Slovo o Polku Igoreve - CGS Vittorio Bachelet

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Slovo o Polku Igoreve - CGS Vittorio Bachelet
La biblioteca di Florianopolis
di Patrizio S.
Slovo o Polku Igoreve
Il monumento letterario di un impero crollato
Questa volta per la Biblioteca di Florianopolis, da dilettante e per mio diletto, parlerò di un testo che
mi sta molto a cuore: lo Slovo o Polku Igoreve (traslitterazione dal cirillico), un poema epico di
autore ignoto risalente al XII secolo circa, che riguarda alcune vicende di uno dei regni più vasti che
l'Europa abbia mai conosciuto, quello del Regno di Kiev . Visto che l'analisi di un testo così antico
e complesso richiederebbe molto di più delle quasi 8 pagine che compongono questo articolo
cercherò di puntare ora su una e ora su un'altra delle mille sfaccettature interessanti di quest'opera. I
testi di riferimento saranno la traduzione italiana pubblicata dalla BUR (col titolo “Il Canto
dell'Impresa di Igor”) e un'altra traduzione italiana pubblicata sul sito http://www.bifrost.it/ ( col
titolo “Il Canto della Schiera di Igor”).
Due edizioni per l'autentico apocrifo
E' lodabile l'intento di chiunque si appresti a tradurre un poema di cui di volta in volta sono state
messe in dubbio il titolo, l'autore, la datazione, la struttura, la lingua, l'ideologia ispiratrice, la patria
d'origine e la religione di riferimento; a maggior ragione quando nella versione tradotta il groviglio
delle diverse possibilità viene disciolto in un testo che affascina ma che allo stesso tempo propone,
a titolo di curiosità e informazione, il crocicchio da cui altre vie sono state prese. Questo è il caso
delle due edizioni che ho avuto modo di leggere, che si differenziano per il tipo di analisi composta
e che in questo senso risultano complementari.
Il volume cartaceo è curato dal famoso slavista Eridano Bazzarelli, che ha tradotto il testo russo in
un bel poema in italiano, ed è sconsigliabile per chi in prima lettura non ha la pazienza di andare a
vedere una nota di venti righe ogni dieci parole; infatti sono offerte dal traduttore quante più
interpretazioni possibili, dimostrando nei loro confronti imparzialità quando non dichiarata
preferenza. La cura per le note, specialmente per quanto riguarda l'etimo delle parole, è una delle
virtù della traduzione del Bazzarelli, e un lavoro tanto scrupoloso è reso necessario dalla nebulosa
di incertezza che avvolge l'intero poema. Bazzarelli poi inserisce, in appendice allo Slovo vero e
proprio, tre testi molto interessanti: si tratta di un’opera poetica chiamata Zadonscina, che ricopia in
parte espressioni utilizzate nello Slovo e di due frammenti di due differenti versioni delle Cronache
degli Anni Passati, ovvero la prima opera storiografica russa, presi nella parte in cui parlano
dell'avvenimento storico a cui il poema si riferisce. E' quindi, quella di Bazzarelli, un'opera
stimolante per la conoscenza dell'antica letteratura russa, che ne mette in luce la pietra miliare
assicurandosi di offrire al lettore italiano una traduzione il più poetica possibile.
Bifrost è invece un sito compilato da una redazione di studiosi di antiche mitologie, tra cui è
presente, cosa rara perfino nei vasti gironi della rete, quella Slava, la cui analisi non poteva
prescindere da un'opera tanto ricca di riferimenti a divinità come lo Slovo, la cui traduzione è simile
a quella del Bazzarelli, cui si sono riferiti, salvo un'attenzione più incentrata sulla comprensibilità e
scorrevolezza. Avvantaggiandosi dello spazio virtuale, sul sito si trova una grande mole di
approfonditi studi sulle divinità pagane slave venerate nella Terra di 'Rus (ovvero il territorio del
Regno di Kiev), studiandone per ognuno la valenza funzionale nel sistema religioso e la
somiglianza in questo senso coi loro “cugini” appartenenti ad altre mitologie indoeuropee. Dunque
la redazione di Bifrost, avendo a cuore la ricerca di archetipi mitologici, inserisce il poema nel più
ampio contesto delle fonti di argomento storico e religioso, offrendo validi spunti di riflessione utili
ad una conoscenza profonda dei culti e della loro importanza.
