DISCIPLINA E PROSPETTIVE DELLA SOCIETÀ DI PROGETTO

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DISCIPLINA E PROSPETTIVE DELLA SOCIETÀ DI PROGETTO
Capitolo 29
DISCIPLINA E PROSPETTIVE
DELLA SOCIETÀ DI PROGETTO
di Flavio de Luca
SOMMARIO: 1. Introduzione e quadro normativo di riferimento. – 2. La disciplina della società di
progetto (SPC) nel Project Financing (PJ). – 3. La società di progetto nel general contractor. –
4. Conclusioni e prospettive.
1. Introduzione e quadro normativo di riferimento
Lord Khan ha dato il nome alla omonima legge economica che suona pressappoco così: per ogni cent che lo Stato investe nell’economia nazionale si produce
un ritorno pari all’effetto di quel cent moltiplicato per un coefficiente detto “moltiplicatore di Khan”. Se c’è un settore economico nel quale la società massimizza
il “moltiplicatore di Khan” questo è il settore delle infrastrutture. Lo massimizza
in termini quantitativi perché coinvolge un numero elevato di operatori differenti
(finanziari, industriali, economici, professionali) e in termini qualitativi perché
stimola la ricerca di soluzioni ideative e realizzative che devono fare i conti con
principi estetici e ambientali oltre che di sicurezza e funzionalità. Lo massimizza
inoltre in termini sociologici perché l’aumento di mobilità rafforza il carattere aperto della società contemporanea.
La società di progetto (Special Purpouse Company – SPC) è l’istituto inserito
nella disciplina degli appalti di opere pubbliche dalla c.d. legge Merloni-ter 1 per
agevolare la realizzazione delle opere pubbliche con il Project Financing (PJ). Il
PF è la tecnica finanziaria elaborata dal diritto anglosassone per consentire la realizzazione di una iniziativa economica in forma di impresa autonoma ma con una
particolare distribuzione dei rischi e dei rendimenti tra soggetti che a vario titolo vi
sono coinvolti. L’istituto si sostanzia in un finanziamento a lungo termine e nell’utilizzo di una società all’uopo costituita (società di progetto, SPC) al fine di mantenere distinte le risorse patrimoniali (assets) dei soggetti proponenti l’iniziativa
d’investimento (“promotori”) da quelli del progetto. Sotto il primo profilo va os1
La legge n. 415/1998 ha aggiunto l’art. 37-quinquies alla legge quadro n. 109/1994.
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servato che la SPC può essere finanziata da capitale azioni (equity) fornito dai
promotori o da terzi sia da capitale di debito (obbligazioni) usualmente concesso
dal sistema bancario. Per quanto attiene, invece, al cross cutting assets, l’imputazione alla sola SPC delle attività e passività relative alla realizzazione dell’opera
esalta la capacità di controllo sull’andamento del progetto e aumenta il livello di
protezione dei promotori che sono affrancati (shielded) dai rischi derivanti dall’eventuale fallimento del progetto.
Lo schema del PJ è molto flessibile e questo lo rende utilizzabile per i progetti
più complessi, come quelli ad elevato rischio ambientale, tecnico ed economico:
la realizzazione di un’autostrada o di un museo da gestire con i proventi che derivano dai biglietti d’ingresso, di centrali elettriche o di nuove attività estrattive,
ecc. Dopo un certo periodo di diffidenza anche in Italia è oggi possibile ricorrere
alla finanza di progetto per proporre a una pubblica Amministrazione di finanziare, eseguire e gestire un’opera pubblica in cambio degli utili che deriveranno dai
flussi di cassa (cash flow) generati dall’efficiente gestione dell’opera stessa. Successivamente all’emanazione della legge quadro n. 109/1994, infatti, è stata prevista la sua utilizzazione per opere specifiche. In particolare: la legge n. 340/2000,
all’art. 21, ha previsto l’utilizzo del PF per la realizzazione “di nuove infrastrutture viarie di interesse nazionale per le quali sono utilizzabili sistemi di pedaggiamento” mentre la legge n. 443/2001 (c.d. legge obiettivo) ha conferito al Governo
la delega per l’emanazione di uno o più decreti legislativi concernenti tra l’altro 2
“la disciplina della tecnica di finanza di progetto per finanziare e realizzare, con il
concorso del capitale privato, le infrastrutture pubbliche e gli insediamenti strategici e di preminente interesse nazionale”. Inoltre, sempre al fine di promuovere il
PJ, la precedente legge n. 144/1999 (art. 7) ha istituito nell’ambito del Cipe
l’Unità tecnica finanza di progetto (UTFP) 3.
