L`Italia del 2016 in 10 autoscatti - Camera di Commercio Italiana per
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L`Italia del 2016 in 10 autoscatti - Camera di Commercio Italiana per
Anno 107 - n. 2 - Febbraio 2016 La Rivista Anno 107 - n.2 - Febbraio 2016 WINTER PROOF. L’Italia del 2016 in 10 autoscatti Jeep® Renegade. Ora da CHF 199.– al mese con Swiss Free Service per 3 anni o 100 000 km. Provatela subito! Jeep® Renegade Sport 1,6 l E torQ, man., 4×2, 110 CV/81 kW, categoria d’efficienza energetica E, consumo misto: 6,0 l/100 km, emissioni CO2 (ciclo misto): 141 g/km, prezzo di listino CHF 22 450.–, meno premio permuta CHF 750.–, prezzo di acquisto in contanti (netto) CHF 21 700.–. Media delle emissioni di CO2 di tutti i veicoli nuovi di tutte le marche in commercio in Svizzera: 139 g/km. Con riserva di modifiche di prezzo. Offerta valida per prime immatricolazioni fino a revoca. 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Che sono concreti e si possono elencare: competitività nell’export, surplus manifatturiero, leadership nell’agroalimentare, eco-efficienza nel sistema produttivo, economia della cultura, attrattività turistica, coesione territoriale. È l’Italia fotografata dalla Fondazione Symbola nei suoi 10 (auto?)scatti. Che chiama selfie, con esplicita concessione ad una moda che, in quanto tale, speriamo temporanea nella forma e nella sostanza. Che ci raccontano, numeri alla mano, un Paese reale, che “ha nei cromosomi i principi dell’efficienza e dell’economia circolare, capace di sposare antichi saperi e innovazione, conoscenza con qualità, bellezza e green economy.” Non ne siamo consapevoli. Per lo meno non ancora. Pertanto, non in modo convinto. Diversamente, ne faremmo, urbi et orbi, un legittimo fiore all’occhiello. L’Italia è uno dei soli cinque paesi al mondo che vanta un surplus manifatturiero sopra i 100 miliardi di dollari. Al suo fianco: grandi potenze industriali come Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud. Se cerchiamo termini di paragone, rileviamo che Francia (-35 mld), Gran Bretagna (-129) e Usa (-589) vedono il braccio della loro bilancia commerciale manifatturiera pendere inequivocabilmente verso il basso, nel territorio dei numeri negativi. Le imprese italiane sono tra le più competitive sui mercati globali. Non è un caso se, su un totale di 5.117 prodotti (il massimo livello, secondo gli esperti, di disaggregazione statistica del commercio mondiale) nel 2013 l’Italia, a livello mondiale, si sia piazzata prima, seconda o terza, per attivo commerciale con l’estero, in ben 928. E ancora: i prodotti agroalimentari italiani primeggiano sui mercati mondiali. Infatti, tra i prodotti del nostro agroalimentare, ben 27 non hanno rivali e vantano le maggiori quote di mercato, mentre per altri 62 l’Italia figura seconda o terza. Facendo la somma, possiamo constatare che, nonostante la contraffazione e la concorrenza sleale dell’Italian sounding, siamo da podio nel commercio mondiale per ben 89 prodotti. Non bastasse, siamo il Paese più forte per prodotti distintivi: primi nel food, con 278 tra Dop/ Igp/Stg, e nel vino, con 523 Doc/Docg/Igt; primi in Europa nel biologico per numero di imprese, tra i primi al mondo per superfici dedicate. A far da corollario a questo scenario decisamente roseo ce n’è uno tinteggiato di verde. Quello della green economy che, secondo gli (auto?)scatti di Symbola, mette il turbo alle nostre imprese. Che guadagnano in termini di export (tra le imprese manifatturiere, il 43,4% di quelle che investono green esporta stabilmente, contro il 25,5% delle altre) e di innovazione (il 30,7% ha sviluppato nuovi prodotti o nuovi servizi, contro il 16,7%). Si spiega così il fatto che l’Italia sia leader in Europa per eco-efficienza del sistema produttivo e che primeggi nell’industria del riciclaggio: nel caso specifico, di rifiuti e di materiale di scarto. E non finisce qui. Alla faccia dei materialisti, con la cultura l’Italia mangia e parecchio, visto che questa filiera muove 227 miliardi. E al richiamo della cultura, della bellezza e della qualità sono con ogni probabilità legate, malgrado tutto, le ancora buone performance nazionali nel turismo. L’Italia è il primo paese dell’eurozona per pernottamenti di turisti extra Ue (56 milioni), restando la meta preferita dei cittadini di quei paesi dai quali dipende una bella fetta delle sorti future del turismo mondiale: Cina, Brasile, Giappone, Corea del Sud, Australia, Usa e Canada. Un bel quadro, non c’è che dire. Ci convince che l’Italia vince se fa l’Italia. Al contempo, però, genera un interrogativo: appurato che non sempre ci riesce – a vincere s’intende – non è che, ogni tanto, gli italiani dovrebbero smettere di fare gli italiani? THE POWER OF ATTRACTION MASERATI GHIBLI. 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AP ADESSO P R O F IT TA O so ioni pres informaz o ri a n Ulteriori io concess il vostro Sommario 1 4 16 17 20 22 Editoriale Sommario INCONTRI 26 Marco Del Panta Ridolfi è il nuovo Ambasciatore d’Italia in Svizzera PRIMO PIANO Le priorità del direttore generale dell’Onug 28 L’Onu ha approvato la ristrutturazione dello storico “Palais des Nations” L’Italia in 10 autoscatti Scommettere sulla green economy per battere la crisi Gli Svizzeri al voto 28 febbraio 2016 Un periodo breve, ma intenso Concluso il mandato di Cosimo Risi a Berna 40 46 48 49 52 54 55 56 58 60 62 67 68 69 72 76 Dalle difficoltà ho imparato ad essere un’imprenditrice Donne in carriera: Elisabetta Gazzotti CULTURA Le complesse origini della neutralità svizzera Dalla Svizzera degli Stati alla Svizzera federale Da deadline a jobs act: una guida per sopravvivere all’ “itanglese” Quasi un libro italiano su dieci ha un mercato straniero Quanto “pesa” la cultura nell’economia nazionale L’Italia creativa e della cultura vale 47 miliardi di euro e offre un lavoro a quasi 1 milione di italiani. Musei Italiani: 2015 da record con 43 milioni di visitatori Un successo dopo l’altro per il Museo nazionale svizzero Tra Sigfrido e Tristano Le traversie sentimentali e artistiche di Richard Wagner, in fuga da Zurigo per Venezia L’immagine e la parola: quattro giorni nell’universo di Blutch e Mattotti È attorno alla Graphic novel che ruoterà l’evento primaverile del Festival del film Locarno, previsto dal 10 al 13 marzo 2016 Il dizionario dei film e delle serie televisive Pubblicato Il Morandini 2016 DOLCE VITA I protagonisti silenziosi delle montagne ticinesi Ogni distretto, ogni vallata, ogni alpeggio ha il suo formaggio Storia di un libro: Alpi e formaggi delle nostre montagne Export di vino italiano: nel 2015 +6% rispetto all’anno precedente Sfinci, berlingozzi, tagliatelle fritte e pignolata, con gli antichi sapori ritrovati Anche il Carnevale torna alle sue origini Un sogno di lusso rivisitato Maserati Ghibli Automotonews Sommario IL MONDO IN CAMERA 82 85 86 La comunicazione nelle relazioni A Ginevra il 26 febbraio: Tuscany world wine experience 83 Contatti Commerciali Benvenuto ai nuovi soci Inizia a Berna sabato 12 febbraio Corso per sommelier in lingua italiana 88 Finanziamenti per le Pmi intenzionate a partecipare per la prima volta ad una mostra/fiera in paesi extra Ue Le Rubriche 84 Corsi di inglese e workshop orientati al business Servizi Camerali 6 In breve 35 Angolo legale Svizzera 9 Italiche 36 Convenzioni Internazionali 11 Elvetiche 39 L’elefante invisibile 13 Europee 47 Scaffale 15 Internazionali 59 Sequenze 19 Per chi suona il campanello 61 Diapason 26 Cultura d’impresa 69 Convivio 27 Benchmark 75 Motori 30 Burocratiche 78 Starbene 32 Normative allo specchio 80 La dieta rivista 33 Angolo Fiscale In copertina: Campagna Toscana Editore Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Direttore - Giangi CRETTI Comitato di Redazione A.G. LOTTI, C. NICOLETTI, S. SGUAITAMATTI Collaboratori C. Bianchi Porro, M. Calderan, G. Cantoni, M. Caracciolo Di Brienza, C. D’ambrosio, V. Cesari Lusso, M. Cipollone, P. Comuzzi, D. Cosentino, A. Crosti, L. D’alessandro, F. Dozio, M. Formenti, F. Franceschini, T. Gatani, G. Guerra, M. Lento, R. Lettieri, F. Macrì, G. Merz, A. Orsi, V. Pansa, C. Rinaldi, G. Sorge, N. Tanzi, I. Wedel La Rivista Seestrasse 123 - Cas. post. 1836 8027 Zurigo Tel. ++41(0)44 2892319 Fax ++41(0)44 2015357 [email protected], www.ccis.ch Pubblicità Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Seestrasse 123 - Casella postale 8027 Zurigo Tel. ++41(0)44 2892319 Fax ++41(0)44 2015357 e-mail: [email protected] Abbonamento annuo Fr. 60.- Estero: 50 euro Gratuito per i soci CCIS Le opinioni espresse negli articoli non impegnano la CCIS. La riproduzione degli articoli è consentita con la citazione della fonte. Periodico iscritto all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana). Aderente alla FUSIE (Federazione Unitaria Stampa Italiana all’Estero) Appare 11 volte l’anno. Progetto grafico CMSGRAPHICS 83048 – Montella (Av) – Italy [email protected] Marco De Stefano Emanuela Burli Gianni Capone Stampa e confezione Nastro & Nastro srl 21010 Germignaga (Va) - Italy Tel. +39 0332 531463 Fax +39 0332 510715 www.nastroenastro.it In Breve Italia: record di non lettura “Le dimensioni della non lettura indicano una vera e propria emergenza nel nostro paese”. È quanto si legge nel rapporto La lettura in Italia per il 2015 dell’Istat. Da oltre quindici anni, al di là delle oscillazioni Expo: nel 2015 ricavi pari a 736 milioni di euro Expo ha diffuso nuovi dati ufficiali sul preconsuntivo di bilancio 2015, dopo la riunione del Cda che si é tenuta lo scorso 18 gennaio. Stando a quanto si legge su una nota ripresa dall’agenzia Ansa, i ricavi dovuti alla vendita dei biglietti ammontano a 373,7 milioni di euro. La piattaforma fiscale di emissione ha rilasciato 21.476.957 titoli di ingresso e l’incasso medio per biglietto è stato perciò di 17,4 euro. I ricavi per il 2015 della società ammontano a 736,1 milioni di euro. In riferimento ad alcune voci che riferivano di un buco, nel corso di un’intervista rilasciata a Rtl 102.5 Il commissario unico di Expo e ad della società, Giuseppe Sala, ha difeso i conti della società. “Se uno non si fida dei bilanci vuol dire che non si fida dei revisori, della Corte dei Conti, non c’è nessun buco e questa disinformazione è preoccupante”, ha detto Sala rispondendo a chi gli contesta un buco di bilancio nella società e a chi lo accusa di poca trasparenza nella comunicazione dei conti, e non risparmiando un riferimento alla sua decisione di partecipare alle primarie del Pd per 6 - La Rivista febbraio 2016 di breve termine, la popolazione dei non lettori è ancorata a una quota pari a circa il 60% delle persone di 6 anni e più, e non si vedono segnali di ripresa. Anche le caratteristiche costitutive dei non lettori appaiono persistenti e confermano fattori di disuguaglianza e di svantaggio di natura quasi strutturale. L’insieme dei non lettori è composto in misura prevalente da persone con un basso livello di istruzione. Inoltre, l’incidenza è maggiore nelle regioni del Mezzogiorno, nei piccoli comuni, tra gli uomini e tra coloro che hanno ridotte disponibilità di reddito. I non lettori rappresentano oltre la metà della popolazione in ben 14 regioni su 20; il primato negativo nella graduatoria regionale spetta a Campania (71%) e Puglia (70,2%), che presentano quote superiori ai due terzi dei residenti. La geografia di questo insieme mostra inoltre che la scarsa confidenza con i libri è associata anche al contesto urbano di appartenenza: l’incidenza di persone che non hanno mai letto negli ultimi 12 mesi raggiunge il 63,2% nei comuni fino a 2.000 abitanti. La quota dei non lettori cresce progressivamente con l’aumentare dell’età; tuttavia è da notare che il 52,3% dei bambini di 6-10 anni e il 47% di quelli tra 11 e 14 anni non hanno letto altri libri al di fuori dei testi scolastici e non hanno praticato alcuna lettura se non per motivi di studio. Considerando anche il genere, la distanza maggiore tra i due sessi (ben 24,4 punti percentuali) si registra tra i 20-24enni, dove le “non lettrici” sono più di una su tre (il 37,2%) mentre i “non lettori” sono il 61,5%. Rispetto al livello di istruzione, non ha letto alcun libro nel tempo libero il 72,3% di chi possiede al più la licenza elementare. scelta del candidato sindaco per Milano: “fino a che non sono sceso in politica sono stati zitti”. “Certamente potevamo far meglio, ma di fronte alla freddezza del numero, il numero è quello ed è positivo”. Il numero positivo, che conta per l’ad, è quello relativo al patrimonio netto di 14,2 milioni di euro. Ammontano a 721,2 milione i costi di gestione, di cui 311,2 milioni sono relativi alla gestione del semestre dell’Esposizione Universale (76,5 milioni per eventi e iniziative nei sei mesi). “Rispetto ai soldi che mi sono stati assegnati quando ho preso in mano Expo sei anni fa è un fatto che é stato realizzato con meno soldi”, ha concluso ricordando la sua decisione di tagliare 300 milioni dall’investimento. Per conoscere la struttura complessiva del bilancio Expo bisognerà attendere il mese di aprile, quando sarà approvato dal Cda. La classifica di Transparency International: Italia 69a Svizzera 7a Il rapporto sulla corruzione della pubblica amministrazione pubblicato da Transparency International mostra l’Italia con uno score di soli 44 punti su 100, è al 61esimo posto al mondo guadagnando qualche posizione rispetto alo scorso anno quando era risultata 69a. Tra i 28 paesi della Ue, peggio di noi, solo la Bulgaria (69/a con 41 punti) Mentre il paese meno corrotto è la Danimarca (91 punti), davanti a Finlandia (90) e Svezia (89). La Svizzera (86), quinta lo scorso anno, perde due posti e si colloca al 7° posto, preceduta da Norvegia (87) e seguita da Singapore (85). Nella ricerca si tiene conto della “corruzione percepita” nella pubblica amministrazione. Balzo in avanti della Grecia che passa al 58esimo posto con 47 punti. La classifica è dominata i da paesi scandinavi (davanti a Nuova Zelanda, Olanda e Norvegia), la Germania è decima (81 punti) alla pari con Lussemburgo e Regno Unito. Il Belgio è 15° (77 punti) davanti a Austria Fifa World Football Museum L’apertura è prevista per il 28 febbraio I lavori di ristrutturazione dell’edificio che ospiterà il nuovo Fifa World Football Museum sono ultimati ormai da mesi. Gli spazi interni sono attualmente in via di ultimazione, tuttavia, un’anteprima del museo ha avuto luogo agli inizi di gennaio in e Stati Uniti. La Francia è 23a con 70 punti. La classifica quest’anno elenca 168 paesi. “Mentre un pugno di paesi in Europa e Asia centrale ha migliorato il suo risultato, il quadro generale della regione è quello della stagnazione” afferma Anne Koch, direttore d’area di Transparency International, aggiungendo che “è molto preoccupante il marcato deterioramento in paesi come Ungheria, Macedonia, Spagna e Turchia, dove vediamo che la corruzione cresce mentre si riduce lo spazio per la società civile e la democrazia”. Nella nota di presentazione del rapporto, Transparency osserva che “il fatto che un paese abbia un settore pubblico pulito non significa che non abbia corruzione altrove” e si sottolinea l’esempio della Svezia, terza nella classifica, dove però “la compagnia finnico-svedese TeliaSonera, in mano allo stato svedese per il 37%, sta affrontando l’accusa di aver pagato milioni di dollari di tangenti per fare affari in Uzbekistan, paese al 153/o posto nella classifica”. A chiudere la graduatoria aggiudicandosi così la posizione come Paese più corrotto sono Somalia e Corea del Nord (soli 8 punti). Gli Stati Uniti conquistano invece il 16esimo posto al mondo. occasione della consegna del Pallone d’Oro. In esclusiva, l’edificio è stato visitato a fine gennaio da 70 alunni e alunne con l’intento di ‘collaudare’ il museo. Particolarmente apprezzate dai ragazzi le numerose postazioni interattive e il cinema che proporrà filmati che ripercorrono i momenti che hanno fatto emozionare milioni di tifosi di calcio in tutto il mondo. La superficie espositiva di circa 3000 metri quadri si sviluppa su tre piani. All’interno del museo saranno presenti oltre 1000 oggetti da esposizione, incluso l’originale del trofeo della Coppa del Mondo. Il foyer rappresen- terà il fulcro dell’intera esposizione: i visitatori potranno osservare attraverso le ampie vetrate l’intera collezione di maglie appartenenti a tutte le 209 nazionali aderenti alla Federazione. Il museo – che in un percorso cronologico attraverserà le tappe che hanno segnato la storia del calcio dalla sua nascita nel 1863 in Inghilterra ai giorni nostri - sarà fornito di una sessantina di maxi schermi, sui quali verranno proiettati brevi filmati riguardanti momenti unici che hanno segnato la storia del calcio mondiale. L’intera esposizione avrà un carattere fortemente interattivo con diverse postazioni dedicate soprattutto ai più giovani, come l’imponente flipper che attraverso il gioco invita ad apprendere la disciplina applicata allo sport. I tre piani, raggiungibili attraverso ascensori panoramici e scenografiche scalinate rivestite di mosaico a specchio, ospiteranno inoltre un’area che sarà accessibile gratuitamente anche al pubblico che non visita l’esposizione. L’area comprenderà uno shop e diversi punti di ristoro come il Bistrò ed il Caffè-Bar, che già operativo. Infine all’interno del museo sarà possibile visitare una biblioteca che raccoglie foto, libri e documenti inediti riguardanti oltre 100 anni di attività della Fifa e di storia del calcio mondiale. febbraio 2016 La Rivista - 7 PASTA PER BUONGUSTAI INI E TARTUFO SPECK, PORC PENNE ALLO NERO 28' Ingredienti: 350 g Penne porcini freschi 300 g funghi k ec sp di g 150 a fresca 150 g di pann ro ne fo rtu ta 1 1 scalogno ine di oliva olio extra verg 2 cucchiai di o ian gg Re o ian 40 g di Parmig to ta tri o ol Prezzem anco Sale, pepe bi rosolare in : te Preparazione a striscioline e fatelo dolcemen mettetelo su k e, ec nt sp ca lo oc e cr iat rà gl Ta uando sa tiaderente. Q una padella an lo da parte. ello te ne te e te to di un penn carta assorben rcini con l’aiu te i funghi po en m ta ra cu ac Pulite i a fettine. lceido, e tagliatel soffriggete do o un panno um una padella e in e indi in qu rg ve o, ol m l’olio extra poco di prezze Scaldate tato. Unite un tri . o te gn pa alo pe sc ee mente lo oco vivo, salat ttilmente e hi porcini a fu saltate i fung ro affettato so ne fo rtu ta il a, sc fre a nn pa Unite la rte. le in padella. tenete da pa nte e versate lo scolatele al de e, nn e aggiungete Pe o le at e gi attu Lessat Parmigiano gr di te ra ve ol sto. Saltate, sp acevole contra nte, per un pi speck crocca Italiche di Corrado Bianchi Porro 100 modi per dire energie in italiano A conclusione dell’assemblea generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena) che si è svolta in gennaio ad Abu Dhabi, l’Italia è stata eletta alla presidenza della stessa per l’anno prossimo. L’Irena, che ha sede negli Emirati Arabi Uniti e di cui fanno parte 145 Paesi assieme a numerosi organismi internazionali, ha affrontato quest’anno, nel corso dei lavori, i temi di maggiore attualità per lo sviluppo delle energie rinnovabili e della collaborazione internazionale in questo campo, anche se il ribasso del greggio fino ai minimi di 27 dollari il barile, sembra al momento aver tolto urgenza alle tematiche. Ad Abu Dhabi, l’Italia ha partecipato all’assemblea con una delegazione guidata dal Segretario Generale del Ministero degli Esteri, Michele Valensise. Ma non è solo il prezzo del greggio ad attivare l’attenzione alle tematiche citate. In effetti, a fine dello scorso novembre e in dicembre a Parigi sono intervenuti per la Cop21 i rappresentanti di oltre 190 Paesi del mondo, allertati per l’aspetto economico, tecnologico e geopolitico. Si è discusso sulla volontà di non rimanere indietro per subire già oggi i contraccolpi più terribili del riscaldamento globale che costringe ad emigrare le popolazioni dei Paesi a reddito medio basso, con minore accesso ai servizi essenziali di salute, educazione e con scarsa o nulla rappresentanza politica. Non si vincerà questa sfida se non si cambierà registro. “Non si può risolvere il problema con la stessa mentalità che l’ha generato” diceva Albert Einstein. L’Italia, in questi campi, si trova spesso e volentieri all’avanguardia, come mette in risalto il rapporto “100 modi per dire energie in italiano” vale a dire cento esperienze eccellenti raggruppate in un rapporto di Enel e Symbola che abbraccia tutti gli ambiti della filiera e traccia un percorso completo verso l’energia sostenibile. Anche per questo le hanno valso il riconoscimento di Abu Dhabi. Raccontiamo un Paese che, nonostante limiti e problemi antichi, è all’avanguardia in tanti settori e, in particolare, in quello energetico, affermano il numero uno dell’Enel, Francesco Starace e il presidente della commissione Ambiente della Camera Italiana, Ermete Realacci. Non tutti sanno, per esempio, che col 7,9% l’Italia è il primo Paese al mondo per contributo del fotovoltaico nel mix elettrico nazionale davanti alla Grecia (7,6%) e Germania (7%), ma anche a Giappone (sotto il 3%), Usa e Cina (meno dell’1%) secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA). Oppure, che l’Italia è prima col 39% tra i Big UE, a pari merito con la Spagna per quota di energia rinnovabile nella produzione elettrica, davanti alla Germania (24%), Francia (17%) e Gran Bretagna (15%). L’Italia è poi seconda tra i grandi Paesi UE col 31,1% per quota di consumi elettrici da fonti rinnovabili, dopo la Spagna (36,4%) e davanti a Germania (25,6%), Francia (16,9%) e Gran Bretagna (13,9%) secondo Eurostat. È seconda tra i big player europei per l’efficienza dei consumi energetici dell’economia nazionale. Consuma infatti 15 tonnellate di petrolio equivalente per milione di euro. La Gran Bretagna 12 (ma ha meno manifattura), la Francia 16, Spagna e Germania 18. Infine, secondo Bloomberg, l’Italia è l’unico tra i grandi Paesi UE ad aver completato l’installazione di smart meter su tutto il territorio nazionale (oltre 36 milioni di clienti). Oltre all’Italia, gli unici altri Paesi in Europa con campagna di installazione completa sono Svezia e Finlandia. Gli smart meter (utilizzati ad esempio da chi fornisce energia, gas e acqua) consentono un rilevamento più veloce dei disservizi, piani tariffari più flessibili, una maggiore consapevolezza dei consumi e un miglioramento dell’efficienza. Le 100 società citate vanno dalla generazione alla distribuzione di energia, alla manutenzione degli impianti per arrivare all’efficienza dei consumi nelle case, dai centri di ricerca che mettono a punto innovativi sistemi per avere energia pulita nel Mediterraneo, all’archistar Renzo Piano che ha prestato le sue competenze poliedriche per migliore dal punto di vista estetico apparecchi di estrema utilità come i mini-aerogeneratori. Vi sono start-up che tracciano i consumi degli elettrodomestici e indicano, via smartphone, come tagliare la bolletta, fino all’azienda leader nella produzione di cavi. C’è chi inventa colonnine più rapide per la ricarica delle auto elettriche e vi sono elencati sistemi che garantiscono gli operatori nelle centrali. Vi sono società che promuovono la cultura green ispirandosi a Chiara Lubich (è stato presentato un progetto nell’ambito di Expo 2015) per cucine solari per America Latina, in collaborazione con l’Ente per il micro-credito. Vi è il protocollo di qualità con cui sono stati certificati più di 6.000 edifici in Italia e all’estero per strutture ricettive (ClimaHotel), luoghi di lavoro (CasaClima Work&Life), scuole e persino cantine vinicole. Vi sono società che si occupano di prove di laboratorio per verificare la performance in ogni situazione ambientale, realizzando metà del fatturato all’estero con uffici in Malesia e Hong Kong. Vi sono attività di ricerca e consulenza sui temi della sostenibilità ambientale avendo portato a termine più di 1.500 progetti e interventi. Vi è chi propone il turbo al frigorifero per ridurre il 17% dei consumi. C’è chi produce specchi parabolici che inseguono il sole e concentrano i raggi su un tubo ricevitore che assorbe il calore stoccandolo. Oppure chi studia le tecnologie per le reti wireless anche nelle condizioni più critiche, dopo aver ricevuto la nomination al Global Mobile Award. Sono 100 gruppi e società italiane che lavorano nel mondo e l’intero rapporto può essere scaricato gratuitamente da internet. Una miniera per il futuro che ci insegna a vivere meglio oggi. C’è una marea nelle cose degli uomini, ha scritto Shakespeare nel Giulio Cesare. Colte nell’apice, esse conducono alla fortuna. Ma se vanno perse, tutto il viaggio della vita è destinato a penuria e avversità. febbraio 2016 La Rivista - 9 Elvetiche di Fabio Dozio La volontà del popolo non è assoluta Il 28 febbraio il popolo svizzero è chiamato alle urne per esprimersi su quattro temi. Fra questi figura l’Iniziativa popolare «Per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati (Iniziativa per l’attuazione)», proposta dall’Unione democratica di centro. Passano gli anni, ma Christoph Blocher non si addolcisce e tira diritto. A pochi mesi dal successo elettorale dell’UDC alle nazionali di ottobre e dalla riconquista del secondo seggio in Consiglio federale in dicembre, riconferma la sua linea assolutista. Al tradizionale raduno dell’Albisgüetli del 15 gennaio ha sentenziato: “La Svizzera è sulla via della dittatura”. Nessuno pretende che la politica sia sinonimo di onestà intellettuale, ma definire la Svizzera una dittatura è decisamente fuori luogo. Secondo il leader indiscusso dell’UDC, il Paese sarebbe in mano ai giudici e all’élite politica che non rispettano la volontà popolare. La verità è che proprio la politica blocheriana rischia di mettere in discussione lo stato di diritto elvetico. Un esempio emblematico in questo senso è l’iniziativa “per l’attuazione”, in votazione il prossimo 28 febbraio. Nel 2010 il popolo svizzero ha accettato l’iniziativa per l’espulsione dei criminali stranieri. Il termine previsto per l’entrata in vigore era di cinque anni. Però, già nel 2012, l’UDC ha lanciato una nuova iniziativa, detta appunto “Per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati”, ancora prima che il Parlamento cominciasse a discutere sulla legge di applicazione dell’iniziativa approvata nel 2010. Gli strateghi dell’UDC hanno scelto uno strumento inedito e diabolico. Far pressione sul Parlamento con una seconda iniziativa più radicale, che indica i dettagli della legge, con un lungo catalogo di misure. Nel marzo del 2015 è stata approvata dalle Camere la legge d’applicazione dell’iniziativa del 2010 sull’espulsione degli stranieri che delinquono, ma con una clausola che permette al giudice di fare eccezioni nel caso in cui il rinvio di uno straniero si rivelasse rischioso per la sua sicurezza. L’UDC ritiene che la legge non sia abbastanza severa e quindi ecco che rispunta l’iniziativa per “l’attuazione” delle misure, che ha una particolarità: contiene, infatti, l’elenco di tutti i reati che devono determinare l’espulsione di uno straniero, in modo che il parlamento non ha più nessuna voce in capitolo. Gli omicidi, la truffa, la tratta di esseri umani, la coazione sessuale, il genocidio, ma anche le lesioni personali semplici, la violazione di domicilio, la violenza o la minaccia contro le autorità, l’incendio intenzionale e la contraffazione di monete. L’espulsione deve avvenire automaticamente, senza che il giudice possa valutare secondo il principio di proporzionalità. Una madre con due figli è trattata allo stesso modo di una giovane nubile. Un giovane nato e cresciuto in Svizzera, ma rimasto cittadino straniero, viene espulso anche se non ha mai visto il suo Paese d’origine. I “secondos” sono quindi trattati alla stessa stregua di uno straniero giunto in Svizzera da tre giorni. Questi contenuti hanno sollevato una miriade di critiche. In Parlamento tutti i partiti, salvo l’UDC, si sono opposti alla proposta e, assieme al Consiglio federale, invitano il popolo a respingere l’iniziativa. Le Federazioni delle Chiese protestanti e la Caritas dicono di no all’iniziativa. Un gruppo di giuristi, professori universitari, ha firmato un appello contro “l’attuazione”. I sindacati e i circoli economici, sono contrari. Il presidente di Economiesuisse, Heinz Karrer, afferma che approvare l’iniziativa sarebbe “un pessimo segnale per gli interessi dell’economia”. Ciò che appare preoccupante, al di là dei contenuti, è la forma utilizzata da Blocher e soci per imporre la volontà popolare. In Svizzera vige la democrazia diretta, ma sarebbe più corretto definirla democrazia semidiretta. Infatti, la volontà del popolo è temperata dal Parlamento e, inoltre, abbiamo la divisione dei poteri, con il sistema giudiziario che ha anche un ruolo di controllore delle istituzioni. Proporre di inserire nella Costituzione, grazie all’iniziativa popolare, una legge vera e propria, un catalogo dettagliato di misure da applicare anche indipendentemente dai Tribunali, non rispetta lo spirito della Costituzione. L’iniziativa popolare a livello nazionale non è un’iniziativa legislativa; è uno strumento che permette di ancorare nella Carta fondamentale i principi su cui si basa lo stato di diritto. Se al giudizio del popolo vengono sottoposte proposte che violano i trattati internazionali o la Carta dei diritti dell’uomo o perfino la Costituzione, potranno esserci ricorsi che invalidano certe decisioni. La volontà del popolo non è assoluta. Le iniziative hanno un difetto: nessuno ne controlla il contenuto al momento della presentazione, a parte una valutazione formale della Cancelleria federale. È forse tempo che la Svizzera si doti di una Corte costituzionale? febbraio 2016 La Rivista - 11 Europee di Viviana Pansa Fratture e mutazioni genetiche dell’Unione C’è attesa per l’incontro del premier italiano, Matteo Renzi con il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, previsto per la fine di questo mese di febbraio. Potrebbe essere decisivo, infatti, per ricomporre il quadro delle polemiche politiche e delle spaccature con l’Unione prepotentemente emerse nelle ultime settimane. Si tratterà della prima visita di Juncker in Italia dall’assunzione del suo incarico di presidenza dell’esecutivo europeo, evento che giunge in un frangente in cui l’atmosfera dei rapporti tra Italia e Ue, per ammissione dello stesso Juncker “non è nel suo aspetto migliore”, cosa che rende ancor più urgente un confronto per fare chiarezza sulle reciproche aspettative e in vista di un’intesa “definitiva” “nel reciproco interesse”. A dire il vero, le aspettative già da ora non sono così difficili da esplicitare, almeno su due dei dossier più complessi in cima all’agenda politica di governi nazionali e comunitari da mesi: sul fronte economico l’Italia invoca la flessibilità necessaria ad incoraggiare la debole ripresa registrata nell’anno appena trascorso, mentre l’Europa teme che un certo “lassismo” possa mettere a rischio il risanamento dei conti pubblici; sul fronte immigrazione l’Italia si aspetta passi avanti sui ricollocamenti, mentre l’Europa punta il dito sulla carenza nelle procedure di identificazione dei migranti che approdano sulle coste italiane e greche. A ciò si aggiungono le turbolenze sul fronte bancario, con il rischio che l’impossibilità di un intervento pubblico, impedito dall’entrata in vigore della recente normativa europea del bail in – che sposta l’onere dell’eventuale risanamento dalla collettività agli azionisti e ai creditori della banca – scarichi sui piccoli risparmiatori il fallimento degli istituti, interventi che - si ricorda da più parti all’opinione pubblica italiana – hanno invece permesso ad altri Paesi dell’Unione la messa in sicurezza dei rispettivi sistemi bancari (nello specifico si è parlato dei 64 miliardi di euro con cui la Germania ha fatto fronte alla presenza nel suo sistema bancario di mutui immobiliari statunitensi di basso valore e alto rendimento all’inizio della crisi dei subprime, nel 2008, e di 500 miliardi di euro immessi per cautelare gli investimenti bancari tedeschi nei debiti di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna, per un esborso pubblico totale pari al 2,4% del Pil). La tensione è poi cresciuta con il caso di Banca Etruria, e i drammatici contraccolpi umani di quel fallimento, e al suo apice ha contribuito non poco la diffusione del testo di una lettera riservata inviata dai commissari dell’Unione alla concorrenza Jonathan Hill e MargretheVestager al Ministero del Tesoro nello scorso mese di novembre. La missiva, in cui si ribadisce come il ricorso al sostegno pubblico delle banche debba arrivare solo come ultima possibilità, avrebbe in qualche modo condizionato il decreto “salvabanche” approvato dal Consiglio dei ministri, rendendolo più sfavorevole ai correntisti rispetto ad una prima ipotesi di utilizzare il Fondo interbancario di garanzia sui depositi, che avrebbe scongiurato interventi a carico dei risparmiatori. In quelle stesse settimane la Commissione europea avviava la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per la mancata applicazione del regolamento sulla registrazione dei migranti attraverso le impronte digitali (Eurodac), decisione contestata da Renzi che aveva ribadito l’impegno per la realizzazione degli hot spot e rilevato come anche l’Europa fosse in ritardo nei ricollocamenti. In ultimo, l’accordo con la Turchia per la gestione dei rifugiati, fortemente voluto dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, che si è personalmente spesa per la sua definizione, non piace all’Italia, che contesta la ripartizione tra Commissione e Paesi membri dei 3 miliardi destinati ad Ankara per garantire migliori condizioni di vita ai profughi siriani. Una finalità su cui il nostro Paese chiede di vederci più chiaro, mentre ritiene che le risorse dovrebbero gravare interamente sul budget europeo (lo schema di ripartizione proposto prevede invece 1 miliardo a valere sul budget europeo e due miliardi a carico degli Stati membri). Arriviamo così alle parole di metà gennaio di Juncker, che accusa Renzi di offendere l’Unione cercando di “sminuirla in ogni occasione”, come nel caso – aggiunge – della decisione su una più ampia flessibilità, adottata dalla Commissione – precisa - e non dal premier italiano. La comunicazione sui margini di flessibilità da concedere, emessa dalla Commissione a gennaio 2015, proprio in concomitanza con la conclusione del semestre di presidenza italiano dell’Unione, è sempre stata propagandata dal governo Renzi come un risultato di tale presidenza. A ciò si aggiungono indiscrezioni su malintesi sorti tra i due perché l’Italia, secondo fonti vicine al presidente della Commissione, non avrebbe un interlocutore per dialogare con Roma sui dossier più delicati, affermazione oggettivamente incomprensibile (e in effetti poi ammorbidita) – a meno che non si voglia lasciar intendere che l’interlocutore c’è, ma non sente ragioni – e a cui il governo italiano ha risposto con la nomina di Carlo Calenda, vice ministro allo Sviluppo economico, quale rappresentante dell’Italia a Bruxelles. E l’attacco sferrato a Strasburgo da Manfred Weber, capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, che ha accusato Renzi, a proposito delle resistenze all’Accordo con la Turchia, di mettere a rischio la credibilità dell’Europa e alimentare il populismo. Ciò che si delinea è, in definitiva, un quadro in cui appare sempre più difficile l’emergere della lucidità necessaria a individuare il “reciproco interesse” come l’interesse generale dell’Unione, evitando un compromesso al ribasso tra tornaconti nazionali che finirebbe per avallare una sorta di mutazione genetica dell’Europa, sempre più divisa politicamente e – con la sospensione di Schengen da parte di alcuni degli Stati membri – anche geograficamente. febbraio 2016 La Rivista - 13 I mercati si muovono velocemente. Come fare per stare al passo? Il mondo è più complesso che mai. E diventa difficile restare aggiornati sulle ultime novità che possono influenzare gli investimenti. I nostri 900 analisti possono aiutarvi. Grazie a un costante monitoraggio dei mercati mondiali, offrono ai team d’investimento e ai Client Advisor di UBS tutte le informazioni di cui necessitano. Vi aiutiamo a trovare una risposta. Questo documento e le informazioni in esso contenute sono fornite esclusivamente a scopi informativi. © UBS 2016. Tutti i diritti riservati. ab Internazionali di Michele Caracciolo di Brienza Libertà d’informare e d’informarsi Durante il 2015 l’ONG francese, Reporters sans Frontières, ha registrato l’uccisione di 110 giornalisti in tutto il mondo. Alla fine del 2015 è stato pubblicato il suo rapporto che traccia un quadro tremendo in molti paesi. 110 giornalisti sono stati uccisi per via del loro mestiere o morti in circostanze sospette. Per 67 di questi casi l’organizzazione non governativa, fondata a Montpellier nel 1985, è in grado di stabilire un legame diretto tra la morte del giornalista e ciò su cui stava lavorando. In tutto il mondo dal 2005 i giornalisti uccisi per aver espresso la loro opinione o aver pubblicato dei fatti sgraditi sono 787. Alla fine del 2015 si sono contati 54 giornalisti in ostaggio fra la Siria, lo Yemen, l’Iraq e la Libia. 