n. 73 - Prometeia

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n. 73 - Prometeia
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newsletter per l’investitore istituzionale
settembre 2013
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anno X – n.
l’editoriale di questo mese:
Ritorna ANTEO in edizione ordinaria, dopo i numeri dedicati alla
III Giornata Nazionale della Previdenza e al nostro IX Percorso di
InFormazione. Lo fa salutando l’estate ed offrendo ai lettori un …
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prometeia
advisor sim
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newsletter per l’investitore istituzionale
in questo numero:
n.73
editoriale
p. 4
la parola a…
L'angolo dell'analisi p. 6
Prof. Paolo Onofri
La gestione del rischio nei fondi di private equity p. 8
Claudio Bocci — Prometeia
contributi
La direttiva europea sui gestori di fondi di investimento alternativi
p. 10
Tommaso Martinoli, Area Affari Societari e Legali — BNP Paribas REIM
Direttiva 2011/61/UE: una pietra miliare nella storia della gestione di fondi di
investimento alternativi
p. 14
Ludo Bammens, Head of EMEA Corporate Affairs — KKR
Chloe Lavedrine, Principal Client & Partner Group — KKR
Opportunità d'investimento nel debito dei mercati emergenti
p. 17
Steffen Reichold, PhD, Economista per i mercati emergenti — Stone Harbor
Claudia Marciano, Responsabile per le relazioni con i consulenti in Europa — Stone Harbor
Chetana Munot, Responsabile per le relazioni con i clienti istituzionali in Europa — Stone Harbor
osservatorio prometeia
"C’è una rotta fuori dai porti sicuri?”: alcuni approfondimenti con i relatori Stefania Luciani — Prometeia
p. 25
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newsletter per l’investitore istituzionale
Quali prospettive per gli investimenti fuori dai “porti sicuri”?
p. 33
Emanuele De Meo, Ugo Speculato, Giacomo Tizzanini, Lea Zicchino — Prometeia
Stima dei flussi di vendita di titoli di Stato italiani a seguito di un eventuale
declassamento a Speculative Grade
p. 38
Ugo Speculato — Prometeia, Luca Borella
L’imposta sulle transazioni finanziarie in Europa p. 41
Daniela Viggiano — Prometeia
approfondimenti
Quali ulteriori misure di sostegno all’economia potrebbe adottare la Bce?
p. 45
Federico Calogero Nucera
Dal Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia (aprile 2013)
Le prossime tappe per un completamento dell’Unione Economica e Monetaria
p. 48
Maria Valentina Bresciani — Prometeia Associazione
Massimiliano Coluccia — Prometeia
Dal Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia (aprile 2013)
Il processo di deleveraging dell’economia italiana: prospettiva 2020 p. 53
Michele Catalano, Emilia Pezzola — Prometeia Associazione
Dal Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia (aprile 2013)
pillole
Analisi congiunturale dell’economia reale e dei mercati finanziari
Annalisa De Nicola, Ugo Speculato — Prometeia
p. 59
n.73
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editoriale
Ritorna ANTEO in edizione ordinaria, dopo i numeri dedicati alla III Giornata Nazionale della
Previdenza e al nostro IX Percorso di InFormazione. Lo fa salutando l’estate ed offrendo ai lettori
un numero particolarmente ricco di pezzi e, speriamo, di spunti operativi e di approfondimento
per i sempre più numerosi lettori.
Il dilemma sulle possibili “rotte” al di fuori dei “porti sicuri (?)” rimane di grande attualità anche
dopo il IX Percorso di Amburgo. Ci ritorniamo volentieri sia con i nostri sempre apprezzati
economisti, a partire da ”l’angolo dell’analisi” del Prof. Onofri e dalle prospettive analizzate dal
team degli analisti dei mercati finanziari, proseguendo ridando la parola ad alcuni degli speaker
anseatici, ai quali erano state rivolte alcune domande che non c’era stato tempo di soddisfare
durante i lavori.
Vengono poi trattati due temi di attualità, ovvero l’entrata in vigore della Direttiva 2011/61/
UE nota come AIFM e la valutazione del merito di credito delle emissioni obbligazionarie, con
particolare enfasi sui titoli di stato italiani ed i mercati emergenti.
Sul primo tema, ovvero sui contenuti giuridici ed i possibili impatti sul business della direttiva
comunitaria sui gestori di fondi di investimento “alternativi” ospitiamo un paio di contributi di
importanti gestori globali di real estate e private equity, oltre ad un’analisi del team di consulenza
agli asset managers di Prometeia SpA sulla gestione del rischio specifica per i fondi di private
equity. Auspichiamo che anche in Italia la Direttiva sia presto pienamente in vigore, anche
a seguito della modifica del TUF in vista della quale si è svolta una pubblica consultazione:
l’incertezza sta infatti provocando difficoltà a gestori ed investitori di nuovi fondi alternativi, del
tutto ingiustificate per un Paese che si ritiene finanziariamente sviluppato.
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Anche sul tema del merito di credito, particolarmente caldo in queste settimane dopo le circolari
congiunte del 22 luglio scorso da parte delle Autorità di Vigilanza di assicurazioni, fondi pensione
e di investimento sul ruolo del rating nei processi di investimento, ospitiamo un’analisi del team di
analisti dei mercati finanziari sui potenziali effetti di una (quanto mai esecrabile!) riduzione sotto
investment grade del debito pubblico italiano, oltre ad un contributo di un gestore specializzato
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sul debito emergente, che tanto ha fatto penare i numerosi investitori che vi hanno investito al
primo “stormir di tapering”.
Le elezioni tedesche, che si terranno mentre ANTEO sarà in impaginazione, pur apparentemente
scontate nell’esito principale (ma il diavolo sta sempre nei dettagli…), offrono l’occasione per
dare spazio ad un paio di contributi sulle possibili prossime tappe dell’UEM e sulle misure di
sostegno della BCE ad economie sempre più in affanno strutturale, come quella italiana per
effetto del delevarage, analizzato anche in prospettiva nel terzo approfondimento tratto dal
Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia. Viene poi analizzato anche l’impatto
continentale dell’imposta sulle transazioni finanziarie (più nota come Tobin Tax), sulla quale
le perplessità degli operatori di mercato non mancano, data l’eterogeneità di applicazione
nei vari Paesi ed i conseguenti inevitabili arbitraggi tra mercati di una finanza sempre più
dematerializzata.
Le “pillole congiunturali” chiudono, come di consueto, questo ricco numero 73 di ANTEO, che
vi terrà compagnia fino a novembre, anche sul sito www.prometeiaadvisor.it: visitatelo con
frequenza, vi troverete sempre più aggiornamenti sulle nostre attività e materiale di analisi e
ricerca.
Buona lettura a tutti!
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L'angolo dell'analisi
Prof. Paolo Onofri
In occasione del nostro ultimo evento annuale
tenuto ad Amburgo, nel suo intervento “evoluzione
e redistribuzione del rischio macroeconomico” è
stato dato rilievo, tra le altre cose, alla relazione
tra aspettative macroeconomiche e strategie di
politica monetaria, nonché ai riflessi che tutto
questo poteva avere sui rendimenti dei titoli “safe”
Nel mio intervento ad Amburgo avevo sottolineato
qualche perplessità circa la valutazione
eccessivamente ottimistica dell’andamento
dell’economia Usa da parte della Fed e la vacuità
delle reazioni che i mercati avevano avuto. Con
il Fomc di settembre la Fed ha rivisto al ribasso
tali valutazioni e deciso di rinviare l’inizio della
riduzione degli interventi. Uno degli effetti che
paventavo come conseguenza della sovra reazione
dei mercati era l’effetto dei rialzi anticipati dei
rendimenti a lunga sulla ripresa stessa. Infatti,
sono stati soprattutto gli effetti di incremento
dei tassi sui mutui e le implicazioni per la ripresa
del mercato immobiliare a convincere il Fomc
a rinviare la riduzione degli interventi. Ciò che
è accaduto in questi mesi è comunque carico di
insegnamenti circa la volatilità che si prospetta
nei trimestri e anni che abbiamo davanti data la
lunghezza della fase di exit strategy. Le previsioni
di medio termine formulate da Prometeia
nell’aprile scorso contenevano uno scenario per il
tasso di policy Usa che avrebbe raggiunto il 3.5%
tra il 2019 e il 2020, ora i membri del Fomc valutano
che in quegli anni il tasso di policy raggiunga il
4%. In ogni caso un processo lento di ritorno alla
normalità e un lungo periodo di elevata volatilità
sui mercati finanziari.
A proposito di exit strategy: è ormai chiaro il
diverso atteggiamento di Fed, Bce e BoJ: questo
potrebbe comportare rischi di aspettative non
lineari degli operatori economici e finanziari
intensificando il decoupling tra Usa e Uem non
solo sui tassi ma anche sui mercati azionari?
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Anche se il Fomc ha modificato le aspettative circa
i tempi di uscita dalle misure non convenzionali,
non vi è dubbio che le prospettive di uscita dalle
attuali politiche monetarie per Bce e Boj saranno
molto più dilazionate nel tempo rispetto a quella
della Fed. La mia opinione è che non vi sia un
rilevante decoupling tra mercati Usa ed europei
dei debiti sovrani, mentre la desincronizzazione
delle future exit strategy potrebbe determinare
una struttura per scadenza dei tassi di interesse
troppo pendente per le attese di ripresa
dell’economia europea e di conseguenza un
decoupling dei mercati azionari.
In Europa le problematiche sono molteplici;
il cantiere delle riforme istituzionali sembra
procedere a rilento e sarà necessaria una
redistribuzione dei rischi tra paesi e tra sistema
finanziario e privati; ciò potrà comportare nuovi
fenomeni di instabilità, magari anche di tipo
diverso rispetto a quelle sperimentate negli ultimi
due anni?
A mio parere, la strada lungo la quale si sono
avviate le riforme istituzionali europee,
lenta e soggetta a molti stop and go, è già
stata interiorizzata dai mercati e, assieme a
quanto detto circa le exit strategy, configura
complessivamente aspettative di prolungate
fasi di instabilità politica e volatilità sui
mercati finanziari, senza escludere che in
futuro possano ritornare anche timori di
frammentazione dell’euro. Continuo a ritenere che
la frammentazione non avverrà, ma, come abbiamo
visto nel passato, anche i soli timori possono
essere molto costosi per i mercati e per l’economia
reale.
Il 2013 dovrebbe costituire il punto di minimo del
ciclo economico mondiale ed anche nell’eurozona
la recessione sembra ormai esaurirsi ma i
prossimi cicli espansivi saranno molto diversi da
quelli passati; su quali elementi sarà fondata la
nuova normalità?
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La nuova normalità attesa dagli operatori cambia
nel tempo prima che la si possa sperimentare;
in ogni caso, ritengo che ormai si debbano
evitare i confronti con gli anni della cosiddetta
Grande Moderazione 2002-2007 non solo per
evitare eccessive frustrazioni, ma perché stanno
emergendo ed emergeranno via via con maggiore
intensità quei fenomeni di fondo che negli ultimi
anni sono stati messi in ombra dalla crisi. La nuova
normalità sarà quindi condizionata innanzitutto
da processi di lungo periodo: nuova divisione
del lavoro mondiale e quindi meno risorse a
disposizione dei paesi avanzati, riduzione dei
debiti sovrani e invecchiamento della popolazione
nei paesi avanzati e quindi meno stimoli da
parte dei bilanci pubblici. Su questi fenomeni si
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innesteranno caratteristiche che sono maturate
durante gli ultimi cinque anni di crisi e che sono
destinate a permanere a lungo. L’evoluzione dei
mercati finanziari, dipendente più dalle banche
centrali che dalle economie reali, potrà fare a meno
delle terapie sin qui adottate? Il processo di messa
in sicurezza dei bilanci bancari impedirà il ritorno
ai livelli di investimento del passato, di fronte allo
sviluppo lento di maggiori finanziamenti tramite i
mercati finanziari? In Europa, i flussi di capitale tra
i paesi dell’euro area saranno sistematicamente
minori anche per una prospettiva di minori squilibri
tra le loro bilance dei pagamenti correnti? Ecc.
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la parola a…
La gestione del rischio nei fondi di
private equity
Claudio Bocci — Prometeia
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onostante la crisi finanziaria, in Italia
negli ultimi anni si è registrata una
crescita dell’investimento in fondi
private equity da parte degli investitori
istituzionali. Alla fine del 2012 questa asset
class era arrivata a rappresentare circa il 4,3%
degli investimenti delle fondazioni bancarie e
l’1,5%1 degli investimenti di enti previdenziali
(principalmente casse private), seppure con un
certo rallentamento di nuovi flussi negli ultimi
12-18 mesi rispetto agli anni precedenti.
Tradizionalmente l’elevato livello di rischiosità,
l’assenza di norme particolarmente vincolanti
riguardo la trasparenza e la reportistica a favore
degli investitori e l’apparente carenza della
normativa secondaria sull’attività di gestione del
rischio hanno rappresentato barriere all’entrata
per gli investitori istituzionali (e retail in via
indiretta). Questi investitori evidenziano la
necessità di confrontarsi con asset manager cha
abbiano investito per adottare presidi e strumenti
evoluti di sana e prudente gestione. Sempre
di più emerge come l’elemento distintivo di un
gestore private equity possa essere riconducibile
ai controlli utilizzati nella gestione del rischio
che diventa una componente fondamentale
soprattutto in un contesto caratterizzato da forti
asimmetrie informative a sfavore dell’investitore.
Per “gestione del rischio” in questa sede si
intendono tutti quegli elementi di controllo volti
ad identificare, a gestire ed ad attenuare gli eventi
che possano avere un impatto sull’attività di
investimento e di raggiungimento degli obiettivi
di rendimento. In quest’ottica un adeguato
risk management presuppone elementi quali
la misurazione del rischio con un processo
strutturato (nel senso di un algoritmo), codificato
(la metodologia deve essere formalizzata),
omogeneo (oggetti di valutazione similari tra loro
devono ricevere simili valutazioni) e che preveda la
determinazione di eventuali soglie di accettazione
del rischio.
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Dati relativi ad un campione del 90% per le fondazioni
e del 75% per gli enti previdenziali.
Questo livello “evoluto”
di gestione del rischio
è ormai ampiamente diffuso nell’industria del fondi
mobiliari e appare ormai necessario che anche i
gestori private equity si dotino di un più efficiente
controllo ex ante ed ex post dell’investimento,
non soltanto concentrandosi sul prezzo/valore
della società target al momento dell’acquisto
ma anche su quello che è il suo “rischio” in
tutte le diverse fasi di gestione (investimento,
valorizzazione e disinvestimento).
Se da un lato le associazioni di riferimento
internazionali (cfr. le linee guida dell’EVCA) o le
best practice spingono verso un approccio risk
based, dall’altro la normativa secondaria italiana
fornisce una serie di principi generali, restringendo
l’alveo di valutazioni effettuate con un approccio
risk based.
A tal proposito, da un’indagine condotta da
Prometeia nell’industria del private equity
nazionale nel periodo dicembre-marzo 2013, sono
emersi risultati interessanti sul tema. Il survey è
stato rivolto ad un campione, molto variegato, di
SGR italiane che rappresentano circa 8,1 mld di
euro in commitment e 40 fondi d’investimento.
Il principale obiettivo è stato quello di rilevare
e analizzare le prassi utilizzate dai gestori
nell’ambito dei sistemi di gestione del rischio.
Le aree su cui l’indagine ha posto maggiore
attenzione sono state:
»» la definizione delle politiche di rischio;
»» la funzione di risk management
(dimensionamento, compiti ed attività);
»» il ruolo del risk management nel processo di
investimento e gestione delle società target.
Dall’indagine è emerso come, nonostante la
funzione di risk management sia strutturata
ed articolata come richiesto dalla normativa,
l’approccio metodologico e operativo sia
declinato in modo significativamente differente
da gestore a gestore, anche in funzione di diversi
modelli di offerta e stili gestionali.
Ad esempio, una parte dei gestori ha definito un
livello di risk appetite (c.d. rischiosità obiettivo),
in forma qualitativa e tra questi alcuni hanno
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definito esplicitamente una risk tolerance (c.d.
rischiosità massima consentita in aggiunta a
quella obiettivo).
Tra i gestori che hanno codificato una risk policy, i
contenuti sono comunque molto variegati: in alcuni
casi sono definiti livelli di rischio quali-quantitativi
per singolo investimento mentre in altri la policy si
concentra solo sulle attività svolte dalla funzione
di risk management.
In alcuni casi si segnala un livello di coinvolgimento
minimo della funzione di risk management
nell’attività della sgr, ad esempio nella verifica
(come secondo livello di controllo) della coerenza
tra i modelli utilizzati per i vari investimenti e le
ipotesi sottostanti.
Nell’ambito della gestione del rischio all’interno
del processo di investimento, in alcuni casi è
utilizzato un modello di valutazione della società
target durante la fase di negoziazione. I rischi non
sempre vengono utilizzati come parametri di input
del modello, ma sono considerati come elementi
che scontano implicitamente i flussi economicofinanziari del modello dcf (discount cash flow)
utilizzato.
Dall’analisi emerge come l’approccio alla gestione
del rischio risulti eterogeneo a livello di industria,
cambiando da gestore a gestore. Inoltre, non
sempre il livello di complessità della funzione
è correlato alla dimensione organizzativa e/o
aelle masse in gestione. Ciò, probabilmente, è
dovuto anche alla variabilità della normativa,
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alla fase ancora di crescita dell’industria private
equity nazionale ed alla mancanza una best
practice definita. Questa relativa “immaturità”
appare ancora più evidente nel confrontato
con il mondo degli strumenti quotati che vanta
letteratura e prassi ben rodate. Va inoltre
ricordata la variabilità dei processi di investimento
e di valutazione, che all’interno della “famiglia”
private equity comprende approcci molto diversi
dal venture capital al buyout ai fondi di fondi alle
infrastrutture.
In generale vi è probabilmente l’opportunitànecessità per l’industria di evolvere verso
modelli più strutturati e formalizzati di risk
management che incorporino il value della
società target (potenziale o in portafoglio) e
il suo corrispondente value at risk e dove alla
valutazione del singolo investimento venga
affiancata una visione d’insieme del fondo.
L’obiettivo a tendere di tale evoluzione dovrebbe
essere finalizzato a garantire maggiori forme di
tutela sia agli investitori, che al management e ai
massimi organi interni dei gestori.
Anche in quest’ottica si è articolata la nuova
direttiva AIFM (Alternative Investment Fund
Managers) che introduce dei requisiti più
stringenti per i gestori di fondi alternativi
nell’ambito della gestione del rischio. La
normativa, essendo un regolamento, è entrata in
vigore ope legis a luglio 2013, e sarà interessante
verificarne gli effetti sul mercato, anche in
considerazione di possibili valutazioni di Banca
d’Italia in merito.
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contributi
La direttiva europea sui gestori di fondi di
investimento alternativi
Tommaso Martinoli, Area Affari Societari e Legali
— BNP Paribas REIM
Premesse
I
n data 20 agosto scorso, nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie
Generale n. 194, è stata pubblicata la legge 6
agosto 2013, n. 96 (c.d. Legge di delegazione
europea 2013) recante, all’articolo 12, la delega al
Governo per l’attuazione della direttiva 2011/61/
UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi
(la “Direttiva AIFM”).
La Direttiva AIFM è una delle risposte del
legislatore europeo alle difficoltà finanziarie che
hanno interessato i paesi dell’Unione nel corso
dell’ultimo quinquennio e che hanno reso evidente
il fatto che le attività dei gestori di fondi di
investimento alternativi (i “GEFIA”) possono anche
contribuire a diffondere o ad amplificare i rischi
in tutto il sistema finanziario. La considerazione
principale che risposte legislative nazionali,
non coordinate tra loro, avrebbero reso difficile
una gestione efficiente di tali rischi, ha spinto il
legislatore europeo, in primo luogo, a stabilire
disposizioni comuni in materia di autorizzazione e
vigilanza dei GEFIA, nonché a fornire un approccio
uniforme ai rischi connessi e al loro impatto sugli
investitori e sui mercati nell’Unione tenendo
conto della vasta gamma di strategie e tecniche di
investimento utilizzate dai GEFIA medesimi.
La Direttiva AIFM mira, pertanto, attraverso
un processo graduale di armonizzazione
che dovrebbe concludersi nel 2018, a creare
un mercato interno per i GEFIA e un quadro
regolamentare e di vigilanza armonizzato, per
quanto riguarda le attività all’interno dell’Unione
di tutti i GEFIA, inclusi quelli aventi sede legale in
uno Stato membro (GEFIA UE) e quelli aventi sede
legale in un paese terzo (GEFIA non UE).
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La Direttiva AIFM ed il collegato Regolamento
delegato n. 231/2013 (il “Regolamento”),
definiscono, di conseguenza, regole armonizzate
applicabili ai gestori di tutti i fondi di investimento,
diversi da quelli ricompresi nella direttiva
2009/65/CE (i fondi comuni armonizzati),
prevedendo l’applicazione ai gestori stessi di
regole di condotta, di trasparenza informativa, di
requisiti patrimoniali, organizzativi e di controllo
del rischio analoghi a quelli previsti per le società
di gestione di fondi comuni armonizzati.
