesi si ripropone una situazione per alcuni
A
anteo
25
versi simile sul fronte petrolifero: un taglio dei
prezzi del 50 per cento che, rapportato ai dati di
quantità del 2013, equivale a un trasferimento di
circa 900 miliardi di dollari dagli esportatori agli
importatori netti di petrolio, pari a circa l’1.25 per
cento del Pil mondiale a dollari correnti. Ci sono
diversi aspetti che vanno considerati per cogliere
l’impatto che tale redistribuzione può comportare.
per i paesi importatori potrebbe infatti generare
una risposta in termini di maggiori consumi,
con gli effetti moltiplicativi da essi indotti sulla
domanda interna e riverberarsi sulle importazioni
dei paesi, con un incremento delle importazioni
reali di manufatti, maggiori dei medesimi
fenomeni generati con il segno opposto per i
paesi esportatori.
I paesi ai quali queste risorse afferiscono hanno
propensione al consumo e propensione alle
importazioni tuttora più elevate dei paesi che
perdono tali risorse (Tab. 2). La dimensione
economica dei primi inoltre è molto superiore a
quella dei secondi, in termini di prodotto interno
lordo, di quota di consumi mondiali e di quota di
importazioni mondiali. Ne risulta che per i paesi
importatori il risparmio è complessivamente
pari a circa l’1.5 per cento del Pil mentre per gli
esportatori la perdita rappresenta un corposo
15 per cento del Pil. Per questi ultimi inoltre
la quota di importazioni coperta dalle entrate
petrolifere ha raggiunto il 55-60 per cento
negli ultimi anni evidenziando, se ancora fosse
necessario, la dipendenza nel finanziamento della
propria economia dalle esportazioni di oro nero.
Queste caratteristiche e dimensioni relative dei
due gruppi di paesi, importatori ed esportatori
di petrolio, suggeriscono che l’impulso del calo
del prezzo del petrolio possa essere positivo
per il prodotto interno lordo mondiale e per il
commercio. Il maggior reddito disponibile reale
Un esercizio con il modello internazionale di
Prometeia
Per dare una valutazione più completa di
queste intuizioni abbiamo utilizzato il modello
internazionale di Prometeia la cui struttura
consente di cogliere gli effetti legati alla
propensione al consumo e ai moltiplicatori interni,
alle elasticità del commercio internazionale e alle
interrelazioni commerciali che redistribuiscono
gli effetti nazionali attraverso la matrice degli
scambi internazionali. Abbiamo effettuato uno
shock pari a un calo del prezzo del Brent del 33
per cento, commisurato alla differenza fra il
livello previsto nel Rapporto di Ottobre e quello
presente, i cui risultati sono sintetizzati nella Fig.
3. Si tratta ovviamente di valutazioni meccaniche,
a politiche monetarie invariate e tassi di cambio
fermi, e che non tengono conto delle aspettative
che giuocano un ruolo importante nella formazione
delle decisioni di spesa (sia per consumi che per
investimenti) soprattutto in presenza di variazioni
così consistenti dei prezzi.
Tabella 2: Alcuni indicatori nelle fasi di shock sui prezzi petroliferi
shock
1973
1974
propensione al consumo (su dati reali, $ 2005)
importatori
imp.emerg
imp.indus
esportatori
controshock
1985
1986
pre-crisi
2007
2008
58.8
47.1
60.0
41.5
58.5
54.3
59.1
43.9
59.0
54.0
59.7
43.8
59.2
52.4
61.1
52.2
59.0
52.3
61.0
51.4
58.5
49.6
61.9
50.4
11.1
11.1
11.1
16.1
12.1
15.1
11.8
14.8
12.4
14.7
12.1
14.6
28.1
41.3
24.4
32.9
28.3
41.7
24.4
33.3
29.4
41.3
24.9
31.0
-113.8
8.4
-230.3
19.2
-130.1
18.9
-1257.7
33.1
-1644.6
34.1
-1818.0
44.4
-1.0
-1.0
-3.0
-2.8
-2.0
-3.3
-1.1
-1.7
-2.8
-4.2
-3.4
-5.1
-3.2
-5.2
-1.0
-3.0
-1.8
-1.0
-2.4
-2.9
-2.5
10.5
30.8
16.6
9.6
18.7
23.6
21.6
59.0
46.8
60.1
41.6
ultimo
2013
propensione import (su dati reali, $ 2005)
importatori
imp.emerg
imp.indus
esportatori
10.9
10.1
11.0
14.7
importazioni mondiali di oil (mld $ correnti, p.p.)
importatori
quota emergenti
-33.9
8.1
flusso pagamenti oil / Pil (dati reali $ 2005)
importatori
importatori emergenti
importatori
industrializzati
esportatori
prometeia
advisor sim
A
anteo
26
Figura 3: Shock sui prezzi del petrolio
a) Pil
b) commercio e prezzi dei manufatti
emergenti
0.75
Uem
comm.mondiale
0.12
industrializzati
1.8
0.01
prezzo in $ dei manufatti
mondiale
-2.6
0.45
0.0
0.5
1.0
scostamenti % dalla base
-4
-2
0
2
scostamenti % dalla base
Fonte: elaborazioni Prometeia.
L’effetto d’impatto sul Pil mondiale risulterebbe
di incremento di 4 decimi di punto rispetto allo
scenario di base con un maggior commercio
mondiale di 1.8 p.p. Il maggior vantaggio in termini
di Pil verrebbe ottenuto dai paesi emergenti
mentre per i paesi industrializzati il più delle volte
esso si traduce in un decimo di punto di differenza
rispetto allo scenario di base. L’uso del modello
consente di cogliere aspetti poco intuitivi legati
soprattutto all’importanza del meccanismo di
pass-through dei prezzi. L’importante effetto
disinflazionistico del calo dei prezzi del petrolio
comporterebbe una modificazione delle ragioni
di scambio che dipende dalla rilevanza delle
importazioni petrolifere sul totale di ciascun
paese e dalla trasmissione dell’impulso del calo
del petrolio ai prezzi interni. In alcuni casi questa
trasmissione sarebbe debole e comporterebbe
un tale miglioramento di ragione di scambio da
compensare gli effetti sulla domanda interna
con un netto peggioramento del contributo degli
scambi con l’estero con un effetto inatteso sul
Pil (Giappone per esempio o in termini opposti
Russia). Va inoltre rimarcata l’importanza
dell’aspetto deflazionistico che si innesterebbe
su un panorama mondiale di inflazione già molto
bassa, se si escludono alcuni focolai molto
localizzati: l’impatto sui prezzi delle altre materie
prime industriali sarebbe di un calo intorno a
3.5 p.p. (rispetto alla base) mentre sul prezzo
dei manufatti mondiali intorno a 2.5 p.p. con un
effetto sulle inflazioni interne che resterebbe fra
0.5 e 1.25 p.p. in meno per i paesi industrializzati
e di diversi punti percentuali in meno per i paesi
emergenti.
prometeia
advisor sim
I canali di trasmissione per i paesi importatori
netti di petrolio e gli impatti sui prezzi al
consumo in Italia
Prendendo in considerazione più nello specifico
i paesi importatori netti, come è il nostro paese,
la diminuzione del prezzo del petrolio determina
effetti di reddito reale. Le ricadute sulla domanda
sono riconducibili agli effetti delle quotazioni
petrolifere sui prezzi al consumo (effetti diretti),1
che aumenta quindi il reddito reale disponibile
e i consumi. Gli effetti sull’offerta rispecchiano
l’importanza del petrolio quale input nel processo
di produzione, per cui un calo delle quotazioni
petrolifere determina una diminuzione dei costi di
produzione (effetti indiretti). Le imprese possono
affrontare tale situazione modificando i processi
di produzione o di determinazione dei prezzi, con
possibili effetti per gli utili, gli investimenti e i
salari (effetti di second round): questi effetti, che
sono infine solo eventuali, intervengono se il calo
del livello dei prezzi è percepito come permanente
ed è incorporato nelle aspettative degli operatori.
Il calo delle quotazioni dei prodotti del petrolio (sia
greggio che raffinato) sui mercati internazionali,
comunemente espresse in dollari, ha portato a
un forte calo del prezzo al consumo dei prodotti
raffinati nel nostro paese, anche se questo
fenomeno è stato lievemente attenuato nell’ultimo
trimestre del 2014 dal deprezzamento dell’euro
verso il dollaro.
Il prezzo finale dei carburanti alla pompa è la
parte conclusiva di una catena produttiva e
1
A riguardo si veda, La trasmissione degli aumenti dei
prezzi internazionali ai prezzi interni, Rapporto di Previsione di luglio 2008.
A
anteo
27
Figura 4: Principali determinanti dei prezzi petroliferi in Italia
a) prezzo al consumo della benzina (€/litro)
b) prezzo al consumo del gasolio da autotrazione (€/litro)
2.0
2.0
1.5
1.5
1.0
1.0
0.5
0.5
0.0
dic-13 feb-14 apr-14 giu-14 ago-14 ott-14
dic-14
0.0
dic-13 feb-14 apr-14 giu-14 ago-14 ott-14
dic-14
greggio - brent dated
margine di raffinazione
greggio - brent dated
margine di raffinazione
margine lordo
componente fiscale
margine lordo
componente fiscale
c) var. % sul corrispondente delle principali voci dell’inflazione
d) peso del settore energetico in Italia
2
0
0.33
1
-1
0.30
0
-2
0.27
-1
-3
-2
-4
-3
-5
-4
dic-13
feb-14 apr-14
giu-14 ago-14 ott-14
indice generale
servizi
-6
dic-14
alimentare
energia (dx)
0.10
0.09
0.08
0.24
0.07
0.21
0.06
0.18
0.15
0.05
04
06
08
alla produzione
10
12
14
al consumo (dx)
Fonte: elaborazioni Prometeia.
distributiva e può essere visto come la somma di
due componenti, una industriale e una fiscale. La
componente industriale, o prezzo industriale dei
carburanti, ha come principale elemento di costo
il prezzo del petrolio greggio che, attraverso il
processo di raffinazione, viene reso fruibile per
i diversi usi finali. Anche i prodotti già raffinati
hanno un proprio mercato internazionale, i cui
prezzi sono genericamente definiti Platts. Il
prezzo del prodotto raffinato è direttamente
collegato alla rispettiva quotazione internazionale
dei prodotti raffinati, sia quando viene acquistato
sul mercato e importato sia nel caso in cui la
raffineria sia di proprietà della compagnia
petrolifera. Il prezzo Platts costituisce circa tre
quarti del prezzo industriale. La differenza fra
queste due voci definisce il margine lordo e serve
a remunerare voci quali stoccaggio, distribuzione
primaria e secondaria, altri costi di produzione e
distribuzione, costi di trasporto, oltre ai margini
di profitto delle compagnie e del gestore finale. Il
prezzo alla pompa pagato dai consumatori tiene
infine conto delle imposte e in Italia questa parte
è costituita dall’accisa (diversa per tipologia di
prodotto) nonché dall’Iva, che si applica nella
misura del 22 per cento sia alla componente
industriale che all’accisa.2
Nelle Figg, 4a-b sono presentate le strutture dei
prezzi della benzina e del gasolio da autotrazione
in Italia:3 il maggior contributo al calo del prezzo
al consumo è riconducibile essenzialmente alla
diminuzione del prezzo del greggio. Se il margine
lordo e il margine di raffinazione non hanno avuto
sostanziali variazioni della loro entità nell’ultimo
anno, la componente fiscale sta registrando
invece un calo, dovuto alla diminuzione dell’iva,
semplicemente a causa del livello più basso del
2
Si veda: Bonucchi,M.,Tomasini S., Uno studio econometrico sulla dinamica di alcuni prezzi petroliferi in Italia, Note
di Lavoro,Prometeia
3
Per un ulteriore approfondimento si veda il sito dell’Unione Petrolifera all’indirizzo: http://www.unionepetrolifera.
it/it.
prometeia
advisor sim
A
anteo
28
indiretti (Fig. 5), nell’anno in corso il modello indica
un calo dei prezzi alla produzione di circa il 14
per cento del settore energetico, una variazione
pressoché nulla del settore alimentare e, infine,
una diminuzione di circa il 2 per cento dei prezzi
non alimentari e non energetici. La diminuzione
prezzo, a cui contribuirà anche un lieve calo delle
accise a partire da gennaio del 2015.