Come anticipato la disciplina positiva del PJ è stata introdotta con la legge n.
415/1998 (c.d. legge Merloni-ter). L’obiettivo dichiarato era contenere la spesa
pubblica e fornire una modalità alternativa alla finanza di impresa per realizzare opere pubbliche laddove il finanziamento dell’opera con capitale privato è solo parziale. Con la legge n. 166/2002 (c.d. legge Merloni-quater), è stato quindi ampliato
il numero dei potenziali soggetti promotori (includendovi le camere di commercio e
2
Art. 1, comma 2, lett. a) e anche lett. c) legge n. 443/2001.
L’Unità tecnica della finanza di progetto ha il compito di promuovere, all’interno delle pubbliche amministrazioni, l’utilizzo di tecniche di finanziamento di infrastrutture con ricorso a capitali
privati; di fornire supporto alle amministrazioni nell’attività di individuazione delle necessità infrastrutturali idonee ad essere soddisfatte tramite la realizzazione di lavori finanziati con ricorso al capitale privato, in quanto suscettibili di gestione economica ed alle commissioni costituite nell’ambito del Cipe su materie inerenti al finanziamento di infrastrutture; assistere le amministrazioni nello
svolgimento delle attività di valutazione tecnico-economica delle proposte presentate dai soggetti
promotori e nell’attività di predisposizione della documentazione relativa ad operazioni di finanziamento di infrastrutture tramite capitale privato nonché nell’attività di indizione delle gare e dell’aggiudicazione delle offerte da essa risultanti.
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le fondazioni bancarie) ed è stato abolito il limite temporale di durata della concessione. Infine, con la successiva legge n. 62/2005 (c.d. legge comunitaria 2004) è stato disciplinato il contenuto dell’avviso pubblico che le amministrazioni committenti
sono tenute a pubblicare per indicare quali opere possono realizzarsi con capitali
privati, al fine di adeguare la disciplina a quella comunitaria 4. Mancavano però le
norme di collegamento di una disciplina randomizzata e le norme di chiusura del
sistema. L’adozione del d.lgs. n. 163/2006, Codice degli appalti pubblici, è servito a
riscrivere in questa ottica la disciplina nazionale della finanza di progetto, abrogando tutte le leggi precedenti e riarticolando l’intera disciplina 5. La società di progetto
(SPC) è ovviamente cross-connected con la finanza di progetto e la collocazione
giuridico-scientifica della relativa disciplina ne rende ragione. Essa difatti è contenuta negli artt. 156 e ss. del Codice degli appalti pubblici, i quali riproducono gli
articoli da 37-quinquies a 37-novies della legge quadro n. 109/1994.
Con il terzo decreto correttivo al Codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 152/
2008), infine, si è tentato di dare ulteriore impulso all’istituto e questo all’esito di
difficoltà operative cui non è estranea la genetica resistenza degli imprenditori italiani a reinvestire gli utili nell’impresa stessa (ploughing back) e la preferenza per la
proprietà “protettiva” rispetto a quella “produttiva” 6.