Si fa presente ai lettori che l’ambito di
applicazione della Direttiva AIFM è limitato ai soli
soggetti che esercitano abitualmente l’attività
di gestione di fondi d’investimento alternativi
(i c.d. “FIA”) - indipendentemente dal fatto che il
fondo sia di tipo aperto o chiuso, prescindendo
dalla forma giuridica dello stesso o dal fatto che
il fondo sia o meno quotato - e che raccolgono
capitale da una pluralità di investitori allo scopo
di investirlo a vantaggio di tali investitori in base a
una determinata politica d’investimento.
È da sottolineare come la Direttiva AIFM preveda
alcune deroghe escludendo la sua applicazione
ai gestori che hanno portafogli di ammontare
inferiore ai 100 milioni di Euro ovvero di 500 milioni
di Euro qualora i fondi non ricorrano alla leva
finanziaria e che, la stessa direttiva, non si applichi
ai veicoli di gestione di un patrimonio familiare,
alle società di partecipazione finanziaria, a enti
e fondi pensione, a enti sovranazionali quali BEI,
BCE, Fondo Europeo per gli investimenti e FMI,
a banche centrali nazionali, a governi nazionali,
regionali e locali.
In base alle nuove norme, pertanto i gestori
potranno commercializzare liberamente in tutta
l’Unione Europea, nei confronti degli investitori
professionali, fondi d’investimento alternativi
da essi gestiti; potranno inoltre gestire fondi
alternativi riservati a investitori professionali
negli altri paesi dell’Unione Europea su base
transfrontaliera o con stabilimento di succursali.
Con riferimento alla commercializzazione di FIA
nei confronti degli investitori al dettaglio ciascun
stato membro potrà imporre requisiti aggiuntivi
ai fini della protezione di questa categoria di
investitori.
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La Direttiva AIFM
Di seguito si procederà ad un esame delle
principali novità introdotte dalla Direttiva AIFM e
dal Regolamento relativamente all’autorizzazione
del GEFIA, i conflitti di interessi, la gestione del
rischio, la commercializzazione delle quote, gli
obblighi di trasparenza e; in ultimo, le politiche di
remunerazione, rimandando ad un’altra riflessione
l’approfondimento di altre tematiche quali quelle
relative all’organizzazione interna del gestore,
l’attività di valutazione degli asset, la delega di
funzioni e l’outsourcing.
1. Autorizzazione del GEFIA Al fine di operare
nell’Unione Europea i GEFIA devono richiedere
l’autorizzazione all’Autorità competente del
loro Paese d’origine, sulla falsa riga di quanto
già avviene per la richiesta all’esercizio della
gestione di portafogli da parte di una società di
gestione del risparmio.
La procedura di autorizzazione è diventata
molto particolareggiata ed esigente sotto
il profilo delle informazioni da fornire alla
Autorità di Vigilanza, in quanto, in aggiunta alle
usuali informazioni richieste devono essere
fornite, inter alia, informazioni:
»» in materia di politiche e prassi remunerative
del personale del GEFIA;
»» sugli accordi intercorrenti con il depositario;
»» sulle strategie d’investimento dei fondi,
tenuto conto delle citate strategie e tecniche
di investimento dei fondi medesimi e
soprattutto informazioni circa la politica del
GEFIA in merito al ricorso alla leva finanziaria,
sui profili di rischio, nonché sulle altre
caratteristiche dei FIA di cui ha la gestione o
che intende gestire;
»» sui modelli informativi e di rendicontazione
agli investitori di cui all’art. 23 della direttiva.
Si evidenzia come la direttiva si preoccupi
affinché il legislatore nazionale esiga che i
GEFIA siano dotati di un capitale iniziale e di
fondi propri in misura adeguata e proporzionata
nel tempo al valore dei portafogli gestiti al fine
di coprire, almeno parzialmente, i potenziali
rischi di responsabilità professionale derivanti
dalle attività esercitate. Sotto quest’ultimo
profilo i GEFIA dovranno dotarsi sia di fondi
propri aggiuntivi, investibili in liquidità o in
attività prontamente convertibili in contanti nel
breve termine, adeguati a coprire i potenziali
rischi di responsabilità derivanti da negligenza
professionale, sia dotarsi di assicurazioni della
responsabilità civile professionale adeguata ai
rischi coperti.
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2. Conflitti di interessi La Direttiva AIFM
prevede che i GEFIA adottino tutte le misure
ragionevoli per evitare conflitti di interesse e,
quando questi non possono essere evitati, per
individuarli, gestirli e controllarli nonché, se del
caso, comunicare tali conflitti di interesse, al
fine di evitare che essi incidano negativamente
sugli interessi dei FIA e dei loro investitori al
fine di garantire che i FIA che gestiscono siano
trattati in modo equo.
A mero titolo esemplificativo, di seguito,
vengono elencati alcuni esempi di conflitti
di interessi da considerarsi nel corso della
gestione del FIA tra:
»» il GEFIA, compresi la sua alta dirigenza (il
Consiglio di Amministrazione e/o il Comitato
Esecutivo), i dipendenti o qualsiasi persona
direttamente o indirettamente legata al
GEFIA da una relazione di controllo, e il FIA
gestito dal GEFIA, o gli investitori di tale FIA;
»» il FIA, o gli investitori di tale FIA, e un secondo
FIA, o gli investitori di questo secondo FIA;
»» il FIA, o gli investitori di tale FIA, e un altro
cliente del GEFIA;
»» il FIA, o gli investitori di tale FIA, e un OICVM
gestito dal GEFIA o dagli investitori di detto
OICVM; ovvero
»» due clienti del GEFIA.
In relazione ai conflitti di interessi non gestibili
la direttiva rafforza la necessità di informativa
da parte del GEFIA nei confronti degli
investitori del fondo interessato, rimandando al
Regolamento una più puntuale classificazione
delle tipologie di conflitti di interessi, la
necessità di dotarsi di procedure e misure per
la prevenzione o la gestione dei conflitti stessi
nonché per il loro monitoraggio.
3. Gestione del rischio La Direttiva AIFM si è
preoccupata di rafforzare la gestione del
rischio da parte del GEFIA imponendo a questi
ultimi di separare, sotto il profilo funzionale e
gerarchico, le funzioni di gestione del rischio
dalle unità operative, comprese le funzioni
di gestione del portafoglio, rimettendo la
valutazione di merito sull’adeguatezza di
tale separazione funzionale alle autorità
competenti dello Stato membro d’origine del
GEFIA.
Si segnala che la Direttiva AIFM ha innovato
le tipiche attività svolte da tale funzione
rendendo sempre più la stessa parte integrante
del processo aziendale e di supporto alle
strategie gestorie del GEFIA. Ed proprio sotto
questa veduta che vanno interpretate le nuove
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mansioni affidate a tale organo dalla Direttiva,
in quanto la stessa stabilisce come i GEFIA:
»» stabiliscono criteri per assicurare la
separazione funzionale e gerarchica della
funzione di gestione del rischio (controlli,
supervisione, corrispettivi, ruolo del Consiglio
di Amministrazione, etc..);
»» adottano sistemi di gestione del rischio
adeguati;
»» valutano, monitorano e riesaminano almeno
una volta l’anno adeguatezza della politica
di gestione del rischio, delle misure prese
per affrontare le carenze nell’attuazione
del processo, la perfomance della funzione
e l’adeguatezza ed efficacia delle misure
intraprese per assicurare separatezza
funzionale e gerarchica della funzione
medesima.
»» stabiliscono regole di condotta per la
definizione dei limiti all’assunzione dei
rischi, adotta procedure per la misurazione e
gestione del rischio, individuazione del livello
massimo di leva finanziaria utilizzabile.
La Direttiva AIFM ed il Regolamento
richiederanno pertanto ai GEFIA alcune
revisioni, più o meno limitate a seconda
dell’organizzazione interna di ciascuno, delle
proprie strutture organizzative per consentire
l’innalzamento di tale ufficio da semplice
funzione di controllo di secondo livello ad
una entità propria ed integrata nel processo
aziendale di business. Solo così si spiega il
dettato della Direttiva affinché i GEFIA si dotino
(i) di un sistema adeguato per la gestione della
liquidità – atto a verificare l’adeguatezza in
sede di gestione e disinvestimento delle attività
del FIA - (ii) di procedure che gli consentano di
controllare il rischio di liquidità del FIA (verifica
dei limiti per la gestione della liquidità e prove
di stress, i GEFIA assicurano che per ogni FIA
gestito, la strategia di investimento, il profilo di
liquidità e la politica di rimborso siano coerenti)
e, in ultimo, (iii) di garantire che il profilo di
liquidità degli investimenti del FIA sia conforme
alle obbligazioni sottostanti.
4. La commercializzazione delle quote e il
Passaporto Europeo del gestore Come
anticipato in premessa, lo scopo della Direttiva
è di giungere, attraverso un processo di
graduale armonizzazione, a un mercato unico
europeo dei gestori di fondi alternativi dedicati
agli investitori professionali.
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Per giungere a tale scopo, al fine di poter
commercializzare quote del FIA presso
investitori professionali nel proprio
Stato membro d’origine, il GEFIA deve
preventivamente richiedere un’autorizzazione
alle Autorità competenti ai sensi dell’art. 31
della Direttiva, illustrando, inter alia, le modalità
con cui avverrà la distribuzione delle quote
presso gli investitori.
Su questa tematica i gestori, durante il periodo
di consultazione del Testo Unico della Finanza,
hanno cercato di semplificare il processo
del rilascio di tale autorizzazione in quanto
la Direttiva AIFM prevede che l’Autorità di
Vigilanza abbia un periodo di 20 giorni per
rilasciare l’autorizzazione, diversamente
da quanto accadeva fino ad ora, prima
dell’introduzione della Direttiva, laddove per
i fondi riservati ad investitori professionali
l’autorizzazione era sostanzialmente
automatica con l’approvazione in via generale
del regolamento del fondo.
Analoga autorizzazione dovrà essere richiesta
dal GEFIA laddove quest’ultimo voglia
commercializzare un FIA in uno stato membro
dell’Unione diverso dal proprio stato membro
d’origine ovvero gestire un FIA stabilito in
un altro Stato membro dell’Unione. In tal
caso bisognerà verificare se la gestione del
fondo avvenga in libera prestazione di servizi
o tramite stabilimento di succursale con le
differenti forme di notifica previste dalla
normativa.
A parte questi aspetti un po’ burocratici
bisogna tuttavia considerare come un’eccessiva
regolamentazione e burocrazia nel rilascio
delle autorizzazioni non potrà che mettere un
ulteriore freno ai fondi immobiliari italiani in
quanto i gestori di tali fondi partono già con
uno svantaggio competitivo rispetto a gestori
esteri localizzati in paesi europei (vedasi uno
su tutti il Lussemburgo) in cui la Direttiva
AIFM e i provvedimenti collegati sono già stati
implementati e tali gestori potranno, prima
degli altri, commercializzare quote dei propri
fondi ad investitori professionali italiani.
5. Gli obblighi di trasparenza La Direttiva AIFM
vuole garantire un più elevato livello di tutela
degli investitori e, a tal fine, stabilisce che un
GEFIA è tenuto, per ciascun FIA che gestisce e
per ciascun FIA che commercializza nell’Unione,
a mettere a disposizione ai propri investitori
ed alle Autorità di Vigilanza la seguente
documentazione:
»» una relazione annuale, entro sei mesi dalla
fine dell’esercizio stesso;
»» una informativa preventiva agli investitori
A
anteo
(prima che investano nel Fondo) contenente,
inter alia, una descrizione della strategia e
degli obiettivi di investimento del FIA; della
procedura di valutazione del FIA e della
metodologia di determinazione del prezzo
per la valutazione le attività, e, in ultimo
una descrizione del modo in cui il GEFIA
garantisce l’equità di trattamento degli
investitori;
»» una informativa periodica agli investitori; e
»» una serie di obblighi di segnalazione alle
autorità competenti: tra le quali si segnalano
i profili di rischio, la leva finanziaria utilizzata,
le prove di stress sugli strumenti finanziari
oggetto di investimento etc...
6. Le politiche di remunerazione Al fine di
allineare l’interesse degli investitori a quello
del gestore la Direttiva ha imposto ai GEFIA
di applicare, al personale il cui operato ha
un impatto significativo sul profilo di rischio
del FIA, tra cui gli alti dirigenti e funzioni di
controllo, una politica retributiva che tenga
conto della sana gestione dei rischi e del
controllo sull’assunzione dei rischi da parte
di tali individui, invitando altresì i gestori, a
seconda della loro dimensione, ad istituire,
all’interno del Consiglio di Amministrazione, un
comitato interno per le remunerazioni.
Nell’adozione di tale politica remunerativa i
GEFIA devono rispettare alcuni principi, per i
quali, ad esempio, la politica remunerativa:
»» deve essere in linea con la strategia
aziendale, gli obiettivi, i valori e gli interessi
del GEFIA e dei FIA che gestisce o degli
investitori di tali fondi e comprende misure
intese ad evitare i conflitti d’interesse;
»» deve essere soggetta a revisione periodica;
nonché
»» deve prevedere una parte di remunerazione
fissa ed una variabile con una procedura
di misurazione della performance e di
assegnazione del compenso.
Il periodo transitorio
Il 22 luglio 2013 è scaduto il termine di
recepimento della Direttiva negli ordinamenti
nazionali e, alla medesima data, è entrato
in vigore anche il già citato Regolamento
delegato, che contiene disposizioni attuative
della AIFM in tema di deroghe, condizioni
generali di esercizio, depositari, leva finanziaria,
trasparenza e sorveglianza, il cui contenuto risulta
sostanzialmente coerente con la normativa
regolamentare nazionale attualmente vigente.
13
Il fatto è che, a seguito della pubblicazione
della Legge di Delegazione Europea 2013, non
si è ancora concluso l’iter di recepimento della
Direttiva in quanto l’intera industria è in attesa,
in primo luogo, della pubblicazione degli esiti
della consultazione al Testo Unico della Finanza
(il D. Lgs n. 58/98 “TUF”), conclusasi nel corso del
mese di luglio e, secondariamente, del prossimo
avvio delle consultazioni relative alla recepimento
della Direttiva nelle disposizione nazionali quali, il
D.M. n. 228/99, il Provvedimento del Governatore
della Banca d’Italia dell’8 maggio 2012 e, in ultimo,
i regolamenti Consob e i regolamenti congiunti
Banca d’Italia - Consob.
Pertanto, considerata l’efficacia diretta
nell’ordinamento nazionale, del Regolamento UE
nonché di quelle disposizioni della direttiva che
devono ritenersi, per costante giurisprudenza,
self-executing in virtù del loro contenuto positivo,
chiaro, preciso e dettagliato (tra cui quelle
concernenti la disciplina transitoria e l’operatività
transfrontaliera dei gestori), la Banca d’Italia e la
Consob hanno fornito - secondo un’impostazione
condivisa dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze – alcuni chiarimenti ed indicazioni tesi a
chiarire le regole applicabili dal 22 luglio 2013 sino
all’entrata in vigore delle disposizioni nazionali di
recepimento della direttiva.
La comunicazione congiunta delle due autorità
di vigilanza stabilisce, con riferimento ai
gestori italiani, che le SGR che gestiscono e
commercializzano nei confronti di investitori
professionali o di investitori al dettaglio OICR che
ricadono nel perimetro applicativo della direttiva
possono continuare a gestire e commercializzare
tali FIA operando in base al quadro normativo
nazionale vigente. Stesso discorso per quanto
attiene l’autorizzazione di nuovi gestori italiani e
l’istituzione e commercializzazione di nuovi FIA
italiani che continuano ad essere regolate dalle
disposizioni nazionali vigenti.
Pertanto, fino alla data di entrata in vigore delle
disposizioni nazionali, legislative e regolamentari,
di recepimento della direttiva le SGR non
possono gestire o commercializzare FIA in via
transfrontaliera negli altri Stati membri dell’UE
mediante la procedura di notifica prevista
dagli artt. 32 e 33 della direttiva medesima. La
comunicazione detta, infine, altre disposizioni
transitorie in merito alla normativa da applicarsi
ai gestori comunitari ed ai gestori e FIA
extracomunitari.
prometeia
advisor sim
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contributi
Direttiva 2011/61/UE: una pietra miliare nella
storia della gestione di fondi di investimento
alternativi
Ludo Bammens, Head of EMEA Corporate Affairs
— KKR
Chloe Lavedrine, Principal Client & Partner Group
— KKR
L
a Direttiva 2011/61 sui gestori dei fondi di
investimento alternativi (direttiva “GEFIA”)
è una pietra miliare nella storia della
gestione di fondi alternativi.
È importante che gli investitori istituzionali italiani
comprendano l’impatto della direttiva GEFIA
così da garantire l’accesso continuo alla gamma
completa delle opportunità di investimento nel
settore globale degli investimenti alternativi,
nonché per beneficiare al massimo del sistema di
tutela degli investitori.
La direttiva GEFIA crea un mercato interno
unico per la commercializzazione dei fondi
di investimento alternativi (“FIA”) presso gli
investitori qualificati all’interno dello Spazio
Economico Europeo (“SEE”).
I gestori di fondi di investimento alternativi di una
certa dimensione aventi domicilio all’interno del
SEE (“GEFIA SEE”) dovranno essere autorizzati ai
sensi del nuovo regime valido nel SEE.
In seguito all’autorizzazione ricevuta dal proprio
Stato Membro, i GEFIA SEE potranno beneficiare
di un “passaporto per la commercializzazione
SEE” che permetterà loro di commercializzare
quote dei fondi basati nel SEE (FIA SEE) presso gli
investitori qualificati domiciliati in tutti gli Stati
Membri del SEE.
La direttiva GEFIA impone ai GEFIA SEE un’ampia
rosa di requisiti operativi. Ai fini del presente
articolo, l’attenzione sarà rivolta a quei requisiti
che nell’immediato hanno una maggiore rilevanza
per gli investitori.
prometeia
advisor sim
La direttiva GEFIA si applica a tutti i gestori di
fondi?
La direttiva GEFIA si applica a tutti i GEFIA SEE
(indipendentemente dal luogo in cui i fondi sono
stabiliti) e a tutti i gestori che gestiscano un FIA
SEE (indipendentemente dal luogo in cui è stabilito
il gestore) ovvero commercializzino quote di fondi
presso investitori domiciliati in qualsivoglia Stato
Membro del SEE.
La direttiva GEFIA si applica solo parzialmente a
quei gestori di fondi che gestiscono FIA con assets
non superiori a100 milioni di Euro oppure 500
milioni di Euro, per la maggior parte dei fondi di
private equity. La direttiva GEFIA non si applica ai
gestori non appartenenti al SEE qualora questi non
gestiscano FIA SEE ovvero non “commercializzino”
quote di FIA a investitori domiciliati nel SEE ai
sensi della direttiva GEFIA.
Fatte salve altre eccezioni, la direttiva GEFIA non
si applica alle società di partecipazione finanziaria
(holding) né ai soggetti che gestiscono regimi di
partecipazione e regimi di risparmio dei lavoratori.
La direttiva GEFIA si applica a tutti i fondi?
La direttiva GEFIA si applica a tutti i FIA stabiliti
nel SEE o commercializzati presso investitori
SEE, siano essi FIA di alimentazione (feeder
FIA) o FIA di destinazione (master FIA). I veicoli
di investimento che non prevedano la gestione
collettiva dei capitali degli investitori non
rientrano nella categoria dei FIA a norma della
direttiva GEFIA. In generale, i FIA non sono
considerati come “commercializzati” presso un
investitore SEE qualora sia stato l’investitore
stesso, di propria iniziativa, a contattare il gestore
di fondi.
I fondi di alimentazione che investano una
quota pari o superiore all’85% della propria
attività su di un fondo diverso (ovvero un FIA di
destinazione), potranno godere del passaporto di
commercializzazione solo qualora anche il fondo di
destinazione goda di tale passaporto.
A
anteo
La direttiva GEFIA impone un formato o un
processo specifico per la valutazione delle
attività?
La valutazione delle attività e il calcolo del valore
patrimoniale netto per quota o azione deve essere
effettuata perlomeno su base annua da valutatori
indipendenti o dal GEFIA stesso. In quest’ultimo
caso, il GEFIA dovrà provvedere al controllo e alla
minimizzazione dei conflitti di interesse.
Quale sarà il ruolo svolto dai depositari?
Sarà cura dei GEFIA SEE nominare un depositario
indipendente per ogni FIA da essi gestito.
Il depositario riceverà i pagamenti da parte degli
investitori e li terrà su conti separati; questi è
altresì tenuto a custodire gli strumenti finanziari e
a verificare la proprietà delle altre attività.
La responsabilità oggettiva nei confronti degli
investitori per le perdite sofferte in seguito a
negligenza o inottemperanza intenzionale ai propri
obblighi ricade sui depositari stessi.