Tramite la componente energetica dell’indice dei
prezzi al consumo, l’evoluzione delle quotazioni
del petrolio ha fornito un contributo rilevante al
calo dell’inflazione (Fig. 4c). Tuttavia, l’andamento
delle quotazioni del greggio ha probabilmente
avuto ripercussioni anche sulle componenti non
energetiche.
Il peso del settore energetico nei prezzi alla
produzione, dopo anni di stabilità, ha registrato
un forte aumento nel 2011 (da 17 a 31 per cento)
con il cambio di base effettuato dall’Istat: rispetto
infatti alla struttura ponderale del 2005, in quella
del 2010 è fortemente aumentato il peso della
sezione relativa alla fornitura di energia elettrica,
gas, vapore ed aria. Ovviamente questo aumento
comporta un impatto molto intenso sull’indice
generale dei prezzi alla produzione in caso di
shock dei prezzi dei prodotti petroliferi, come
sta avvenendo appunto in questo periodo. Se si
considera invece il peso del settore energetico nel
calcolo dei prezzi al consumo, questo ha avuto un
trend crescente dal 2004, mentre si è leggermente
ridotto negli ultimi due anni (Fig. 4d). All’interno del
comparto energetico, il solo settore dei carburanti
e lubrificanti per mezzi di trasporto privati ha un
peso molto alto, pari a circa il 50 per cento.
L’impatto sull’attività economica ita­liana:
una valutazione con il modello trimestrale di
Prometeia
Il nuovo scenario internazionale contiene,
unitamente alla revisione al ribasso del prezzo
del petrolio, quella dei prezzi all’importazione per
l’Italia. Considerando i valori medi unitari, nel 2015
lo scostamento al ribasso è, rispetto allo scenario
presentato in ottobre, nell’ordine del 35 per cento
per quanto riguarda il settore energetico, di circa
il 3 per cento per i manufatti e sostanzialmente
nullo per i prodotti agricoli e alimentari. I prezzi
all’esportazione dei concorrenti diminuiscono
anch’essi di circa il 3 per cento.
Figura 5: Variazioni percentuali medie cumulate
rispetto al RdP di ottobre 2014
a) prezzi alla produzione
0
-2
-4
-6
-8
-10
-12
-14
-16
totale
alimentari
energia
2015
non alim. e
non energia
2016
b) prezzi al consumo
0
-2
-4
-6
-8
-10
-12
-14
totale
alimentari energia manufatti
2015
servizi
2016
c) principali variabili macroeconomiche
1.5
1.0
0.5
Al fine di stimare l’impatto dello scenario
internazionale, presente in questo rapporto di
previsione, sulla situazione macroeconomica
dell’Italia, è stato compiuto un esercizio di
valutazione con il modello trimestrale di
Prometeia. Anche in questo caso tutti gli
scostamenti sono da intendersi rispetto alle
previsioni formulate nel Rapporto di Previsione
dello scorso ottobre.
prometeia
advisor sim
Se si prendono in considerazione gli effetti
0.0
-0.5
-1.0
prodotto
interno
spesa delle
reddito
retribuzioni
famiglie e Isp disponibile a pro-capite
prezzi
industria s.s
costanti
2015
Fonte: elaborazioni Prometeia.
2016
A
anteo
dell’indice totale dei prezzi alla produzione,
nell’ordine del 5 per cento, comporterebbe,
congiuntamente agli effetti diretti, un calo
dell’inflazione rispettivamente dell’1.6 per cento
nel 2015 e dell’1.9 per cento nel 2016. Considerando
le singole voci dei prezzi al consumo, il settore
energetico registrerebbe una diminuzione di circa
il 12 per cento sia nel 2015 che nel 2016, mentre
il calo per i manufatti e per i servizi sarebbe
nell’ordine dell’1 per cento.
Il calo dei prezzi al consumo comporterebbe anche
effetti di second round. Nella nostra simulazione le
aspettative di inflazione non vengono modificate:
vi sarebbe invece un effetto sulle retribuzioni
e, quelle relative all’industria in senso stretto,
per esempio, cadrebbero di circa mezzo punto
29
percentuale. Nonostante questa dinamica,
l’aumento del reddito disponibile delle famiglie si
attesterebbe a circa l’1.3 per cento sia nel 2015 che
nel 2016. I consumi crescerebbero dello 0.5 per
cento il primo anno e dello 0.8 per cento il secondo
anno e fornirebbero un importante contributo alla
crescita del Pil, che si attesterebbe allo 0.4 per
cento nel 2015 e allo 0.8 per cento nel 2016.
Nella preparazione delle previsioni contenute
in questo Rapporto si è tenuto conto delle
valutazioni ottenute con gli esercizi di simulazione
sopra descritti e quindi anche degli effetti
diretti, indiretti e di second round derivanti dalla
variazione del prezzo del petrolio rispetto alla
previsione di tre mesi orsono.
prometeia
advisor sim
A
anteo
30
approfondimenti
Commercio internazionale, il peso della Cina
Michele Burattoni — Prometeia Associazione
Dal Rapporto di Previsione di Prometeia
Associazione (luglio 2015)
S
i va indebolendo il commercio
internazionale. Il maggiore contributo
a questa debolezza viene dai paesi
emergenti e dalla Cina in particolare.
Indaghiamo le importazioni della Cina negli aspetti
geografici e merceologici cercando di ricavare
qualche informazione sulle loro ricadute sui
partner commerciali. Esiste un chiaro cedimento
dei prodotti di investimento mentre tengono quelli
di consumo e nonostante il loro rallentamento
qualche paese riesce ancora ad avere ricadute
positive.
Nei primi mesi del 2015 si è andato sempre
più indebolendo il traffico internazionale di
merci: in termini reali tendenziali il commercio
internazionale dopo un secondo semestre del 2014
in cui era cresciuto ad un tasso medio del 3.4 per
cento, nei primi quattro mesi del 2014 si è espanso
mediamente dell’1.4 per cento. In termini di tassi
di crescita congiunturali nel 2015 si sono registrati
3 segni negativi su quattro che hanno portato
a un calo del 3.2 per cento delle importazioni
fra dicembre e aprile. A questi dati sono certo
sottesi mesi non positivi per la crescita delle
maggiori economie mondiali che, a partire dagli
Stati Uniti per proseguire con la Cina, hanno fatto
registrare tassi di incremento piuttosto deludenti,
a convalidare in certo modo l’andamento modesto
degli scambi internazionali. Ma in realtà, da uno
sguardo generale alle informazioni disponibili
nella contabilità nazionale di molti paesi si evince
che, anche a parità di crescita del prodotto
interno lordo, per molte aree l’interscambio
commerciale si sia decisamente asciugato o in
altri termini, l’elasticità è diminuita, portandosi
a livello mondiale vicino al valore di 1. In questo
approfondimento cerchiamo qualche indicazione
soprattutto dal mercato cinese, che possa
aiutare nella comprensione dell’origine di questa
debolezza.
prometeia
advisor sim
Nel periodo considerato, il contributo alle
importazioni mondiali in termini reali è stato
fortemente negativo soprattutto da parte delle
economie emergenti. Nel complesso esse hanno
sottratto 3.6 p.p. di crescita mentre quelle
industrializzate ne hanno aggiunti 0.4 p.p. ma,
entrando ancora più nel dettaglio, la gran parte
di questo calo è da attribuirsi a tre aree. I paesi
di Medio-Oriente e Nordafrica continuamente
attraversati da tensioni geopolitiche e colpiti da
minori entrate petrolifere hanno sottratto 0.6
p.p.. La Russia e l’intera area CSI, hanno sottratto
quasi altri 5 decimi, a causa della combinazione di
molti fattori: le minori entrate petrolifere, il crollo
della domanda interna, e il forte deprezzamento
della valuta, in una fase in cui proseguono
sanzioni e ritorsioni seguite alle tensioni russoucraine. Ma soprattutto l’Asia, ha sottratto 2.6
p.p. di cui 1.6 derivanti direttamente dalle minori
importazioni cinesi che, verosimilmente, hanno
anche attivato un minor interscambio per i paesi
limitrofi più coinvolti nelle filiere produttive.
Questa debolezza è ancor più rilevante ricordando
che il riaggiustamento dei rapporti di cambio
mondiali degli ultimi due anni ha prodotto un forte
apprezzamento della valuta cinese, effettivo
nominale di oltre 9 p.p. e reale intorno ai 12.5 p.p.,
e questo avrebbe dovuto incentivare la crescita
delle importazioni cinesi, a maggior ragione
tenendo poi in considerazione la caduta dei corsi
della maggior parte delle materie prime, di cui la
Cina è sempre vorace (Tab. 1).
L’analisi delle statistiche più recenti relative alle
importazioni cinesi di fonte doganale a valori in
dollari correnti evidenzia diversi interessanti
aspetti. Abbiamo analizzato l’insieme dei flussi
di importazioni dove il singolo elemento è
l’importazione da un certo partner in una singola
categoria di prodotti secondo una classificazione
a 177 settori merceologici anche se purtroppo
la natura dei dati impedisce di avere indicazioni
Tabella 1: Importazioni reali: peso e contributo alla
crescita di aree selezionate (punti %)
Usa
Eu 27
Asia emergente
di cui Cina
America Latina
CSI
M.Oriente + N.Africa
Altri
Mondo
Fonte: CPB.
peso
contributo
13.2
30.9
26.3
10.0
5.7
2.5
7.4
13.9
100.0
-0.1
0.1
-2.6
-1.5
0.1
-0.4
-0.6
0.3
-3.2
A
anteo
31
precise sulle quantità, che sono presenti in unità
fisiche e che, a livello aggregato hanno poca
significatività.
Mediamente (dato tendenziale gennaio-aprile
2015 rispetto al corrispondente periodo del 2014)
le importazioni cinesi sono cadute di un 20 per
cento abbondante. Restringendo il campo alle
importazioni di prodotti non facenti parte delle
categorie energetici-materie prime industriali
(ovvero circa ¾ delle importazioni totali), il calo
è stato del 15.5 per cento mentre per i prodotti
energetici ecc. è stato superiore al 40 per cento.
Se da un lato è immaginabile un ruolo giocato dal
calo di domanda, dall’altro è necessario tenere
in considerazione la differenza nello sviluppo dei
prezzi dei diversi prodotti, con quelli dei prodotti
energetici e delle materie prime crollati in maniera
sostanziosa. Non esistono purtroppo informazioni
che consentano di distinguere i prezzi di
manifattura da una parte e altri prodotti dall’altra,
per la Cina. Viene pubblicato dalle fonti nazionali
cinesi un indice di prezzo alle importazioni
aggregato dal quale si ricava una valutazione di
circa il 7 per cento come calo medio nei primi tre
mesi dell’anno, abbastanza per confortare una
stima di un ordine di grandezza intorno al 10 per
cento reale delle importazioni complessive (Tab.
2).
Tabella 2: Importazioni cinesi: sommario di
vari aggregati
var. %
totale
totale solo energia e materie prime
totale non energia e materie prime
non energia e materie prime: top 200
non energia e materie prime: non top 200
energia e materie prime: top 50
energia e materie prime: non top 50
-20.9
-38.8
-15.5
-11.8
-22.6
-40.4
-21.7
Fonte: China Custom Administration.