Le 5 W dello Slovo
Lo Slovo è un poema di argomentazione storica in chiave epica che narra la vicenda di Igor, un
giovane Principe russo, alle prese con il destino, che piegherà ai suoi rigidi dettami la brama di
gloria e di vittoria dell'incauto aristocratico. Questo fa pensare che lo Slovo sia un'opera scritta per
smuovere gli animi di un'aristocrazia russa probabilmente dissoluta e dedita a interessi meramente
personali. Poco si sa poi delle coordinate temporali e spaziali del poema e del suo Autore (in
maiuscolo per la convinzione che si tratti di un autore singolo, realmente esistito, ma ahinoi
anonimo) e questo solo per restare nella superficie di un testo che ad ogni parola porta in un abisso
di possibilità ed interpretazioni dove persino la trama sopraccennata non è univocamente accettata.
In ogni modo uno studio incrociato con le Cronache degli Anni Passati, fa desumere la data di
stesura dell'opera: il 1187; mentre il luogo dovrebbe essere la corte di un principe del Regno di
Kiev, probabilmente quella di Jaroslav il Saggio, Signore della Galizia. Una cosa su cui non sembra
esserci discussione riguarda il fatto che l'Autore sia stato un poeta di corte, che addirittura potrebbe
aver partecipato agli eventi descritti.
Storia del codice
Dunque intorno al 1187 un Autore (Galiziano? Ucraino? Turanico? La risposta è dubbia, la
curiosità certa) scrisse lo “Slovo o Polku Igoreve”, dopodiché passarono circa trecento anni e il
codice (ovvero un'insieme di tavolette incise a mano e rilegate) venne trascritto in un'altra copia
che, passati altri trecento anni, spunta in un monastero di Jaroslavl vicino Mosca, tra il 1791 e il
1792. In quel luogo sperduto ad est di Mosca si è trovato uno dei poemi più affascinanti, più
fantastici e allo stesso tempo artisticamente interessanti della letteratura universale. Tale deve
averlo considerato Aleksej Nikolaevic Musin-Puskin, un dotto burocrate della chiesa bizantina
appassionato di letteratura russa che comprò all'archimandrita (guida spirituale nella chiesa cristiana
ortodossa) del monastero, tale vescovo Joil', l'antico volume contenente lo Slovo. Musin-Puskin,
che si attribuì l'onore della scoperta, si interessò subito al poema, tanto che si mise in prima persona
a tradurlo in russo moderno e a studiarlo per anni. Frutto della sua acribia furono tre copie che egli
stesso consegnò al poeta epico Michail Cheraskov, all'editore Sopikov, e all'imperatrice di Russia
Caterina II, conscio del fatto che un'opera come quella potesse avere una grande risonanza sul piano
patriottico, politico, religioso e, va da sé, nell'arte. Le difficoltà di traduzione comunque gli devono
essere apparse a tratti insormontabili, e così decise di portare il testo a un esperto nel campo della
filologia antico-russa rivolgendosi a Nikolaj Nikolaevic Bantys-Kamenskij che, con il suo allievo
Aleksej Fjodorovic Malinowskij, ne curarono una versione andata in stampa nel 1800 dalla
Tipografia del Senato di Mosca.
A quell'anno dunque esistevano 3 edizioni dello Slovo: il codice del XV secolo in mano a MusinPuskin, la versione da lui tradotta e donata all'imperatrice Caterina II e agli altri, tra cui un editore
che però non editò niente, e quella pubblicata dal Senato con l'aiuto di Bantys-Kamenskij e
Malinowskij. Nel 1812 però Napoleone giunse a Mosca, e tra incendi e distruzioni ci finì pure il
manoscritto quattrocentesco trovato da Musin-Puskin. Delle tre edizioni, dopo la campagna
Napoleonica, si pensava che fosse sopravvissuta solo quella stampata in varie copie dal Senato, ma
nel 1864 venne ritrovata quella destinata a Caterina II. Ciò nonostante la versione più accreditata
resta quella di Bantys-Kamenskij e Malinowskij, ed è quella oggi pubblicata in Italia. Questa
edizione e quella per l'imperatrice tra l'altro non hanno particolari differenze, questo a testimoniare
la bravura di Musin-Puskin pur come traduttore dilettante.
