volgeva di neve e di gelo campi e scogliere attor

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volgeva di neve e di gelo campi e scogliere attor
Leggenda
Alla metà del XIII secolo, mentre l’inverno avvolgeva di neve e di gelo campi e scogliere attorno al castello di Tintagel, rendendo improbabili epiche battaglie, le sere rincorrevano le notti fra
cene e feste, svuotando dispense e granai stipati al
tiepido sole dell’autunno.
Quando l’euforia del cibo e del vino cominciava
a placarsi sopra i tavoli ancora imbanditi ma già in
disordine, il canto languido dei bardi, ospiti del
conte Richard di Cornovaglia, provvedeva a dissolvere ogni ipotesi di torpore dalle sale ormai sature di cibo, fumo e rumore. Ogni bardo aveva il
suo pezzo forte e ogni nuovo bardo ne introduceva
di nuovi, ma nessuno faceva lacrimare dame giovani e meno giovani, né inumidiva le ciglia di cavalieri rotti a ogni sfida e battaglia, quanto la leggenda triste di lady Fawn e dei suoi occhi d’oro.
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Oltre cinque secoli prima, durante gli scampoli
di quiete che di arme in arme ogni tanto carezzavano quel lembo di Britannia, fieramente libera
dalla morsa dei sassoni, fra le mura dei castelli
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Paulus Kerner
come nelle capanne di paglia e di fango, altro non
si faceva che favoleggiare di lady Fawn di Tintagel.
Delicato e di alabastro il viso, rosso rame i capelli, flessuoso il corpo, morbide le movenze. Ma
tutto scompariva, al cospetto dei suoi occhi. Un indefinibile caleidoscopio di sfumature, dall’indaco
al violetto al verde, che come per magia si fondevano in due gocce d’oro, quando incontravano i
tuoi occhi. Era come se il sole stesso ti attraversasse le pupille per penetrarti la mente e l’anima, lasciandoti a un tempo svuotato e traboccante di
un’estasi attonita, sconosciuta e totalizzante.
L’estasi di una giovinezza abbagliante ed eterna come la sua promessa di scaldare la vita, che
scorre nelle vene per un tempo troppo breve.
Cavalieri e contadini giungevano a Tintagel da
ogni angolo di Cornovaglia, con un fiore e una
speranza. E per ognuno lei aveva un sorriso gentile, una parola tenera e una carezza, che rendevano
dolce perfino il sapore del rifiuto. Tutti tornavano
alle loro case con l’animo sgombro da ogni traccia
di mortificazione, migliori di come erano partiti.
I guerrieri parevano più valorosi, gli artigiani
più ingegnosi, i nobili meno arroganti. Neppure le
donne riuscivano a provare rancore o gelosia, perché gli uomini che, incassato il suo rifiuto, tornavano a colmarle di attenzioni, portavano negli occhi una luce nuova, una nuova dedizione presagio
di felicità.
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Gli occhi di lady Fawn
Quella di chi è in grado di dare e cercare amore
in ugual misura, perché ha capito che non è il tempo a dare la gioia, ma l’intensità con cui vivi il
tempo che ti è stato dato.
Finché un giorno anche Uther di Land’s End,
l’amante della maga Mathys, avvertì irresistibile il
richiamo di quegli occhi d’oro e partì, mentre iniziava a morire un’interminabile notte densa di strida, preghiere e minacce.
I graffi sul collo e sulla schiena, i morsi sulle
labbra – baci a un tempo imploranti e ringhiosi –
e la barriera ancestrale di spiriti oscuri che avvolgeva il loro nido abbarbicato alla Fine della Terra,
non valsero a fermare il galoppo del cavallo, i talloni convulsi conficcati nei fianchi.
Il volto rigato da lacrime di orgoglio ferito, che
non concedeva spazio al dolore dell’amore spezzato, Mathys ordinò al vento di sputare a est il suo
incantesimo maledetto.
“Chiunque si perderà nello sguardo di quella
puttana, vivrà il giorno dell’estasi per tutta la sua
vita e la sua vita sarà lunga un giorno. Al sorgere
del sole, avvizzirà e marcirà, divorato dai vermi del
tempo”.
Uther travolse campi e brughiere piegato in due
da un vento feroce e senza tregua, fino a quando il
cavallo stramazzò, arido anche di schiuma sul
morso, davanti alle mura del castello di Tintagel.
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Paulus Kerner
La intravide nella bruma che si alzava dal mare,
bella come l’aveva sognata per cento notti fra le
braccia di Mathys. Ma erano i suoi occhi, che voleva.
Quando li ottenne, ogni impeto, ogni angoscia,
ogni rimorso annichilirono e si perse in quelle
gocce d’oro fuso.
La mattina dopo, lady Fawn gli accarezzò il
viso rilassato nell’estasi del sogno della notte precedente, ma le dita lievi inciamparono nei solchi
di una creta spaccata e malferma. Il volto gagliardo e maschio era avvizzito, la barba scura e morbida soltanto un grumo di peli secchi e biancastri.
Gli occhi si socchiusero su uno sguardo vacuo ed
ebete. Poi, tutto fu putrefazione.
Uther di Land’s End era un vecchio demente,
devastato da piaghe maleodoranti.
Non morì subito e quella, forse, fu la cosa più
crudele.
Lady Fawn accudì quel corpo vuoto con dedizione, che lentamente cedeva il passo alla consapevolezza del rimorso incolpevole. Gli occhi d’oro
cercavano invano una scintilla purchessia – d’amore, di odio, di rimprovero, di rimpianto – in
quegli occhi annegati in un abisso di nulla.
Quando venne il momento, non lo seppellì.
Quella breve, tragica epopea meritava la scogliera
e la pietà del mare.
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Gli occhi di lady Fawn
Non ci furono più carezze né sguardi, per i giovani che giungevano a Tintagel.
Lady Fawn viveva chiusa nel suo incantesimo
e non ci sarebbe più stata gioia fra le mura del castello, gli occhi d’oro per sempre abbassati a evitare nuovi volti devastati dal tempo di una vita lunga
un soffio. I giorni scorrevano lenti, le stagioni si
consumavano perdendosi l’una nell’altra.
Lady Fawn era giunta pian piano ad affezionarsi alla compagnia instancabile della sua solitudine,
quando una risata allegra e decisa incrinò il silenzio abituale di un’aurora apparentemente uguale
alle cento che l’avevano preceduta.
“Per coltivare il sogno di rapire il cuore di lady
Fawn, ho detto addio alla mia Bretagna, ho rinunciato a un regno e ho spezzato il cuore di mia
madre, cui un gufo comparso in sogno ha predetto che non mi avrebbe più rivisto. Non mi hanno
fermato predoni, sassoni e pirati, non me ne andrò
senza aver guardato quegli occhi!”
Cormac aveva trascorso due giorni e due notti,
nel suo castello di Punta del Raz, perso nei racconti del comandante di una nave britanna sfuggita al
blocco dei sassoni. Per tante altre notti, aveva poi
fantasticato su quella donna dagli occhi d’oro e i
capelli color del rame, che pareva avvolta da un’aura di magia, capace di rendere felice e appagato
ogni uomo, perfino con un rifiuto.
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