Addentrandosi ancor più nel dettaglio
emergono alcuni aspetti interessanti di questo
rallentamento. Dalla scomposizione geografica
è molto significativo il dato relativo alle riesportazioni. In pratica, per motivi che vanno
dai vantaggi fiscali all’approvvigionamento di
valuta estera, soprattutto per quello che attiene
prodotti che vengono poi usati come input per
ulteriori produzioni, un prodotto può arrivare
da un produttore cinese a un utilizzatore cinese
attraverso esportazioni in Hong Kong e Taiwan e
una successiva reimportazione in Cina (tali flussi
possono essere classificati nei dati doganali
come importazioni di un paese da se stesso o in
una apposita categoria merceologica unica ma
con perdita di informazione). Ebbene i flussi di
questo genere sono stati fra quelli più resistenti
cadendo solo del 3.5 per cento, e lo stesso è
valso per le importazioni dirette da Taiwan,
mentre dagli altri paesi le contrazioni sono
state più evidenti (depurando dalle importazioni
Cina-Cina il calo medio passa da 11.8 a 12.9).
Se teniamo in considerazioni solo i prodotti
manifatturieri e le produzioni di base, togliendo
quelli energetici, agricoli ed estrattivi, i maggiori
partner commerciali hanno tutti visto contrarsi le
importazioni cinesi di cifre fra il 7 e il 15 per cento,
i tre principali, Corea, Usa, Germania del 7, 8, 9 per
cento rispettivamente. Ancora, nel complesso le
importazioni dai paesi asiatici si sono contratte
intorno al 7 per cento, contro il -23 dell’Europa
e il -18 dall’America latina; in controtendenza il
dato per i paesi del CSI dai quali le importazioni
sono cresciute di oltre il 7 per cento. I risultati
precedenti sono in gran parte in contrasto con
quanto avrebbe suggerito l’andamento dei cambi
relativi (essendosi lo yuan apprezzato verso l’euro
e rimasto stabile/deprezzato verso i maggiori
partner asiatici). È ovvia l’osservazione che proprio
l’andamento dei cambi combinato con le politiche
degli esportatori possa essere responsabile
di questo pattern: per esempio un esportatore
europeo che avesse mantenuto il prezzo in euro
del proprio prodotto avrebbe registrato un 15
per cento in meno di ricavi in dollari nel periodo
considerato. Non siamo purtroppo in grado
di valutare puntualmente quanto sopra ma le
differenze fra le performance dei vari partner
accomunati dall’euro lasciano intuire che non sia
solo questa la spiegazione (dal -8.9 di Germania e
Spagna al -10.7 dell’Italia, al -14.2 della Francia al -19
di Belgio e Olanda).
La dimensione merceologica rivela alcuni aspetti
molto interessanti: cali fra il 20 e il 40 per cento
per tutte le importazioni legate a materie prime
ed energia, dove ha probabilmente più pesato
l’effetto prezzo, un deciso calo delle importazioni
di macchine utensili, intorno al 15 per cento,
escluse quelle per la lavorazione dei metalli e
quelle per uso generale, una simile diminuzione
delle importazioni di automobili, un calo del 20
per cento per la chimica di base, e per contro,
cali contenuti per prodotti in plastica, gomma
e medicinali, prodotti elettronici, di consumo e
per la telefonia, elettrodomestici, tessuti, carta
e legno. Grossomodo quindi da un lato calo delle
importazioni di mezzi di produzione e “big ticket”
di consumo come l’auto, con una tenuta dall’altro
di prodotti più legati direttamente al consumo
finale (tabella settori), che ben si concilia con
il rallentamento dell’attività produttiva e degli
prometeia
advisor sim
Tabella 3: Importazioni cinesi: dettaglio
settoriale
var. %
peso
tessili
ferramenta/prodotti in metallo
elettronica-tlc
elettrodomestici
legno carta
chimica-cons
0.2
-1.3
-1.4
-1.6
-2.1
-2.8
1.8
0.9
27.9
0.6
1.8
2.8
plastica/gomma/vetro/ceram/cem
-3.9
2.0
-4.1
-6.6
-9.8
-14.5
-15.1
-17.2
-19.8
-20.3
-23.9
-33.6
-38.8
-42.3
3.5
0.1
1.4
2.7
6.5
5.0
8.1
2.9
4.0
1.9
24.5
1.5
motori e apparecchi
mobili
siderurgia
macchinari-utensili
auto-veicoli
agricoltura
chimica base
alimentari
metalli non ferrosi
petroliferi
oil-estraz
altri
Fonte: China Custom Administration.
investimenti e con il maggior contributo che i
consumi dovrebbero avere nella crescita cinese
(Tab. 3).
Abbiamo cercato di indagare in un ulteriore
dettaglio, nella combinazione sia della dimensione
merceologica che di quella geografica. Per cercare
di semplificare l’analisi abbiamo considerato per
i prodotti non energetici/materie prime i primi
200 flussi di importazioni che coprono circa il 50
per cento delle importazioni totali (il restante è
distribuito su quasi 10mila altri flussi): per questo
primo sottogruppo (top200) la contrazione è stata
dell’11.8 per cento (sempre in valore) contro il 22
per cento nei restanti scambi, forse a sottolineare
la maggiore facilità a rinunciare a flussi meno
rilevanti e più distribuiti, anche geograficamente,
rispetto a consolidate forniture di grandi
dimensioni, anche per la maggiore facilità che
si potrebbe avere nel sostituirli con produzione
locale (Tabb. 4-5).
prometeia
advisor sim
A
anteo
32
Più di metà di questi grandi flussi provengono da
paesi asiatici (108) e 27 di questi (il 25 per cento)
hanno avuto tassi di crescita positivi, mentre per
i paesi non asiatici questo è stato vero per il 15
per cento degli scambi. La Germania, fortemente
presente in questi flussi top200, in dollari ha avuto
un andamento generalmente peggiore degli altri
concorrenti tranne che nelle macchine utensili
per i metalli e, in parte, nelle automobili rispetto
soprattutto al principale concorrente ovvero
il Giappone. I maggiori flussi di importazioni
relativi all’elettronica/computer/tlc sono stati
in molti casi in crescita dai vari partner esclusa
la Germania e così le “macchine di impiego
generale” che costituiscono la voce più corposa dei
macchinari.
Il quadro cambia molto se consideriamo questi
dati nelle valute nazionali. Applicando i tassi medi
tendenziali di apprezzamento/deprezzamento
rispetto al dollaro coerenti al periodo considerato,
Germania e Giappone hanno fatto registrare
una crescita (la Germania sfiora l’en plein) nella
maggior parte dei flussi di importazioni cinesi, al
contrario di Usa, Corea e Taiwan, gli altri maggiori
partner. Un confronto fra paesi europei per il
solo gruppo delle macchine mostra come però la
Germania sia risultata di gran lunga “migliore” in
quasi tutti i sottogruppi rispetto agli altri paesi
europei (oltre a essere di dimensione almeno tripla
rispetto al più vicino concorrente ovvero l’Italia)
poiché poche sono le voci in crescita per tutti gli
altri paesi, anche in euro.
Quest’ultima informazione aiuta in parte a
comprendere quanto sta caratterizzando gli
ultimi mesi. L’economia cinese è in rallentamento
tale da produrre un assorbimento minore del
corrispondente periodo del 2014, dell’ordine
del 10 per cento in termini reali. Esistono però
consistenti asimmetrie: sicuramente i paesi
esportatori di materie prime ed energia subiscono
le peggiori perdite in termini di trasferimento
di potere d’acquisto dalla Cina, subendo sì il
rallentamento ma soprattutto i prezzi in calo. I
loro ricavi in dollari calano del 30-40 per cento e
questo non può che riflettersi in modo importante
a sua volta sulla loro capacità di importare. I
paesi esportatori di prodotti di consumo sono
relativamente meno colpiti poiché questo appare
il macrosettore più resiliente e riguarda circa un
terzo delle importazioni cinesi. I cali sono di entità
inferiore e molti sono i flussi aumentati, senza
particolare riguardo per gli aspetti geografici.
Per i prodotti atti a loro volta alla produzione,
macchinari e parti di macchinari e impianti, il calo
di importazioni è considerevole, diffuso, ma se
da un lato immette nei venditori minor potere
d’acquisto in dollari, sulla base dei mutamenti dei
rapporti di cambio consente ad alcuni di essi, i più
“bravi”, di registrare aumenti notevoli delle vendite
in valuta nazionale. Giappone e Germania, spiccano
fra questi, e anche in un confronto più stretto
con i partner europei, la capacità di penetrazione
dei prodotti tedeschi si conferma di gran lunga
superiore anche in questa fase.
A
anteo
33
Tabella 4: Importazioni cinesi in dollari correnti: dettaglio geografico/settoriale (var. %)
filati e tessuti
prima lavorazione del legno
carta
ausiliari fini e specialistici
specialità medicinali
prodotti in gomma
prodotti in plastica: imballaggi
prodotti in plastica: altri prodotti
vetro piano e tecnico
microelettronica
computer e unità periferiche
macchine per tlc
elettronica di consumo
strumenti di misurazione e orologi
elettromedicali
strumenti ottici e attrezzature fotografiche
app. per la generazione, trasform., distrib. dell'elettricità
accumulatori e batterie
fili, cavi, interruttori
segnalazione, insegne e altre apparecchiature elettriche
motori non elettrici e turbine
rubinetti e valvole
organi di trasmissione
pompe e compressori
apparecchi di sollevamento e movimentazione
altre macchine di impiego generale
macchine utensili per la formatura dei metalli
altre macchine utensili
macch. per industria tessile, abbigliamento, pelle e cuoio
macch. per l'industria delle mat. plastiche e della gomma
altre macchine per impieghi speciali
automobili
componenti autoveicoli
Totale complessivo
numero di flussi
Cina
Taiwan Germania
Corea del
Sud
Usa Giappone
-17.9
-18.4
-10.8
-7.6
-8.5
1.7
-9.7
44.1
-4.9
-10.7
8.3
-2.5
0.5
-6.5
-7.5
-34.0
-10.1
-3.5
11.0
0.1
-7.7
-1.4
-9.4
-10.4
-9.1
-9.6
-0.5
-3.0
-14.0
2.0
33.6
-5.7
16.9
2.5
-4.2
2.0
-8.3
-2.6
-24.1
-29.1
24.2
2.7
-0.2
27.0
0.6
-3.8
12.0
-12.0
-34.0
-9.1
-16.9
-8.0
-9.1
21.0
-4.8
22.7
-15.0
4.4
-2.0
12.7
-4.8
-21.2
-14.4
-2.9
-2.0
2.3
-32.8
-19.9
-9.2
-21.5
-11.3
-11.6
-9.4
-14.9
-2.6
-7.7
17.9
-11.0
-7.1
8.1
-58.7
-28.8
-9.6
-2.9
-8.8
21.0
-8.4
-1.6
-11.1
21.0
4.6
-7.9
-30.8
-61.2
-2.4
-35.5
-25.8
-11.2
28.0
Fonte: China Custom Administration.
Sono indicati solo i lflussi appartenenti al gruppo dei maggiori 200 per valore.