La travagliata storia del manoscritto, delle incursioni provate e non provate da parte di diverse
mani, e la posizione dei personaggi coinvolti hanno portato molti studiosi a ritenere lo Slovo un
falso fin dall'edizione del XV secolo, creato per compiacere chissà quale Principe russo così come
poi fece Musin-Puskin con Caterina II, Imperatrice della Russia. Ma altrettante persone sono
d'accordo sul fatto che le prove a favore della tesi del falso risultano equivalenti agli indizi che ne
fanno supporre l'originalità e, al di là del discorso politico che facilmente emerge a proposito dello
Slovo, lo si può ritenere, nel modo in cui ci è storicamente pervenuto, un'interessantissima
testimonianza del senso artistico, dell'influenza religiosa, e della carica nazionalistica che hanno
animato in tempi remoti la Russia. In questo senso, alcuni, Bazzarelli compreso, sembrano credere
nella veridicità dello Slovo O Polku Igoreve e nell'effettiva esistenza di un suo Autore, e che sia
un'opera di fede in cui facilmente e felicemente ci si investe. Personalmente credo che l'occasione di
avere fra le mani un testo tanto profondo e iperbolico, scritto da un Autore dagli “ottuplici pensieri”,
sia una candela per cui il gioco nettamente valga.
Tanti fili formano un poema
Una questione che mette decisamente in discussione l'autenticità del poema riguarda la trama che
esso sviluppa, piena di digressioni e interventi apparentemente disgiunti gli uni dagli altri. Cercherò
ora di descrivere i vari fili di cui si compone l'intreccio dello Slovo.
L'argomento principale, e in maniera meno chiara anche gli altri, ha una referenza storica definita:
il Regno di Kiev, ovvero il sistema di feudi aggregati con cui si governava la terra di Rus'. I suoi
principi Rjurekidi (la dinastia regale), tra cui Igor, principe di Novgorod-Severskij e il Gran
Principe (traduzione di Knjaz') di Kiev Svjatoslav III. I Cumani, chiamati Polivesiani, un popolo
che vessava frequentemente le terre meridionali della Rus'. Il 1185 d.C., ovvero l'anno in cui gli
eventi storicamente si realizzarono.
In sintesi si parla di un principe del Regno di Kiev, Igor, che per gloria e testardaggine
disobbedisce a dei presagi divini e alle sacre, istituzionalmente parlando, parole del suo Gran
Principe, e va in spedizione punitiva contro i Polivesiani, un popolo che era riuscito con il
mercenariato e con guerre a inserirsi nelle dinamiche dinastiche e politiche del Regno. Igor è quindi
il personaggio principale, coadiuvato dal pugnace fratello Vsevolod, dal figlio Vladimir e dal nipote
Svjatoslav, accompagnati da un piccolo gruppo di soldati che compongono la sua “schiera”, in
russo druzina. Si passa così al combattimento di due battaglie, la prima facilmente vittoriosa,
mentre la seconda si risolve in una clamorosa sconfitta, al termine della quale Igor si trova
prigioniero. Il poema termina con il rientro nella città patrìa del principe dopo una fuga
provvidenziale e ricca di riferimenti alla magia. Dei diciotto capitoli artificiosi (non presenti
nell'originale ma utilizzati per suddividere la scena dai traduttori) che compongono l'opera, undici
raccontano questa storia, centrando di volta in volta diversi protagonisti, sui quali Igor però svetta
per importanza. Sette sono i frammenti che non seguono direttamente questa trama.
Il primo capitolo riguarda l'Esordio di cui si parlerà più avanti, dei restanti sei uno parla di Oleg,
nonno di Igor, e della discordia che seminò nel Regno di Kiev per brama di gloria e ricchezza, con
delle guerre che coinvolsero per la prima volta nella storia della Rus' gli odiati mercenari Polovzy.