I gestori di fondi dovranno essere
sufficientemente capitalizzati?
I GEFIA dovranno mantenere “fondi propri”
pari a perlomeno 125.000 Euro più lo 0,02%
dell’ammontare del valore del portafoglio che
eccede i 250 milioni di Euro, fino a un massimo di
10 milioni di Euro; essi dovranno altresì mantenere
ulteriori fondi propri e/o un’assicurazione a
copertura dei rischi di responsabilità.
In ogni caso, i fondi propri di un GEFIA non
potranno mai essere inferiori a un quarto delle
spese operative annuali.
Quale tipo di informazioni potranno attendersi
gli investitori?
I GEFIA saranno soggetti ad ampi obblighi
d’informazione, sia prima che gli investitori
prendano le proprie decisioni sull’investimento sia
in maniera continua in seguito all’investimento.
Gli obblighi di informazione sono relativi alla
strategia d’investimento dei GEFIA, alle procedure
di valutazione, alla liquidità nonché alle politiche e
agli accordi di gestione del rischio in virtù dei quali
gli investitori godono di trattamento di favore.
15
I GEFIA dovranno mettere a disposizione un
rapporto annuale per ogni fondo europeo da essi
gestito, comprendente il bilancio revisionato, un
rapporto sulle attività del FIA, una descrizione
di qualsiasi cambiamento significativo nel
prospetto informativo e informazioni relative alla
remunerazione.
I GEFIA che gestiscono o commercializzano FIA
ricorrendo alla leva finanziaria dovranno altresì
divulgare il totale della leva finanziaria utilizzata
dal FIA, eventuali modifiche alla leva finanziaria
permessa nonché informare se vige un diritto di
riutilizzo delle garanzie finanziarie.
La direttiva GEFIA regolamenta la
remunerazione dei gestori di fondi?
La direttiva GEFIA non regolamenta l’ammontare
della remunerazione di un gestore di fondi,
essendo questo l’oggetto di trattative tra gli
investitori e il gestore di fondi.
Tuttavia, la direttiva GEFIA dispone che i
GEFIA SEE prevedano politiche e pratiche di
remunerazione per il personale chiave, al fine
di soddisfare determinati requisiti relativi
alla remunerazione variabile e di garantire la
trasparenza nei confronti degli investitori riguardo
alle politiche di remunerazione e all’importo
aggregato delle remunerazioni.
E a proposito dei gestori di fondi non SEE?
I gestori di fondi e i fondi non basati nel SEE
(“GEFIA non SEE” e “FIA non SEE”) non potranno
godere del passaporto europeo almeno fino alla
fine del 2015.
Fino ad allora, i GEFIA non SEE potranno
continuare a commercializzare i propri fondi a
investitori SEE sulla base delle regole nazionali, a
condizione che lo stato sede del FIA e del GEFIA
nonché il FIA stesso soddisfino i requisiti minimi
SEE.
La direttiva GEFIA è già applicabile in Italia?
La direttiva GEFIA avrebbe dovuto essere
recepita entro il 22 luglio 2013.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha
condotto una consultazione che si è conclusa il
26 luglio 2013; tuttavia il decreto legislativo di
applicazione non è ancora stato approvato.
prometeia
advisor sim
I GEFIA SEE autorizzati in un altro Stato Membro
SEE possono sin d’ora utilizzare il proprio
passaporto per commercializzare quote in FIA
SEE presso investitori professionali in ciascuno
degli Stati Membri SEE, ivi compresa l’Italia,
ai sensi della procedura di notifica disposta
dall’articolo 32 della direttiva GEFIA.
I GEFIA italiani possono continuare a
commercializzare in Italia secondo le leggi
vigenti; tuttavia, essi potranno beneficiare del
regime del passaporto europeo solo in seguito
prometeia
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al recepimento della direttiva GEFIA in Italia e
all’ottenimento dell’autorizzazione.
I GEFIA non SEE possono continuare a offrire
quote di FIA, previa approvazione della Banca
d’Italia in consultazione con la CONSOB, ai sensi
dell’articolo 42.5 del Testo Unico della Finanza.
In alternativa, gli investitori istituzionali italiani
possono assumere un atteggiamento attivo,
perseguendo di propria iniziativa le opportunità
di investimento offerte dai GEFIA al di fuori del
territorio italiano.
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contributi
Opportunità d'investimento nel debito dei mercati
emergenti
Steffen Reichold, PhD, Economista per i mercati
emergenti — Stone Harbor
Claudia Marciano, Responsabile per le relazioni
con i consulenti in Europa — Stone Harbor
Chetana Munot, Responsabile per le relazioni con
i clienti istituzionali in Europa — Stone Harbor
R
iesaminiamo le opportunità di
investimento nel debito dei mercati
emergenti alla luce dei recenti timori
circa il rallentamento della crescita
economica nei paesi emergenti e la sensibilità
di questi mercati rispetto a possibili deflussi
di capitali innescati dall’attesa riduzione
del programma di allentamento monetario
(Quantitative Eeasing o “ QE “) della Federal
Reserve.
In sintesi, riteniamo che i fondamentali di lungo
periodo rimangano solidi nei mercati emergenti
(data la loro crescita superiore e debito inferiore
rispetto ai mercati sviluppati e date anche
le riserve valutarie consistenti e l’inflazione
contenuta) e che i recenti timori su questi mercati
siano eccessivi.
Nel secondo semestre del 2013 prevediamo un
assestamento nella crescita del PIL in quasi
tutti i mercati emergenti se non addirittura un
incremento in diversi paesi. Le ragioni principali
che spiegano questa possibile evoluzione sono
legate al miglioramento del quadro economico
negli Stati Uniti e nell’Eurozona, che andrà a
beneficio di questi mercati, e la stabilità della loro
domanda interna.
A nostro parere, i mercati emergenti sono
nella maggior parte meno vulnerabili ai
disinvestimenti in obbligazioni di quanto non
si pensi comunemente. Gli investimenti esteri
diretti (Foreign Direct Investments) restano
la principale fonte di flussi di capitale nella
bilancia dei pagamenti. I flussi di portafoglio
hanno fornito un apporto minore. Benché il debito
locale detenuto da soggetti esteri sia aumentato
notevolmente, crediamo che una quota rilevante
di tale incremento vada ascritto ad allocazioni
strategiche da parte di investitori istituzionali la
cui esposizione totale a questa asset class resta
ancora marginale. Di conseguenza, siamo convinti
che i dati recenti sui (de)flussi nei fondi comuni
d’investimento sopravvalutino il rischio di ulteriori
disinvestimenti dal debito dei mercati emergenti.
I corsi delle obbligazioni emesse dai paesi
emergenti hanno subito correzioni importanti
e crediamo restino interessanti rispetto ad
altre tipologie di investimento obbligazionario.
I rendimenti e gli spread sono ancora elevati e
dovrebbero mantenere vivo l’interesse verso
questa asset class.
Da inizio maggio, i mercati obbligazionari mondiali
hanno subito una forte ondata di vendite. I
rendimenti dei Treasury USA a 10 anni hanno
guadagnato quasi 10 punti base (pb) in reazione
al ventilato programma di riduzione della
politica di Quantitative Easing (QE) annunciato
dalla Federal Reserve, a sua volta innescato
da un miglioramento del quadro economico
statunitense. Anche se il miglioramento
economico è stato graduale, gli operatori di
mercato hanno interpretato la discussione sul
rallentamento del QE come un cambio di regime
radicale da parte della Federal Reserve: l’inizio
della fine del QE e, pertanto, l’inizio di una fase
di rialzo dei tassi. La conseguenza immediata di
questa mutata percezione del mercato è stata
l’ondata di forti vendite nei mercati obbligazionari
internazionali, ulteriormente aggravata dai
disinvestimenti verificatisi nei fondi comuni
d’investimento “retail“.
Figura 1: C rescita del PIL mondiale
Fonti: Haver Analytics, Stone Harbor Investment Partners LP
prometeia
advisor sim
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Figura 2: Previsioni consensuali per il PIL 2013
Sebbene queste economie continuino a registrare
un PIL che rimane nettamente superiore a quello
dei mercati industrializzati, negli ultimi due
anni molte aree emergenti hanno evidenziato
un rallentamento, mentre i principali mercati
industrializzati si sono difesi meglio, soprattutto
gli Stati Uniti e di recente il Giappone che si
è imbarcato nella cosiddetta “Abenomics”,
l’aggressiva politica economica e monetaria
inaugurata dal premier Abe (Figura 1).
Le prospettive per l’Eurozona restano difficili, ma
intravediamo segnali di una possibile fine della
recessione entro quest’anno.
Fonti: Bloomberg, Stone Harbor Investment Partners LP
Figura 3: Flussi in fondi comuni d’investimento nel
debito dei paesi emergenti
Fonte: J.P. Morgan
Figura 4: Debito dei mercati emergenti
denominato in valute locali e detenuto
da soggetti esteri
La minor fiducia riposta sulla crescita dei mercati
emergenti diventa ben evidente quando si esamina
l’evoluzione delle aspettative di crescita.
La Figura 2 mostra come le aspettative
consensuali registrate da Bloomberg sulla crescita
del 2013 siano cambiate nel corso dell’anno
passato ed evidenzia il divario percepito fra
le prospettive dei mercati sviluppati e quelli
emergenti. Nella seconda parte del 2012 e nel
primo trimestre del 2013, le aspettative si sono
gradualmente ridotte in entrambe i mercati.
Nell’aprile 2013, invece, le stime hanno iniziato a
divergere poiché le aspettative di crescita degli
emergenti hanno continuato a calare mentre
quelle relative ai paesi del G3 si sono mantenute
costanti. Le revisioni negative sulla crescita dei
mercati emergenti sono state generalizzate ed
equamente distribuite nelle varie aree.
Ad esasperare i timori circa le previsioni
di crescita è inoltre intervenuta la paura di
un’inversione dei flussi di capitali. Il rialzo dei
rendimenti dei Treasury USA e i riscatti degli
investitori dai fondi obbligazionari (Figura 3) hanno
sollevato la questione di un possibile eccesso di
dipendenza dei mercati emergenti da flussi di
capitale ‘facili’.
L’ammontare di obbligazioni denominate in valute
locali detenute da soggetti esteri è cresciuto
notevolmente negli ultimi anni (Figura 4).
Fonte: J.P. Morgan
prometeia
advisor sim
L’impatto sul debito dei mercati emergenti è stato
particolarmente pronunciato poiché l’ondata
ribassista ha coinciso con l’acuirsi dei timori sulle
prospettive di crescita di tali nazioni.
Al contempo, i disavanzi delle partite correnti che
richiedono di essere finanziati regolarmente, sono
emersi o hanno consolidato la loro presenza in
alcuni paesi emergenti (Figura 5).
In tale contesto, alcuni investitori stanno
mettendo in discussione l’effettiva validità di
un investimento nelle obbligazioni emesse dai
mercati emergenti. Nelle ultime settimane, molti
analisti hanno lasciato intendere proprio questo.
A
anteo
Noi crediamo non sia così. Come spieghiamo più
avanti, i fondamentali restano solidi, le economie
emergenti continueranno probabilmente a
beneficiare di una ripresa nei mercati sviluppati e
la correzione dei corsi obbligazionari e di posizioni
tecniche sta creando opportunità d’investimento.
Tuttavia, riconosciamo l’importanza di
differenziare e selezionare i paesi che presentano
le migliori opportunità.
19
Figura 5: Saldi delle partite correnti dei mercati
emergenti
Prospettive di crescita per i mercati emergenti
Il primo elemento da tener presente è che,
malgrado la frenata degli ultimi due anni, quasi
tutti i mercati emergenti continuano a crescere
a ritmi sensibilmente superiori rispetto alle
economie sviluppate, inclusi gli Stati Uniti, e
a generare oltre il 70% della crescita del PIL
mondiale (Figura 6). Tuttavia, il divario si è ristretto
e miglioramenti sostenibili e duraturi nel debito
dei mercati emergenti dipenderanno da una nuova
accelerazione di queste economie, che riteniamo
possa aver luogo nella seconda parte del 2013.
Un aumento della crescita in America dovrebbe
favorire le economie emergenti. Gli Stati Uniti
restano il principale importatore a livello mondiale
e pertanto un tasso di crescita più elevato in
questa economia comporterebbe una maggior
domanda di esportazioni di beni prodotti nei
mercati emergenti. Analogamente, prevediamo
che migliori prospettive nell’Eurozona e in
Giappone favoriranno tali economie.
Un esempio è quello del Messico. Gli Stati Uniti
rappresentano all’incirca i 3/4 delle esportazioni
del Messico, il quale negli ultimi anni ha
incrementato la sua quota di mercato negli Stati
Uniti1. È quindi probabile che il Messico tragga
beneficio da un balzo nella crescita americana.
Inoltre, il Messico sta attuando riforme strutturali
in grado di rafforzare il proprio tasso di sviluppo.
Al contempo, la crescita effettiva è scesa al livello
minimo dal 2009 e la banca centrale ha tagliato i
tassi d’interesse, ponendo il paese in una posizione
molto favorevole per la crescita futura.
Prospettive di crescita per la Cina
La prospettive per la Cina rimangono
particolarmente importanti per i mercati
emergenti, dato il ruolo cruciale che essa riveste
in termini di domanda mondiale di materie prime.
1
Fonti: Instituto Nacional de Estadistica Geografia Informatica (Mexico) e U.S. Deparment of Commerce.
Fonti: Haver Analytics, Stone Harbor Investment Partners LP
Figura 6: Contributo alla crescita mondiale
Fonti: IMF WEO, Stone Harbor Investment Partners LP
Le aspettative di crescita dell’economia cinese
sono state gradualmente riviste al ribasso negli
ultimi due anni. Pur essendo sinora riuscita ad
evitare il temuto “hard landing” (forte contrazione
economica), la classe politica cinese ha ribadito di
accontentarsi di livelli di crescita minori rispetto
al passato. Di conseguenza, non ci attendiamo
alcun provvedimento di forte stimolo. Di fatto,
le autorità cinesi sembrano più interessate a
correggere gli squilibri economici, particolarmente
evidenti nel mercato immobiliare e più
recentemente nel cosiddetto ”shadow banking
system” (sistema bancario collaterale), e l’eccesso
di capacità produttiva in alcuni settori. Tuttavia, i
fattori chiave fondamentali per una crescita solida
sono ancora presenti: un tasso d’investimento
elevato, un costante trend di urbanizzazione,
lo sviluppo delle regioni interne del paese e un
forte aumento della produttività. Anche se la
crescita non tornerà ai livelli registrati in passato,
riteniamo che una stabilizzazione sia possibile. I
responsabili politici sono tornati a sottolineare
l’importanza di uno sviluppo mantenuto entro
prometeia
advisor sim
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20
“livelli ragionevoli” e l’assenza di tensioni sui prezzi
suggerisce che la crescita potenziale si manterrà
pari o superiore ai tassi attuali. Alla luce di questi
elementi, ci aspettiamo che la crescita si attesterà
quest’anno intorno al 7,5%.
A nostro parere, queste previsioni per la Cina
sosterranno lo sviluppo di altri mercati emergenti.
L’import cinese à salito intorno al 10% su base
annua, in termini di volume, e proviene per il 6070% circa da altri mercati emergenti2.
Poiché il tasso di crescita reale delle importazioni
supera ampiamente quello di quasi tutti gli altri
mercati emergenti, riteniamo che le esportazioni
alla Cina continueranno a sostenere la crescita
dei mercati emergenti. Tuttavia, i volumi
rappresentano solo una faccia della medaglia,
mentre l’altra faccia sono i prezzi. La Cina assorbe
una larga fetta della produzione mondiale di
materie prime, con una quota particolarmente
rilevante nel mercato siderurgico, di cui assorbe
Figura 7: Prezzi delle materie prime
circa il 40% della produzione. Il mercato teme
che un rallentamento della crescita cinese, e
in particolare una frenata degli investimenti,
provochi tensioni sui prezzi delle materie
prime danneggiando di conseguenza i mercati
emergenti esportatori. A nostro parere diversi
elementi importanti alleviano questo timore. In
primo luogo, il principale rischio per la domanda
mondiale di materie prime negli ultimi anni è
stata la possibilità di un ”hard landing” in Cina
che comporterebbe una brusca riduzione
degli investimenti. Si tratta di un rischio che
pesa sui mercati delle materie prime ormai da
qualche tempo (Figura 7) e riguarda soprattutto
la metallurgia che sarebbe la più colpita una
riduzione degli investimenti.
Riteniamo che un forte calo della domanda
(rispetto a due anni fa) sia uno scenario già
scontato nel mercato, poiché la crescita cinese
è rallentata. Inoltre, il rischio di un ”hard landing”
è ora minore, viste le correzioni apportate nel
mercato immobiliare cinese. Riteniamo poi che
prospettive migliori nei mercati sviluppati, con
conseguente calo dei ”tail risks”, compensino per
i rischi di ribasso in Cina. I mercati delle materie
prime agricole ed energetiche sono relativamente
meno dipendenti dalla Cina e dagli investimenti
cinesi. In uno scenario sfavorevole, la domanda
dovrebbe dimostrare una maggior tenuta,
soprattutto per quanto riguarda le materie prime
agricole.
Infine, è importante sottolineare che molti mercati
emergenti sono importatori netti e beneficiano di
materie prime a prezzi inferiori che, in definitiva,
rappresentano un rischio per alcuni paesi
emergenti piuttosto che per tutti.
Fonte: Bloomberg
Figura 8: Inflazione mondiale
prometeia
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Fonti: Haver Analytics, Stone Harbor Investment Partners LP
Fonte: Agenzia delle dogane cinese
2
Nel complesso, riteniamo che sebbene il contesto
generale continuerà ad essere abbastanza
favorevole alla crescita dei mercati emergenti, gli
stessi dovranno tuttavia affidarsi alla domanda
interna come principale motore di sviluppo, vista
la crescita modesta dei mercati sviluppati.
Un aspetto fondamentale sta nel capire se la
domanda interna possa stabilizzarsi o addirittura
aumentare nella seconda parte dell’anno. Il ciclo
di politica monetaria ha inciso fortemente sul
rallentamento della crescita di questi mercati.
Le pressioni inflazionistiche mondiali si sono
acuite nel 2010/2011 dopo la ripresa dell’economia
internazionale dalla crisi finanziaria e l’impennata
dei prezzi delle materie prime (Figura 8). Molte
banche centrali nei paesi emergenti hanno reagito
con politiche monetarie restrittive (Figura 9).
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Dato l’usuale ritardo di trasmissione di 4-6
trimestri, a fine 2011 e nel corso del 2012 le
economie hanno evidenziato un rallentamento,
ulteriormente aggravato dalla minor crescita
dell’Eurozona e dal contemporaneo acucuirsi
della crisi dell’euro. L’inflazione ha reagito con un
certo ritardo, con un forte declino rispetto al picco
massimo del 2011. Molte banche centrali in questi
paesi hanno così potuto allentare nuovamente I
tassi, mantenendo in essere condizioni monetarie
molto più accomodanti. Recentemente, alcune
banche centrali hanno iniziato ad alzare i tassi, ma
altre continuano a ridurli. Poiché l’attività reale
segue la politica monetaria con un certo ritardo,
riteniamo che i paesi che hanno adottato politiche
espansive negli ultimi due anni registreranno una
graduale crescita della domanda interna nella
seconda parte dell’anno e nel 2014. Reputiamo
inoltre che i deprezzamenti valutari degli ultimi
due mesi agiranno a sostegno della crescita,
mentre la politica fiscale non subirà variazioni in
buona parte dei paesi emergenti.
In sintesi, prevediamo una domanda estera in
qualche misura a sostegno dei paesi emergenti,
alcuni margini di miglioramento della domanda
interna grazie all’espansione monetaria e, infine,
una politica fiscale pressoché invariata. In base a
tali premesse, anticipiamo un graduale aumento
dei tassi di crescita per il secondo semestre del
2013 e nel 2014, ma non si tratterà di una ripresa
rapida. Siamo convinti che le potenzialità di alcuni
importanti mercati emergenti siano scese rispetto
ai livelli pre-crisi (per es. in Cina), ma quasi tutti i
mercati emergenti crescono attualmente a tassi
inferiori rispetto a quelli potenziali e presentano
quindi margini di graduale miglioramento.
21
Figura 9: Tassi ufficiali
Fonti: Bloomberg, Stone Harbor Investment Partners LP
comune di queste crisi è stato il ruolo svolto
dall’improvvisa cessazione dell’afflusso di capitali
nei mercati emergenti.
