Il `68 continua ad agitarsi nel nostro pensiero, a porci do mande in
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Il `68 continua ad agitarsi nel nostro pensiero, a porci do mande in
CULTURA, POLITICA E PARTITI Il '68 continua ad agitarsi nel nostro pensiero, a porci do mande in cerca di risposte che in qualche modo lo spieghino completamente. Una di queste: 1'attuale situazione di riflusso, come vien chiamata, è ~ma reazione al '68, o piuttosto è 1a con tinuazione di esso ma svuotata di idealità, di speranze? Il « pri vato » che oggi sembra dilagante, è un antisessantotto - il gran de, magico momento del «tutto è pubblico» - o invece è il '68 stesso, Ja sua grande spinta ma che ricade su se stessa? I partiti che si pongono quali operatori cttlturali, tentano di sal vare dò che del '68 è salvabile, o ne conducono a termine il seppellimento? Noi pensiamo che il '68 sia stato veramente l'irruzione di qualche cosa di nuovo nella stanchezza dell'Occidente. Ma, con trariamente a quanto si ripete, siamo convinti che il '68 è stato l'inizio di una esigenza culturale che domandava l'emarginazione del politico da fatto centrale qual era nel costume culturale do minante, per far posto a un «sociale» che diventasse, esso, av venimento centrale. L'uomo al centro della cultura, operatore diretto di cultura, contro le ideologie che lo avevano emarginato e, peggio, strumentalizzato, estenuandone la forza creativa nei blocchi del potere politico e della cultura ad esso incorporata. La richiesta della « immaginazione al potere» che altro significava se non la fine del potere come ideologia? Perché, se è vero che non ogni potere è ideologia, è sempre ideologia il potere quando esso diventa operatore di cultura. Il '68 chiedeva che la cultura riprendesse il suo vero ruolo, di 4 Cultura. politica e partiti profezia continua, in quanto chiamata ad essere giudizio conti nuo del presente, che pur 'essa ha costruito (dunque, giudizio di se stessa!), in vista di un non-ancora in cui sta sempre 1a vera anima, il senso profondo dell'oggi. O la cultura è vera e grande utopia (cioè immaginatrice del futuro all'interno del presente che essa va edi~icando), o nega se stessa incollandosi a un sup posto «reale» che, svuotato d'anima, di senso, è cosa morta, e fa morire l'uomo che lo costruisce e vi dimora. In fondo il '68 avrebbe voluto muoversi alla riscoperta di alcuni veri, grandi valori etici e intellettuali, capaci di costruire il presente sapendolo continuamente adattare al futuro che in cessantemente viene. E per questo il '68 è stato, a nostro avviso, un grosso atto di accusa alla cultura dominante dell'Occidente, alla sua rinuncia alla vera utopia nella fuga nel nichilismo o in quella caricatura dell'utopia che è <la progettazione del sociale, dell'uomo, ad opera del politico . Per questo il '68 si volse inizial mente ad un marxismo visto come la cultura utopica capace di rompere gli schemi della cultura negatrice dell'utopia. Per questo, la delusione grande e tragica del '68, quando si avvide che l'unico marxismo reale era quello calato nelle strutture partitiche e ad dirittura statali, negazione dell'utopia vera e suo rovesciamento nell'assolutismo ideologico. La scoperta del Gulag, negli scritti dei «nuovi filosofi », non è un incontro casuale! Da qui l'idea di un «Movimento» che convogliasse <la ricerca di una cultura veramente utopica; idea però continuamente negata nel tentativo di riaggregare quell'esigenza in «modi-nuovi-di-far-politica », sen za comprendere che si tratta, oggi, di trovare lo spazio che non è politico e in cui si può originariamente manifestare la vera utopia. Per questo pensiamo che la vera scoperta del '68 fu quella del sociale-che-non-è-politico. Solo che ,l'abitudine politica del passato e la cultura ad esso incrostata hanno cercato subito di prendere in mano quella domanda, uccidendola sul nascere. E per la verità non 'Senza colpa anche di molti Ieaders del '68, viziati come erano da costumi culturali che impedivano la esatta comprensione di quanto stava accadendo e che essi stessi stavano tentando di fare. Cultura, politica e partiti 5 Oggi, a nostro avviso, quel sociale-non. .politico emerso come esigenza nel '68, continua a vivere, e sopravanza il politico; ma continua anche a morire, tragicamente, o ripiegandosi nel limbo della rassegnazione consumistica o suicidandosi nei sussulti della violenza. Per questo pensiamo che un compito primario di chi voglia essere oggi autentico uomo di cultura sia proprio quello di distin guere, con tutta l'accortezza ma