153 giornalisti sono invece detenuti fra la Cina, l’Iran, l’Eritrea, la Turchia e il resto del mondo. Ai 110 decessi, tra sospetti e certi, vanno aggiunti 27 blogger o citizen journalists e sette operatori. La figura del blogger o citizen jounalist è ormai una categoria di autore, produttore di contenuti, comunicatore creata dalla rete. Il web ha abbassato le barriere all’entrata per chi desidera avere un pubblico per i propri contenuti. Ormai questo è un fatto acquisito. Il risultato è sovente di dubbia utilità pubblica e i materiali pubblicati sono di scarsa qualità redazionale. Tuttavia, dalla blogosfera composta di milioni di blog ne emergono alcuni che hanno centinaia di migliaia di utenti unici al giorno. Questi portali diventano dei veri e propri organi d’informazione con un largo seguito. La figura dell’editore e del giornalista nel caso dei blogger convergono. Spesso i blogger aggiungono al loro portale anche la presenza sulle reti sociali diventando dei veri e propri influencer avvicinati dalle grandi aziende di beni di consumo per promuovere i loro prodotti. Non è il caso dei blogger uccisi durante il 2015. Ciò che li caratterizza è la solitudine iniziale e la capacità di esprimersi senza limiti. È giornalismo? È una forma d’informazione che, dopo qualche selezione, può essere ben più autorevole di quella dei media classici. Il blogger non riceve alcun condizionamento dall’editore, essendo in pratica l’editore di se stesso. La gerarchia delle notizie è spesso stabilita dagli utenti stessi del sito. Una homepage dinamica mette in evidenza i contenuti più cliccati. La maniera in cui le notizie sono pubblicate è priva di ogni timore di indispettire questo o quell’altro inserzionista. Quali oggi sono le zone più pericolose in cui esercitare la professione di giornalista? A sorpresa, secondo il rapporto di Reporters sans frontières (RSF.CH), risulta al terzo posto la Francia. L’attentato alla rivista satirica Charlie Hebdo ha fatto della Francia il terzo paese più insicuro per i giornalisti durante l’esercizio delle loro funzioni nel 2015. Al primo e al secondo posto si trovano rispettivamente l’Iraq e la Siria. Ad Aleppo la stampa si trova tra le forze di Bashar al-Assad e i gruppi radicali o curdi. La città è un campo minato per la stampa professionale e per i blogger. Lo stesso vale per la città di Mosul in Iraq. Il rapporto di RSF lo definisce “il buco nero dell’informazione”. Le comunicazioni con l’esterno della città sono totalmente controllate. La recente notizia della distruzione del monastero cristiano più vecchio dell’Iraq è stata colta grazie alle immagini satellitari e a più di un anno dall’avvenimento. Nessun giornalista era lì per testimoniare questa ennesima barbarie. Il valore degli inviati in zone di conflitto resta fondamentale per un’informazione ricca. Lo scorso 23 dicembre presso la Sala di rappresentanza del Comune di Bolzano Lilli Gruber ha presentato il suo ultimo libro intitolato: Tempesta. Sull’utilità degli inviati ha affermato: “Noi giornalisti dovremmo provare a essere più autorevoli e così anche i lettori saranno più fedeli […] Quanti sono i direttori di giornali, telegiornali, che ancora mandano in giro i loro giornalisti e inviati? Che hanno ancora i soldi necessari? Di questi tempi le aziende d’informazione hanno pochi fondi […] Non c’è dubbio che il fatto di andare a vedere e verificare di persona sul campo è ciò che ogni buon giornalista dovrebbe fare ed è quello che fa la differenza. Fa percepire al lettore la veridicità e la genuinità di quello che viene raccontato. È molto diverso stare seduti davanti a un computer, avendo le fonti d’informazione a cui oggi tutti hanno accesso, e andare invece in un luogo, guardare, toccare, sentire gli odori e poi scrivere il racconto per i lettori. […] In entrambi i casi – continua Lilli Gruber – ci vuole curiosità. Uno non può essere un bravo giornalista se non è profondamente curioso e anche un po’ rompiballe. La differenza tra l’esserci stati e il raccontare dalla propria scrivania sarà sempre cruciale”. [email protected] febbraio 2016 La Rivista - 15 Møller auspica un miglior coordinamento delle agenzie specializzate dell’Onu con la “Ginevra internazionale” Le priorità del direttore generale dell’Onug Durante la conferenza stampa di fine anno, Michael Møller, direttore generale dell’Onu di Ginevra (Onug), ha elencato le sue priorità per il 2016: 1) Gli obiettivi relativi allo sviluppo sostenibile; 2) Le possibili soluzioni alla crisi globale dei rifugiati e dei migranti; 3) La prevenzione e la risoluzione dei conflitti. Riguardo agli obiettivi relativi allo sviluppo sostenibile, Møller vuole fare di Ginevra il centro nevralgico dell’implementazione di questa politica internazionale, poiché numerose agenzie onusiane basate a Ginevra giocheranno un ruolo principe nell’aiuto concreto agli Stati. Secondo Møller, un miglior coordinamento delle agenzie specializzate dell’Onu con la “Ginevra internazionale”, la società civile, le Ong, le università e le imprese private, può facilitare la sopracitata implementazione. Tra questi obiettivi, ovviamente, figurano al primo posto l’eliminazione della fame e della povertà nel mondo. Riguardo, invece, alla crisi globale dei rifugiati e dei migranti, numerosi incontri avranno luogo durante tutto il 2016. Il primo, si terrà a Londra prossimamente per trovare dei finanziamenti per risolvere il problema dell’esodo epocale dei siriani. Il secondo, si terrà in marzo e verterà sulla sistemazione di alcuni rifugiati. Poi, sarà la volta del Vertice Mondiale Umanitario (World Humanitarian Summit) a Istanbul; oltre a una conferenza internazionale convocata da Ban ki-Moon in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu per ripensare al problema migratorio sul lungo termine. A tutt’oggi, 125 milioni di sfollati hanno bisogno di aiuti umanitari. L’Onu e le sue agenzie hanno lanciato una raccolta di fondi per 20 miliardi di dollari, destinati a 87 milioni di persone in urgente stato 16 - La Rivista febbraio 2016 di necessità in 37 paesi diversi. Il diplomatico danese ha poi sottolineato il fatto che bisogna combattere stereotipi e pregiudizi ed educare alla realtà migratoria. Quest’ultima, potrebbe aiutare i paesi occidentali a capire l’importanza dell’apporto economico dei migranti alle economie nazionali. Infine, riguardo alla prevenzione dei conflitti, strettamente collegato alla crisi globale dei rifugiati, bisogna “giocare d’anticipo” per prevenire gli alti costi umani ed economici dei conflitti. La “Ginevra internazionale” si deve impegnare a fondo e mettere la prevenzione dei conflitti in cima alla propria agenda. Møller, infatti, vuole intensificare il numero di mediazioni Michael Møller, direttore generale dell’Onu di Ginevra in corso a Ginevra. Gli inviati speciali in Libia, Siria e Yemen lavorano alacremente per avvicinare le parti in conflitto e farle sedere attorno a un tavolo negoziale; un tavolo necessario per instaurare un dialogo efficace e duraturo. In tal senso, si registrano dei successi: le fazioni libiche hanno da poco firmato un accordo d’unità nazionale; le discussioni sullo Yemen vanno avanti; quelle sulla Siria ripartiranno il prossimo 25 gennaio. Le negoziazioni sul conflitto giorgiano proseguono. Il pragmatismo dinamico di Michael Møller fa sperare in un ruolo accresciuto del “Palais des Nations” e in una nuova era dell’Onu, la cui riforma è indubbiamente necessaria e non più procrastinabile. L’Onu ha approvato la ristrutturazione dello storico “Palais des Nations” L’Assemblea generale dell’Onu, la cui sede si trova nel “Palazzo di Vetro” a New York, ha votato in favore del Progetto Strategico Patrimoniale (Psp) relativo alla ristrutturazione e al restauro dell’Ufficio ginevrino dell’Onu (Onug), meglio noto come “Palais des Nations”, famoso per aver ospitato la Società delle Nazioni (Sdn) fino al 1946. Attualmente, l’Onug, oltre a numerose agenzie specializzate, ospita la Conferenza sul disarmo e il Consiglio dei Diritti umani. Il Palais – costruito tra il 1929 e il 1938 sulla base di un annoso e controverso progetto firmato da Camille Lefèvre e Henri-Paul Nénot (Francia), Julien Flegenheimer (Svizzera), Carlo Broggi (Italia) e József Vágó (Ungheria) –, beneficia di un’architettura multi-stile figlia dell’Ecole des Beaux-Arts, ma che ricorda molto gli edifici dell’Eur di Roma o altri palazzi pubblici d’epoca fascista. L’elefantiaco edificio ubicato sulla riva destra del Lago di Ginevra non è mai stato completamente ristrutturato da quando è stato inaugurato poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Tenendo conto dell’elevato costo dei continui interventi di manutenzione e riparazione, il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha presentato il Psm di fronte agli Stati membri come una grande opportunità per rinnovare completamente il Palais des Nations. Il Psm ha per obiettivo di dotare l’ex sede della Sdn di un ambiente lavorativo moderno sia per il personale onusiano che per i partecipanti alle circa novemila conferenze e riunioni che ogni anno hanno luogo in questo immenso complesso rivestito di travertino bianco italiano. La maggior parte degli arredi, dei lampadari e dei serramenti, sono ancora quelli originali degli anni Trenta. Il progetto, infine, permetterà di eliminare le barriere architettoniche che impediscono l’accesso ai disabili e ottenere settecento posti di lavoro in più. Il costo totale del Psm supera gli ottocento milioni di franchi. La Svizzera, o meglio la Confederazione elvetica insieme alla Città e al Cantone di Ginevra, finanzierà questo progetto tramite un prestito senza interessi salvo approvazione dei rispettivi parlamenti. La modernizzazione del Palais è d’importanza capitale per la Svizzera in quanto Stato ospite. Inoltre, per rafforzare la posizione della “Genève internationale” come luogo privilegiato per trovare delle soluzioni alle grandi sfide mondiali attuali, è indispensabile che l’Onug disponga di una sede al passo coi tempi e perfettamente funzionale. Il Psp prevede una ristrutturazione completa e la costruzione di un nuovo edificio entro il 2023. Oreste Foppiani A Ginevra il 18 e 19 febbraio La XXI Conferenza Internazionale Umanitaria La XXI Conferenza Internazionale Umanitaria avrà luogo a Ginevra il 18 e 19 febbraio presso il CICG (Centre International de Conférences de Genève) in rue de Varembé, 17. La conferenza è organizzata dal Dipartimento di Relazioni Internazionale della Webster University, diretto dal Professor Oreste Foppiani. Lo scopo della due giorni è di discutere e anticipare i temi del prossimo World Humanitarian Summit che avrà luogo a Istanbul nel maggio prossimo. Diritto Umanitario di Sanremo ed ex-Presidente del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia; Michael Møller,Direttore Generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra; S.E. Amb. Maurizio Serra, Rappresentante Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali a Ginevra; Alessandra Aula, Segretario Generale del BICE (Bureau International Catholique de l’Enfance). Tra i relatori vi saranno il Professor Fausto Pocar, Presidente dell’Istituto di Per maggiori informazioni: www.webster.ch febbraio 2016 La Rivista - 17 Banchieri svizzeri dal 1873. Con passione. www.bsibank.com Per chi suona il campanello di Mirko Formenti Cartolina da Mitilene Assurdo. Quando ci si ritrova di notte su una spiaggia greca in pieno inverno e si avvistano le luci di una barca di profughi, non c’è tempo per concepire la natura storica del momento – perché ci si trova nel mezzo degli eventi del nostro tempo – e non c’è tempo per riflettere sulla situazione generale, né tantomeno sulle proprie sensazioni a riguardo: si agisce e basta; ma quando l’ultimo bus di migranti sani e salvi è partito dalla spiaggia diretto ai campi, lasciandosi dietro un gommone sgonfio, qualche decina di giubbotti di salvataggio, brandelli di coperte isotermiche e diversi vestiti fradici sparsi per l’area, sotto gli occhi stanchi dei volontari che si concedono una (minima) pausa prima di ripulire pazientemente il tutto, ci si ferma, ci si guarda attorno per la prima volta e tutto quello che si riesce a pensare è: assurdo. Assurdo perché straordinario, che vuol dire: extra-ordinario, nel senso più individuale del termine. Assurdo perché ci si ritrova a lavorare fianco a fianco con giovani sconosciuti accorsi da mezza Europa per essere lì, su quella spiaggia, in quel momento, ed aiutare quella gente, tutto il giorno e tutta la notte, con un impegno totale quanto disinteressato. Assurdo perché è assurdo che debbano essere loro ad occuparsene. Assurdo perché sebbene il clima di “mobilitazione generale” dell’isola (tanto da parte dei volontari quanto dei locali) generi davvero una bellissima atmosfera e lasci ben sperare sul bene di cui l’uomo è ancora capace, è inaccettabile che la totalità delle attività di primo soccorso sia gestita unicamente da volontari – senza i quali, credetemi, sarebbe davvero un disastro. In altre parole, le istituzioni – l’Europa con la E ancor più maiuscola – sono del tutto assenti dalle spiagge, e se compaiono è in genere per ostacolare i soccorsi, per esempio arrestando chi invia segnali luminosi alle barche al largo per indicare approdi sicuri (perché non si tratta naturalmente di un tentativo di evitare un naufragio o uno sbarco difficile, bensì di “agevolazione all’immigrazione clandestina”). Al di là del soccorso della prima ora, gli stessi campi sono solo in parte – una piccola parte! – statali, e la larga maggioranza dei profughi trova alloggio temporaneo nei campi istituiti e gestiti (chi più e chi meno efficientemente) dai volontari lungo le coste. Un esempio emblematico è il campo di Moria – di certo il più grande e importante dell’isola, in quanto solo qui i migranti possono registrarsi per venire poi trasferiti ad Atene – il cui nucleo è sì gestito da enti statali: ma attorno a questo nucleo si è sviluppato un campo organizzato da volontari che raccoglie tutti i migranti che non trovano posto nel campo “ufficiale” (il che significa: la stragrande maggioranza). L’unica faccia istituzionale di cui si potrebbe parlare bene – la Guardia Costiera, che spesso accompagna le barche in difficoltà o trae in salvo i migranti in caso di naufragio – è stata infangata da episodi di una gravità impensabile: se non avessi ascoltato di persona i racconti e visto i filmati con i miei occhi stenterei a crederlo, ma diverse testimonianze provano che la Guardia Costiera greca e quella turca hanno in più occasioni pungolato i gommoni con dei bastoni fino a bucarli provocandone il naufragio (il video apparso in rete lo scorso novembre e subito diventato virale non è che uno degli esempi). Benché il fenomeno sia comunque marginale – e ci mancherebbe! – e limitabile ad episodi “eccezionali” e, come detto, nel complesso la Guardia Costiera sia una risorsa preziosissima e svolga un brillante lavoro, non possiamo comunque ignorare di trovarci di fronte ad un assassinio bello e buono che, oltre ad essere di per sé odioso, rappresenta un atto gravissimo che non può e non deve passare sotto silenzio – un silenzio che sarebbe altrettanto grave. Ad ogni modo, a fianco dei momenti che fanno ribollire il sangue – anzi, la bile – si collezionano anche soddisfazioni, e, per un animo profondamente laico come il mio, la più grande soddisfazione arriva a sorpresa, quando, dialogando con una famiglia di Aleppo appena sbarcata, al padre che ringrazia Allah per aver preservato tutta la famiglia salva nella loro odissea, viene replicato pacatamente dal figlio ventenne: “Certo, sia reso grazie ad Allah – ma grazie anche a loro”. Il tempo di un ultimo saluto, forse un po’ più commosso degli altri, e poi via di nuovo: loro verso il campo, noi verso la prossima barca – perché le barche continuano e continueranno ad arrivare, che lo si voglia oppure no, che sia legale o meno: poi alcune ce la fanno, e altre affondano come le speranze di chi continua a lottare per l’istituzione di un trasporto sicuro e legale (un “safe passage”) che venga garantito ai migranti ponendo fine alle morti nell’Egeo e al ricchissimo traffico dei passatori. “Es isch d’Höu im Paradies” – è l’inferno in paradiso, dice uno dei nostri, e in fondo in un certo senso lo è davvero, penso rileggendo Longo* nella mente, davanti ai cumuli di giubbotti sfiniti e abbandonati. *l’autore si riferisce a Longo Sofista, autore greco che scrisse Daphni e Chloe, un romanzo pastorale ambientato appunto a Lesbo, in cui la regione di Mitilene viene descritta in tutta la sua antica bellezza febbraio 2016 La Rivista - 19 Scommettere sulla green economy per battere la crisi ed essere protagonisti della sfida del clima L’Italia in 10 autoscatti C’è un Paese in Europa che vanta un positivo spread green. Quel paese è l’Italia. Con un modello produttivo tra i più innovativi ed efficienti in campo ambientale, tanto da essere leader in Europa per efficienza dei consumi e riduzione delle emissioni climalteranti. A parità di prodotto, le imprese usano meno energia e producono meno emissioni. Lo stesso vale per l’utilizzo di materie prime e la produzione di rifiuti. L’Italia è prima in Europa anche nel riciclo industriale: recupera 25 milioni di tonnellate di materia ogni anno sui 163 totali europei (la Germania 23), questo ci consente un risparmio di energia primaria di oltre 15 milioni di tep e di evitare 55 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. All’avanguardia anche nella rinnovabili: l’Italia è primo paese al mondo per contributo del fotovoltaico nel mix elettrico nazionale (7,9%, dati relativi al 2013). Quasi un’impresa italiana su quattro durante la crisi ha scommesso sulla green economy, che vale 102.497 milioni di euro di valore aggiunto, con vantaggi competitivi in termini di export e innovazione, tanto che nella manifattura le imprese eco-investitrici esportano ed innovano circa il doppio delle altre (rispettivamente il 43,4% contro il 25,5% e il 30,7% contro il16,7%). Ed è anche grazie a queste performance se con un surplus commerciale manifatturiero con l’estero di 134 miliardi di dollari nel 2014, l’Italia si conferma uno dei soli cinque paesi al mondo che possono vantare un surplus commerciale manifatturiero superiore a 100 miliardi di dollari. Gli altri sono Cina, Germania, Corea del Sud e Giappone, mentre Francia, Regno Unito e Stati Uniti ci guardano da lontano. 20 - La Rivista febbraio 2016 Il dossier della Fondazione Symbola Questa è l’Italia che Fondazione Symbola racconta in L’Italia in 10 selfie.2016 - Una nuova economia per affrontare la crisi, protagonisti della sfida del clima. Un documento che guarda al paese reale, fotografa i talenti dell’Italia che c’è e dimostra numeri alla mano che il Belpaese è già protagonista di quel cambiamento verso una società e un’economia più sostenibili e a misura d’uomo sollecitato anche dalla Cop21. L’obiettivo di restare ben al di sotto dei due gradi, necessario per contrastare i mutamenti climatici, porta con sé una nuova economia e impone una transizione verso una società e un modello di sviluppo a basso tenore di carbonio. Un cammino non semplice che offre formidabili occasioni legate alla green economy, per le nostre imprese, i nostri territori e che hanno positive ricadute nella lotta all’inquinamento. Ecco allora i 10 selfie da cui partire per sfidare la crisi ed essere protagonisti del cambiamento: 1 Dalla green economy il turbo per le imprese italiane. Sono 372.000 aziende italiane (il 24,5% dell’imprenditoria extra-agricola, nella manifattura addirittura il 32%) che durante la crisi hanno scommesso sulla green economy - che vale 102.497 mln di € di valore aggiunto, il 10,3% dell’economia nazionale. Con vantaggi competitivi in termini di export (43,4% delle imprese manifatturiere eco-investitrici esporta stabilmente, contro il 25,5% delle altre) e di innovazione (il 30,7% ha sviluppato nuovi prodotti o nuovi servizi, contro il 16,7%). La green economy fa bene anche all’occupazione. Nel 2015, tra green jobs propriamente detti e posti di lavoro in cui sono richieste competenze green, il 59% delle assunzioni previste (294mila) è legato alla green economy. 2 L’Italia è uno dei cinque paesi al mondo con un surplus manifatturiero sopra i 100 mld di dollari. Nel 2014, con un surplus commerciale manifatturiero con l’estero di 134 mld $ (erano 113 nel 2012), si conferma il ruolo di punta del Paese nell’industria mondiale. Non si può dire lo stesso di paesi come Francia (-35 mld), Regno Unito (-129 mld), Usa (-589 mld). 3 Le imprese italiane sono tra le più competitive al mondo. Su un totale di 5.117 prodotti - il massimo livello di disaggregazione statistica del commercio mondiale - nel 2013 l’Italia si è piazzata prima, seconda o terza al mondo per attivo commerciale con l’estero in ben 928: circa uno su cinque. 4 All’avanguardia nel mondo per le fonti di energia rinnovabile. L’Italia è primo paese al mondo per contributo del fotovoltaico nel mix elettrico nazionale (7,9%, dati relativi al 2013), meglio di Grecia (7,6%) e Germania (7%), ma anche del Giappone (sotto il 3%) di Usa e Cina (meno dell’1%). Nel 2012 l’Italia era prima (con il 39%) tra i grandi paesi Ue, a pari merito con la Spagna e davanti a Germania (24%), Francia (17%), Gran Bretagna (15%), anche per quota di energia rinnovabile nella produzione elettrica. Nel 2014 la quota di rinnovabili ha superato il 43%. 5 L’industria italiana del legno arredo è seconda al mondo per surplus commerciale. Con 10 mld di $ di surplus l’industria italiana del Legno Arredo è seconda nella graduatoria internazionale, preceduta solamente dalla Cina (80 mld) ma davanti ai competitor polacchi (9 mld), messicani (6 mld), vietnamiti (5 mld) e tedeschi (-2,1 mld). Ed è leader in Europa, con 56,4 mln di €, negli investimenti in R&S, che sempre più spesso alimentano l’innovazione green e l’efficienza nell’uso di materia ed energia: davanti alle imprese inglesi (44,6), tedesche (39,9) e francesi (17,5). la prima al mondo per quote di mercato, coi principali competitor che ci seguono a distanza: gli Usa col 14,5% del mercato e la Germania con l’11,4%. Una leadership assoluta, legata anche alle performance ambientali (come l’efficienza nei consumi e nelle emissioni), che diventa ancor più netta nella produzione di imbarcazioni e yacht da diporto (con motore entrobordo): dove gli oltre 2,4 mld di dollari di export ci consegnano una quota di mercato del 32,2%, superiore a quella dei due principali concorrenti: USA, e Germania (in totale 26,2%). 6 Leader dell’agroalimentare nel mondo, con l’agricoltura più sostenibile. Tra i prodotti dell’agroalimentare italiano, ben 27 non hanno rivali sui mercati internazionali. Dalla pasta ai pomodori e altri ortaggi, da aceto e olio ai fagioli, alle ciliegie: tutti campioni assoluti nelle quote di mercato mondiale. E ce ne sono altri 62 per i quali si colloca al secondi o terzo posto: insomma, sul podio nel commercio mondiale, per ben 89 prodotti. Quest’anno l’export agroalimentare è cresciuto di 8 punti percentuali nei primi 9 mesi, a quota 27 mld di €. Grazie anche al successo dell’Expo, ma soprattutto perché L’Italia è il Paese più forte al mondo per prodotti ‘distintivi’: primi nel food, con 278 tra Dop/ Igp/Stg, e nel vino, con 523 Doc/Docg/Igt; primi in Europa nel biologico per numero di imprese, tra i primi al mondo per superficie. Con 814 tonnellate per ogni milione di euro prodotto dal settore, non solo l’agricoltura italiana emette il 35% di gas serra in meno della media Ue, ma fa decisamente meglio di Spagna (il 12% in meno), Francia (35%), Germania (39%) e Regno Unito (il 58% di gas serra in meno). 8 Sistema produttivo leader in Europa in efficienza dei consumi e riduzione delle emissioni. Il modello produttivo italiano è tra i più innovativi ed efficienti in campo ambientale. A partire dai consumi energetici e dalle emissioni inquinanti: con 15 tonnellate di petrolio equivalente per milione di € prodotto, tra i big player europei solo il Regno Unito (12 t) - dove finanza e servizi giocano però un ruolo molto importante fa meglio dell’Italia, paese manifatturiero. Che si colloca davanti a Francia (16), Spagna e Germania (18). E con 113 tonnellate di anidride carbonica per milione di € si piazza seconda dietro solo alla Francia (91 t), facendo meglio del Regno Unito (135), della Spagna (138) e della Germania (158). 7 Prima nella nautica con un quinto dell’export globale. Oltre un quinto della domanda internazionale di prodotti della nautica da diporto è assorbito dal made in Italy. Risultato che fa della nautica italiana 9 Campioni nella riduzione dei rifiuti e nell’economia circolare. Il nostro Paese è campione europeo nella riduzione degli scarti nel sistema produttivo, leader nell’industria del riciclo e portabandiera dell’economia circolare. Con 40,1 tonnellate di rifiuti ogni mln di € prodotto l’Italia è ben più efficiente di Regno Unito (49,8), Spagna (50,1), Germania (63,7), Francia (83,5). A fronte di un avvio a recupero industriale di oltre 163 mln di tonnellate di rifiuti su scala europea, nel nostro Paese ne sono stati recuperati 25 mln, il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi del continente (in Germania sono 23). Il risparmio dell’Italia è di oltre 15 mln di tonnellate equivalenti di petrolio ed emissioni per circa 55 mln di tonnellate di CO2. Siamo secondi solo alla Germania in termini di percentuale di riciclo e di recupero di rifiuti di imballaggio, facendo meglio di Spagna, Francia e Regno Unito. 10 Cultura, bellezza e creatività per competere. Alla filiera della cultura - 443mila aziende, il 7,3% del totale nazionale, che danno lavoro al 5,9% del totale degli occupati in Italia, 1,4 mln di persone - l’Italia deve 84 mld di €, il 5,8% della ricchezza prodotta. Questi 84 mld ne mettono in moto altri 143 nel resto dell’economia: 1,7 € per ogni € prodotto dalla cultura. Si arriva così a 227 mld prodotti dall’intera filiera culturale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano. Le imprese che hanno investito in creatività sono più innovative: il 63,5% ha introdotto innovazioni di prodotto contro il 22,2% di chi non ha investito. E non è un caso, poi, che tra le prime il 48,1% sia presente sui mercati internazionali, a fronte del 21,6% delle altre. Oltre un quinto della domanda internazionale di prodotti della nautica da diporto è assorbito dal made in Italy febbraio 2016 La Rivista - 21 28 febbraio 2016 Gli svizzeri al voto Tre iniziative ed un referendum saranno sottoposte al voto popolare il prossimo 28 febbraio. I cittadini saranno confrontati con temi che riguardano la tassazione delle coppie sposate, l’espulsione automatica dei cittadini stranieri che hanno commesso reati, la speculazione sulle derrate alimentari e la costruzione di un secondo tubo stradale sotto il San Gottardo. Di seguito una sintetica illustrazione degli oggetti in votazione Iniziativa popolare «Per il matrimonio e la famiglia – No agli svantaggi per le coppie sposate» Circa 80 000 coppie di coniugi con doppio reddito e numerose coppie di coniugi pensionati pagano un’imposta federale diretta più elevata delle coppie non sposate che si trovano nella stessa situazione economica. A livello cantonale, le coppie sposate pagano in genere meno tasse delle coppie conviventi. Per quanto riguarda l’AVS, una coppia sposata riceve al massimo una rendita pari al 150 per cento della rendita individuale massima; una coppia che convive solo di fatto può ricevere due rendite intere. Che cosa chiede l’iniziativa? Scopo dell’iniziativa è sancire nella Costituzione il principio secondo cui, dal punto di vista fiscale, le coppie sposate costituiscono una comunione economica e non possono essere svantaggiate, segnatamente sotto il profilo delle imposte e delle assicurazioni sociali. Il matrimonio deve essere definito come la durevole convivenza, disciplinata dalla legge, di un uomo e di una donna. Per quanto riguarda le assicurazioni sociali, il Consiglio federale e il Parlamento ritengono che, globalmente, le coppie spo- 22 - La Rivista febbraio 2016 sate non siano penalizzate. Inizialmente il Consiglio federale era favorevole all’iniziativa poiché riteneva offrisse una possibilità per eliminare completamente la penalizzazione fiscale delle coppie sposate. Il Parlamento, tuttavia, ha respinto l’iniziativa criticando in particolare la rigida definizione del matrimonio e l’impossibilità di passare all’imposizione individuale dei coniugi senza una nuova modifica costituzionale. Come previsto dalla legge federale sui diritti politici, il Consiglio federale non sostiene una raccomandazione di voto divergente dalla posizione dell’Assemblea federale. Iniziativa popolare «Per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati (Iniziativa per l’attuazione)» Alla fine del 2010 Popolo e Cantoni hanno accettato l’iniziativa «Per l’espulsione degli stranieri che commettono reati (Iniziativa espulsione)». Essa obbligava il Parlamento ad attuare le nuove disposizioni costituzionali entro cinque anni mediante l’adeguamento delle leggi pertinenti. Il Parlamento ha svolto il proprio compito per tempo. Contro le nuove leggi concernenti l’espulsione di stranieri che commettono reati non è stato lanciato il referendum. Già alla fine del dicembre 2012, ossia mentre tali lavori legislativi erano ancora in corso, gli autori dell’iniziativa hanno tuttavia depositato un’iniziativa con le stesse richieste («Iniziativa per l’attuazione»). Che cosa chiede l’iniziativa? L’iniziativa chiede che gli stranieri che hanno commesso determinati reati vengano espulsi automaticamente dalla Svizzera. E questo a prescindere dalla gravità del fatto, dall’entità della pena e da altre circostanze. Il Consiglio federale e il Parlamento respingono l’iniziativa per l’attuazione. Essa è infatti contraria alle regole basilari della democrazia svizzera. In primo luogo, prevedendo l’introduzione di disposizioni dettagliate sull’espulsione direttamente nella Costituzione, l’iniziativa elude il Parlamento. Nella nostra democrazia emanare leggi è invece proprio un compito del Parlamento. In secondo luogo, essa limita notevolmente le competenze dei giudici. In caso di accettazione dell’iniziativa i giudici non potrebbero infatti più valutare le peculiarità del caso e i gravi casi di rigore personale non sarebbero più presi in considerazione. Iniziativa popolare «Contro la speculazione sulle derrate alimentari» Le materie prime agricole quali il frumento, il caffè o il cotone sono oggetto di negoziazioni a livello mondiale. Alla fine della filiera degli agricoltori, dei commercianti e dei fabbricanti, le materie prime sono trasformate in derrate alimentari, vestiti o altri beni. I prezzi delle materie prime possono subire oscillazioni importanti, per esempio a causa del gelo o di periodi di siccità. I partner commerciali hanno pertanto interesse a conoscere in anticipo il prezzo delle materie prime o dei prodotti per poter pianificare in modo più affidabile e garantire nel contempo il proprio reddito. A tale scopo i mercati finanziari offrono strumenti adeguati, i cosiddetti derivati, che aiutano gli agricoltori, i commercianti e i fabbricanti a ridurre i rischi connessi alle forti oscillazioni dei prezzi. I derivati possono essere impiegati anche per operazioni speculative. Che cosa chiede l’iniziativa? L’iniziativa chiede che le operazioni fi- nanziarie speculative che concernono materie prime agricole o derrate alimentari siano vietate in Svizzera. Secondo gli autori dell’iniziativa le operazioni speculative su questi prodotti determinano forti oscillazioni dei prezzi delle derrate alimentari, che a loro volta causano povertà e fame. Anche il Consiglio federale e il Parlamento vogliono lottare contro la fame e la povertà. Ritengono tuttavia che un divieto delle operazioni finanziarie speculative concernenti le materie prime agricole non sia il mezzo adeguato per raggiungere l’obiettivo. Un divieto applicabile unicamente in Svizzera non avrebbe alcun influsso su quanto avviene sui mercati mondiali. In Svizzera non vi è, infatti, alcuna sede di negoziazione per detti strumenti finanziari e le imprese interessate potrebbero eludere facilmente il divieto. Sarebbe tuttavia necessario predisporre un apparato di controllo oneroso e la piazza economica svizzera verrebbe complessivamente indebolita. Per questi motivi il Consiglio federale e il Parlamento respingono l’iniziativa. Modifica della legge federale concernente il transito stradale nella regione alpina (Risanamento della galleria autostradale del San Gottardo) Il traforo del San Gottardo è aperto ormai da 35 anni e deve essere risanato. Per farlo è necessario chiuderlo completamente al traffico per lungo tempo. Tuttavia il Consiglio federale e il Parlamento vogliono evitare l’interruzione del collegamento autostradale e hanno dunque deciso la costruzione dapprima un secondo traforo. Terminati i lavori di costruzione e risanamento, ambedue saranno percorribili. La capacità di transito della galleria non aumenterà: per legge in ciascuna galleria la circolazione avverrà su un’unica corsia per senso di marcia. La costruzione di un secondo traforo e il risanamento della galleria attualmente in funzione costano circa 2,8 miliardi di franchi. Risanare la galleria senza costruire una seconda canna sarebbe fattibile, ma non senza servizi di treno navetta per automobili e autocarri per ovviare alla chiusura del traforo. Sarebbero cioè necessarie stazioni di carico destinate ad essere smantellate al termine del risanamento. Una variante di questo tipo verrebbe a costare tra 1,2 e 2 miliardi di franchi. Perché il referendum? Contro la proposta del Consiglio federale e del Parlamento è stato lanciato il referendum: la costruzione di un secondo traforo aumenterebbe la capacità di transito e violerebbe l’articolo sulla protezione delle Alpi, senza contare che sarebbe molto dispendiosa. Il Consiglio federale e il Parlamento raccomandano di approvare la costruzione di un secondo traforo al fine di garantire il collegamento autostradale anche durante i lavori di risanamento. Una seconda canna apporterebbe vantaggi permanenti aumentando la sicurezza e permettendo di agevolare i lavori di manutenzione in futuro. Grazie a due trafori, il collegamento autostradale attraverso il San Gottardo rimarrebbe sempre disponibile per la popolazione e l’economia. febbraio 2016 La Rivista - 23 Concluso il mandato di Cosimo Risi a Berna di Giangi Cretti Berna è stata l’ultima tappa della carriera diplomatica di Cosimo Risi. In chiusura del suo mandato abbiamo colto l’occasione per tratteggiare un breve bilancio sull’attività svolta, accennare al ruolo del diplomatico e chiedere un’anticipazione sulle prospettive future. Giunto al termine del suo mandato è il momento di abbozzare, seppur a caldo, un bilancio di questa sua esperienza. Con quale animo lascia la Svizzera? Ho lasciato l’incarico il 13 gennaio 2016 con animo sereno, anche perché il testimone passa in buone mani. In due anni e mezzo ho concentrato quanto abitualmente si compie in un periodo di quattro. Ho inserito il turbo, a volte sbandando ma sempre puntando la meta: tenere alto il livello dei rapporti italo-svizzeri. Qualche riconoscimento l’ho ricevuto. Quali sono i risultati che può archiviare come positivi? La conclusione del pacchetto fiscale. Scambio automatico delle informazioni in materia fiscale, riconoscimento dello status dei lavoratori frontalieri e loro imposizione, regime da applicare a Campione d’Italia, discussioni sull’apertura dei mercati finanziari. Quando arrivai a Berna, nessuno osava neppure sognare che saremmo riusciti a tanto. Quali quelli invece negativi, oppure semplicemente non ottenuti? La trattativa fiscale resta sospesa su alcuni punti. Una pausa inevitabile date le circostanze, ma che avrei preferito evitare. Cosa le ha dato la Svizzera: sul piano professionale, ma anche su quello umano? Sul piano professionale l’esperienza è 24 - La Rivista febbraio 2016 Un periodo breve, ma intenso stata conclusiva della mia carriera. Forse vale il detto che l’ultimo amore come il primo non si scorda mai. Mi ha dato soprattutto la consapevolezza di misurarmi con la diplomazia bilaterale. Nella mia carriera infatti, tranne l’uscita iniziale, ho sempre praticato la diplomazia multilaterale. E assicuro che sono due mondi assai diversi per procedure e tempi d’attuazione. Sul piano personale il senso di compiutezza. Con una sola domanda che so retorica: perché la pizza costa così tanto? Le ha tolto qualcosa? Mi ha tolto la possibilità di giocare a tennis all’aperto ogni volta che volevo. Nel suo ruolo di Ambasciatore lei ha seguito dall’interno la delicata, e a volte tesa trattativa che ha portato all’accordo sottoscritto a Milano nel febbraio 2015. L’inizio di un percorso lungo il quale ci sono ancora parecchie insidie… Le insidie ci stanno, senza dubbio, ma c’è pure la volontà delle parti di superarle. Come valuta l’accordo sul regime fiscale per i frontalieri? Dalle prime razioni sembrerebbe scontentare tutti. Posso capire certe reazioni: alcuni temono che dovranno versare di più al fisco. Si consideri un altro aspetto: si è definito lo status di lavoratore frontaliere. Non è cosa da poco dal punto di vista giuridico e soprattutto sociale. Si conservano migliaia di posti di lavoro. In generale, dal suo osservatorio, come viene percepita la comunità italiana in Svizzera? La considerazione è ottima. Ovunque ho incontrato italiani o doppi cittadini inseri- ti anche in posizioni eminenti. Conforta il fatto che la rete consolare spenda pochissimo per l’assistenza agli indigenti. Nelle relazioni fra Italia e Svizzera, su cosa porrebbe l’accento? Sulla vicinanza. Un buon vicino è meglio di un parente lontano. Questo è particolarmente vero nelle relazioni fra i nostri paesi. Lei è un attento osservatore delle dinamiche internazionali. Come vede, in prospettiva, il ruolo della Svizzera nel cuore di un’Europa che stenta ad assumere una sua dimensione politica? La Svizzera sta negoziando una soluzione “euro-compatibile” con l’Unione europea riguardo all’applicazione della modifica costituzionale del 2014. L’aggettivo “euro-compatibile” è divenuto d’uso comune, lo si cita pure nell’intesa fiscale con l’Italia. Noi sosteniamo questa soluzione, anche se al momento ignoriamo quando e come interverrà. La Svizzera è un partner essenziale dell’Unione e tale deve restare. Durante il suo mandato la rete consolare ha subito un’ulteriore ristrutturazione. Le circoscrizioni si sono geograficamente ingrandite, il personale si è ridotto o comunque non è aumentato e c’è il timore che penalizzati siano i servizi ai connazionali. Un timore infondato? Finora la rete ha retto il colpo, non abbiamo notizie di seri disservizi, anzi qualcuno è migliorato o in via di miglioramento. Più del numero degli uffici – siamo comunque il paese che ne ha di più nella Confederazione – preoccupa il calo delle vocazioni. Il rialzo del franco non incoraggia quanti sono retribuiti in euro ed a cifre pressoché costanti. Avvicinandosi al termine della sua carriera diplomatica, come vede l’evoluzione del ruolo dell’ambasciatore: in generale e nel contesto dell’Unione europea? Quando entrai alla Farnesina alla fine degli anni settanta, mi si disse subito che il diplomatico era destinato a scomparire, in quanto i dirigenti politici s’incontravano direttamente nei fori multilaterali. Dopo quaranta anni stiamo ancora qui. Le relazioni internazionali si complicano e le società hanno bisogno di persone che riescano ad interpretare i fenomeni con un buon bagaglio professionale. La creazione del SEAE, il servizio diplomatico europeo, apre nuove prospettive al nostro lavoro. In alcuni posti la Delegazione UE può sostituire le Ambasciate nazionali. funzione commerciale, pur restando appunto funzione diplomatica e cioè volta al complesso dei rapporti fra i paesi. Per il commercio puro ci sono altre agenzie deputate. Questo governo sembra puntare molto su una diplomazia con funzioni commerciali. Come si dovrebbe espletare in concreto? Il ritorno alla pratica accademica che non ho mai abbandonato, anche se ho dovuto alleggerirla durante la permanenza all’estero. Insegnare e scrivere sono formidabili esercizi per mettersi in discussione. La diplomazia può e deve avere una Lei ora rientra al Ministero. Nel suo futuro, cosa l’attende? Marco Del Panta Ridolfi Ambasciatore d’Italia in Svizzera Marco Del Panta Ridolfi, nato a Firenze nel 1961, è il nuovo Ambasciatore d’Italia a Berna. Dopo aver conseguito nel 1986 la laurea in Scienze politiche presso l’Università di Firenze, nel 1988 è entrato in carriera diplomatica iniziando il suo percorso professionale presso la Direzione Generale Relazioni Culturali del Ministero degli Affari Esteri . Nel 1989 ha assunto servizio presso la Direzione Generale Affari Politici, dove è rimasto fino al 1991, anno in cui è stato nominato Console a Vienna. Nel 1995 è stato trasferito al Cairo, con funzioni di Primo segretario. Nel 1999 è rientrato alla Farnesina, dapprima presso la Segreteria Generale, quindi alla Direzione Generale per la Promozione e Cooperazione Culturale. Nel 2004 stato nominato Primo Consigliere alla Rappresentanza permanente presso l’Ue a Bruxelles, dove è rimasto fino al 2007, anno in cui è stato nominato Segretario Generale dell’Istituto Universitario Europeo. Nel 2011 è rientrato alla Farnesina, presso la Direzione Generale per l’Unione Europea dove ha svolto le funzioni di Coordinatore per le strategie relative all’allargamento, alle politiche Ue di vicinato e ai relativi programmi finanziari. Nel 2012 è stato Coordinatore delle azioni preparatorie del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea. Nello stesso anno è stato nominato Vice Direttore Generale per