Il richiamo a Oleg è dovuto più alla sua storia che alla linea dinastica, infatti ricade su di lui la colpa
di aver sporcato per la prima volta la 'Rus di sangue fraterno, e la superbia di Igor viene paragonata
alla sua. Tre poi parlano di Svjatoslav III, Gran Principe di Kiev e cugino di Igor, glorioso e giusto,
impotente in guerra per la lontananza e per gli accordi da lui stesso stipulati con i capi Polivesiani
già precedentemente combattuti e sconfitti, contro cui si è mosso il suo parente. A lui un sogno
anticipa la disfatta di Igor e conseguentemente la fine della stabilità del Regno di Kiev, e in lui
l'Autore vede il naturale erede delle glorie dei Re antenati, i saggi a cui le nuove generazioni non
rendono onore. Un altro capitolo poi parla di Vseslav, principe e stregone, vissuto all'incirca nella
stessa epoca di Oleg, la cui fama è dovuta al suo tentativo di prendere il controllo del Regno
scatenando una guerra civile che destituisse l'allora Gran Principe Izjaslav. La sua presenza nello
Slovo, molto discussa, dovrebbe essere legata, come Oleg alla sua brama di potere, per la quale egli
però si differenzia da Oleg, in quanto aveva comunque una volontà centralizzante e non meramente
distruttiva. E' probabile allora che la sua presenza sia dovuta anche alle sue capacità magiche, che
non guastano di certo in un principe, forse per proiettarle poi su Igor nel capitolo della sua fuga. Il
capitolo restante è un'invocazione del poeta ai principi di Kiev di unirsi ed aiutarsi a vicenda sotto il
comando del Gran Principe Svjatoslav III, facendo memoria delle travagliate storie della loro terra
ed in particolare del loro incauto pari Igor.
Da questa evidente frammentazione, che negli stili e nei registri linguistici è manifesta, quanto
negli argomenti, alcuni studiosi hanno tratto l'ipotesi secondo la quale il testo a noi pervenuto
sarebbe un mosaico di diversi poemi di autori vari e risalenti probabilmente a epoche diverse.
L'Autore allora non avrebbe fatto altro che unire i tasselli a suo piacimento, sempre che di un
Autore a questo punto si possa parlare. Ma si prenda atto del fatto che un'opera epica, per i punti
temporali e spaziali che va a toccare per essere definita epica, (antenati, successori, amici, nemici,
dèi, ma anche gli eventuali interventi dell'autore) ha necessità di spaziare fra i registri e gli stili,
mescolandoli sapientemente quando necessario.
L'esordio
Lo Slovo o Polku Igoreve si apre, come ogni poema epico che si rispetti, con un esordio che ne
introduce l’argomento e le ragioni che hanno condotto il poeta a trattarlo. La celebre introduzione
all'Iliade, “Cantami o Diva del Pelide Achille l'ira funesta...” per esempio dà, in una frase, l'idea
dell'argomento: l'eroe Achille le cui azioni sono al centro della trama, e dello spirito pugnace che
muove il poeta dovendo egli raccontare di duelli, di rabbia e di morti, il tutto invocando la Musa in
questo più opportuna, ovvero Calliope patrona dell'epica. Al contrario nel caso dello Slovo, l'Autore
opera un confronto da cui si nega. Viene chiamato in causa Bojan, il cantore russo dei tempi andati,
ma non perchè il poeta da lui possa essere ispirato, ma perchè in contrapposizione ai suoi toni
fantasiosi e temi magnifici si deve intonare il poco glorioso Slovo o Polku Igoreve. Quindi da una
parte c'è Bojan, con la sua potenza fantastica, e dall'altra c'è l'Autore, con il suo serioso lamento. Ma
più si va avanti nella lettura più si capisce che l'argomento non è meno abbellito di quanto non
accada nei racconti fantastici, né vengono risparmiate parole celebrative per i personaggi, tra cui
spiccano quelle per Igor.
L'altra differenza messa in campo è quella tra le favole di Bojan e la storia vera trattata nel poema.
Ma se è vero che qualsiasi racconto, sincero o inventato, per fare presa deve essere fatto passare
come realmente accaduto e farcito di particolari verosimili, una dichiarazione come quella
dell'Autore non basta ad assicurarci sulla sua sincerità. Vale ancora da cartina di Tornasole la
“Cronaca degli Anni Passati” in cui, pur in diverse versioni, viene raccontato il fatto similmente a
come ce lo presenta l'Autore.