-
2. La disciplina della società di progetto (SPC) nel Project Financing (PJ)
Per individuare le caratteristiche principali della SPC occorre prendere le mosse dall’esame della disciplina legislativa vigente 7 e soffermarsi su alcune peculiarità, che vengono indicate sinteticamente:
1) L’art. 156, d.lgs. n. 163/2006 (come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera g),
d.lgs. n. 152/2008, c.d. terzo decreto correttivo) ha una portata prettamente civilistica poiché:
a) consente/obbliga l’aggiudicatario a costituire, dopo l’aggiudicazione, una società di capitali attribuendo l’opzione facoltà/obbligo di costituire la SPC all’amministrazione nel bando di gara 8;
4
Sulla disciplina del PJ si sono avute diverse delibere dell’Autorità dei lavori pubblici che hanno fornito chiarimenti sulla materia: atto di regolazione del n. 14 del 15 luglio 2001; atto di determinazione del 24 ottobre 2001: finanza di progetto, atto di determinazione del 6 marzo 2002; quesiti
posti in materia di gara per la scelta dei partecipanti alla procedura negoziata, da variazione della
composizione del promotore; determinazione n. 27 del 16 ottobre 2002: prime indicazioni sull’applicazione della legge n. 166/2002.
5
Artt. da 153 a 160 d.lgs. n. 163/2006.
6
G. Sartori, Democrazia cos’è, Milano, 2007, 235.
7
Artt. 156, 157 e 159 d.lgs. n. 163/2006.
8
Nel comma 1 dell’art. 156 si legge, infatti, “il bando di gara per l’affidamento di una concessione per la realizzazione e/o gestione di una infrastruttura o di un nuovo servizio di pubblica utilità
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b) prevede che nel bando di gara deve essere previsto “l’ammontare minimo
del capitale sociale della società” (art. 156, comma 1, d.lgs. n. 163/2006);
c) riconosce alla società di progetto, risultata aggiudicataria, la facoltà di affidare direttamente i lavori da eseguire e i servizi da prestare, ai propri soci, fermo
restando che gli stessi si intendono eseguiti in proprio;
d) chiarisce che una volta costituita, la SPC subentra ex lege nel rapporto concessorio 9.
È dunque quest’ultimo punto a caratterizzare la disciplina in senso pubblicistico. In particolare laddove il legislatore escluda che il subentro da parte della SPC
nella titolarità della concessione costituisca cessione di contratto. Il subentro configura difatti un negozio derivato, in ragione del quale dalla costituzione di una società
di progetto (con oggetto sociale coincidente con l’oggetto della concessione) discende ex lege l’acquisto derivativo, in capo alla medesima società, della qualità del concessionario, senza che con ciò venga meno il precedente rapporto tra quest’ultimo e
l’amministrazione. In altre parole la norma importa l’acquisto della qualità di
concessionaria, da parte della società di progetto, non per effetto del trasferimento
dell’intera posizione del concessionario, ma in forza della costituzione, in suo favore, di una situazione derivata da quella del concessionario. In conseguenza di
tale collegamento negoziale, all’amministrazione è concessa azione diretta nei
confronti della società di progetto senza tuttavia che si verifichi alcun effetto liberatorio nei confronti dell’originario concessionario.
2) L’art. 156, comma 2, d.lgs. n. 163/2006 attribuisce alla SPC, risultata aggiudicataria, la facoltà di affidare direttamente i lavori da eseguire e i servizi da prestare,
ai propri soci, fermo restando che gli stessi si intendono eseguiti in proprio 10.
3) L’art. 156, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 demanda al “contratto di concessione” di stabilire le modalità per l’eventuale cessione delle quote della SPC. Impone però ai soci che hanno concorso a formare i requisiti di partecipazione, l’obbligo di partecipare alla società e di garantire, nei limiti del contratto di concessione, l’adempimento degli obblighi del contraente, fino all’emissione del certificato
di collaudo dell’opera realizzata 11. Ciò importa che l’affidamento diretto dei lavodeve prevedere che l’aggiudicatario ha la facoltà, dopo l’aggiudicazione, di costituire una società di
progetto in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, anche consortile … Il bando di
gara può, altresì, prevedere che la costituzione della società sia un obbligo dell’aggiudicatario”.
