Numero 22

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Numero 22
Numero 22 - 01.08.2005
I "Borghemari"…, lo fanno meglio !!
Sconvolti ?!?!
Un altro numero di DdG dopo poco meno di 10 giorni dall’ultimo ?
Quando di solito bisogna aspettare minimo due mesi !!
Dunque, dovete sapere che quando leggo qualcosa di interessante, subito dopo
strappo (cosa questa, che non so perche’ innervosisce sempre il parrucchiere)
la pagina del quotidiano o della rivista che contiene l’articolo letto e la metto via …
Percio’ mi ritrovo con tutta una serie di articolo che adesso voglio eliminare definitivamente;
e allora, ecco che DdG funziona perfettamente allo scopo ….
Ma visto che tra poco andrete in ferie, “spanparazzati” al mare, o al lago o in montagna
ecco l’idea , non leggete adesso questo numero ma stampatevelo , cosi’ avrete qualcosa
da leggere oltre a quello che vi portate via di solito …
Buona Stampa !
Fabio
Wacht am Rhein II (Decision Games)
L’unico articolo di Bordgame di questo numero e sul nuovo Wath an Rhein della Decision
Games, ma vediamo prima il vecchio :
Wacht am Rhein (SPI 1977) – Un gioco molto dettagliato a livello di battaglione (4 mappe), su
questa campagna, con la possibilita’ di abbassare il livello di gioco a quello di compagnia.
Ci sono unita’ inesperte, artiglieria divisionale, e non, genio, paracadutisti, fortezze,
armi anticarro e dettagliate regole per i rifornimenti: una vera festa per gli esperti!
Logicamente e’ un incubo per i principianti,
Tratto dal libro : I giochi di simulazione strategica . Nicholas Palmer
Note Alessandro
Cari amici
Vorrei fare una tantum un commento anche per DdG a proposito di Wacht am Rhein 2 che
pero' e ' veramente una "First Impression" e non come quegli articoli che apparivano negli anni
d'oro del boardgame su Fire & Movement, di solito, a commento di grandi giochi, da
Squad Leader (AH) a Highway to the Reich (SPI) o War in the East (SPI).
La Decision Games e' riuscita a non distruggere il gioco, le pedine sono semilucide stile ristampe
SPI/TSR anche nella consistenza, ben tagliate, graficamente molto belle. Le mappe
sono anche un'opera d'arte e il sistema di gioco si annuncia non troppo complesso e adatto ai
tempi considerando che si e' partiti da un ottimo gioco fine anni '70 (un quarto di secolo fa).
Le varianti sono accettabili anche per il fatto che faranno parte di un sistema comune con altre
ristampe come Atlantic Wall (SPI) che e' gia' in via di sviluppo.
Di negativo vi e' che dopo anni e anni di attesa vi e' una intera pagina di errata dell'ultimo
momento per i counters.
Alessandro
Note Fabio
Be! diciamo subito , che questa simulazione non ve la danno gratis, persino se dite che siete
registrati a DdG vi tocca tirare fuori minimo 150 euro, e in questo caso dovete aver fatto come
me e Alessandro cioe’ averlo preso a scatola chiusa prima ancora che venisse pubblicato ….
Se non l’avete fatto , dovrete tirare fuori altri 30 euro, e sperare di “schivare” la dogana
che non vi rifili una tassa doganale di altri 30/40 euro come e successo a Marco …
Ora, capite, che quando uno spende 150/200 euro per un gioco di simulazione, quest’oggetto
diventa uno status simbol, come la Porsche che ho in garage , e che rende arduo fare delle critiche
alla simulazioni in questione …
Faro’ del mio meglio per dare qui un giudizio imparziale
Scatola – uno schifo !!!! , pensate che nella cartolina che era dentro il gioco di valutazione
su una scala da 0 a 10 ho messo 0 con tre esclamativi, sembra una scatola che contiene una
camicia cinese , unico pregio e abbastanza larga per contenere molte scatole portapedine …
Pedine – niente di scolvolgente , siamo sulla media , almeno non hanno fatto l’errore di
inserire (grazie all’uso del computer) 47 simboli all’interno di una pedina.
Regolamento – abbastanza sobrio, ma non l’ho analizzato completamente , quindi non mi
sbilancio molto di piu’
Mappa - superba !! , vi giro una immagine dei dintorni di Bastogne, sembra quasi una mappa
militare, notare i triangoli rossi , che rappresentano le colline piu’ marcate …
Scenari - si qui e grande ! e la simulazione qui entra nel mito, abbiamo ben analizzate
le tre fasi della battaglia (l’assalto iniziale tedesco / la situazione di equilibrio / la controoffensiva
americana ) , gran parte degli scenari possono collegarsi tra loro , combinazioni a josa …
Consigli per gli Acquisti – insomma vi consiglio di andarlo subito a acquistare ?
Ma certo che no!!! , ritengo che questa simulazione (notate che in questo articolo non ho mai
parlato di gioco) sia valida , specialmente per il suo costo per gruppi , mentre per il singolo
giocatore , con quei soldi con Ebay vi potete acquistare almeno 8 giochi , e in giro c’e ne
sono di giochi tosti … E io ?
Vado famoso per predicare bene , ma ruspare peggio ; ma il punto non e’ questo, prima
di tutto non mi andava di aspettare altri 25 prima di avere la terza ristampa, e poi tengo
famiglia e Alex e Albert tra poco meno di 10 anni faranno parte del E-Rizzo Team , non
so se mi spiego …
Con Napoleone o con Wellington ?