E' allora forse un momento di sincerità quello che si scorge nell'Esordio, in cui si chiarisce che
nonostante l'opera sia bella e ricca, per la necessità di affascinare il pubblico oltre che per un certo
virtuosismo poetico, il tema resta sempre e comunque una disfatta reale quanto ingloriosa, del quale
l'Autore, forse, avrebbe preferito non dover cantare. Artisticamente è di gran valore l'introduzione
di un'opera epica in cui l'ispirazione tragica viene esaltata come in chiaro-scuro affiancandola al
proprio opposto, una scelta più propriamente ironica, che aumenta l'interesse per un Autore
spiazzante, mistificante, ma certamente eloquente e di alto livello.
Cantare della Schiera di Igor o Canto dell'Impresa di Igor?
“Slovo o Polku Igoreve” è il nome originale dell'opera, ma basta dare un'occhiata ai titoli delle
monografie che ne trattano per capire quanto questo titolo dia adito a diverse traduzioni che ne
implicano un significato differente, p.e.: “ Il Detto della Campagna di Igor”, “Cantare della Gesta di
Igor” o, il mutilato, “Il Cantare di Igor”. Queste versioni accanto al “Canto dell'Impresa di Igor”
usato da Bazzarelli e al “Canto della Schiera di Igor” scelto dalla redazione di Bifrost, compongono
il ventaglio di possibilità finora aperto dai diversi studiosi.
Le parole incriminate di polisemantismo sono dunque “Slovo” e “Polku”. Slovo, è un termine col
quale nel Medioevo in Russia ci si riferiva sia alle prediche teologiche, con l'austero significato di
discorso, sia al racconto epico, dove risulta migliore la corrispondenza italiana con il più evocativo
canto. Per la magnificenza di cui è pervasa l'opera, e per non farlo sfigurare accanto ai famosi e
analoghi Cantare del Cid Compeador e alla Canzone di Rolando, mi pare corretto l'uso della parola
Canto. La traduzione in Cantare deriva dall'interpretazione verbale di Slovo che diverrebbe Slova,
ma siccome nel testo originale il titolo è Slovo, è un'intromissione evitabile.
Il termine Polku poi ha una varietà di traduzioni ancora più eterogenee, potendo essere inteso come
impresa, spedizione, campagna militare, gesta, ma anche come schiera e compagnia di guerrieri.
Diviene dunque interessante la profonda differenza di significato che c'è fra la Schiera di Igor e
l'Impresa di Igor. Il Bazzarelli in questo senso assumendo Polku = Impresa mette in risalto il
carattere eroico del personaggio di Igor, protagonista del racconto, mettendo in secondo piano il
numeroso seguito che lo accompagna a vicende alterne per la maggior parte del racconto. C'è da
dire poi che, essendo Igor l'agente scatenante della storia, il cui finale è la sua mirabolante fuga, il
testo è effettivamente e tecnicamente il racconto della sua impresa. Invece nell'intendere Polku =
Schiera, come fa la redazione di Bifrost, si da un giusto peso alla figura del principe, centrale solo
in quanto attorno gli si muove un intero universo di guerrieri vivi, di morti e di divinità, che spesso
gli rubano letteralmente la scena. Oltretutto sono molto pochi i momenti in cui Igor si trova da solo,
molti di più quelli in cui è seguito attivamente dalla sua guarnigione. A difesa di questa ipotesi si
potrebbe addurre anche che essendo Igor un eroe nazionale dietro al quale metaforicamente
parlando si schiera (!!!) un popolo, i Russi, sfruttando schiera in chiave metonimica, figura retorica
ampiamente utilizzata nel testo, si fornirebbe il titolo di un'impronta ideologica che, d'altronde,
traspare in numerose parti del testo.
Quasi sicuramente l'autore stesso si è divertito a utilizzare una parola che nella sua lingua
intendeva sia un'impresa che una compagnia, creando così un doppio senso di rara efficacia. A noi
italiani non ci resta altro se non rammaricarci del fatto che una parola dalle simili capacità non c'è.
Se ci fosse sarebbe quella che più si addirebbe a tradurre l'antico-russo Polku.