Riteniamo tuttavia che questi episodi non siano
che una rappresentazione molto approssimativa
di ciò che potrebbe accadere oggi. Non dobbiamo
dimenticare che i fondamentali di questi mercati
sono molto più solidi. Gran parte del debito
è denominato in valuta locale e presenta una
struttura di scadenze molto più a lungo termine
(per es., il debito pubblico messicano ha oggi
una durata media 14 volte superiore a quella
del 1994). L’inflazione è contenuta, i mercati
finanziari interni hanno ridotto la loro dipendenza
dal dollaro e le partite correnti presentano
saldi senz’altro migliori. Gran parte dei bilanci di
istituzioni finanziarie, di imprese private e del
settore pubblico sono in grado di assorbire una
eventuale svalutazione della divisa, e le banche
Liquidità e flussi di capitale mondiali
Ci resta da analizzare un altro punto fondamentale
per gli investitori nel debito dei mercati emergenti:
qual è il loro grado di vulnerabilità nel contesto
dell’allentamento monetario intrapreso dalla
Federal Reserve, dell’aumento dei tassi nei mercati
sviluppati e dei potenziali riscatti degli investitori
dal mercato obbligazionario? La discussione sulla
progressiva riduzione del programma di QE della
Federal Reserve ha convinto molti investitori
a riconsiderare le prospettive dei mercati
obbligazionari. Un episodio storico a cui si fa
spesso riferimento è quello del ciclo al rialzo dei
tassi promosso dalla Federal Reserve nel 1994. Gli
investitori di lungo periodo ricorderanno il ruolo
che tale politica monetaria ebbe nell’innescare la
crisi finanziaria in Messico, e successivamente in
Asia nel 1997 e in Russia nel 1998. Un elemento
Figura 10: Riserve dei mercati emergenti
Fonte: Haver Analytics
Include Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Messico, Venezuela,
Ungheria, Kazakhstan, Polonia, Romania, Russia, Sud Africa,
Turchia, Cina, India, Indonesia, Malesia, Filippine, Corea,
Taiwan e Tailandia
prometeia
advisor sim
centrali dispongono di riserve valutarie consistenti
utilizzabili per finanziare i deflussi di capitali come è accaduto nel 2008/2009 (Figura 10).
pagamenti verso i mercati emergenti (escludendo
la Cina dove i movimenti di portafoglio sono
impediti dai controlli sui capitali).
Ciononostante, deflussi importanti produrrebbero
effetti rilevanti sul debito e sui mercati valutari,
ed è quindi importante analizzare le aree di
vulnerabilità. Negli ultimi anni i mercati finanziari
emergenti hanno registrato un consistente
flusso di capitali (Figura 11), focalizzato in
misura crescente verso il debito denominato
in valuta locale. Pertanto, la percentuale di
debito denonimato in valuta locale posseduta
da investitori esteri è aumentata notevolmente
ed ora rappresenta una parte molto importante
del debito complessivo (Figura 4). Tutto ciò
lascia alcuni paesi in una situazione di maggiore
vulnerabilità di altri.
Sia gli investimenti esteri diretti (“Foreign Direct
Investments“ o FDI) che i flussi di portafoglio di
questo diagramma si riferiscono agli investimenti
denominati in valute locali da parte di soggetti
esteri. Per movimenti di portafoglio si intendono
gli acquisti netti esteri di titoli azionari e
obbligazionari in valuta locale. Sebbene i flussi
di portafoglio siano stati rilevanti, sono stati
ecceduti dai flussi di investimenti esteri diretti,
sia in termini di volumi che di continuità. Il conto
corrente ha chiuso in modesta perdita, di un
importo ridotto tale da poter essere finanziato
agevolmente dai flussi di investimenti esteri
diretti, piuttosto che dai flussi netti di portafoglio
(benché ciò non avvenga in tutti i paesi: per alcuni,
l’apporto dei flussi di portafoglio continua ad
essere necessario a finanziare il disavanzo delle
partite correnti).
Tuttavia, contrariamente al sentire comune, i
flussi di portafoglio non sono la fonte principale
di finanziamento per questi paesi. La Figura
12 mostra il saldo dei flussi della bilancia dei
Figura 11: Flussi d’investimento cumulativi nel
debito dei mercati emergenti dal 2004
Fonte: J.P. Morgan
Figura 12: Afflusso di capitali nei mercati
emergenti (Cina esclusa)
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advisor sim
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Fonti: Haver Analytics, Stone Harbor Investment Partners LP
Un altro punto da considerare riguarda i
dati disponibili sui flussi d’investimento
che interessano il mondo dei fondi comuni
d’investimento, i quali sopravvalutano l’ampiezza
dei riscatti dai mercati obbligazionari emergenti.
La Figura 3 mostra la brusca inversione di
tendenza nei flussi mensili che a giugno hanno
movimentato il 4,7% della massa gestita (AUM)
nei fondi in esame. Tuttavia, i dati contemplano
i soli fondi comuni d’investimento e gli ETF di
tipo aperto dedicati ai mercati emergenti, che
rappresentano solo il 20% circa del debito
negoziabile in tali mercati3.
I dati si riferiscono principlamente al settore
“retail“, i cui flussi tendono ad essere
determinati dalle performance di breve periodo.
Riteniamo che buona parte del restante 80%
sia tendenzialmente più stabile e sensibile
all’andamento dei corsi delle obbligazioni. I
flussi di investimenti da parte di investitori
istituzionali nell’asset class del debito dei mercati
emergenti sono stati consistenti e hanno una
natura più strategica. Le allocazioni in questa
asset class sono aumentate negli ultimi anni
grazie al miglioramento della qualità creditizia
dei suoi emittenti (trattasi ormai di una asset
class prevalentemente di tipo “investment
grade“), all’inclusione di un maggior numero di
mercati emergentinegli indici obbligazionari
mondiali (per es. Messico e Sudafrica nel WGBI),
al miglior accesso ad alcuni mercati obbligazionari
3
Si veda ‘Delving deeper into EM bond flows’, di Sandeep
Tharian, Standard Chartered, luglio 2013.
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emergenti locali (per es. la possibilità di negoziare
obbligazioni locali russe attraverso Euroclear, o
la recente eliminazione dell’imposta brasiliana
IOF) ed al peso crescente dei mercati emergenti
nell’economia mondiale.
23
Figura 13: Rendimenti e spread in valuta locale
Andamento dei prezzi
I rendimenti in valuta locale sull’indice GBI-EM
GD sono aumentati di circa 120 pb dall’inizio di
maggio, spingendo così lo spread rispetto ai
Treasury USA a 5 anni sopra i 500 pb nonostante
la precedente variazione di 70 pb (Figura 13). È un
livello che supera di circa 80 pb la media dal lancio
del GBI-EM nel giugno 2005. Concentrandosi
esclusivamente sul rendimento dell’indice si
trascurano tuttavia differenze rilevanti tra i
paesi, che consentono nuovamente di cogliere
opportunità interessanti. Anche le valute
emergenti hanno subito correzioni importanti.
La Figura 14 mostra un indice di valute di paesi
emergenti (basato sull’indice GBI-EM GD). C’è
stata una svalutazione media delle valute 17% dal
picco di inizio maggio 2011, che le ha riportate al
livello del 2009, e molte divise emergenti hanno
ora raggiunto livelli appetibili.
Rileviamo inoltre una maggior disponibilità
d’intervento da parte delle banche centrali, pronte
a prevenire ulteriori fragilità nelle valute. Inoltre,
l’ampliamento del differenziale dei tassi con i
mercati sviluppati dovrebbe offrire un supporto
alle valute emergenti. In questo contesto,
prevediamo che si presenteranno opportunità
per gli investitori capaci di individuare paesi con
fondamentali solidi.
Fonti: Bloomberg, Stone Harbor Investment Partners LP
Figura 14: EM Foreign Currency - Indice spot
Fonti: Bloomberg, J.P. Morgan, Stone Harbor Investment
Partners LP
Figura 15: Spread delle obbligazioni dei paesi
emergenti denominate in dollari
In tema di debito dei mercati emergenti
denominato in dollari, rileviamo una correzione
analoga nei corsi delle obbligazioni, sia dei titoli
governativi che di quelli societari (Figura 15).
Gli spread sono attualmente di poco superiori alla
media di metà 2009, anche in questo caso con
differenze significative tra i diversi paesi.
Conclusioni
I mercati del debito dei paesi emergenti sono
stati duramente colpiti dalla recente ondata di
vendite alimentata da due temi chiave: i timori di
un’inversione di rotta nella crescita mondiale, a
discapito dei mercati emergenti ed a vantaggio
di quelli sviluppati, e la percezione di una
vulnerabilità accentuata dei mercati emergenti
alla riduzione della liquidità e all’aumento dei tassi
Fonti: Bloomberg
nei paesi industrializzati. Riteniamo che entrambe
le argomentazioni siano esagerate.
Benché ridimensionato, l’outlook sulla crescita
dei mercati emergenti continua a battere
quello dei mercati sviluppati con un margine
prometeia
advisor sim
molto ampio. Inoltre, prevediamo segnali
di stabilizzazione della crescita dei mercati
emergenti più avanti nel corso dell’anno. È una
convinzione alimentata dalle aspettative di
maggior crescita dei mercati sviluppati, che
produrrà benefici per gli emergenti, e dagli effetti
differiti delle politiche di allentamento monetario
attuate in passato e della maggior competitività
dei tassi di cambio nei mercati emergenti.
Crediamo inoltre che la dipendenza di queste
economie dai flussi di portafoglio causati dalla
politica monetaria accomodante della Federal
Reserve sia in genere sopravvalutata. I flussi di
portafoglio non rappresentano la fonte principale
di approvvigionamento di capitali e sono in
prevalenza costituiti da allocazioni strategiche
fatte in passato, la cui volatilità è nettamente
inferiore a quella suggerita dai rilevamenti dei
prometeia
advisor sim
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24
flussi nei fondi comuni d’investmento “retail“.
Riteniamo che i prezzi attuali siano interessanti
rispetto ad altre tipologie di investimenti
obbligazionari che non sono state colpite così
duramente dalla recente ondata ribassista. I
differenziali di rendimento garantiscono un
rendimento aggiuntivo consistente rispetto ai
Treasury USA e ad altre categorie di investimenti,
offrendo così una difesa da ulteriori rialzi dei tassi
statunitensi agli investitori capaci di guardare
oltre la volatilità di breve periodo. Siamo tuttavia
convinti che queste valutazioni si rifletteranno sui
prezzi di mercato solo gradualmente e, pertanto,
crediamo che sia particolarmente importante,
in questo contesto, di differenziare tra paesi e
settori.
Il presente documento ha finalità puramente informative e non costituisce offerta di vendita o sollecitazione all’acquisto di titoli.
Le opinioni ivi espresse rappresentano le valutazioni correnti formulate in buona fede dall’autore o dagli autori al momento della
pubblicazione e hanno finalità specifiche, non costituiscono consulenze d’investimento a carattere definitivo e non devono intendersi come tali. Le informazioni presentate in questo documento sono state elaborate internamente e/o reperite da fonti ritenute
affidabili; tuttavia, Stone Harbor Investment Partners LP (“Store Harbor”) non garantisce l’accuratezza, l’adeguatezza o la completezza di tali informazioni. Previsioni, opinioni e altre informazioni contenute in questo documento sono soggette a costante modifica, senza preavviso di alcun tipo, e potrebbero non essere più veritiere dopo la data indicata. Tutte le dichiarazioni a carattere
previsionale valgono solo nella data di pubblicazione; Stone Harbor non si assume alcun obbligo al riguardo e non si impegna ad aggiornare le stesse. Le dichiarazioni a carattere previsionale sono soggette a molteplici ipotesi, rischi e incertezze, che mutano nel
tempo. I risultati reali potrebbero discostarsi sensibilmente dalle proiezioni espresse nelle dichiarazioni previsionali. La presente pubblicazione è destinata esclusivamente ad investitori professionali. Gli investimenti ai quali rimanda il presente documento
sono riservati ad investitori professionali o saranno sottoscritti solo per il tramite degli stessi.
Il valore degli investimenti e il reddito da essi derivante possono variare e non sono garantiti. Gli investitori potrebbero non
recuperare il capitale investito. I tassi di cambio possono far aumentare o diminuire il valore degli investimenti. Il valore degli investimenti diminuirà in caso di inadempienza o riduzione del merito di credito dell’emittente. I rendimenti ottenuti nel passato non
costituiscono garanzia di risultati futuri.
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osservatorio prometeia
"C’è una rotta fuori dai porti sicuri?”: alcuni
approfondimenti con i relatori
Stefania Luciani — Prometeia
N
el corso del 9° Percorso di inFormazione,
che ha avuto luogo ad Amburgo dal
20-23 giugno scorso, come di consueto
si sono alternati in qualità di speaker
differenti esponenti dell’industria finanziaria.
Le presentazioni sono disponibili sul sito di
Prometeia Advisor e sintetizzate nel numero
speciale di ANTEO di giugno.
La sessione di domande e risposte è stata
quest’anno particolarmente animata, per
cui sono rimaste inevase alcune richieste di
approfondimento. Nel seguito trovate quindi
alcune di queste domande con le sintetiche
risposte gentilmente fornite dai relatori coinvolti,
che ringraziamo per la disponibilità.
Antonio Gatta, Head of Institutional – Franklin
Templeton Italia
Nel corso dell’ultimo decennio, la crescita degli
indici relativi ai bond emessi da governi dei
paesi emergenti è stata pressoché ininterrotta.
Tuttavia, nell’ultimo periodo tali obbligazioni
hanno subito un violento sell off che ha portato
i relativi indici a perdere anche il 10% nel corso
dell’anno, portando il rendimento del 2013 in
negativo per questa asset class. Ritenete che il
trend di crescita sia destinato a riprendere e che
quindi il sell off recente sia stato solo passeggero,
oppure che le valutazioni siano diventate troppo
care e che quindi le possibilità di apprezzamento
di questi titoli siano oramai molto limitate?
Il sell off che ha colpito i titoli obbligazionari
emessi dai paesi emergenti è il frutto di una
“tempesta perfetta” in cui il progetto di tapering
da parte della Fed rappresenta solo il fattore
scatenante.
Riteniamo che gli investitori stiano ora
commettendo l’errore di considerare i paesi
emergenti e le loro obbligazioni come un’unica
attività finanziaria, trascurando completamente
le differenze tra singoli paesi. Tali differenze - pur
essendo sempre esistite - sono ora maggiori
e lo saranno sempre di più poiché molte realtà
emergenti si trovano in una fase economicamente
più matura. Si pensi alla Corea del Sud, ancora
compresa negli indici di mercato relativi ai paesi
emergenti, ma di fatto un paese sviluppato. Si
pensi ancora a tutti quei paesi che, trovandosi
con un saldo positivo delle partite correnti, non
hanno in effetti bisogno di capitali dall’estero e
potranno tornare a beneficiare dei fondamentali.
Si pensi infine alla macro suddivisione tra paesi
esportatori e paesi importatori di materie prime.
Non escludiamo che singoli paesi possano
continuare ad avere problemi anche importanti
ma notiamo come nel suo complesso la situazione
delle economie in via di sviluppo sia molto diversa
da quella che aveva caratterizzato le crisi degli
anni 90. Oggi vi sono tassi di cambio flessibili
rispetto ad un sistema di cambi fissi che era tipico
di molti paesi emergenti, le riserve valutarie sono
state enormemente aumentate, i sistemi finanziari
locali sono più solidi, è migliorata la gestione del
debito pubblico (che resta in media basso rispetto
al PIL) grazie anche ad una più accurata gestione
delle scadenze e della componente in valuta locale.
Inoltre molti paesi stanno mettendo a frutto
l’esperienza accumulata nelle precedenti fasi di
crisi finanziaria.
A fronte di specifiche difficoltà contingenti, le
dinamiche di medio-lungo periodo non sono in
discussione: trend demografici, aumento dei
consumi interni, crescita dei salari, aumento della
classe media, crescente ruolo nel commercio
internazionale, bilanci pubblici solidi.
Vediamo ancora opportunità di guadagno nelle
obbligazioni dei paesi emergenti ma a condizione
di saper scegliere in base a fondamentali e
prospettive di sviluppo. Un contesto di graduale
miglioramento della crescita economica e dei
commerci mondiali può ben supportare uno
scenario di tassi d’interesse in graduale aumento
e costituisce un contesto favorevole per le
asset class rischiose. In particolare, se i margini
di profitto generati dalla componente “tasso
d’interesse”, attualmente tornati interessanti,
sembrano destinati ad assottigliarsi in modo
inevitabile consigliando posizioni con duration
prometeia
advisor sim
contenuta, le valute dei paesi emergenti
rappresentano – in modo selettivo – un’ottima
opportunità di guadagno per il futuro: gli
investitori torneranno molto presto a premiare la
crescita e ad investire dove questa è più evidente,
soprattutto ora che le obbligazioni governative
considerate sicure (Germania, US) non offrono
valore ed hanno intrapreso la strada dei tassi in
aumento.
Si tratta pertanto di investire dove il rischio è
meglio remunerato piuttosto che dove il rischio
è ritenuto basso oppure assente. Si tratta di
distinguere tra specifici problemi di breve termine
ed opportunità di profitto da cogliere allungando
l’orizzonte temporale.
Il concetto di portafoglio a cedola e il binomio
patrimonio-reddito è diventato negli ultimi
tempi un tema sempre più pressante per gli
investitori che hanno dovuto fare a meno di flussi
di reddito provenienti dalle tradizionali attività
finanziarie. Come stabilire, nella gestione di un
prodotto, il corretto trade-off tra distribuzione o
accumulazione dei proventi?
I fondi a distribuzione hanno acquisito sempre
maggiore importanza negli ultimi anni e
rappresentano un valido strumento per gli
investitori istituzionali che sono alla ricerca sia del
rendimento del capitale sia di un flusso costante
di liquidità.
In base alla nostra metodologia di distribuzione,
i dividendi sono alimentati dai flussi cedolari
sottostanti al fondo d’investimento, e sebbene
l’erogazione delle cedole non sia fissa, i gestori
tendono a mantenerla il più costante possibile nel
tempo.
Rispetto ad un investimento in un solo titolo
obbligazionario, il fondo a distribuzione offre
ulteriori vantaggi: non ci sono rischi di default del
fondo contrariamente al caso dei singoli titoli,
non ci sono vincoli temporali in quanto i fondi non
hanno scadenza, ed inoltre il portafoglio è sempre
gestito attivamente.
Donatella Principe, Head of Institutional
Business – Schroders Italy
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26
In un’asset allocation per fattori di rischio, come
sono cambiati i pesi di ciascun rischio nella vostra
allocazione ottimale a seguito della correzione del
mercato iniziata nella seconda metà di Maggio?
Quella partita a Maggio è stata una correzione
guidata dal sentiment che si è tradotta in uno
shock di liquidità con repricing congiunto delle
attività d’investimento. Sebbene la volatilità
sia rimasta sotto controllo, la correlazione tra
attività d’investimento è notevolmente cresciuta.
A fronte di questo contesto la nostra revisione
sulle strategie di portafoglio Multi-Assets basate
sull’approccio risk-premia ha subito una variazione
nelle sue due direttrici principali, sia in relazione
ai tre fattori di rischio economico (inflazione,
duration o tassi d’interesse, crescita) che alle
“strategie”, quei rischi cioè legati a inefficienze
o comportamenti condizionati da fattori di
rischio sistematici. La revisione di portafoglio
si è articolata non solo in una variazione
dell’allocazione attiva per fonti di rischio ma anche
nell’introduzione di strategie di de-risking, sia
con la copertura di specifici premi per il rischio
(come la duration) sia con un overlay dei rischi
di coda connessi a shock sistemici. Il punto di
partenza di questa revisione è stata la dispersione
ampia presente alla fine di Aprile nei rendimenti
corretti per il rischio tra i vari risk-premia presenti
in portafoglio, chiaro riflesso dell’incertezza
presente sul mercato. Questo divario ha fatto
identificare nel premio per il rischio connesso alla
duration e alla sua valutazione la maggior fonte di
rischio: pertanto la revisione del risk-budget si è
in via principale articolata intorno a una riduzione
di questo specifico rischio tassi d’interesse. Per
fronteggiare invece l’effetto connesso al mix di
crescita delle correlazioni e crisi di liquidità, si
è intervenuti sulla parte di “strategie” al fine di
proteggere il portafoglio dall’effetto di flessioni
multiple da fonti di rischio differenti: questo ha
comportato tecnicamente una crescita del cash (o
nei portafogli che consentono la leva finanziaria,
una sua riduzione).
Quali saranno secondo voi i rischi da monitorare
maggiormente nei prossimi mesi?
Nel nostro modello di analisi dei premi per il
rischio non viene mai creato un ranking tra di essi
in base alle contingenti caratteristiche di mercato.
Ciò dipende dal fatto che vi sono due direzioni
nelle quali vengono analizzati i premi per il rischio:
non solo in assoluto, ma anche e soprattutto
in relazione all’interazione con gli altri. Quindi,
sebbene oggi l’attenzione degli investitori possa
essere catalizzata da timori specifici, come quello
legato a una possibile risalita dei rendimenti
obbligazionari, questo rischio viene computato
insieme a tutti gli altri nel verificare gli effetti su
tutti i risk-premia e le loro possibili interazioni.
Un’analisi basata sui premi per il rischio delle
diverse classi di attività sembra trascurare
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la variabilità del “risk-free”, certamente non
trascurabile dall’inizio della crisi, e quindi la
sua correlazione con le altre variabili. Come
considerare tale effetto?