Per capire che tipo di interlocutore avesse davanti, lo scrittore Leonardo Sciascia chiedeva
talvolta «Lei, da che parte avrebbe combattuto a Waterloo?», sintetizzando nel suo modo
elegante due opposte visioni dei mondo.
La Gran Bretagna razionale del Duca di Wellington, operosa e industriale, tollerante ma imperiale,
libera nel rispetto sovrano della legge, contro la Francia figlia della Rivoluzione, madre dei diritti
dell'uomo, innamorata di Napoleone.
La ragione riformista di Londra contro la passione utopica di Parigi simboleggiano un antico
scisma progressista, filtrato nel Novecento dall'icona inglese Bertrand Russeli, matematico,
pacifista, saggio, contro il totent francese Jean Paul Sartre, filosofo, comunista, tormentato.
…
Da un articolo tratto dal Corriere – giugno 2005
E voi da che parte avrebbe combattuto a Waterloo ?
(io coi prussiani)
Appunti di Storia – Arnhem 1944
Foto di rincognizione Alleata – Area Inglese
Foto di rincognizione Alleata – Arnhem dopo la fine della battaglia
Tratto da un servizio della rivista Focus
Berlino - WASt
BERLINO - Vuole un antico detto russo, che una guerra finisca veramente solo quando l'ultimo
soldato sia stato sepolto. E basterebbe visitare quest'angolo anonimo della capitale tedesca, in
quello che a suo tempo fu il settore francese della Berlino divisa, per rendersi conto di quanta
verità contenga quel piccolo grano di saggezza, attribuito a un generale zarista di due secoli fa.
Visto da fuori sembra un edificio ministeriale, imponente costruzione in mattoni rossi e un largo
spazio verde a circondarlo. Ma dentro, invece che di funzionari, impiegati e uscieri, è pieno di
carte, chilometri di scaffali zeppi di cartelle. Diciotto milioni, per l'esattezza. Sono i dossier
personali, con ogni informazione disponibile, di tutti i militari tedeschi che presero parte alla
Seconda Guerra Mondiale.
E' la sede di un ufficio, che dal 1939 non ha mai cambiato acronimo: WASt sta infatti
per Centro di informazioni della Wermacht per i caduti e i prigionieri di guerra.
In quel mare di carta, c'e tutta la memoria di dolore, di sangue e di morte del popolo che segui
e pagò caramente la follia nazista: ferimenti, malattie, decessi, scomparse di ogni militare tedesco,
in tutto 150 milioni di informazioni, sono scritti in quei dossier e vengono continuamente aggiornati
dai quasi 400 addetti all'archivio.
Ma un altro compito, meno burocratico e più complicato, meno freddo e più emotivo, impegna il
personale del WASt. Sessant'anni dopo la fine della guerra, ogni giorno centinaia di tedeschi
continuano a scrivere chiedendo notizie, frammenti di verità, tessere di mosaici spezzati, conferme
o smentite sulla sorte di uomini inghiottiti in qualche modo dalla voragine del conflitto e mai più
riapparsi. «Riceviame 18 mila richieste l'anno -spiega il direttore Peter Gerhardt - e per ogni caso
possono essere necessari anche 18 mesi, prima di raccogliere tutta l'informazione che ci viene
domandata».
Non e stato sempre cosi, naturalmente. Durante gli anni della Guerra Fredda, l'archivio poteva
contare solo sulle proprie forze, poiché era impossibile ottenere dall'Unione Sovietica o dai Paesi
dei Patto di Varsavia qualsiasi notizia sui dispersi o sui caduti di guerra. Nel 1955, il cancelliere
Adenauer era riuscito a negoziare un accordo con Krusciov per la liberazione dei prigionieri di
guerra : quasi un milione di ex soldati della Wehrmacht fecero ritorno a casa.
Ma si dovette aspettare la caduta del Muro di Berlino. la fine dell'Urss e la riunificazione tedesca,
perché il WASt cominciasse finalmente a ricevere informazioni sui dispersi. L'apertura degli archivi
della Germania dell'Est frutto da sola l'identificazione di ben 15 mila tombe di soldati, fin lì
anonime.
La vera svolta avvenne nel 1992, quando il maresciallo Kulikov, ex comandante del Patto, colse di
sorpresa il governo federale, offrendo l'apertura degli archivi di Podolsk, a sud di Mosca, e piena
cooperazione nella ricerca dei missing in action. Dalle carte sovietiche, saltarono fuori i nomi di
settecentomila ex soldati tedeschi che erano stati tenuti prigionieri, ma di questi quasi 500 mila casi
rimangono aicora oggi senza soluzione. «Stabilire la vera identità di queste persone, individuarne
con esattezza il destino, è molto complicato, anche perché spesso i loro nomi vennero tradotti
in cirillico in modo errato», dice Gerhardi, secondo il quale, a tutt'oggi, il numero degli ex
militari tedeschi dispersi e’ “superiore a 1 milione».
A inondare di lettere il WASt sono soprattutto le nuove generazioru, i figli e i nipoti che hanno
avuto “la grazia di essere nati dopo,,.
Dopo la guerra, colpa e vergogna prevalsero sulla volontà di sapere. Gerhard, 63 anni, ricorda
il totale rifiuto di suo padre, che aveva combattuto in Olanda, a discutere l'argomento.
Oggi, la nuova Germania vuole confrontarsi senza reticenza col proprio passato. Il dibattito sui
tedeschi come vittime, nato sull'onda di un romanzo di Gunter Grass e di numerose ricostruzioni
storiche sulle sofferenze patite dal popolo, è stato un momento decisivo di questo passaggio.