Sono evidenziati i tassi di crescita positivi.
prometeia
advisor sim
A
anteo
34
Tabella 5: Importazioni cinesi in valuta del paese esportatore: dettaglio geografico/settoriale (var. %)
Taiwan Germania
filati e tessuti
prima lavorazione del legno
carta
ausiliari fini e specialistici
specialità medicinali
prodotti in gomma
prodotti in plastica: imballaggi
prodotti in plastica: altri prodotti
vetro piano e tecnico
microelettronica
computer e unità periferiche
macchine per tlc
elettronica di consumo
strumenti di misurazione e orologi
elettromedicali
strumenti ottici e attrezzature fotografiche
app. per la generazione, trasformazione, distribuzione dell'elettricità
accumulatori e batterie
fili, cavi, interruttori
segnalazione, insegne e altre apparecchiature elettriche
motori non elettrici e turbine
rubinetti e valvole
organi di trasmissione
pompe e compressori
apparecchi di sollevamento e movimentazione
altre macchine di impiego generale
macchine utensili per la formatura dei metalli
altre macchine utensili
macchine per l'industria tessile, dell'abbigliamento, della pelle e del cuoio
macchine per l'industria delle materie plastiche e della gomma
altre macchine per impieghi speciali
automobili
componenti autoveicoli
Totale complessivo
-22.6
-12.7
4.1
-6.7
advisor sim
12.2
10.5
9.5
-11.7
-38.2
2.5
Usa Giappone
-3.0
-14.0
2.0
33.6
3.1
-5.6
14.2
19.9
5.5
-1.2
5.0
-5.3
0.4
-21.1
-29.1
24.2
2.7
-0.2
22.8
-3.6
8.3
10.5
5.0
17.3
12.2
37.8
-8.0
7.9
-14.1
10.8
3.0
11.9
10.8
5.1
11.3
38.8
1.1
20.5
14.1
28.8
11.3
-21.2
1.7
13.2
-2.0
18.4
-16.7
-3.8
6.9
-5.4
8.6
Fonte: China Custom Administration.
Sono indicati solo i lflussi appartenenti al gruppo dei maggiori 200 per valore.
Sono evidenziati i tassi di crescita positivi.
prometeia
9.1
12.3
Corea del
Sud
-4.1
8.1
-55.7
-28.8
-6.6
0.1
-5.8
-8.4
-1.6
-11.1
20.7
8.2
-14.7
-45.1
13.7
-19.4
-9.7
4.9
A
anteo
35
approfondimenti
La crescita dopo la ripresa: le prospettive per il Pil
potenziale dell’Italia
Monica Ferrari, Wildmer Daniel Gregori, Stefania
Tomasini — Prometeia Associazione
Dal Rapporto di Previsione di Prometeia
Associazione (aprile 2015)
P
roponiamo una stima del Pil potenziale
sulla base delle sue determinanti.
Pur incorporando previsioni caute
sull’evoluzione di capitale e lavoro, la
crescita del potenziale nei prossimi anni potrebbe
riprendere e tornare positiva già nel 2016,
riavviandosi verso i ritmi pre-crisi.
Si moltiplicano i segnali che col 2015 si possa
finalmente chiudere la più lunga e profonda
recessione nella storia repubblicana e si possa
avviare una fase di ripresa. Ma quale crescita ci
aspetta dopo la ripresa? In questi anni le previsioni
sono state ripetutamente riviste al ribasso e oggi
la domanda che si pone è la stessa di quella che
si poneva all’inizio della crisi, ossia se essa abbia
condizionato, e in che misura, solo il livello del Pil
potenziale o anche il suo tasso di crescita, e quali le
prospettive che si possa invertire la rotta.
rappresentano la distribuzione del reddito tra i
fattori di produzione1.
Come noto, nessuna delle variabili che determinano
il prodotto potenziale è direttamente osservabile,
di conseguenza in questo contesto le modalità con
cui vengono stimate le singole componenti della
funzione di produzione hanno un ruolo centrale.
Mentre rimandiamo ai precedenti Rapporti2 per
maggiori dettagli sulle metodologie di stima e i
problemi connessi, prenderemo qui in esame le
prospettive per ognuna delle determinanti del
potenziale, con particolare riferimento ai canali
attraverso i quali la crisi finanziaria può averne
permanentemente abbassato il livello potenziale:
attraverso gli investimenti in capitale, attraverso
l’occupazione potenziale, attraverso la produttività
totale dei fattori (TFP). L’abbassamento del livello
del potenziale ne produce anche una riduzione
temporanea del suo ritmo di crescita, tuttavia ciò
non implica necessariamente che esso si riduca in
modo permanente, come cercheremo di mostrare.
Figura 1: Stock di capitale in macchinari, impianti
e mezzi di trasporto (miliardi di euro a
prezzi concatenati, anno di riferimento 2010)
Lo schema concettuale attraverso il quale
procederemo a questo esame è quello consueto
della funzione di produzione, che definisce il livello
massimo (potenziale) di prodotto ottenibile per
una determinata dotazione di input produttivi,
lavoro e capitale. Ci muoveremo nell’ambito della
definizione di prodotto potenziale che adotta la
Commissione Europea (CE) poiché, nonostante
le numerose critiche che possono esserle mosse,
definisce la misura utilizzata dalla Commissione
per determinare l’aggiustamento strutturale che gli
stati dell’Unione europea devono compiere al fine
di raggiungere l’obiettivo di medio termine (OMT) e
come tale non può non rappresentare il benchmark
da cui partire.
0.55
750
700
0.50
650
600
0.45
550
500
0.40
450
0.35
400
95
97
99
01
03
stock di capitale su pil
05
07
09
11
13
stock di capitale (dx)
Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat.
La formula è ben nota:
YP = TFPT * (LP )α * K1-α
dove YP è il Pil potenziale, la TFP rappresenta la
componente di trend della produttività totale
dei fattori, LP è il lavoro potenziale, K è lo stock
di capitale presente nell’economia, α e (1-α )
1
La Commissione Europea considera la quota del lavoro uguale a 0.65.
2
Il Pil potenziale, una base incerta per la costruzione
dei parametri europei”, Aggiornamento al Rapporto di Previsione, Dicembre 2014, Prometeia ;”Le linee della Commissione nell’applicazione del Patto di Stabilità”, Rapporto di Previsione, Gennaio 2015, Prometeia.
prometeia
advisor sim
A
anteo
36
Gli investimenti e lo stock di capitale
Dall’inizio della crisi economica e finanziaria gli
investimenti strumentali hanno registrato una
profonda contrazione a cui ha fatto seguito un
modesto recupero nella prima metà del 2011, ben
presto interrotto dalla crisi dei debiti sovrani. Agli
effetti derivanti dalla minore domanda presente e
attesa si sono aggiunti quelli del credito più costoso
e razionato e della maggiore incertezza, che si
sono riflessi in una drastica riduzione dei piani di
investimento delle imprese. Nel corso del 2014 i
primi accenni di ripresa della spesa per consumi e
l’aumento delle esportazioni non sono stati sufficienti
a invertirne il trend negativo, se non alla fine dell’anno,
quando gli investimenti sono tornati a espandersi,
favoriti anche dal sostegno delle misure fiscali3
Mentre tutti questi fattori negativi tenderanno a
svanire con la ripresa, tanto più lunga la crisi tanto
più lungo sarà il tempo necessario affinché lo
stock di capitale ritorni al suo sentiero di crescita
pre-crisi, essendo una grandezza che si muove
lentamente, come emerge chiaramente dalla
consueta formula dell’accumulazione del capitale:
nel 2012 (ultimo anno di cui si dispone del dettaglio
settoriale) hanno contributo in egual misura il
settore manifatturiero e quello dei servizi. In
particolare, tutti i comparti dei servizi hanno
registrato una contrazione della dotazione
Figura 2: Investimenti netti per tipologia di
prodotto e per settore (migliaia di euro a
prezzi concatenati, anno di riferimento 2010)
a) macchinari e impianti
20000
10000
0
-10000
-20000
95
97
Nel biennio 2010-2011 gli investimenti netti
in macchinari e impianti effettuati da tutta
l’economia (Fig. 2a) sono stati seppure di poco
positivi, pertanto lo stock di capitale netto non
ha subito flessioni. La correzione dello stock è
avvenuta successivamente, nel biennio 20122013, quando gli investimenti netti sono divenuti
negativi. Alla flessione del capitale intervenuta
prometeia
advisor sim
Tra queste ricordiamo: il credito di imposta (DL 91/14)
e la Nuova Sabatini (DL 69/13).
3
03
05
07
09
11
13
manifattura
costruzioni
servizi
totale
b) mezzi di trasporto
10000
5000
0
-5000
-10000
-15000
-20000
95 97 99
agricoltura
La caduta degli investimenti si è progressivamente
riflessa sullo stock di capitale netto, che dal 2008
ha iniziato a ridursi, portandosi alla fine del 2013
(ultimo dato disponibile) ai livelli del 2006 (Fig. 1).
Vediamo nel dettaglio l’evoluzione storica degli
investimenti netti a livello di beni e di macro
settori.
01
estrattive
Kt = Kt-1 (1-δ) + It
secondo la quale il capitale netto al tempo t, Kt ,
è dato dal capitale del periodo precedente, Kt-1,
meno la sua obsolescenza fisica, δKt-1, più il flusso
di investimenti lordi, I, effettuati in t. E’ chiaro che
se I è in valore assoluto inferiore a δKt-1, lo stock di
capitale si riduce, in quanto gli investimenti netti,
(I- δKt-1,), diventano negativi. Questo significa che
gli investimenti effettuati non sono in grado di
colmare la riduzione del capitale dovuta alla sua
obsolescenza fisica.
99
agricoltura
01
costruzioni
03 05
estrattive
07
09 11 13
manifattura
servizi
totale
c) prodotti della proprietà intellettuale
10000
5000
0
-5000
-10000
-15000
-20000
95
97
99
01
03
05
07
09
11
13
agricoltura
estrattive
manifattura
costruzioni
servizi
totale
Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat.
A
anteo
37
Figura 3: Stock di capitale produttivo su Pil
Figura 4: Stock di capitale in macchinari, impianti
e mezzi di trasporto su Pil
2.8
0.53
2.7
0.51
2.6
0.49
2.5
2.4
0.47
2.3
0.45
2.2
2.1
0.43
2.0
02
04
06
08
10
Italia
Spagna
12
14
0.41
00
Germania
Francia
02
04
06
08
Germania
10
12
Italia
Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Ocse.
di capitale tranne quello dell’ “informazione e
comunicazione”. Per quanto riguarda i mezzi di
trasporto, la correzione verso il basso dello stock
di capitale è stata più veloce; come si evince
dalla Fig. 2b gli investimenti netti sono entrati in
territorio negativo per circa -4 miliardi nel 2009 e
hanno oscillato intorno a quel valore fino al 2013.
Si differenzia il comportamento degli investimenti
netti in prodotti della proprietà intellettuale
(circa il 30 per cento degli investimenti), che si
sono ridimensionati durante la crisi, rimanendo
però positivi fino al 2013 (Fig. 1.2c). In sintesi,
nel biennio 2012-2013 la riduzione dello stock di
capitale (escluse le costruzioni) ha riguardato
quello detenuto in macchinari e impianti in modo
particolare e quello in mezzi di trasporto.
Anche lo stock di capitale degli altri paesi
dell’Uem, seppure con intensità e tempistiche
diverse, ha risentito degli effetti della crisi (Fig.
3). Al di là dell’evoluzione recente, continua a
“sorprendere” che lo stock di capitale produttivo4
in termini di Pil dell’Italia sia superiore a quello
della Germania fin dai primi anni duemila, e
soprattutto che il divario si accentui fino a
raggiungere quasi mezzo punto di Pil nel 2014.
Nello stesso arco temporale vi è stata una
rincorsa della Spagna, il cui valore arriva a
superare anche se di poco quello dell’Italia nel
2014. Questi risultati “anomali” si ridimensionano
quando scendiamo nel dettaglio della tipologia
di investimento (disponibile per un confronto
omogeneo solo per l’Italia e la Germania) dal quale
emerge che la maggiore intensità di capitale
dell’Italia in relazione alla Germania è riconducibile
soprattutto agli investimenti in costruzioni non
residenziali. Infatti, nel caso dei macchinari,
impianti e mezzi di trasporto (Fig. 4) questo
gap negli anni recenti si annulla. Vi è invece un
divario a favore della Germania nella dotazione di
capitale in prodotti della proprietà intellettuale,
che ammonta a circa lo 0.05 del Pil ed è stabile
dall’inizio del nuovo secolo (Fig. 5).