La percezione dell’instabilità o meno del freerisk dal 2007 a oggi è strettamente collegata
al tipo di misurazione adoperato. Molti, infatti,
ricorrono a misure dei tassi d’interesse a breve
come Libor o Euribor, che tuttavia proprio per
le loro caratteristiche intrinseche non possono
essere considerate a pieno free-risk: essi, di fatto,
incorporano un premio per il rischio credito e/o di
liquidità che viene influenzato dall’andamento del
settore bancario. Ecco perché, in particolar modo
nel 2008, queste misure hanno sperimentato una
forte volatilità, che è stata la conseguenza della
crescita del premio per il rischio di credito e/o
liquidità domandata dal mercato.
Nella nostra analisi sui premi per il rischio
utilizziamo come misura del risk-free il tasso
d’interesse sullo US Treasury Bill a 3 mesi, con
l’ipotesi implicita di un tasso di default pari a zero
assegnato al governo americano. È importante
notare che, sebbene esso rappresenti il parametro
di misurazione degli altri premi per il rischio, nelle
nostre analisi non trascuriamo di stimare il grado
al quale il free-risk stesso sia caro o a sconto. Per
esempio, attualmente i rendimenti reali sui T-Bills
sono negativi, il che li rende cari e non interessanti
se considerati su base storica. Siamo consci
che questo è il riflesso dell’azione delle Banche
Centrali che hanno portato ai minimi storici il costo
del denaro e, tramite massicci acquisti di titoli di
stato, hanno compresso i rendimenti lungo la curva
per stimolare l’economia. Una delle conseguenze
di questa condizione atipica è per esempio il
fatto che il premio per il rischio di duration appaia
estremamente caro con rendimenti così ridotti:
il nostro processo d’investimento attivo riflette
questa situazione con un sottopeso su questo
premio per il rischio. Infine siamo consapevoli
che, quando il tasso risk-free tornerà a salire (e a
normalizzarsi), ciò avrà un impatto su tutti i premi
per il rischio, in quanto i loro extra-rendimenti
attesi saranno inferiori (ceteris paribus). Un altro
modo di guardare e misurare questa situazione è
considerare il valore di un’attività d’investimento
come la somma dei flussi scontati (NPV): man
mano che i tassi d’interesse salgono, il valore di
questi flussi scontati scende. Così nella nostra
analisi sui premi per il rischio riconosciamo il
pericolo che una salita del tasso risk-free può
comportare per tutte le attività d’investimento.
27
Giovanni Landi, Senior Partner – Anthilia
Quali sono, a vostro avviso, i fattori più rilevanti
per la selezione di strategie o prodotti di tipo
absolute da inserire in portafoglio?
Nella selezione di prodotti absolute, i due
obiettivi principali da perseguire sono la ricerca
di rendimenti poco correlati con l’andamento dei
mercati finanziari e la riduzione della volatilità
complessiva del portafoglio investito.
Nella selezione di strategie a ritorno assoluto,
ricordiamo in particolare l’utilità dei seguenti
fattori:
»» lunghezza e consistenza del track record del
gestore;
»» ritorno aggiustato per il rischio interessante
(Sharpe almeno superiore a 0.3 / 0.4 );
»» processo di investimento deve essere chiaro,
strutturato e con dei punti di controllo
auditabili;
»» struttura del team e della società di gestione;
»» analisi di come i singoli fondi/gestori hanno
affrontato le crisi di mercato più recenti;
»» liquidità degli attivi: deve essere chiaro
quanti giorni occorrono per smontare il 50%/
70%/100% del portafoglio.
È necessario un approccio flessibile, teso a
selezionare un certo numero di fondi di diversi
asset manager e a valutare nel tempo se attuare
modifiche discrezionali nella composizione del
portafoglio a ritorno assoluto.
L’ottimizzazione quantitativa delle diverse
strategie absolute selezionate punta infine
a minimizzare la volatilità del portafoglio
complessivo.
Più in dettaglio, riteniamo che la performance
non debba essere spiegata singolarmente
dall’esposizione alla duration, alle azioni, al dollaro
USA: i beta dei prodotti a ritorno assoluto rispetto
all’andamento delle singole asset class devono
essere bassi.
Quanto al Risk Management, gli indicatori di
rischio presi a riferimento devono essere chiari:
che tipo di VaR, vengono effettuati stress test,
esistono stop loss, quale è il rapporto tra gestore e
risk manager.
In merito alla normativa di riferimento, un prodotto
che rispetta la normativa UCITS IV è preferibile ad
un hedge fund per la maggiore tutela di cui godono
gli investitori del primo, grazie soprattutto ai
controlli posti in merito ai limiti di concentrazione
prometeia
advisor sim
degli attivi del fondo.
E’ sempre preferibile costruire una componente
di portafoglio alternativa (25-30% del totale)
diversificando i prodotti selezionati per mitigare il
rischio gestore e per bilanciare tra loro le diverse
strategie (global macro, CTA, long short, market
neutral, etc.).
Nella selezione degli investimenti quale
importanza riveste il rischio di illiquidità che
rappresenta comunque una fonte di overperformance?
Il Rischio di liquidità è un rischio importante e
può essere discriminante nella scelta di un fondo,
soprattutto in funzione dell’attività di asset &
liability management del cliente istituzionale.
Tanto più la competenza dell’investitore in
ambito finanziario è elevata, e tanto più lungo è
l’orizzonte temporale di investimento, tanto più
si possono considerare investimenti a ritorno
assoluto con minor grado di liquidità, nell’ottica
di aumentare i ritorni attesi. Non è un caso che
spesso a portafogli illiquidi si associno forme
di investimento “chiuse”, dove gli investitori si
impegnano a rimanere nel fondo per un tempo
prestabilito e a prescindere da situazioni di
mercato sfavorevoli, onde tutelare il complesso
degli investitori da improvvisi cali di valore
dei titoli selezionati. Grazie ai recenti sviluppi
normativi, anche attraverso veicoli d’investimento
UCITS o sottostanti alla nuova direttiva AIMFD,
è possibile investire in prodotti con un grado
di liquidità ridotta, ma con una forte tutela e
trasparenza nei riguardi dell’investitore.
Nel caso di sell off di mercato, i portafogli illiquidi
soffrono di più di quelli composti solo da strumenti
liquidi. Quando si innescano una serie di riscatti a
catena, i gestori sono costretti a vendere pagando
spread di mercato più ampi. Se si investe in un
portafoglio illiquido, si ha un premio di illiquidità
implicito nella performance ma tutto funziona
fino a che nel mercato non si osservino situazioni
di tensione. In sostanza, nel caso di portafoglio
illiquido l’eventuale performance negativa non
dipende solo dall’andamento avverso del mercato
ma anche dal comportamento tenuto dagli
investitori nel fondo.
prometeia
advisor sim
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Solo due elementi possono mitigare in parte
questo meccanismo: la presenza di liquidità con
funzioni di cuscinetto per una parte significativa
degli attivi del fondo e la vita residua molto
contenuta degli investimenti poco liquidi.
Rosa Sangiorgio, Senior Portfolio Manager –
Credit Suisse
Quale la potenzialità di utilizzo di indici alternativi
da parte di investitori istituzionali italiani?
All’estero sono utilizzati maggiormente?
Attualmente gli indici alternativi (ovvero
gli indici che utilizzano metodi diversi dalla
capitalizzazione/ammontare emesso per la
determinazione dei pesi dei titoli sottostanti)
sono solo limitatamente utilizzati da parte degli
investitori istituzionali italiani ma negli ultimi
mesi abbiamo registrato un notevole interesse
in termini di conoscenza e approfondimento
delle loro caratteristiche peculiari e performance
relative.
Se guardiamo ai mercati europei più maturi, in
paesi come il Regno Unito ed il Benelux, gli indici
basati sui fondamentali sono largamente utilizzati
dagli investitori istituzionali e in particolare dai
fondi pensione.
A titolo indicativo, nel mondo circa 89 miliardi
di dollari di asset utilizzano indici FTSE RAFI. Di
questi circa 18 miliardi di USD in Europa.
I maggiori investitori istituzionali europei
utilizzano indici alternativi, sia per quanto riguarda
l’allocazione azionaria che obbligazionaria, in base
a due approcci principali:
»» “Sostituti degli indici tradizionali”: nell’asset
allocation strategica, i tradizionali indici
basati sulla capitalizzazione di mercato (es.
MSCI) o sull’ammontare di debito emesso (es.
Barclays) vengono sostituiti da indici “Smart
Beta” (es. FTSE RAFI e Barclays Fiscal Strength
rispettivamente). Tipicamente tale scelta è
legata alla valutazione dei limiti intrinseci
nella costruzione degli indici tradizionali,
che vengono superati nell’approccio Smart
Beta, e riflette la scelta strategica da
parte dell’investitore di avere una minore
esposizione a titoli azionari sopravvalutati (ad
esempio titoli “high tech” durante la dot.com
bubble) o ad emittenti obbligazionari con una
situazione fiscale non ottimale (Paesi periferici
dell’Eurozona, Giappone, Stati Uniti, …).
»» “Complementi degli indici tradizionali”: gli
indici Smart Beta vengono utilizzati insieme
agli indici tradizionali, per creare una
fonte di valore aggiunto al portafoglio. Ad
esempio la componente azionaria globale
viene implementata utilizzando sia un
indice azionario globale tradizionale che un
A
anteo
indice azionario globale alternativo. L’indice
alternativo viene poi replicato passivamente
da un gestore, con un costo di implementazione
contenuto. Di conseguenza, la scelta dell’indice
alternativo diventa una vera e propria scelta
attiva da parte dell’investitore, che beneficia
del valore aggiunto derivante dalla differente
metodologia di costruzione dell’indice.
Alla luce dello sviluppo ottenuto nei mercati
europei più maturi, riteniamo che le prospettive
di crescita degli indici alternativi (sia in ambito
azionario che obbligazionario) nel mercato
istituzionale italiano siano molto interessanti.
Gli indici alternativi sono compatibili con i vincoli
gestionali molte volte presenti nelle convenzioni
di gestione (come la tracking error volatiliy)?
Assicurano l’investitore in termini di trasparenza,
reperibilità e di costi di implementazione?
Gli indici alternativi nascono da un universo di
investimento comparabile a quello degli indici
tradizionali; la differenza risiede sono nella
metodologia di costruzione, che risulta in un
differente peso della medesima società/emittente
nell’indice.
29
Il risk premium ancora elevato ( 6.5% sulle stime
di consensus vs un trend normalizzato di 4.5%)
pensiamo sconti l’incertezza sul livello normale dei
tassi d’interesse “post tapering” che sicuramente
sarà più elevato dell’attuale, ma anche il fatto che
nonostante l’enorme massa di liquidità riversata
sui mercati, l’impatto sull’economia reale per il
momento sembra essere altalenante (vedi ultimo
dato dei payrolls, un po’ deludente).
Quali sono, a vostro avviso, le strategie migliori
per gestire il rischio di downside, così rilevante per
un investitore?
Il rischio maggiore di downside per un portafoglio
multi asset è, naturalmente, un repentino aumento
dei tassi d’interesse conseguente al drenaggio
di liquidità da parte delle banche centrali.
Una duration accorciata sul lato bond ed una
diversificazione spinta del portafolgio saranno
elementi importanti, ma, come detto ad Amburgo,
l’unico modo di ridurre il downside ed anzi creare
opportunità di upside sarà di introdurre in
portafoglio gestori e prodotti specializzati nel
“relative value” sia azionario che obbligazionario.
In sostanza gestori attivi!
Gli indici “Smart Beta” dei maggiori Index
provider (come FTSE, MSCI e Barclays)
assicurano all’investitore livelli di trasparenza e
reperibilità dei dati identica a quella degli indici
tradizionali, inoltre possono essere replicati
passivamente (oppure essere utilizzati come
benchmark di riferimento per un gestore attivo)
utilizzando vincoli di tracking error comparabili
a quelli normalmente impiegati con benchmark
tradizionali.
Walter Ricciotti, Amministratore Delegato –
Quadrivio SGR
Allo stesso modo i costi di implementazione
sono molto simili se non identici a quelli degli
indici tradizionali. L’unica differenza sta (nel caso
di gestione passiva) in un turnover dell’indice (e
quindi del portafoglio) leggermente superiore
ma che in linea di massima non influenza i costi di
transazione in maniera percettibile.
È corretto che il private equity sia un investimento
di medio periodo, ciononostante è assolutamente
possibile avere degli strumenti per il controllo del
rischio dell’investimento in un fondo.
Alessandro Baldin, Amministratore Delegato –
Azimut Capital Management
Il mercato azionario americano è ai massimi
storici, con una volatilità implicita relativamente
più bassa del passato ed un risk premium elevato;
come giudicate questo paradosso? In particolare,
quanto ritenete sia legato ai programmi della Fed
e quanta parte sconti i fondamentali di futura
crescita economica?
Il private equity presenta tendenzialmente un
orizzonte di investimento di medio-lungo periodo,
caratterizzato da un’asimmetria dei versamenti
e dei rendimenti, che rende la misurazione
del rischio basata sulle misure tradizionali
non adeguata. Quali parametri adottare per il
controllo dei rischi dell’investimento?
Il processo di controllo di rischio da parte di un
investitore in fondi di private equity può essere
condotto in tre fasi:
»» Durante la fase di valutazione dell’investimento
nel fondo.
»» Nel corso della vita del fondo, attraverso
proprie valutazioni.
»» Nel corso della vita del fondo, verificando
gli strumenti adottati dal gestore per la
minimizzazione del rischio.
Per quanto riguarda i controlli da eseguirsi
prima della sottoscrizione di quote del fondo,
l’investitore potrà (e dovrà!) valutare con
prometeia
advisor sim
attenzione il track record del team di gestione, la
coerenza della politica di investimento, la stabilità
del team e della società di gestione, la struttura
dei sistemi messi in piedi per il controllo del rischio
da parte del gestore.
Durante la vita del fondo, è ormai prassi
consolidata che i gestori forniscano su base
semestrale (se non più frequente) una valutazione
di dettaglio del portafoglio, una dettagliata
descrizione dell’andamento delle singole
partecipate, e di conseguenza un fair market value
del fondo. L’investitore potrà pertanto utilizzare
tali dati per poter effettuare le proprie valutazioni
di rischio, così come per altre asset class. Si
ricorda inoltre che oramai esistono numerosi
database che possono essere utilizzati anche
come benchmark nella valutazione di un fondo e
della sua volatilità.
È poi possibile affiancare tali analisi ad una
misurazione qualitativa dei rischi: mediante una
mappatura per macro-categorie (ad esempio rischi
operativi, reputazionali, finanziari e di compliance)
è possibile valutare il livello di rischio atteso
tramite una predefinita scala di misurazione e
valutare i presidi posti in essere dal gestore per
limitare o gestire i rischi.
Infine, ma non meno importante, l’investitore
può sempre richiedere al gestore di confrontarsi
sui sistemi da quest’ultimo adottati per
il contenimento del rischio, sia a livello di
portafoglio, che a livello di singola partecipata.
Nei primi anni di un investimento nel settore
del private equity, i primi rimborsi di cassa
sono frequentemente riconducibili a rimborsi
di capitale anziché a proventi finanziari,
determinando l’impossibilità di avere benefici
in conto economico dall’investimento. Come
conciliare l’orizzonte di medio periodo tipico di
un investimento di private equity con le esigenze
di redditività di breve periodo tipiche di un
investitore istituzionale?
I fondi di private equity sono caratterizzati nei
primi anni da un profilo di rendimento, cosiddetto
“j-curve”, per il quale inizialmente, fino a quanto
diventa palese l’incremento del valore delle
partecipate del fondo, il rendimento è nel
breve periodo penalizzato dall’incidenza delle
commissioni di gestione.
prometeia
advisor sim
A
anteo
30
Il passaggio in essere, però, da una valutazione
improntata principalmente sul costo di acquisto
verso una valutazione (che è lo standard europeo)
a “fair market value” porta ad una riduzione di
tale effetto, in quanto le partecipazioni del fondo
in società il cui valore si incrementa vengono
valutate ad un più corretto valore di mercato e
pertanto tale rivalutazioni compensano e spesso
superano ampiamente, anche nella fase iniziale
della vita del fondo, i costi di gestione.
Quando poi il fondo dismette una propria
partecipazione, immediatamente provvede a
distribuire pro-quota agli investitori quanto
incassato dalla cessione; normalmente fino a
quando non è distribuito l’intero ammontare
versato (non sottoscritto!) dagli investitori,
tali distribuzioni vengono effettuate a titolo di
rimborsi di capitale e non come distribuzioni
di proventi. Ciononostante, se le cessioni sono
state effettuate a valori maggiori del costo di
investimento, il valore residuo del fondo si sarà
incrementato e pertanto per l’investitore sarà
possibile contabilizzare la plusvalenza.
Alberto Matta, Managing Director – Optimum
Asset Management
Avete in corso riflessioni, in tema di strategie o
prodotto, per la diversificazione negli investimenti
immobiliari, alla luce dell’importante driver
normativo (“nuovo” 703) che si presume di fatto
aprirà tali investimenti anche ai Fondi pensione
negoziali e disegnerà una fase transitoria di
convergenza per le Casse di Previdenza (come
di fatto già avvenuto per i Fondi pensione preesistenti)?
Siamo convinti che la diversificazione a livello di
asset allocation per un investitore istituzionale
sia fondamentale, qualunque sia la categoria di
appartenenza. Il mercato immobiliare italiano
offre prospettive molto scarse in termini di
rendimento e l’offerta supera di gran lunga la
domanda. Per questo motivo la nostra società
ritiene sia importante allargare i propri orizzonti
a mercati che offrono rendimenti e prospettive
migliori. La nostra attività si è concentrata
inizialmente sulla città di Berlino, la quale
presentava e presenta tuttora ottime opportunità
in termini di redditività ed apprezzamento in virtù
delle vicende storiche che l’hanno caratterizzata
e delle conseguenti anomalie di mercato.
Successivamente, per rispondere al meglio alle
esigenze degli investitori istituzionali italiani,
i cui criteri di gestione si ispirano a principi di
contenimento del rischio, diversificazione del
portafoglio ed efficienza nella gestione, abbiamo
deciso di estendere la nostra attività anche a nuovi
mercati.
A
anteo
L’investimento nel mercato immobiliare
può consentire un sensibile miglioramento
dell’efficienza e della diversificazione della
gestione. Esistono infatti ottime opportunità
di accedere ad un rapporto competitivo tra
rendimento e rischio, con bassa correlazione
rispetto agli asset tradizionali. La normativa
italiana sta inoltre allargando la possibilità di
investire direttamente nell’immobiliare anche ai
Fondi pensione negoziali, per cui questo mercato
diventerà sempre più interessante agli occhi della
categoria degli istituzionali. Ritornando al tema
della diversificazione, per perseguire appieno
tale obiettivo, riteniamo tuttavia determinante
appoggiarsi a società di gestione competenti e
con track record, in modo da poter accedere ai
mercati esteri, i quali presentano prospettive di
rendimento migliori.
La nostra strategia si uniforma a quanto affermato
e si concentra su diversi mercati, quali Berlino e
la Germania in generale, gli Stati Uniti, Budapest
e la Bulgaria. La scelta dei mercati in cui entrare
si basa innanzitutto su un’analisi del rapporto
rendimento/rischio ma anche sulle conoscenze
che il nostro team possiede per quanto riguarda
il territorio in questione. Riteniamo infatti che
sia molto importante potersi affidare ad un
consolidato network dedicato all’immobiliare,
che permetta di monitorare in maniera costante
gli investimenti effettuati e di offrire un miglior
servizio agli investitori.
Nelle strategie di Asset Allocation Strategica
assume sempre maggiore importanza l’analisi
ed il controllo del rischio degli investimenti.
Quanto è facile/possibile valutare e monitorare
adeguatamente il rischio di investimenti
immobiliari, soprattutto se realizzati all’estero
ed in mercati poco liquidi, e come è possibile
contenerne l’impatto in periodi di congiuntura
economica sfavorevole?
Gli investimenti immobiliari sono caratterizzati
da rischi di diversa natura, molti dei quali possono
essere ricondotti alla scarsa conoscenza
del mercato e del territorio, nonché delle
caratteristiche e delle condizioni dell’immobile.
Esistono numerosi esempi di frodi, misurazioni
imprecise o clausole fiscali e legali che rendono
invalida la trattativa. Anche le variazioni fiscali e
legislative possono essere, seppur limitatamente,
considerate un rischio, poiché l’aumento dei costi
riduce inevitabilmente il rendimento atteso.
Inoltre, entrano in gioco anche variabili legate alla
tempistica, basti pensare ad esempio al caso in
cui, una volta acquistato, l’immobile resti sfitto,
oppure non si riesca a venderlo. Il rischio è quindi
31
di dover sostenere delle spese, come ad esempio
costi di finanziamento, relativamente ad un
investimento a rendimento negativo.