Mitologia e religione dello Slovo
In un testo poetico complesso come lo Slovo o Polku Igoreve è utile cercare di comprendere quali
siano i riferimenti religiosi e cosa essi significhino. Quello che appare, sul piano meramente
proporzionale, dall'elevato numero di divinità presente nel poema, è una totale adesione alla
religione pagana, senza praticamente nessun cenno a quella cristiana ortodossa, importata
dall'Impero Bizantino nel Regno di Kiev da Vladimir Il Santo nel 980 d.C., ben 200 anni prima del
racconto dello Slovo. Del resto, a proposito dell'effettiva conversione dei popoli slavi al
cristianesimo, le fonti ecclesiastiche del XII secolo parlano di una difficoltà oggettiva a far
scomparire credenze e riti pagani profondamente radicati nel popolo, di cui si hanno numerose
tracce fin nel secolo XIX . E' probabile allora che le rappresentazioni tipiche del paganesimo
esprimessero un certa nostalgia per l'epoca precristiana, che fu politicamente propulsiva, tanto che il
Regno di Kiev arrivò a compenetrarsi con Bisanzio, e per il suo primo periodo cristiano, anni in cui
la capitale Kiev si stabilizzò e si arricchì tanto da diventare fra le città più prospere d'Europa. Gli
esempi in cui il poeta manifesta di voler valorizzare i tempi antichi sono numerosi, come
testimoniano i riferimenti alla gloria scomparsa dei primi Re convertiti, e ad essa partecipano pure
gli Dei pagani per la loro natura remota e aurea.
Ecco di seguito le divinità citate nel poema: il plurinominato Trojan, che identifica un eroe
primordiale della terra di 'Rus, forse l'imperatore romano Traiano divinizzato, o l'antica terra di 'Rus
stessa; Bojan, che leggenda vuole essere stato il bardo dei primi Grandi Principi di Kiev; Daz'dbog
dio del sole, del quale i russi vengono definiti nipoti; Veles dio degli armenti, della magia, e della
poesia; Stribog dio dell'aria e padrone dei venti; Chors identificato con un dio lunare e forse della
ricchezza e della morte. Oltre a questi Dèi, appartenenti al pantheon Slavo, nello Slovo vengono poi
menzionate delle divinità che fanno parte del credo dei Polivesiani: Bes e Div, i cui nomi hanno
origini antichissime. Il primo esisteva come demone protettore della casa e della salute già ai tempi
degli Egizi, e il suo culto è stato riscontrato in molte zone del mediterraneo, compresa ad esempio la
Sardegna. Mentre il nome di Div coincide con la radice ariana “div” (splendere), da cui derivano i
greci Zeus e Dioniso, i romani Giove, Giunone e Giano, come anche il latino Deus, divenuto poi
Dio e, rappresenta, come i suoi più illustri derivati, un dio del cielo.
Stupisce allora come, ben 200 anni dopo la conversione, nello Slovo non compaia nessun nome
cristiano, né quello di Dio, né di Gesù, né dei santi. Però se da una parte il cristianesimo non è
presente nelle sue icone tradizionali, c'è da dire che la sua presenza si percepisce nell'ideologia
sottostante al racconto. Esempi sono: il capitolo in cui la moglie di Igor, Jaroslavna, ne piange
l'infausta sorte invocando a suo conforto alcuni elementi naturali, tra i quali spicca per “cristianità”
l'epiteto dato al sole di “tre volte luminoso”, e nel costante riferimento ai Polivesiani come a una
popolazione pagana. Riferendosi all'episodio di Jaroslavna, è da pensare quindi che il Dio cristiano
venga identificato con il reggente delle sorti del mondo, e quindi identificato con la natura nella sua
globalità. Agli elementi naturali non personificati, e spesso al sole, viene infatti imputato di aver
voltato le spalle ai Russi, questo a causa della loro infrazione culminata con la spedizione di Igor.
Leggendo le già citate, e cristiane, Cronache degli Anni Passati, molti degli avvenimenti storici
della 'Rus vengono considerati come premio o punizione divina nei confronti del popolo russo,
interpretando così se stesso e la divinità similmente a come faceva il popolo ebraico con il Dio del
Vecchio Testamento. Nell'ottica della conversione infatti il popolo russo veniva considerato un
popolo “eletto” ad elevarsi dal paganesimo, caro alle sue popolazioni limitrofe.