Considerando la Germania un benchmark, non
sembra dunque che il problema dell’economia
italiana dipenda da una minore dotazione di
capitale in beni strumentali ma piuttosto in
prodotti della proprietà intellettuale che, benché
caduti meno del totale durante la crisi, non
hanno ridotto l’ampio gap che ci separa dalla
Germania. Tuttavia, la quota di questa tipologia di
investimenti rispetto al totale è cresciuta in Italia
dal 2011 a oggi di cinque punti percentuali, da 27
Figura 5: Stock di capitale in prodotti della
proprietà intellettuale su Pil
0.18
0.16
0.14
0.12
0.10
0.08
00
02
04
06
08
Germania
4
Per la definizione e la costruzione del capitale produttivo si veda “Measuring productivity”, Oecd Manual, 2001.
Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Ocse.
10
Italia
12
prometeia
advisor sim
A
anteo
38
a 32 per cento, suggerendo che la crisi ha indotto
uno spostamento verso un capitale più produttivo/
avanzato. E’ un segnale del fatto che le imprese
più forti avrebbero reagito alla crisi investendo
laddove avrebbe consentito un guadagnato in
efficienza, al fine di migliorare la loro posizione
competitiva nazionale e internazionale.
L’input di lavoro
L’input di lavoro potenziale è influenzato da scelte
e dinamiche che afferiscono alla demografia e
al contesto socio-culturale ed economico che
condiziona il mercato del lavoro. Un intreccio
complesso che può essere sintetizzato nella
seguente formula, seguendo la metodologia
adottata dalla Commissione:
LP = (POPW * PARTS * (1 – NAWRU))* HOURST
Figura 6: Popolazione in età lavorativa (milioni)
65
50
60
45
55
40
50
35
45
40
30
52
62
72
82
92
02
12
22
totale
di cui: italiani
totale attiva (dx)
di cui: italiani (dx)
Fonte: Istat.
Figura 7: Struttura della popolazione attiva
(quote %)
40
35
30
25
20
15
52
prometeia
advisor sim
62
15-29
72
82
30-39
92
02
40-49
Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat.
12
22
50-64
dove il termine tra parentesi, che definisce il
numero potenziale di occupati, viene moltiplicato
per HOURST, la componente potenziale delle
ore lavorate per occupato. Il numero di occupati
potenziali è scomposto nelle sue componenti date
dalla popolazione in età lavorativa nella fascia di
età 15-74 anni (POPW), dal tasso di partecipazione
potenziale (PARTS) e dal tasso di disoccupazione
compatibile con una crescita dei salari stabile
(NAWRU 5).
Procediamo dunque prendendo in esame
separatamente ognuno di questi fattori.
E’ ben noto che l’Italia è, assieme al Giappone, tra
i paesi industrializzati quello con l’invecchiamento
della popolazione in fase più avanzata, un fattore
che certamente ne ha condizionato negativamente
la crescita potenziale già a partire dagli anni 2000.
La popolazione italiana è passata da tassi di
crescita medi dello 0.7 per cento negli anni 60-70
allo 0.1 negli anni 80-90, quella in età lavorativa
(14-65 anni) dallo 0.6 per cento medio fino agli anni
80 al -0.1 per cento degli anni a cavallo del 2000.
L’immigrazione ha tamponato nel corso degli anni
2000 questo trend: 5 milioni di immigrati arrivati
nel nostro paese tra la fine degli anni 90 e oggi
hanno sostenuto la crescita della popolazione.
Complessivamente la popolazione italiana
è cresciuta negli ultimi 15 anni di 3.6 milioni,
quella in età lavorativa di circa 1 milione (Fig. 6).
Nonostante la crisi abbia ridotto i flussi migratori,
riteniamo che nell’orizzonte di previsione essi
rimarranno consistenti, benché inferiori a quelli
impliciti nelle ultime previsioni demografiche
ufficiali Istat, riducendosi progressivamente
dai 250 mila dell’anno in corso ai 200 mila nel
2022. La popolazione totale continuerà così a
salire ma non in misura sufficiente da impedire
il declino della popolazione in età lavorativa, che
nel 2022 risulterà inferiore a quella del 2014 per
circa 50 mila persone. Così come non ne impedirà
l’invecchiamento (Fig. 7): si ridurrà drasticamente il
peso dei giovani e aumenterà quello degli over50.
Che effetti avrà questa evoluzione demografica
sull’offerta potenziale di lavoro e la produttività?
Con riferimento all’offerta, se è vero che coorti più
anziane hanno una propensione minore a entrare
nel mercato del lavoro se non vi sono già, è anche
vero che le riforme del sistema pensionistico nei
prossimi anni innalzeranno progressivamente
l’età pensionabile, per cui l’offerta “potenziale”
tenderà a crescere, come mostra la Fig. 8, per il
minore flusso di uscita rispetto ai flussi di ingresso
di giovani, ridotti perché le coorti sono meno
5
Non-accelerating-wage rate of unemployment.
A
anteo
numerose ma anche perché si sta innalzando il
tasso di scolarità, e si sta quindi restringendo il
tasso di partecipazione dei 15-24enni.
Alle spinte di ordine demografico, con dinamiche
molto persistenti che evolvono lentamente nel
tempo, benché non completamente immuni dalle
condizioni economiche (ad esempio, nell’afflusso di
immigrati), sull’offerta di lavoro si sovrappongono
le spinte esercitate dal ciclo economico,
certamente molto più potenti anche se di segno
non definibile a priori. Le recessioni, infatti,
possono ridurre il livello del potenziale attraverso
una riduzione dei tassi di partecipazione se
prevale l’effetto scoraggiamento, mentre
possono aumentarlo se a prevalere è il cosiddetto
effetto “lavoratore addizionale”. Infatti, tassi di
disoccupazione elevati possono scoraggiare i
lavoratori dal cercare un impiego, mantenendoli o
spingendoli fuori dalle forze di lavoro. Un effetto
che sarebbe solo temporaneo, a meno che questi
lavoratori dovessero rimanere permanentemente
fuori dal mercato, come potrebbe accadere per
alcune tipologie specifiche, quali i lavoratori in
età avanzata, le donne, mentre è meno verosimile
che avvenga per i giovani. D’altro canto, tassi di
disoccupazione elevati possono spingere sul
mercato fasce di popolazione precedentemente
inattive, tipicamente donne, spinte dalla necessità
di compensare la perdita di reddito del percettore
principale nel nucleo famigliare. A questi effetti
di stampo tipicamente economico, possono
sommarsi le influenze del contesto normativo,
come è stato in Italia.
Nel caso del nostro paese, infatti, nei sette anni
di crisi l’offerta di lavoro è aumentata in misura
consistente, del 4.7 per cento pari a 1.1 milioni di
persone, ma con una composizione particolare,
come mostra la Fig. 9, sia per sesso che per età. E’
aumentata l’offerta di lavoro femminile, a fronte di
un aumento modesto della componente maschile,
e delle persone con più di 45 anni, a fronte di
un calo delle coorti più giovani. Diversi fattori
sembrano quindi avere operato: innanzitutto
le riforme pensionistiche hanno mantenuto nel
mondo del lavoro coorti di over 55enni, con un
aumento considerevole del corrispondente tasso
di attività (circa 15 punti percentuali, ora al 50
per cento), mentre l’innalzamento della scolarità
ha rallentato l’ingresso dei più giovani. Per le
coorti centrali, l’interpretazione è più complicata:
per i 35-44enni, si è ridotta l’offerta maschile
(effetto scoraggiamento?) mentre è aumentata
per le donne del centro-sud (effetto lavoratore
addizionale?), per i 45-54enni vi è stato un
aumento per tutte le categorie anche in termini di
tasso di partecipazione. Che per la partecipazione
39
Figura 8: Popolazione attiva ufficiale e tenendo
conto della normativa (migliaia)
41000
40000
39000
38000
37000
36000
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
pre-pensioni e obbligo
obbligo scol. 16anni
con ob+pens
15-64
Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat.
Figura 9: Variazioni dell’offerta di lavoro
(2014-2007, migliaia)
>55
45-54
25-44
15-24
femmine
maschi
totale
-1500 -1000
-500
0
500
1000
1500
Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Istat.
delle donne vi sia stato un effetto lavoratore
addizionale è una interpretazione convalidata
anche da indagini ad hoc6, dalle quali sembra
anche emergere come queste non si siano ritirate
dal mercato una volta che il partner ha ritrovato
lavoro, determinando un aumento permanente del
tasso di partecipazione.
Nel complesso, comunque, l’aumento della
partecipazione osservato negli anni della crisi
non ha solo origini congiunturali ma, derivando da
mutamenti sia normativi sia comportamentali,
ha carattere strutturale, e dunque con un effetto
positivo sul prodotto potenziale.
Gli effetti sull’occupazione potenziale dal lato della
6
Franceschi F., The Added Worker Effect for Married
Woman in Italy, Bank of Italy, July 2014.
prometeia
advisor sim
domanda di lavoro sono ovviamente ancora più
marcati. In particolare per quanto qui interessa,
crisi prolungate nel tempo possono dare luogo
a fenomeni di isteresi (ossia di persistenza
nel tempo) e quindi tradursi in aumenti della
disoccupazione strutturale (o del NAIRU/NAWRU),
tanto di più quanto più lunga è la recessione e più
rigide e incapaci di adattarsi sono le economie.
Anche in questo caso, aumenti del NAWRU
portano a una riduzione temporanea della crescita
del potenziale, che tende tuttavia a rientrare man
mano che il NAWRU torna al suo livello di partenza.
Non entreremo qui nella discussione sul calcolo
del NAWRU, le cui controverse modalità di
stima sono state recentemente oggetto di
particolare attenzione da parte della CE, che ha
apportato diverse innovazioni7. Rimane comunque
presente la criticità di fondo, costituita dal
fatto che per stimare il Pil potenziale, il tasso
di disoccupazione dovrebbe risentire il meno
possibile dell’andamento del ciclo economico,
mentre, come evidenziato dalla stessa CE8, il
NAWRU come attualmente stimato mantiene una
non trascurabile componente ciclica, in particolare
quando l’inflazione è distante dall’obiettivo
ufficiale della BCE del 2 per cento9. In altri termini,
il NAWRU non sembra la misura più adeguata
per esprimere la disoccupazione strutturale.
Ciò premesso, percorreremo una strada diversa
per quantificare la disoccupazione strutturale,
concentrandoci sulle tipologie dei disoccupati
cercando di identificare le caratteristiche che
possono essere più chiaramente considerate
come permanenti.
In particolare, ci concentreremo sui disoccupati
di lunga durata10, poiché è ben noto che la
prometeia
advisor sim
A
anteo
40
7
In particolare, essa non si limita più ad utilizzare la sola
curva di Phillips keynesiana tradizionale (TKP), ma ha bensì
implementato la nuova curva di Phillips keynesiana (NKP).
Quest’ultima, incorporando le aspettative razionali, tende a
ridurre l’effetto del ciclo economico sulla stima del e questa
peculiarità ha portato a una revisione nelle stime del Pil potenziale e dell’output gap per i paesi interessati (l’Italia non
è tra questi).
8
European Commission, “European Economic Forecast
Spring 2014”, European Economy, 3/2014, p. 38.
9
Un’altra criticità dipende dalla sensibilità delle stime
del NAWRU rispetto alle ipotesi di partenza. In particolare,
esso è stimato tramite il filtro di Kalman, che richiede di fissare una serie di parametri al fine di inizializzare il filtro stesso e per poter così procedere con la stima. Piccole variazioni
nei parametri iniziali possono produrre importanti differenze nella stima del NAWRU e, di conseguenza, nel Pil potenziale e nell’output gap. Come mostrato da un recente lavoro
dell’Ufficio parlamentare di Bilancio , piccole variazioni possono far divergere l’output gap anche di valori prossimi al
punto percentuale.