«Nel caso del WASt - dice Gerhardt - io credo che giovani di 20 e 30 anni si rivolgano a noi
perché vogliono sapere cosa successe, vorrebbero poter visitare la tomba di un parente, oppure
semplicemente visitare i luoghi dove i loro nonni o i loro zii furono tenuti prigionieri o segnalati
per l'ultima volta. Spesso è un modo di chiudere».
Da un articolo tratto dal Corriere – luglio 2005
Pagine di Valore - Mig15
Base aeronautica di Kadena, Okinawa, febbraio 1954
Sono in piedi sull'ala di un Mig 15 sovietico, affacciato dentro la carlinga per collegare i fili
d'accensione delle cartucce esplosive, col rischio che mi sparino fuori se qualcosa non funziona
a dovere. Piove che Dio la manda e io indosso soltanto la tuta di volo. Sono inzuppato. L'acqua
mi cola negli occhi, rendendomi difficile aggiustare il seggiolino. Sono stanco, di cattivo umore e
mi sono proprio rotto le palle perché negli ultimi giorni ho rischiato varie volte di crepare.
Devo pilotare il primo Mig 15 su cui siamo riusciti a mettere le mani, sottoponendolo a tutte le
prove possibili in mezzo a una tempesta tropicale che imperversa sull'isola da quasi una settimana
vento e pioggia fortissimi e plafond basso - dovendo operare con strumenti che funzionano in base
a uno strano sistema metrico, su un aereo già strano di per sé, che io devo far volare più in alto e
più veloce di quanto i russi abbiano mai osato. Quei bastardi la sapevano lunga.
Il Míg è l'aereo più difficile che abbia affrontato finora. E’ pieno di difetti e ha già ucciso un gran
numero di piloti. Impareremo a conoscerlo pilotandolo; abbiamo pochissimo tempo a disposizione
e il vecchio mi spinge al limite, un po' più in là e io crepo. E lui lo sa.
Il generale Boyd ha portato me e Tom Collíns, un altro collaudatore, in mezzo al Pacifico perché
un pilota nordeoreano, tale Kim Sok Ho, ha appena disertato col suo Mig 15; in cambio dell'aereo
gli sono stati offerti centomila dollari. Ci è stato ordinato di condurre una prova di volo completa,
come se fosse un aereo nuovo di zecca, di stabilirne la velocità, la potenza, il rateo ascensionale
e l'autonomia. Il Mig 15 contro cui combattono i nostri Sabre in Corea, e le stime del servizio
informazioni sulle capacità del caccia sovietico sono la base da cui partire per metterlo alla prova.
Scopriremo poi che i dati dei nostri collaudi le confermeranno in pieno. In questo momento in Corea
è in corso una tregua, per quanto dubbia, e i nostri pensano che possa finire da un momento
all'altro; per i nostri risultati c'è molto interesse.
Al centro del cruscotto è dipinta una riga bianca. Il tenente Ho, che è qui per darci le istruzioni,
spiega che se il Mig entra in vite, bisogna spingere la cloche contro quella riga bianca. Ma se
l'aereo non esce dalla vite dopo tre rotazioni - qui Ho alza la mano mostrando tre dita per essere
sicuro che noi lo capiamo - allora « si va », dice, mimando un lancio col paracadute.
Il Mig non è in grado di riprendersi da una vite e probabilmente i coreani hanno perso più piloti
per questo motivo che sotto il tiro dei cannoncini americani. Dunque tentare la vite è vietato.
Una cosa però l'ho tentata: ho messo in stallo di proposito quel figlio di puttana, a pochi centimetri
dalla pista e col carrello abbassato. Non si è accesa alcuna spia, niente. Ha solo smesso di volare
e si è posato a terra.
Il Mig è una gran bella macchina da combattimento, ma non ha l'ombra dei nostri sofisticati sistemi
tecnologici. I problemi non mancano: oscilla, s'imbarda di colpo, se entra in vite ti ammazza, non
c'è spia di stallo, la pressurizzazione è pessima e il tenente Ho insiste molto perché non si azioni mai
la pompa d'emergenza del carburante. Potrebbe far esplodere la coda dell'aereo; in questo modo
i nordcoreani hanno perso quattro o cinque aerei. Gente, quell'affare è una trappola volante e
nessuno si meraviglierà se questa volta ci rimango.
…
ALBERT G. BOYD - generale di divisione aerea
Capimmo molto presto che i nostri Sabre erano aerei migliori per equipaggiamento e sistemi d'armi
benché il Mig avesse qualche vantaggio quanto al rateo di salita, e maggior quota di tangenza e
accelerazione. Alla fine dei collaudi eravamo in grado di dire ai nostri piloti che durante il
combattimento dovevano mantenere una velocità di almeno 0,8 Mach, per esser vantaggio rispetto
alla spinta e all'accelerazione del Mig, che erano superiori alle nostre.
…
L'ultimo giorno che passammo a Okinawa, accadde un episodio divertente tra Chuck e due piloti
da combattimento provenienti dalla Corea che avevano volato sui nostri caccia di controllo Sabre.
Uno di loro, un tenente colonnello, chiese a Chuck perché non tentava di simulare un duello tra il
Mig e il Sabre. Yeager gli rispose che l'esito di un duello dipende più dall'esperienza del pilota che
dalle prestazioni dell'aereo. Ma quello non voleva proprio convincersi. Allora Chuck gli propose di
pilotare il Mig 15 per simulare un combattimento contro di lui a bordo di un Sabre. Il colonnello
acconsentì, Chuck gli illustrò gli strumenti dell'aereo, poi decollarono.
Yeager si piazzò senza sforzo in coda al Mig e vi rimase incollato. Atterrarono e si scambiarono
gli aerei. Di nuovo Chuck gli si incollò alla coda senza pietà. Quando atterrarono, il colonnello era
piuttosto depresso. « Non pensavo che il pilota contasse tanto », disse.