Valutare rendimenti e rischi connessi a tali
mercati, nonché eventuali problematiche legate
ad aspetti legali e fiscali, risulta tendenzialmente
difficile per il singolo investitore. Per questo
è consigliabile affidarsi a società esperte nel
settore, in grado di mitigare tali rischi, sulla base
delle competenze acquisite durante gli anni di
attività. Tale logica diventa ancor più rilevante
nel caso particolare di investimenti in mercati
esteri; i bassi rendimenti e le crescenti difficoltà
in cui versa oggi il mercato italiano rendono più
appetibili gli investimenti in mercati più floridi,
come la Germania o gli Stati Uniti, dove i prezzi
sono in netta ripresa dopo il crollo causato dalla
crisi.
La scarsa liquidità del mercato immobiliare è un
fattore da tenere in considerazione durante il
processo di allocazione del capitale; l’investitore
deve quindi essere disposto a ragionare con un
orizzonte di lungo periodo quando valuta l’acquisto
di immobili o fondi immobiliari. D’altra parte, i
benefici legati ad una maggior diversificazione
garantita da tali strumenti superano di gran
lunga gli svantaggi relativi alla scarsa liquidità
del mercato. Ad oggi, infatti, i capitali sono
eccessivamente concentrati negli asset
tradizionali, come conseguenza delle limitazioni
della normativa italiana.
La diversificazione contribuisce inoltre a
preservare i rendimenti in periodi di congiuntura
economica sfavorevole, in particolare nel caso in
cui questa sia circoscritta all’economia italiana o
europea; per questo è consigliabile guardare anche
ai mercati extra europei. Inoltre, l’investimento
immobiliare è sempre stato considerato un
ottimo rifugio in periodi di difficoltà economica,
essendo garantito alla base da un asset reale.
Tuttavia, è importante monitorare costantemente
i prezzi e le dinamiche di mercato per evitare di
essere coinvolti nello scoppio di bolle, le quali
hanno rappresentato la vera minaccia per questo
settore negli ultimi anni. Ancora una volta entra
quindi in gioco l’esperienza di gestori qualificati,
i quali dispongono dei mezzi e delle informazioni
necessari a ridurre tale rischio.
Simone Borla, Managing Partner – Quercus
Investment Partners LLP
Dagli investimenti nel segmento delle energie
rinnovabili ci si attende flussi di cassa stabili e
prometeia
advisor sim
prevedibili anche in virtù di incentivi governativi.
Si sente parlare spesso del complesso e mutevole
quadro normativo italiano che regola l’accesso
agli incentivi governativi; fatto 100 il costo
complessivo del processo di investimento quanto
pesa il complesso degli oneri burocratici legati
all’ottenimento degli incentivi? In Italia l’incidenza
è maggiore che altrove? Se sì, questo può
condizionare le scelte di allocazione dei fondi per
paesi e tipologia di fonte rinnovabili e quindi il loro
profilo rendimento/rischio?
L’incentivazione governativa per le energie
rinnovabili è certamente rilevante e necessaria
per spostare le fonti di produzione energetica del
paese da fonti molto inquinanti ed estremamente
dannose per la popolazione verso fonti pulite e
rinnovabili. L’incentivo vi è parzialmente riuscito,
nonostante le forti strumentalizzazioni e gli
ostacoli frapposti da alcune lobby.
Il grosso impulso, dato degli incentivi, ha
permesso alla green economy di raggiungere
importantissime economie di scala che
rendono ormai questi investimenti sostenibili
e redditizi anche senza incentivi. Infatti, una
delle caratteristiche dominanti nel mondo delle
energie rinnovabili è la recente discesa dei costi
tecnologici. Per esempio, nel 2011 il costo dei
pannelli è sceso del 50% e quello delle turbine
eoliche tra il 5% e il 10%. Il consistente incremento
del mercato ha indotto significative economie
di scala e continui miglioramenti tecnologici nei
prodotti e nei processi produttivi, tali da ridurre
drasticamente i costi delle energie rinnovabili.
In alcuni paesi con condizioni climatiche
prometeia
advisor sim
A
anteo
32
particolarmente favorevoli si è arrivati addirittura
a raggiungere la soglia della grid-parity.
Per quanto riguarda il costo complessivo del
processo di investimento, la strategia di Quercus
prevede l’investimento in progetti già autorizzati,
cosi non assumendo il rischio autorizzativo e
gli oneri burocratici legati all’ottenimento degli
eventuali incentivi legati al progetto stesso.
Tra i diversi rischi da considerare per questa
tipologia di investimento, vi sono le condizioni
di finanziamento dei progetti, rischio
particolarmente accentuato in questa prolungata
fase di stretta del credito e specie in caso di
provvista presso intermediari dei paesi periferici
dell’area Uem. Quale può essere un livello
ottimale/massimo di leva finanziaria di un fondo?
L’investimento in infrastrutture sulle energie
rinnovabili si caratterizza per la generazione di
flussi di cassa stabili e prevedibili trattandosi di
beni reali che generano ricavi dalla vendita di beni
o servizi, e quindi non dipendenti dalle fluttuazioni
dei mercati finanziari. Tali caratteristiche
permettono un agevole ottenimento di
finanziamenti a copertura di una buona frazione
del valore totale dell’impianto. Il livello ottimale/
massimo di leva finanziaria per questo genere
di bene reali è dipendente dalla tipologia del
progetto stesso. Le condizioni ed i tassi variano
da paese a paese influenzando il rendimento degli
investimenti. Ad esempio in Gran Bretagna si
possono ottenere finanziamenti bancari, o tramite
collocamento di obbligazioni, a tassi inferiori di
300-500 punti base rispetto ad esempio all’Italia.
A
anteo
33
osservatorio prometeia
Quali prospettive per gli investimenti fuori dai
“porti sicuri”?
Emanuele De Meo, Ugo Speculato, Giacomo
Tizzanini, Lea Zicchino — Prometeia
domanda, resa ancora più grande dalle nuove
regole definite in risposta alla crisi (come ad
esempio i requisiti di liquidità introdotti da
Basilea 3 per le banche) e che richiedono agli
investitori istituzionali e agli intermediari
finanziari di detenere nei propri portafogli una
quota strutturalmente alta di titoli liquidi e
poco rischiosi. La scarsità di asset sicuri, che
aveva caratterizzato già la fase pre-crisi, è stata
amplificata dal forte ridimensionamento dei
titoli tripla A sinteticamente ottenuti con la
cartolarizzazione di mutui ed altre attività, dalla
perdita dello status di “risk-free” dei titoli di
debito pubblico dei Paesi periferici dell’Area Euro
e dal fatto che una parte dei titoli safe è stata
sottratta al mercato dagli acquisti delle Banche
centrali.
Q
uesto articolo è una sintesi del lavoro
presentato da Lea Zicchino al 9°
percorso di InFormazione di Prometeia
Advisor Sim tenutosi ad Amburgo il 2023 giugno 2013.
Perché i rendimenti sulle attività risk-free sono
ancora molto bassi, nonostante i rendimenti
su alcuni titoli stiano recentemente risalendo?
Cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi alla
luce di un possibile cambiamento nella politica
monetaria della Federal Reserve? Quali classi
di attività sembrano dare maggiori prospettive
di rendimento? Queste alcune delle domande
a cui proveremo a rispondere nel seguito di
quest’articolo utilizzando alcuni dei nostri
modelli.
Figura 1: Tassi di interesse nominali a 10 anni di
alcuni Paesi meno rischiosi
per cento)
16
I rendimenti sulle attività “safe”
Nonostante i movimenti più recenti seguiti agli
annunci della Fed di un ridimensionamento a
breve del programma di acquisto di titoli (il
cosiddetto “Fed tapering”), i rendimenti sui titoli
“safe” non sono molto distanti dai minimi storici
(Fig. 1).
I motivi di rendimenti così compressi sono
piuttosto noti. Vi hanno contribuito fattori
ciclici, come l’acquisto di titoli, e in particolare di
titoli di debito pubblico, da parte delle Banche
centrali dei più grandi Paesi industrializzati
(Usa, Giappone, Uk e, in misura inferiore, Area
Euro) che hanno cercato di riattivare il credito
nell’economia anche attraverso politiche diverse
da quella del movimento dei tassi di interesse di
breve termine; ma anche una forte espansione
della domanda di titoli a basso rischio da parte
di investitori privati che, alla ricerca nella fase di
crisi di assicurazione per i propri capitali, sono
stati disposti ad conseguire rendimenti bassi
e in qualche caso addirittura negativi in termini
reali sui propri investimenti. A questi sono da
sommare elementi strutturali, e in particolare
la scarsità di asset “safe” e liquidi rispetto alla
14
12
10
8
6
4
2
0
'80 '83 '86 '89 '92 '95 '98 '01 '04 '07 '10 '13
Usa
Germania
Giappone
Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; dati al
18/9/13.
Cosa aspettarsi per il futuro?
Per cercare di capire quali possano essere le
prospettive di medio termine per una delle più
importanti categorie di titoli “safe”, ossia i titoli
di Stato, abbiamo costruito un modello di stima
dei valori di equilibrio dei rendimenti su questi
titoli a varie scadenze. In particolare, abbiamo
utilizzato una metodologia Panel sui rendimenti
prometeia
advisor sim
A
anteo
34
Figura 2: Rendimenti governativi a 10 anni per
la Germania, valore effettivo e di
equilibrio(a) (per cento)
Figura 3: Rendimenti governativi a 10 anni per gli
Usa, valore effettivo e di equilibrio(a)
(per cento)
8
8
6
6
4
4
2
2
0
mar-07 ago-08 feb-10
+/- 2 dev std
lug-11
gen-13
lug-14
dic-15
storia + prev. prometeia
fair value
0
mar-07
mag-09
+/- 2 dev std
lug-11
set-13
dic-15
storia + prev. prometeia
fair value
Fonte: Thomson Reuters; elaborazioni e dati previsionali Prometeia, Rapporto di Previsione, aggiornamento di set-13.
(a)
Fair value ottenuto mediante panel cointegrato dei rendimenti governativi di Francia, Germania, Giappone, Italia, Uk,
Spagna, Usa (analisi dall’I-91 all’I-13).
trimestrali dei titoli di Stato alle scadenze 2, 5,
7 e 10 anni di Stati Uniti, Giappone, Regno Unito,
Germania, Francia, Italia e Spagna su un periodo
che va dal primo trimestre del 1991 al primo
trimestre del 2013. Insieme ai titoli “safe” abbiamo
quindi considerato anche quelli che con la crisi
dell’Area Euro hanno perso questo status, ossia i
titoli dei due più grandi Paesi periferici dell’area,
Italia e Spagna. Abbiamo quindi identificato,
mediante lo stimatore DSURE (Dynamic
Seemingly Unrelated Cointegrating Regressions
Estimator), delle relazioni di cointegrazione (di
equilibrio) tra i rendimenti e una serie di variabili
macroeconomiche e finanziarie che dovrebbero
spiegare il valore “fair” dei rendimenti governativi:
crescita del Pil potenziale, attese di inflazione,
rapporto tra debito pubblico e Pil, tasso di
interesse governativo a 3 mesi, volatilità del
mercato azionario. In estrema sintesi i nostri
risultati ci dicono che i valori dei rendimenti sui
titoli di Usa e Germania sono al momento più bassi
del loro valore di equilibrio ma meno di quanto
forse ci si potesse attendere. Analogamente, i
rendimenti dei titoli di Spagna e Italia sono solo
leggermente superiori al valore spiegato dai
fondamentali, anche se lo spread sui titoli tedeschi
è ancora superiore a quello stimato come “di
equilibrio” (Figg. 2-3).
prometeia
advisor sim
In maggior dettaglio, se si guarda allo spread tra
i titoli decennali italiani e quelli tedeschi, si vede
come da fine luglio 2012 – ossia dalla famosa
dichiarazione di Draghi di essere pronto a fare
tutto quanto necessario per salvaguardare l’euro
- esso si sia progressivamente ridotto tanto
da portare la differenza tra il valore effettivo
e quello stimato (entrambi ottenuti come
differenza tra i rendimenti) a circa 60 pb alla fine
del primo trimestre del 2013 (dai 190 pb di fine
2011) (Fig. 4).
Nel 2012 si è anche ridotto il differenziale tra i
rendimenti italiani e spagnoli e i loro rispettivi
valori di equilibrio (per l’Italia il differenziale
si è quasi azzerato nel primo trimestre di
quest’anno) (Fig. 5). Questo si spiega con il fatto
che i rendimenti effettivi sui titoli tedeschi
sono inferiori a quelli stimati sulla base dei
fondamentali macroeconomici. Un profilo simile
a quello del decennale tedesco si osserva anche
per i titoli di Stati Uniti e Giappone. Ne consegue
che al venire meno di alcuni dei fattori ciclici che
hanno compresso questi rendimenti su valori
eccezionalmente bassi, i prezzi di queste attività
dovrebbero ridursi (e il rendimento salire). Questo
movimento non sarà, nella nostra opinione, di
entità tale da riportare in tempi brevi i rendimenti
verso livelli elevati (i rendimenti decennali Usa
dovrebbero arrivare al 3.3 % e quelli tedeschi al
2.6 % alla fine del 2015) perché i fattori strutturali,
di cui dicevamo prima, continueranno a persistere.
Prevediamo anche una riduzione degli spread tra
titoli dei Paesi periferici e il Bund che sarà guidata
da un aumento del rendimento tedesco piuttosto
che da una riduzione del rendimento sui titoli
italiani e spagnoli.
A
anteo
35
Figura 4: Differenziale tra i rendimenti
governativi a 10 anni di Italia e
Germania, valori effettivi e di
equilibrio(a) (punti base)
Figura 5: Differenziale tra i rendimenti
governativi a 10 anni osservati e di
equilibrio,(a) Italia e Spagna (punti base)
450
2
Livello osservato > fair value
400
350
1
300
250
0
200
150
100
-1
50
Livello osservato < fair value
0
-50
mar-07
set-08
mar-10
storia
set-11
mar-13
fair value
-2
mar-07
set-08
Italia
mar-10
set-11
mar-13
Spagna
Fonte: Thomson Reuters; elaborazioni Prometeia; dati al 31/3/13.
(a)
Fair value ottenuto mediante panel cointegrato dei rendimenti governativi di Francia, Germania, Giappone, Italia, Uk,
Spagna, Usa (analisi dall’I-91 all’I-13).
Quali rischi per questo scenario?
Nonostante crediamo che quello appena delineato
sia il profilo atteso più probabile per i rendimenti
di lungo termine, non si può escludere il rischio
che la risalita sia più veloce e ampia. Molti analisti
hanno del resto di recente ricordato quanto
successo nel ’94, in occasione di quello che venne
definito come il “grande massacro” sul mercato
globale dei bond. In quella circostanza l’aumento
del tasso di politica monetaria della Fed sorprese
i mercati e determinò un aumento dei rendimenti
sui titoli di Stato decennali statunitensi di circa
300 punti base in un anno da febbraio 1994 e di
aumenti analoghi per i rendimenti dei titoli di Stato
a lunga scadenza europei (soprattutto di Italia e
Belgio, due Paesi con un alto rapporto tra debito e
prodotto interno lordo).1
Riteniamo tuttavia che, pur rappresentando un
rischio non trascurabile, quanto accadde nel ’94
ora sia meno probabile: in primo luogo la Fed
dovrebbe avere imparato da quell’esperienza e
quindi verosimilmente cercherà di evitare che si
ripetano gli effetti fortemente negativi sui mercati
obbligazionari delle proprie decisioni; in secondo
1
L’effetto sui tassi di lungo termine, che salirono dello
stesso ammontare di quelli di breve, fu amplificato dal contributo del mercato dei titoli garantiti da mutui (MBS). Infatti,
con l’aumento dei tassi si ridusse i prepagamenti (disincentivati da tassi più alti) provocando un aumento della duration
media degli MBS, che di fatto aumentò l’offerta di titoli di lungo termine.
luogo, la Fed gode oggi di maggiore credibilità che
agli inizi degli anni ’90, quando era ancora vivo il
ricordo di tassi di inflazione molto alti (e arrivati
anche alla doppia cifra tra la fine degli anni ’70 e
l’inizio degli ’80) e non avrebbe pertanto bisogno
di una brusca sterzata sui tassi qualora dovessero
manifestarsi primi segnali di aumento delle attese
di inflazione; infine, poiché la Fed ha indicato dei
criteri espliciti – sul tasso di disoccupazione e di
inflazione – a guida di mosse su tassi (la cosiddetta
“forward guidance”), è difficile che i mercati
possano essere sorpresi come avvenne allora.
Quali alternative ai “porti sicuri”?
Se le possibilità di ottenere rendimenti
interessanti sui mercati dei titoli di Stato sono
limitate, quali alternative?
Anche i rendimenti sui titoli corporate di migliore
qualità (Investment grade) sono molto compressi
e una risalita dei tassi risk-free dovrebbe portare
a un aumento anche dei rendimenti (e quindi a
una caduta dei prezzi) di queste attività. Sui titoli
segmento High Yield potrebbero esserci spazi per
ulteriori, seppur limitati, riduzioni dei rendimenti e
quindi aumenti dei prezzi.
Non sembrano esserci possibilità di forti aumenti
di valore neppure nel real estate: secondo un
indicatore costruito utilizzando le serie, fornite
dall’OCSE a partire dal 1970, dei price-to-rent
prometeia
advisor sim
A
anteo
36
(rapporto tra il prezzo degli immobili
e il relativo canone di locazione) e
price-to-income (rapporto tra il prezzo
degli immobili e il reddito disponibile
pro-capite delle famiglie) vi è evidenza
di un possibile sottovalutazione solo
per il mercato immobiliare Usa e quello
Irlandese (Fig. 6).
Il mercato azionario sembra invece
offrire ancora delle buone opportunità,
nonostante queste siano più limitate
rispetto a un anno fa e quindi a prima della
risalita significativa delle valutazioni
che ha portato l’indice azionario di
Germania e Usa vicini ai massimi storici,
in termini reali. Per i principali mercati
azionari internazionali i prezzi sembrano
in realtà inferiori a quelli giustificati
dai fondamentali del mercato (stimati
con un modello di cointegrazione tra
prezzi, utili societari e tasso di sconto),
fatta eccezione per la Russia e i mercati
emergenti europei e sudamericani,
per i quali le quotazioni appaiono
sostanzialmente allineate al loro “fair
value” (Fig. 7).
Quali rischi per il mercato azionario?
prometeia
advisor sim
Figura 6: Sopra (+)/sotto (-) valutazione(a) dei principali
mercati immobiliari (Z-score)
3
2
1
0
-1
-2
1-07
1-08
1-09
5°-95° perc
Italia
Spagna
Svezia
1-10
1-11
1-12
Usa
Uk
Irlanda
Francia
Canada
Norvegia
Figura 7: Sopra (+)/sotto (-) valutazione(b) dei principali
mercati azionari (per cento)
60
40
20
0
-20
-40
-60
apr-07
apr-08
5°-95° perc
India
Uem
Sud America
apr-09
apr-10
Brasile
Cina
Germania
Italia
apr-11
apr-12
apr-13
Russia
Usa
Est Europa
Quali sarebbero gli effetti sui mercati
azionari nel caso, che non riteniamo
tuttavia come lo scenario più probabile,
di un aumento repentino dei rendimenti
Fonte: Ocse, Thomson Reuters; elaborazioni Prometeia.
(a)
Media aritmetica dei rapporti price-to-rent e price-to-income; medie
sui titoli di Stato? Sappiamo che le
e deviazioni standard calcolate dal 1970 (dati medi trimestrali al IV-12).
valutazioni del mercato azionario
(b)
Stimata dalla relazione econometrica di lungo periodo tra indici
sono state sostenute finora da
azionari, utili e fattore di sconto, dati ad apr-13 espressi in medie
tassi risk-free molto bassi. Un loro
mensili.
aumento, tuttavia, potrebbe non
indurre una caduta dei prezzi. Infatti,
porterebbe a una salita solo dei tassi di interesse
un aumento dei tassi potrebbe avvenire per due
con effetti negativi sulle quotazioni azionarie.
ragioni: un miglioramento delle prospettive di
crescita economica oppure un cambiamento
Infine, un aumento dei tassi risk-free, se
nell’orientamento della politica monetaria
determinato da un miglioramento delle
(tecnicamente, della “policy reaction function”)
prospettive economiche, potrebbe portare a una
della Banca centrale indipendentemente da
riduzione dell’Equity Risk Premium (ERP) – al
revisioni alle prospettive dell’economia reale.
momento molto al di sopra della propria media
Nel primo caso, ci sarebbero attese di maggiore
storica – lasciando quindi il tasso di sconto
crescita anche per il Pil oltre che per i tassi
(somma di risk-free ed ERP) su livelli non dissimili
e quindi, poiché i flussi di cassa attesi sono
da quelli correnti (Fig. 8).
tipicamente positivamente correlati a fasi
positive del ciclo, l’effetto finale sui prezzi azionari
Le prospettive dei titoli azionari dipendono
potrebbe anche essere positivo. Al contrario, un
ovviamente, oltre che dal movimento del tasso
aumento delle pressioni inflazionistiche per shock
di sconto, dai flussi di cassa, e quindi dagli utili
di offerta o un cambiamento della impostazione
aziendali, attesi. La salita dei prezzi azionari nel
di politica monetaria (che non conseguisse a un
mercato Usa dal 2009 è infatti stata determinata
miglioramento delle attese sull’economia reale)
A
anteo
37
Figura 8: Tasso a 10 anni ed Equity Risk Premium
implicito dal modello di Gordon (DDM)
per l’indice azionario Usa (per cento)(a)
12
10
8
6
4
media risk-free
media ERP
2
0
-2
'85
'89
'93
'97
risk-free (10 anni Usa)
'01
'05
'09
'13
ERP (implicito da DDM)
Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia; dati di inizio
mese all’1/9/13.
