I fondamentali processi metallurgici
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I fondamentali processi metallurgici
Processi piro-metallurgici : aspetti chimico-fisici e tecnologici La scoperta della possibilità di estrarre e lavorare i metalli e lo sviluppo delle relative tecniche pirometallurgiche, dalle più primitive e poco efficienti alle più elaborate, sono momenti evolutivi sia tecnologici che culturali di fondamentale rilevanza per la storia dell’uomo. Infatti, in un arco temporale ristretto a poche migliaia di anni, la produzione dei metalli ha permesso all’uomo di lavorare e produrre nuovi materiali non dovendo più dipendere dalle produzioni naturali, di migliorare la qualità della vita e di porre le basi di una economia ampia e produttiva. Questa lezione non si propone il temerario obbiettivo di esporre in dettaglio la ricostruzione delle complesse attività, solo in parte note, di produzione dei metalli nell’antichità che hanno dato il nome alle ultime epoche dell’uomo, ma soltanto di illustrare per sommi capi gli aspetti chimico-fisici e tecnologici delle antiche metodologie di estrazione e lavorazione dei metalli, attività da considerare fra le più avanzate tecnologicamente sia nel mondo antico sia in quello moderno. Dallo studio di tali aspetti è infatti possibile comprendere le capacità ed il livello di competenza tecnologica complessiva raggiunti dai diversi gruppi umani, sebbene per alcune migliaia di anni si possa parlare solo di competenze acquisite empiricamente. A lungo, infatti, l’uomo governò processi anche complessi, senza per questo possedere la benché minima conoscenza chimico-fisica di tali attività, ma facendo tesoro esclusivamente dell’esperienza pratica acquisita in precedenza. Il primo e fondamentale passo nel processo produttivo era rappresentato dall’identificazione, estrazione e cernita delle rocce metallifere. L’evoluzione dei metodi di estrazione procedette di pari passo con le più complesse successive operazioni piro-metallurgiche che permettevano, tramite il carbone ed il fuoco, la trasformazione chimico-fisica dei minerali in metalli. Tali metodi estrattivi si sono evoluti nel tempo, passando dai primi tentativi di circa 5000 anni orsono, che si limitavano allo sfruttamento dei depositi di minerali poco profondi, fino ad una coltivazione più sistematica che interessava i depositi sia superficiali che profondi. Volendo riassumere, le principali tecniche di estrazione utilizzate in antico erano sostanzialmente due: la prima prevedeva la frantumazione della roccia tramite lavorazioni meccaniche condotte con strumenti in pietra e metallici; la seconda si basava sull'azione combinata del fuoco e dell'acqua, operazione alla quale seguiva poi il vero e proprio processo fisico di estrazione. Tale ingegnoso metodo, applicabile solo in caso di una abbondante disponibilità di legna, di condotti per l’areazione e di acqua, disgregava la roccia metallifera per effetto delle espansioni termiche e della vaporizzazione dell’acqua contenuta nella roccia. Lo fase lavorativa successiva all’estrazione consisteva nella rimozione fisica del materiale da scarto, o ganga, dal minerale metallifero grezzo. Questa operazione avveniva frantumando ulteriormente la roccia e separando i minerali metalliferi dal materiale senza contenuto metallico. Una volta selezionato il minerale metallifero veniva in alcuni casi arrostito all’aria aperta su fuochi di legna allo scopo di eliminare l’acqua legata, di disgregare ulteriormente la roccia metallifera ed ossidare eventuali solfuri metallici presenti. Questi procedimenti preparavano il minerale grezzo al processo vero e proprio di trasformazione del minerale metallifero in metallo che avveniva in apposite fornaci. Purtroppo il ritrovamento delle testimonianze archeologiche di tali attività, che potrebbero aiutarci nella ricostruzione tecnologica dei processi pirometallurgici, non sono affatto comuni e tali testimonianze consistono per la maggior parte in frammenti di ceramica refrattaria con segni di combustione e vetrificazione appartenenti al guscio esterno delle fornaci, in alcune attrezzature pirometallurgiche, in scorie e scarti e masse metalliche grezze. Le fornaci erano dunque il “reattore” in cui i minerali metallici grezzi, attraverso una serie di processi chimicofisici, venivano trasformati in metalli tramite l’azione combinata del calore e di una atmosfera riducente prodotta dalla combustione del carbone in difetto di ossigeno che produceva CO. Come si è detto, il ritrovamento di tali fornaci in buono stato di conservazione è un evento molto raro in quanto esse erano costruite esclusivamente per condurre a termine un numero limitato o addirittura un solo processo pirometallurgico in quanto per il recupero del metallo poteva essere necessario rompere l'involucro ceramico della fornace. Le fornaci, costruite in argilla, ceramica refrattaria o in pietra a volte rivestita di argilla, potevano essere costituite o da strutture fisse o da componenti fisse e mobili, queste ultime facilmente eliminabili venivano 1 assemblate all’inizio di ogni ciclo produttivo in modo tale da permettere la successiva riutilizzazione almeno delle parti fisse. Le pareti della fornace dovevano essere robuste da un punto di vista meccanico onde sostenere la massa della carica ed inoltre refrattarie in grado cioè di resistere a temperature dell’ordine di circa 500-700°C/cm. L'immissione dell'aria per la combustione del carbone era controllata da mantici in cuoio, collegati alla fornace tramite corti tubi ceramici (tuyeres) del diametro interno variabile da 1 a 3 cm, i quali potevano essere a doppio o singolo canale di adduzione dell’aria. Le tuyeres erano solitamente poste orizzontalmente rispetto alla fornace; talora, però, per una specifica necessità produttiva o per