gli Italiani all’estero e le Politiche Migratorie e Direttore Centrale per le Questioni Migratorie e i Visti. Il messaggio ai connazionali dell’ambasciatore Del Panta «Care connazionali e cari connazionali, sono lieto ed onorato di essere stato chiamato a ricoprire il ruolo di nuovo ambasciatore d’Italia presso la confederazione svizzera e il principato del Liechtenstein. Continuando il lavoro intrapreso dai miei predecessori, è mia intenzione contribuire a rendere ancor più profonde e significative le già eccellenti relazioni tra il nostro paese e le nazioni amiche che ci accolgono, la Svizzera e il Liechtenstein. Si tratta di un compito complesso ed emozionante ad un tempo, che l’ambasciata e la rete consolare, ed io personalmente, consideriamo prioritario e su cui intendiamo porre il massimo impegno. È anche una sfida, in un certo senso, che desideriamo affrontare insieme a tutti voi. Sono oltre 600.000 i connazionali che vivono e lavorano in Svizzera. Si tratta della più cospicua comunità straniera. La nazione elvetica, che già in passato si è valsa dell’ingegno e del sacrificio dei tanti migranti italiani che hanno contribuito alla sua costruzione, torna ad essere oggi epicentro di una nuova ondata di giovani che qui si trasferiscono e che qui portano il loro sapere, la loro esperienza, le loro speranze. È quindi specialmente a voi, care concitta- dine e cari concittadini, che rivolgeremo la nostra attenzione, con l’obiettivo prioritario di migliorare i servizi offerti dall’ambasciata e dai consolati dipendenti, rendendoli maggiormente fruibili, più efficienti e rispondenti alle esigenze odierne. Lo sviluppo dei settori economico-commerciale, culturale e scientifico e tecnologico resta l’altro caposaldo privilegiato. Già oggi l’Italia vanta in questi campi eccellenze indiscusse, che vanno tuttavia ulteriormente valorizzate. È necessario, a mio avviso, un profondo lavoro di promozione e di comunicazione delle numerose iniziative italiane che hanno luogo in territorio svizzero, con l’obiettivo ultimo di far apprezzare la nostra forza imprenditoriale ed il nostro inestimabile valore artistico e culturale. Il sito web dell’Ambasciata e gli account già aperti sui social media verranno nelle prossime settimane potenziati proprio per rispondere a questa urgente esigenza. L’ambasciata e i consolati sono a vostra disposizione. Possono migliorare soprattutto se vi sarà tra di noi un dialogo diretto e continuo. Vi invito a farci pervenire i vostri suggerimenti e quanto vorrete condividere con noi. Un caro saluto». febbraio 2016 La Rivista - 25 Cultura d’impresa di Enrico Perversi Le quattro cose che contano Una classe dirigente si afferma attraverso i suoi comportamenti Ecco su cosa concentrarsi per avere successo Il tema della leadership è complesso e viene affrontato da molti punti di vista spesso complementari. La rivoluzione tayloristica partì anche dalla constatazione che non vi fosse in azienda una classe dirigente in grado di istruire, indirizzare e progettare il lavoro, Taylor infatti scrive nel 1911“(…) ogni operaio dovrebbe ogni giorno essere istruito ed aiutato amichevolmente dai dirigenti, invece di essere da un lato costretto o spinto dal suo caposquadra, e dall’altro abbandonato alla propria iniziativa senza assistenza. Questa continua, intima, personale cooperazione tra la direzione e gli operai è l’essenza della moderna organizzazione scientifica del lavoro.” Dopo poco più di cento anni oggi parliamo di capo-coach come di colui che crea le condizioni affinché i suoi collaboratori si esprimano al meglio, utilizzando appieno il proprio potenziale e colpisce l’attualità di quanto scritto agli albori della seconda rivoluzione industriale in un contesto decisamente molto diverso. Certamente, un secolo non è passato invano e tutto è cambiato non solo in termini di tecnologia, ma soprattutto per quanto riguarda gli aspetti sociali e di conoscenza, tuttavia, il tema della leadership si ripropone con forza, ed io posso verificare la sua attualità nella mia attività quotidiana di coach con manager ed executive. Il coinvolgimento dei collaboratori, la delega efficace, la gestione del tempo, una identità di ruolo consapevole sono quasi sempre presenti nelle nostre conversazioni, tuttavia, gli accenti possono cambiare significativamente in funzione della cultura aziendale prevalente, dell’età anagrafica del mio interlocutore e della sua anzianità nel ruolo, io cerco quindi, attraverso domande, di capire quali sono i temi che il mio cliente desidera sviluppare per conseguire i suoi obiettivi. Il significato di leadership è molto personale e, soprattutto, varia nel tempo con l’esperienza. Attraverso una rapida ricerca su internet è facile verificare come vi sia una quantità di proposte e modelli per definire e costruire comportamenti efficaci nella guida di altre persone, come spesso succede vi sono mode e slogan che per un certo periodo di tempo monopolizzano il dibattito verso specifiche persone o teorie, non è quindi facile districarsi e rispondere con chiarezza ad una domanda molto semplice che mi è capitato di rivolgere ad un mio cliente alle prese con una nuova sfida manageriale: quali pensi che siano i 3 -4 comportamenti chiave per ottenere dalla tua squadra una prestazione eccellente? In risposta alla domanda ogni individuo sviluppa il proprio piano d’azione in funzione delle sue capacità e della situazione specifica naturalmente, ma potrebbe essere interessante comprendere le poche variabili che conducono al successo a prescindere dal mercato o dall’azienda. A questo ha dato risposta una ricerca della società di consulenza McKinsey, che ha esaminato un campione molto ampio di circa 81 organizzazioni, per un totale di quasi 189000 persone, restringendo l’analisi al 25% delle aziende con i migliori risultati economici e gestionali sono stati definiti quattro comportamenti di successo. Il primo è operare con un forte orientamento ai risultati. I risultati creano reputazione e quindi fiducia, per ottenerli è necessario porre la giusta enfasi su efficienza, produttività e valore. Un leader non deve soltanto comunicare una visione, proporre obiettivi sfidanti, ma anche completare il ciclo conseguendo i risultati attesi con la sua squadra. Il secondo comportamento è dimostrare efficacia nella risoluzione di problemi, ci si riferisce alla capacità di diagnosi dopo una raccolta e analisi di dati relativi sia a fenomeni strategici di grande portata che a piccoli eventi quotidiani. Il problemsolving è tutto ciò che permette poi una presa di decisione vincente. Il terzo requisito consiste nel cercare punti di vista diversi, ciò può avvenire nel mercato, tra i portatori di interessi, tra i collaboratori. Si tratta di cogliere segnali deboli e sviluppare una capacità di ascolto che permetta di valorizzare dati significativi, che non si accontenti dei luoghi comuni o pregiudizi, ma che sia in grado di apprezzare la diversità. L’ultimo comportamento è quello del supporto agli altri per permettere a tutti di operare nelle migliori condizioni possibili, evitando il conflitto sterile e valorizzando le persone. Un capo che dimostri sincero interesse per il benessere di chi lavora con lui genererà fiducia e rispetto e quindi prestazioni eccellenti. Questa ricerca empirica indica i tratti comuni a molti casi di successo, è compito dei manager trovare la loro via originale ed il compito non è agevole tanto che lo sviluppo della leadership continua ad essere uno degli investimenti rilevanti nelle aziende di successo. [email protected] 26 - La Rivista febbraio 2016 Benchmark di Nico Tanzi La formica, il calabrone, lo scarafaggio e l’ottimizzazione aziendale. Una storiella edificante Di buon mattino, tutti i giorni, la Formica produttiva e felice si recava sorridente in ufficio. Era lì da diversi anni, e passava il tempo lavorando mentre canticchiava motivetti allegri. Era produttiva e felice, e nessuno controllava il suo lavoro. Un giorno però il Calabrone, amministratore generale, se ne accorse e concluse che ciò non era ammissibile. Ci pensò su un po’, e poi decise di creare una nuova funzione: quella di supervisore. In molti parteciparono al concorso. Alla fine venne assunto uno Scarafaggio, che aveva una grossa esperienza in materia. La sua prima preoccupazione fu quella di rendere uguale per tutti l’ora di entrata e quella di uscita. Per dimostrare l’efficacia del provvedimento, preparò sull’argomento diversi complicati report. Naturalmente non poteva gestirli tutti da solo, così ben presto si rese necessaria una segretaria, che lo aiutasse a preparare i report. Per questo lavoro venne scelta una Ragnetta, che appena arrivata in ufficio organizzò gli archivi e si occupò del telefono. La formica produttiva intanto continuava ad essere felice, e continuava a lavorare e produrre. Il Calabrone, amministratore generale, era affascinato dai report che lo Scarafaggio supervisore gli mostrava: erano così pieni di cifre, tabelle colorate e grafici variegati... Gli piacevano così tanto che dopo un po’ decise che sarebbe stato utile disporre anche di quadri comparativi, indicatori di gestione e nuovi grafici con l’analisi delle tendenze. Lo Scarafaggio e la Ragnetta però erano troppo occupati per potersene far carico. Si decise quindi di assumere una Mosca in funzione di supporto del supervisore. Inoltre, fu necessario sostituire il computer (che in realtà funzionava benissimo) con uno nuovo, più potente. E al posto della vecchia stampante arrivò una grossa stampante laser multifunzione, che stampava decine di fogli al minuto. La vita della Formica produttiva nel frattempo era cambiata. Solo ogni tanto la si sentiva canterellare le sue canzonette: non sempre ne aveva voglia. E qualche volta gli era anche capitato di lamentarsi per il continuo vai e vieni di carte, fascicoli e classificatori che dominava la vita quotidiana dell’ufficio. Questo diede molto da pensare al Calabrone, amministratore generale. Il quale, dopo lunga e approfondita riflessione, concluse che era giunta l’ora di prendere nuovi provvedimenti. Venne così creata la funzione di gestore del comparto in cui lavorava la Formica produttiva e felice. Per questa delicata mansione venne scelta una Cicala, che cambiò i mobili del suo ufficio e ordinò una poltrona molto comoda ed elegante. Naturalmente il nuovo gestore del comparto non avrebbe potuto svolgere il suo lavoro senza un computer. E come è noto, quando in un’azienda c’è più di un computer è necessario creare una rete intranet. Presto anche il gestore richiese un assistente (Lombrico, con cui aveva già lavorato in passato) che, oltre ad occuparsi della rete intranet, preparasse il piano strategico e il budget per il comparto della Formica produttiva e felice. La Formica non canticchiava più. E ogni giorno diventava più irritabile. La cosa non sfuggì alla Cicala. «Prima o poi — disse — dovremo commissionare un’analisi dell’ambiente lavorativo». Ma un giorno il gestore generale, rivedendo il bilancio, si rese conto che l’unità in cui la Formica produttiva e felice lavorava non rendeva come prima. Cosi ingaggiò il Gufo, rinomato consulente aziendale, e gli commissionò uno studio sulla situazione. Per alcuni mesi il Gufo girò per gli uffici guardandosi attorno e prendendo appunti. E alla fine consegnò all’amministratore generale un rapporto in due volumi, che concludeva dicendo: «in questo ufficio ci lavorano in troppi». L’amministratore generale seguì il consiglio del Gufo, e mandò alla Formica (che ormai non era più felice) una lettera di licenziamento. Morale della favola: non ti venga in mente di essere una Formica produttiva e felice. Meglio essere inutili e incompetenti: gli incompetenti non hanno bisogno di supervisione. Se comunque sei produttivo, non mostrarti mai felice, perché non te Io perdonerebbero. Inventati di tanto in tanto qualche disgrazia, qualcosa che generi compassione. E se invece ti ostini ad essere una Formica produttiva e felice, mettiti in proprio: almeno calabroni, scarafaggi, ragnetti, mosche, cicale e gufi non vivranno sulle tue spalle. (Versione riveduta e corretta di una storiella edificante che da qualche tempo gira su Internet) febbraio 2016 La Rivista - 27 Donne in carriera: Elisabetta Gazzotti Elisabetta Guzzoti fra le sue creazioni…. di Ingeborg Wedel Un’affermazione che Elisabetta ha pronunciato durante l’intervista è molto significativa: “fin da bambina mia padre nel periodo estivo, mi faceva lavorare per un mese, tutte le mattine, insieme alle operaie dicendomi: “se un giorno prenderai il mio posto devi conoscere la catena produttiva”. Quindi il mio personale plauso va al genitore che, giustamente, fa suo il motto “la pratica vale più della matematica”. Infatti, una volta, l’apprendistato veniva anche pagato dalla famiglia, affinché il figlio ricevesse il miglior insegnamento e potesse quindi, diventare un ottimo operaio! Sono certa che in cuor suo l’attuale Elisabetta sia molto grata al padre per averle fatto toccare con mano cosa significhi dare forma con il lavoro alle creazioni – tutte in cashmere – che risultano perfette, bellissime: capi in colori tenui o bianchi, pronti per essere indossati dai bimbi di tutto il mondo. La produzione italiana Love in Kyo – lanciata da Elisabetta anche in Inghilterra – ha fatto sì che – ancora prima che nascesse il principino George il Duca e la Duchessa di Cambridge fossero già clienti della boutique londinese che vende le sue creazioni. È seguito da parte di Elisabetta Gazzotti un regalo – molto gradito – sia per George che per Charlotte – e non sono mancati i ringraziamenti reali con grande gioia e soddisfazione della nostra intervistata. Ma lasciamo che siano le parole di Elisabetta a farci conoscere la persona prima ancora che la dirigente affermata. «Mi chiamo Elisabetta Gazzotti, nata a Treviso l’11 dicembre 1974. Sono sposata e mamma di due bimbi. Diplomata all’istituto tecnico commerciale, scuola che mai ho amato, poiché andava contro quella che era la mia natura, creativa e umanistica. 28 - La Rivista febbraio 2016 Dalle difficoltà ho imparato ad essere un’imprenditrice … e con il marito Terminate le scuole superiori, ho proseguito gli studi seguendo corsi intensivi a Londra e alla Bocconi. Sono, come si dice, “figlia d’arte“, in quanto la mia famiglia per 60 anni ha avuto un maglificio, dove ho imparato l’arte del mestiere. Nel 1997 sono entrata in azienda, e subito ho affiancato le stiliste nella parte creativa, trovando piano piano spazio per la mia creatività. Negli anni ho poi affiancato i commerciali e, infine, mio padre in quello che è il cuore dell’azienda, occupandomi della parte finanziaria gestionale. Così ho imparato a conoscere l’intera filiera imprenditoriale. Le difficoltà che ha avuto l’azienda di mio padre, che l’hanno indotto a chiudere, sono state probabilmente la scuola più importante: lì ho imparato a destreggiarmi, lì ho imparato a fare l’imprenditore. L’uomo che ha creduto in me è mio marito, ingegnere chimico, dirigente in un’azienda multinazionale americana, è stato lui che mi ha detto non puoi far morire tutto quello che hai imparato e fatto in tutti questi anni, devi ripartire con la “tua” azienda. Così sono ripartita da zero, riorganizzando la mia mia vita e la mia nuova azienda, la Maglieria Italiana srl, con la quale finalmente ho potuto mettermi pienamente in gioco ed esprimere la mia passione per questo mestiere. Vendiamo in tutto il mondo, siamo presenti nelle migliori boutique, e il nostro prodotto ha superato le prestigiose porte della casa reale inglese. Oggi, ho due bimbi di 4 e 6 anni, Sono una donna realizzata e felice, mamma, moglie e imprenditrice. La vera difficoltà per una donna non è affrontare gli uomini, ma gestire un mondo fatto di lavoro, figli, casa e marito». Come donna a capo di un’impresa ha percepito diffidenza nei suoi confronti? Quando una donna sa destreggiarsi nelle varie fasi della vita, sapersi muovere anche in ambiti storicamente maschili non è difficile. Fondamentale è dimostrarsi una donna/persona capace, competente, seria e credibile. Ritiene che dalla sua posizione l derivino degli svantaggi oppure dei vataggi? Ha faticato a farsi apprezzare come manager in un mondo di uomini? L’unico uomo con cui ho avuto problemi nel farmi apprezzare è stato mio padre, il quale oggi si è ben ricreduto. Gli unici svantaggi che una donna ha rispetto ad un uomo è che fuori dall’ufficio abbiamo molti altri ruoli, ma questo porta il vantaggio che sappiamo destreggiarci meglio. Affrontare e risolvere problemi penso faccia parre del nostro DNA. Siamo in grado di fare più cose in una volta. Siamo furbe e argute, e sicuramente più intuitive. Quali difficoltà ha dovuto affrontare per affermarsi professionalmente? Quanto conta nella sua esperienza professionale l’arte della seduzione? Anche allo stato inconscio. Ed ora la nostra solita serie di domande Non ho incontrato difficoltà nel farmi riconoscere come manager dagli uomini, e consideri che il mio team manager è formato da uomini. L’arte della seduzione? Questo è bene tenerla da parte poiché può in realtà essere un’arma usata contro di noi. La serietà per una donna è fondamentale. Un po’ di seduzione inconscia è comunque innata. Qual è la maggior soddisfazione per una donna manager? La maggior soddisfazione per una donna dirigente è raggiungere gli obbiettivi, ma questo ritengo valga per tutti. Che atteggiamento assume nei confronti delle dipendenti donne? Forse è piu difficile per una donna dirigente relazionarsi con le femmine, poiché le donne tendono sempre a mettersi in competizione e sono spesso inclini all’invidia o alla gelosia. A che cosa ha dovuto rinunciare per affermarsi come imprenditrice? Dipende dalle priorità e dal momento. In ogni caso, rinuncio agli hobby, ma non alla famiglia Quali hobby riesce ancora a coltivare? Nel mio caso nessuno, poiché vivo per la mia famiglia e il mio lavoro. Due volte la settimana mi ritaglio 40 minuti per un po’ di sport, ma il mio tempo libero è per i miei figli e mio marito. Certo le vacanze non ce le facciamo mancare! © Inter IKEA Systems B.V. 2016 PER UNA VITA MIGLIORE IN CASA febbraio 2016 La Rivista - 29 Burocratiche di Manuela Cipollone Le novità pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale Legge di stabilità, internazionalizzazione, riforma della Rai e nuova carta di identità – in Italia e all’estero. Sono solo alcuni dei provvedimenti entrati in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. In vigore dal 1° gennaio, la Legge di stabilità - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - contiene diverse misure che incidono sulle politiche degli italiani all’estero. Tra le misure contenute nella legge anche lo stanziamento di 500.000 euro per il 2016 (a parziale recupero del taglio di circa 2.000.000 rispetto al 2015) e 3.000.000 – soggetti però a verifica e ad eventuale dibattito nell’ambito della definizione della legge di stabilità degli anni a cui si riferiscono - rispettivamente per il 2017 ed il 2018 per l’internazionalizzazione attraverso l’attività delle Camere di Commercio italiane all’estero. Nella legge, anche stanziamenti aggiuntivi per il funzionamento del Consiglio generale degli italiani all’estero,i cui fondi risultano comunque ridotti di circa l’80% rispetto alle sue dotazioni precedenti, e dei Comites (250.000 euro, per il 2016), promozione della lingua e della cultura italiana all’estero (3.400.000 euro, per il 2016), incremento della dotazione finanziaria degli istituti italiani di cultura (500.000 euro, per il 2016), per la stampa italiana all’estero (650.000 euro, per il 2016) e le agenzie specializzate (100.000 euro, per il 2016), la Società Dante Alighieri (100.000 euro, per il triennio 2016-2018), le scuole paritarie italiane all’estero (1.000.000 euro, per il triennio 2016-2018). Infine per promuovere la capacità attrattiva delle università italiane mediante la diffusione di corsi di lingua italiana online la legge stanzia 150.000 euro (per il 2016). Previsti interventi anche a tutela del patrimonio delle comunità degli esuli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia di cui alla legge n. 72 del 2013 (2,3 milioni annui nel 2016-2018) e per l’attuazione di interventi a favore della minoranza italiana in Slovenia e Croazia (3,5 milioni di euro nel 2016-2018). Contributi a fondo perduto a favore dei Consorzi per l’internazionalizzazione In Gazzetta Ufficiale anche il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico con cui vengono definite le modalità e i termini per la richiesta e la concessione dei contributi a fondo perduto a favore dei Consorzi per l’internazionalizzazione, finalizzati a sostenere le PMI nei mercati esteri; favorire la diffusione internazionale dei loro prodotti e servizi; e, infine, incrementare la conoscenza delle autentiche produzioni italiane presso i consumatori internazionali per contrastare il fenomeno dell’italian sounding e della contraffazione dei prodotti agroalimentari. Le risorse disponibili per la realizzazione di specifiche iniziative promozionali all’estero ammontano, a favore dei consorzi multiregionali, a 3 milioni di euro, per l’anno 2016. Fanno eccezione i consorzi monoregionali della Valle d’Aosta e della Sicilia. Le iniziative promozionali finanziabili devono essere strutturate sotto forma di Progetto per l’internazionalizzazione - di valore non inferiore a 50.000 euro e non superiore a 400.000 euro - e devono essere realizzate nel periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016. La domanda di contributo, con i relativi allegati, deve essere presentata esclusivamente tramite posta elettronica certificata, firmata digitalmente dal legale rappresentante del Consorzio, entro e non oltre il 15 febbraio 2016, all’indirizzo PEC [email protected]. Il bando con le indicazioni in merito 30 - La Rivista febbraio 2016 ai criteri e alle modalità di accesso al contributo pubblico, nonché alle modalità di erogazione dello stesso, è disponibile nella sezione “Incentivi e strumenti di sostegno” del sito del Ministero. Carta d’identità elettronica rilasciata in Italia e all’estero È del Ministero dell’Interno, invece, il decreto che definisce le modalità tecniche per l’emissione della Carta d’identità elettronica che verrà rilasciata da Comuni e, all’estero, dai Consolati. La carta verrà realizzata come le carte di credito e conterrà un microprocessore per la memorizzazione delle informazioni necessarie per la verifica dell’identità. Per avere la nuova carta di identità elettronica - CIE - ogni cittadino italiano deve richiederla all’ufficio anagrafico del Comune di residenza o di dimora o al Consolato. L’articolo 17, in particolare (Emissione della CIE da parte dei Consolati) chiarisce che “I Consolati sono autorizzati all’emissione della CIE per i cittadini italiani residenti all’estero che ne fanno richiesta presso gli Uffici consolari stessi” e, al secondo comma, che i Ministeri dell’interno e degli esteri “definiscono congiuntamente le modalità organizzative e tecniche di dettaglio per l’emissione della CIE da parte degli Uffici consolari”. Per i comuni italiani viene indicato in sei giorni il termine per rilasciare la carta di identità. Questo nuovo documento, oltre ai dati biometrici, potrà contenere anche altre informazioni, come, ad esempio, la volontà di donare organi e tessuti. È l’articolo 16 del decreto a spiegare che “il cittadino maggiorenne, in sede di richiesta al Comune di rilascio della CIE, ha facoltà di indicare il proprio consenso, ovvero diniego, alla donazione di organi e tessuti in caso di morte”. Approvata da entrambi i rami del Parlamento è diventato legge anche il decreto che proroga le missioni internazionali; mentre scriviamo è ancora in corso l’esame del cosiddetto Milleproroghe, altro grande classico di fine anno. Riforma della Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo È entrata in vigore il 30 gennaio la “Riforma della Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo”. Il testo è composto da cinque articoli. Le novità più rilevanti sono senz’altro la figura dell’amministratore delegato, che andrà a sostituire – dopo un perido di transizione – il Direttore generale; viene introdotta la figura del “presidente di garanzia”, nominato dal Consiglio di amministrazione tra i suoi membri, e con i due/ terzi dei voti della commissione di Vigilanza. Quanto al Cda, sarà composto da sette consiglieri (ora sono 9) eletti da Parlamento (4), governo (2) e dall’assemblea dei dipendenti (1). Novità di Casa-Rai anche il pagamento del canone nella bolletta in 10 rate mensili, una al mese da gennaio a ottobre. Per questo 2016, visto che manca il tempo per adeguare “i sistemi di fatturazione”, la prima rata – cumulativa – arriverà a luglio 2016. Ancora da chiarire se, come e quanto dovranno pagare gli italiani all’estero. Gli accordi internazionali Davvero tanti gli accordi internazionali ratificati dal Parlamento e pubblicati in Gazzetta. Segnaliamo, in particolare, quello tra Italia e Usa per la cooperazione nell’esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra-atmosferico per scopi pacifici; il Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo che stabilisce una procedura di presentazione di comunicazioni, adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 2011; gli Accordi con Cile e Montenegro sulla cooperazione nel settore della difesa; con la Federazione russa sul riconoscimento reciproco dei titoli di studio; con la Francia in materia di cooperazione bilaterale per l’esecuzione di operazioni congiunte di polizia; con il Kazakhstan per la cooperazione nel contrasto alla criminalità organizzata, al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope, di precursori e sostanze chimiche impiegate per la loro produzione, al terrorismo e ad altre forme di criminalità. Entrati in vigore anche gli Accordi di associazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, Moldova e Georgia, dall’altra. febbraio 2016 La Rivista - 31 Normative allo specchio di Carlotta D’Ambrosio con la collaborazione di Paola Fuso La Convenzione fiscale tra la Svizzera e l’Italia Qualsiasi considerazione in ordine agli accordi tra Italia e Svizzera deve partire da due ordini di osservazioni: la prima riguardante gli stretti rapporti tra i due Paesi; la seconda relativa alle controversie tra le due Amministrazioni. Vedremo come questi aspetti si fondano e convergono nella necessità di trovare una cooperazione. Per quanto riguarda l’aspetto problematico, l’Italia sostiene che in Svizzera si trovi circa l’85% dei fondi nascosti all’estero, per tale motivo il governo italiano ha inserito la Svizzera su due liste nere, adottando misure che penalizzano gli scambi transfrontalieri, gli investimenti diretti e l’industria di esportazione elvetica. La prima lista concerne l’imposizione delle persone fisiche, mentre la seconda si applica alle imprese domiciliate in Svizzera. Il Governo Elvetico chiede, invece, un migliore accesso per le sue banche al mercato italiano. In merito ai rapporti commerciali, l’Italia è il terzo partner commerciale della Svizzera, dopo la Germania e gli Stati Uniti. Senza contare che sul territorio svizzero vivono quasi 600’000 persone con passaporto italiano, mentre in Italia risiedono 51’000 cittadini svizzeri. La convenzione fiscale è quindi necessaria sia per regolarizzare il passato sia per improntare il futuro alle nuove regole sulla trasparenza e lo scambio di informazioni. Il risultato avvantaggerebbe sia Roma (che rientrerebbe di una parte delle imposte evase), sia Berna che, uscendo dai “Paesi black list”, garantirebbe alle sue banche la conservazione della clientela italiana. Concretamente, i contribuenti italiani possono regolarizzare i loro averi depositati nelle banche elvetiche senza temere un raddoppio delle sanzioni e dei termini di prescrizione, come è invece il caso per i paesi iscritti nella black list; in particolare la voluntary disclosure, scaduta a fine anno, prevedeva il pagamento di imposte retroattive e di sanzioni ridotte, escludendo la punibilità per reati tributari. E, ben presto, sarà molto più difficile sfuggire al fisco dopo l’introduzione dello scambio automatico d’informazioni, a cui anche la Svizzera ha aderito dal 1° gennaio 2017. Quanto allo scambio automatico di informazioni, l’Italia è stata tra i Paesi ‘early adopter’ del nuovo standard Ocse, e rientra quindi tra i Paesi che si sono impegnati ad adottarlo a partire dal 2017 con riferimento alle attività finanziarie detenute nel 2016. La Svizzera si è impegnata ad adottare lo scambio automatico di informazioni a partire dal 2018, con riferimento all’annualità 2017. Poiché lo standard prevede la reciprocità, il primo scambio automatico di informazioni di carattere finanziario tra Italia e Svizzera avverrà entro settembre 2018 con riferimento all’anno 2017. I conti finanziari oggetto di comunicazione automatica all’Agenzia delle Entrate sono quelli di custodia, di deposito e i contratti di assicurazione con contenuto finanziario. Vi è dunque una certa volontà comune in merito alla lotta alla evasione tramite lo scambio di informazioni, anche se rimagono irrisolti molti nodi quali: il futuro passaggio allo scambio automatico d’informazioni tra i due paesi, lo stralcio della Svizzera da tutte le liste nere italiane, l’accesso delle banche svizzere al mercato finanziario italiano e l’imposizione dei frontalieri. I primi passi verso la totale riabilitazione del sistema svizzero sono già evidenti nel fatto che alla fine dello scorso anno durante l’approvazione della legge di stabilità, le autorità italiane hanno cancellato due liste nere, nelle quali era inserita anche la Svizzera. La nuova normativa si applica a partire dal primo gennaio 2016. Una delle liste nere soppresse è quella del 2002, relativa alle imprese domiciliate in paesi dove beneficiano di regimi fiscali privilegiati. La Svizzera figurava su questa lista per via dei regimi fiscali cantonali concessi a certi tipi di imprese come le holding e le società miste. La Confederazione si è impegnata ad eliminare questi regimi fiscali privilegiati nell’ambito della Riforma III della fiscalità delle imprese. La seconda lista nera cancellata riguarda le società straniere controllate (CFC, controlled foreign companies) e le società domiciliate in Svizzera a beneficio di un regime fiscale privilegiato, ma controllate in maggioranza da azionisti residenti in Italia. Di certo sarà l’applicazione concreta della legge di stabilità finanziaria a chiarire la portata dei cambiamenti, anche se sin d’ora si prospettano molte battaglie soprattutto relative alla fiscalità dei frontalieri o all’accesso degli operatori svizzeri al mercato finanziario italiano. Il problema è come in tutte le realtà una differente visione delle cose. Per i macroeconomisti la modifica dell’accordo era indispensabile per evitare che la Svizzera fosse discriminata rispetto ad altri paesi nell’ambito del programma di voluntary disclosure. Il rischio di una chiusura era l’exit di molti capitali dalle banche elvetiche e la persistenza del Paese nelle black list i cui risvolti non hanno solo carattere finanziario, involvendo anche ostacoli burocratici e fiscali per le imprese svizzere che vogliono operare in Italia. Per il sistema cantonale (a suo modo un microcosmo) la parte dell’accordo tra Berna e Roma che prevede l’introduzione dello “splitting” fiscale per i lavoratori transfrontalieri (al momento vige il ristorno all’Italia delle imposte alla fonte prelevate dal Canton Ticino), non è soddisfacente, garantendo all’Italia il vantaggio fiscale maggiore. Lo scontro tra due visioni e versioni dei fatti molto probabilmente vedrà soccombere la tutela del sistema cantonale, risultando necessario garantire l’allineamento del sistema svizzero nel suo complesso ai principi dettati dell’OCSE che garantiscono alla Svizzera la piena operatività sulla piazza europea. [email protected] [email protected] 32 - La Rivista febbraio 2016 Angolo Fiscale di Tiziana Marenco “Too stupid for business losses”? Il TF riconosce la deducibilità fiscale di perdite per commercio in titoli solo se lo scopo lucrativo viene perseguito “con mezzi idonei” Recentemente il Tribunale Federale (TF) ha ritoccato la ricca giurisprudenza riguardante il commercio professionale di titoli con una sentenza singolare. In Svizzera gli utili privati su titoli sono di regola esenti da imposta sui redditi, a meno che lo stesso commercio di titoli non venga considerato di natura professionale. In quel caso l’utile sarà imponibile ed eventuali perdite saranno di carattere commerciale e quindi deducibili. Anche se il TF negli ultimi decenni è stato chiamato più volte a giudicare in materia, la stessa non è di grandissima attualità. Da sempre, infatti, il comportamento di contribuenti e autorità si orienta ai cicli di borsa: quando la borsa va bene e tutti realizzano utili le autorità vedono ovunque commercianti professionali; quando la borsa va male sono i contribuenti a sostenere la natura commerciale delle perdite per poterle dedurre dal resto del reddito imponibile. Nella fattispecie della sentenza 2C_375/2015 il TF è stato chiamato ad esaminare la natura delle perdite realizzate su transazioni di borsa (derivati/warrants/put- e call-options) di un esperto contabile che, accanto alla sua attività principale e discretamente retribuita, tra il 2010 e la prima metà del 2012 aveva realizzato delle perdite calcolate su un arco di dodici mesi di all’incirca CHF 35’000-40’000 (nel 2012 solo CHF 10’000 sull’arco di sei mesi) su operazioni di borsa in opzioni. A titolo esemplificativo, nel 2010 il contribuente aveva effettuato ca. 200 transazioni a titolo speculativo per un volume totale di ca. CHF 620’000, le opzioni erano state rivendute nel giro di poche ore e il contribuente aveva fatto capo a crediti a breve termine della GE Money Bank per ca. CHF 25’000-35’000. Il valore totale dei titoli in portafoglio non aveva mai superato il limite giornaliero di CHF 8’000. Secondo la costante giurisprudenza del TF la questione a sapere se un commercio di titoli costituisca attività commerciale o semplice gestione patrimoniale a carattere privato va esaminata considerando l’attività nel suo insieme. Quali indizi di un carattere commerciale la prassi costante del TF elenca il volume di transazioni (da intendersi come somma dei prezzi di acquisto e di vendita dei titoli) e l’utilizzo di capitali di terzi (prestiti), vi sono poi i criteri meno critici dell’utilizzo di specifiche conoscenze tecniche e della pianificazione mirata dell’attività. L’Amministrazione Federale delle Contribuzioni ha tentato con la Circolare no. 36 del 27 luglio 2012 di proporre dei criteri schematici, proponendo i seguenti criteri per il riconoscimento del carattere privato e quindi non commerciale dell’attività: • Detenzione dei titoli per una durata di almeno 6 mesi; • Volume di transazioni annuo non superiore al quintuplo del portafoglio e degli averi sui conti all’inizio dell’anno; • Mancanza della necessità economica di realizzare utili per compensare redditi mandanti o venuti a mancare, in termini di cifre: gli utili in capitale sono inferiori al 50% del reddito netto conseguito nel periodo fiscale; • Gli investimenti non sono finanziati con capitale di terzi; • Transazioni in derivati (in particolare opzioni) si limitano alla copertura delle proprie posizioni di titoli. Nella fattispecie, dato il forte carattere speculativo delle transazioni, sarebbe stato facile aderire ai criteri schematici e riconoscere il carattere commerciale dell’attività. Un’eccezione solitamente viene fatta solo per attività che sono da qualificare quale hobby, dove quindi lo scopo di lucro non viene riconosciuto. Invece il TF ha riconosciuto lo scopo di lucro, ma ha considerato perfettamente inadeguati i mezzi utilizzati dal contribuente per perseguire lo scopo ed arrivare a guadagni. Mentre non sussisteva alcun dubbio che il contribuente mirasse soggettivamente a conseguire utili, sulla base del calcolo dettagliato delle spese pro transazione e per il finanziamento il TF ha ritenuto, nel risultato come l’istanza precedente, che sulla base dei tre anni di perdite era pacifico ammettere che l’attività esercitata dal contribuente era palesemente inadeguata alla realizzazione di guadagni. Non si poteva quindi rimproverare all’istanza cantonale di aver violato il diritto federale quando aveva negato la deducibilità delle perdite. Se non dubitiamo che nell’insieme la sentenza sia ponderata, nutriamo qualche dubbio circa l’argomentazione un po’ troppo facile secondo la quale dopo due anni e mezzo di perdite un’attività perde il carattere commerciale. Quando si tratterà di giudicare le perdite conseguite a seguito dello sganciamento del franco svizzero dall’euro speriamo seriamente che il TF conceda alle piccole ditte un respiro di durata superiore. [email protected] febbraio 2016 La Rivista - 33 SEAL CONSULTING SA VIA NASSA 5 6900 LUGANO TEL: 0041 91 910 27 50 FAX: 0041 91 910 27 59 E-MAIL: [email protected] WWW.SEALCONSULTING.CH Il Gruppo SEAL opera a Lugano dal 2005 ed offre servizi integrati sia a privati che ad imprese, operando attraverso le seguenti società: – AROFIN SA, una pura società fiduciaria statica, oltre che broker di polizze assicurative di importanti compagnie come SEB, Lombard, HSBC Life. – SEAL Consulting SA, attiva nella consulenza fiscale / societaria / contabile, sia domestica che internazionale, oltre che nel "Corporate Services Management" (costituzione di società, governance, regulatory and tax reporting); – Interacta Advisory SA è una società di consulenza di diritto svizzero che opera in ambito tributario domestico ed internazionale con servizi di compliance fiscale dedicati alle persone fisiche e alle società. In particolare nella sfera della consulenza privata può assistere i propri clienti nella corretta organizzazione del patrimonio familiare attraverso istituti giuridici dedicati per scopo e tipologia d’investimento. – SDB Financial Solutions SA, che è un gestore patrimoniale indipendente Svizzero e fornisce servizi di MultiFamily Office in completa "open architecture" (strutturazione di prodotti tailor made di ogni natura, asset consolidation, risk monitoring). Collabora sulla piazza con le più importanti istituzioni bancarie locali ed internazionali come Zarattini, PKB, LGT, HSBC, UBS, Rothschild; Oltre che a Lugano, il Gruppo SEAL opera con proprie strutture a Zurigo, Singapore, Dubai e Uruguay. Tramite partnerships, il Gruppo opera anche a Malta, Nuova Zelanda, Lussemburgo, Italia e Spagna. IN PARTNERSHIP CON: [10] CIRCOLO VELICO LAGO DI LUGANO Interacta Advisory SA Angolo legale Svizzera di Massimo Calderan Permessi di lavoro, libera circolazione e limitazione dell’immigrazione Per lavorare in Svizzera i cittadini dei cosiddetti Stati terzi, che non fanno parte dell’Unione Europea (UE) o dell’Associazione Europea di Libero Scambio (AELS), hanno bisogno di un permesso di lavoro e di soggiorno. Il permesso viene concesso solo se (i) sono rispettate le condizioni salariali e lavorative in vigore in Svizzera per tale professione, (ii) non c’è alcun lavoratore residente in Svizzera, nell’UE o nell’AELS in grado e desideroso di intraprendere tale attività alle medesime condizioni (questa priorità non si applica in caso di trasferimento di dirigenti e di personale altamente qualificato da una società estera dello stesso gruppo) e (iii) si tratta di personale altamente specializzato. Il numero di autorizzazioni è fissato annualmente dal