10
Olivieri A. e S. Tomasini (2015), “La crisi sta lasciando
segni permanenti sul mercato del lavoro in Italia?”, Rapporto
permanenza prolungata in questa situazione
riduce molto velocemente la probabilità di
rientrare nel mercato del lavoro: si ricordi che
dopo la recessione del 1992-93, la disoccupazione
di lunga durata impiegò 13 anni per rientrare sui
valori pre-crisi. Identifichiamo dunque alcune
tipologie che possono contribuire a caratterizzarli
come disoccupati “strutturali”: (i) essere residenti
nel Mezzogiorno, dove la disoccupazione è
strutturalmente più elevata e il numero dei senza
lavoro da più tempo è più che raddoppiato durante
gli anni di crisi (sono passati da 430 mila a 990
mila); (ii) avere lavorato nelle costruzioni, il cui
numero è passato da 40 mila a 186 mila; (iii) avere
un’età compresa tra i 45 e i 54 anni (passati da 95
mila a 380 mila), poiché mentre per i giovani si
potranno aprire nuove opportunità e i disoccupati
più anziani usciranno via via dal mercato per
quiescenza (anche se per essi si potrebbe
presentare un problema di dimensioni della
prestazione pensionistica), per questa fascia di
età intermedia sarà molto complicato rientrare, in
assenza di adeguati interventi di riqualificazione.
Basandoci sui micro dati dell’Indagine sulle Forze
di lavoro abbiamo stimato che i disoccupati con
queste caratteristiche siano circa 500 mila che,
sommati ai disoccupati esistenti prima della crisi,
quando il tasso di disoccupazione aveva raggiunto
livelli di minimo e si riteneva fosse molto vicino al
livello strutturale, porta il tasso di disoccupazione
“strutturale” al 7.8 per cento.
La produttività e la Tfp
Veniamo infine alla produttività e alla Tfp, ossia
al modo in cui i fattori capitale e lavoro vengono
combinati nei processi produttivi e che è, come
ben noto, forse l’ambito in cui il nostro paese
risulta più carente.
La recessione può avere avuto conseguenze di
segno opposto sulla Tfp, con effetti netti difficili
da valutare a priori. Da un lato, la crisi può ridurre
gli investimenti in innovazione (attraverso quelli
in ricerca e sviluppo), come abbiamo mostrato in
precedenza. Dall’altro, le crisi possono sia dare
alle imprese più forti incentivi a migliorare la loro
efficienza sia migliorare l’efficienza media del
sistema attraverso il processo di “distruzione
creatrice”. Allo stesso modo, anche l’effetto sulla
produttività e la Tfp attraverso il capitale umano
è ambiguo, poiché per un verso vi potrebbe
essere un effetto positivo derivante dall’incentivo
per le imprese a investire di più in training e
organizzazione, per gli individui a rimanere più
di Previsione, Gennaio 2015, Prometeia.
A
anteo
tempo nel sistema scolastico e formativo. Per
altro verso, durante la recessione si riduce la
formazione “on the job” (il learning by doing) e le
ridotte disponibilità economiche delle famiglie
possono limitare la formazione universitaria dei
giovani, costretti a entrare nel mercato del lavoro
per compensare le perdite del reddito della famiglia
di origine.
La recessione riduce il livello di output potenziale
anche attraverso la riallocazione settoriale che può
rendere lavoratori/capitale fisico obsoleti tanto
di più quanto siano caratteristici dei settori colpiti
dalla crisi, esempio tipico è l’uscita dal settore delle
costruzioni/immobiliare. Tuttavia la riallocazione
può avvenire da settori con bassa produttività
verso settori con alta produttività o viceversa, con
un effetto a priori non determinabile. L’effetto,
qualunque sia il segno, in questo caso potrebbe
essere di lunga durata nel caso in cui la riallocazione
abbia natura permanente. L’analisi condotta, di
cui diamo conto nel Capitolo 10, sembra però
suggerire che non si sia verificato un significativo
spostamento verso settori più produttivi e quello,
modesto, verso quelli a più elevata intensità di ICT
non è stato sufficiente a compensare quello meno
virtuoso, dal punto di vista della crescita della
produttività, avvenuto dalla manifattura ai servizi.
Rimandando ulteriori riflessioni in questo ambito
ai risultati di una ricerca in corso che studia gli
effetti di riallocazione tra le imprese all’interno di
uno stesso settore, non possiamo non concludere
che da questo ambito non sembrano emergere
particolari segnali di risveglio strutturale della
produttività. Va altresì notato che proprio per il
ritardo che caratterizza il nostro paese nell’impiego
delle tecnologie più innovative, alla frontiera, lascia
la possibilità che la loro introduzione consenta un
rimbalzo nella crescita della produttività. Possibilità
che, in via cautelativa, non abbiamo inserito tra le
ipotesi di questa previsione.
Anche con riferimento all’influenza che sulla Tfp
può essere esercitato dal capitale umano, l’analisi
condotta con il modello a generazioni sovrapposte
ne segnala il contributo positivo ma comunque
limitato nelle dimensioni, soprattutto se
confrontato con quello di altri paesi europei quali
Francia e Germania. Infatti, non solo la scolarità
media della popolazione italiana è largamente
inferiore, come peraltro ben noto, ma lo è anche
quella delle fasce più giovani della popolazione
(Fig. 10). Ciò segnala l’ancora inadeguato
investimento della società italiana, istituzioni
famiglie e imprese, nell’istruzione delle sue giovani
generazioni. D’altro canto, possiamo coglierne il
lato positivo: c’è ampio spazio perché il livello di
istruzione, e quindi il bagaglio di competenze e
41
Figura 10: Livelli di scolarità dei 15-39enni (quote %)
a) primaria e secondaria
60
50
40
30
20
10
0
93
97
01
05
09
13
05
09
13
05
09
13
b) diploma
60
50
40
30
20
10
0
93
97
01
c) laurea
40
40
30
30
20
20
10
0
10
93 97 01 05 09 13
0
93
97
01
Germania
Francia
Italia
Spagna
Fonte: elaborazioni Prometeia su dati Eurostat.
professionalità, della popolazione italiana possa
aumentare, e contribuire quindi a innalzare la
produttività media della nostra economia e, con
essa, il suo tasso di sviluppo potenziale. Altre
prometeia
advisor sim
A
anteo
42
In assenza di chiare indicazioni sul fatto che il
nostro paese possa veramente cambiare passo
nell’investimento in capitale umano, abbiamo
valutato con cautela la sua crescita nell’orizzonte di
previsione per cui l’esercizio di simulazione indica
per l’Italia un contributo della tecnologia piuttosto
basso fino al 2022 e in leggero aumento fino al 2027
per l’effetto positivo di una più elevata qualità del
capitale umano e una maggiore intensità di capitale
fisico per addetto.
Figura 11: Contributi alla crescita del Pil
potenziale (punti percentuali)
a) TFP
1.4
1.2
1.0
0.8
0.6
0.4
0.2
In sintesi, la nostra stima del prodotto
potenziale al 2022
0.0
-0.2
-0.4
00
02
04
06
08
10
12
Italia
Germania
14
16
18
Francia
Spagna
b) Lavoro
0.04
0.03
0.02
0.01
0
-0.01
-0.02
00 02 04 06 08
10
12
14
16
Italia
Francia
Germania
Spagna
18
c) Capitale
0.06
0.05
0.04
0.03
0.02
0.01
0
-0.01
00
02
04 06 08
10
12
14
16
Italia
Francia
Germania
Spagna
18
Fonte: Commissione europea.
prometeia
advisor sim
economie più avanzate, da quelle del Nord Europa
agli Stati Uniti, dove i livelli di scolarità sono
oramai a livelli molto alti, non avranno questa
possibilità di catching up nelle competenze.
Siamo ora in grado di procedere a una stima del
prodotto potenziale, che effettueremo ponendola
a confronto con quella della Commissione.
Partiamo analizzando il contributo apportato al Pil
potenziale dai singoli fattori, così come calcolato
dalla CE per i quattro grandi paesi dell’area
dell’euro. Si nota che per l’Italia: (i) la TFP, a partire
dal 2004, ha contribuito negativamente, mentre
per Germania, Francia e Spagna il contributo è
sempre stato positivo (Fig. 11a); (ii) l’apporto del
lavoro è stato in media negativo durante la crisi,
si è azzerato nel 2014, ed è previsto positivo negli
anni successivi (Fig. 11b); (iii) il contributo dello
stock di capitale è stato positivo ma in costante
declino dall’inizio della recessione, sino a cambiare
si segno negli anni 2013 e 2014. Le previsioni
della CE indicano un’inversione di tendenza negli
anni a seguire (Fig. 11c). Rispetto agli altri paesi
analizzati, i punti deboli dell’Italia risultano essere
perciò legati alla produttività totale dei fattori e al
declino dello stock di capitale. Infatti, la crescita
del potenziale che ne deriva è estremamente
deludente, rimanendo negativa anche nel 2015,
nonostante la ripresa ciclica, azzerandosi nel 2016
e tornando positiva solo nel 2017. Anche in termini
di ranking non vi sarebbero novità all’orizzonte,
secondo tale stima, poiché l’Italia manterrebbe
il tasso di crescita del potenziale più basso fra i
grandi paesi dell’area. (Fig. 12).
Partendo dalla metodologia adottata dalla CE e
dai dati così ottenuti sino al 2014, proponiamo un
esercizio dove si confronta il Pil potenziale nel
quinquennio 2015-2019 stimato dalla stessa CE e
quello che si ottiene, a parità di TFP, incorporando
le nostre previsioni sui fattori di produzione.
In merito al capitale, le nostre previsioni indicano
una crescita meno ottimistica di quella elaborata
dalla CE: tra il 2014 e il 2019 il capitale, invece di
crescere complessivamente dell’1.1 per cento
crescerebbe dello 0.7 per cento.
A
anteo
Per quanto riguarda la componente lavoro, nel
quinquennio considerato: (i) abbiamo considerato
le proiezioni della popolazione basate sui più
recenti dati Istat corretti per tenere conto di un
minore afflusso di immigrati indotto dalla crisi. Ciò
porta a stimare una popolazione in età lavorativa
nella fascia di età 15-74 anni che cresce dello 0.92
per cento invece che dell’1.18 per cento, come nelle
previsioni della CE; (ii) anche per la partecipazione
le nostre previsioni sono meno ottimistiche
rispetto a quelle CE, ovvero considerano un
incremento del tasso di partecipazione di 0.85
punti percentuali invece che di 1.99 pp. E’ pur vero
che negli anni della crisi il tasso di partecipazione
è aumentato in misura consistente (1.7 punti
percentuali il tasso di partecipazione dei 1564enni) ma, come abbiamo argomentato in
precedenza, in parte tale aumento ha carattere
ciclico e tenderà ad attenuarsi una volta avviata
la ripresa; (iii) il NAWRU, invece di crescere in 5
anni di 0.71 punti percentuali, si ipotizza che resti
invariato nel 2015 e che diminuisca lentamente di
1.16 punti nel periodo 2016-2019, tornando così al
9.66 per cento, il livello del 2012 e dunque ancora
ben superiore sia ai livelli pre-crisi del 7.5 per cento
sia a quello che sulla base delle valutazioni prima
esposte risulterebbe tutt’ora essere il tasso di
disoccupazione strutturale; (iv) le ore lavorate per
occupato, invece di rimanere pressoché stabili,
aumentano dell’1.54 per cento negli anni 20152019, recuperando parte del calo registrato nel
quinquennio precedente.