9
“La società così costituita diventa la concessionaria subentrando nel rapporto di concessione
all’aggiudicatario senza necessità di approvazione o autorizzazione. Tale subentro non costituisce
cessione di contratto” (art. 156, comma 1, d.lgs. n. 163/2006).
10
“I lavori da eseguire e i servizi da prestare da parte delle società disciplinate dal comma 1 si
intendono realizzati e prestati in proprio anche nel caso siano affidati direttamente dalle suddette
società ai propri soci, sempre che essi siano in possesso dei requisiti stabiliti dalle vigenti norme
legislative e regolamentari”.
11
“Il contratto di concessione stabilisce le modalità per l’eventuale cessione delle quote della società di progetto, fermo restando che i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione sono tenuti a partecipare alla società e a garantire, nei limiti di cui sopra, il buon adempimento degli
obblighi del concessionario sino alla data di emissione del certificato di collaudo dell’opera”.
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ri è possibile sia in favore dei soci che hanno partecipato alla procedura di gara sia
per quelli che sono entrati nella società dopo l’aggiudicazione, perché l’unica
condizione prescrittiva è “che essi siano in possesso dei requisiti stabiliti dalle vigenti norme legislative e regolamentari”. La norma sembra invece essersi dimenticata di indicare chi debba accertare il possesso dei requisiti da parte dei soci.
L’ermeneutica progredente consentita dalla lunga gestazione della disciplina sembra però confortare la tesi che, in carenza di un rapporto diretto tra socie e autorità
concedente, possa competere alla stessa SPC il compito, e la responsabilità, di accertare e certificare il possesso dei requisiti da parte del socio prima di procedere
all’affidamento diretto.
4) L’art. 157 d.lgs. n. 163/2006 consiglia una riflessione qualificata indotta dalla
sua rubricazione: emissione di obbligazione da parte delle società di progetto.
La norma consente alla SPC di emettere titoli obbligazionari ai fini del finanziamento dell’opera, il che conferma il carattere finanziario dell’operazione del
PJ 12. La norma mira a consentire alle SPC un’attività diversamente preclusa e di
entrare nel novero dei soggetti che svolgono attività di raccolta di risparmio tra il
pubblico in aperta deroga all’art. 11 d.lgs. n. 385/1993, il quale che prevede che
detta attività sia svolta da banche e altri soggetti all’uopo autorizzati.
5) L’art. 159 d.lgs. n. 163/2006 riproduce l’art. 37-octies, della legge n. 109/1994
e si preoccupa di rinforzare il meccanismo che consente all’amministrazione di portare a termine l’opera 13.
Come d’uopo gli inadempimenti del concessionario devono essere determinati
secondo le norme del codice civile che regolano la risoluzione del contratto da inadempimento. La disciplina del Codice degli appalti pubblici e, segnatamente, l’art.
159 perseguono invece la finalità di salvaguardare ad ogni costo la realizzazione
dell’opera, anche nell’ipotesi in cui, secondo l’ordinaria normativa civilistica, si
potrebbe procedere alla risoluzione del rapporto concessorio per fatti imputabili al
concessionario. La norma indicata, infatti, consente ai finanziatori del progetto di
sterilizzare il pericolo di risoluzione del contratto di concessione per inadempimenti del concessionario mediante la sostituzione di quest’ultimo con una società
che abbia i requisiti tecnico finanziari del concessionario originario. A tal fine la
12
L’art. 157 del Codice riproduce l’art. 37-sexies della legge quadro n. 109/1994 e dispone: “le
società costituite al fine di realizzare e gestire una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità possono emettere, previa autorizzazione degli organi di vigilanza, obbligazioni, anche in
deroga ai limiti di cui all’articolo 2412 del codice civile, purché garantite pro-quota mediante ipoteca; dette obbligazioni sono nominative o al portatore”.