Governo. L’Accordo del 21.06.1999 sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE (ALC), entrato in vigore il 01.06.2002, ha gradualmente introdotto la libera circolazione, da alcuni anni completa per i cittadini dei primi 25 Stati dell’UE e ai cittadini degli 8 Stati dell’AELS. Unicamente per i fornitori di servizi il numero di autorizzazioni è limitato. Per i cittadini bulgari e rumeni la libera circolazione sarà completa dal 01.06.2016. La libera circolazione, già negoziata, non si è potuta estendere ai cittadini della Croazia, che ha aderito all’UE il 01.07.2013, a causa dell’approvazione dell’iniziativa popolare di cui sotto; tuttavia, dal 01.07.2014 il Governo svizzero autorizza un numero specifico di permessi di lavoro per loro. Il 09.02.2014 il Popolo e i Cantoni svizzeri hanno accolto l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa”. Il nuovo articolo della Costituzione obbliga il Consiglio federale e il Parlamento a introdurre entro il 08.02.2017 un nuovo sistema che permetta di limitare l’immigrazione, salvaguardando gli interessi dell’economia svizzera. Fino all’entrata in vigore delle nuove norme si continua ad applicare il regime attuale, appena descritto. Ciononostante, per gli anni 2015 e 2016 il numero di permessi di lavoro è stato diminuito rispetto agli anni 2013 e 2014. Il Consiglio federale per questi ultimi 4 anni ha autorizzato, rispettivamente, 5.000, 5.000, 4.000 e 4.000 permessi L (4 - 12 mesi) e 3.500, 3.500, 2.500 e 2.500 permessi B (sopra i 12 me-si) per i cittadini degli Stati terzi, e di 3.000, 3.000, 2.000 e 2.000 permessi L (4 - 12 mesi) e 500, 500, 250 e 250 permessi B (sopra i 12 mesi) per i fornitori di servizi provenienti da uno Stato dell’UE-25 o dell’AELS. Il numero esiguo di permessi e la diminuzione sono stati fortemente criticati da esponenti dell’economia. Il 07.07.2014 la Svizzera ha chiesto formalmente all’UE di rivedere l’ALC, domanda formalmente rigettata dall’UE il 24.07.2014. Da allora, il Governo svizzero sta negoziando con l’UE, in incontri sempre più ravvicinati e di alto livello, per arrivare a una soluzione consensuale che permetta da un lato di limitare l’immigrazione proveniente dall’UE (e l’AELS) tramite un’interpretazione elastica del vigente ALC e dall’altro lato l’estensione dell’ALC alla Croazia, non compromettendo, quindi, gli accordi bilaterali e allo stesso tempo rispettando quanto previsto dalla Costituzione svizzera. Dal 11.02.2015 al 28.05.2015 ha avuto luogo la consultazione dell’avamprogetto di legge proposta dal Consiglio Federale. In seguito alle reazioni dei Cantoni, partiti, sindacati ecc., il 04.12.2015 il Consiglio federale ha deciso di proporre una cosiddetta clausola di salvaguardia unilaterale che aiuti a controllare l’immigrazione dall’UE e l’AELS in caso non si dovesse raggiungere un accordo con l’UE. Parallelamente ai colloqui in corso con l’UE, quindi, il Governo sta elaborando una clausola che permetta di gestire autonomamente l’immigrazione limitando temporaneamente i permessi. Il Governo propone di fissare un livello limite per certi tipi di permesso per i cittadini degli Stati dell’UE e dell’AELS, raggiunto il quale l’anno successivo saranno introdotti tetti massimi e contingenti, tenendo tuttavia conto degli interessi economici generali della Svizzera e delle raccomandazioni della nuova commissione sull’immigrazione che il Governo propone. Il progetto, inoltre, vuole escludere dall’aiuto sociale gli stranieri che cercano, ma non hanno un lavoro in Svizzera, definire il momento in cui uno straniero disoccupato perde il proprio diritto di soggiorno e prevedere lo scambio di informazioni tra le varie autorità se uno straniero riceve prestazioni complementari. Per rispettare i termini costituzionali, il Consiglio federale sottoporrà al Parlamento il disegno di legge con la clausola di salvaguardia unilaterale entro inizio marzo 2016. Dopodiché proseguiranno, parallelamente, le discussioni del disegno di legge in Parlamento e le negoziazioni tra il Governo svizzero e l’UE. [email protected] febbraio 2016 La Rivista - 35 Convenzioni Internazionali di Paolo Comuzzi Ancora in tema di esterovestizione Il tema della residenza fiscale In Italia è sempre un tema fondamentale del diritto tributario internazionale e per il nostro ordinamento giuridico la contestazione di una simile posizione (ovvero il tema della estero vestizione) comporta delle conseguenze molto importanti. Infatti nell’ambito dell’ordinamento italiano viene punita con la reclusione (articolo 5 della nostra normativa penale tributaria) la omessa dichiarazione (e la pena è da 18 mesi a 4 anni). Va anche detto che nell’ordinamento Italiano (articolo 12 bis) esiste l’istituto del sequestro e della confisca del “profitto” del reato (lasciamo stare ogni considerazione in merito al tema “ne bis in idem” che potrebbe interessare le persone fisiche). In ragione di questo elemento (sequestro e confisca) sostenere che un soggetto è residente fiscale o meno appare un fatto di indubbia importanza in quanto potrebbe configurarsi anche il reato qui brevemente evidenziato con la conseguenza certamente molto grave che abbiamo indicato in precedenza (oltre ovviamente alla conseguenza diretta e sempre molto grave per gli amministratori del soggetto che viene considerato come residente fiscale e del quale è stata omessa la dichiarazione). Ecco la ragione del nostro tornare sul tema anche in questo articolo visto che queste contestazioni non accennano a ridursi. Premessa Torniamo a dire che la Amministrazione Fiscale Italiana è sempre molto attenta alla residenza fiscale delle società 1 (persone giuridiche in genere) e prosegue la sua battaglia (forte e nota) contro coloro che cercano di evitare la posizione di residente fiscale (pur avendone tutti i requisiti fattuali) e quindi cercano di evitare il pagamento delle somme dovute (in tutto o in parte dipende dalla presenza o meno di redditi tassabili in Italia). Possiamo dire che nell’ambito delle verifiche fiscali sia la GdF che la Amministrazione Finanziaria, in presenza di dubbi in merito alla posizione del soggetto estero2, procedono con accessi (presso il verificato) di carattere anche informatico per rilevare la presenza di documentazione che sia atta a dimostrare come tale soggetto sia effettivamente diretto dall’Italia e come la sua presenza estera abbia un carattere del tutto formale e non sostanziale. In linea generale la prova della residenza fiscale in Italia del soggetto che si assume invece residente fiscale all’estero è della stessa Amministrazione Finanziaria, diciamo in linea generale in quanto esistono condizioni specifiche che portano ad una inversione dell’onere probatorio3 come stabilito in una precisa norma di legge. Commenti La soluzione del problema: i diversi step La soluzione del dilemma in merito alla residente fiscale di un soggetto (nel caso di specie parliamo di una persona giuridica) richiede che si svolgano alcuni passaggi rilevanti: a) esame della sua posizione ai sensi della normativa interna (e quindi determinazione della sua condizione di residente fiscale ai sensi della norma interna4); b) esame dei documenti convenzionali (ovvero determinazione della sua posizione fiscale ai sensi del dettato previsto nella convenzione contro le doppie imposizioni che sia eventualmente in essere). Questi due passaggi sono essenziali ed il loro mancato compimento rende del tutto monca qualsiasi attività di accertamento (o meglio di verifica) ed in questa sede proviamo a ripetere, molto in breve, questo cammino. La normativa interna e la prassi dell’Agenzia L’Agenzia delle Entrate è ovvio che sul tema non è stata silente ed ha fornito chiarimenti in particolare dopo la emissione del DL 223/2006 (che stabiliva una presunzione in un caso specifico). A seguito dell’emanazione di quella normativa l’Agenzia ha proceduto alla emissione della Circolare 28/2006 in cui ha chiarito quanto segue: 1) per sede legale si intende la sede sociale indicata nell’atto costitutivo; 2) la sede dell’amministrazione si deve individuare (sempre) tenendo conto di elementi di fatto; 3) l’oggetto principale dell’attività si deve anche esso evidenziare considerando elementi di fatto (ovvero complessi accertamenti di fatto). Il tema è certamente molto complesso e anche Assonime ha avuto occasione di prenderlo in considerazione ed ha dato 36 - La Rivista febbraio 2016 la indicazione che per sede dell’Amministrazione dovrebbe prendersi in considerazione il luogo in cui si formano le decisioni di carattere gestionale. Il tema nella giurisprudenza Sul tema non è stata silente anche la giurisprudenza e quella che si è occupata del tema ha parlato di sede dell’Amministrazione come del luogo in cui sono prese in le decisioni in vista del compimento degli affari e dell’attività (in buona sostanza si tratta del luogo fisico in cui vengono assunte le decisioni di maggiore rilevanza ovvero quello in cui viene posto in essere il coordinamento dei fattori produttivi). Possiamo concludere che il criterio è sempre sostanziale ovvero non riferito al luogo in cui esiste una sede “cartacea” ma al luogo in cui esiste una sede vera con persone e nel quale vengono assunte delle vere decisioni di business. Il tema nelle convenzioni In presenza di una contestazione in merito alla residenza fiscale appare di tutta evidenza come la soluzione del problema (ai sensi delle convenzioni) sia nella sede di direzione effettiva5 ovvero nella determinazione del luogo in cui sono prese le decisioni che portano a dire che proprio in quel luogo viene decisa la strategia aziendale e quindi sono formati gli atti da porre in essere per consentire alla società di procedere con la sua attività. Questa la regola (direzione effettiva) che dirime una contestazione in merito alla residenza fiscale di una persona giuridica contesa tra due Stati diversi entrambi desiderosi di portare a tassazione l’intero reddito della persona giuridica stessa. Alcune considerazioni pratiche Possiamo dire che per raggiungere una conclusione (diciamo una conclusione logica) in merito alla esistenza di una problematica relativamente alla residenza fiscale devono essere svolte delle considerazioni pratiche che possono sostanziarsi in: • Esame della eventuale indipendenza tecnica della società estera rispetto alla società italiana (in buona sostanza una società estera completamente vuota e che fa svolgere solo a terzi il complesso della sua attività e che non potrebbe svolgere alcuna attività senza fare uso di questi soggetti terzi appare ben poco indipendente dalla sua controllante Italiana); in sostanza l’assenza di qualsiasi elemento interno e magari anche la presenza di amministratori che ignorano il business lascia intendere che siano altri soggetti a dirigere la società estera (è lecito dire che quello che gli eleganti chiamano “gli impulsi volitivi” provengano da terzi estranei alla società estera). • Esame della eventuale indipendenza organizzativa (indipendenza operativa e finanziaria) e qui sorge il problema che in più di qualche occasione non si trova presso la controllata estera alcun country manager che sia in grado di dirigere in modo vero l’attività della società stessa (anzi viene nominato come procuratore una persona che è residente in Italia e magari è dipendente della controllante). • Esame delle motivazioni economiche che hanno condotto alla costituzione della società estera (elemento questo molto complesso ma ove si rilevasse che questa società estera paga imposte in misura molto bassa o non le paga del tutto potrebbe anche pensarsi che la sua costituzione sia dovuta a tematiche puramente fiscali come è quella di beneficiare del “trabordo” di redditi verso un soggetto solo formalmente residente all’estero). A questo punto siamo giunti alla conclusione che la discussione in merito alla residenza fiscale è in primo luogo una discussione di fatto che non può ignorare elementi come quello della sostanza della società estera e quindi del luogo fisico in cui opera e delle persone con cui opera. Certamente se giungesse alla conclusione che il soggetto è estero vestito si pone il problema della determinazione della base imponibile e qui potrebbe sorgere una ulteriore discussione tra l’utilizzo di un metodo induttivo (non esistono in Italia i documenti contabili e non esiste la dichiarazione) ed un metodo analitico che parte comunque dalla contabilità tenuta nello Stato estero in cui il soggetto ritiene di essere residente fiscale. Questo aspetto però è una materia puramente interna ovvero del nostro ordinamento giuridico in quanto sorge solo quanto il soggetto viene considerato residente fiscale. Conclusione Il tema è complesso ma è anche fondamentale per il diritto tributario internazionale (e diciamo che il tema residenza fiscale è anche “antitetico” rispetto al tema CFC ben noto al nostro ordinamento fiscale6) e quindi la sua evoluzione deve essere sempre sorvegliata con particolare attenzione. Con riferimento all’ordinamento italiano a noi resta sempre un piccolo dubbio che esterniamo senza polemica (sappiamo che la rivista è pubblica) ma è un dubbio tecnico: se un processo penale si chiudesse con una condanna per estero vestizione a nostro modo di vedere sarebbe possibile chiedere la revocazione se sulla stessa materia il giudizio tributario dovesse raggiungere una diversa conclusione ovvero ci pare che in questa materia il giudizio specifico (tributario) debba prevalere su quello penale7. ED ANCHE DELLE PERSONE FISICHE COME ABBIAMO INDICATO IN ALTRI CONTRIBUTI SEMPRE SU QUESTA RIVISTA. E’ DEL TUTTO EVIDENTE CHE LA VERIFICA NON COINVOLGE DIRETTAMENTE IL SOGGETTO ESTERO MA SI ATTUA SUL SOGGETTO RESIDENTE (IN SENSO ATECNICO); DA QUESTA VERIFICA POSSONO EMERGERE INDIZI A CARICO DI UNA SOCIETA’ ESTERA CHE DOVREBBE CONSIDERARSI RESIDENTE FISCALE IN ITALIA. A QUEL PUNTO PARTE UNA VERIFICA DELLA POSIZIONE DEL SOGGETTO “RESIDENTE” ALL’ESTERO. 3 CONDIZIONI CHE IN QUESTA SEDE NON CI INTERESSANO PER IL DISCORSO CHE VOGLIAMO FARE NEL PRESENTE CONTRIBUTO. 4 SE NON E’ RESIDENTE AI SENSI DELLA NORMATIVA INTERNA NON LO E’ NEPPURE PER LA NORMATIVA CONVENZIONALE. 5 SEMPRE CHE ESISTA QUESTA PREVISIONE. 6 ATTENZIONE CHE AVER AVUTO UN RULING CFC FAVOREVOLE NON SIGNIFICA EVITARE IL PROBLEMA BEN POTENDO LA SITUAZIONE ESSERE DIVERSA IN UN DETERMINATO PERIODO DI IMPOSTA RISPETTO AL PERIODO DI IMPOSTA PRECEDENTE E / O SEGUENTE. CERTAMENTE NELLO STESSO PERIODO DI IMPOSTA NON SI PUO’ ESSERE CFC ED ESTEROVESTITI. 7 RESTA DA CHIEDERSI COSA SUCCEDE DELLA CONFISCA EVENTUALMENTE DISPOSTA. 1 2 febbraio 2016 La Rivista - 37 L’elefante Invisibile1 di Vittoria Cesari Lusso Come nasce la motivazione? Nonostante siano state scritte montagne di pagine sul tema, la motivazione rimane in fondo uno degli enigmi del comportamento umano. Le ragioni profonde che inducono una persona a impegnarsi in certe direzioni senza che niente e nessuno la obblighi sono tuttora un elefante invisibile. Cosa spinge un atleta a passare ore e ore di fastidioso allenamento in palestra? Cosa alimenta il desiderio di un certo numero di esseri umani di intraprendere lunghi studi e di continuare a imparare durante l’intero corso della vita? Cosa induce un ricercatore ad accontentarsi di remunerazioni assai modeste e a sopportare orari da fabbrica dell’Ottocento pur di poter continuare a esplorare fenomeni sconosciuti? Cosa porta una persona a candidarsi per determinate cariche politiche ben sapendo che la conseguente visibilità sarà pagata al prezzo di costanti critiche e di impietosi giudizi? E su un altro piano, cosa fa sì che certi allenatori, insegnanti, genitori riescano a motivare i giovani allo sforzo e altri no? Il termine motivazione è talmente di uso corrente oggigiorno, che sembra difficile immaginare un’epoca in cui tale questione non si ponesse. Eppure, i primi scritti sulla motivazione risalgono soltanto all’inizio del ventesimo secolo. William James, uno dei pionieri della psicologia moderna, usava il termine “istinto” e aderiva all’idea darwiniana di una condivisione tra uomini e animali di forze che determinano i comportamenti, quali: l’autoconservazione, la riproduzione e la perpetuazione della specie, l’istinto materno, la lotta o la fuga in caso di pericolo e altri ancora. Tali istinti “motivano” determinati schemi di azione. Con l’emergere poi della psicanalisi, l’individuo appare in balia di forze e pulsioni che non padroneggia e che gli impediscono di avere coscienza delle ragioni profonde delle sue azioni. In campo psicologico viene così abbandonata un’idea di cui è portatrice tanta parte della filosofia greca: la convinzione che la conoscenza permetta all’uomo (e alla donna, si intende…) di emanciparsi dalla schiavitù delle proprie passioni e agire unicamente in base a criteri di razionalità. Niente affatto! Ieri come oggi la “motivazione” ha radici che affondano in ampia misura nel terreno delle dinamiche affettive profonde. Una sorta di iceberg solo una minima parte visibile. Una distinzione classica che si è venuta affermando è quella da un lato tra “motivazione estrinseca”, agire per ottenere una ricompensa (o per sfuggire a un castigo) e, dall’altro, “motivazione intrinseca”, agire per il solo piacere di agire. Il guaio è che la motivazione fondata sul piacere sembra possibile unicamente quando si tratta di attività gradevoli. È proprio così? Bisogna a questo punto distinguere tra piacere immediato e piacere conquistato. Il primo non chiama in gioco la nozione di sforzo ed è pronto al consumo: ad esempio, molti adolescenti danno prova di immediata motivazione quando si tratta di passare ore davanti a un gioco video, di trovarsi in discoteca con amici, di spostarsi da un capo all’altro della città per comprarsi un gadget ultimo grido. Il piacere conquistato invece ha bisogno di tempi lunghi, di perseveranza, di volontà e di capacità di sgobbare duro oggi, in vista di salti di gioia domani. È quello che permette, ad esempio, a campioni come Federer e Wawrinka di sopportare lunghi allenamenti e le non rare delusioni che costellano il percorso di ogni atleta. E che dà forza a un alpinista quando affronta freddo e fatica in parete. È la spinta che permette a scrittori, imprenditori, ricercatori di trovare l’energia necessaria per progetti di ampio respiro. Tale forza di volontà al servizio di un “piacere futuro” ha bisogno per svilupparsi di un primo motivante successo. Detto altrimenti, per tutti gli individui perseveranti c’è stata una prima volta in cui lo sforzo è stato pagante, in termini di piccola o grande ebbrezza, di soddisfazione e di appagamento delle proprie aspirazioni. Il desiderio di rivivere tale ebbrezza fa da motore per tutti i successivi e necessari sforzi. Una vecchia leggenda indiana narra di un elefante che pur muovendosi tra la folla con al sua imponente mole passava comunque inosservato. Come se fosse invisibile… 1 La motivazione intrinseca può essere stimolata. Come? Sostanzialmente in due modi: come detto, attraverso esperienze puntuali di successo che nutrono il sentimento di efficacia personale in determinati ambiti, ma anche grazie a figure esterne. Si tratta di persone significative in grado di aiutare il singolo individuo a fare chiarezza sulle proprie potenzialità e sui propri limiti, a fare la differenza tra desideri velleitari e progetti realistici, a porsi obiettivi concreti, graduali e raggiungibili, a sfruttare gli insuccessi come occasioni di apprendimento, ad accettare determinati sforzi e rinunce come tappe per conseguire mete più ambiziose. Una volta raggiunto un primo traguardo lusinghiero e apprezzabile, ci penseranno le emozioni positive a esso associate a far lievitare ulteriormente la motivazione. Per finire mi viene da chiedermi: cosa mi motiva, per esempio, a scrivere per La Rivista? Mi vengono in mente tre ragioni: il piacere di “estensione intellettuale” che mi procura la riflessione su temi che mi intrigano; le reazioni positive di qualche generoso lettore; l’eleganza e la qualità dei contenuti della rivista. Ci sono sicuramente altre ragioni inconsce. Queste per definizione mi sfuggono… febbraio 2016 La Rivista - 39 La Svizzera prima della Svizzera Non si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cinque secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi confini attuali. Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica». C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica. Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studioso dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione. Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio 2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume. Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di CHF 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 289 23 19 La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515) Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Gatani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo. Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 28923 19 Giacomo Casanova in Svizzera Il nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avventure amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventuriero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso, con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione. (…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno preceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese in Terra elvetica. (…)». Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 28923 19 Dalla Svizzera degli Stati a quella federale Filippo I d’Assia il Magnanino (1504-1567), in un ritratto d’epoca di Hans Krell di Tindaro Gatani Dopo la prima Pace nazionale di Kappel (1529), Zwingli, nella speranza di rafforzare il suo modello di Riforma, era riuscito a stringere più forti legami, tramite la comborghesia cristiana, non solo con San Gallo, Mulhouse e Bienne, ma anche con Costanza e con Strasburgo (5 gennaio 1530). La Riforma svizzera si spingeva così a far proseliti nella Germania meridionale in concorrenza con i luterani, potendo contare, come autorevole alleato, sul langravio Filippo I d’Assia (Hessen) detto il Magnanimo (1504-1567), che si era già fatto promotore dei Colloqui di Marburgo (1°-4 ottobre 1529) tra Zwingli e Lutero, senza essere riuscito a metterli d’accordo sulle questioni dottrinali (vedi La Rivista di novembre 2015). Le complesse origini della neutralità svizzera Sacco di Roma del 1527, aveva sottoscritto la pace di Barcellona (29 giugno 1529), il compito di convocare un concilio per discutere di tutte le differenze dottrinali. Il 24 febbraio 1530, in quella che sarebbe stata l’ultima incoronazione officiata da un Pontefice, Carlo V fu consacrato Imperatore da Clemente VII nella basilica di San Petronio a Bologna. In quell’occasione, nonostante tutte le insistenze, il Papa, che si stava di nuovo riavvicinando alla Francia, si rifiutò di convocare il concilio. Di fronte all’ostinazione papale, il neoimperatore, decise di concludere al più presto e bene le controversie religiose in Germania. Riaffermò, ancora una volta, l’impegno che «desiderava abolire le discordie, sacrificare al Salvatore gli errori passati e ascoltare e tener conto con amore e bontà ogni opinione e pensiero per portarli a una verità cristiana». I protestanti accolsero con gioia la con- Giovanni Federico I di Sassonia il Magnanimo (1503-1576) in un ritratto d’epoca di Luca Cranach il Giovane (1515-1586) Tra Zwingli e Filippo I d’Assia L’intenzione del langravio d’Assia era conseguire l’unità degli Stati protestanti per poi riunirli in una grande alleanza che comprendesse anche la Repubblica Veneta, che, pur non debordando dalla fede cattolica, era insofferente della potenza asburgica, che la circondava e ne soffocava l’economia. Il progetto di fare un blocco unico, dalla Danimarca all’Adriatico, contro l’Impero, con l’eventuale appoggio della Francia, doveva però soccombere per le diffidenze delle città tedesche verso gli Svizzeri, loro tradizionali nemici (recenti Guerre sveve), e, soprattutto, verso Zwingli, che, faceva di tutto per rimarcare le differenze della sua Riforma con il luteranesimo. Preoccupato dei progetti di Filippo I e di altri principi tedeschi, il 21 gennaio 1530, Carlo V convocò una Dieta per l’8 aprile da tenersi ad Augusta in Baviera. Non volendo intervenire con un atto di forza, l’Imperatore intendeva ripristinare l’unità religiosa con un compromesso e lasciare poi a papa Clemente VII (Giulio de’ Medici), con il quale, nel frattempo, dopo il febbraio 2016 La Rivista - 41 Carlo V alla battaglia di Mühlberg (24 aprile 1547) in un ritratto equestre di Tiziano del 1548, Museo Pardo Madrid vocazione della Dieta, stabilendo di porre alla base della discussione il trattato Della comunione di Cristo, la professione di fede di Lutero, scritta, nel 1528, contro Zwingli, e tutta una serie di norme e cerimonie religiose, riguardanti i diversi contenziosi dottrinali, messe insieme e sintetizzati da Filippo Melantone (1497-1560) nella cosiddetta Confessio Augustana. «Questa doveva da un lato chiarire le differenze che separavano i luterani dagli zwingliani e dai fanatici religiosi, dall’altro doveva esprimere l’accordo fondamentale con la dottrina cattolica tradizionale» (FRIES Heinrich – KRETSCHIMAR Georg (a cura di), Il pensiero medievale, Milano 2015, pp. 214-216). Nel corso della Dieta di Augusta, Filippo I continuò a battersi per un’intesa con la Rifor- 42 - La Rivista febbraio 2016 ma svizzera. Ma, messo alle strette e accusato di zwinglismo, fu costretto a chiarire le sue credenze riguardanti il sacramento dell’Eucarestia. Alla fine fu obbligato sì ad ammettere di aderire pienamente alla dottrina luterana, ma continuò a disapprovare pubblicamente la persecuzione contro il suo amico riformatore di Zurigo. La Lega di Smalcalda Dopo lunghe discussioni, senza raggiungere un accordo definitivo, il 19 novembre 1530, la Dieta di Agusta concordò una risoluzione che concedeva ai protestanti «un periodo di tempo per riflettere sugli articoli nei quali non era stato trovato un accordo fino alla metà di aprile del 1531, e si proibirono loro ulteriori innovazioni». Tra i gravi problemi, che attanagliavano l’Impero e avevano indotto Carlo V a più miti consigli, c’era anche il pericolo turco incombente sull’Europa, che lo avrebbe costretto poi, il 23 luglio 1532, a promettere «che fino a un concilio o a una nuova Dieta non si sarebbe adoperata violenza in questioni di fede e i processi della corte imperiale sarebbero stati sospesi». Era il segnale che i protestanti si aspettavano per espandersi senza incorrere nell’ira dell’Impero (Ididem). Filippo I d’Assia aveva, intanto, continuato con il suo progetto di mettere insieme le forze protestanti contro un eventuale attacco dell’Impero. Il 27 febbraio 1531, con la stretta collaborazione del principe elettore Giovanni Federico I di Sassonia (1503-1554), fondò un patto difensivo che dal nome della città della Turingia di Schmalkalden prese il nome di Lega di Smalcalda, alla quale aderirono subito l’Anhalt, Brema, Brunswick-Lünebrug, Magdeburgo, Ulm, e in seguito anche Reutlingen, Memmingen, Lindau, Lubecca e Costanza. La Lega decise di mettere a disposizione, in caso di eventuali attacchi, 10.000 uomini e 2.000 cavalieri. Non era certo una forza che si poteva permettere di sfidare l’Impero direttamente, ma poteva servire per piccole provocazioni come la confisca dei beni della Chiesa cattolica, l’espulsione di vescovi e il sostengo alla diffusione del luteranesimo in Germania. La Lega di Smalcalda, dopo essersi alleata già nel 1532 con la Francia e nel 1538 con la Danimarca, si trasformò da patto difensivo in offensivo. Prendeva così forma il vecchio progetto di Filippo I di costituire una forte alleanza anti-asburgica, che andasse dal Mar del Nord all’Adriatico. Era un rischio che Carlo V non poteva tollerare. Il primo scontro, solo verbale, avvenne nel corso della Dieta di Spira del 1542, quando i principi protestanti condizionarono i loro aiuti militari all’Impero al riconoscimento ufficiale della loro posizione. L’Imperatore cercò di temporeggiare e, nello stesso tempo, fece di tutto per staccare dalla Lega la Francia con la quale, il 18 ottobre 1544, firmò il trattato di Crépy-en-Laonnois. Con esso, Carlo V e suo cognato Francesco I di Francia, avendone sposato, in seconde nozze, la sorella Eleonora d’Asburgo, firmavano un armistizio nelle lunghe Guerre d’Italia, per la supremazia nella Penisola. Il dominio sul Piemonte dei Savoia era assegnato alla Francia e quello sulla Lombardia a Carlo V, padrone già dei Regni di Napoli e di Sicilia. La pace definitiva sarebbe stata poi raggiunta, il 2-3 aprile 1559, con il trattato di Cateau-Cambrésis. Dopo aver privato la Lega Smalcalda dell’alleanza francese, Carlo V, aiutato da papa Paolo III, nato Alessandro Farnese (1468-1549), decise di affrontare e sotto- mettere per sempre i principi protestanti, affrontandoli nella battaglia di Mühlberg (24 aprile 1547). La poca compattezza delle truppe della Lega, al comando di Giovanni Federico I di Sassonia, permise la schiacciante vittoria di quelle imperiali sotto il diretto comando dello stesso Carlo V. Giovanni Federico I di Sassonia e Filippo I d’Assia furono catturati e imprigionati in attesa del processo. I successivi avvenimenti storici avrebbero, però, costretto poi Carlo V a liberarli e a concludere con la Lega Smalcalda la pace religiosa di Augusta, stipulata il 25 settembre 1555. Con essa, firmata per conto di Carlo V da suo fratello Ferdinando d’Asburgo, tra l’alto si stabiliva il principio del cuius regio, eius religio, cioè «di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione», che avrebbe poi costretto i sudditi ad accettare la fede del principe oppure di lasciare il suo regno. Prime prove di neutralità Il 19 ottobre 1545, quando erano cominciati a soffiare, già impetuosi, i venti di guerra tra l’Impero e la Lega Smalcalda, i Confederati, riuniti nell’annuale Dieta di Baden, nell’ottobre 1545, decisero all’unanimità di mantenere la più rigorosa neutralità tra le due opposte forze combattenti. Il compromesso raggiunto tra cattolici e riformati riguardava anche la fornitura di armi e di vettovaglie, nonché il transito attraverso la Confederazione da parte delle truppe belligeranti. La più stretta neutralità fu anche osservata quando città amiche e in qualche Papa Clemente VII, Giulio di Giuliano de’ Medici, pontefice dal 1523 al 1534. Ritratto di Sebastiano del Piombo (12485-1547) modo alleate furono direttamente minacciate dalle truppe dell’Impero. Nel febbraio del 1547, ancora prima dello scontro di Mühlberg, Strasburgo era stata costretta a riconoscere l’autorità imperiale. I riformati svizzeri, come fa notare anche il Martin, «immobilizzati dall’opposizione dei cantoni cattolici», permisero l’annientamento della Lega Smalcalda «senza muovere un dito per impedirlo», abbandonando al loro destino Strasburgo e «la stessa Costanza, chiave della Turgovia». Quello «fu uno dei più gravi errori della nostra storia». «L’esito di questa guerra fu disastroso per la Riforma [zwingliana]», che, mentre il calvinismo si diffondeva in Francia, in Olanda e altrove, sarebbe rimasta relegata per sempre nei suoi angusti confini nazionali. Quando Costanza stava per essere occupata dalle truppe imperiali, Berna propose di correre in suo aiuto, ma la Dieta dei Confederati respinse quella proposta. Il 6 agosto 1648 le truppe spagnole di Carlo V entravano in città, alla quale fu imposto di giurare fedeltà all’Austria (15 ottobre). Costanza fu non solo privata «della sua prerogativa di città imperiale», ma anche «riportata di forza in seno alla Chiesa» e dunque «fu persa per sempre dalla Confederazione». In un ultimo sussulto, Berna e Zurigo avrebbero poi, nel 1612, tentato di stabilire «una nuova alleanza evangelica col margravio di Baden», ma fu tutto invano. «La capacità espansionistica del protestantesimo nella Germania meridionale era spezzata e, con essa la forza di attrazione esercitata dalla Confederazione» (MARTIN William, op. cit., pp. 94-95). Con la pace di Augusta era stata, intanto, infranta per sempre l’unità della Chiesa di Roma. Ogni principe poteva, infatti, imporre ai propri sudditi la sua religione. La fede non sarebbe stata più una libera scelta. Molti principi, dopo che la Chiesa aveva attribuito le immense ricchezze delle nuove scoperte geografiche solo alla Spagna e al Portogallo, aspettavano una scusa per staccarsi da Roma e partecipare a quelle conquiste senza temere più la scomunica papale (vedi La Rivista di ottobre 2015). In alcuni Paesi, la Riforma protestante servì ai nobili «per sottrarsi allo strapotere delle signorie ecclesiastiche», come per esempio in Svezia e in Danimarca. Le lotte religiose sconvolgevano intanto l’Europa centro settentrionale: in Francia protestanti e cattolici si affrontavano in feroci e sanguinosi scontri, tra i quali è da annoverare il tremendo massacro di San Bartolomeo, così chiamato perché iniziato nella notte tra il 23 e il 24 agosto, nella ricorrenza della festa di quel santo, e proseguito nei giorni seguenti con l’uccisione, secondo le stime, fra i 5.000 e i 30.000 Ugonotti protestanti. La lotta proseguì poi fino al 1598, febbraio 2016 La Rivista - 43 quando Enrico IV riuscì a pacificare il Paese accordando a tutti, con l’Editto di Nantes, libertà di culto e parità di diritti. Nelle Fiandre, la feroce persecuzione di Filippo II Re di Spagna e padrone dei Paesi Bassi contro i protestanti avrebbe portato alla sollevazione del Paese sotto la guida di Guglielmo d’Orange e quindi alla fondazione della Repubblica libera e democratica delle Province unite, divenuta ben presto un grande centro culturale, economico e finanziario anche «per l’audacia dei viaggi oceanici in direzione delle Indie orientali e dell’America». L’esempio olandese fu seguito anche dall’Inghilterra, che, lottando contro lo stesso Filippo II, si staccò dalla Chiesa di Roma, abbracciando l’anglicanesimo, sostituendosi alla Spagna «nel dominio dei mari, nelle industrie, nei commerci» (CALGARI Guido, op. cit., pp. 251-252). Il monito di Bruder Klaus Il non intervento nella guerra tra Carlo V e la Lega Smalcalda fu una prima prova di neutralità esercitata dalla Confederazione. Gli Svizzeri, secondo alcuni storici, avrebbero applicato così una direttiva di Bruder Klaus, che li aveva salvati dalla guerra civile ai tempi della Dieta di Stans (1581) e per questo rispettato sia dai cattolici sia dai riformati. Con quel monito, attribuito all’eremita da una Cronaca del 1536 di Hans Salat (1498-1561), si raccomandava agli Svizzeri: «Machet den zun nit zu wit» («macht den Zaun nicht zu weit»), cioè «non allargate troppo i confini»). Nel Salat non si trova tuttavia nessun riferimento all’altra raccomandazione attribuita a Bruder Klaus: «Beladet üch nit fembder sachen» o «mischt euch nicht in fremde Händel», cioè «non oberatevi di cose altrui» o, meglio, «non immischiatevi nelle faccende degli altri» (DURRER Robert, Bruder Klaus-Quellenwerk, 668-691 - http:// www.nvf.ch/qnr233.asp). Vere o presunte, da allora in poi, le raccomandazioni di Bruder Klaus hanno, comunque, influenzato ogni decisione di politica estera a livello confederale. Ancora di recente, in occasione dell’adesione all’ONU e di aperture verso la UE, i conservatori svizzeri si sono richiamati a quelle due raccomandazioni per opporsi! Quei moniti furono dunque un suggerimento ad abbandonare le mire espansionistiche, seppellite poi, per sempre con i quindicimila morti di Marignano, per dedicarsi, invece, al progresso interno della Nazione elvetica oppure anche un primo passo verso la neutralità? È difficile dirlo! È certo che dopo gli scontri di Kappel, gli Svizzeri avevano capito che l’unità interna poteva essere garantita solo a patto di non farsi coinvolgere nelle guerre di religione, che insanguinavano l’Europa. Solo la neutralità tra i belligeran- 44 - La Rivista febbraio 2016 ti poteva tenere ancora uniti gli Svizzeri. Cattolici e riformati erano liberi di mostrare simpatie per l’uno o per l’altro campo, di rafforzare le relazioni economiche e di stringere alleanze con gli Stati correligionari, senza, tuttavia, mai debordare dall’appartenenza alla Confederazione. Ago della bilancia tra le opposte fazioni, per quasi trecento anni, sarebbe stata la Francia, che con le ingenti sovvenzioni agli uni e agli altri, in cambio del diritto di leva, finanziava generosamente tutta la Confederazione, facendo in modo che vi regnasse la pace, perché, come abbiamo detto, solo in caso di guerra gli Svizzeri potevano impedire la leva dei loro mercenari. Con il passare degli anni, i Confederati si resero conto che il loro non immischiarsi nelle faccende altrui garantiva la pace e l’indipendenza e quindi anche la prosperità della Nazione. In un’Europa scossa da continue guerre, la Confederazione, nonostante la sua posizione al centro del Continente, riuscì a non farsi mai coinvolgere nei conflitti grazie a una sua particolare politica di equilibrio e di difesa dei suoi confini. Scampati a stento dal coinvolgimento Stemma imperiale e reale di Carlo V nella terribile Guerra dei Trent’Anni (16181648), gli Svizzeri unanimi non solo adottarono il Defensionale di Wil (1647), che, come vedremo, fu il loro primo ordinamento militare per la difesa nazionale, ma, seguendo l’esempio di Cesare ai tempi della vecchia Helvetia, crearono tutta una serie di Stati cuscinetto (Vormauer), una vera e propria cintura di zone neutrali, confinanti, nei quali erano proibiti il passaggio e le azioni belliche di truppe straniere. Invece di partecipare alle guerre, la Confederazione, con il passare del tempo, si propose come forza mediatrice, candidandosi a luogo per ospitare congressi internazionali per riportare la pace tra i diversi contendenti, un ruolo che la Svizzera ha svolto egregiamente fino ai giorni nostri. Tra quei congressi ricordiamo, tra l’altro, la pace di Baden del 7 settembre 1714 con la quale il Sacro Romano Impero avrebbe accettato il trattato di Rastatt, concluso poco prima tra il Re di Francia Luigi XIV e il Re d’Ungheria Carlo VI d’Asburgo, e la prima pace di Basilea del 5 aprile 1795 tra la Francia della convenzione termidoriana e la Prussia di Federico Guglielmo II. L’opera di Edgar Bonjour Sulla nascita e lo sviluppo della neutralità svizzera ci illumina Edgar Bonjour (18981991), in un suo monumentale Compendio, intitolato appunto Storia della neutralità svizzera, che ci spiega chiaramente come essa abbia «origini e cause molteplici» e come sulla sua formazione abbia «influito, per lo meno nella stessa misura del fallimento della politica egemonica della Confederazione [sconfitta di Marignano], anche la divisione in campo religioso», che la costrinsero, come nello scontro tra Carlo V e Lega di Smalcalda, a essere «estranea alle guerre religiose del XVI e del XVII secolo». Il fatto che la Confederazione fosse «composta di diversi gruppi etnici e linguistici influì appena sulla nascita della neutralità». Contò più, invece, il fatto che «sia la Svizzera nel suo complesso, sia singoli gruppi e membri della Confederazione avevano concluso alleanze con l’estero in ogni direzione», spesso in contraddizione tra loro, tanto che, talvolta, in caso di emergenza, gli «impegni assunti dovettero addirittura essere negletti». Si trattava di uno «strano intreccio», talmente aggrovigliato, che «non poteva quasi più essere districato nemmeno dalle abili mani degli esperti uomini della Dieta». I legami più stretti e quindi «più gravidi di