il riscaldo della fornace potevano presentare anche un orientazione di inserimento obliqua. Inserti di argilla cruda, inoltre, ne assicuravano la perfetta aderenza alla fornace. Il processo pirometallurgico vero e proprio aveva inizio con la preparazione della carica che si effettuava introducendo nella fornace i minerali metallici frantumati, il carbone di legna oltre ad altre eventuali sostanze atte a soddisfare i requisiti metallurgici quali i flussanti che facilitavano il processo di scorificazione. Tale processo era di fondamentale importanza poiché permetteva la macro separazione fisica del metallo utile dai materiali non metallici e quindi senza valore. Una volta acceso il fuoco, i mantici immettevano nella fornace attraverso le tuyeres l’aria necessaria per la combustione del carbone a monossido di carbonio (CO), il quale, reagendo a temperature superiori agli 800°C con minerali ossidici, permetteva la loro trasformazione in metallo producendo anidride carbonica (CO2). Poiché il rapporto tra la pressione parziale del monossido di carbonio (pCO) e la somma delle pressioni parziali del monossido di carbonio e della anidride carbonica (pCO + pCO2) deve essere superiore a 0.8-0.9, cioè si doveva condurre il processo in atmosfera caratterizzata da un difetto controllato di ossigeno, la gestione dell’immissione dell’aria nella fornace tramite le tuyeres era uno dei momenti critici del processo metallurgico, che presupponeva da parte del metallurgista una notevole competenza per operare in condizioni ottimali. Come già detto in precedenza, uno dei processi di fondamentale importanza per la produzione di metallo utile era quello della scorificazione che permetteva di separare il metallo dalle componenti non metallifere, dette ganga, contenute nella roccia e di cui non era stata possibile la completa separazione in precedenza. Se infatti la ganga contenuta nel minerale grezzo non possedeva la giusta porzione di silicati e ossidi metallici necessari per la formazione autonoma di scorie silicatiche metalliche basso fondenti (1100÷1200°C), si rendeva necessaria l’aggiunta di materiali che favorivano la formazione di tali scorie le quali si allontanavano dal metallo scorrendo fluide verso il fondo della fornace o all’esterno di essa permettendo quindi, dopo la trasformazione dei minerali in metallo, la sua separazione fisica dal metallo. Tali materiali flussanti, erano aggiunti alla carica in definitiva per favorire la formazione delle scorie, abbassarne il punto di fusione e diminuirne la viscosità e quindi, favorirne l’allontanamento. Anche se la suddetta breve descrizione può considerarsi valida per riassumere gli aspetti generali dei processi di produzione dei metalli nell’antichità, esistono aspetti specifici legati alla produzione di rame, ferro, piombo, argento e alla separazione e raffinazione dell’oro. Tali aspetti specifici verranno trattati nella prima lezione. Applicazione delle tecniche di indagine chimico-fisica all’Archeometallurgia Nelle due lezioni verranno fornite delle propedeutiche e preliminari brevi descrizioni dei principi di alcune tecniche di recente applicazione nel campo dell’Archeometallurgia fra cui X-ray photoelectron spectroscopy (XPS), glow discharge optical emission spectrometry (GDOES), inductively coupled plasma mass spectrometry (ICP-MS). Tali tecniche combinate con le metodologie più convenzionali quali SEM+EDS, XRD, AAS e microscopia ottica, di impiego consolidato e maturo, sono in grado di fornire un prezioso contributo alle indagini archeometallurgiche finalizzate alla conoscenza e alla conservazione dei Beni Culturali. Nel prosieguo delle lezioni verranno descritti alcuni casi di studio al partire dal ritrovamento del manufatto metallico illustrando le finalità e le problematiche dell’indagine, le metodiche all’uopo selezionate, i risultati delle indagini, la loro discussione e conclusioni. Gli esempi che verranno trattati sono : 2 • • • determinazione dell’originalità di alcuni manufatti archeologici; processo di produzione e causa di fragilità in serrati Romani republicani; identificazione delle tecniche di produzione di manufatti dorati e argentati di epoca Romana e Barbarica e determinazione dello stato di degrado; • identificazione delle tecniche di produzione e determinazione dello stato di degrado di specchi Romani; • composizione chimica, microstruttura e provenienza di Aes Rude rinvenuti in Sardegna; • indagini archeometallurgiche a Tell-Afis (NW-Siria); • indagini archeometallurgiche a Tharros (Sardegna) finalizzate alla determinazione dello stato di degrado dei manufatti in ferro di epoca punica; • composizione chimica, microstruttura e provenienza di monete puniche; • composizione chimica e provenienza di lingotti e ancore Romane rinvenute presso relitti in Sardegna. Inoltre, nel corso delle lezioni verranno descritti i diagrammi del rame quali Cu-Sn, Cu-Pb, Cu-Ag, Cu-Fe e Cu-Zn e brevemente fornite informazioni sulla metallografia del rame e delle sue leghe. BIBLIOGRAFIA 1. B. ROTHENBERG, The Ancient Metallurgy of Copper, Institute for Archaeo-Metallurgical Studies, Institute of Archaeology, University College London, London, Vol. 2, 1990. 2. D. A. SCOTT, Metallography and Microstructure of Ancient and Historic Metals, Getty Conservation Institute, The J. Paul Getty Museum, 2002 ISBN 0-89236-638-9. 3. D. A. SCOTT, Copper and Bronze in Art, Corrosion, Colorants, Conservation, Getty Conservation Institute, The J. Paul Getty Museum in association with Archetype Books, Singapore, 1991. 4. J.L. GREGG, Arsenical and Argentiferous Copper, American Chemical Society, Monograph Series, New York 1934. 5. W.H. DENNIS, Metallurgy of the Non-Ferrous Metals, Sir Isaac Pitman & Sons Ltd,London1961. 6. S.U. WISSEMAN and W.S. 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