Chuck fece un ghigno: « E così semplice. Il pilota con più esperienza, colonnello, è quello che ti
fa il culo, quale che sia l'aereo che stai guidando ».
Quel tale divenne celebre tra i piloti da caccia grazie alla storiella della sua sfida con Yeager.
Ma era stato battuto dal miglior pilota che io abbia mai visto volare.
Tratto dal libro di Chuck Yeager . Vivere per volare
Trafalgar ? solo alcune navi perse per maltenpo …
Il 21 ottobre 1805 la flotta inglese comandata da Orazio Nelson incontra a Capo Trafalgar,
fra Cadice e Gibilterra, la flotta franco-spagnola comandata da Pierre-Charles Villeneuve.
Sulla carta gli uomini di Napoleone e i loro alleati vantano una assoluta superiorità: 40 navi e
25 mila uonuni, contro le 33 navi e i 17 mila marinai di Nelson.
Ma l'ammiraglio inglese, da mesi a caccia del naviglio nemico, oserà l'inosabile, rivoluzionando
le tattiche della battaglia navale dell'epoca. Alla fine di una giornata di combattimenti l'Union Jack
sventolerà vittoriosa nell'Atlantico e Napoleone dovrà rinunciare al suo progetto di invadere
l'Inghilterra. Ma Orazio Nelson, colpito dal fucile di un fante di marina francese, non potrà godere
del trionfo: portato nell'infermeria, della sua “Victory”, morirà in poche ore.
Unapaginadi gloria per la marina britannica, una pagina che gli inglesi avevano deciso di celebrare
con la maggior pompa possibile. Così avevano organizzato per il 28 giugno una spettacolare
parata nelle acque di Portsmouth, con 6 navi francesi, una portaerei spagnola e altri vascelli di
35 differenti nazioni. E al tramonto 14 “tall ship”, navi scuola a vele quadre, dovranno replicare
la battaglia. Con il compito di “impersonare” l'amiraglia di Nelson affidato alla nostra gloriosa
“Amerigo Vespucci”.
Ma i francesi, che evidentemente non hanno ancora digerito (duecento anni dopo) quella sconfitta,
sono riusciti a rovinare in qualche modo la festa decidendo di mandare alla parata, come
rappresentante della marina francese, la portaerei nucleare «Charles de Gaulle».
Un mostro di 261 metri per 64, alta come un palazzodi 10 piani e in grado di oscurare con la
sua immensa mole tutti i velieri invitati alla celebrazione.
Inutilmente gli storici inglesi hanno ricordato che, ai tempi della battaglia, nonostante la ferocia
del combattimento (che costò la vita a 6.953 marinai franco-spagnoli e a 1.690 inglesi) i due
schieramenti “avevano un enorme rispetto reciproco”.
E Colin White, presidente del comitato per le celebrazioni, ha ribadito che l'intenzione era
quella di celebrare l'amicizia internazionale fra ex nemici , una cosa più importante che non il
ricordo dell'eroismo di Nelson.
Niente da fare. Al di là della Manica di commemorare una sconfitta non ne vogliono sapere:
per loro al limite - sconfitta per sconfitta – sara’ molto piu’ importante celebrare Waterloo,
l'ultima battagla di Napoleone. Ma se ne parlerà solo nel 2015.
«Questo anniversario significa molto poco per noi» si giustifica lo storico francese Max Gallo.
Del resto, nota sarcastico l' Herald Tribune, ai tempi della battaglia Le Moniteur, giornale
rivoluzionario, aveva glissato sull'esito dello scontro, parlando solo di alcune navi perdute in una
tempesta.
Ma anche gli altri gli altri giornali Britanici non ci sono andati molto leggeri, con i vicini di casa.
Secondo il Sunady Express, ad esempio l'idea di mandare la “Charles de Gaulle”e’ un
complotto, un modo per “vincere lo show”, con una nave due volte più grande di quelle
britanniche.
Alla faccia di quei permalosi di francesi, la festa comunque si farà, con tanto di regina Elisabetta
sul palco E sarà seguita da un festival di 3 giorni durante quali i docks di Portsmouth verranno
trasformati , in una fedele replica di un porto del Diciannovesimo secolo, stipato di grandi navi
a vela , tutte aperte al pubblico.
Da un articolo tratto dal Corriere – luglio 2005
E largo lo stretto di Taiwan
…
Al contrario della Cina, Taiwan ha strutture politiche ed econormiche moderne, un sistema
educativo e militare simile a quelli dell'Europa occidentale e del Giappone. I taiwanesi sono
1/00 dei cinesi, ma il pil è un terzo di quello del continente: nel 1997 era di 285 milioni e 300 mila
dollari, più del Belgio o della Svezia. Il reddito pro-capite e di 13 mila dollari, circa 1/3 di quello
giapponese, ma all'apparenza Taiwan appare come un paese ricco quanto il Giappone.
Nel 1997 il surplus cormerciale è stato di 7 milioni e 600 mila di dollari, mentre le riserve in
valuta ammontano a 83 miliardi di dollari. Queste cifre la dicono lunga sulla modernizzazione
delle locali forze armate. Sono stati acquistati 150 aerei F-16 dagli Stati Uniti, 60 Mirage-2000
dalla Francia; sono in produzione 130 moderni carri da combattimento su progetto nazionale,
denominati Chingkuo, armati di missili aria-aria autocercanti, anch'essi su progetto taiwanese.
Questi missili hanno caratteristiche simili agli AIM-120.