conseguenze» erano, come detto, quelli con la Francia, Paese allora ancora non confinante con la Confederazione, che a fronte del diritto di arruolare da 6 a 16 mila mercenari all’anno da impiegare a scopo difensivo, si era impegnata a intervenire in suo aiuto in caso di attacco esterno. Gli Svizzeri, senza distinzione alcuna, erano orgogliosi di quel patto perché faceva «del Re di Francia [di turno] l’amico prediletto della Confederazione, non già il protettore». Avevano ragione perché la Francia, come abbiamo più volte visto, «adoperandosi per la pace interna ed esterna della Confederazione durante le crisi più pericolose, non si rese soltanto benemerita della sopravvivenza della Svizzera ma, senza volerlo, contribuì a consolidarne la neutralità». Per il Bonjour, «l’incrollabile volontà della Confederazione di preservare la neutralità è testimoniata parimente dal fatto ch’essa rifiutò sempre di dare garanzie ad altri Stati», per non pregiudicare la sua posizione di equidistanza tra i contendenti, essa si immischiò, invece, per raccomandare la «tregua universale», «lasciandosi guidare», non solo e non sempre, «da considerazioni inerenti il suo interesse nazionale, benché la pace ne fosse l’imperioso presupposto». «Concludendo — scrive Bonjour — è impossibile indicare con precisione quali mezzi propri a garantire la neutralità siano stati i più efficaci. Siffatte questioni d’apprezzamento conducono facilmente a risposte arbitrarie». E aggiunge ancora: «Certo che non fu un solo provvedimento, bensì la combinazione di tutte queste misure protettive ad aumentare il sentimento generale di sicurezza in Svizzera e a determinare il successo della politica di neutralità» (BONJOUR Edgar, Storia della neutralità svizzera, Bellinzona-Milano 1981, pp. 9-32). La Svizzera, spalleggiata dunque dalla Francia, si trincerava sempre dietro il paravento della sua neutralità per non immischiarsi nei conflitti in corso e tenersi equidistante dalle parti belligeranti. La pace favoriva, intanto, i commerci, le industrie, l’agricoltura e quindi il progresso di un popolo felice in un’Europa impegnata in continue guerre fratricide. Quel paravento sarebbe, però, crollato, per ironia della sorte, di fronte all’invadenza e alla prepotenza della Francia post-rivoluzionaria, a opera di Napoleone Bonaparte, che avrebbe avuto l’ardire di dire agli Svizzeri, che, per non essere invasi, reclamavano la loro neutralità: «Vis-à-vis de moi, votre neutralité est un mot vide de sens» («Di fronte a me, la vostra neutralità è una parola priva di senso»). Questa è, però, un’altra storia sulla quale ritorneremo a tempo debito. Edgar Bonjour (1898-1991), autore di una monumentale Storia della neutralità svizzera febbraio 2016 La Rivista - 45 Da deadline a jobs act: una guida per sopravvivere all’ “itanglese” L’accademia Aba English presenta una guida con gli anglicismi più trendy per aiutare gli italiani af orientarsi nella giungla moderna declinata quotidianamente in “itanglese” (o itanglish). Fors’anche per dare un senso letterale alla volontà rottamatrice, che presuppone l’anelito al rinnovamento, molti i termini inglesi usati per chiamare le leggi approvate dal governo Renzi: una su tutte il Jobs Act, ovvero l’antica riforma del lavoro. Più recente è invece la discussione sulla stepchild adoption, ovvero la possibilità di adottare il figlio del proprio partner. Già da tempo si parla poi di legge sulla privacy e di riforma del welfare. Insomma, sembra che per essere politically correct o meglio per essere trendy in Italia si debba usare l’inglese e poco importa se il leader sia al governo o all’opposizione, visto che per manifestare il proprio dissenso si organizza un family day. Inoltre, le aziende di nuova creazione si denominano startup; sono nate nuove professioni come quella del Community Manager (gestore delle reti sociali dell’azienda) e quelli che un tempo erano possessori di Partita Iva ora sono diventati dei freelance. Se invece siamo dipendenti, sappiamo dove lavoriamo esattamente? La nostra azienda è B2B (Business-to-Business, ovvero produce beni per altre aziende) o B2C (Business-to-Consumer, ovvero produce beni direttamente per l’utente finale)? All’interno delle aziende i titoli dei responsabili sono diventati delle sigle tra cui a volte è davvero difficile destreggiarsi: il direttore generale è il CEO (ovvero il Chief Executive Officer), il responsabile del marketing il CMO (Chief Marketing Officer), mentre il CTO (Chief Technology Officer) è il responsabile della parte tecnologica e il CFO (Chief Financial Officer) la persona che gestisce il budget, ovvero la parte finanziaria. In un’ordinaria giornata di lavoro può quindi capitare che 46 - La Rivista febbraio 2016 il nostro manager (ovvero il nostro superiore diretto) ci chieda un planning (progetto) da consegnare ASAP (As Soon As Possible) e siccome la deadline (data di consegna) è il prima possibile dobbiamo annullare la conference call (riunione telefonica) con il cliente e dire al nostro collega che non possiamo partecipare al brainstorming (discussione di gruppo per raccogliere idee) già fissato per stabilire che il progetto a cui state lavorando è work in progress. Anche la posta elettronica, mezzo di comunicazione principale oggigiorno, ha un linguaggio proprio spesso di matrice inglese. Se il nostro collega ci fa un forward (inoltro) di un’e-mail in cui appare l’acronimo FYI (For Your Information) dobbiamo stare attenti e leggere il contenuto del messaggio invece di catalogarlo nello spam tra i tanti messaggi che ci arrivano abitualmente. Tantissime delle parole di origine inglese che usiamo quotidianamente non hanno una vera e propria traduzione in italiano perché sono entrate nella lingua direttamente con lo sviluppo delle nuove tecnologie a cui fanno riferimento. Quando compriamo uno Smartphone (letteralmente un cellulare intelligente) o un Laptop (computer portatile), ci troviamo così a parlare di GigaBytes (capacità di memoria), di RAM (memoria a cambiamento di fase), di Hardware e di Software. Ovviamente al commesso chiediamo anche quanti pixels ha la macchina fotografica incorporata nel cellulare perché è essenziale per i nostri selfies da postare sui social network. Se invece la moda è la nostra passione, dovremmo sapere che le aziende fanno di tutto perché i propri prodotti si convertano nei must-have (oggetto a cui non si può rinunciare) delle celebrities (famosi) più trendy (di moda) del momento. E se poi vogliamo essere fashion (alla moda) e sembrare più cool (fighi) dobbiamo ricordarci per il nostro look che tutte le tendenze del momento hanno un nome inglese: Hipsters, Heavies, Boho-chics, Hippies, Punks, Geeks e , nel caso della moda non ci interessa nulla, perché la nostra passione è tutt’assorbita dall’informatica, non c’è dubbio siamo dei veri e propri Nerd. Naturalmente, userfriendly. Of course. Scaffale Filippo Maria Fabio battaglia Volo Stai Zitta e vai in cucina È tutta vita Giuseppe Catozzella (Bollato Boringhieri pp 116, € 10,00) (Mondadori pp 240; € 19,50) (Feltrinelli pp. 261; € 16,00) A casa sono le regine indiscusse, fuori le suddite sottomesse. Viste dalla politica, le donne italiane devono essere così. “La moglie fa la moglie e basta”, deve essere “remissiva”, ha molti doveri, pochi diritti e “specifiche attitudini”. Se la donna è emancipata diventa subito di “facili costumi”, se è bella “è per questo che fa carriera”, se è brillante non può che essere “abilmente manovrata”. Stai zitta e va’ in cucina è la storia degli insulti, delle discriminazioni e dei pregiudizi politici nei confronti delle donne. Ed è una storia a cui prendono parte quasi tutti: i padri costituenti e Beppe Grillo, il Pci e Silvio Berlusconi, la Dc e i partiti laici, i piccoli movimenti e le grandi coalizioni. Da questo punto di vista, la politica italiana si mostra singolarmente unanime. Nell’Italia repubblicana la crociata sessista arruola tutti: premier, segretari di partito, ministri, capi di Stato, giù giù fino all’ultimo portaborse sconosciuto. Dopo il suffragio universale, “concesso” nel ‘45, il maschilismo italico si fa sentire già con la stesura della Costituzione, per proseguire fino ai giorni nostri, tra appelli, citazioni sofisticate e insulti da bettola. Dalla battaglia sul divorzio alle norme contro la violenza sessuale, dall’accesso alla magistratura al dibattito sulle quote rosa, questo libro è un succinto racconto storico - incredibilmente attuale -, per capire come si è diffusa e perpetrata la misoginia politica in uno dei Paesi più maschilisti d’Europa. Filippo Maria Battaglia, giornalista, lavora nella redazione di Sky TG24. Scrive di politica, cronaca, esteri, economia, spettacolo. Stavano così bene insieme, cosa è successo alla loro vita? Cosa è successo ai due chiusi in una camera d’albergo con il cartello “non disturbare” sulla porta? Dove sono finite la passione, la complicità? Il nuovo libro di Fabio Volo è un’immersione nella vita quotidiana di una coppia, nell’evoluzione di un amore. Racconta la crisi che si scatena alla nascita di un figlio e, ancora di più, racconta di quando qualcosa rompe l’incantesimo tra due innamorati. E suggerisce, lascia intravedere una risposta, una via d’uscita. È come se i protagonisti dei suoi romanzi più amati, Il giorno in più o Il tempo che vorrei, si ritrovassero ad affrontare quello che viene dopo l’innamoramento, la responsabilità e la complessità dello stare insieme per davvero. Ancora una volta Volo sorprende per la capacità di fotografare e dare un nome ai sentimenti, perfino quelli meno nobili e non per questo meno comuni. È tutta vita è un romanzo diretto, sincero, spudorato. Leggendolo capita di ridere e commuoversi, come quando qualcosa ci riguarda da vicino. È un romanzo leggero, che si legge volentieri per distrarsi, un romanzo di formazione più per lui che per lei. Fabio Volo è scrittore, attore, conduttore televisivo e radiofonico. Ha pubblicato Esco a fare due passi (2001), È una vita che ti aspetto (2003), Un posto nel mondo (2006), Il giorno in più (2007), Il tempo che vorrei (2009), Le prime luci del mattino (2011) e La strada verso casa (2013), tutti editi da Mondadori. I suoi libri sono tradotti in molti paesi del mondo. Amal nasce su un’isola in cui è guerra tra Esercito Regolare e Neri, soldati che in una mano impugnano il fucile e nell’altra il libro sacro. Amal è l’ultimo, servo figlio di servi pescatori e migliore amico di Ahmed, figlio del signore del villaggio. Da piccolo, una mina lo sventra in petto e ora Amal, che in arabo significa speranza, porta un cuore non suo. Amal e Ahmed si promettono imperitura amicizia, si perdono con i loro sogni in mezzo al mare, fanno progetti e dividono le attenzioni della affezionata Karima. Vivono un’atmosfera sospesa, quasi fiabesca, che si rompe quando le tensioni che pesano sul villaggio dividono le loro strade. In questo nuovo clima di conflitti e di morte anche Hassim, il padre di Amal, lascia il villaggio, portando con sé un segreto inconfessabile. Rimasto solo, Amal chiede ancora una volta il conforto e la saggezza del mare e il mare gli dice che deve raggiungere l’imam della Grande Moschea del Deserto, riempire il vuoto con un’educazione religiosa. Amal diventa preghiera, puro Islam, e resiste alla pressione dei reclutamenti. Resiste finché un’ombra misteriosa e derelitta riapre in lui una ferita profonda che lo strappa all’isolamento. Allora si lascia arruolare: la religione si colma di azione. L’educazione militare lo fa guerriero, lo fa uomo. Lo prepara a trovare una sposa per generare un figlio. Ma è proprio questo l’unico destino consentito? Qual è il bene promesso? L’avventura di vivere finisce davvero con la strage del nemico? Giuseppe Catozzella è autore di poesie, romanzi-inchiesta, racconti e reportage Il grande futuro febbraio 2016 La Rivista - 47 Quasi un libro italiano su dieci ha un mercato straniero Quasi un titolo su dieci pubblicato oggi in Italia ha un mercato straniero. È quanto emerge dalla ricerca sull’import/export dei diritti realizzata dall’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori (AIE) su 1.200 editori, per conto dell’ICE - Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Una fotografia su come l’editoria italiana si impone (o meno) all’estero, nell’acquisto e nella vendita dei diritti e che permette di coprire un vuoto di 8 anni (l’ultima che consentiva di farlo con questa analiticità e articolazione risale al 2007), grazie alla rilevazione dei dati di vendita/ acquisto 2015 e 2014 dei diritti dei segmenti Narrativa, Bambini, Saggistica, Illustrati ecc. Continuiamo ad acquistare più che a vendere titoli ma triplica rispetto al 2001 il peso dei titoli venduti all’estero rispetto alle novità pubblicate: erano il 3,2% 15 anni fa, sono oggi il 9,5%. In termini assoluti oggi gli editori italiani (che avranno pochi lettori, ma curiosi!) acquistano 10.672 titoli, ne vendono la metà: 5.844. Cosa vendiamo? Sempre più narrativa e libri per bambini e ragazzi; meno saggistica e illustrati. Cambia l’interesse del resto del mondo per la nostra editoria: cresce di molto l’attenzione per la narrativa e gli scrittori italiani (+ 261,6% rispetto al 2007. I titoli di narrativa ceduti nel 2007 coprivano una quota del 17,7%, oggi raggiungono il 36,2%), e per i bambini e ragazzi (+107,1%; coprivano una quota del 28,8% nel 2007, oggi rappresentano il 48 - La Rivista febbraio 2016 35,6%). Diminuiscono la saggistica (-1,4%, passando da una quota del 27,9% del 2007 al 16,4% del 20015) e gli illustrati (-33%: copriva una quota del 17,7% nel 2007, oggi si attesta sul 7,1%). La prima come effetto indiretto del ruolo dell’ università italiana, la seconda dovuta a un prodotto come l’ illustrato che sconta nel mercato odierno gli elevati costi di realizzazione. Dove? In Europa per circa la metà. Il 51,3% dei titoli venduti interessano l’Europa, il 19,7% il Centro e il sud America, “solo” il 6,5% il Nord America (anche se il dato è in crescita rispetto al 2007), il 14,3% l’Asia e il 5,2% l’ Area del Pacifico. E cosa acquistiamo? Sempre più narrativa e libri per bambini e ragazzi, sempre meno saggistica e illustrati: I titoli acquistati dall’ estero sono sempre più quelli di narrativa (+50,1% rispetto al 2007), bambini e ragazzi (+38,4%) ma meno saggistica (-16%) e illustrati (-3,2%). Da dove? In Europa per più della metà. Gli acquisti interessano il nostro continente nel 54,5% dei casi, seguiti dal 28,5% (in calo rispetto al 2007) di quelli dal Nord America e dal 13% dall’ Asia. E i piccoli? Cresce il loro peso all’estero. Pur rappresentando una quota ancora piccola nella vendita dei diritti all’estero, il 10,5%, sono cresciuti rispetto allo scorso anno del 9,2%, in linea con gli editori maggiori. Cosa vendono i piccoli? Per lo più, saggistica e illustrati. Le vendite di diritti all’estero hanno interessato per il 37,2% la saggistica, per il 30,9% gli illustrati, per il 14% la narrativa e per il 6% i libri di bambini e ragazzi. Cosa acquistano? Per quasi la metà (49%) manualistica, libri di self help, tempo libero e lifestyle. Per il 24,7% - 1 titolo su 4 - titoli di narrativa, per il 15,5% saggistica e per il 9,1% libri per bambini e ragazzi. Lo rivela Io sono Cultura, rapporto annuale di Symbola e Unioncamere Quel ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno… Lecco e Como con Milano e Monza Brianza figurano fra le prime dieci province con maggiori quote percentuali di imprese culturali sul totale di quelle regionali Quanto “pesa” la cultura nell’economia nazionale Gli orafi di Ponte Vecchio a Firenze, testimonianza delle vecchie botteghe artigiane La Lombardia è la locomotiva della creatività italiana. Prima in Italia per numero di imprese culturali e creative, pari a 84.440, circa un quinto di quelle totali presenti in Italia. La Regione detiene il primato per valore aggiunto prodotto dal sistema culturale e creativo, che si traduce in oltre 20 miliardi di euro (più di un quarto del totale prodotto nel Paese), e un numero di occupati che supera i 300 mila, un quinto del totale, con un record di professioni creative (architetti, designer e comunicatori) con una incidenza 7,8% sul totale occupati regionali, seguita dalla Emilia Romagna con 7,0%. Milano con 39.252 è la seconda provincia italiana per incidenza delle imprese culturali e creative sul totale delle imprese presenti nella provincia, nella medesima classifica Monza Brianza è quarta e Como è quinta. In provincia di Milano, infatti, le realtà del comparto culturale e creati- Le imprese culturali e creative producono in Italia 78,6 miliardi di valore aggiunto e ne muovono 227, il 15,6% della ricchezza prodotta. Le imprese che investono in creatività esportano e crescono di più di quelle che non lo fanno Lombardia prima regione in Italia per numero di imprese culturali e creative pari a 84.440 (un quinto del totale in Italia) e prima per valore aggiunto prodotto dalla cultura con oltre 20 miliardi di euro e 300 mila occupati (record di professioni creative quali architetti, designer e comunicatori). La Lombardia primeggia nella top 10 delle province italiane con maggiori quote percentuali di imprese culturali sul totale di quelle regionali: Milano risulta la seconda provincia italiana, quarta Monza-Brianza, quinta Como, ottava Lecco. vo sono il 10,9% del totale delle imprese, mentre in provincia di Monza Brianza e di Como tale percentuale si attesa rispettivamente al 10,2 e al 10,1%. Sfida alla crisi La classifica è contenuta nello studio “Io sono cultura - L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” elaborato da Symbola e Unioncamere con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla cultura della Regione Marche e di FriulAdria. L’unico studio in Italia che annualmente quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale. Con risultati eloquenti: le imprese delle filiere culturali e creative producono 78,6 miliardi di valore aggiunto e ‘attivano’ altri settori dell’economia arrivando a muovere complessivamente il 15,6% del valore aggiunto nazionale, equivalente a 227 miliardi di euro. Tanto vale nel 2014 il sistema produttivo culturale e creativo, un dato comprensivo del valore prodotto dalle filiere culturali e creative, ma anche di quella parte dell’economia nazionale che viene attivata dalla cultura, a cominciare dal turismo. Le filiere culturali e creative si confermano un pilastro del made in Italy, un sostegno importante alla nostra competitività o, per dirla in gergo calcistico, l’uomo in più messo in campo dalla squadra Italia per competere e vincere. Tanto che nel periodo 2012/2014, quindi in piena crisi, le imprese che hanno investito in creatività hanno visto crescere il proprio fatturato del 3,2%, mentre tra le non investitrici il fatturato è sceso dello 0,9%. E sempre le imprese che hanno investito in creatività sono state premiate con incremento dell’export del 4,3%, al contrario chi non ha puntato su questo asset ha visto le proprie esportazioni crescere di un ben più magro 0,6%. febbraio 2016 La Rivista - 49 Del totale della spesa dei turisti in Italia, 75,8 miliardi di euro nel 2014, il 37,3% (28,3 miliardi) è legato proprio alle industrie culturali (nella foto: l’Arena di Verona sede di una stagione operistica che attira migliaia di turisti stranieri) Il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia Entrando nel dettaglio dello studio - una sorta di annuario, per numeri e storie, realizzato anche grazie al contributo di circa 40 personalità di punta nei diversi settori, alla partnership di Fondazione Fitzcarraldo e Si.Camera e con il patrocinio dei ministeri dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dello Sviluppo Economico – emerge che dalle 443.208 imprese del sistema produttivo culturale, che rappresentano il 7,3% delle imprese nazionali, arriva il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia: 78,6 miliardi di euro. Che arrivano ad 84 circa, equivalenti al 5,8% dell’economia nazionale, se includiamo anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura. Ma la forza della cultura va ben oltre, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 1,7 sul resto dell’economia: così per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,7 in altri settori. Gli 84 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 143. Cifre che complessivamente arrivano, come anticipato, alla soglia di 227 miliardi di euro. Una ricchezza che ha effetti positivi anche sul fronte occupazione: le sole imprese del sistema produttivo culturale – ovvero industrie culturali, industrie La produzione di beni e servizi creative driven favoriscono la creazione di nuovi posti di lavoro 50 - La Rivista febbraio 2016 creative, patrimonio storico artistico e architettonico, performing arts e arti visive – danno lavoro a 1,4 milioni di persone, il 5,9% del totale degli occupati in Italia. Che diventano oltre 1,5 milioni, il 6,3% del totale, se includiamo anche le realtà del pubblico e del non profit. L’Italia è forte se fa l’Italia “Il soft power che ha accompagnato l’Italia nell’Expo di Milano è un patrimonio da mettere in campo anche per rilanciare il Paese. L’Italia è forte se fa l’Italia, se scommette su ciò che la rende unica e desiderata nel mondo: cultura, qualità, conoscenza, innovazione, territorio e coesione sociale - commenta il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci -. Dalla crisi, infatti, non si esce con ricette del passato, ma guardando al futuro. Dalla bellezza, alla cultura alla green economy molte imprese italiane hanno già colto i segnali che ci parlano del domani e scommettono sulla cultura e la creatività per rafforzare le manifatture. Una strada intrapresa già da ben 7.416 imprese della provincia di Monza e Brianza, il 10,2% del totale, che non a caso è quarta in Italia per incidenza del sistema produttivo culturale e creativo. Numeri alla mano, non solo con la cultura l’Italia mangia, ma la cultura è nel nostro dna e grazie ad essa possiamo costruire un futuro all’altezza della nostra storia. Ecco perché, come si è iniziato a fare, bisogna integrare le politiche culturali all’interno di quelle industriali e territoriali, riconoscerne e accompagnarne il ruolo da protagonista nella manifattura e nell’innovazione oltre che nel turismo”. “Il valore aggiunto culturale più alto è nelle regioni dove si è affermata una nuova manifattura, che è stata capace di incorporare più innovazione tecnologica orientata alla sostenibilità e alla green economy e più innovazione culturale – afferma il Segretario generale di Symbola, Fabio Renzi - come dimostra la buona performance della Lombardia, dove in questi anni è cresciuto sia l’export manifatturiero che quello culturale. Un terreno sul quale sempre più si giocherà il futuro e che chiede scelte politiche ed economiche coerenti, capaci di collegare il nostro grande patrimonio culturale e paesaggistico con le produzioni di qualità del made in Italy e con l’innovazione digitale, la realtà virtuale, con le nuove tecnologie e le opportunità offerte dal web”. Cultura e creatività mettono il turbo al made in Italy Inventivo per eccellenza, il sistema delle nostre industrie culturali si rivela anche reattivo, versatile, capace di tenere anche nella crisi e anzi di rispondere mettendo in campo strategie lungimiranti per agganciare la ripresa puntando sulla qualità, sull’innovazione, sulla bellezza e sulla fantasia. Ad esempio utilizzando professionalità con competenze in arti grafiche, pubblicità, design, web design, tecniche multimediali, sviluppo di software, ecc.. O ancora introducendo pratiche per stimolare la creatività come sessioni di brainstorming, lavori di gruppo interdisciplinare e interfunzionale, forme di rotazione del lavoro, incentivi ai dipendenti per lo sviluppo di nuove idee. Con risultati importanti: le imprese che nel periodo 2012/2014 hanno investito in creatività hanno visto crescere il proprio fatturato tra 2013 e 2014 del 3,2% e nello stesso periodo hanno beneficiato di un aumento dell’export del 4,3%, rispetto a una riduzione del fatturato dello 0,9% e a un contenuto aumento dell’export (+0,6%) delle altre. Tendenze confermate anche nel 2015 dall’incidenza delle imprese che investono in creatività tra le imprese esportatrici: il 48,1% delle imprese che hanno scommesso sulla creatività esportano, mentre tale quota scende al 21,6% tra quelle che negli ultimi tre anni non hanno investito in creatività. La cultura spinge il turismo Del totale della spesa dei turisti in Italia, 75,8 miliardi di euro nel 2014, il 37,3% (28,3 miliardi) è legato proprio alle industrie culturali. E al richiamo della cultura, della bellezza e della qualità sono con ogni probabilità legate le ottime performance nazionali nel turismo. Se, infatti, leggiamo le statistiche in modo meno superficiale ci accorgiamo che siamo il primo paese dell’eurozona per pernottamenti di turisti extra Ue (con 56 milioni di notti). Siamo la meta preferita dei paesi ai quali è legato il futuro del turismo mondiale: la Cina, il Brasile, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, gli Usa e il Canada. Cosa si intende per cultura? Il cuore della ricerca sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma nell’andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, nei centri stile delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane, o negli studi professionali. Attraverso la classificazione in 4 macro settori: industrie culturali propriamente dette (film, video, mass-media, videogiochi e software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design e produzione di stile), patrimonio storico-artistico architettonico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), e performing art e arti visive (rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere). Al corpo centrale della ricerca, come anticipato, è stata inoltre affiancata anche un’indagine volta a valutare l’impatto degli investimenti in creatività sulle performance aziendali, da parte sia delle imprese appartenenti ai 4 macro-settori del sistema produttivo culturale, sia di quelle che svolgono attività economiche differenti ma che possono, non di meno, beneficiare dell’ibridazione con la cultura. I settori, i trend Alla performance del sistema produttivo culturale e creativo, sia in termini di prodotto che di occupazione, contribuiscono soprattutto le industrie culturali e le industrie creative. Dalle industrie culturali arriva infatti il 46,8% del valore aggiunto e il 39,4% degli occupati, un risultato raggiunto soprattutto grazie a videogiochi e software. Dalle industrie creative un altro consistente 46,5% di valore aggiunto e addirittura il 52,7% degli occupati, performance raggiunta grazie al contributo preponderante della produzione di beni e servizi creative driven e dell’architettura. Decisamente più bassa la quota delle performing arts e arti visive per entrambi i valori (5,3% v.a. e 6,2% occupazione) e soprattutto per le attività private collegate al patrimonio storico-artistico (1,5% e 1,7%). Le cosiddette performing arts contribuiscono, seppur in misura ancora minore, a consolidare il sistema produttivo febbraio 2016 La Rivista - 51 Televisione, arti visive e pubblicità i settori economicamente più importanti L’Italia creativa e della cultura La filiera creativa in Italia vale 46,8 miliardi di euro, di cui 40,1 diretti, pari al 2,9% del Pil, e occupa quasi 1 milione di persone. Lo dicono i dati diffusi alla Triennale di Milano da Italia Creativa, il primo studio sull’industria della cultura e della creatività in Italia, realizzato da Ernst & Young con il supporto delle principali associazioni di categoria, guidate da Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali) e Siae. televisione con 95.885 occupati e un valore pari a 12,2 miliardi di euro; sul podio anche le arti visive, con 241mila occupati e 11,2 miliardi di euro, e la pubblicità, con 7,4 miliardi di euro e oltre 94mila occupati. Seguono, per valore economico, quotidiani e periodici (5,1 miliardi), le arti performative (4,5), la musica (4,3), i libri (3,1), i videogichi (2,9), l’architettura (2,6), il cinema (1,7) e la radio (800 milioni). Nel 2014, spiega lo studio, gli occupati della filiera creativa sono stati 995mila, di cui 850mila diretti, per un valore economico complessivo pari a 46,8 miliardi, pari al 2,9% di cui 40,1 diretti, cioè derivanti da attività legate direttamente alla filiera, quali la concezione, la produzione e la distribuzione di opere e servizi culturali e creativi. Undici sono i settori dell’Italia creativa presi in considerazione dallo studio. Eccoli con i relativi valori economici: al primo posto la vale 47 miliardi di euro e offre un lavoro a quasi 1 milione di italiani Si può fare di più L’Italia creativa, si legge nello studio, vale il 2,9% del Pil, se si considera il valore economico complessivo (il 2,5% se si considera quello diretto); più delle teleconomunicazioni, che hanno un valore diretto pari a 39 miliardi di euro, e poco meno dell’automobile, che vale 49 miliardi, e della chimica, che ne vale 50. Il 3,8% degli occupati in Italia lavora per il settore della cultura e creatività, se si considerano gli occupati diretti, ma la percentuale sale al 4,5% se si considerano quelli totali. Il 41% degli occupati nell’industria della cultura e della creatività in Italia sono giovani fra i 15 e i 39 anni, contro una media del circa 37% in tutti i settori dell’economia del Paese. L’Italia, prosegue lo studio, è anche il primo paese al mondo per numero di siti che sono patrimonio dell’umanità Unesco, nonché l’unico con 3 siti nella top ten dei siti archeologici più visitati. Ma è anche il primo paese per numero di premi Oscar al “miglior film in lingua straniera” e l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, l’ottava più usata su Facebook, con un bacino potenziale di interessati stimato pari a 250 milioni di persone. Infine, conclude lo studio, in Europa la filiera creativa vale tra il 3,1% e il 3,5% del Pil, poco di più di quanto riscontrato in Italia. Ma se riuscissimo ad esprimere per la filiera la stessa quota di Pil che caratterizza la Francia, otterremmo 15 miliardi di euro addizionali. La televisione occupa il primo posto, fra i settori presi in considerazione dallo studio, con 95.885 occupati e un valore pari a 12,2 miliardi di euro 52 - La Rivista febbraio 2016 L’Italia, registra lo studio, è anche il primo paese al mondo per numero di siti che sono patrimonio dell’umanità Unesco, nonché l’unico con 3 siti nella top ten dei siti archeologici più visitati. (nella foto: i Trulli di Alberobello, patrimonio Unesco dal 1996) L’Industria creativa passerebbe così da 40 a 55 miliardi di euro e genererebbe più di 300.000 nuovi posti di lavoro, arrivando a fornire un impiego a oltre 1,2 milioni di persone e sarebbe ancor di più un’occasione per i giovani. Un patrimonio fruibile e beneficio di tutti “Italia Creativa dimostra esattamente quanto i diversi settori dell’industria culturale italiana contribuiscano all’economia del Paese in termini di occupazione e fatturato”, ha detto il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, intervenuto al dibattito insieme, tra gli altri partecipanti all’ad di Mondadori, Ernesto Mauri e l’ad di Sky Italia, Andrea Zappia. “È nostro dovere adoperarci per favorire al massimo ogni espressione di questo settore, garantendo le corrette condizioni di mercato, contrastando pirateria e contraffazione e riconoscendo il giusto compenso a chi vi opera con il proprio talento”. “L’Italia Creativa è il cuore e il cervello del corpo economico del nostro Paese - ha detto il presidente SIAE Filippo Sugar ricordando l’alta presenza di start up nel settore - “ogni autore, ogni artista che inizia a pensare di dedicare la sua vita alla creatività o comunque a realizzare opere nuove è, di fatto, una start up. Quindi da sempre questa è un’industria fortemente legata all’innovazione, e l’innovazione è fonte di rottura, di pensieri nuovi, di libertà”. “Il Patrimonio culturale e artistico contraddistingue il nostro Paese, ma non è ancora sufficientemente valorizzato ed è spesso penalizzato dalla difficoltà di fare sistema e mettere insieme in maniera fattiva pubblico e privato”, ha aggiunto Donato Iacovone, amministratore delegato di EY in Italia e managing partner dell’area mediterranea. “Oggi il Ministero sta aiutando molto la cultura e si hanno segnali positivi anche dai privati che dimostrano di voler investire e innovare in questo settore”. Secondo Iacovone “i dati presentati sottolineano l’importanza di lavorare insieme ed utilizzare al meglio tutte le opportunità offerte anche dalle nuove tecnologie per valorizzare e creare maggiore attenzione, anche dall’estero, sulle nostri grandi ricchezze architettoniche, culturali, e artistiche così da rendere il nostro patrimonio più fruibile a beneficio di tutti”. Le associazioni di categoria e le personalità che hanno sostenuto lo studio Diciannove in tutto le associazioni di categoria che hanno collaborato allo studio: AESVI (Associazione editori sviluppatori videogiochi italiani), AGIS (Associazione generale italiana dello spettacolo), AIE (Associazione italiana editori), ANEM (Associazione nazionale editori musicali), ANES (Associazione nazionale editoria periodica specializzata), ANICA (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali), APT (Associazione produttori televisivi), CNAPPC (Consiglio nazionale architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori), Confcultura – Associazione imprese private per la valorizzazione del Cultural Heritage, Confindustria Cultura Italia, Confindustria Radio Televisioni, DISMAMUSICA (Distribuzione industria strumenti musicali e artigianato), FEM (Federazione editori musicali), FIEG (Federazione italiana editori giornali), FIMI (Federazione industria musicale italiana), NUOVOIMAIE (Nuovo istituto mutualistico per la tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori), PMI (Produttori musicali indipendenti), SIAE (Società italiana degli autori ed editori), UNIVIDEO (Unione italiana editoria audiovisiva media digitali e online). Oltre sessanta personalità di primo piano dell’industria creativa e culturale del Paese hanno sostenuto Italia Creativa con le loro testimonianze, tra cui: Ennio Morricone, Carlo Verdone, Rosario Fiorello, Monica Maggioni, Fedele Confalonieri, Fabio Fazio, Dacia Maraini, Paolo Conte, Mogol, Lillo e Greg, Malika Ayane, Erri De Luca, Lorenzo Suraci, Maurizio Costa, Linus, Luigi De Laurentiis, Marco Mengoni, Giancarlo De Cataldo, Stefano Boeri, Walter Veltroni, Gianni Letta, Luigi Vicinanza, Mario Cucinella, Andrea Zappia, Andrée Ruth Shammah, Domenico Procacci, Tilde Corsi, Ferruccio De Bortoli, Michelangelo Pistoletto, Beppe Severgnini e molti altri ancora. febbraio 2016 La Rivista - 53 Musei Italiani: 2015 da record con 43 milioni di visitatori Dopo il Pantheon e il Parco di Capodimonte, il Parco del Castello di Miramare di Trieste è stato il luogo di cultura gratuito più visitato Il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini ha presentato lo scorso 13 gennaio al Comitato permanente del turismo, riunitosi al Collegio Romano, tutti i numeri dei musei italiani del 2015. “Quello che si è appena concluso - ha detto - è stato l’anno d’oro dei musei italiani. Circa 43 milioni di persone hanno visitato i luoghi della cultura statali generando incassi per circa 155milioni che torneranno interamente ai musei attraverso un sistema premiale che favorisce le migliori gestioni e garantisce le piccole realtà. Per la storia del nostro Paese è il miglior risultato di sempre, un record assoluto per i musei italiani, - ha aggiunto Franceschini - e anche rispetto al 2014, anno in cui si erano registrati numeri erano molto positivi, la crescita dei visitatori e degli incassi è significativa: +6% i visitatori (pari a circa +2,5milioni); +14% gli incassi (pari a circa +20milioni€); +4% gli ingressi gratuiti (pari a circa +900mila). E non siamo in presenza di una tendenza internazionale, anzi siamo in controtendenza se si guarda ai dati usciti sulla stampa estera. In Italia, grazie anche alle nuove politiche di valorizzazione, prime fra tutte le domeniche gratuite, gli italiani sono tornati a vivere i propri musei. Un riavvicinamento al patrimonio culturale - conclude Franceschini - che educa, arricchisce e rende consapevoli i cittadini della magnifica storia dei propri territori”. Guardando alle dinamiche regionali: il Lazio (19.750.157 ingressi e 62.838.837€ di introiti), la Campania (7.052.624 visitatori e 35.415022 € di introiti), la Toscana (6.738.862 visitatori 54 - La Rivista febbraio 2016 e 29.890.419 € di introiti), il Piemonte (1.903.255 visitatori e 10.829.653 € di introiti), la Lombardia (1.552.121 visitatori e 5.656.677 € di introiti) e il Friuli Venezia Giulia (1.194.545 visitatori e 1.151.233 € di introiti) confermano i dati assoluti più alti. I tassi di crescita più elevati sono invece stati registrati in Piemonte (+10% i visitatori e +61% gli introiti), Basilicata (+13% i visitatori e +37% gli introiti), Puglia (+5% i visitatori e +44% gli introiti), Toscana (+3% i visitatori e +19% gli introiti), Campania (+7% i visitatori e +13% gli introiti) e Emilia Romagna (+9% i visitatori e +11% gli introiti). I dieci luoghi della cultura più visitati nel 2015 sono stati: il Colosseo (6.551.046 visitatori, +6% rispetto al 2014, pari a +369.344 ingressi); gli Scavi di Pompei (2.934.010, +12% pari a +312.207 ingressi); gli Uffizi (1.971.596, +2% pari a +35.678 ingressi); le Gallerie dell’Accademia di Firenze (1.415.397, +6% pari a +79.656 ingressi); Castel S. Angelo (1.047.326, +2,5% pari a +26.007 ingressi); il Circuito Museale Boboli e Argenti(863.535, +5% pari a +40685 ingressi); il Museo Egizio di Torino (757.961 +33% pari +190.273 ingressi); la Venaria Reale (555.307 visitatori e una crescita del +6,5% degli introiti), la Galleria Borghese (506.442, invariato rispetto al 2014); la Reggia di Caserta (497.158, +16% pari a +69.019 ingressi). A seguire, Villa D’Este (439.468), la Galleria Palatina di Firenze (423.482), il Cenacolo Vinciano (420.333), il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (364.297), il Museo Nazionale Romano 356.345), gli Scavi di Ercolano (352.365), le Cappelle Medicee (321.043), gli Scavi di Ostia Antica (320.696), il Polo Reale di Torino (307.357), Paestum (300.347), il Museo Archeologico di Venezia (298.380) e le Gallerie dell’Accademia di Venezia (289.323). Tra i luoghi della cultura gratuiti primeggia il Pantheon che è stato visitato da un milione di persone in più rispetto allo scorso anno, a seguire il Parco di Capodimonte e il Parco del Castello di Miramare di Trieste. Un capitolo a sé quello delle domeniche gratuite: sono 5 milioni le persone che complessivamente hanno partecipato all’iniziativa. Il dato risulta dalla somma dei tre milioni e mezzo di ingressi nelle prime domeniche del 2015 e del milione e mezzo delle sei edizioni del 2014. Si tratta ormai di un vero e proprio appuntamento fisso per famiglie e turisti: i dati mostrano che dalla prima edizione del luglio del 2014 le presenze sono sostanzialmente raddoppiate ed ormai si attestano sui 250/300mila visitatori per ogni edizione, con picchi significativi, come quello della prima domenica del maggio 2015 che ha il record di presenze con 435mila visitatori. Connubio tra vecchio e nuovo – vista dal parco. © Roman Keller Un successo dopo l’altro per il Museo nazionale svizzero Doppia soddisfazione per il Museo nazionale svizzero: da un lato l’anno che si