(a)
Indice S&P500 e aspettative di crescita degli utili degli
analisti IBES; indice Datastream Market USA per i multipli di
borsa.
anche dalla crescita significativa dei profitti. Un
fattore di allarme spesso evidenziato dagli analisti
finanziari è che la quota di profitti nell’economia
Usa è eccezionalmente alta e che il ritorno
verso la propria media storica comporterà una
caduta delle valutazioni. Questa analisi sembra
sottovalutare il fatto che, nonostante fluttuazioni
di breve periodo, negli ultimi venti anni i profitti
aziendali si sono mossi su un trend crescente. La
ragione dietro questo fenomeno sembra essere,
nell’opinione di molti analisti, una crescita dei
salari inferiore alla produttività negli Stati Uniti
ma anche in molti altri Paesi avanzati.2 I motivi
per cui questo è successo sono diversi: dalla
globalizzazione, all’avanzamento tecnologico,
all’erosione del potere contrattuale dei lavoratori.
Se questi sono i driver, non si vedono ragioni
per cui il trend di crescita dei profitti si debba
invertire nel medio termine.
Per concludere, i rendimenti sui titoli di Stato
“safe” sono bassi ma questo dipende in parte
da fattori strutturali che difficilmente potranno
essere superati in tempi brevi. Né i titoli dei
Paesi periferici né i titoli corporate sembrano
rappresentare investimenti alternativi
particolarmente attraenti mentre il mercato
azionario sembra presentare prospettive migliori
anche se le possibilità di guadagno, dopo la forte
ripresa che ha caratterizzato questa asset class da
un anno a questa parte, sembrano ora più limitate.
2
I motivi sono diversi, tra cui globalizzazione, finanziarizzazione dell’economia, avanzamento tecnologico ed erosione del potere contrattuale dei lavoratori.
prometeia
advisor sim
A
anteo
38
osservatorio prometeia
Stima dei flussi di vendita di titoli di Stato italiani
a seguito di un eventuale declassamento a
Speculative Grade
Ugo Speculato — Prometeia, Luca Borella
N
ei mesi scorsi le tre agenzie di rating
S&P’s, Moody’s e Fitch hanno ridotto
i rating sul debito sovrano di Italia
e Spagna, ora più vicini al limite che
separa le obbligazioni considerate meno rischiose,
appartenenti al segmento Investment Grade, da
quelle ad alto rendimento e a maggior rischio di
default (Speculative Grade, in gergo “junk”).
Figura 1: Titoli di Stato italiani per settore
detentore (% sul totale a giu-13)
Eurosistema
(10.7%) 4.2%
1.4%
5.1%
domestico
(55.7%)
10.6%
24.5%
25.0%
famiglie italiane
ifm italiane
altre istituzioni finanziarie
italiane
banche europee (escl.
italiane)*
banche extra-Europa*
altri non residenti (escl.
Eurosistema)*
Bce-Smp (Banche centrali
escl. Italia)**
1.9%
Bce-Smp (Banca d'Italia)**
6.7%
estero
(33.6%)
20.6%
Banca d'Italia (escl. Smp)
Fonte: Banca d’Italia, Bank of international settlement, Morgan
Stanley Research, elaborazioni Prometeia; dati a giu-13
* Percentuale sul debito totale lordo italiano dell’esposizioni
delle banche del campione Bis al settore pubblico italiano
(dati a I-13). ** Stime Morgan Stanley Research.
Anche se non ci sono rischi immediati di ulteriori
declassamenti, proviamo a esaminare i problemi
associati a questa possibilità. Se ipotizziamo
che il comportamento della maggior parte degli
operatori domestici come famiglie, banche,
fondazioni e assicurazioni – insieme alle altre
istituzioni finanziarie detengono nel complesso
circa il 56% dei quasi € 1750 miliardi di titoli
italiani in circolazione (Fig. 1) – sia caratterizzato
da “home bias” e che non venga meno il supporto
dell’Eurosistema,1 potremmo verosimilmente
prometeia
advisor sim
Morgan Stanley stima che la Bce ha acquistato tramite
il Securities Markets Programme (SMP) quasi € 115 miliardi
di titoli di Stato italiani.
1
attenderci una fuoriuscita da parte degli
investitori esteri che dall’inizio del 2012 hanno
ricominciato a dare un po’ di fiducia al nostro
Paese (Fig. 2). L’entità di tale flusso è difficile
da stimare ma è possibile fare una valutazione
in base agli automatismi che caratterizzano
alcune tipologie di investimenti. Una quota
importante dei detentori esteri è infatti
rappresentata dagli investitori istituzionali: se il
debito italiano dovesse scendere sotto la soglia
di Investment Grade, i relativi titoli sarebbero
esclusi da molti indici benchmark di obbligazioni
governative e, di conseguenza, da numerosi Fondi
comuni d’investimento ed ETF obbligazionari.
Questi sarebbero obbligati a liquidare le
posizioni in obbligazioni italiane, per rispettare
regolamentazioni o policy interne del fondo
stesso.
Per quanto riguarda l’inclusione negli indici
obbligazionari, i principali provider quali Barclays,
Bank of America/Merrill Lynch, J.P. Morgan e
iBoxx utilizzano la media dei rating o il rating più
conservativo (o i due rating più conservativi) fra le
tre agenzie S&P’s, Moody’s e Fitch (“Index rules”).
Come riportato nella Tabella 1, l’Italia ha un rating
medio BBB, ma S&P’s e Fitch hanno un outlook
negativo, aprendo la strada a possibili nuovi
declassamenti. Secondo la metodologia degli
indici obbligazionari, per perdere la qualifica di
Investment Grade da parte di tutte e tre le agenzie,
Figura 2: Titoli delle Amministrazioni Pubbliche
italiane per settore detentore (€ mld)
950
850
750
650
550
450
350
250
'97
'99
'01
residenti
'03
'05
'07
'09
'11
'13
non residenti e Eurosistema
Fonte: Banca d’Italia, elaboraz. Prometeia; dati fino a giu-13
A
anteo
39
Tabella 1: Rating attuali per i Paesi Uem (a)
S&P's
Moody's
Fitch
media
Finlandia
AAA
AAA
AAA
AAA
Germania
AAA
AAA
AAA
AAA
Olanda
AAA
AAA
AAA
AAA
Austria
AA+
AAA
AAA
AAA
Francia
AA+
AA+
AA+
AA+
Belgio
AA
AA-
AA
AA
Italia
BBB
BBB
BBB+
BBB
Spagna
BBB-
BBB-
BBB
BBB-
Irlanda
BBB+
BB+
BBB+
BBB+
Portogallo
BB
BB-
BB+
BB
media
A+
A+
AA-
AA-
Fonte: S&P’s, Moody’s, Fitch, elaborazioni Prometeia; dati al 13/9/13.
(a)
Rating su una scala standardizzata tra S&P’s, Moody’s e Fitch; media arrotondata (“Index rules”). In grassetto i rating
attualmente sotto osservazione per possibili downgrade.
Tabella 2: Stima dei titoli di Stato italiani detenuti dai Fondi d’investimento e ETF obbligazionari esteri
obbligazionari globali
€ mld.
Asset Under Management(a)
- di cui indicizzati a indici sovrani
(b)
- di cui contenenti titoli italiani(c)
obbligazionari europei
% del valore
precedente
€ mld.
% del valore
precedente
1522.0
—
738.8
—
532.7
(35.0)
369.4
(50.0)
33.0
(6.2)
83.1
(22.5)
Fonte: Bloomberg, Thomson Reuters, J.P. Morgan, elaborazioni Prometeia.
Dati Bloomberg al 2/8/13.
(b)
Ipotesi J.P. Morgan.
(c)
Peso dei titoli italiani negli indici obbligazionari governativi J.P. Morgan Global (GBI) ed Uem (GBI-EMU), all maturities; dati
al 13/9/13.
(a)
l’Italia dovrebbe subire un declassamento di due
notch da S&P’s e Moody’s e tre da Fitch.
A quanto ammonterebbero i titoli all’interno dei
Fondi d’investimento ed ETF obbligazionari esteri?
È estremamente difficile fare una stima precisa
data l’alta frammentazione dei dati disponibili.
Per capire quale sarebbe l’ordine di grandezza
delle vendite da una parte degli investitori esteri
seguiamo l’approccio proposto da J.P. Morgan.2
Secondo i dati forniti da Bloomberg, l’ammontare
del totale gestito (Asset Under Management,
AUM) da Fondi chiusi, aperti e ETF obbligazionari
globali a inizio agosto 2013 era pari a circa € 1522
miliardi;3 di questi si ipotizza che circa il 35%
abbia come benchmark indici governativi sovrani.
2
J.P. Morgan, “Current account progress and risks”, Flow
& Liquidity, 20 July 2012.
3
Utilizzando fondi con focus su obbligazioni globali non
consideriamo quelli che investono solo in alcuni Paesi specifici, o fondi italiani che investono in obbligazioni domestiche
dato che è presumibile che per queste ultime i fondi cambierebbero i loro regolamenti per tenere comunque le emissioni, seppure “junk”.
Utilizzando l’attuale peso di 6.2% dell’Italia
nell’indice J.P. Morgan Global Government
Bond Index (GBI), possiamo stimare che i Fondi
d’investimento obbligazionari globali detengono
circa € 33 miliardi in obbligazioni italiane. Per i
Fondi d’investimento obbligazionari europei l’AUM
ammonta a poco meno di € 740 miliardi, dove circa
il 50% potrebbe avere come benchmark indici
sovrani. Dato il peso di 22.5% dell’Italia nell’indice
J.P. Morgan Emu Government Bond Index (GBIEMU), i fondi europei dovrebbero detenere circa €
83.1 miliardi in obbligazioni italiane (Tab. 2).
Pertanto, nel caso di un declassamento dell’Italia
a Speculative Grade il ribilanciamento degli
indici governativi benchmark e i meccanismi
automatici che caratterizzano alcune tipologie di
investimento potrebbero portare a una fuoriuscita
di titoli di Stato italiani di circa € 116 miliardi dai
Fondi ed ETF obbligazionari esteri.4
4
Rimane comunque da ricordare che il processo di smobilizzo dipende da molti altri fattori, tra cui la discrezione di
qualche gestore, se consentito, di non rispettare il bench-
prometeia
advisor sim
Tale flusso rappresenta una quota significativa,
intorno al 7%, del totale titoli di Stato italiani
in circolazione ma non così grande da non poter
essere assorbita dagli investitori domestici,
anche se non mancano criticità: la quota di
titoli detenuta dalle famiglie italiane, 10.6%
sul totale in circolazione, è già tra le più elevate
rispetto a quella delle altre famiglie dell’Uem;
le banche italiane hanno già aumentato in
misura considerevole la quota di titoli di Stato
in portafoglio e potrebbero avere difficoltà ad
incrementarla ulteriormente.5 In ogni caso, la
nostra stima riguarda solo una quota contenuta
di investitori esteri, escludendo quindi circa € 470
miliardi di titoli italiani (circa il 27% del totale)
detenuti dalle banche estere, dai Fondi Pensione
e dagli altri investitori per i quali non abbiamo
elementi per fare una stima di possibili flussi in
uscita.
C’è infine da dire che le Autorità italiane si erano
mosse per tempo – a partire dal 2012, dopo i
prometeia
advisor sim
A
anteo
40
mark o di vendere preventivamente parte dell’esposizione
anticipando possibili downgrade, da quanto le agenzie di rating agiscono in modo più o meno coordinato e dal giorno di
ribilanciamento dei fondi passivi come ETF.
5
Si consideri, ad esempio, che la Commissione europea
ha raccomandato a Banca Monte dei Paschi di Siena di ridurre la propria esposizione ai titoli di Stato italiani nell’ambito
del piano presentato per l’approvazione dei “Monti bond”.
downgrade dell’Italia dell’anno precedente –
proprio per cercare di eliminare o quantomeno
ridurre gli automatismi che caratterizzano i
Fondi Pensione e i Fondi comuni armonizzati di
diritto italiano, per i quali le convenzioni avevano
la categoria Investment Grade come soglia
minima di investimento. La circolare emanata
a fine luglio 2013 dalle Autorità di Vigilanza
(Covip, Ivass, etc.), recependo una normativa
europea, ha ribadito l’esigenza di “non gestire più
il rischio con automatismi legati solo al rating”. È
verosimile quindi attendersi che, a seguito delle
soluzioni adottate a livello europeo per ridurre tali
automatismi, gli investimenti in titoli governativi
dell’Italia detenuti dai Fondi Pensione – pari a
circa € 21.3 miliardi per quelli italiani secondo la
Relazione Covip 2012 – e dai Fondi comuni – circa
€ 48 miliardi per quelli armonizzati di diritto
italiano secondo la Banca d’Italia – saranno meno
vulnerabili a un eventuale declassamento del
debito sovrano del nostro Paese.
A
anteo
41
osservatorio prometeia
L’imposta sulle transazioni finanziarie in Europa
Daniela Viggiano — Prometeia
I
l 28 settembre 2011 la Commissione Europea
ha presentato una proposta di direttiva per
l’introduzione di un’imposta sulle transazioni
finanziarie nei 27 Stati Membri. In assenza di
un consenso unanime, undici Stati Membri (EU11)1
favorevoli all’introduzione dell’imposta, hanno
chiesto alla Commissione l’autorizzazione “a
instaurare tra loro una cooperazione rafforzata
ai fini dell’istituzione di un sistema comune
d’imposta sulle transazioni finanziarie” sulla base
della proposta presentata dalla Commissione nel
2011.
Nell’ottobre 2012 la Commissione ha proposto
una decisione che autorizza una cooperazione
rafforzata, decisione che ha ottenuto il
sostegno del Parlamento Europeo in dicembre e
l’approvazione dei Ministri delle Finanze europei al
Consiglio Ecofin nel gennaio 2013.
A seguito di tali decisioni il 14 febbraio 2013
la Commissione ha emanato una proposta di
direttiva finalizzata a introdurre la imposta sulle
transazioni finanziarie (ITF) a partire da gennaio
2014 per gli 11 Stati (Fig. 1). In sede parlamentare,
la proposta è stata approvata dalla Commissione
Affari Economici e Monetari il 18 giugno 2013,
discussa in plenaria il 2 luglio e approvata con
emendamenti il 3 luglio 2013.
La proposta di direttiva fornisce una copertura
molto vasta in termini di mercati, soggetti
e strumenti2 su cui si applica l’imposta sulle
1
Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia.
2
La direttiva si applica a tutte le transazioni finanziarie
a condizione che almeno una delle parti della transazione sia
stabilita nel territorio di uno Stato dei paesi in cooperazione rafforzata e che l’ente finanziario sia parte coinvolta nella transazione e agisca per conto proprio o per conto di altri
soggetti oppure agisca a nome di una delle parti della transazione. Sono esclusi le Controparti Centrali, i Depositari
Centrali di Titoli, i Depositari Centrali Internazionali di Titoli nell’esercizio delle loro funzioni e gli Stati Membri e gli altri Enti Pubblici limitatamente alla funzione di gestione del
debito pubblico. L’imposta si applica su un ampio novero di
strumenti e, in particolare, oltre agli strumenti negoziabili
sul mercato dei capitali e ai contratti derivati, agli strumenti
del mercato monetario (ad eccezione degli strumenti di pagamento), alle quote e azioni di organismi collettivi di investimento e ai prodotti strutturati. L’imposta non sarebbe limita-
transazioni finanziarie al fine di garantire la
neutralità fiscale tra i soggetti passivi d’imposta
e gli strumenti e di limitare al minimo i rischi di
evasione/elusione.
La Commissione, nella proposta formulata a
febbraio 2013, ha stimato un gettito complessivo
compreso tra i 30 e i 35 miliardi di euro ogni anno,
pari allo 0.4%3 del Pil degli 11 Stati Membri4, e
ha evidenziato che l’introduzione della imposta
da un lato ha un impatto negativo sul Pil dei
paesi aderenti nell’ordine di -0.28% nel lungo
termine (2050)5, dall’altro lato le maggiori entrate
derivanti dall’imposta potrebbero tradursi in
nuovi investimenti con effetti sull’occupazione,
sui redditi e sulla produzione. Un reinvestimento
dei redditi derivanti dall’ITF potrebbe portare a un
effetto positivo sul Pil nell’ordine dello 0. 2% nel
lungo termine6.
ta alle operazioni sui mercati organizzati ma coprirebbe anche le transazioni sui mercati Otc, mentre sarebbero escluse
le operazioni sul mercato primario (tra cui la nuova proposta
fa rientrare anche l’emissione di azioni e quote di organismi
di investimento collettivo in valori mobiliari). Sono escluse
dall’imposta le transazioni con la Bce e con le banche centrali nazionali, quelle con l’European Financial Stability Facility
e l’European Stability Mechanism, con l’UE e gli enti istituiti
dall’UE (art.3). L’imposta si applica sull’acquisto e sulla vendita di ogni strumento e con riferimento ai pronti contro termine sarà applicata una sola volta per entrambe le parti della
transazione.
3
Commissione Europea (2013), Impact Assessment, 14
febbraio. Si tratta dell’aggiornamento dello studio di impatto condotto nel 2011 che accompagna la proposta di direttiva
che implementa la cooperazione nell’area dell’imposta sulle
transazioni finanziarie.
4
Con l’imposta, oltre ad assicurare il contributo del settore finanziario alla copertura dei costi della crisi, la Commissione si prefigge anche di realizzare l’armonizzazione delle
legislazioni nazionali vigenti riguardo alla tassazione delle
transazioni finanziarie e la limitazione di comportamenti degli operatori non desiderabili al fine di stabilizzare i mercati.
5
Nel modello di stima della commissione l’imposta sulle transazioni finanziarie si trasferisce in un incremento del
reddito imponibile delle imprese, riduce la redditività degli
investimenti e quindi riduce gli investimenti. Tali stime sono
state effettuate tenendo conto che l’85% delle transazioni
finanziarie è intermediata da istituzioni finanziarie, che il finanziamento delle imprese attraverso azioni e quote ricopre
solo una quota marginale delle modalità di finanziamento
delle stesse, ricorrendo in gran parte a strumenti non tassati,
e che parte di tali transazioni è effettuata sul mercato primario. Infine le minori transazioni ad alta frequenza potrebbero
tradursi in effetti positivi sul mercato a seguito di una minor
volatilità dei mercati, maggiore stabilità e dunque assenza di
costi nella gestione di potenziali crisi.
6
L’imposta sulle transazioni finanziarie potrebbe avere
impatti positivi sul Pil sia nel caso in cui si aggiunga ad altre
prometeia
advisor sim
A
anteo
42
Figura 3: Timeline della Direttiva sul sistema comune di imposta sulle transazioni finanziarie
proposta di
direttiva ITF EU27
set-11
richiesta cooperazione
rafforzata da
11 stati membri
giu-12
opposizione degli
stati membri a ITF
EU27
set-12
approvazione
Consiglio
Ecofin
ott-12
dic-12
autorizzazione
Commissione
Europea
approvazione
Parlamento
Europeo
Il testo approvato dal Parlamento nel luglio 2013
richiede alla Commissione di dimostrare, prima
dell’introduzione dell’ITF, che l’imposta non crei
ostacoli o discriminazioni agli scambi tra gli
Stati membri né distorsioni della concorrenza
e di presentare una nuova e solida analisi di
valutazione di impatto sulle conseguenze
della proposta di una ITF comune per gli Stati
partecipanti e non partecipanti.
La proposta di direttiva ripercorre il campo di
applicazione e gli obiettivi di quella del 2011
(riferita ai 27 Stati Membri dell’area dell’euro),
ma introduce alcuni elementi di novità
finalizzati principalmente a limitare i fenomeni
di delocalizzazione, che sono più probabili
con un numero ristretto di paesi aderenti alla
cooperazione rafforzata. In particolare, ai fini
dell’individuazione dei soggetti di imposta si
è affiancato al principio di residenza quello di
emissione che permette di estendere la normativa
a tutti gli strumenti finanziari emessi in un
mercato dove vige l’ITF, a prescindere dallo Stato
di residenza delle controparti nella transazione.