con tutta la fermezza, l'ambito del culturale da quello del politico, cioè l'ambito del sociale da quello del politico. Il primo è ['ambito dell'utopia, nel senso che abbiamo detto, delle grandi progettazioni, dei confronti ideali, delle elaborazioni possibili e, perché tali, pluralistiche. n secondo è quello dell'effettuabile, di ciò che oggi si può fare nel con fluire dell'utopia nei limiti dell'adesso e, perché tale, unico. Mo mento essenziale, dunque, il politico, perché senza di esso l'utopia rimane nel vago, nelle intenzioni. Ma se il politico non viene adeguatamente distinto, nella comprensione e nell'operatività, dal sociale, o esso svuota la cultura della dimensione utopica o si carica esso di utopia, e diventa ideologia e violenza, per la necessaria coniugazione del politico con il potere, proprio in quan to esso, il politico, è il campo dell'effettuabile, di ciò che può esser fatto, qui e ora. Da piu secoli, forse dal Rinascimento stesso, al momento della chiusura del discorso culturale nell'immanenza, l'utopia diventava ideologia e la cultura occidentale si lasciava Jegare dal politico. Gli scritti di utopia politica che cominciarono, allora. a pullulare, sono l'evidenza di ciò che accadeva. Oggi bisogna liberare la cultura dalla politica, non nel senso di un rigetto del politico ma di una ricomposizione dei valori. Se ciò non accade, hl limite imposto aila cultura verrà ugualmente rimosso, ma non nella direzione del1a libertà bensl nella direzione del caos e dell'anarchia sociale e culturale. A questa distinzione di ambiti occorre abituarci, costruendoci all'occorrenza le categorie neces sarie per comprenderla e viverla. In questa linea, i partiti politici vanno assolutamente dimen sionati. Il discorso, qui, è piu complesso, se teniamo anche conto degli atteggiamenti differenti dei partiti europei non anglosassoni 6 Cultura, politica e partiti e di quelli anglosassoni. Riferendoci soprattutto al caso italiano, ci sembra paurosa la tendenza che almeno alcuni partiti oggi mo strano, di voler essere tutto, operatori culturali e operatori del l'effettuabHe, difensori dell'utopia e del reale immediato, inten zionatiad assorbire in sé tutto la spazio politico e tutto lo spazio culturale (pensiamo in particolare ma non esclusivamente al Par tito Radicale, al Bel, all'ultimo Partito Liberale). La confu sione mentale, e non solo mentale, che ne deriva, è ,incredibi'le. I partiti vanno ricondotti - e forse per l'Italia bisogna dire: condotti - a ciò che essi in effetti devono essere, canali di cui il sociale (il culturale) si serve, oggi, per convogliare forze ope rative e consensi nell'ambito del poHtico, dell'effettuabile. Per un verso, dunque, i partiti affondano nel sociale e come tali sono certamente fatti culturali ed espressioni ed agenti culturali, non pure realtà pragmatiche; per un altro verso se ne dist,inguono, perché si collocano nel politico. Essi portano le istanze del sociaile nel politico e del politico nel sociale. Ora, è necessario che questa complessità di compiti sia chiara, e si esprima nella consapevolez za degli uomini che lavorano nei partiti in quanto accettano vera mente la distinzione dei ruoli, delle diverse «ragioni ideali». Distinzione possibile proprio per la distinzione dei piani sui quali i partiti si trovano ad operare. Se ciò non accade, i partiti accel~eranno l'opera di distruzione del sociale e daranno una nota sempre piu « violenta» alla cultura, che di per sé dovrebbe essere facitrice di pace perché affermatrice di infinite possibilità. Si tratta, insomma, di riscoprire il sociale autentico, in tutta ~a sua ricchezza non ancora impoverita (e necessariamente) dal « realismo» della politica. E di -dscoprire il politico autentico come l'ambito dell'operazione concreta effettuale, ambito senza il quale, lo ripetiamo, il sociale (h cultura) rimane inoperante; a condizione però che si abbia la consapevolezza profonda che se ~a messa in atto, qui e ora, del possibile, è necessario impove rimento di esso, ciò non va confuso con quella miseria radicale che è ~a negazione come impossibile assoluto di ciò che «per ora» non si può fare. Non si deve confondere il fattibile con il possibile, perché questo è tanto piu ampio di quello. Se questa confusione accade, come oggi, si carica di violenza l'azione poli Cultura, politica e partiti 7 tica, la quale vuole - o promette - , qui e ora, quel che qui e ora non si può dare, ma che viene invece salvato in ciò che ha di vero, custodito, proprio nelle possibilità illimitate della cul tura, del sociale.