è appena concluso è stato ricco di successi, come dimostra l’elevato numero di visitatori per l’intero gruppo; dall’altro, si intravede finalmente la conclusione di un progetto di portata epocale: il 1° agosto 2016 verrà inaugurato il nuovo edificio del Museo nazionale Zurigo. Se negli anni scorsi l’attenzione è stata concentrata sull’apertura delle nuove mostre permanenti a Svitto e Prangins, ora tutti i riflettori sono puntati su Zurigo. Il 1° agosto 2016 rimarrà una data storica per il Museo nazionale: dopo circa 15 anni di impegno per seguire bando di gara, concorso, progetto edile, politica, pianificazione ed esecuzione dei lavori, il nuovo edificio sarà ufficialmente inaugurato. L’opera integra la costruzione originaria del 1898 realizzata dall’architetto Gustav Gull con ulteriori spazi affacciati sul parco Platzspitz. Vecchio e nuovo edificio saranno collegati direttamente fra loro e daranno vita a un unico complesso architettonico e urbanistico, in cui due stili diversi, rappresentativi del passato e del presente, si tendono la mano. L’Europa, Versailles e il Gottardo Le nuove sale zurighesi ospiteranno subito due mostre: «L’Europa nel Rinascimento», che pone a tema la cultura del dialogo, dello scambio di idee, delle metamorfosi e del transfer culturale su ampie distanze, e «Archeologia Svizzera», che presenta ai visitatori il ricco patrimonio archeologico elvetico. Presso il Castello di Prangins è in programma da marzo 2016 la mostra «Da Prangins a Versailles» che ripercorre la vita e le opere di Louis-Auguste Brun, il pittore di corte svizzero della regina Maria Antonietta. Il Forum della storia svizzera di Svitto affronterà invece un tema di grande attualità: in onore della NFTA, la più lunga galleria ferroviaria al mondo che verrà inaugurata a giugno 2016, proporrà da aprile la mostra «Gottardo. Via attraverso la montagna». La nuova ala del Museo nazionale affacciata sul parco. © Roman Keller Un 2015 ricco di visitatori Il Museo nazionale svizzero dà grande importanza non solo al livello qualitativo delle mostre, ma anche alla varietà delle tematiche affrontate. Nel 2015, il gruppo ha proposto un’offerta che spaziava dagli eventi cruciali della storia elvetica all’evoluzione del mondo del lavoro, dai cambiamenti meteorologici all’opera di Alois Carigiet. Il successo di pubblico registrato dimostra che il bouquet degli argomenti prescelti era davvero ben assortito. In particolare, l’attrattività del Castello di Prangins è stata comprovata, oltre che dai ben 37 150 visitatori, dalla nomination al Premio europeo del museo 2015. Il Forum della storia svizzera di Svitto, che ha staccato 23 200 biglietti, ha saputo replicare il successo degli anni scorsi anche grazie alla pregevole «schwarze Stube». E anche il Museo nazionale Zurigo, nonostante le opere edilizie in corso, è riuscito con un totale di 230 527 visitatori a superare ancora una volta le cifre dell’anno precedente. Scala ristrutturata nel vecchio edificio. © Roman Keller febbraio 2016 La Rivista - 55 Le traversie sentimentali e artistiche di Richard Wagner, in fuga da Zurigo per Venezia Zurigo, Villa Wesendonck, oggi costituisce l’edificio principale del Museo Rietberg di Giuseppe Muscardini Tra Sigfrido e Tristano L’amore travagliato del grande musicista tedesco per Mathilde Luckenmeier iniziò nei lussuosi ambienti di Villa Wesendonck. Oggi la villa è sede del Museo Rietberg. L’asilo, l’amore e la musica Se passando da Bonn troveremo il tempo di sostare davanti al ritratto di Mathilde Luckenmeier conservato allo Stadtmuseum, non ci stupiremo troppo dell’idillio sbocciato a Zurigo fra Richard Wagner e la giovane moglie dell’industriale Otto Wesendonck. Con l’occhio influenzato da incontenibile senso estetico, sorgerà allora in noi una domanda spontanea: avrebbe potuto il celebre musicista evitare il turbamento davanti alla femminilità e all’eleganza di Mathilde, magistralmente dipinta da Karl Ferdinand Sohn nel 1850, due anni prima dell’incontro fatale? Ventiquattro anni lei, trentanove lui, nel febbraio 1852 i due ebbero a Zurigo una prima consapevolezza della passione che li avrebbe legati. Eppure l’amore maturò con lentezza, ostacolato dalla difficoltà di gestire una situazione alquanto complicata: ben vigilato dalla gelosissima moglie Minna Planer, Wagner era ospite di Otto Wesendonck, che in segno di stima gli aveva generosamente concesso in affitto simbolico una comoda abitazione denominata das Asyl, poco distante Karl Ferdinand Sohn, Ritratto di Mathilde Wesendonk, 1850 olio su tela, cm 124,5 x 97, Bonn, StadtMuseum da Villa Wesendonck, all’epoca ancora in costruzione. Cinque anni trascorsero prima che passione e sentimento potessero esplodere, e questo avvenne alla fine del 1857 alla festa di inaugurazione della Villa, dopo un concerto in cui gli elementi di un’orchestra dispensarono melodie beethoveniane. Quando passione e sentimento si manifestarono, raggiunsero un livello di coinvolgimento tale da indurre Wagner a interrompere il secondo atto del Sigfrido per intraprendere la composizione del Tristano, più vicino per tema allo smarrimento amoroso da cui era invaso sul finire di quel 1857. Ma, come 56 - La Rivista febbraio 2016 sempre accade nei melodrammi, l’amore clandestino fu scoperto da Minna, che non risparmiò al marito le scenate della donna umiliata, con strepiti e urla risentite. L’esito infelice della vicenda impose ai Wesendonck la partenza per l’Italia, a Minna il ritorno a Dresda e a Wagner una pesante solitudine zurighese decretata dagli eventi improvvisi, durante la quale lavorò al secondo atto del Tristano. Dotato di passaporto svizzero, agli inizi di settembre del 1858 riparò momentaneamente a Venezia, dove continuò con ardore disperato a mettere in note il suo capolavoro. Il secondo atto è la rappresenta- zione tutta emotiva di un amore struggente ma incapace di soddisfare le aspettative di due amanti. Solo superando i limiti fisici e temporali può esserci pieno godimento per Tristano e Isotta: Fuor dal mondo, fuor del giorno, senza angosce, dolce ebbrezza, senza assenza, mai divisi, soli, avanti, sempre, sempre, nell’immenso spazio!… Venezia e Lucerna, città wagneriane Dalla città lagunare, che con i suoi silenzi notturni rotti dallo sciabordio delle acque nei canali tanto ispirò la partitura del dramma musicale, Wagner informava puntualmen- te l’amante lontana del progredire del suo lavoro, riferendole delle rielaborazioni dei Wesendonck Lieder, precedentemente strumentati sulle liriche di Mathilde, poetessa dilettante ma non priva di estro. Nonostante le intenzioni di Wagner, propenso a terminare il Tristano a Venezia, fu a Lucerna che il 6 agosto 1859 mise fine al terzo ed ultimo atto. La stesura fu ultimata in una stanza al secondo piano del prestigioso Hotel Schweizerhof, da lui occupata da marzo a settembre di quell’anno. La conclusione dell’opera fu salutata da versi scherzosi con cui il musicista esaltava non solo la vicenda dei due spasimanti, ma anche il luogo in cui lui si trovava, a memoria perenne della fatica che i tre atti, portati a compimento, avevano richiesto: Allo Schweizerhof di Lucerna, / lontano da casa, / morirono Tristano e Isotta, / lui triste e lei leggiadra, / morirono felicemente, liberi come l’aria, / allo Schweizerhof di Lucerna, / gestito dal Colonnello Segesser. Così Wagner terminava l’ultimo atto del Tristan und Isolde, ponendo fine al dramma musicale ambientato in Cornovaglia. Per associazione la sventurata storia dei due amanti era per Wagner molto avvincente: tormentato dall’amore impossibile per Mathilde Wesendonck, era stato obbligato nella fase compositiva del Tristano a gravose peregrinazioni fra Zurigo, Venezia e Lucerna. Un capitolo della biografia e della produzione musicale di Richard Wagner, questo, contrassegnato da reazioni tardive: Tristano und Isolde fu rappresentato la prima volta il 10 giugno 1865 al Nationaltheater di Monaco di Baviera. Ne furono interpreti Ludwig Schnorr von Carlosfeld e Malwine Garriges, nei rispettivi ruoli dei protagonisti, riuscendo per l’occasione grazie anche alla loro effettiva unione nella vita - a comunicare al pubblico l’intera gamma dei sentimenti espressi in forma dialogica nel libretto. L’imponenza fisica di Ludwig Schnorr ben si confaceva all’estensione vocale dell’Heldentenor, richiesta per il ruolo canoro di Tristano. Così come la figura più esile di Malwine, anche in funzione della stessa vocalità, era idonea a sostenere la parte di Isotta. Apparve subito chiaro il carattere innovativo dell’opera wagneriana, dove la poesia non era in subordine rispetto alla musica e dove nel contempo il canto perdeva la sua funzione primaria nei confronti dell’orchestra. Lo strascico dell’amore burrascoso per Mathilde Wesendonck, aveva generato in Wagner le condizioni per uno sviluppo creativo a tutto vantaggio di una partitura che nella storia della musica si rivela come autentica rivoluzione. Nel Tristan und Isolde lo stravolgimento delle norme fisse dell’armonia, l’utilizzo di silenzi pesanti fra un quadro e l’altro, il ruolo fondamentale degli archi e dei legni, la profondità del pianissimo dei timpani, gettano le basi per una concezione tutta nuova del dramma musicale, con cui necessariamente faranno i conti i compositori del tardo Ottocento. Altri amori: dai Wesendonck Lieder a L’idillio di Tribschen Per il fatto che Wagner e Mathilde si frequentarono di nascosto a Villa Wesendock in preda a reciproci e amorosi sensi, oggi quegli stessi ambienti, diventati dal 1952 spazi espositivi del Museo Rietberg, stimolano l’evocazione di ardenti incontri d’amore. Lo stile neoclassico della facciata, con le colonne, i busti e le due statue ellenizzanti poste ai lati dell’ingresso, offrono ancora oggi suggestioni potenti per immaginare la storia amorosa a cui si abbandonarono l’uomo del crepuscolo (appellativo giocoso attribuito a Wagner) e la bella moglie di un facoltoso commerciante di seta. E come spesso accade quando gli amori autentici sono contrastati, determinando lontananze dolorose, Richard e Mathilde si separarono per forza di cose dagli ambienti romantici di Villa Wesendonck. Venezia attrasse Wagner per la dolce e delicata malinconia che la città sull’acqua avrebbe saputo ispirargli in un momento in cui la sua vita affettiva era stravolta. A Venezia l’uomo del crepuscolo ritornerà più volte nei ventiquattro anni successivi, fino a sceglierla come luogo dove terminare l’esistenza. Il 13 febbraio 1883 si spense all’età di settanta anni nelle stanze di Palazzo Vendramin-Calergi, dove si era trasferito con la seconda moglie Cosima e i figli. Wagner aveva assegnato non a caso il nome di Sigfrido all’unico figlio maschio, che divenne a sua volta un noto compositore e direttore d’orchestra. Siegfried Helferich Richard era nato il 6 giugno 1869 a Tribschen, presso Lucerna. Qui, nella casa sul lago, ora Museo Wagner, fu composto nel 1870 il toccante Idillio di Sigfrido, inizialmente intitolato Idillio di Tribschen. Ritratto fotografico di Richard Wagner, 1860 febbraio 2016 La Rivista - 57 È attorno alla Graphic novel che ruoterà l’evento primaverile del Festival del film Locarno, previsto dal 10 al 13 marzo 2016 La locandina di “Eros” realizzata da Lorenzo Mattotti L’immagine e la parola: quattro giorni nell’universo di Blutch e Mattotti Dopo essersi concentrata sulla scrittura in prima persona di Emmanuel Carrère, la quarta edizione de L’immagine e la parola ha deciso di indagare il mondo della Graphic novel, accogliendo due tra i più stimolanti interpreti della contemporaneità. Se il cinema è l’arte del movimento, il fumetto – al suo opposto – utilizza immagini e parole per fermare l’attimo caricandolo di un forte significato. Come se si trattasse di fotogrammi rubati allo scorrere del tempo, le vignette sviluppano un linguaggio che con il cinema intrattiene un rapporto intimo e mai banale. “Pour en finir avec le cinéma” definito dai Cahiers du Cinéma uno dei più grandi saggi teorici sul cinema, è una riflessione sulla settima arte all’alba del XXI secolo aver invaso gli schermi cinematografici, portandovi il suo tratto iperrealistico e il suo graffio surreale. Guardando oltre le mode del momento e cercando di andare alle radici di un rapporto tra due strumenti espressivi da sempre in dialogo, abbiamo invitato due artisti unici cercando di vedere come guardano al cinema e come questo s’interfaccia con la loro pratica. Blutch e Lorenzo Mattotti – due tra i più visionari scrutatori del presente – più che ospiti sono i compagni a cui abbiamo consegnato le chiavi della prossima edizione de L’immagine e la parola, chiedendo loro di indicarci i film da mostrare, accostando due universi artistici senza volerli ridurre a unità. Ringrazio fin d’ora Blutch e Lorenzo Mattotti che con la loro generosità e con il loro contributo sapranno arricchire e intrattenere il pubblico della prossima edizione”. Blutch è uno dei principali autori della Graphic novel francese. Conosciuto per le avventure di Petit Christian, pubblicato per la prima volta nel 2008 su Charlie Hebdo, 58 - La Rivista febbraio 2016 “In questi anni - afferma Carlo Chatrian, Direttore artistico del festival del film di Locarno - il mondo della Graphic novel sembra è stato tradotto in tutto il mondo vincendo il Grand prix del festival del fumetto d’Angoulême nel 2009. L’artista con un solido rapporto con il cinema, ha collaborato con Alain Resnais e con cineasti della nuova generazione come Mathieu Amalric e Bruno Podalydès. La sua pubblicazione Pour en finir avec le cinéma (Per farla finita con il cinema), definito dai Cahiers du Cinéma uno dei più grandi saggi teorici sul cinema, è una riflessione sulla settima arte all’alba del XXI secolo. Lorenzo Mattotti esordisce alla fine degli anni ‘70 all’interno del collettivo bolognese Valvoline, nel 1984 realizza Fuochi, storia della progressiva pazzia di un militare, tradotto in tutto il mondo vincendo importanti premi internazionali. Oggi Mattotti lavora come illustratore per le più importanti riviste internazionali, tra cui The New Yorker, Le Monde, Das Magazin, Süddeutsche Zeitung, Nouvel Observateur, Corriere della Sera e La Repubblica. Numerose le mostre personali a lui dedicate, tra cui la più recente inau- gurata presso la fondazione Leclerc. Tra i suoi libri si ricorda Signor Spartaco, Doctor Nefasto, L’uomo alla finestra e Dr. Jekyll & Mr. Hyde. Famoso per il suo tratto onirico che ha attirato l’attenzione di grandi artisti contemporanei, il disegno di Mattotti apre un dialogo prolifico con il cinema. Nel 2000, realizza per il festival di Cannes il manifesto ufficiale e nel 2004 contribuisce al film Eros di Michelangelo Antonioni, Wong Kar-wai e Steven Soderbergh, realizzando i segmenti di collegamento fra i tre episodi. Assieme a Blutch partecipa nel 2007 al film d’animazione collettivo Peur(s) du noir e nel 2012 lavora al film d’animazione Pinocchio, diretto dal regista Enzo D’Alò, ideatore de La gabbianella e il gatto. La quarta edizione de L’immagine e la parola, sotto la direzione artistica di Carlo Chatrian e a cura della critica cinematografica Daniela Persico fa parte del programma della Primavera Locarnese e avrà luogo al Teatro Kursaal di Locarno e al Monte Verità di Ascona. Sequenze di Jean de la Mulière Sangue del mio Suffraggette di Sara Gavron sangue The hateful eight di Quentin Tarantino di Marco Bellocchio Bobbio, ieri. Federico, uomo d’arme a cavallo, bussa alla porta di un convento per riabilitare la memoria di Fabrizio, il fratello sacerdote morto suicida. Di aver condotto il giovane al gesto estremo è accusata Benedetta, una giovane suora che secondo l’Inquisizione lo avrebbe amato, sedotto e condotto alla follia. Ma la vendetta di Federico volge presto in desiderio. Refrattaria al pentimento e agita dal piacere, Benedetta è condannata alla prigione perpetua e murata viva in una cella del convento. Bobbio, oggi. Federico, sedicente ispettore del Ministero, bussa al medesimo convento, che, apparentemente abbandonato ai capricci delle stagioni e all’incuria del comune, è abitato da un enigmatico conte, che ha abbandonato i vivi per i redivivi. Coniuge ‘estinto’ di una vedova (in)consolabile, il conte lascia la sua cella di notte e attraversa il paese interrogando amici e nemici sullo ‘stato delle cose’. Bellocchio gira un film che gli è familiare in più di un senso (per i luoghi raccontati, gli interpreti coinvolti, perfino per i temi) e che gli permette di sciogliere la sua fantasiosa creatività, alternando il rigore ingannevole della ricostruzione d’epoca all’ironia surreale con cui tratteggia l’attualità. Così, tra quadri del XVII secolo accompagnati da una versione corale di Nothing Else Matters dei Metallica, stanchi vampiri contemporanei, passioni fatali e piccole e grandi truffe, il film procede ai limiti del sarcastico per raccontare piccole, eterne verità come quelle relative all’inadeguatezza degli uomini, alle loro piccole meschinità, all’arroganza ottusa di ogni autorità e all’eterno femminino che è insieme salvezza e dannazione, vita e morte. Londra 1912. Maud Watts è una giovane donna, madre e moglie occupata nella lavanderia industriale di Mr. Taylor, un uomo senza scrupoli che abusa quotidianamente delle sue operaie. Le sue giornate sono sempre brevi, tanto quanto il tempo che riesce a dedicare al piccolo George. Un giorno le viene chiesto di consegnare un pacco e si trova casualmente coinvolta in un’azione del movimento delle suffragette, gruppo di donne dalle differenti estrazioni sociali in lotta per il diritto al voto alle donne. Ignorate dai giornali, che temono gli strali della censura governativa, e dai politici, che le ritengono instabili e inette fuori dai confini concessi, decidono unite di passare alle maniere forti. Mite e appartata, Maud diventa presto una militante appassionata e decisa a vendicare le violenze in fabbrica e a riscattare una vita che la costringe alle dipendenze degli uomini. Un ingresso periferico, dalla porta di servizio, per la Gavron, che non indugia sulla più nota e rappresentativa figura storica di quel movimento, Emmeline Pankhurst, che nel film intravediamo giusto in un paio di scene irradiare il suo carisma, interpretato da Meryl Streep. Uno dei meriti del film è proprio quello di rendere in carne, ossa e dolore la straziante situazione quotidiana di una giovane donna come tante altre, il suo essere costretta, quasi per inerzia istintiva, a impegnarsi nella lotta, in parallelo con l’ostracismo implacabile che accompagna il suo essere riconosciuta dall’ambiente intorno a lei come suffragetta. La Gavron delinea con realismo un movimento che a un secolo di distanza è ormai lontano nella memoria collettiva come un bozzetto folkloristico. La guerra di secessione è finita da qualche anno. Una diligenza viaggia nell’innevato inverno del Wyoming. A bordo c’è il cacciatore di taglie John “The Hangman” Ruth (Kurt Russell) e la sua prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), diretti verso la città di Red Rock dove la donna verrà consegnata alla giustizia. Lungo la strada, si aggiungono il Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson), un ex soldato diventato anche lui un famoso cacciatore di taglie, e Chris Mannix (Walton Goggins) , che si presenta come nuovo sceriffo di Red Rock. Infuria la tempesta e la compagnia trova rifugio presso la stazione della diligenza di Minnie Haberdashery, dove vengono accolti non dalla proprietaria, ma da quattro sconosciuti: Bob (Demian Bichir), che è accompagnato dal boia di Red Rock Oswaldo Mobray (Tim Roth), il mandriano Joe Gage (Michael Madsen) e il generale della Confederazione Sanford Smithers (Bruce Dern). La bufera blocca gli otto personaggi che ben presto capiscono che raggiungere la loro destinazione non sarà affatto semplice. Per molte ragioni. A Tarantino basta pochissimo per fare cinema ai massimi livelli: degli attori e un luogo dove farli sedere. The Hateful Eight è la sua sceneggiatura più claustrofobica, tutta giocata in pochi interni e molti dialoghi, otto attori e il West sottolineato dalla colonna sonora di Ennio Morricone (vedi segnalazione in Diapason pag 61). Dopo Django Unchained, il regista torna di nuovo all’western, questa volta senza i grandi scenari, ma con una tempesta di neve che chiude otto uomini nei più serrati dialoghi tarantiniani, che sfociano nella consueta estetizzazione della violenza. febbraio 2016 La Rivista - 59 Pubblicato Il Morandini 2016 Il dizionario dei film e delle serie televisive di Augusto Orsi È il dizionario dei film e delle serie televisive. Pubblicato da Zanichelli, il volume è uscito per la prima volta nel 1999. Per 16 anni è stato annualmente aggiornato da Morando Morandini insieme alla moglie Laura (scomparsa nel 2003) e la figlia Luisa. “La sua passione, la sua cura nei dettagli, il suo stile pungente e mai banale hanno contribuito a creare un’opera che è e rimarrà il riferimento per tutti i cinefili”. Morando, decano dei critici cinematografici italiani, è scomparso lo scorso ottobre all’età di 91 anni. Lo avevo conosciuto e sovente frequentato al Festival del cinema di Locarno. Nel 2000 ero stato con lui nella giuria Fipresci della Mostra del Cinema di Venezia conferendo il premio della Federazione mondiale dei critici cinematografici a The Circle di Jafar Panahi. Lo ricordo con simpatia come un collega affabile e un critico competente ed acuto nei suoi giudizi. Dalla Notte al Giorno La sua carriera è stata il risultato di una passione che si era trasformata in lavoro. Inizia a scrivere per La Notte, dando vita alla rubrica Dove si va stasera, in seguito a Stasera, per poi passare a Il Giorno, curando la sezione di cultura e spettacolo. Nel 1998 ricevette il premio “Flaiano” e lo scorso anno “L’Ambrogino d’oro”. La nuova edizione del Dizionario di film e delle serie televisive dà 5 stelle al film di Iñarritu e mette in copertina “Youth – La giovinezza” di Paolo Sorrentino (4 stelle). Quattro stelle anche a Mario Martone, Nanni Moretti, Ermanno Olmi. A La Trattativa della Guzzanti, Selma e al cartone Inside Out. Deludenti, secondo il Morandini, i fratelli Taviani, il Pasolini di Abel Ferrara, American Sniper di Clint Eastwood e La Teoria del tutto. La copertina è per tradizione del dizionario dedicata a un film italiano. Ma il miglior film della passata stagione è Birdman di Alejandro González Iñárritu. Promosso a pieni voti con cinque stelle (il massimo punteggio attribuito dagli autori) la pellicola in cui “…la potente originalità della storia è esaltata dallo stile con cui è raccontata, caratterizzato da pochi 60 - La Rivista febbraio 2016 piani-sequenza e dall’alternarsi di momenti in cui la macchina da presa si muove velocemente al ritmo scatenato di una batteria jazz, abbinato a colori dark e penombra, e momenti di quiete a macchina fissa sul sottofondo di musica classica e di colori e luce solari“. Malgrado tutto il cinema italiano “si comporta bene” Poiché quella appena passata è stata una grande annata cinematografica, il Morandini ha aggiornato le sue schede arrivando a 26.500 film dal 1902 all’estate 2015 (16.500 nel volume cartaceo). Per il cinema italiano, che “nonostante le eccezioni, continua a comportarsi bene, numerose e meritate le quattro stellette”. A Il giovane favoloso di Mario Martone sulla vita di Giacomo Leopardi, che nella prima parte “incanta ed emoziona fino ai brividi”. Quattro stelle anche a Mia madre di Nanni Moretti “Film dolente e coraggioso”; Anime nere di Francesco Munzi “…forte emotivamente e figurativamente, popolato di facce e attori strepitosi…” Quattro anche a Torneranno i prati in cui il regista Ermanno Olmi “…come sempre, cava forse la più bella, penetrante, essenziale rappresentazione cinematografica della guerra”. Fuori d’Italia pioggia di stelle (4) anche per Selma di Ava Du Vernay imperniato sulla storia della conquista dei diritti civili degli afroamericani. Inside Out, il nuovo gioiello della Pixar distribuito dalla Disney ha fatto centro: “Non una caduta, non una sbavatura, non un momento sbagliato. Imperdibile”. Come detto, delude invece Meraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani dove “una recitazione filodrammatica penosa e la prolissità uccidono tutte le migliori intenzioni”. Solo due le stelle al Pasolini di Abel Ferrara che resta tuttavia “un ritratto secco e vuoto che non dice nulla dei suoi tormenti interiori personali e politici, che non racconta, a chi non lo conosce, nulla del suo cinema né del suo pensiero”. Due stelle e mezza anche a un mostro sacro del cinema, l’85enne Clint Eastwood che stavolta con American Sniper non ha affatto convinto. Il Dizionario contiene 600 cortometraggi, tra cui i tre vincitori del Premio Morandini. Inoltre, trovano spazio le schede di 550 serie televisive. Diapason di Luca D’Alessandro Umberto Tozzi Ma Che Spettacolo Jasmine Tommaso Nelle Mie Corde Ma Che Spettacolo è stato anticipato dal brano Sei Tu L’Immenso Amore Mio. Quest’ultimo, accompagnato da un video scritto e diretto da Paolo Rossini, ambientato a Venezia, vede protagonista la conduttrice e attrice Elisabetta Gregoraci. L’album, che contiene tredici tracce inedite, è uscito per Momy Records ed è arrivato a tre anni di distanza dall’ultima pubblicazione di Tozzi, Yesterday, Today. Brani scritti tra febbraio e marzo del 2015; secondo l’autore, in un momento di grande ispirazione, che trattano le tematiche amorose e quelle legate all’attualità politica e sociale. “Sono scosso da tutto quello che avviene nel mondo, soprattutto ai bambini”, spiega Tozzi in un’intervista concessa a sorrisi.com Una giovane cantante di origine romana sta assumendo rilevanza mondiale sulla scena jazzistica internazionale. Jasmine Tommaso, figlia del bassista Giovanni Tommaso, nel suo ultimo album Nelle Mie Corde fa trapelare il suo talento da cantante variopinta e creativa, in grado di muoversi - e questo con grande abilità - in due lingue: l’italiano e l’inglese. La tracklist comprende composizioni proprie, come Freedom To Love e Sing From The Heart, e brani provenienti dal Great American Songbook (Summertime di George Gershwin) e dalla tradizione italiana (Ho Capito Che Ti Amo di Luigi Tenco). Hanno partecipato alla realizzazione di quest’album Claudio Filippini al pianoforte, Giovanni Tommaso al basso, Marco Valeri alla batteria e il noto trombettista jazz Fabrizio Bosso. Ennio Morricone The Hateful 8 Max Gazzé Maximilian La persuasione del regista Quentin Tarantino si è dimostrata uno strumento efficace nell’incoraggiare il Maestro Ennio Morricone a comporre la colonna sonora per il western The Hateful 8, uscito a gennaio. “Morricone è il mio compositore preferito”, dichiara Tarantino ai media, “dovevo assolutamente convincerlo di collaborare.” A quarant’anni di distanza dall’uscita di Il buono, il brutto e il cattivo, Morricone si rivede dunque nei panni da compositore di musica da far west. L’album contiene tracce composte dal Maestro e canzoni di artisti quali i White Stripes e Roy Orbison. Alcune delle tracce sono state recuperate da brani composti per la colonna sonora di La Cosa, un racconto horror-fantascientifico di John Carpenter. Maximilian è una sorta di alter ego di Max Gazzé, “arrivato” da un altro mondo per sconvolgere i piani del cantautore romano, secondo i quali, l’album doveva risultare in un vero e proprio esperimento acustico. Infine, però, l’album uscito a fine ottobre 2015, rispetto ai lavori precedenti del cantautore romano, si è allineato ancora più strettamente sulla struttura della musica pop. L’autore utilizza dei suoni elettronici e funky, impegnando dei bassi forti, delle chitarre elettriche e delle tastiere di vario tipo. Hanno collaborato gli amici Niccolò Fabi e Daniele Silvestri alla produzione di questo disco, che è stato registrato e mixato a Roma prima che venisse masterizzato a New York da Chris Gehringer presso lo Sterling Sound. (Momy / Sony) (Universal) (AlfaMusic) (Universal) febbraio 2016 La Rivista - 61 I protagonisti silenziosi delle montagne ticinesi L’Alpe Quadrella di Rocco Lettieri Ogni distretto, ogni vallata, ogni alpeggio ha il suo formaggio In tutta la Svizzera si producono formaggi: Emmental, Sbrinz, Appenzel, Royalp e Gruyère; quest’ultimo, prodotto tra Friburgo e Losanna, è l’unico ad avere caratteristiche identiche ad un formaggio nostrano ticinese, prodotto esclusivo, determinante per l’economia alpestre, così legata all’esistenza dei casari da divenire un autentico fatto sociale. La struttura che maggiormente caratterizza il settore ha dimensioni medio piccole con pochi capi per azienda. Le complessità pedologiche, climatiche, topografiche e geomorfologiche del territorio fanno sì che la tipologia dell’offerta casearia si presenti limitata al “semiduro grasso” con presenze di formaggelle, robiole e formaggini, sia del tipo piatto che del tipo alto, comunemente detto “buscion” (tappo) per la sua forma, e l’ottima ricotta qui chiamata mascarpa. Si tratta di una realtà produttiva ben radicata al territorio che la esprime con tutta la sua carica anche emotiva. Mungitura delle capre Breve storia del formaggio Ma cos’è in effetti il formaggio? Si dice che derivi da formos, termine greco per indicare il canestro nel quale veniva collocato il caglio. La sua scoperta risale a 4000 anni prima di Cristo, infatti, in un bassorilievo risalente al 3000 a.C. conservato al British Museum di Londra, sono rappresentate le varie fasi della lavorazione del formaggio che veniva eseguita dai sacerdoti. Citazioni sull’uso del latte e dei suoi derivati si ritrovano anche nelle Sacre Scritture, ma sono i Greci e i Romani che svilupparono la tecnologia della trasformazione del latte, dando origine a diversi tipi di formaggio a pasta dura idonei ad essere grattugiati. La testimonianza più concreta, che rappresenta un vero trattato sul formaggio, risale al secolo XV con titolo “Summe lacticiniorum” di un certo Pantaleone, medico di Confienza, località agricola vicino a 62 - La Rivista febbraio 2016 Vercelli. In questo trattato l’autore inizia a parlare del formarsi del latte e delle diversità del latte in rapporto al tipo di nutrimento del bestiame; dedica molto spazio alla coagulazione e alla conservazione dei formaggi, descrivendone anche le principali caratteristiche. Il trattato è diviso in tre sezioni. La prima contiene diciassette capitoli e tratta del latte, del burro, delle diversità dei formaggi rispetto alla stagionatura, alla salatura e alla conservazione. La seconda contiene quindici capitoli, dove si parla di formaggi del mondo. La terza conta otto capitoli nei quali si suggerisce a chi somministrare i vari tipi di formaggi. Nel perdurare dei secoli il formaggio ha avuto anche un rapporto ambiguo, oggetto tanto di fanatismi quanto di repulsioni. Piero Camporesi, nella sua raccolta di saggi Le officine dei sensi, scriveva: “... per molti secoli si ritenne che la malignità intrinseca del formaggio, la sua nequizia venisse preavvertita e segnalata dal suo odore, per non pochi nauseabondo e stomachevole, indice sicuro di residuo in decomposizione, materia sfatta e deleteria, sostanza putridinosa nociva alla salute e terribile corruttore degli umori …”. Indegno di persone per bene Da tale convinzione discendeva che il formaggio fosse considerato cibo da contadini e da poveracci, indegno di persone per bene e civili. D’altra parte, è anche vero che le origini del formaggio rimandano a pastori e che la sua invenzione rispondeva a leggi economiche e di sopravvivenza. Il suo consumo nelle taverne cominciò ad imporsi nel ‘700 unitamente al burro, che si era impadronito della grande cucina aristocratica. Lo prova il fatto che risalgono a questo periodo le terminologie più appro- priate per le quali i nomi cominciarono a fare riferimento a tipicità produttive e di luogo. Oggi il formaggio ha trovato la giusta collocazione ed ora è ai vertici dell’agricoltura, dell’industria e della commercializzazione. Il generale De Gaulle diceva: “Come si può governare un Paese che ha più formaggi che giorni nel calendario?”. E qui per quanto risaputo non sarà banale ricordare che in Francia il formaggio è protagonista in ogni tavola. Che dire allora dell’Italia, che secondo uno studio dell’Insor (Istituto di Sociologia Rurale) ne segnala ben 438 di cui una cinquantina tutelati da una Denominazione Tipica o di Origine? Il formaggio, per la sua costituzione chimica e biochimica e per i molteplici fattori naturali e umani che ne influenzano le caratteristiche, risulta essere un alimento estremamente complesso di spiccata unicità. Pur se la base è costituita da tre soli elementi: acqua, grasso e proteine con aggiunta di sale (cloruro di sodio), le differenze di ogni formaggio sono giustificate dal tipo di latte, di foraggio, il tutto in dipendenza della tecnica di fabbricazione. I prodotti che si ricavano acquistano caratteristiche proprie, uniche, a volte irripetibili, al di fuori dell’ambiente di origine. La conseguenza di tutto ciò determina inevitabilmente nei formaggi varietà di caratteristiche organolettiche ricche di sfumature, di aroma e di gusti per il piacere di chi li consuma. I formaggi degli alpeggi ticinesi Il Canton Ticino, grazie alla sua configurazione alpestre, ha sempre potuto contare su un alto numero di alpeggi, che durante il periodo estivo vengono utilizzati anche per fare formaggi. Ognuno degli otto distretti, in cui si suddivide il Cantone, ha superficie sufficiente per ospitare numerosi alpeggiatori, che con volontà ferrea sostengono un’economia di inestimabile valore. Da un’attenta analisi risulta che nel 1911 Federico Merz nel suo libro Gli Alpi nel Canton Ticino segnalava ben 437 alpeggi, dove si producevano formaggi. Nel 1976, il “sciur maestro” Celso Pedretti di Giubiasco, verificava il buono stato di ben 286 alpeggi segnalati nel libro Catasto della produzione agricola e alpestre. Verifiche personali effettuate in compagnia della fotografa Enrica Frigerio, per la pubblicazione di un libro guida/documento ai formaggi degli alpeggi ticinesi (volume esaurito, introvabile, vedi scheda pagina 67 - ndr), mi fornirono un quadro generale (circa 110 alpeggi sono ancora oggi in attività) di indubbio valore economico e sociale. Sulla qualità del formaggio d’alpe vigila il SICL (Servizio di Ispezione e Consulenza Alpeggio in Val di Blenio per l’Economia Lattiera) di Sant’Antonino, i cui responsabili, svolgono un lavoro prezioso a tutto beneficio della qualità del prodotto e alla fine, del consumatore. La maggior parte degli alpeggi caricati, considerando anche le corti, si trovano nella Leventina seguiti da quelli del distretto di Blenio e poi quelli di Vallemaggia e Locarno, con la particolarità che in questi ultimi due distretti, gli alpeggi sono raggiungibili quasi tutti a piedi con anche oltre 3/4 ore di cammino. Nel distretto della Leventina, il più a Nord, che inizia sul San Gottardo sino a Biasca e nella valle Bedretto sino alla Nüfenen, si utilizza esclusivamente latte di mucca, fatto salva l’Alpe di Prato che aggiunge anche latte di capra; la maggior parte degli alpeggi sono caricati con il sistema della “boggia” (corporazione dei proprietari del bestiame). Per questo motivo la produzione è ripartita proporzionalmente fra i boggesi che provvedono anche alla commercializzazione diretta. Le caratteristiche di questi formaggi risentono dell’ottima qualità dell’erba dei pascoli, che si spingono sino a 2500 metri e anche di più. I nomi più celebrati, a partire dal mitico Piora, sono Pontino, Sorescia, Fortunei, Ce, Fieudo e in Valle Bedretto Formazzora, Cristallina, Manegorio, Cruina e Stabiello; sul versante destro orografico della valle troviamo, Cadonigo, Geira, Prato, Pesciüm e Ravina e sul versante sinistro Crastumo, Nara, Carì e Stou di sotto. Il formaggio è del tipo “semiduro grasso”, buono da tavola dopo quattro mesi, ottimo dopo sei mesi, eccellente dopo un anno. In Valle di Blenio, come nella Leventina, la caratteristica dei formaggi risente della flora alpina dei pascoli che si spingono sino a 2800 metri. Il latte è esclusivamente di febbraio 2016 La Rivista - 63 Il taglio della cagliata mucca. L’Alpe più grande è il Lucomagno, che per ampiezza può essere comparato a Piora. Fra i principali segnaliamo: Croce, Pertusio, Predasca, Motterascio (Capanna Michela), Garzotto (diga del Luzzone), Cavallasca, Gorda, Bresciana e Bolla Carassina (sul sentiero che sale all’Adula). In Riviera sono rimasti caricati quattro alpeggi e tutti in Val Pontirone: Cava, Scengio (solo capre), Giumella e Lesgiuna. Nel distretto Locarnese, che comprende anche la Centovalli e Val Verzasca, la qualità del formaggio è più spiccata per l’aggiunta di latte di capra (20/30%) al latte di mucca, il che contribuisce a dare al formaggio un sapore leggermente piccante. Questi formaggi possono essere consumati giovani già dopo 3/4 mesi di maturazione. Hanno colore più bianco di quelli di solo latte di mucca e la pasta si presenta più omogenea e compatta. Quasi tutti gli alpeggi sono dislocati in zone alte e sono raggiungibili solo a piedi. I nomi più ricorrenti sono: Fumegna, Mugaia, Redorta, Porcaresc, Salei (c’è la funivia), Pesced e Montoia. La Vallemaggia occupa un distretto molto importante ed è distribuito su diverse valli. Il formaggio è simile a quello prodotto nel Locarnese per l’aggiunta di latte di capra a quello di vacca. Gli alpeggi sono poco conosciuti ma i formaggi sono meravigliosi. Tra gli alpeggi principali ricordiamo: Alzasca (4 ore a piedi), Bolla e Froda, Campo la Torba (per i laghi di Naret), Grossalp, Vaccarisc e Zarìa. Nel Bellinzonese troviamo in funzione validi alpeggi (raggiungibili anche in auto) tra i quali figura l’Alpe Giumello, di proprietà dello Stato, su cui viene caricato il bestiame dell’Istituto Agrario di Mezzana. 