E’ una prova dell'alto livello raggiunto dall'industria elettronica taiwariese, gia noto in tutto il
mondo, e che ha importanti applicazioni nel campo degli armamenti.
Questi nuovi aerei da combattimento saranno presto operativi nelle basi militari dell'isola.
Taiwan ha già quattro sistemi di allarme aerotrasportati (AEW di nome E2C, prodotti negli
Stati Uniti, e le autorita’ contano di aggiungerne altri.
Sono stati ordinati anche aerei di sorveglianza anti-sommergibile P3C.
La marina schiera 7 fregate della classe O.H. Perry progettate negli Stati Uniti, e altre 6 fregate
classe La Favette progettate in Francia: alcune sono state comprate,
altre prodotte localmente su licenza. Sono state noleggiate anche 9 fregate classe
Knox dagli Stati Uniti. I sottomarini moderni sono solo 2 di produzione olandese, ma Taiwan
prevede di costruirne 10 autonomanente. La modernizzazione dell'equipaggiamento dell'esercito
taiwanese prevede infine l'acquisto missili anti-aerei Patriot e di elicotteri d'assalto AH1W
dagli Stati Uniti.
La marina e l’aviazione taiwanese sono sempre state superiori a quelle della Cina continentale,
e proprio per questo Taiwan ha sempre mantenuto il controllo delle isole Quemoy e Matsu
di fronte alle coste continentali.
Quemoy si trova all'uscita del porto di Amoy , Matsu invece si trova in una posizione da cui si
controlla la baia di Fujien. Qui sono i porti cinesi più importanti che si affacciano sullo stretto
di Taiwan. I taiwanesi hanno fortificato queste isole, schierando quattro divisioni a Quemoy
e una a Matsu, sicché per i cinesi è quasi impossibile condurre una operazione anfibia
attraversando i 200 chilomietri dello Stretto eli Tawan.
L’Esercito cinese ha provato ad attaccare l’isola di Quemoy nel 1949 e nel 1958, senza
successo. Nel 1949, 10 mila cinesi tentarono di sbarcare con navi da pesca, la metà venne
uccisa, l'altra metà fatta prigioniera. Nel 1958 invece i cinesi provarono a sbarcare dopo
aver istituito un blocco aerco dell'isola e averla bombardata con l’artiglierià.
Ma in qualla occasione gli F-86 dell'aviazione taiwane stabilirono contro i Mig cinesi un record
mondiale: il rapporto delle perdite fu di 1:32.
Il fatto che Taipei abbia sempre mantenuto il controllo di queste isole a soli 5 chilornetri dal
continente dimostra che il mare e il cielo dello Stretto di Taiwan sono sotto il dominio della sua
marina e della aviazione. Durante la seconda guerra mondiale, dopo l’occupazione tedesca della
Francia, gli inglesi furono costretti a rinunciare alle isole del Canale, vicino al continente curopeo.
Taiwan invece ha sempre mantenuto il controllo delle isole più vicine al continente asiatico.
Come gia’ scritto, lo Stretto di Taiwan ha una larghezza di 200 chilometri, 5 volte quella della
Manica. E molto difficile che grandi corpi di spedizione lo attraversino a bordo di navi di piccolo
cabotaggio. Le autorita' militari sono convinte che i cinesi possano sbarcare a Taiwan solo in
piccoli gruppi, usando navi commerciali o da pesca. La forza totale dell'esercito di Tawan è
di 240 mila uomini, circa 1.600 carri armati, un milione e mezzo di riservisti.
Un'invasione di Taiwan si potrebbe paragonare a un tentativo della Serbia di invadere l'Italia
attraversando il Mare Adriatico: militarmente sarebbe un suicidio.
E a Taipei lo sanno bene.
…
Estratto di un articolo della Rivista Limes – 2001 ?
Pagine di Valore – Tarawa
Gli argini sono per le teste di sbarco quello che le strade incassate - come a Waterloo e Antietam
sono per le grandi battaglie di terra. Forniscono un sollievo indicibile alle truppe d' assalto che
possono acquattarsi alla loro ombra, protetti per il momento dalla traiettoria del fuoco, ed
esasperano i comandanti delle truppe perché spengono rovinosamente l'impulso dell'attacco.
A Tarawa la sopravvivenza delle forze americane dipese dalla scelta individuale se rischiare o
meno la morte. Wellington ha detto: « L'arte della guerra sta tutta nel giungere a ciò che si trova
dall'altra parte della collina ». Se nessuno avesse saltato l'argine, nessun marine avrebbe lasciato
Betio vivo. Naturalmente tutti aspettavano che fossero gli altri a provarci. Alla fine, alcuni lo fecero
- non molti, ma qualcuno - ed essi furono gli artefici della penetrazione nelle linee nemiche.
A difesa di quanti scelsero di rimanere fino ad avere maggiori probabilità di farcela va detto che
Tarawa era eccezionale. In linea di massima gli attacchi frontali sono superflui. L'accortezza è più
efficace della temerarietà. Persino a Betio, persino dopo l'errore della barriera e il rinvio del
bombardamento all'ultimo momento, cosa che aveva consentito al nemico di spostarsi sulle
postazioni difensive dalla parte della laguna, c'era ancora una via d'uscita.
Era stato Ryan a fornirla. Egli aveva aggiraato i giapponesi sul fianco. Se la radio di Shoup
avesse funzionato questi, sapendolo, avrebbe potuto dare man forte a Ryan, prendendo alle
spalle le difese nipponiche. E dunque l'istinto del soldato che si nasconde dietro il muro di
solito non sbaglia. Almeno questo è quello che mi dico ogni qualvolta penso a Tubby Morris.