Come illustrato dalla Fig. 13, tali differenze portano
a stimare una crescita del Pil potenziale più alta
rispetto a quella della CE: 2.08 per cento a fronte
di 0.99 l’aumento cumulato nell’arco di cinque anni.
Per gli anni successivi, le considerazioni svolte
nel capitolo 8 portano a incrementare la crescita
del Pil potenziale verso l’1.2 per cento medio che il
modello OLG stima per il quinquennio 2021-2025.
Una previsione che potrebbe apparire ottimistica,
se commisurata alla crescita estremamente
deludente non solo degli ultimi sette anni ma
anche degli anni pre-crisi, ma che si basa, come
mostrato, su ipotesi di evoluzione dell’input di
lavoro, capitale e Tfp conservative.
Nel complesso, quindi, la caduta del livello di
43
Figura 12: Pil potenziale (var. %)
4
3
2
1
0
-1
-2
01
03
05
07
09
11
13
15
17
Italia
Francia
Germania
Spagna
19
Fonte: Commissione europea.
Figura 13: Pil potenziale dell’Italia: confronto tra
scenari
1.0
0.8
0.6
0.4
0.2
0.0
-0.2
-0.4
-0.6
14
15
16
Commissione europea
17
18
19
Prometeia
Fonte: elaborazioni Prometeia.
potenziale durante la crisi, stimata in 2.6 punti
percentuali, verrebbe recuperata nell’orizzonte
di previsione nel 2020. Il suo tasso di crescita
tornerebbe nel 2019 ai ritmi pre-crisi (lo 0.8 per
cento stimato per il triennio 2005-2007) mentre
negli anni successivi potrebbe risalire verso i
ritmi medi degli anni 2000, l’1.2 per cento. Alla
domanda iniziale rispondiamo quindi che la crisi
ha pesantemente intaccato il livello di prodotto
potenziale ma che le sue prospettive di crescita non
ne sono risultate permanentemente intaccate.
prometeia
advisor sim
A
anteo
44
pillole
Analisi congiunturale dell’economia reale e dei
mercati finanziari
Francesco Amoroso, Guja Bacchilega, Lorenzo
Prosperi, Ugo Speculato, Giacomo Tizzanini —
Prometeia
La congiuntura e le prospettive
macroeconomiche
L
a crescita dell’economia mondiale è stata
moderata nel secondo trimestre e solo
lievemente superiore a quella del primo,
frenata dall’indebolimento di molti Paesi
emergenti e dalla espansione contenuta delle
economie avanzate. Tra le economie emergenti,
è proseguita e si è intensificata la fase recessiva
in Brasile e Russia, mentre in India la crescita
del Pil, pur mostrando una certa tenuta, ha
rallentato il passo; anche tra le economie avanzate
gli andamenti sono stati divergenti: alla netta
accelerazione del ritmo di crescita dell’economia
statunitense, peraltro superiore alle attese, si
sono contrapposte la contrazione dell’economia
giapponese e una marginale decelerazione
nell’Uem (Fig. 1).
Per il periodo successivo, i dati congiunturali
al momento disponibili non incorporano
completamente gli effetti delle tensioni sui mercati
finanziari e valutari e della flessione dei prezzi delle
commodity manifestatesi a seguito dei timori sulla
Figura 1: Pil reale (var.% trimestrale)
1.5
1.1
0.9
1.0
0.5
0.5
0.4
0.2
0.0
-0.3
-0.5
Usa
prometeia
advisor sim
III-14
Uem
IV-14
Giappone
I-15
II-15
Fonte: Thomson Reuters elab. Prometeia; dati al 14/9/15.
crescita dell’economia mondiale, accresciuti dai
segnali di rallentamento dell’economia cinese. Le
informazioni statistiche finora acquisite descrivono,
per i mesi estivi, una tenuta dell’attività nelle
economie avanzate sebbene vi sia la possibilità
di un rallentamento del ritmo della ripresa negli
Usa e un recupero modesto in Giappone, mentre in
Europa i dati sembrano suggerire il mantenimento
di un ritmo di crescita complessivamente regolare;
sono invece più sfavorevoli le indicazioni per i Paesi
emergenti, dove l’India costituisce un’eccezione.
Nel complesso, queste indicazioni sembrano
prefigurare la possibilità che nel terzo trimestre la
crescita dell’economia mondiale rimanga moderata.
Questi andamenti dell’attività economica e
della domanda hanno portato a un ulteriore
indebolimento del commercio mondiale: nel
secondo trimestre le importazioni mondiali sono
diminuite per il secondo trimestre consecutivo,
anche se a un ritmo più contenuto, con il contributo
sia delle economie avanzate sia di quelle emergenti
(Fig. 2). Il quadro non sembra migliorato nel
periodo successivo: i dati qualitativi riferiti ai mesi
di luglio e agosto segnalano, infatti, un ulteriore
indebolimento degli scambi internazionali di beni.
Negli Usa il Pil nel II-15 è cresciuto dello 0.9%
su base trimestrale, superiore alle attese e allo
0.2% nel I-15; la crescita è stata rivista al rialzo
rispetto allo 0.6% della prima release a seguito
di una valutazione di crescita più sostenuta
soprattutto per gli investimenti privati e la domanda
proveniente dal settore pubblico. L’accelerazione
del Pil riflette il venir meno degli effetti di alcuni
fattori che nei primi mesi dell’anno avevano
frenato consumi ed esportazioni, come le avverse
condizioni metereologiche e scioperi nel settore
portuale. Gli indicatori qualitativi continuano
ad evidenziare un’attività più debole nel settore
manifatturiero, con indicazioni di rallentamento
della produzione e dei nuovi ordini, interni ed esteri.
Per il III-15, l’aggiustamento delle scorte e gli effetti
dell’apprezzamento del dollaro e del calo del prezzo
del petrolio potrebbero portare a un rallentamento
del ritmo della ripresa.
Nell’Uem la crescita del Pil nel II-15 è risultata
in lieve rallentamento, dello 0.4% rispetto allo
0.5% del trimestre precedente (rivista dallo
A
anteo
Figura 2: Importazioni mondiali di merci e
contributi (var.% trimestrale e punti %)
4
3
2
1
0
-1
-2
-3
emergenti
industrializzati
mondiali (var.% trimestrale)
II-10 IV-10 II-11 IV-11 II-12 IV-12 II-13 IV-13 II-14 IV-14 II-15
Fonte: Thomson Reuters, CPB, elaborazioni Prometeia; dati
al 14/9/15.
* Importazioni di merci per area di origine, $ 2005,
destagionalizzate
0.3% della stima preliminare, ma è stato rivisto
al rialzo anche il dato del I-15). La tendenza alla
decelerazione è spiegata dalla più contenuta
dinamica della domanda interna, su cui
potrebbero aver influito le incertezze connesse
anche alla crisi greca e il rientro degli effetti
di fattori transitori che avevano agito nei mesi
precedenti: si è infatti ridotto il contributo,
comunque positivo, dei consumi privati mentre
sono calati gli investimenti privati. È stato
invece ampiamente positivo il contributo della
domanda estera, in seguito a un buon andamento
delle esportazioni, in particolare verso gli Usa. A
livello regionale, è stata inattesa la stagnazione
in Francia, che sta affrontando una nuova fase
negativa del ciclo immobiliare, mentre Germania
e Spagna hanno costituito le principali eccezioni
presentando una accelerazione del ritmo di
crescita del Pil. Gli indicatori qualitativi per
il periodo estivo sono risultati poco brillanti,
evidenziando che la ripresa economica possa
aver perso slancio anche nel III-15.
In Giappone il Pil è diminuito dello 0.3% su base
trimestrale, guidato dalla contrazione delle
esportazioni e dei consumi privati; in tal modo si
è interrotto il recupero intervenuto tra la fine del
2014 e i mesi iniziali del 2015, dopo la recessione
attraversata nei trimestri centrali dello scorso
anno a seguito dell’aumento dell’imposta sui
consumi. Per il periodo successivo ci sono
segnali di un recupero moderato dell’attività,
condizionata dalle perduranti difficoltà delle
esportazioni. Esaurito da aprile l’effetto
dell’aumento delle imposte indirette, l’inflazione
45
è in decelerazione, su valori poco sopra lo zero,
mostrando gli effetti del ridimensionamento della
componente energetica: ciò potrebbe portare le
autorità monetarie giapponesi a decidere nuovi
interventi espansivi.
Per quanto riguarda la Cina, i dati di contabilità
nazionale per il secondo trimestre sono stati
migliori delle attese, segnalando un sia pur
contenuto recupero dell’attività. Tuttavia,
queste indicazioni non sono state confermate
dai dati a più elevata frequenza per il periodo
successivo: essi sembrano, infatti, prospettare
un nuovo rallentamento della crescita economica
nel terzo trimestre, con un deterioramento del
contributo fornito dal settore estero. Proprio i
timori circa l’intensità della crescita di questa
economia hanno alimentato, in particolare dopo
la svalutazione dello yuan, una forte correzione
della borsa cui il governo ha risposto con misure
straordinarie.
La congiuntura e le prospettive per i mercati
finanziari
Mercati interbancari e tassi di lungo termine
Il rallentamento della crescita economica
e il deterioramento di numerosi indicatori
macroeconomici cinesi insieme al
deprezzamento dello yuan hanno generato ad
agosto forti turbolenze nei mercati finanziari, con
un conseguente ritorno dell’avversione al rischio
che ha compresso i rendimenti governativi core.
La caduta del prezzo del petrolio ha spinto al
Figura 3: Inflazione attesa nell’area euro (per
cento)(a) e prezzo del Brent (€/barile)
100
2.5
90
2.3
80
2.1
70
1.9
60
50
1.7
40
1.5
30
1.3
20
gen-13 giu-13 nov-13 mag-14 ott-14 mar-15 set-15
inflation swap fw 5a5a
Brent (dx)
Fonte: Bloomberg, Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia;
dati al 15/9/15.
(a)
Il tasso forward 5a5a indica il tasso di inflazione a 5 anni
atteso dopo 5 anni
prometeia
advisor sim
A
anteo
46
ribasso le aspettative a breve e lungo termine di
inflazione, concorrendo a comprimere il livello dei
rendimenti governativi (Fig. 3).
punti base nel 2017.
L’avversione al rischio ha inoltre portato a un
allargamento dei differenziali di rendimento a
dieci anni tra i Paesi periferici dell’area euro e il
Bund (Fig. 4). Tuttavia, nonostante la volatilità
azionaria abbia raggiunto livelli elevati, gli spread
non sono stati particolarmente influenzati
grazie allo scudo del Quantitative Easing della
Banca centrale europea e al raggiungimento
dell’accordo per la risoluzione della crisi greca (si
veda Box 1).
Dall’inizio del terzo trimestre i mercati azionari
internazionali sono stati caratterizzati da perdite
significative: i mercati emergenti, in particolare
la Cina, hanno registrato i cali maggiori. Le
turbolenze di agosto hanno azzerato di fatto tutti
i guadagni successivi all’euro summit di metà
luglio (che vedeva il raggiungimento di un accordo
per un nuovo piano di aiuti a favore della Grecia in
cambio di riforme urgenti). La svalutazione dello
yuan e i timori di un rallentamento dell’economia
cinese hanno contribuito ad aumentare il clima
di incertezza, innescando un’ondata di vendite
tra le azioni cinesi ma anche degli altri mercati
internazionali, nonostante gli interventi, sul finire
del mese, della Banca centrale cinese a sostegno
dei mercati finanziari (Fig. 5).
Figura 4: Differenziali tra i rendimenti dei titoli
governativi a 10 anni di alcuni Paesi
Uem vs. il Bund tedesco (punti base) e
il Vstoxx (per cento)(a)
1200
60
50
900
40
600
30
20
300
10
0
0
mag-11 gen-12 ott-12 lug-13 mar-14 dic-14 set-15
Vstoxx (dx)
Spagna
Italia
Francia
Irlanda
Portogallo
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 15/9/15.