Un'altra particolarità del rapporto uomini-Dei nello Slovo, in qualche modo riconducibile ad una
visione cristiana di tale legame, è la disposizione delle “schiere” divine. Infatti esse, nel bene e nel
male accerchiano costantemente il fulcro dell'azione ovvero Igor e la sua Schiera. Nonostante i
contesti ce lo facciano supporre, le divinità a favore dei pagani Polivesiani, Bes e Div, agiscono
solo nel momento di ostacolare o contrastare i guerrieri russi, mai in occasione di aiutare i loro
fedeli, e quindi dimostrandosi esclusivamente ostili si portano dietro un giudizio assolutamente
negativo. Si nota così come la campagna di Igor diventi una guerra santa, una battaglia in cui i
Polivesiani incarnano il Nemico e i loro Dei il Demonio, senza ambiguità di sorta, in cui c'è il Dio
con i russi e c'è il Diavolo, da sconfiggere, contro. E forse, in ultima analisi, in una visione coerente
che unisca passato e presente della 'Rus, operata dall'Autore, in questo scontro cosmico hanno
anche la loro parte le divinità slave.
In definitiva l'ibrido religioso in cui viveva nei primi secoli del secondo millennio la Russia è tutta
rappresentata nello Slovo o Polku Igoreve, dove l'antichità pagana è ben presente pur nella
cristianità ufficiale che si andava lentamente definendo come religione nazionale. Curiosamente
poi, il poema si chiude con un liturgico “Amen” che fa pensare ad uno schieramento netto
dell'Autore dalla parte della religione ufficiale, ma altri interpreti in esso hanno visto il letterale
“Così sia”, chiusa ineluttabile per un poema in cui il destino gioca un ruolo fondamentale.
Supponendo che l'autore sia, come parrebbe proprio essere stato, un virtuoso del gioco di parola, è
un possibile suo ammiccamento alla religione cristiana, mentre utilizzava in maniera ambivalente
una delle sue formule fondamentali.
Conclusione
Ciò che stupisce alla lettura dello Slovo sono la bellezza e la ricercatezza di termini e figure
retoriche, proprie di uno stile di poesia fra i più dotti, paragonabile certamente alle più grandi opere
della letteratura. D'altra parte il Regno di Kiev dall'VIII secolo in poi conobbe una fioritura che
nella contemporanea Europa trovava paragoni solo in Italia e nell'Impero Bizantino. Si trattava
infatti di una popolazione che visse, prima di tutte le altre occidentali, una sorta di periodo feudale,
con castelli che venivano amministrati da grandi proprietari terrieri, chiamati Boiari, e con città
governate da Principi provenienti dallo stato centrale, ma alla cui base c'erano assemblee cittadine
(solo i maschi adulti), dette veche, con larghi poteri decisionali sugli stessi Principi. Il Regno di
Kiev era una società in cui formalmente non c'erano schiavi del tipo classico, ma solo servitù della
gleba, cui veniva data in affitto la terra dai grandi proprietari, che in cambio li tassavano. La cultura
russa di allora adottava un unico alfabeto ancora valido come il cirillico, e con esso si era scritto
uno dei primi codici di leggi civili, la Russkaja Pravda. Un Regno che al massimo della sua
estensione toccava a nord il Mar Baltico e a sud il Mar Nero, risultando così uno dei più vasti del
suo tempo. Di un impero, infine, che come spesso accade, per antagonismi interni, andò incontro
alla rovina. Infatti nonostante il lavoro unificante svolto da alcuni Re, i numerosi principi di volta in
volta cercavano il potere personale e, a causa di brame egoistiche di gloria e potere, si arrivò
persino all'istituzione di una seconda capitale,Vladimir, il cui Principe si fregiava del titolo di
Knjaz', in contemporanea col reggente di Kiev. Una tale divisione del Regno portò numerose
diatribe interne facilitando il crollo definitivo che avvenne nel 1237 con l'imponente invasione di
Gengis Khan e la sua Orda D'Oro.
L'argomento come si può notare è immensamente vasto, anche se paradossalmente il testo è molto
breve. Spero in ogni modo di aver interessato qualcuno allo Slovo o Polku Igoreve, e se a quel
qualcuno piacessero i misteri, le curiosità mitologiche, le questioni religiose, la storia di antiche
civiltà, le epopee di condottieri e dei loro nemici, le leggende sugli antenati, gli amori disperati delle
principesse, le questioni di nazionalità, la filologia, gli autori sconosciuti e infine la poesia, la sua
lettura sarà per loro certamente entusiasmante.
Ringrazio di cuore Dario Giansanti della redazione Bifrost per l'aiuto offertomi nella ricerca delle
fonti e durante tutto il periodo di stesura dell'articolo.