Il mio muro f u quello di Oruku. Non c'era di mezzo la barriera corallina, e sebbene il fuoco
nernico fosse pesante mentre le lance Higgins avanzavano- eravamo inzuppati dagli spruzzi
delle esplosioni vicine, e potevamo sentire i proiettili delle armi piccole crepitare contro gli scafi
delle imbarcazioni - perdemmo pochissimi uomini nello sbarco.
Poi vedemmo il muro e ringraziammoDio.
Era costruito con grossi tronchi, alto piú di uin metro e mezzo. Un enorme rampicante scarlatto
vi si avvolgeva, con un effetto un po' assurdo, nella parte bassa.
Fra il muro e la linea della risacca c’erano circa 3 metri.
Aveva un aspetto meraviglioso. Su quel 3 metri ero pronto a trascorrere il resto della mia vita.
Sapevo che un uomo più coraggioso avrebbe cercato di scavalcare il muro e trovare bersagli
giapponesi. Ma i mitraglieri nemici sapevano che eravamo lì.
Le Nambu si accanivano contro l'orlo del muro: si vedevano volare le scheggi.
Anche senza la determinazione a salvare la pelle, che certamente avevo, c'erano altre ragioni
per rimanere acquattato. Ero circondato dal Culi stracciati, i combattenti meno disciplinati di
tutti. Se fossi saltato mi sarei ritrovato solo, Inoltre, sembrava possibile e anche probabile
che il primo battaglione, alla nostra estrema destra, riuscisse a imbottigliare i nipponici.
Il muro, in quella direzione, andava riducendosi, e la carta mostrava una piccola insenatura
dove i nostri uomini avrebbero avuto spazio per penetrare. In tutti i casi, intendevo accordare
loro quella possibilità e tutto il tempo che volevano.
A quel punto, Tubby arrivò con la terza ondata. Egli aveva fatto parte del mio gruppo durante
il corso ufficiali a Quantico, e a differenza di me aveva ottenuto la nomina. Adesso era tenente
in seconda, un ufficiale di complemento che debuttava come capo, o presunto capo, di soldati
già esperti. Non so se in guerra esista un ruolo più miserando. I soldati diffidano sempre degli
ufficiali non sperimentati, e i Culi stracciati li disprezzavano. Qualcuno, come me, se lo ricordava
da Quantico. Dall'ultima volta che l'avevamo visto non era cambiato: tarchiato, vivace, aveva da
poco passato la ventina ma già il volto e la pancia mostravano tendenze a ingrassare. Era dotato
di una liscia carnagione di pesca come quella di un bambino e di una fronte perpetuamente
corrugata, non dovuta a petulanza bensì a concentrazione. Non lo conoscevo bene.
Possedeva la megalomania tipica degli uomini di bassa statura. Era come uno di quei ragazzi
che a scuola fanno il compito in classe e non ti lasciano mai copiare.
A Quantico ce n'erano molti come lui che lavoravano in modo indefesso, decisi a compiacere
i superiori. A Tarawa, però, era unico. Fra uomini orgogliosi di portare uniformi fruste e
logore, egli si trovava veramente fuori posto. Mi chiesi se l'avesse deluso il fatto di non poter
portare i gradi in combattimento, perché per quante deficienze avesse era, e l'avrebbe
dimostrato presto, coraggioso.
Trattenne il respiro, si guardò intorno, e disse: « Sono il vostro nuovo ufficiale ». io feci un
sorriso, gli tesi la mano, e dissi: « Ciao, Tubby ». Fu una cosa stupida. Mi guardò con cipiglio
e non si mosse.
Diritto in piedi, con l'aria ringalluzzita - il muro era abbastanza alto da permetterglielo - chiese
seccamente: « Sergente, sono questi i tuoi uomini? ». I Culi stracciati sogghignarono fra loro: solo
il pensiero di appartenere a qualcuno li divertiva. Provai un senso di freddezza. Quello non era il
buon vecchio Tubby che avevo conosciuto. Quello rappresentava guai. Dissi: « Tubby... » ed
egli mi interruppe: « Slim, sono un ufficiale e mi aspetto di essere trattato come si conviene al mio
grado ». Questo ebbe un effetto dirompente sugli uomini. Egli udì le risa soffocate e si guardò
intorno infuriato.
Era una situazione pazzesca: eravamo lì nel mezzo della battaglia e Tubby sembrava aspettarsi da
me il saluto, se non addirittura gli omaggi. Non c'era molto spazio, ma a bassa voce dissi:
« Parliamo un attimo » e mi spostai di un paio di metri inginocchiandomi. Egli si stizzì, ma venne
ad acquattarsi vicino a me. Dissi che non era mia intenzione disconoscere la sua autorità, che non
avevo inteso mostrarmi cameratesco e che mi dispiaceva. Gli pulsavano i muscoli della mascella.
Disse: « E bene che sia così ». Dentro ero rimescolato dalla rabbia. Con lo guardo rivolto indietro,
vedo che le mie motivazioni erano meno altruistiche di quanto ritenessi allora. La comprensione
per la sua posizione, benché genuina, serbava tracce di rancore per dover prendere ordini da
quell'ometto proveniente da un ambiente non diverso dal mio, per lo spregio irrazionale verso i
giovani ufficiali non ancora messi alla prova e per l'arroganza che i veterani dei combattimenti
provavano verso tutti i rinforzi freschi, specialmente i comandanti di plotone. In quel momento,
però, tutto quello che vidi era che fra noi c'era dell'attrito che avremmo superato con l'andare
del tempo. Poi seppi che per Tubby di tempo non ce n'era molto. Disse: « Niente parole.
voglio fatti. Farò saltare fuori questi uomini, e ti voglio con me ».