13
“In tutti i casi di risoluzione di un rapporto concessorio per motivi attribuibili al soggetto concessionario, gli enti finanziatori del progetto potranno impedire la risoluzione designando una società
che subentri nella concessione al posto del concessionario e che verrà accettata dal concedente a condizione che: a) la società designata dai finanziatori abbia caratteristiche tecniche e finanziarie sostanzialmente equivalenti a quelle possedute dal concessionario all’epoca dell’affidamento della concessione;
b) l’inadempimento del concessionario che avrebbe causato la risoluzione cessi entro i novanta
giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 1-bis”.
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norma precisa le modalità di attuazione della sostituzione del concessionario originario inadempiente le quali sono demandate per la declinazione a un decreto del
Ministro delle infrastrutture. Opportunamente però nel Codice degli appalti è stata
inserita una norma transitoria 14 in forza della quale, fino a quando non sia emanato il decreto previsto, le modalità possono essere determinate nel contratto.
Una ulteriore connotazione in senso privatistico dell’istituto che forse varrebbe
la pena di non far decadere, in quanto lascia alle parti il potere, e la responsabilità,
di individuare termini e modi della sostituzione del concessionario originario inadempiente. La committenza appare difatti adeguatamente garantita: a) dall’obbligo della società designata dai finanziatori del progetto di sostituirsi al concessionario originario e b) da quello di far cessare, entro 90 giorni dalla sua designazione, l’inadempimento del concessionario che avrebbe dovuto portare alla dichiarazione di risoluzione del contratto. Senza contare che in tal modo l’amministrazione evita l’allungamento dei tempi di realizzazione dell’opera legati alla risoluzione del contratto ed i potenziali strascichi giudiziari.
3. La società di progetto nel general contractor
Come si è visto, SPC, contraente generale e cessione di quote sono state incise
dalla nuova normativa e dal Codice degli appalti pubblici. In quest’ultimo, in particolare, è previsto che il contraente generale, qualora sia costituto in Ati, debba
costituire una SPC cui possono partecipare anche soggetti finanziatori 15. L’art.
176, comma 10, d.lgs. n. 163/2006 prescrive anche che la SPC sia costituita secondo i tipi di società di capitali previsti nel codice civile, con capitale minimo
indicato in sede di gara. Detta società subentra al contraente generale senza alcuna
autorizzazione dell’amministrazione e senza che si verifichi la cessione del contratto 16 . Viene inoltre consentito che alla SPC possano partecipare soggetti finanziatori o tecnico operativi, se indicati già in sede di gara 17. Il telos della norma è
evidente: garantire l’amministrazione che l’opera sia realizzata grazie all’adozione di una serie di garanzie sulla responsabilità economica amministrativa di
14
Art. 253, comma 4-bis, d.lgs. n. 163/2006.
L’art. 176, comma 10, d.lgs. n. 163/2006 (che riproduce l’art. 9, comma 10, del d.lgs. n.
190/2002) stabilisce infatti che nel “compimento delle proprie prestazioni il contraente generale, ove
composto da più soggetti, costituisce una società di progetto in forma di società, anche consortile,
per azioni o a responsabilità limitata. La società è regolata dall’articolo 156 e dalle successive disposizioni del presente articolo …”.
16
“La società così costituita subentra nel rapporto al contraente generale senza alcuna autorizzazione, salvo le verifiche antimafia e senza che il subentro costituisca cessione di contratto” (art. 176,
comma 10, d.lgs. n. 163/2006).
17
“Alla società possono partecipare, oltre ai soggetti componenti il contraente generale, istituzioni finanziarie, assicurative e tecnico operative preventivamente indicate in sede di gara” (art. 176,
comma 10, d.lgs. n. 163/2006).
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tutti i soggetti che facciano o meno parte della società di progetto costituita successivamente all’aggiudicazione della gara 18.