64 - La Rivista febbraio 2016 Su quest’alpe vengono tenuti corsi di aggiornamento per apprendisti caseari la cui formazione teorica è impartita a all’Istituto Agrario di Mezzana nel Mendrisiotto. Possiamo trovare formaggi ottenuti con latte di mucca o di sola capra come pure formaggi prodotti con latte misto. I nomi, oltre a Giumello, sono Lagonce, Gesero, Mornera, Monda e Caneggio. Nel Luganese gli alpeggi ancora sfruttati sono una quindicina, molti dei quali si tro- vano a quote basse, circa 1200 metri slm. Anche qui abbiamo un’alpe pilota come agriturismo, Cottino, al confine con la Valsolda italiana. Principalmente caricati con capre, si producono ottime formaggelle (formaggio mezzo grasso ottenuto da latte scremato della panna affiorata in modo naturale sulla superficie delle “conche”, bacinelle lasciate al fresco dalla sera alla mattina) e formaggini di latte misto capra/ mucca, a pasta acida. Alcuni nomi tra i più noti: Davrosio, Foppa, Rompiago, Fattoria del Faggio (solo capre Saanen) e Zalto. Il Mendrisiotto presenta alpeggi a quote ancora più basse, a volte caricati tutto l’anno, con produzione esclusiva di formaggini di latte misto nel tipo basso, chiamati “robiole” e nel tipo alto, chiamati “buscion” che vengono consumati freschi, in particolare nei grotti, con un filo d’olio e pepe accompagnandoli con gli ottimi vini Merlot, che non mancano, specie in questa distretto. Notevole è anche la produzione di una specialità, lo “zincarlin” di origine comasca, ottenuto con aggiunta di aglio, prezzemolo tritato e pepe alla pasta dei formaggini. Ben conosciuti e frequentati sono gli alpeggi di: Bolla, Bonello, Generoso, La Grassa e Genor. Una visita ad un alpeggio durante la stagione estiva è un doveroso omaggio alla laboriosità e ai sacrifici di queste genti che continuano a convivere con una natura, spesso ingrata, per salvaguardare un patrimonio che dobbiamo assolutamente conservare e mai dimenticare. Formagelle a maturare in cantina a Campo La Torba in Vallemaggia Formaggio della Leventina Formaggi degli alpi e formaggi di pianura Per entrare in merito alla tematica “Formaggi degli alpi a confronto” vorrei analizzare l’importanza che ancora oggi rivestono questi posti, con i loro carichi di anni, con i loro contributi alla salvaguardia di un inestimabile patrimonio, con il loro fascino di persone ancora dedite a lavori gravosi ed a sacrifici impensabili a due ore di distanza dal frastuono della città, con i loro prodotti unici, singolari, difficilmente ripetibili anche giornalmente e sullo stesso alpe, con lo stesso latte, nello stesso ambiente, con lo stesso fuoco, con la stessa caldaia e con lo stesso casaro. Ogni partita, ogni casata racconta una storia. Una storia fatta di umori, di sapori, di gesti, di tradizioni, di lieviti, di batteri, di mungiture, di erba e di fiori, di altitudini, di clima, di caldo e di freddo, di vento e di pioggia, di sole, di fuoco ed anche di fumo. Insomma, una miriade di valenze che diversificano ogni giorno un prodotto, il formaggio d’alpe, che con poca attenzione mangiamo sulle nostre tavole. Ma prima ancora di entrare nel merito del singolo prodotto lasciatemi spendere altre due parole per spiegare con quali e con quanti problemi oggi si fatica sugli alpi. Solo chi ha percorso in lungo e in largo il Ticino (e fermiamoci solo al Ticino con i suoi otto distretti) può capire e spiegare in quante difficoltà si dibatta oggi l’agricoltura ed in particolare quella di montagna. Sostenere un’economia alpestre con i sussidi sempre più ristretti e sempre più esigui, porterà, se non si avranno direttive mirate, ad una scomparsa di queste importanti realtà. Importanti non solo da un punto di vista edonistico, del piacere di gustare quel tipo di formaggio, ma anche dal punto di vista socio-economico: sentieri che spariranno, pascoli che diventeranno brughe incolte, alberi che si trasformeranno in fitte boscaglie sempre a rischio di incendi. Lasciando questi problemi ai politici, ritorno a dire che spiegare e fare gli elogi della scienza contadina e della sua irripetibilità è un paradosso che deve convivere intorno alle nuove norme igieniche sanitarie dettate dalla Ordinanza sull’assicurazione della qualità nella produzione lattiera. Si dovrà tener conto delle nuove tecnologie e considerare ancor di più lo stato fisico e psicologico delle persone addette alle lavorazioni ed al trattamento che loro riservano alla materia prima. Parlando di latte e quindi di formaggio possiamo confermare che l’eccellenza di un prodotto caseario nasce non dall’uso asettico delle tecnologie più sofisticate che, pure hanno - se usate accortamente - il loro valore, ma piuttosto da una manualità che rifugge dalle generalizzazioni salutistiche e dai parossismi igienico-sanitari, propri della civiltà post-industriale. Questa manualità, infatti, è legata alla sensibilità e alla personalità del casaro, la cui conoscenza andrebbe, in certi casi, tutelata come si fa per i grandi patrimoni artistici o scientifici. Nel saggio introduttivo di Gastronomia e società, Italo Marchesani, racconta che “… Il casaro iniziava la giornata di lavoro entrando nella stalla per domandare al capo dei famigli quale foraggio fosse stato somministrato in precedenza alle vacche, se trifoglio od erba di prato polifita e di quale prato, se fieno o maggengo di buona qualità non ricavato dal cappello della massa affienata. In pari tempo si assicurava che non fosse stato fatto uso di concentrati od altro genere di foraggio, che non fossero stati praticati trattamenti profilattici o terapeutici di massa alle bovine, spingendosi anche a chiedere se le operazioni di mungitura si fossero svolte normalmente, senza l’intervento di qualche causa che avesse innervosito o eccitato le vacche in modo particolare. Poi esaminava il latte (sapore, profumo..) affidandosi ai propri sensi del gusto e dell’olfatto. Se tutti questi esami lo soddisfacevano allora decideva di utilizzare quel latte per la preparazione del formaggio… “. La via di mezzo Sia ben chiaro che con questo non vogliamo affermare che le norme igieniche siano superflue o non vadano rispettate, febbraio 2016 La Rivista - 65 vogliamo soltanto affermare che esiste una via di mezzo, un equilibrio tra gusto e salubrità che va ricercato il più possibile. Bisognerà ricordare che lo stato dell’animale dipende da numerosi fattori che vanno dal tipo di allevamento alla razza, dal tipo di pascolo alla stagione meteorologica, dal pastore ai cani sino al mungitore. Si pensi ancora, ad esempio, al latte di una capra nata per arrampicarsi e alla sua sofferenza in una situazione di costrizione in stalla. Altro problema è la manipolazione del latte e della relativa cagliata. Quando la formazione del coagulo avviene lentamente si hanno certamente ottimi risultati. Quando invece si utilizzano temperature troppo alte nella cottura della cagliata si compromette la lavorazione con risultati organolettici scarsi. Il discorso dei prodotti della montagna si apre quindi a considerazioni che sono completamente diversi da quelli della pianura dove gli animali pur vivono per circa 8/9 mesi. Riassumendo e volendo fare una differenziazione tra la zootecnia di montagna rispetto a quella di pianura possiamo mettere in evidenza i seguenti aspetti: a) La maggior parte del latte prodotto in montagna viene lavorato in quota e trasformato in formaggio, formaggini, formaggelle, burro e ricotta. b) Durante il periodo estivo gli alpeggi sono caricati con mucche e capre per sfruttare i ricchi pascoli in quota che essendo più ricchi di principi nutritivi nobili, forniscono latte di elevata qualità e pertanto formaggi qualitativamente migliori. c) La tipologia produttiva dei formaggi così ottenuti diventa molto ampia, grazie anche ai metodi di trasformazione propri dei singoli casari. Sono queste le peculiarità che fanno la differenza tra un formaggio di pianura e un formaggio d’alpeggio. Se a questi fattori aggiungiamo la caratterizzazione fornita dalle cariche batteriche naturali presenti nel latte fresco, nell’ambiente di lavoro e nelle stesse cantine di stagionatura o maturazione abbiamo un quadro generale che va dunque a gratificare il prodotto estivo di montagna. La strada da percorrere è ancora una volta quella della salvaguardia e della valorizzazione con ogni mezzo, soprattutto economico, delle produzioni pregiate di montagna, di quelle “nicchie” che pur se disponibili in piccole quantità, non replicabili altrove, bisognerà difendere attraverso marchi di qualità d’origine, nel rispetto delle norme di produzione ma rispettando le tradizioni casearie tramandate con passione da generazioni di casari montanari. Il piacere del formaggio in tavola Buona regola quando si servono formaggi è preparare in tavola l’ampolla dell’olio extra vergine d’oliva e il macina pepe per condire quelli a pasta morbida; inoltre, non debbono mancare pani di diverse qualità: principalmente nero, integrale o di segale, burro freschissimo e gherigli di noci (non vecchie). Anche il sedano ed il prezzemolo tritato finemente ed altre erbe adatte per aromatizzare il formaggio possono essere servite come complemento. Alcune persone usano accompagnare i formaggi con patate bollite con la loro buccia. Quando il pranzo o la cena è a base di formaggi, prima si serviranno quelli dolci, delicati a pasta molle, poi quelli sempre a pasta molle ma più saporiti, a seguire quelli aromatici e anche piccanti, infine si passerà ai formaggi a pasta dura. Il formaggio va servito generalmente su un piatto unico o su un grande tagliere di legno o su un piatto di ceramica. Sul piatto di portata si dispongono i formaggi secondo il servizio: freschi, stagionati, a pasta molle e dura, lasciati per 30-40 minuti a temperatura ambiente. Sul piatto di portata è indispensabile mettere più coltelli: per formaggi teneri e freschi il coltello a spatola, per i formaggi semiduri un coltello munito di speciali rebbi, per quelli duri, tipo grana, l’apposito coltellino a forma di mandorla. Infine, per i formaggi particolarmente aromatici o piccanti è buona norma usare un coltello per ciascun formaggio. Utile è anche un’apposita paletta e una particolare forchetta per tenere fermo il pezzo o la forma di formaggio mentre si taglia. 66 - La Rivista febbraio 2016 Storia di un libro: Alpi e formaggi delle nostre montagne La copertina del volume Il libro della Salvioni Editore di Bellinzona nasce da un’idea di Rocco Lettieri giornalista free lance, nostro prezioso collaboratore, con alle spalle una lunga carriera eno-gastronomica, attualmente corrispondente di testate italiane e ticinesi. Per la parte fotografica, l’autore, si è valso della collaborazione di Enrica Frigerio, apprezzata fotografa free-lance del comasco. Il volume ha fatto seguito al primo “Alpeggi e formaggi del Ticino” pubblicato nell’ottobre del 1995 da Casagrande di Lugano e da subito esaurito. La molla che fece scattare l’idea di quest’opera, che mancava e se ne sentiva l’esigenza, fu la consapevolezza che prodotti così naturali e genuini erano totalmente sconosciuti anche tra gli addetti ai lavori, in questo caso gli stessi alpigiani ticinesi. Il libro forniva un quadro il più possibile esatto e attuale degli alpeggi censiti. Per ognuno veniva data la collocazione geopolitica - distretto, comune, patriziato -, la topografia, la carta d’identità con i nominativi della proprietà, dei caricatori, dei casari e degli aiuti casari e il numero di identificazione assegnato dal SICL. Inoltre, c’erano dati sull’altimetria, valle, comune, ultimo paese, proprietario, caricatore, casaro; come raggiungerlo e con quali mezzi, oppure, se a piedi, in quanto tempo; possibilità o meno d’acquisto diretto dei prodotti caseari; bellezze particolari da vedere nei dintorni; reperibilità o meno dell’acqua potabile; come si presentano i locali mungitura, il caseificio, le stalle e le cantine. Un vero e proprio inventario/catasto che servirà negli anni a venire per confrontare le migliorie apportate. Attenzioni particolari venivano rivolte alla produzione specificando il tipo di latte impiegato e le indicazioni necessarie al riconoscimento fuori dal suo ambiente e notizie utili per l’acquisto sull’alpe e nei negozi di fondovalle. Centodiciassette gli alpeggi visitati e censiti in Ticino e 13 altri alpeggi della Mesolcina (Grigioni italiano), ognuno arricchito di fotografie: immagini atte a riconoscerne l’ubicazione, la località e i protagonisti. Talvolta, autentici personaggi, ripresentati nella sezione: “Donne e uomini dell’alpe” fissati dall’obbiettivo della Frigerio, fotografa sensibile e capace che ha percorso con l’autore impervi sentieri con l’instancabilità di chi ama la montagna e la sua natura. Le vallate belle e affascinanti, ricche di storia passata e recente, assumono particolari significati soprattutto pensando alla straordinaria bontà dei formaggi che gli alpigiani sono stati in grado di produrre con maestria e entusiasmo. Un’arte casearia ancora inesplorata che ha mantenuto intatto il suo fascino e che la fotografa ha saputo valorizzare con l’immagine fedele della sua professionalità. L’omaggio finale, infine, è dedicato alla laboriosità, alle serie capacità degli alpigiani caparbiamente impegnati, talvolta in condizioni meteorologiche avverse, a convivere con le forze della natura, spesso ingrata, a salvaguardia di un patrimonio che dobbiamo assolutamente conservare e mai dimenticare. Solo così i sacrifici della loro esistenza saranno considerati anche per il benessere e il piacere di molti estimatori di formaggi. Alpeggi in Val Onsernone febbraio 2016 La Rivista - 67 Export di vino italiano: nel 2015 +6% rispetto all’anno precedente Le stime Wine Monitor - Osservatorio di Nomisma sul mercato del vino - sull’export di vino italiano per il 2015 evidenziano una crescita nei valori di circa il 6%, permettendo in tal modo di arrivare a chiudere l’anno con un nuovo record: 5,4 miliardi di euro contro i 5,1 dell’anno precedente. Un sostegno non indifferente arriva anche dal rafforzamento del dollaro e della sterlina inglese che hanno così permesso ai nostri produttori non solo di essere più competitivi sui due principali mercati mondiali di importazione, ma anche di garantirsi una plusvalenza dal tasso di cambio. Per quanto riguarda invece le quantità, anche in ragione di una minor disponibilità di prodotto (la vendemmia 2014 non è stata tra le più generose degli ultimi tempi), i volumi di vino esportati nel 2015 risultano inferiori a quelli dell’anno precedente, attestandosi poco sopra ai 20 milioni di ettolitri. “La crescita nell’export di quest’anno risulta trainata soprattutto dagli spumanti”, afferma Denis Pantini, Responsabile Wine Monitor di Nomisma, “le cui vendite oltre frontiera aumentano sia sul fronte dei valori che dei volumi per oltre il 10%. Sotto tono invece l’esportazione dei vini fermi imbottigliati – che continuano comunque a rappresentare più del 75% dell’export totale – mentre risulta in netto calo quella dello sfuso”. Il pressing spagnolo La riduzione delle vendite all’estero dei vini sfusi non è solo il risultato di una minor disponibilità di prodotto, ma anche di un continuo pressing competitivo portato avanti dalla Spagna che anche nel 2015 ha incrementato l’export di questa tipologia di oltre il 10% in volume ma a fronte di prezzi più bassi di un analogo 10%. Ormai più di un litro su tre di vino sfuso commercializzato nel mondo è di origine spagnola. Tornando invece agli sparkling, “continua il momento d’oro del Prosecco che fa segnare nuovi record d’esportazione nel mercato nordamericano (USA e Canada), inglese, svizzero e scandinavo (Svezia e Norvegia in particolare), mentre al contrario il 2015 non sarà annoverato tra 68 - La Rivista febbraio 2016 La crescita nell’export di quest’anno risulta trainata soprattutto dagli spumanti gli anni migliori per quanto riguarda l’export dell’Asti”, sottolinea Pantini. Il grande malato A livello generale, il grande “malato” tra i principali mercati di importazione continua ad essere la Russia. Dopo il calo registrato nel 2014 (-6% nei valori), quest’anno la battuta d’arresto è pari a circa un 30%, un crollo che ha interessato in maniera analoga anche i nostri vini. Il permanere del prezzo del petrolio e del gas ai minimi storici (principali fonti di ricchezza del paese, le cui esportazioni pesano per quasi il 20% del PIL) non lasciano ben sperare per una ripresa a breve degli acquisti di vino dall’estero in questo mercato. All’opposto, il 2015 ha visto il recupero del mercato cinese. Pur a fronte di un rallentamento economico, le importazioni di vino in questo paese vengono stimate per quest’anno attorno a 1,8 miliardi di euro, sottendendo una crescita superiore al 50% e facendo così della Cina il quarto mercato mondiale per valore dell’import di vino, dopo Stati Uniti, Regno Unito e Germania (nel 2014 occupava il sesto posto, dopo anche Canada e Giappone). L’Italia però non sembra sfruttare appieno l’onda lunga di questo recupero: il nostro export aumenta “solamente” di circa il 15%, contro percentuali comprese tra il 60% e il 120% messe a segno dai vini dei diretti competitor (Francia, Cile e Australia). Convivio di Domenico Cosentino Sfinci, berlingozzi, tagliatelle fritte e pignolata, con gli antichi sapori ritrovati Anche il Carnevale torna alle sue origini In casa di mia nonna, che faceva da mangiare come le nonne di tutti, di solito, il pranzo delle feste (Natale, Carnevale, San Giuseppe o Pasqua) si concludeva con la pignolata o le sfinci, rotonde frittelle di morbida pasta da choux fritte in abbondante olio bollente. È grazie a donne come lei, che oltre ad andare a messa tutte le mattine, in casa cucinavano tutto il giorno, che ho ereditato l’amore di stare ai fornelli(soprattutto durante le Feste comandate) e preparare piatti con ricette che restano impigliate ancora oggi, nella tradizione locale. Antichi sapori ritrovati che riportano alcune feste come il Carnevale alle loro origini. Volendo, si può dunque dire che: “Non tutto è andato perso del grande ricettario della cucina regionale. Non tutto è omologato. Non tutta è diventata Cucina Molecolare!” Anche se bisogna aggiungere che, negli ultimi anni, il Paese Italia, almeno ai fornelli, si è trasformato in una “Repubblica di Cuochi, fondata sul Culto dei Cuochi”, dove gli chef non cucinano più semplicemente come facevano le nostre nonne, ma preparano il food con glamour, con sensualità, seduzione, con la speranza che il loro modo di spadellare possa valergli un programma televisivo, o che qualcuno finanzi loro l’apertura di un ristorante che, in breve tempo, venga incoronato con una o più stelle Michelin. Questi giovani chef che stanno più in TV che ai fornelli, hanno capito da tempo che una buona parte di questa nuova società d’italiani, non va al ristorante per mangiare, non va perché il cibo è “buono o costoso”: ci va soltanto perché è Stellato! Anche se magari non è stellare. Sempre gli stessi dopo cinquant’anni Nei pranzi delle feste, dunque, mia nonna friggeva (ma solo con olio extravergine d’oliva) da mattina a sera. Pari pari come ha fatto per molti anni, quando preparava Le Sfinci, che lei chiamava in dialetto “I Sfinci” (al maschile), e sempre con gli stessi ingredienti: “Farina di grano duro, lievito madre e patate (coltivate sull’Altopiano Silano) lessate e schiacciate”. Maschi o femmine che siano, gli/le sfinci, è una ricetta antica, calabrese sicula, non così popolare nel continente, ancora oggi, cinquant’anni dopo, la rivedo nei mei ricordi sempre la stessa. A volte, durante il mio soggiorno in Calabria, gli Sfinci fritti in enormi padelloni d’olio non d’oliva (venduti come Street Food e non così buni come quelli che friggeva mia nonna!) li ritrovo sulle piazze di alcuni paesini situati sui monti dell’Aspromonte o della Sila, pronti per l’impasto febbraio 2016 La Rivista - 69 ed ora in pentola dove si svolgono, puntualmente ogni anno, la solita sagra paesana o la festa di questo o quel Santo Patrono. Volendo essere sincero, dopo la Sicilia e la Calabria, e a parte quelle vendute quelle sulle piazze, qualcosa di simile ai miei Sfinci, li ho gustati nel Veneto. Solo che a Treviso, Vicenza o Belluno - dove a differenza della Calabria le “palline fritte” le chiamano “Fritole”con chiaro riferimento alle frittelle - nell’impasto non c’è lievito madre e la patata lessa, ma lievito di birra, uvetta, pinoli, cedrini, un bicchierino di grappa e sono fritte in olio di semi. Sono buoni, ma sono tutta un’altra cosa! E di questo ne sono convinto: anche se migrazioni e contaminazioni hanno contribuito a far viaggiare tante ricette da una parte all’altra d’Italia, esistono piatti che rimangono locali, regionali, senza mai oltrepassare il confine virtuale della condivisione stretta. Un piccolo scaffale di profumi È così! A me capita spesso: sono convinto che ognuno di noi custodisca nella memoria un piccolo scaffale di profumi, consistenze, sapori legati a un momento dell’infanzia, vicina o lontana che sia. E le Feste comandate funzionano come un potente acceleratore di ricordi: un nome, un piatto, un episodio, mi riportano indietro negli anni e mi ritrovo precipitato in una pentola di Lagane e ceci, una teglia di capretto e patate, o davanti a una teglia di dolcetti schierati e pronti al forno, a un passo della sfrigolante pentola della frittura, pronta ad accogliere gli Sfinci che mia nonna preparava anche per la Festa di San Giuseppe. Iniziando così – “per non perdere la mano, diceva Lei” – subito dopo le feste di fine anno, per essere pronti a riattivare la memoria golosa grazie ai dolcetti di Carnevale, ultimo sussulto festaiolo prima della Quaresima, quasi interamente dedicato al mondo dei Dessert. mano oggi: chiacchiere, bugie, galani). Sono i dolci del Carnevale ecumenico e globalizzato, che manda in passarella dolci buoni per tutti i gusti e per tutte le provenienze. Pignolate, Berlingozzi, Migliacci campani o Sfinci sono invece misconosciuti. Cosa diversa, certo, al di qua e al di là dello Stretto di Messina, dove le varianti di tozzettini fritti sono a centinaia: colorate o trasparenti, con o senza miele, più o meno cioccolatose. Per finire con la cicerchiata abbruzzese, sorella degli strufoli o con i rufioi e i bucconotti: mezzelune imbottite di pinoli, noci, fichi secchi, uvetta e buccia di mandarini, amalgamati con cioccolato e il sanguinaccio, fatto con farina e il sangue del maiale appena “scannatu”. Dolci squisiti quanto e più di castagnole e tortelli, anche grazie alla quantità non seriali o industriali, ma affidate alle mani di piccoli artigiani umili, molti di loro sconosciuti ai più, senza l’allure dei soliti noti. E allora se durante il periodo del Carnevale, le chiacchiere vi annoiano e le graffe o i bomboloni vi sembrano banali, provate con la ricetta degli Sfinci: quella che vi propongo questo mese, oppure procuratevi un ricettario di cucina siciliana/calabrese. Montagne di frittelle, piramidi di bigné E, a parte mia nonna che aveva uno spassionato amore per la cucina, a voler essere sincero, dalla Val d’Aosta al Molise, nel periodo festaiolo di Carne levare (togliere la carne), in Italia è tutto un impastare e friggere: panetterie e pasticcerie esibiscono montagne di frittelle, piramidi di bignè avviluppati nello zucchero o cioccolato fondente, teglie maestose di frappe (o come li chia- 70 - La Rivista febbraio 2016 siamo fritti LA GASTRONOMIA ITALIANA IN SVIZZERA Viva la cucina italiana! Da noi vi offriamo le vere specialità italiane. Lasciatevi incantare dal nostro ambiente mediterraneo, dalle nostre eccellenti pizze con il marchio « vera pizza napoletana DOC », dalle tipiche pietanze a base di carne o di pesce, nonché dalla nostra prelibata pasta fresca e dai succulenti dolci. Il tutto accompagnato da una vasta selezione di vini provenienti da tutte le regioni d’Italia. Buon appetito! I nostri 18 ristoranti pizzerie in Svizzera vi accolgono 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno. Inoltre, offriamo a tutti i membri su presentazione della tessera della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera uno sconto del 10% su tutte le consumazioni! Le/Gli Sfinci Ingredienti: Farina 1Kg; patate 500 g; lievito base 100 g; (oppure 1 cubetto di lievito di birra) acqua 400 ml; zucchero semolato o cristallino 100 g; Cannella in polvere 2 cucchiaini; Olio extravergine d’oliva 1 lt. (Volendo si può sostituire con l’olio di semi) Come li preparo: Metto le patate a lessare con la buccia. Lascio raffreddare, poi le sbuccio e le schiaccio. Setaccio la farina. La metto nella planetaria e aggiungo il sale (in mancanza di planetaria lavoro l’impasto su una base di marmo), incorporo le patate schiacciate e il lievito madre preparato in precedenza(oppure il lievito di birra sciolto in acqua tiepida). Impasto con l’acqua tiepida fino ad ottenere una pasta molto morbida e appiccicosa. Metto a riposare e faccio lievitare per circa 2-3 ore. Porziono l’impasto con un cucchiaio per gelati(o normale) e metto a friggere nell’olio a 170°C, facendo cuocere per immersione per qualche minuto secondo la pezzatura, poi scolo ed elimino l’olio in eccesso su carta assorbente. Faccio rotolare i miei sfinci ancora tiepidi nella miscela di zucchero semolato e cannella, ed ecco pronti per essere divorati dai miei nipoti Michelle e Patrik. Il vino: eccellenti i vini passiti siciliani o moscati calabresi. Mia nonna, però, usava servire in piccoli bicchieri alcuni liquori da lei preparati: Rosolio, tipo Strega o Alcherms. Molino Basilea Steinenvorstadt 71 4051 Basilea T 061 273 80 80 Molino Montreux Place du Marché 6 1820 Montreux T 021 965 13 34 Molino Berna Waisenhausplatz 13 3011 Berna T 031 311 21 71 Molino Thônex Rue de Genève 106 1226 Thônex T 022 860 88 88 Molino Crans-Montana Rue de Pas-de-l’Ours 6 3963 Crans-Montana T 027 481 90 90 Molino Uster Poststrasse 20 8610 Uster T 044 940 18 48 Molino Dietikon Badenerstrasse 21 8953 Dietikon T 044 740 14 18 Molino Vevey Rue du Simplon 45 1800 Vevey T 021 925 95 45 Molino Friborgo 93, rue de Lausanne 1700 Friborgo T 026 322 30 65 Molino Winterthur Marktgasse 45 8400 Winterthur T 052 213 02 27 Molino Molard, Ginevra Place du Molard 7 1204 Ginevra T 022 310 99 88 Molino Zermatt Bahnhofstrasse 52 3920 Zermatt T 027 966 81 81 Molino La Praille, Ginevra Centre Commercial La Praille 1227 Carouge T 022 307 84 44 Molino Select, Zurigo Limmatquai 16 8001 Zurigo T 044 261 01 17 Molino Glattzentrum Einkaufszentrum Glatt 8301 Glattzentrum T 044 830 65 36 Molino Stauffacher, Zurigo Stauffacherstrasse 31 8004 Zurigo T 044 240 20 40 Le Lacustre, Ginevra Quai Général-Guisan 5 1204 Ginevra T 022 317 40 00 Frascati, Zurigo Bellerivestrasse 2 8008 Zurigo T 043 443 06 06 febbraio 2016 La Rivista - 71 www.molino.ch Maserati Ghibli Un sogno di lusso rivisitato Negli anni 60 e 70 la Ghibli ha reso celebre il marchio Maserati. La terza generazione della Ghibli richiama le tradizioni della casa automobilistica modenese e al contempo rompe con esse. Il fascino della nuova Ghibli si basa proprio su questo mix all’apparenza contradditorio. Nel 2013, tuttavia, Maserati ha fatto rinascere il nome della leggenda per la seconda volta dopo un primo rilancio nel 1992. Sviluppandola ulteriormente. L’elegante macchina sportiva si è trasformata in una dinamica berlina senza fare compromessi in termini di design, prestazioni ed emozioni. È vero: l’ultima generazione della Maserati Ghibli, a prima vista, sembra avere poco in comune con la leggendaria macchina sportiva degli anni 60 e 70. Osservandola meglio, però, si nota che anche per la nuova Ghibli, che possiamo definire una berlina sportiva, la casa del Tridente ha puntato su tre fattori: design, prestazioni ed emozioni. La Ghibli prende il nome da un vento del deserto africano. Disegnata dal leggendario progettista Giorgetto Giugiario con due porte, due posti nell’abitacolo e due ruote motrici ma ben 8 cilindri sotto il lungo cofano la Maserati Ghibli degli anni 60 e 70 era bellissima, costosissima e – con soli 1250 esemplari costruiti – particolarmente esclusiva. Un sogno che oggi è riservato ai collezionisti. Simbiosi unica tra eleganza e sportività 72 - La Rivista febbraio 2016 Il design della nuova Ghibli rappresenta una simbiosi unica tra eleganza e sportività, con forti richiami al celebre stile Maserati. Punto di partenza dell’elegante silhouette è il caratteristico frontale con l’imponente griglia del radiatore a listelli verticali al cui centro spicca lo stemma del Tridente. Le fiancate sono dominate da linee possenti che convergono idealmente davanti ai copriruota posteriori. Anche i tre sfoghi d’aria laterali dietro le ruote anteriori e l’iconico logo ovale Maserati, noto come “Saetta”, collocato sul montante posteriore triangolare rimandano alla tradizione Maserati. La casa del Tridente, tuttavia, non guarda solo al passato: i proiettori, per esempio, grazie alla funzione Daytime Running Light, sfruttano la tecnologia led per esaltare il carattere della vettura e gli indicatori di direzione a led riprendono il particolare motivo dei tradizionali tre sfoghi d’aria laterali. Per gli allestimenti interni il costruttore italiano punta su abitabilità, lusso e finiture artigianali. I confortevoli sedili avvolgenti rivestiti in morbida pelle offrono un ottimo sostegno laterale e allo stesso tempo sottolineano il carattere sportivo degli interni. Sono disponibili tre diversi allestimenti personalizzabili e come optional viene offerto il rivestimento in pelle naturale Poltrona Frau®. Il tradizionale orologio Maserati con sfondo blu spicca anche nella plancia del nuovo modello, mentre il grande display da 8,4’’ del Maserati Touch Control consente la gestione di quasi tutti i sistemi di bordo. Solo le impostazioni rilevanti per la guida vengono effettuate mediante tasti e pulsanti tradizionali. Fino a 410 CV e trazione integrale Sotto il lungo cofano motore dalle linee filanti pulsano innovativi motori V6 Twin Turbo da 3 litri che raggiungono una potenza massima di 410 CV e garantisco ineguagliabili emozioni alla guida. Soprattutto in combinazione con la trazione integrale intelligente del modello S Q4 la Maserati Ghibli assicura un’esperienza di guida ineguagliabile sia d’inverno che d’estate. Su fondo stradale asciutto è la trazione posteriore a prendersi carico di trasferire a terra tutta la potenza del V6, mentre in condizioni di bassa aderenza o in caso di perdita di grip delle ruote posteriori il sistema trasferisce in soli 150 millisecondi la necessaria motricità alle ruote anteriori, distribuendo la potenza in modo equilibrato sui due assi. Il nuovo cambio automatico ZF a otto rapporti consente di coniugare comfort e prestazioni sportive: nella modalità Auto Normal i cambi sono fluidi e quasi impercettibili, mentre nella modalità Manual Sport è il pilota a gestire le cambiate azionando i controlli sul volante come nelle macchine da corsa. Anche l’impianto di scarico contribuisce alla sensazione di correre in pista e, nel modello di punta, sprigiona un sound poderoso in ogni situazione di guida. Troppo veloce? Troppo rumorosa? Nessun problema: chi desidera una berlina sportiva un po’ più comoda, più silenziosa e più economica nei consumi non deve cambiare marca. La Ghibli, infatti, è disponibile an- che nella versione diesel con propulsore 6 cilindri da 275 CV che si accontenta di 5,8 litri di gasolio ogni 100 chilometri. Personalizzazione senza limiti a partire da CHF 74’000.00 (meno Euro-Bonus, meno sconto speciale per i soci della Camera di Commercio) Per rendere ogni Ghibli così unica come il suo proprietario, Maserati offre un esclusivo programma di personalizzazione con un’infinità di possibili abbinamenti. Oltre all’ampia gamma di colori esterni sono disponibili svariati colori anche per la pelle che riveste gli interni a cui possono essere abbinate preziose a cuciture a contrasto. Il cielo abitacolo può essere rivestito in Alcantara. Il tunnel centrale e gli elementi decorativi dei pannelli sono impreziositi da esclusivi inserti in Radica, una pregiata essenza di legno a poro aperto, ricca di nodi e venature e caratterizzata da una forte sensazione tattile. Altre opzioni prevedono l’ebano oppure, per chi desidera p.es un ambiente più dinamico, la fibra di carbonio o black piano, proposta con una speciale finitura lucida. febbraio 2016 La Rivista - 73 Motori di Graziano Guerra Il crossover giapponese dal cuore italiano Suzuki S-Cross 4x4 turbodiesel TCSS Sergio Cellano rapporto fulminei e una grande fluidità in accelerazione, derivata dalla conseguente riduzione dei tempi di depressione nel turbocompressore. La trasmissione permette pure la selezione dei rapporti utilizzando la leva centrale oppure i paddles al volante. Il rapido passaggio di marcia limita al minimo i sobbalzi dell’auto in fase di cambiata. Si può così godere d’un ottimo confort, con la sicurezza di disporre sempre della marcia ideale per viaggiare in relax oppure, all’occorrenza, scattare con rapidità. Suzuki S-Cross è disponibile in sette colori, con prezzi che partono da 28’990 franchi, con pacchetti vantaggiosi oltre ai cash-bonus previsti da Suzuki Svizzera. Il crossover della Casa giapponese SX4 S-Cross si distingue per la dinamicità e la sicurezza delle 4 ruote motrici. Sempre interessante, con l’efficiente propulsore a gasolio 1,6 omologato Euro 6 e la trasmissione automatica a 6 rapporti con doppia frizione lo diventa ancora di più. In test la Top 4x4 turbodiesel con cambio TCSS (33’490.-) appartenente alla nuova collezione Sergio Cellano, che oltre al pacchetto Piz Sulai (valore 5180.-) montava di serie stop/start automatico ABS/ESP, 7 Airbag, climatizzatore automatico bizona, bluetooth con vivavoce, alzacristalli elettrici anteriori e posteriori, volante rivestito di pelle con comandi del sistema audio e tempomat, keyless entry/start, sensori pioggia, fanali bi-xenon, fari diurni LED, fendinebbia, vetri azzurrati, cerchi in lega da 17˝, sedili riscaldati anteriori. Tutto bene, alla moda giapponese d’un tempo con equipaggiamento super, ma come va questa macchina con motore 1.6 turbodiesel Fiat? Ha convinto per la dinamica di guida e per l’equipaggiamento digitale di facile uso. Le impressioni al volante sono state molto coinvolgenti, grazie al motore brillante, ma soprattutto per il cambio automatico a doppia frizione abbinato all’innovativa trazione integrale ALLGRIP. Il TCSS a sei rapporti è di un altro pianeta rispetto all’automatico normale. Il feeling è immediato: con due frizioni separate, una per le marce dispari - prima, terza, quinta e retromarcia - e una per le marce pari - seconda, quarta e sesta – il TCSS garantisce passaggi di Dati tecnici Motore: 4 cilindri, 1.6 litri turbodiesel Potenza max: 120 CV Coppia max: 320 Nm già a 1750 giri/minuto Consumi dichiarati: misto 4.5 l / 100 km Emissioni CO2 118 g/km Categoria di efficienza energetica B febbraio 2016 La Rivista - 75 La buona annata svizzera di FCA Il 2015 è stato un anno di successo soprattutto grazie a Jeep e a Fiat 500 Fiat Chrysler Automobiles (FCA) ha incrementato nel corso dell’anno passato le vendite di veicoli del 12 per cento. Il risultato, ottenuto attraverso la propria rete di concessionari autorizzati, ha superato il tasso complessivo - 7,2 %- di crescita nazionale. In Svizzera fanno parte del Gruppo FCA i marchi Abarth, Alfa Romeo, Lancia, Fiat e Jeep. Fiat e Jeep sono i marchi con la crescita maggiore. Il convincente risultato è stato raggiunto grazie al potenziamento dei modelli esistenti, e per merito del successo riscosso dai nuovi modelli. Fiat ha incrementato le vendite di oltre il 30 % rispetto al 2014. I principali motivi di tale crescita sono dovuti al brillante inserimento nel mercato di Fiat 500X e dal forte aumento delle vendite, di oltre il 58 per cento, del modello Fiat 500. Jeep l’anno scorso ha registrato volumi di vendita pari a circa il 23 % di veicoli in più immatricolati sul mercato nazionale. In vetta alla classifica la nuova Jeep Renegade, le cui vendite hanno superato tutte le attese. Jeep dei record Con 1.237.583 unità le vendite globali di Jeep nel 2015 sono cresciute del 22% e rappresentano la cifra annuale maggiore nei 75 anni di storia del marchio e record di vendite globali per il quarto anno consecutivo. Negli Stati Uniti, con 865.028 unità vendute l’incremento è stato del 25% rispetto al 2014. In crescita per il sesto anno consecutivo sia a livello globale sia negli USA, per il secondo anno consecutivo Jeep ha registrato più di 1 milione di veicoli venduti in tutto il mondo. Nell’anno di grazia, le vendite sono cresciute del 56% nella regione Europa, Medio Oriente e 76 - La Rivista febbraio 2016 Africa e del 135% in America Latina. Trainate a livello globale e negli Stati Uniti dalla Cherokee (295.081 rispettivamente 220.260), Grand Cherokee (277.236 e 195.958 negli Usa), Wrangler (255.283 e 202.702), Renegade (158.351 a livello globale e 60.946 negli Stati Uniti), Patriot (143.003 - 118.464) e Compass (108.626 - 66.698). Nel 2015 Jeep è tornata a produrre in Cina dopo un’assenza di quasi dieci anni, e ha inaugurato uno stabilimento di produzione in Brasile. Nel 2016 Jeep celebra il suo 75° anniversario. Fiat Ducato è «Miglior base per camper 2016» Prestigioso titolo assegnato dai lettori della rivista tedesca specializzata Promobil Ducato continua a raccogliere importanti riconoscimenti internazionali. Per la nona volta consecutiva ha conquistato in Germania il titolo di “Miglior base per i camper 2016”, assegnato dai lettori di Promobil, la rivista tedesca specializzata che da oltre 25 anni rappresenta una sorta di barometro delle tendenze nel settore dei motorhome. Il modello, da anni indiscusso numero uno sul mercato tedesco dei motorhome, ha ottenuto il primo posto lasciandosi alle spalle Mercedes Sprinter e VW T6. Il premio, come la fiducia di costruttori e clienti, attesta l’efficacia del programma innovativo di Fiat Professional, la divisione di Fiat Chrysler Automobiles dedicata ai veicoli commerciali leggeri. Da anni le caratteristiche del Ducato - nelle versioni Van, cabinati e scudati - si rivelano vincenti per i camperisti: forma squadrata e regolare del vano di carico, compattezza del frontale e della cabina, chassis disegnato per sfruttare al meglio le dimensioni e ottimizzare le funzionalità della cellula, dove ogni centimetro è fruibile in modo intelligente. Fiat Ducato ha una ricca gamma di motori Multijet e cambi - compreso quello robotizzato per le motorizzazioni a 130 cv, 150 cv e 180 cv - e l’ottimo diametro di sterzata. Altri punti di forza sono lo stile automobilistico, il benessere a bordo, e numerosi dispositivi di sicurezza attiva e passiva. Negli ultimi dieci anni più di 500.000 famiglie hanno scelto un camper su base Fiat Ducato. Nella foto: Lo Show Camper Van Ducato 4x4 Expedition presentato al CMT 2016 di Stoccarda lo scorso gennaio rappresenta un esercizio di stile non destinato al commercio, è basato sul fresco vincitore del premio “Miglior base per i camper 2016”. New Mitsubishi Outlander PHEV Una raffinata esperienza al volante Mitsubishi Motors ha presentato a gennaio in sessione dinamica ai giornalisti la sua più recente innovazione tecnologica. Silenzioso e rilassante, il raffinato Plug in-Hybrid-Electric-Vehicle ha interni di livello superiore, per la qualità dei materiali, la cura dei dettagli e le nuove dotazioni di confort, come il parabrezza riscaldato, l’illuminazione a LED sotto il cruscotto e il vano al centro della console. Il nuovo volante a quattro razze, riscaldabile, ha un bordo spesso che migliora la presa, è rivestito di pelle e ha diversi comandi. La nuova identità visiva “Dynamic Shield” è stata affinata, come pure la trazione integrale. Sono stati abbattuti i consumi e la rumorosità, e sono stati introdotti interessanti pacchetti commerciali. I consumi e le emissioni nel ciclo pesato passano da 1,9 l/100km e 44 g/m del precedente PHEV a 1,8 l/100 km e 42 g/km. Il miglioramento della silenziosità, in termini di decibel, è sperimentabile sia a 100 km/h sia quando è in funzione “charge”. La trazione integrale è più convincente, sia nella distribuzione della coppia sia nella capacità di trazione e nel controllo dell’imbardata. Ha la versatilità dei crossover 4x4, ma con 52 km di autonomia reale a trazione elettrica. L’autonomia complessiva elettrica ed endotermica - supera gli 800 km. Outlander PHEV ha due motori elettrici, uno alla trazione anteriore e uno a quella posteriore, un generatore e un motore a benzina alla trazione anteriore, le batterie agli ioni di litio sono sistemate sotto l’abitacolo. I tre modi di marcia gestiti elettronicamente sono: Elettrico - funzionano solo i motori elettrici; ibrido seriale - il propulsore endotermico supporta quelli elettrici; ibrido parallelo - i due elettrici supportano il motore endotermico. Per un look esterno più raffinato c’è ora un’antenna a pinna di squalo, barre argentate al tetto, sottoscocca in tinta con la carrozzeria con dettagli cromati sul battitacco. Il frontale - dove campeggia lo stemma dei Tre Diamanti – è caratterizzato da striature cromate sui lati per un effetto tridimensionale che suggerisce l’idea di movimento. La nuova Mitsubishi Outlander PHEV porta in dote quattro sistemi di assistenza elettronica, il navigatore e tutto il necessario per il moderno mondo connesso. In Svizzera è disponibile nelle tre varianti Value, Style e Diamond, il listino prezzi parte da 39’999.