In effetti aveva proprio detto « saltare fuori ». Noi non parlavamo così. Doveva aver sentito
quell'espressione dal padre. Erano i soldati della prima guerra mondiale che lasciavano le trincee
saltando fuori, oltre il parapetto, in terra di nessuno. Poi il significato della sua frase mi colpì.
Sussurrai: « Vuoi dire oltre questo muro? ». Egli annuì, con un breve cenno della testa.
Disse: « E lì che sono i giapponesi. Non si possono uccidere senza vederli ». Provai una
sensazione di intontimento, dissi: « Senti, Tubby... tenente... penso... ».
Egli scattò: « Non sei pagato per pensare. Sei pagato per prendere ordini ». Valutai la
possibilità di mandarlo al diavolo; ma si trattava letteralmente di una questione di vita o di morte.
Ci riprovai, in tutta onestà: « Andare lì sopra sarebbe un suicidio.
“Laggiù c'è il primo battaglione » “ dissi, indicandolo con un dito. « Dagli, il tempo di aggirare
sul fianco i nipponici e di far tacere quel nidi di mitragliatrici. »
Egli ringhiò: « Perché non può andarci questo battaglione? ».
Dissi: « Siamo inchiodati, l'azione va svolta sul fianchi ». Vidi che non riuscivo a convincerlo, e
dissi raucamente: « Tubby, so che a Quantico non te l'hanno insegnato, ma è così che facciamo
qui. Non sei in una piazza d'armi del cazzo. Non puoi alzare su e giù la mano e aspettarti che gli
uomini saltino su. Non lo faranno. Non lo faranno. Sono qui da molto, Tubby, e lo so ».
Mi fissò a lungo, come in attesa che battessi per primo le palpebre. Le chiusi un paio di volte ed
egli, a voce alta, disse: « Te la fai sotto dalla paura, vero? » io annuii con enfasi. La voce crebbe
di tono. Disse: « E per questo che lo ho i gradi e tu sei solo un NCO. Al corso hanno visto la
differenza fra me e te. ». C'era soltanto un leggero tremore nella sua voce,
e mi venne in mente che anche lui fosse pietrificato e stesse mascherando la paura con l'insolenza
nei miei confronti.
Sollevandoci con mossa veloce , si strofino le mani sulle cosce robuste, se le pose sui fianchi e
latro’ : “Soldati so che vorreste rimanere qui. E anch’io lo vorrei. Ma quei bastardi gialli
giu’ alla spiaggia stanno uccidendo i vostri compagni”.
Non si rendeva neppure conto che la lealta di un combattente si limita a quelli che gli stanno
intorno, e che il primo' battaglione avrebbe anche potuto appartenere a un'altra razza.
Disse: « Il nostro dovere è da quella parte », indicò con la mano, poi proseguì: « Questa è quella
che si chiama una occasione, ragazzi ». Fece una pausa, e gonfiò il petto potente. Mi chiesi se
stesse facendo l'imitazione di Chesty Puller, il leggendario eroe marine che a quanto si racconta
disse che avrebbe guadagnato una Medaglia d'onore a costo di dover riportare a casa un sacco
marinaro pieno di piastrine. Tubby aggiunse: « Gente, non chiederò a nessuno di voi di fare quello
che io non faccio. Io salgo per primo. Il vostro sergente farà... » Si interruppe. « E’ compito
del vostro sergente fare in modo che ogni uomo mi segua. », il ero ancora in ginocchio, con gli
occhi rivolti altrove, e mi facevo scorrere la sabbia fra le dita. Non volevo entrare nella questione.
Egli chiese: « Nessuna domanda? ».
Essi lo guardarono senza espressione. Ed egli ebbe un attimo di esitazione, chiedendosi
probabilmente se doveva minacciarli di corte marziale; quindi si girò, avvicinandosi scattante
all' argine. Era troppo basso e non trovava un punto su cui appoggiare un piede. Cercò di
infilare uno stivale nel rampicante, ma la biforcazione era troppo stretta. Poteva solo
appoggiare la punta del piede di sbieco, senza ottenere la leva necessaria. Ansimando, ci provò
e riprovò, si rivolse a me, con la faccia rossa e disse: «Aiutami ». Certo gli costò moltissimo
chiederlo. Certamente a me costò sentirmelo chiedere. Provai un pazzo desiderio di ridere,
che sapevo si sarebbe tramutato in pianto. Lo guardai negli occhi spalancati e dissi: « Mi tremano
troppo le gambe ». Era vero. Egli disse fra i denti: « Mi occuperò di te dopo ». Si girò, fece segno
verso Bubba dicendo: « Tu, vieni qui ». Bubba sì avvicinò e intrecciò le mani. Tubby vi pose
sopra il piede, come in una staffa, e con movimento a ruota si issò mettendosi poi ritto sul muro per
traverso. Entrambe le mani stavano a indicare qualcosa: l'indice della sinistra era puntato in basso su
di noi, e quello della destra verso i giapponesi. Sembrava un quadro di Frederic Remington.
inspirò profondamente e strillò: « Seguitemi! ».
Le facce degli uoinini erano ancora sollevate e senza espressione; nessuno si mosse. Io mi misi
in piedi sotto il muro, con le braccia aperte, in attesa di raccogliere i resti. In quel momento i
proiettili lo colpirono. Erano di una Nambu; gli fecero come una cucitura verticale, dalla fronte
al cavallo dei calzoni. Un istante era sopra di noi con quell'eroica espressione sul volto; l'istante
dopo, rosse cavità gli fiorirono per il corpo, quattro solo sulla faccia, e dozzine di altre sull'uniforme. Una era fuori centro: il proiettile aveva colpito l'emblema del corpo dei Marines sul cuore.