Inoltre, in ipotesi di contraente generale costituito da più soggetti che abbiano
costituito una SPC ed indicato nell’offerta la quota di partecipazione al capitale
sociale di ciascun soggetto, quando si addiviene alla cessione delle quote della
SPC, i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione sono tenuti a partecipare alla società e a garantire, nei limiti del contratto, l’adempimento
degli obblighi del contraente generale sino al collaudo dell’opera. Questo è l’unico obbligo che grava sui soci che vogliano cedere le proprie quote, ferma la quota
minima partecipativa (determinata dal contratto o dai soci originari) che deve essere mantenuta dai soci che hanno formato i requisiti di partecipazione. Quanto
all’ipotesi in cui una Ati si sia aggiudicata una gara e, successivamente all’aggiudicazione definitiva, abbia costituito diverse SPC, con contestuale variazione
della quota nelle società di progetto da parte delle singole imprese costituenti l’Ati,
non si realizza una cessione di contratto ma un novazione soggettiva dell’aggiudicatario e la SPC assume in pieno la qualifica di concessionario in ossequio
alla normativa in esame.
4. Conclusioni e prospettive
Le considerazioni finali del ragionamento svolto non possono che inferire la
lettura offerta delle norme contenute nel Codice degli appalti pubblici. Da esse
emerge chiaramente che a presiedere l’introduzione del PJ e della SPC nella disciplina degli appalti pubblici è stata la volontà di perimetrare il rischio correlato
al progetto attraverso l’isolamento giuridico ed economico (ring fence) di tutti i
rapporti sorti nell’ambito dell’iniziativa imprenditoriale e in particolare dei flussi di
cassa generati dallo svolgimento dell’iniziativa imprenditoriale (una volta a regime). Essi costituiscono infatti le principali e spesso le uniche garanzie delle obbligazioni contratte per il finanziamento del progetto. Dalla costituzione della SPC si è
voluto in altre parole far derivare una doppia reciproca limitazione della responsabilità patrimoniale dei soggetti interessati alla realizzazione dell’opera. Essa si
realizza con la sottrazione: a) delle risorse finanziarie dedicate alla o provenienti
dalla realizzazione del progetto alle pretese dei creditori di eventuali altre attività
del promotore e b) del patrimonio appartenente al promotore e non coinvolto nella
realizzazione del progetto alle pretese dei creditori dell’operazione finanziaria
strumentale al progetto e dei creditori del progetto stesso 19. In altre parole attraverso la società di progetto si è inteso tutelare il concessionario, consentendogli di
18
R. Damonte, M. Morseletto, Il sistema di scelta del contraente, Milano, 2007.
D. Maresca, Appalti Pubblici. Chiarimento sulla società di progetto (Speciale Pourpouse Vehicle), in Diritto del Mercato, 2008; G. Sabbato, La società di progetto. La società per la gestione
dei servizi pubblici locali. Analisi del project nei vari settori., in www.giustizia-amministrativa.it.
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circoscrivere il rischio del progetto a una società con una propria autonomia patrimoniale, tanto quanto l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera. E si è
ritenuto di poter massimizzare questa duplice ed apparentemente contraddittoria
tutela grazie alla flessibilità di uno strumento idoneo a valorizzare le risorse che i
promotori hanno deciso di dedicare all’iniziativa e al tempo stesso di isolarla da
tutte le loro altre personali iniziative.
La SPC, dunque, mostra di superare i limiti insiti nello schema tradizionale
della concessione di costruzione e gestione, perché presuppone la partecipazione
di una pluralità di soggetti con ruoli e specializzazioni diverse (promotori, realizzatori, finanziatori, gestori). E la sua convenienza sta nella possibilità di far coincidere nello stesso soggetto la posizione attiva di a) realizzatore del progetto e b)
fruitore dei relativi flussi di cassa generati dall’operazione con la posizione passiva di debitore delle somme percepite per la realizzazione dell’opera nei confronti
dei finanziatori. La SPC, e solo essa, riceve il capitale di rischio da parte degli investitori e solo essa assume la responsabilità imprenditoriale diretta del progetto,
cumulando diritti e obblighi connessi: all’acquisizione del capitale di prestito proveniente dai finanziamenti privati o contributi pubblici, alla resa del servizio per
cui è stato contratto il debito, allo svolgimento delle funzioni organizzative e manageriali dell’attività economica oggetto dell’iniziativa, alla raccolta dei flussi di
cassa corrispondenti. In alcuni casi, la SPC può addirittura gestire l’opera seppure
solo per il tramite un operatore avente specifica esperienza nell’attività di settore.