- franchi. febbraio 2016 La Rivista - 77 Un farmaco rallenta la Con uno spray nasale, il progressione dell’Alzheimer parto diventa quasi indolore I sintomi dell’Alzheimer e di altre patologie neurodegenerative potrebbero esser presto contrastati grazie all’uso di un farmaco capace di diminuire i livelli di proteine tossiche associate alla malattia. Un team di neuroscienziati della Columbia University Medical Center (CUMC) ha infatti individuato un medicinale in grado di aumentare l’attività nel sistema di “smaltimento dei rifiuti” del cervello. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati nell’edizione online di Nature Medicine, sembra aprire nuove vie di trattamento per le malattie neurodegenerative che oggi colpiscono milioni di uomini e donne in tutto il mondo. Soltanto l’Alzheimer affligge 5 milioni di persone che, nel giro di pochi anni, perdono progressivamente la propria autonomia. “Per la prima volta – affermano gli studiosi della CUMC - abbiamo dimostrato che è possibile utilizzare un farmaco per attivare un sistema di smaltimento dei rifiuti nei neuroni. Questo sistema, conferma ora la nostra ricerca, risulta essere efficace nel rallentare la malattia. La ricerca apre nuove vie di trattamento non solo per l’Alzheimer ma per tutte le malattie neurodegenerative”. Il farmaco preso in esame dai ricercatori è il Rolipram, ma questo provoca nausea e quindi non risulta idoneo per l’uso umano. Esistono tuttavia medicinali alternativi che presentano meno effetti negativi che potrebbero essere presto utilizzati in studi clinici. In un cervello in salute le cellule cerebrali ormai vecchie, usurate o danneggiate dovrebbero essere sostituite automaticamente con altre giovani e funzionanti. Questo compito viene svolto da un piccolo cilindro molecolare chiamato proteasoma, una sorta di spazzino addetto allo smaltimento dei rifiuti. Nelle malattie neurodegenerative tutte le proteine marchiate e pronte per l’eliminazione non vengono distrutte ma si accumulano nei neuroni del cervello, suggerendo che i proteasomi delle cellule sono alterati. Utilizzando un modello murino di neurodegenerazione, i ricercatori hanno scoperto che tau - una proteina tossica che si accumula nella malattia di Alzheimer e altre malattie degenerative del cervello - interviene sul proteasoma e rallenta il processo di smaltimento delle proteine. La somministrazione di Rolipram ha attivato il proteasoma e riportato la disposizione delle proteine a livelli normali. Il farmaco ha migliorato anche la memoria dei topi malati, ai livelli osservati nei topi sani, ma il meccanismo di come questo si è verificato non è stato ancora chiarito. La nuova ricerca dimostra che inibendo l’enzima PDE-4, Rolipram produce un cambiamento fisico nel proteasoma che aumenta la sua attività. Secondo gli scienziati i farmaci che hanno come target i proteasomi sono tutti potenzialmente utili nella lotta contro le malattie neurodegenerative. 78 - La Rivista febbraio 2016 Uno spray nasale analgesico per alleviare il dolore delle doglie, efficace come l’epidurale, ma con meno effetti collaterali. A sperimentarlo con successo i ricercatori dell’University of South Australia che lo hanno testato su 156 partorienti. Il farmaco, a base di fentanil è di solito usato come analgesico nei bambini e nei pazienti durante i trasferimenti in ambulanza. I ricercatori australiani hanno deciso di testarlo sulle partorienti. “Lo spray - ha dichiarato alla radio nazionaleAbc Julie Fleet della Scuola di Infermeria e Ostetricia dell’ateneo che ha guidato lo studio - dà meno nausea rispetto alle iniezioni di petidina comunemente usate per l’epidurale, le doglie sono più brevi e il numero dei neonati che finiscono in nursery neonatale è inferiore. Non solo: sono emerse anche meno difficoltà ad allattare al seno e un maggiore senso di soddisfazione nella madre”. L’80% delle donne che lo ha utilizzato ha infatti dichiarato che userà ancora lo spray al prossimo parto. “Il fentanil somministrato con spray nasale - ha sottolineato Fleet - non elimina completamente il dolore, come quando è somministrato per epidurale, quindi è adatto per le donne che vogliono restare in grado di sentire qualcosa. È anche adatto per le donne che non possono ricevere l’epidurale a causa di condizioni come la gestosi (pressione alta)”. Non solo, secondo i ricercatori le donne possono autosomministrarsi la dose di spray nasale, il che le aiuta a sentirsi più in controllo della gestione del dolore, evitando la necessità di interventi addizionali o dell’epidurale. L’Onu elegge il 2016 anno internazionale dei legumi Studiare in piedi per apprendere con più facilità Il 2016 è l’anno internazionale dei legumi. Lo ha stabilito l’Onu, e toccherà alla Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’agroalimentare, con sede a Roma, avviare una serie di iniziative per far conoscere il valore di questi alimenti. Per legumi si intendono i semi secchi nei baccelli, usati come cibo o mangime: fagioli, piselli, lenticchie, ceci e affini. Non rientrano nella categoria fagioli e piselli freschi, oppure semi coltivati per l’olio (come la soia) o per la semina. I legumi sono ricchi di proteine: dal 20 al 25% del loro peso, contro il 10% del grano e il 30-40% della carne. Sono una buona alternativa alle carni, e per produrli si consumano meno risorse naturali. Un chilo di lenticchie richiede 50 litri di acqua; un chilo di carne di pollo ne richiede 4.325, uno di manzo 13.000. E le proteine dei legumi costano un quinto di quelle del latte. Sono fondamentali in una dieta sana per combattere obesità, diabete, disturbi coronarici e cancro. I legumi, un alimento sulle tavole degli uomini da almeno 10mila anni, sono una valida alternativa alla carne, tengono in equilibrio il colesterolo e non fanno bene solo agli esseri umani. Sono fondamentali in una dieta sana per combattere obesità, diabete, disturbi coronarici e cancro. I legumi hanno pochi grassi, niente colesterolo e niente glutine (quindi vanno bene anche per i celiaci) e sono ricchi di fibre e aminoacidi. Sono fondamentali in una dieta sana, per combattere obesità, diabete, malattie coronariche e tumori. Inoltre contengono sostanze indispensabili per l’organismo come calcio, magnesio, potassio e zinco. Ma i legumi non fanno bene solo agli uomini. Sono ottimi mangimi per gli animali e rendono più fertili i terreni dove vengono coltivati, arricchendoli di azoto. Essendo secchi, possono essere conservati a lungo con pochissima spesa: quindi costano poco e la percentuale di prodotto che si deteriora e va sprecato è bassa. Insomma, i legumi sono un vero tesoro per l’uomo e per l’ambiente. Eppure, secondo i dati Fao, il loro consumo va diminuendo. Negli ultimi dieci anni, la produzione mondiale è salita del 20%, ma il consumo complessivo di legumi è andato lentamente e costantemente calando. Il principale produttore al mondo è l’India, seguita da Canada, Myanmar, Cina e Nigeria. La produzione non tiene il passo dell’incremento demografico e le popolazioni di tutto il mondo tendono a sostituirli con la carne. Nei Paesi in via di sviluppo i legumi rappresentano il 75% della dieta, in quelli industrializzati solo il 25%. I pionieri sono stati gli americani. Più precisamente, le aziende della Silicon Valley, dove fin dal 2011 hanno iniziato a diffondersi le postazioni di lavoro in piedi, diventando quasi degli status. Alla base di tanto successo, oltre alle testimonianze degli impiegati che assicuravano più concentrazione e attenzione, anche i risultati degli studi sulle conseguenze negative della sedentarietà protratta per ore, come accade in ufficio. Che i benefici di questa soluzione si estendono oltre il benessere fisico fino a comprendere anche la cognizione lo conferma uno studio apparso sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, il primo a ricorrere a misurazioni dell’attività cerebrale e a non basarsi unicamente sulle evidenze aneddotiche, come le testimonianze degli insegnanti, o sulle prestazioni dei bambini nello svolgimento di compiti richiedenti specifiche capacità, ad esempio l’utilizzo delle funzioni esecutive. I ricercatori della Texas A&M University hanno, infatti, valutato le funzioni esecutive e la memoria di lavoro dei soggetti lasciati liberi di scegliere se stare seduti o in piedi, utilizzando quattro batterie di test neuro cognitivi standard e hanno registrato i modelli di attivazione cerebrale della corteccia prefrontale – area coinvolta nelle funzioni esecutive - attraverso la spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso. L’analisi dei dati raccolti a inizio anno e alla fine del primo semestre su 34 studenti, ha rivelato che l’uso continuato di scrivanie in piedi era associato a significativi miglioramenti delle capacità nelle funzioni esecutive e nella memoria di lavoro (dal 7% al 14%). Gli effetti sul ragionamento e l’apprendimento dello stare in piedi sono indagati da tempo dal gruppo texano, tanto che ne è nata una start up di progettazione delle particolari postazioni. Inoltre, i ricercatori sono coinvolti in uno studio più ampio riguardante le scuole superiori texane per l’introduzione delle postazioni in piedi, economiche, facili da usare e la cui efficacia riceve sempre più conferme. I risultati preliminari di loro studio precedente condotto su circa 300 bambini dalla seconda alla quarta elementare, presentati la primavera scorsa, indicavano un incremento del 12% nell’impegno dei bambini nella risoluzione di un compito in classe quando dotati di scrivania in piedi (o standing desk), il che equivale a sette minuti extra di concentrazione per ogni ora di tempo trascorso ad apprendere. febbraio 2016 La Rivista - 79 La dieta Rivista di Tatiana Gaudimonte Avete voglia di leggermi? Quando ci si affaccia per la prima volta a un pubblico tenendo in punta di penna (o meglio di tastiera) la propria creatura, accanto all’entusiasmo c’è una sempre una punta di ansia: avranno voglia di leggermi? Insomma, con tutti quelle belle pubblicazioni là fuori, disposte ordinatamente nelle edicole e pronte a rivelare i segreti delle star per diventare belli e sani in una settimana, chi glielo fa fare di leggere fino in fondo il primo articolo della “dieta Rivista”? Beh, per esempio perché “Rivista” non sta per “già vista”. Quindi, per esempio, niente “dimagrire rapidamente dopo le feste” o “prepariamoci alla prova costume”, con quei consigli che, anche se affiancati dalla foto di Belen in bikini, dopo tre giorni ci fanno sentire più come Fantozzi con il professor Birchenbauer (“Tu? Tu mancia??”). Insomma, su queste pagine “dieta” non assumerà il concetto aberrante di “restrizione” a cui i media ci hanno progressivamente abituato nel corso degli ultimi trent’anni. Iniziamo, dunque, andando a ripescare il suo significato originale: vogliate concedermi un salto nella Grecia classica. “Dieta” deriva dal termine δίαιτα, che in molti autori classici definisce lo stile di vita o, come in Epicuro, addirittura l’“arte del vivere”. Secondo questo filosofo, noto per la ricerca del piacere: “quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l’animo a essere sereno.”. Cosa accadde infatti, nella Grecia del IV secolo a.C? Anche grazie a Ippocrate, la medicina convenzionale iniziò ad essere arricchita da indicazioni sul regime alimentare, cosa che fece irritare il buon Platone nella sua Repubblica, il quale pensava che i medici dovessero occuparsi di dare farmaci e pensare ai fatti loro, ma che invece pose le basi di quella scienza che, molto più avanti, stabilì una netta connessione tra ciò che mangiamo e cosa siamo. Non è forse un caso se, nello stesso periodo, l’antichissimo principio dello “yangsheng” (letteralmente: “nutrire il principio vitale”) iniziava ad essere applicato in senso pratico dai medici cinesi che, dando anche indicazioni su alimentazione e stile di vita, facevano intrecciare la filosofia con la cura del corpo. Questo fenomeno, contemporaneo in due culture così lontane, fu rivoluzionario rispetto alla medicina arcaica, la quale si basava unicamente su chirurgia e rimedi farmacologici (spesso piuttosto strampalati e di dubbia efficacia!). In quel tempo, dunque, la cura di sé, anche attraverso l’alimentazione, diviene il tratto distintivo del saggio e del filosofo, che pur distinguendosi dall’uomo comune, si pone come suo esempio. Facciamo ora un balzo in avanti (saltando dunque tutto quel periodo in cui il problema principale relativo al cibo era, per i più…trovarne abbastanza) arrivando a colui che può essere considerato uno dei padri della scienza dell’alimentazione: il biologo e fisiologo americano Ancel Keys. Noto anche per aver inventato la famosa “razione K”(dove K sta per Keys), in dotazione all’esercito statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale, egli fu autore, subito dopo la guerra, di un importante studio sugli effetti devastanti che un’alimentazione restrittiva può avere su corpo e mente (il Minnesota Study: pensateci, la prossima volta che vorrete seguire una dieta di 1200 Kcal al giorno!). Il suo lavoro più importante fu però quello che dimostrò che una buona (in tutti i sensi) alimentazione non ha effetti solo sul benessere generale, ma è un importante fattore di prevenzione delle malattie, in particolare dell’insorgenza dell’arteriosclerosi (il Seven Countries Study, pubblicato nel 1980 dopo venticinque anni di analisi su centinaia di migliaia di soggetti). Originario della California ed amante del bel clima e delle cose buone, negli anni ’60, Keys si trasferì con la moglie in un piccolo comune del Cilento, dove essi vissero per quarant’anni, apprezzando nel quotidiano la dieta mediterranea che, principalmente grazie ai suoi studi, diviene patrimonio UNESCO nel 2010 e che, con ogni probabilità, contribuì a far vivere questo eminente scienziato ben cento anni. Lasciando ora il glorioso passato dei grandi per tornare all’umile presente di questa rubrica, spero di non suonare snob quando scrivo che vorrei scrivere qualcosa di diverso da ciò che propone la maggior parte dei periodici e siti internet che si occupano di alimentazione. Ciò che mi spinge in questa direzione è quello che vedo ogni giorno, durante la mia attività o semplicemente chiacchierando con le amiche: persone ossessionate dall’alimentazione. Se ci pensate bene, ciò è paradossale, considerato che mai come oggi è stato così facile avere cibo a disposizione. Il problema, come diceva mia nonna, è che “il troppo stroppia” e davanti a tanta e tale offerta ci sentiamo disorientati, oltre che oltremodo confusi a furia di sentire “esperti” che lanciano sempre nuove e complicatissime mode alimentari che, tra una privazione da una parte e una integrazione (costosa e artificiosa) dall’altra, dovrebbero condurci alla forma perfetta. Questa marea di stimoli tra loro spesso contraddittori, sono all’origine di una serie di patologie legate all’alimentazione, di tipo sia fisico che psicologico, che ormai sono all’ordine del giorno. Ecco, allora, l’intento della “dieta Rivista”: applicare il famoso “rasoio di Occam” anche all’alimentazione. Tra mille possibili varianti, perché non scegliere la più semplice, tornando ad ascoltare il nostro corpo e le stagioni, scegliendo cibo vero e davvero buono, da mangiare a sazietà e senza sensi di colpa? Con questa intenzione, spero, il prossimo mese, di “rivedervi”! [email protected] 80 - La Rivista febbraio 2016 Mondo in Camera La comunicazione nelle relazioni A Ginevra il 26 febbraio: Tuscany world wine experience Inizia a Berna sabato 12 febbraio Corso per sommelier in lingua italiana Finanziamenti per le Pmi intenzionate a partecipare per la prima volta ad una mostra/fiera in paesi extra Ue Corsi di inglese e workshop orientati al business Benvenuto ai nuovi soci Contatti commerciali Servizi camerali febbraio 2016 La Rivista - 81 La comunicazione nelle relazioni La globalizzazione porta all’espansione del concetto della comunicazione. Non perché c’è bisogno di persone professionalmente più adatte a fare i servi del potere, bensì all’opposto, perché la forza dei potenti si contrasta solo con la genuinità e profondità dei rapporti umani. Il problema che pone la globalizzazione è che non tiene conto del pluralismo delle identità, ovvero la differenza nei rapporti personali, che rende proficui soprattutto i contatti diretti. La globalizzazione è creata con le tecnologie, ma il problema delle tecnologie è che esse fanno scomparire con il loro uso le individualità personali. Per riequilibrare l’assetto della società, servono le relazioni fra esseri umani: pertanto la comunicazione nelle relazioni! Come l’immagine è la valutazione globa- le dell’oggetto, così le relazioni sono una tecnica globale per ottenere dal soggetto l’orientamento verso la fonte. Le relazioni possono usare gli strumenti più disparati, oltre al contatto diretto, che è il loro strumento principale. Sono tutti usi di tecniche finalizzate a mutare la percezione della comunicazione nell’interlocutore. Questi i temi al centro del Forum in programma il prossimo 20 febbraio a Lugano presso l’Aula Magna USI dell’Università della Svizzera Italiana secondo il seguente programma: 09:30 – Registrazione Welcome coffee 10:00 – Inizio lavori – Presentazione programma 10:15 – Lectio Magistralis Leadership – A Ginevra il 26 febbraio: Tuscany world wine experience Nel quadro del progetto Tuscany World Wine experience finanziato dall’Unione Europea, la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) in collaborazione con il Consorzio di Montecucco organizza il 29 febbraio 2016, presso il prestigioso Hotel Beau Rivage di Ginevra, la prima degustazione in svizzera francese dedicata ai vini della Toscana. Una selezione di una decina di cantine si presenteranno ai professionisti svizzeri del settore (ristoratori, importatori, dettaglianti, sommelier, stampa) e ai wine lovers e agli amanti del Made in Italy. Il programma è il seguente: • Dalle ore 12.30 alle 13.30: presentazione del Consorzio e 82 - La Rivista febbraio 2016 degustazione guidata (rivolto a stampa, sommelier, professionisti) • Dalle 13.30 alle 14.30: Standing lunch per gli operatori che hanno partecipato alla presentazione dei vini • Dalle ore 14.30 alle 17.30: incontri b2b tra le cantine toscane e i professionisti svizzeri del settore (importatori, dettaglianti, sommelier, HORECA, stampa, consulenti) • Dalle ore 17.30 alle 20.00: apertura ai wine lovers e ad un pubblico selezionato di intenditori L’ingresso è libero, previa iscrizione che preghiamo di inviarci entro il 24 febbraio 2016 via mail ([email protected]). George Kohlrieser 11:45 – Il cambiamento nelle organizzazioni – Gianluca Santarelli 12:15 – Pausa pranzo 13:30 – L’AT nella realtà ospedaliera – Riccardo Mara 14:30 – L’analisi dei ruoli come leva di cambiamento per le organizzazioni – Ugo De Ambrogio 15:00 – Etica secondo AT nelle Organizzazioni – Andrea Dondi 15:30 – Coffee break 16:00 – Presentazione sponsor 16:30 – Domande e chiusura lavori 17:00 – Aperitvo buffet e saluti Informazioni ed iscrizioni: http://swissrelationsforum.ch/ Inizia a Berna sabato 12 febbraio Corso per sommelier in lingua italiana La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) e l’Associazione Svizzera dei Sommeliers Professionisti (ASSP) organizzano, per la prima volta a Berna, un corso per sommelier in lingua italiana. I corsi sono riconosciuti dall’Association Suisse des Sommeliers Professionnels e dall’Associazione Mondiale dei Sommeliers (ASI) e si indirizzano non solo ai collaboratori e ai quadri della ristorazione ma anche a tutti gli appassionati del buon vino. Scopo del corso è informare ed educare il consumatore, nonché preparare in modo adeguato il personale addetto al servizio dei vini. Il corso è programmato secondo moderni canoni di formazione professionale al fine di fare acquisire ai partecipanti un adeguato bagaglio tecnico-culturale anche in funzione del superamento dell’esame finale (facoltativo), il quale darà diritto al titolo di Sommelier. Dal 2013 è stato approvato dal SEFRI (Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione) il brevetto federale per sommelier/re, per chi fosse interessato può seguire i corsi rivolgendosi a: Hotel & Gastro Formation a Weggis - www.hotelgastro. ch, alla Scuola Superiore Alberghiera e del Turismo di Bellinzona – www.ssat.ch oppure Haute école de viticulture et oenologie Changis – www.changins.ch Regolamento e condizioni di partecipazione Il corso è strutturato in tre livelli indipendenti per un totale di 36/38 lezioni. Il 1° livello è dedicato alla viticoltura, alla tecnica di de- gustazione, alla legislazione, ai distillati e al marketing; Il 2° livello alla geografia vitivinicola; Il 3° livello all’abbinamento cibo-vini. Al termine di ogni livello, il corsista sarà sottoposto ad una auto-verifica e il superamento dello stesso darà diritto ad un certificato di frequenza. L’esame non è obbligatorio per coloro che non desiderano partecipare all’esame finale. Nel caso il corsista non desideri sottoporsi all’esame o non dovesse superarlo, riceverà in ogni caso una conferma di partecipazione. Sede dei corsi è BERNA (Kongress + Kursaal Bern AG Kornhausstrasse 3 3000 Bern 25 www.kursaal-bern.ch.) Il corso avrà inizio il 12 marzo 2016 e avrà cadenza mensile (sabato tutto il giorno, vedi calendario su www. ccis.ch). Al termine del primo e del secondo livello, il corsista potrà sostenere un esame strutturato come segue in: - prova scritta; analisi organolettica di due vini. Per quanto concerne l’esame finale del terzo corso, saranno ammessi solo coloro che avranno partecipato agli esami (verifica) di 1° e 2° livello. Detto esame sarà strutturato nel modo seguente: (è richiesta una partecipazione dell’80% ai corsi) Prova scritta con domande su tutti e tre i livelli; 2. Analisi organolettica di due vini; 3. Prova pratica di abbinamento cibi-vini; 4. Prova orale con domande su tutti e tre i livelli; 5. Prova pratica di servizio. Alle prove 4 e 5 saranno ammessi solo coloro che supereranno le prime tre prove dell’esame finale. Il candidato che non supera l’esame finale potrà ripeterlo al massimo per un’altra volta nella sessione d’esami successiva. Se anche in quest’occasione non doves- se riuscire, per essere accettato nuovamente, il candidato dovrà ripetere il terzo livello interamente. I candidati saranno accettati secondo l’ordine d’arrivo delle adesioni. Coloro che non saranno ammessi a causa del superamento dei posti disponibili, saranno informati per iscritto. I costi sono fissati come segue: 1° livello: CHF 1’190.-- tassa d’esame intermedio inclusa 2° livello: CHF 1’140.-- tassa d’esame intermedio inclusa 3° livello: CHF 1’250.-tassa d’esame finale inclusa In caso d’iscrizione a tutti e tre i livelli e di pagamento dell’intero importo entro il 19 febbraio 2016, verrà applicato uno sconto del 10%; la retta ammonterà pertanto a CHF 3’222.— Nella retta sono compresi i libri di testo, la borsa del sommelier contenente i bicchieri di degustazione INAO, vari dossier d’aggiornamento e tutti i vini in degustazione. I partecipanti ammessi al corso saranno informati per iscritto. Allegate alla conferma vi saranno le relative fatture di partecipazione con le cedole di versamento. In caso di annullamento oltre la data del 19 febbraio 2016 da parte del corsista, la quota d’iscrizione non sarà rimborsata. Il programma e le date del corso possono subire variazioni che verranno comunicati ai partecipanti in tempo utile! Iscrizioni e informazioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Bruno Indelicato Seestrasse 123 8027 Zurigo Tel. 044/289 23 26 Fax 044/201 53 57 E-Mail: [email protected] [email protected] febbraio 2016 La Rivista - 83 Finanziamenti per le Pmi intenzionate a partecipare per la prima volta ad una mostra/fiera in paesi extra Ue Sei una PMI che vuole partecipare per la prima volta ad una mostra/fiera in Paesi extra UE? Puoi rivolgerti a noi per ottenere un finanziamento a tasso agevolato sul Fondo L. 394/81 e soggetto alla normativa comunitaria “de minimis” di cui al Regolamento UE n. 1407/2013 “de minimis”, pubblicato sulla GUUE il 24.12.2013. Qual è la finalità del finanziamento? incentivare la prima partecipazione ad una fiera/mostra sui mercati extra UE. Al momento della presentazione della domanda l’impresa dovrà fornire a SIMEST un’autodichiarazione attestante che si tratta della prima partecipazione ad una specifica fiera/mostra. Il finanziamento può essere concesso per la prima partecipazione a più fiere/mostre diverse, anche nello stesso Paese, ma non per più partecipazioni alla stessa fiera/mostra. Chi sono i beneficiari del finanziamento? Tutte le PMI aventi sede legale in Italia, in forma singola o aggregata, comprese quelle a partecipazione giovanile o femminile. Nel caso di imprese aggregate la domanda è presentata dalla società capofila corredata dal mandato con rappresentanza sottoscritto dai partner. Tutte le obbligazioni sono assunte dai partner solidalmente. Ci sono settori di attività esclusi dal finanziamento? Info presso: E-mail: [email protected] oppure Tel. 0041 44 289 23 23 In quali paesi? In tutti i Paesi extra UE. Fermo restando che l’impresa può presentare più 84 - La Rivista febbraio 2016 domande di finanziamento, ogni singola domanda deve riguardare una o più fiere/mostre da realizzarsi al massimo in tre Paesi di destinazione. La domanda deve essere presentata prima della data prevista per l’inizio della fiera/mostra. Quali sono le spese finanziabili? Le spese ammissibili al finanziamento di cui alla scheda programma sono: spese di funzionamento (affitto spazio espositivo e suo allestimento, personale esterno, ecc.); - spese per attività promozionali (consulenze, materiale pubblicitario, workshop e similari ecc. riconducibili alla fiera/mostra); spese per interventi vari (20% forfettario della somma delle spese precedenti). Da quando sono finanziabili le spese? Le spese sono finanziabili dalla data di arrivo della domanda di finanziamento a SIMEST. Le spese sono ammissibili se direttamente collegate alla fiera/mostra e sostenute nel periodo di realizzazione del programma, che decorre dalla data di presentazione della domanda stessa e termina 18 mesi dopo la data di stipula del contratto di finanziamento. Qual è l’importo massimo finanziabile? € 100.000,00 per ciascuna PMI o aggregazione di PMI riconducibili alla stessa proprietà. € 300.000,00 per l’aggregazione di PMI non riconducibili alla stessa proprietà (€ 200.000,00 nel caso di due PMI aggregate ed € 300.000,00 nel caso di tre o più PMI aggregate). Il finanziamento può coprire fino ad un massimo dell’’85% dell’’importo delle spese indicate nella scheda programma e può essere concesso per un importo non superiore a quello consentito dall’applicazione della normativa comunitaria “de minimis”. In ogni caso, il finanziamento non può superare il limite del 12,5% della media del fatturato degli ultimi 3 esercizi. Il finanziamento è deliberato dal Comitato Agevolazioni che ne determina la misura in base alla valutazione del programma promozionale e del preventivo delle spese. Il finanziamento prevede un anticipo compreso tra un minimo del 20% ed un massimo del 30% dell’’importo del finanziamento concesso. Qual è la durata del finanziamento? La durata complessiva è di 4 anni di cui 2 di preammortamento (per soli interessi) e 2 di rimborso del capitale. I periodi di preammortamento e rimborso possono essere ridotti su richiesta dell’’impresa. Qual è il tasso di interesse? Il tasso di interesse è pari al 15% del tasso di riferimento di cui alla normativa comunitaria. In ogni caso tale tasso non può essere inferiore allo 0,50% annuo. Sono richieste delle garanzie? Le erogazioni del finanziamento sono subordinate alla presentazione delle garanzie deliberate dal Comitato Agevolazioni tra le seguenti: - fideiussione bancaria, conforme alle clausole giuridiche di cui allo schema pubblicato sul sito internet della SIMEST; - fideiussione assicurativa, conforme alle clausole giuridiche di cui allo schema pubblicato sul sito internet della SIMEST; - fideiussione di Confidi appositamente convenzionati con SIMEST; fideiussione di Intermediari Finanziari appositamente convenzionati con SIMEST; - pegno su titoli di Stato. Qual è l’’iter della domanda? L’impresa presenta la richiesta di finanziamento a SIMEST, allegando al modulo di domanda la documentazione in esso indicata. La richiesta di finanziamento è sottoposta al Comitato Agevolazioni, sulla base di un criterio cronologico, entro 90 giorni dalla data di presentazione della domanda. Il Comitato delibera in merito alla concessione del finanziamento ed alle relative garanzie. A seguito della delibera, SIMEST provvede alla stipula del contratto di finanziamento, all’’assunzione delle garanzie e relative erogazioni. Maggiori informazioni? Fabrizio Macrì Segretario Generale Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Tel. 0041 44 289 23 23 E-mail: [email protected] CORSI DI INGLESE E WORKSHOP ORIENTATI AL BUSINESS Docente senior di lingua inglese, progetto ed erogo corsi di formazione di Inglese Generale ed Inglese Aziendale, con specifici percorsi orientati al business, in aula ed in video-conferenza. Propongo inoltre laboratori specialistici orientati alla gestione manageriale. Oltre alla notevole esperienza in svariati ambiti e settori aziendali garantisco professionalità, corsi personalizzati e tariffe orarie fisse indipendenti dal numero dei partecipanti. Dopo la laurea ho conseguito un master presso l’Università di Glasgow nell’anno 2000/2001 in Adult and Continuing Education con specializzazione in New Technology and Lifelong Learning. Attualmente studio per il conseguimento del Master in Business Administration presso la Open University di Londra. I servizi che offro sono i seguenti • Corsi di Business English, anche in preparazione agli esami BEC di • Cambridge (BEC Preliminary, BEC Vantage, BEC Higher) • Corsi di General English, anche in preparazione agli esami ESOL di • Cambridge (KET, PET, FCE) • Workshop specialistici di una durata di 8 ore ciascuno relativi alle seguenti tematiche: • Public Speaking (come fare presentazioni di lavoro in inglese) - Effectiveness in describing statistics at work English (come ottenere il massimo risultato dalla descrizione di grafici e statistiche) • Basic financial vocabulary in English • Effectiveness in writing English emails at work (come ottenere il massimo risultato ai fini comunicativi nella scrittura delle email) • Effectiveness in speaking English on the phone at work (come ottenere il massimo risultato da una conversazione telefonica lavorativa) Tra i miei clienti: Confindustria Monza e Brianza, Confindustria Como, SMC Italia, Office Distribution, Filodiretto, Ceme Spa. Ulteriori informazioni sono disponibili sul mio sito www.englishforwork.eu o scrivete a [email protected] febbraio 2016 La Rivista - 85 CONTATTI COMMERCIALI Dal mercato italiano OFFERTE DI MERCI E SERVIZI Montaggi industriali FB SRL VIA S. ALESSANDRO 41/B 24023 CLUSONE (BG) Tel: +39 0346/21878 Fax: +39 0346/921404 E-mail: [email protected] www.fbmontaggi.com Ristrutturazione negozi AD Store & More srl Via de Gasperi, 16 I – 63074 San Benedetto del Tronto (AP) Tel: +39 0735381644 Fax: +39 0735585780 E-mail: :[email protected] www.adsm.eu Abbigliamento lavoro Top for job srl Via Innsbruck 25 I – 39100 Bolzano Tel: +39 0471 053838 Fax: +39 0471 053839 E-mail: [email protected] www.top-for-job.com Torneria di precisione Guerrini SpA Via delle Fisarmoniche 41/43 I – 60022 Castelfidardo AN Tel. 0039/071 7808177 Fax 0039/0717820949 E-mail: [email protected] www.guerrinispa.com Motori Torque Technai Team srl Via Gelada 15 I – 21015 Lonate Pozzolo (VA) Tel. 0039/0331 66162415 E-mail: [email protected] www.technai.it Stampaggi in plastica Reca Plast srl Via dell’Artigiano 15 I – 60027 Osimo AN Tel. 0039 071 7231208 86 - La Rivista febbraio 2016 Fax 0039 071 716940 E-mail: [email protected] www.recaplast.it Automazione industriale Proteo Engineering srl Via S. Vito 693 I – 41057 Spilamberto MO Tel. 0039/059 789611 Fax 0039/ 059 789666 E-mail: [email protected] www.proteoeng.com Calzature Fausto Ripani via Del Castello 3 I – 63812 Montegranaro FM Tel. e Fax 0039 0734893065 E-mail: [email protected] www.faustoripani.com Arredamento di negozi EFFEBI SpA Via delle Industrie 8 I – 61040 Sant’Ippolito PU Tel. 0039/0721 74681 Fax. 0039/0721 728600 E-mail: [email protected] www.effebispa.it Stampi per pressofusione materie plastiche SPM s.p.a. 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L’utilizzo di materiali di alta qualità, la continua innovazione e il miglioramento dei prodotti e dei servizi rappresentano i principali punti di forza che differenziano l’azienda dalle altre. Per realizzare facciate, balconi e recinzioni vengono utilizzati materiali diversi, spesso anche in combinazione tra loro, quali i pannelli HPL, vetro, alluminio, legno, inox. In particolare i pannelli Hpl, realizzati con il 70% di cellulosa e il 30% di resine sintetiche, rappresentano una delle soluzioni piú avanzate presenti sul mercato per uso esterno. L’azienda colpisce per la sua versatilità: oltre 100 colori e motivi decorativi con durezze diverse e 3 diversi sistemi di fissaggio. Per le richieste di cui sopra rivolgersi a: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Seestr. 123, casella postale, 8027 Zurigo Tel. 044/289 23 23 Fax 044/201 53 57 e-mail: [email protected] www.ccis.ch • Azienda italiana leader nella lavorazione di materiali plastici, progettazione e produzione di stampi per svariati settori (elettrico, nautico, aerospaziale, automotive, ferroviario, stradale) è alla ricerca di potenziali clienti in Svizzera, per ampliare la propria rete commerciale estera. Dal mercato svizzero • Azienda italiana attiva nella TORNERIA AUTOMATICA con una quarantennale esperienza nel settore della meccanica di precisione ricerca clienti svizzeri interessati all’azienda come fornitore di particolari torniti a disegno. Con il suo parco macchine, formato da circa venti torni di recente costruzione e di altissima affidabilità e precisione, un sistema di lavaggio pezzi sottovuoto ad ultrasuoni ed alcohol modificato ed un sistema di selezione automatica dei pezzi dotato di telecamere, la ditta è costantemente al passo con l’innovazione ed in grado di fornire un’ampia gamma di particolari secondo le specifiche del cliente. • Azienda italiana leader nella produzione e progettazione di manufatti in fibra di carbonio ed altri materiali compositi (carbon-kevlar e fibra di vetro), per svariati settori (robotica, nautico, aerospaziale, automotive, biomedicale, industriale e design) e certificata ISO 9001:2008, è alla ricerca di potenziali partner e clienti in Svizzera, per ampliare la propria rete commerciale estera. • Azienda italiana leader nella lavorazione e nella finitura estetica dell’acciaio inox, con oltre 25 anni di esperienza nella produzione conto terzi di semilavorati e componenti per diversi settori industriali, dotata di Certificazioni ISO 9001 e ISO 3834-3 e specializzata nella fabbricazione di strutture metalliche di carpenteria per arredo urbano , è alla ricerca di potenziali partner e clienti in Svizzera, per ampliare la propria rete commerciale estera. OFFERTE DI MERCI E SERVIZI Diamanti da investimento IDB Helvetia SA via G.B. Pioda, 8 CH-6900 Lugano Tel. +41 (0)91 921 13 80 Fax +41 (0)91 924 13 80 E-mail: [email protected] www.idbhelvetia.ch Installazioni idrauliche e sanitarie Felix & Co. AG Landstrasse 70 - 5412 Gebenstorf Tel. +41 (0)56 223 28 10 Fax +41 (0)56 223 53 14 Email:[email protected] www.felix-co.ch Per ulteriori informazioni rivolgersi alla: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Seestr. 123, casella postale, 8027 Zurigo Tel. 044/289 23 23 Fax 044/201 53 57 e-mail: [email protected] www.ccis.ch BENVENUTO AI NUOVI SOCI AZIENDA AGRICOLA IL RAGGIO BURCHIELLI FRANCESCO VIA CASAL DEL BRIZZI 1A IT-58011 CAPALBIO (GR) TEL. +41 76 320 22 69 [email protected] BLITZ PETER LANGWEID 1 CH-6333 HÜNENBERG SEE TEL. +41 (0)41 780 46 60 FAX +41 (0)41 780 92 33 [email protected] ESPOSITO ANITA C/O KPMG RUE DE LYON 111 - P.O. 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HOFSTRASSE 1A CH-6300 ZUG TEL. +41 (0)41 729 10 70 [email protected] WWW.REICHLINHESS.CH febbraio 2016 La Rivista - 87 Sede Lugano Via Nassa 5CH-6900 Lugano Tel: +41 (0)91 924 02 32 Fax: +41 (0)91 924 02 33 E-Mail: [email protected] Sede Zurigo Seestrasse 123CH-8027 Zurich Tel: +41 (0)44 289 23 23 Fax: +41 (0)44 201 53 57 E-Mail: [email protected] Servizi Camerali Sede Ginevra 12-14 rue du Cendrier CH-1211 Ginevra 1 Tel: +41 (0)22 906 85 95 Fax: +41 (0)22 906 85 99 E-Mail: [email protected] La CCIS (Camera di Commercio Italiana per la Svizzera) è l’hub di riferimento in Svizzera per imprese medie e piccole, grandi aziende e marchi del Made in Italy, consorzi, associazioni di categoria ed enti pubblici che abbiano l’obiettivo di accrescere la presenza economica italiana in Svizzera. Fondata nel 1909 la Camera appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese dei paesi in cui operano verso il mercato italiano. La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra Italia, Svizzera e Liechtenstein. La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente strutturata in aree tematiche: Esportazioni - Ricerca buyers/clienti - Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca) - Consulenza di natura commerciale e doganale - Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel mondo - Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei partner (visure, rapporti commerciali, ecc.) - Organizzazione di degustazioni, workshops ed eventi - Realizzazione di delegazioni ed export strikes (visite presso buyers svizzeri) - Organizzazione ed accompagnamento di espositori italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere italiane - Organizzazione di seminari ed incontri di affari - Focus settoriali 88 - La Rivista febbraio 2016 Investimenti - Apertura di un’attività - Investire nella ristorazione - Appalti pubblici in Svizzera - Attività di M&A e di Corporate Finance Comunicazione e promozione turistica La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco, per l’italianità in movimento Corsi - Corsi per professionisti e semplici appassionati - Corsi per sommelier in lingua italiana Altro - Recupero Crediti - Ricerca di dati statistici - Traduzioni ed interpretariato - Agevolazioni speciali per i soci I settori di punta Agroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione CONVENIENZA SU TUTTA LA LINEA. Una dolce tentazione per l’inverno! Grazie agli innumerevoli modelli disponibili, la nuovissima gamma di mezzi Iveco offre soluzioni specifi che per ogni incarico di traspor to. Con progetti di veicoli pionieristici che vi fanno andare avanti sotto ogni punto di vista e tutelano l’ambiente nel migliore dei modi. In poche parole: convenienza ed ecologia in perfetta armonia. L’esempio più recente: Scopri molte altre ricette di tiramisù su il nuovo Eurocargo, Truck of the Year 2016! Il vostro par tner Iveco sarà lieto di consigliarvi. IVECO (Svizzera) SA, Oberfeldstrasse 16, 8302 Kloten, tel. 044 804 73 73 W W W . I V E C O . C H Anno 107 - n. 2 - Febbraio 2016 La Rivista Anno 107 - n.2 - Febbraio 2016 WINTER PROOF. L’Italia del 2016 in 10 autoscatti Jeep® Renegade. Ora da CHF 199.– al mese con Swiss Free Service per 3 anni o 100 000 km. Provatela subito! 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