(a)
Medie mobili a 5 giorni.
I timori di un rallentamento della crescita
economica mondiale potrebbero influire sulle
decisioni di politica monetaria di Fed e Bce, che
potrebbero rimanere più espansive di quanto
atteso dai mercati prima dell’estate. La Bce si è
dichiarata pronta a intensificare il Quantitative
Easing se necessario; negli Usa la politica
monetaria potrebbe dimostrarsi più cauta – in
un contesto di inflazione ancora contenuta e di
maggiori rischi sulla crescita globale – e potrebbe
rialzare i tassi solo nel primo trimestre 2016.
prometeia
advisor sim
Ci attendiamo tassi decennali in rialzo, in misura
maggiore negli Usa a seguito di una crescita
economica più robusta e una politica monetaria
restrittiva. Dall’inizio del 2016, l’attenuarsi
delle tensioni sui mercati dovrebbe favorire
il restringimento spread dei Paesi periferici
rispetto al Bund, che prevediamo sotto quota 100
Mercati azionari
A questi fattori si sono aggiunte le incertezze
circa il timing del primo rialzo dei tassi di politica
monetaria da parte della Federal Reserve,
per i maggiori rischi sulla crescita economica
statunitense e l’inflazione dovuti al rallentamento
della Cina, ai prezzi delle commodities e alla
volatilità dei mercati.
La volatilità implicita ha raggiunto e superato
per alcuni giorni il percentile più elevato degli
ultimi 10 anni (Fig. 6): sebbene le prospettive per
i mercati azionari restino favorevoli per il medio
periodo, alcuni fattori di rischio emersi nelle
ultime settimane potrebbero portare a rapide e
marcate fasi di correzione nel breve termine.
Figura 5: Mercati azionari dei principali Paesi
(ind. di prezzo,1/7/15=100)
110
105
100
95
90
85
80
75
lug-15
lug-15
S&P 500
FTSE 100
Msci Emerging
ago-15
set-15
Eurostoxx 50
Nikkei 225
Ftse Italia
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 15/9/15.
A
anteo
47
Figura 6: Volatilità implicita degli indici azionari
di Usa e Uem (per cento)(a)
45
40
35
30
25
20
15
10
5
set-10
set-11
set-12
set-13
set-14
S&P 500
Eurostoxx 50
ultimo decile S&P 500
ultimo decile Eurostoxx 50
set-15
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 15/9/15.
(a)
Ottenute da opzioni call su indici azionari con scadenze a
un mese; medie mobili a 5 giorni. Ultimo decile calcolato dal
2004.
Figura 7: Deprezzamento delle valute di alcuni
Paesi emergenti nei confronti del
dollaro (var.% dal 31/7/15)
16.1
14.0
13.1
5.9
Dopo l’intervento della Banca centrale cinese
del 25 agosto le turbolenze sui mercati finanziari
internazionali si sono attenuate e l’euro, che nel
periodo di maggiori turbolenze aveva beneficiato
del ruolo di valuta rifugio, si è indebolito.
L’atteggiamento più “dovish” mostrato dalla Bce
nel meeting di inizio settembre, che ha anche
rivisto le aspettative su crescita e inflazione, ha
contribuito a riportare il cambio dollaro/euro
intorno a 1.11 dall’1.15 raggiunto a fine agosto.
L’euro potrebbe risultare più debole nei confronti
del dollaro all’inizio del 2016, quando sarà più
marcata la divergenza tra le politiche monetarie
in Usa e Uem.
Singapore
1.2
Corea del sud
Cina
Cile
3.0 2.8 2.7 2.6
Taiwan
India
Messico
Indonesia
Sud Africa
Turchia
Malesia
Brasile
4.3 3.8
Russia
Tra l’11 e il 13 agosto la Banca centrale cinese ha
lasciato svalutare lo yuan del 4.6%, in soli tre
giorni, nei confronti del dollaro statunitense,
dichiarando che gli interventi fanno parte del
programma di internazionalizzazione dello
yuan e che in futuro il fixing sarà portato
su livelli più vicini al tasso a pronti. A causa
delle preoccupazioni sull’economia cinese,
alla svalutazione dello yuan sono seguiti
deprezzamenti verso il dollaro delle valute di
molti Paesi emergenti, e in particolare di quelli
più in difficoltà e con più ampi squilibri, come
Russia, Brasile e Malesia (Fig. 7).
Nella tabella 1 sono riportate le variazioni dei
rendimenti di alcune asset class nel 2015 e negli
anni passati:
9.0
7.1
Cambi
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 15/9/15.
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A
anteo
48
Tabella 1: Variazioni % in valuta locale (indici total return)
classi di attività
liquidità e strumenti a breve Uem
2010
2011
2012
2013
0.8
1.4
0.6
0.2
2014
2015
15-set-15
volatilità
ultimi 5 anni
0.2
0.0
0.0
indici obbligazionari governativi*
Italia
-0.6
-5.9
21.3
7.4
15.7
2.0
7.9
Uem
1.2
1.8
11.4
2.4
13.5
0.1
3.9
Usa
6.1
9.9
2.2
-3.4
6.1
0.5
4.1
Giappone
2.5
2.3
1.8
2.2
4.8
-0.2
2.2
Uk
7.5
16.8
2.6
-4.2
14.1
1.5
6.5
11.8
9.2
18.0
-8.3
6.2
1.3
5.6
Uem
4.8
2.0
13.0
2.4
8.3
-1.1
2.4
Usa
9.5
7.5
10.4
-1.5
7.5
-0.8
4.4
Uem
14.3
-2.5
27.2
10.1
5.5
1.7
3.8
Usa
15.2
4.4
15.6
7.4
2.5
0.6
3.4
0.1
-2.0
18.3
0.0
9.1
0.4
6.1
paesi emergenti (in u$)
indici obbligazionari corporate I.G. *°
indici obbligazionari corporate H.Y.*°
indice inflation linked Uem
indici obbligazionari convertibili
Uem
4.0
-7.5
17.5
14.7
1.3
1.9
6.6
15.7
-3.8
13.6
26.6
10.0
1.9
9.3
Italia
-8.1
-19.6
11.7
16.1
3.6
16.9
25.3
Uem
3.3
-14.1
20.6
24.4
5.1
6.9
19.4
Usa
15.4
2.0
16.1
32.6
13.4
-2.2
15.1
0.7
-18.6
21.8
54.8
9.8
3.6
19.8
Usa
indici azionari
Giappone
Uk
12.2
-1.8
10.2
18.5
0.5
-4.3
15.0
paesi emergenti (in u$)
19.2
-18.2
18.6
-2.3
-1.8
-13.7
15.6
9.0
-1.2
0.1
-1.2
-33.1
-19.2
18.4
commodities
(S&P GSCI Commodity Index in U$)
cambi nei confronti dell'euro (^)
dollaro Usa
yen
sterlina
6.9
3.3
-1.5
-4.3
13.9
7.3
9.5
22.8
8.9
-12.4
-21.3
-0.2
7.0
11.4
3.7
2.6
3.0
-2.5
7.2
5.7
7.7
Fonte: WM/Reuters; dati al 15/09/2015; * Indici obbligazionari All Maturities. ° Indici corporate euro/dollar issues.
(^) I segni negativi indicano un apprezzamento dell'euro.
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A
anteo
49
Box 1 La timeline della risoluzione della crisi greca
Lo scorso 11/8 è stato raggiunto l’accordo tecnico sul protocollo di intesa (Memorandum of Understanding) tra
la Commissione europea (per conto dell’European stability mechanism, Esm), il governo greco e la Banca centrale della Grecia per il programma triennale Esm di sostegno alla stabilità a favore della Grecia. Il MoU, approvato sia dai Ministri delle Finanze dell’Eurozona il 14/8 sia dall’Esm il 19/8, dopo la ratifica dei Parlamenti nazionali, include una serie di misure politiche che il Paese deve attuare, raggruppate in quattro pilastri:
1. riforma fiscale per raggiungere l’obiettivo di medio termine di un avanzo primario al 3.5 per cento del Pil
(-0.25 per cento nel 2015, +0.50 nel 2016, +1.75 nel 2017 e +3.5 nel 2018);
2. riforma del sistema pensionistico, in vigore dal 2016, che prevede di portare l’età pensionistica a 67 anni
entro il 2022 e altre misure per migliorare la sostenibilità di lungo termine del sistema pensionistico;
3. riforme nei mercati del lavoro e dei prodotti, inclusi dell’energia, per stimolare gli investimenti e la concorrenza;
4. misure per salvaguardare la stabilità del settore finanziario, tra cui la ricapitalizzazione delle banche,
entro la fine del 2015, e misure urgenti per il problema dei Non-Performing Loan.
Il 14/8 le autorità greche hanno inoltre approvato un’altra serie di 35 misure legislative, le cosiddette “azioni
prioritarie” da attuare prima del secondo esborso (previsto per novembre). Le misure includono importanti riforme, identificate nel MoU o come correzioni degli accordi di luglio, relative a tassazione dell’industria mercantile, liberalizzazioni, pensioni anticipate, esenzioni fiscali per le isole (da eliminare, gradualmente, dalla fine
del 2016) e programma di privatizzazioni. Relativamente al programma di privatizzazioni, entro la fine di ottobre 2015 il governo greco deve approvare il progetto per l’istituzione di un fondo indipendente, sotto il controllo
delle istituzioni europee, che sarà operativo entro la fine dell’anno; nel fondo confluiranno asset per un valore
complessivo di € 50 mld. da utilizzare per metà per ripagare la ricapitalizzazione bancaria e, per l’altra metà,
per ridurre il debito e per investimenti.
L’Eurogruppo – secondo la nota diffusa da Bruxelles – è pronto a considerare, se necessario, possibili misure
aggiuntive sul debito greco, come ad esempio l’allungamento delle scadenze e dei periodi di grazia, ma condizionate all’applicazione del MoU e solo dopo la prima review. È stata in ogni caso esclusa la possibilità di un taglio del valore nominale del debito. Sempre secondo la nota, l’Eurogruppo considera indispensabile e accoglie
con favore l’intenzione del Fmi di raccomandare al board un nuovo sostegno alla Grecia una volta completate
le riforme e raggiunto l’accordo sulla sostenibilità del debito.
Il programma di aiuti coprirà un ammontare fino a € 86 miliardi, di cui € 25 miliardi per la ricapitalizzazione o
risoluzione del sistema bancario greco.
La prima tranche da € 26 miliardi sarà erogata in due tempi. Il 20/8, subito dopo l’approvazione del MoU dall’Esm, sono stati pagati € 23 miliardi, che dovranno essere restituiti in 32.5 anni a un tasso di circa l’1%, di cui:
▶▶ € 10 mld., inizialmente su un conto Esm, serviranno per la ricapitalizzazione o risoluzione del sistema
bancario.
▶▶ € 16 mld. finalizzati al finanziamento del bilancio e le esigenze del servizio del debito e già utilizzati per
ripagare il prestito ponte ricevuto a luglio (€ 7.2 mld.), per il rimborso dei titoli greci detenuti dalla Bce
in scadenza ad agosto (€ 3.2 mld.) e per il rimborso dei prestiti Fmi e la riduzione degli arretrati statali
(€ 2.6 mld.). I restanti € 3 mld. saranno erogati al massimo entro fine novembre, una volta completate le
azioni prioritarie contenute nel MoU.
La seconda tranche, fino a € 15 miliardi, sarà erogata, inizialmente sempre presso un contro dell’Esm, dopo la
prima review del programma (comunque non oltre il 15/11) e sarà soggetta al completamento dell’AQR e degli
stress test dato che verrà utilizzata per la ricapitalizzazione del sistema bancario.
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