Con una ultima disposizione, infine, la normativa tradisce l’interesse portante
l’istituto. Essa difatti ha previsto che in caso di risoluzione del rapporto per inadempimento del concessionario, questi possa procedere alla cessione di quote e
subentrare un terzo per consentire l’ultimazione dell’opera.
L’ampiezza di manovra concessa dalla normativa fa del SPC il farmaco ideale
per rinvigorire il settore delle infrastrutture: è l’unico strumento di autofinanziamento delle opere pubbliche. La congiuntura economica ed alcune carenze legislative ne hanno però svilito gli effetti a quelli di un placebo. PJ e SPC risultano
infatti utilizzabili solo per opere capaci di generare introiti adeguati a coprire il
100 per cento dei costi: 1) di approvvigionamento del debito contratto per la realizzazione dell’opera, 2) della gestione dell’opera da realizzare e 3) dell’eventuale
remunerazione del capitale di rischio dei promotori.
In conclusione, alla SPC sono correlabili solo opere in grado di finanziare la
propria costruzione e sopravvivenza dato che le uniche garanzie che le assistono
sono prospettiche ai flussi di cassa generati dall’infrastruttura stessa. Ma nello
scenario attuale il caso è reso rarissimo dal crescente costo delle materie prime,
carenza di liquidità del mercato dei capitali e dalla contrazione del contributo
pubblico all’opera.
Va comunque fatto uno sforzo di fantasia, la munizione più potente tra quelle
con cui l’uomo può caricare la sua arma migliore: la ragione. Le fonti di finanziamento di un’infrastruttura assentita in PJ sono i pedaggi, i contributi in conto
capitale ed il valore di subentro a fine concessione (l’equity e il debito sono finan-
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ziamenti temporanei perché vanno restituiti con le opportune remunerazioni: il
primo agli azionisti il secondo agli istituti finanziatori). L’obiettivo di conseguenza è individuare meccanismi giuridici che incentivino il ricorso alla normativa,
garantendo equi ritorni agli investitori.
Occorre in particolare allettare le imprese rendendo interessante investire in
opere pubbliche. Come? Ad esempio, detassando i redditi delle SPC per almeno la
metà della durata della concessione. Si tratta di una modifica normativa a costo zero
per l’erario visto che l’alternativa è assenza dell’utile da tassare per mancanza dell’investimento che dovrebbe produrlo. Attualmente sul reddito di impresa delle SPC
le aliquote fiscali gravano, annualmente, per più o meno il 40 per cento. L’eventuale riduzione e/o annullamento di tali aliquote impatterebbe sulla concessione coeteris paribus ancorché limitate a quelle ai fini Ires e Irap (l’Iva continuerebbe ad
essere incassata dallo Stato perché non incide sul costo medio ponderato delle
fonti di finanziamento – Wacc).
Un’apposita norma, dunque, dovrebbe prevedere l’esenzione fiscale dei redditi
delle società di progetto quando provengono dalla realizzazione di nuove infrastrutture pubbliche. Altra norma, invece, dovrebbe preoccuparsi di quantificare la
rinuncia alle future entrate fiscali e di rendere obbligatoria la loro esposizione nel
piano finanziario della società in sede di approvazione delle relative nuove convenzioni. Infine, una ulteriore norma dovrebbe fissare il tasso di riduzione delle
aliquote (detassazione parziale) o la vigenza delle aliquote ridotte (detassazione
totale), al fine di modularle in funzione degli specifici progetti.
Si sostiene che nulla muova il mercato più degli investimenti in infrastrutture
pubbliche. Ebbene si è scommesso sulla capacità della SPC di riavviare il ciclo
virtuoso; il problema sta ora nel concederle l’occasione; c’è da scommettere, però,
che senza la correzione normativa ricordata il programma di nuove infrastrutture
rimarrà insabbiato sugli attuali saldi di finanza pubblica.