Il mitragliere conosceva il proprio mestiere. Il sangue aveva appena cominciato a uscire da lì,
dal volto, dalla pancia e dall'inguine, quando Tubby crollò, barcollando sull'orlo dell'argine del
muro e finendo fra le mie braccia a faccia in su con un rumore sordo.
I lineamenti sparivano sotto una macchia di sangue che si allargava, e sbatteva le palpebre per
cercare di togliersi il sangue dagli occhi. Ma ci vedeva ancora. Mi vide, e farfugliò
debolmente: « Tu... tu... t u... ». Poi tacque e fu finita.
Io distolsi lo sguardo, in preda alla nausea. Avevo la camicìa bagnata di sangue. Crocker e
Dusty Rhodes mi tolsero Tubby dalle braccia e lo distesero con gentilezza. Non c'era astio
nella sezione. Erano dispiaciuti come per qualsiasi altro morto.
Essi - e soprattutto io - semplicemente non avevano voluto condividere la sua follia,
immediatamente seguita da una tragica ironia della sorte. Avevamo appena finito di avvolgerlo
in una mantella quando sentimmo, alla nostra destra, grida di urra.
Il primo battaglione aveva colpito i giapponnesi sul fianco. Si vedeva il via vai degli elmetti
mimetizzati e la linea di fumo che si spostava, e si udivano sbuffare i carri armati mentre i
guidatori cambiavano le marce. Mi assalì la rabbia come per la morte di Zepp: era la banalità
del fatto a risultare insopportabile.
Poi fui distratto, così come la morte ti distrae con la sua macabra pietà, dalla necessità di
disporre del cadavere. Dissi a Knocko: « Passa parola a Buck Rogers... ». Improvvisamente
mi resi conto che Buck poteva non essere più fra i vivi, e che per essere un acquisto recente
il nome di Tubby era facilmente sconosciuto agli altri ufficiali; perciò dissi: « Il nuovo tenente
è morto. Passa parola all'ufficiale più vicino ».
Tratto dal libro : Tenebre addio di William Manchester
Appunti di Storia – Garibaldi a Lampedusa 1943
Immagine tratta da un articolo di Storia Illustrata sulla non-battaglia di Lampedusa.
Se la fiction finisce in fuorigioco
Fiction così funzionano quando di proposito danno il peggio di sé: è il principio fondamentale
del trash. Recitazione? Abbondantemente sotto il minimo sindacale.
Storia ? Ricavata da una cattiva lettura dei giomali gossipari.
Ideologia ? «Gli uomini hanno il cervello nelle mutande».
Tratto comune dei personaggi ? Bastardi dentro e sotto il vestito niente.
Date queste premesse, «Ho sposato un calciatore» (Canale 5, mercoledì, ore 21.23, regia di
Stefano Sollima) si avvierebbe a diventare un capolavoro del burinismo televisivo: la cattivissima
Jane Alexander spiega a una collega perché nell'ambiente i tradimenti siano all'ordine del giomo:
«E poi ti chiedi perché ti mettono le coma, è per colpa di quelle come tua sorella che gliela
sbattono in faccia a ogni angolo».
Se avesse detto «a ogni calcio d'angolo» avremmo toccato il sublime.
«Ho sposato un calciatore» è la versione italiana dell'inglese Footballers' wives»; quello che gli
sceneggiatori-traduttori non sono riusciti a creare, però, è il contesto italiano.
Quì, tutto quello che nella fictiion sembra forzato, esagerato, esasperato in realtà è qualcosa
che abbiamo già visto e sentito a «Quelli che il calcio» (la versione Ventura è la vera trasposizione
di Footballers' wives »), qualcosa che abbiamo già letto nelle cronache di Lucia Blini su
«Controcampo», qualcosa che abbiamo già osservato nei tronisti di Maria De Filippi.
L'idea di fondo è questa : le tattiche di gioco, quelle che di solito vengono disegnate dal mister,
si trasformano in tattiche da letto, secondo le più curiose combinazioni. Così, il calciatore
famoso non si fa scrupolo di provarci con la mamma, con la moglie, con la cognata del suo
compagno di squadra. E' il nuovo concetto di spogliatoio.
Da un articolo del Corriere
Lettere dei lettori (non di DdG ma del quotidiano il Gazzettino)
Egregio Direttore,
apprezzo assai la lettera del lettore (Gazzettino del 20 giugno) che aspramente condanna quei
proprietari di ville che affiggono agli ingressi i cartelli col disegno del cane e della pistola nonché
la scritta: "Attenti al cane e al padrone".
Nell'invitarlo a dare per primo il buon esempio operando in senso contrario gli suggerisco
anzitutto di lasciar l'uscio di casa sua bene aperto, in maniera che si veda anche dalla strada, e
di adornarlo inoltre con scritte care al conformismo attuale, del tipo: 'Ia mia casa è di tutti –
la mia porta è sempre aperta - ogni uomo è mio fratello - la cultura dell'accoglienza - il
villaggio globale etc. etc.".
E quando - di lì a poco - gli avranno ripulito l'alloggio portandogli via anche gli infissi egli
avrà, finalmente la soddisfazione di aver percorso appieno il sentiero luminoso della fraternità
verso il prossimo. E a titolo di “passatempo” potrà raggiungere quelle centurie e legioni di
sociologi e psicologi che ci narrano come la responsabilità degli atti criminali da noi subiti
non ricadano su chi li compie, bensì sulla nostra arida e avida società opulenta che
costringe i poveri e gli oppressi appunto alla delinquenza.