Inoltre, per evitare evasione/elusione dell’imposta
si è cercato di ovviare ai rischi connessi al
trasferimento all’estero di un istituto finanziario
che continua la propria attività in un paese
dell’EU117. Rischi di delocalizzazione continuano
prometeia
advisor sim
tasse di ciascun paese e quindi contribuisca alla riduzione del
deficit pubblico con effetti positivi sui costi di finanziamento
e sugli investimenti privati, sia nel caso vada a sostituire imposte già esistenti o renda possibile evitare ulteriori aumenti sulle imposte già vigenti in quanto permetterebbe una redistribuzione dei redditi a favore delle famiglie e una probabile maggiore propensione al consumo. Infine, le entrate derivanti dall’ITF potrebbero essere reinvestite direttamente o
indirettamente, ad esempio con l’aumento del capitale della
Banca Europea degli Investimenti che si potrebbe tradurre
in un aumento dei finanziamenti privati. Per maggiori dettagli si veda Griffith-Jones, S. and Persaud A. (2012) Financial
Transaction Taxes, Report presented to the European Parliament.
7
La nuova proposta di direttiva introduce un ampliamento del principio di stabilimento (art.4 ) includendo tra il novero delle istituzioni finanziarie sottoposte all’imposta i) sog-
gen-13
proposta di
direttiva ITF
EU11
feb-13
riunione plenaria del
Parlamento
giu-13
approvazione
ECON
lug-13
entrata in
vigore (?)
2013
giu-14
approvazione e
compliance
legislazioni nazionali
invece a sussistere, in sede di recepimento della
direttiva, nel caso di mancata omogeneità delle
aliquote tra gli undici Stati aderenti8 perché
potrebbe favorire il trasferimento delle attività nei
paesi con aliquote più contenute al fine di ridurre
al minimo l’onere fiscale9.
Con gli emendamenti di luglio 2013 si cerca di
rafforzare tali principi. In particolare si propone
di introdurre un nuovo paragrafo all’articolo
4 della direttiva in cui si amplia il principio di
stabilimento10 e, al fine di garantire una più
getti autorizzati o aventi il diritto di operare dall’estero come
istituzione finanziaria sul territorio di uno Stato appartenente al territorio EU11, relativamente alla transazione che rientra in tale autorizzazione o diritto (par.b); ii) i soggetti che
partecipano per conto proprio o altrui, o in nome di una parte della transazione, di uno strumento finanziario emesso sul
territorio di uno Stato che partecipa alla cooperazione rafforzata (par. g). Tra le modifiche introdotte dalla nuova proposta si inserisce l’ampliamento delle categorie incluse nelle
transazioni finanziarie attraverso l’introduzione dello scambio tra due o più strumenti finanziari che saranno considerati
come due transazioni per finalità fiscali.
8
La proposta di direttiva lascia invariata invece l’aliquota di imposta stabilita in un minimo di 0.1% per le transazioni
su tutti gli strumenti finanziari e in un minimo di 0.01% per i
contratti derivati.
9
Il 6 settembre 2013 è stato pubblicato un documento
dell’ufficio legale del Consiglio che esprime l’illegalità dell’imposta sulla transazione finanziaria con riferimento all’articolo 4 §1 lettera f) della proposta di direttiva che implementa la
cooperazione rafforzata. In particolare, l’ufficio legale esprime dubbi sulla legalità dei poteri fiscali esercitati dai paesi
in cooperazione rafforzata sui paesi terzi, sul differente trattamento delle istituzioni finanziarie residenti e non residenti
in uno dei paesi in cooperazione rafforzata (stati Eu e Paesi
terzi) con conseguente distorsione della concorrenza e movimento di capitali.
10
L’emendamento n.38 propone che, ai fini della direttiva, uno strumento finanziario si considera emesso nel territorio di uno Stato Membro partecipante in funzione della
sede legale dell’emittente o del diritto pubblico applicabile al
trading svolto nell’ambito dei sistemi della piattaforma o della normativa che regola le stanze di compensazione, agenti o
sistemi di regolamento, del diritto applicabile all’accordo in
forza del quale la transazione sullo strumento finanziario è
stata effettuata e, nel caso di uno strumento strutturato, almeno il 50% del valore delle attività poste a garanzia dello
A
anteo
43
efficace applicazione delle norme, si propone di
integrare i principi di residenza e di emissione con
il principio di trasferimento del titolo legale di
proprietà11.
fortemente penalizzati dall’obiettivo della
normativa di scoraggiare gli scambi ad alta
frequenza e dall’incidenza dell’aliquota fiscale in
relazione ai margini di guadagno attuali.
Il numero limitato di paesi interessati dalla
proposta di direttiva pone inoltre problemi
connessi alla doppia tassazione nel caso in
cui la transazione avvenga tra uno degli Stati
in cooperazione rafforzata e altri Stati che
prevedono una propria imposta sulle transazioni
finanziarie. Tuttavia, la Commissione considera
tale rischio limitato, in quanto tali transazioni
ricoprono solo una piccola quota di quelle
complessive. Inoltre il problema verrebbe
meno nel caso in cui lo Stato terzo decidesse di
rientrare nell’accordo di cooperazione rafforzata
in un successivo momento o si procedesse alla
stipulazione di accordi bilaterali tra Stati.
Tali rischi erano stati evidenziati anche dalla
Commissione che, nello studio di impatto,
intravedeva la possibilità di una scomparsa del
mercato dei pronti contro termine, in particolare
della componente overnight, ma riteneva che
tali strumenti potessero essere sostituiti con
operazioni non tassabili quali i prestiti garantiti
e le transazioni (sempre esenti) con la Banca
Centrale14. Tra gli altri strumenti la Commissione
stimava anche un sensibile ridimensionamento del
mercato dei derivati condizionato dal fatto che
l’applicazione dell’imposta sul valore nozionale
del derivato porterebbe a limitare l’attività di
copertura sulla posizione netta.
L’ampiezza degli strumenti soggetti all’imposizione
fiscale se da un lato mira a tutelare la neutralità
fiscale e la parità di trattamento, dall’altro crea
le condizioni per una riduzione delle transazioni,
in particolare sui mercati a breve termine, che
potrebbe tradursi anche nella scomparsa o minore
efficienza di alcuni mercati.
I rischi per il mercato dei pronti contro termine
sembrano attenuarsi con gli emendamenti
approvati in sede parlamentare che, con
riferimento ai pronti contro termine e ai pronti
contro termine inversi con scadenza fino a tre
mesi, introducono un’aliquota dello 0.01%, in linea
con quanto previsto per i derivati15. Inoltre sono
introdotte aliquote dimezzate, fino a gennaio 2017,
per le transazioni in titoli di Stato, i fondi pensione
e i derivati.
Ci si riferisce in particolare al mercato dei
pronti contro termine12 e del securities lending13,
strumento finanziario faccia riferimento a strumenti finanziari emessi da persone giuridiche aventi sede in uno Stato
Membro partecipante.
11
L’emendamento n.39 propone di integrare l’articolo 4
con l’art 4 bis che stabilisce che in caso di mancato pagamento dell’Itf, la transazione è considerata non opponibile e non
comporta il trasferimento del titolo legale di proprietà dello
strumento sottostante ed è ritenuta non conforme ai requisiti di compensazione centrale.
12
Si stima che l’imposta sulle transazioni finanziarie porti a una contrazione del 66% del mercato dei pronti contro
termine in Europa ( “Collateral damage: the impact of the Financial Transaction Tax on the European repo Market and
its conseguences for the financial markets and the real economy”, Icma – International Capital Market Association, 8
aprile 2013).
13
Si stima che a seguito dell’ITF il 65% del mercato dovrebbe risultare non più efficiente con impatti rilevanti per
gli investitori istituzionali (settore maggiormente attivo in
tale mercato), sui mercati finanziari e sui titoli garantiti. L’aumento delle commissioni sulle operazioni necessario per
mantenere il guadagno sui livelli attuali renderebbe meno
appetibile tale strumento all’interno dell’area con maggiori
possibilità di un ri-orientamento del business degli investitori istituzionali. Inoltre, si potrebbe avere un aumento del costo dei collaterali per tutti gli operatori del mercato comprese le banche e che potrebbe pertanto ridurre la capacita di
finanziamento dell’economia. La minor vivacità di tale mercato avrebbe un impatto anche sul mercato azionario e obbligazionario (“Impact of the Financial Transaction Tax on Europe’s Secuirities Lending Market”, Isla - International Securities Lending Association, 8 aprile 2013).
Il testo approvato dal Parlamento ha apportato
altre modifiche di rilievo, in particolare
l’allargamento della definizione di transazione
14
L’Icma ritiene che la soluzione proposta dalla Commissione non sia perseguibile in quanto le banche centrali non
possono sostituirsi al mercato monetario e i prestiti garantiti non forniscono la stessa tutela dei pct in caso di default
di una delle parti della transazione. L’Icma evidenzia inoltre
che la mancanza di valide alternative al mercato dei pct creerebbe numerosi problemi agli investitori istituzionali e alle
imprese che sarebbero obbligate a depositare la liquidità e
potrebbero scegliere di trasferirla in paesi non-EU11 (ritenuto non particolarmente oneroso). Ciò drenerebbe la liquidità
dal mercato finanziario domestico con impatti sulla capacità di prestito all’economia. Potrebbe risultare compromessa
anche l’implementazione della politica monetaria visto il ruolo ricoperto dai pct nella trasmissione della politica monetaria. Secondo l’istituto, inoltre, la chiusura del mercato dei pct
potrebbe condizionare il mercato dei titoli e dei derivati e potrebbe risultare minata anche la stabilità finanziaria nel suo
complesso in quanto l’imposta renderebbe eccessivamente
oneroso il trasferimento delle garanzie tanto da scoraggiarne l’utilizzo nelle transazioni finanziarie. Risulterebbe inoltre
più difficile per le banche la creazione dei buffer di liquidità
previsti dalla normativa con strumenti diversi dalla liquidità.
15
Sempre in tema di aliquote si propone di applicare alle
transazioni finanziarie OTC aliquote più elevate ad eccezione di quelle transazioni finanziarie su derivati otc per le quali
è oggettivamente misurabile l’effetto di riduzione dei rischi
ai sensi dell’art.10 del regolamento delegato della Commissione 149/2013.
prometeia
advisor sim
finanziaria16, l’ampliamento dei soggetti esclusi17 e
delle transazioni finanziarie escluse18.
Il mancato accordo unanime sulla proposta di
febbraio e i nuovi emendamenti approvati dal
Parlamento a luglio probabilmente faranno
slittare i termini per l’adozione dell’Imposta sulle
transazioni finanziarie: La Commissione Europea
ha infatti evidenziato che, nel caso in cui gli Stati
Membri raggiungano un accordo unanime entro
la fine dell’anno in corso e procedano celermente
alla trasposizione nella legislazione nazionale,
l’Imposta sulle transazioni finanziarie potrà
entrare in vigore entro la metà del 2014.
L’Italia ha anticipato l’introduzione della
imposta sulle transazioni finanziarie con la
legge 24 dicembre 2012 n.228, le cui modalità di
applicazione sono state stabilite con decreto
del Ministero dell’economia e delle finanze di
febbraio 2013. La legge prevedeva a partire dal
1° marzo 2013 l’applicazione dell’imposta sulle
transazioni sui titoli azionari e strumenti finanziari
partecipativi emessi da società residenti in Italia
(oltre che su titoli rappresentativi dei predetti
strumenti indipendentemente dalla residenza
del soggetto emittente), anche derivanti dalla
conversione di obbligazioni, e dal 1° luglio, termine
poi slittato al 2 settembre, sui derivati.
Il 22 agosto è stata riaperta la consultazione per
modificare il decreto di febbraio 2013 che si è
chiusa il 30 agosto e che ha portato ad un nuovo
decreto attuativo del Ministro dell’economia
prometeia
advisor sim
A
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44
16
Nella definizione di transazione finanziaria, oltre alla
stipula di derivati, rientrano anche “i contratti per differenza
e le operazioni a termine a fini speculativi prima della compensazione o regolamento” e “ le operazioni in valuta a pronti
sui mercati esteri dei cambi”. Inoltre tra le operazioni di pronti contro termine e i contratti di concessione e assunzione di
titoli in prestito sono compresi anche “gli annullamenti di ordini generati con il trading ad alta frequenza”.
17
La nuova formulazione dell’art.3 fa rientrare tra i soggetti esclusi dall’imposta “i mercati di crescita per le Pmi”
(MTF) e “le persone che si propongono sui mercati finanziari su base continuativa come disposte a negoziare per conto proprio acquistando e vendendo strumenti finanziari con
l’impegno di capitale proprio (market maker) quando assolvono funzione essenziale per le obbligazioni e azioni illiquide
in base all’accordo legale fra il market maker e la piattaforma di negoziazione organizzata in cui l’operazione viene effettuata e quando l’operazione non rientra in una strategia di
trading ad alta frequenza”.
18
Oltre alle ipotesi già previste dall’art3, §4, è escluso anche “il trasferimento del diritto di proprietà di uno strumento
finanziario e ogni operazione equivalente che implichi il trasferimento del rischio ad esso legato – tra entità dello stesso gruppo o di una rete di banche decentrate – quando il trasferimento sia effettuato per rispettare un requisito legale o
un requisito prudenziale di liquidità sancito dalla legislazione
nazionale o unionale”.
e delle finanze19 (in via di pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale) che accoglie alcune richieste
pervenute dagli intermediari che operano sul
mercato italiano e internazionale e fornisce
alcuni chiarimenti sull’applicazione della Financial
Transaction Tax. Il decreto interviene sia sulla
parte relativa alle azioni e agli altri strumenti
finanziari (Titolo II ) con integrazioni circa l’ambito
di applicazione dell’imposta e le definizioni del
valore della transazione e del prezzo di acquisto
sia sulla parte relativa ai derivati (Titolo III). Per
questi ultimi il decreto è intervenuto fornendo
alcune integrazioni in merito all’ambito di
applicazione e alla definizione del valore nozionale.
Per alcune precisazioni effettuate per i derivati la
data di applicazione è prevista per gennaio 2014
per consentire agli operatori di adattare i loro
sistemi informativi.
Il decreto è intervenuto anche nella parte relativa
alle disposizioni comuni (Titolo V) ampliando il
novero delle transazioni escluse dall’imposta,
mentre non ha modificato gli articoli relativi alle
operazioni ad alta frequenza (Titolo IV).
Rispetto alla normativa proposta in sede europea
l’imposta sulle transazioni finanziarie in Italia si
applica ad un insieme più ristretto di strumenti
e prevede aliquote differenziate tra mercati
regolamentati e operazioni Otc. Differenze
sussistono anche sui derivati, per cui è prevista
l’applicazione di una imposta fissa a seconda della
tipologia e del valore del nozionale di ciascun
contratto e sulle operazioni ad alta frequenza
per cui è prevista un’imposta pari allo 0.02% sul
controvalore degli ordini di acquisto o vendita
annullati o modificati che in una giornata di borsa
superino una certa soglia numerica20.
19
Comunicato stampa del Ministero dell’Economia e delle Finanze N° 160 del 18 settembre 2013.
20
Per maggiori dettagli si rinvia a “Osservatorio sui risparmi delle famiglie”, Prometeia, marzo 2013.
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45
approfondimenti
Quali ulteriori misure di sostegno all’economia
potrebbe adottare la Bce?
Federico Calogero Nucera
Dal Rapporto di Previsione dell’Associazione
Prometeia (aprile 2013)
A
ormai 5 anni dall’inizio della Grande
Recessione (che in Europa ha coinciso
in parte con la crisi del debito sovrano)
l’andamento dei principali indicatori
macroeconomici dell’area euro dimostra come la
ripresa sia ancora lontana. Ad esempio, il tasso di
disoccupazione, attualmente pari al 12 per cento, è
al livello più alto mai registrato dalla nascita della
moneta unica, il Pil ha a sua volta fatto registrare
una flessione in tutti e quattro i trimestri del 2012
mentre il rapporto debito-Pil ha raggiunto quota
90 per cento (all’inizio del 2009 era pari a circa il 74
per cento).
La crisi ha inoltre favorito il disallineamento di
molte delle variabili economiche e finanziarie dei
paesi membri dando così inizio a un preoccupante
processo di frammentazione dell’area euro. In
particolare, a dimostrazione di come i tradizionali
canali di trasmissione della politica monetaria non
stiano funzionando come dovrebbero, si è creata
e persiste una marcata divergenza tra i tassi
di interesse a cui possono indebitarsi famiglie
e imprese residenti in paesi diversi dell’area
euro, con i paesi periferici – che sono quelli
colpiti maggiormente dalla crisi – nettamente
svantaggiati in termini di accesso al credito
rispetto ai paesi core. Alla luce di questi elementi,
è interessante esaminare quali ulteriori misure,
rispetto a quelle già messe in campo finora e a
quanto fatto dalle altre banche centrali, potrebbe
introdurre la Bce per favorire il ripristino dei
canali di trasmissione della politica monetaria
e migliorare le condizioni economiche dell’area.
Infatti, nonostante la crisi abbia, come detto,
colpito duramente l’area euro e nonostante il
tasso di inflazione sia pari all’ 1.7 per cento e quindi
sotto il target del 2 per cento, la risposta della
Bce è stata finora più contenuta rispetto alle altre
banche centrali. Federal Reserve, Bank of England
e Bank of Japan, pur tenendo conto delle diverse
priorità e obiettivi, sono state più aggressive
nell’uso di politiche non convenzionali come il
quantitative easing.
Per capire quali potrebbero essere le prossime
mosse della Bce può essere utile passare
brevemente in rassegna le politiche già attuate e
analizzare i criteri dietro a tali scelte. Nel corso
di questi mesi, la Bce ha cercato di seguire nel
suo agire il più possibile il cosiddetto “principio
di separazione” secondo il quale rischi inerenti
al tasso di inflazione e all’attività economica
dovrebbero essere contrastati mediante
aggiustamenti dei tassi di policy mentre rischi
relativi alla stabilità finanziaria dell’area euro
dovrebbero essere contrastati tramite altre
misure e, in particolare, tramite politiche che
agiscono sul bilancio della banca centrale.
Sebbene nella maggior parte dei casi sia difficile
classificare in modo univoco le politiche monetarie
in una delle due categorie, a partire dall’inizio della
crisi la Bce ha attuato almeno sei provvedimenti
che hanno avuto un impatto sul suo bilancio.
Il primo provvedimento è stato l’introduzione
delle operazioni di rifinanziamento principali a
tasso fisso con modalità “full allotment”. Grazie
a questa politica le banche dell’area area euro
hanno potuto ottenere liquidità illimitata previo
deposito presso la Bce di adeguato collaterale.
A questo provvedimento hanno poi fatto seguito
tre programmi di acquisto di titoli, due Covered
Bond Purchase Programmes (CBPPs) e il
Securities Markets Programme (SMP), aventi
rispettivamente lo scopo di ripristinare la liquidità
nel mercato dei covered bond (molto importante
per il finanziamento delle banche) e di ridurre le
tensioni nel mercato dei titoli di Stato dei paesi
periferici per una migliore trasmissione degli
impulsi di politica monetaria. Nel corso dell’ultimo
anno la Bce ha poi condotto un’altra misura per
fornire ulteriore liquidità al settore bancario,
le Longer Term Refinancing Operations con
scadenza a tre anni e sempre con “full allotment”.
L’ultimo provvedimento in ordine di tempo,
anche se ancora mai implementato, è l’Outright
Monetary Transactions (OMT) con il quale la Bce si
è impegnata ad acquistare su scala illimitata i titoli
di Stato a breve scadenza dei paesi che decidono
di attivare il programma purché essi accettino
le condizioni che verranno poste dall’European
stability mechanism (Esm).
Per quello che riguarda l’andamento dei tassi di
policy, la Bce ha tagliato con decisione il tasso
prometeia
advisor sim
sulle operazioni di rifinanziamento principali a
partire dal 2008, lo ha fatto risalire nel corso del
2011 per poi immediatamente tornare indietro
con l’insediamento di Draghi. Al momento il tasso
di interesse sulle operazioni di rifinanziamento
principali è pari allo 0.75 per cento, mentre gli altri
due tassi di policy (quello sulla marginal lending
facility e quello sulla deposit facility) sono pari,
rispettivamente, all’ 1.50 per cento e allo zero per
cento. Nonostante il tasso sulle operazioni di
rifinanziamento principali sia più alto del tasso sui
fed funds Usa e dei tassi di policy nel Regno Unito
e in Giappone, i tassi interbancari nell’area euro
non sono molto diversi da quelli prevalenti negli
altri paesi. L’ingente offerta di liquidità della Bce
sta infatti continuando a mantenere i tassi euribor,
anche oltre la scadenza overnight, sotto il tasso
sulle operazioni di rifinanziamento principali.
La Bce ha a disposizione dunque diverse opzioni
– riguardanti sia la scelta dei tassi di policy
sia la dimensione del proprio bilancio – al fine
di ripristinare la trasmissione della politica
monetaria, ridurre la frammentazione dei sistemi
finanziari dell’area euro e stimolare l’economia. In
particolare, la Bce potrebbe:
1. Ridurre il tasso di interesse sulle operazioni
di rifinanziamento principali lasciando
invariato il tasso sulla deposit facility.
In questo modo la Bce restringerebbe il
corridoio dei tassi interesse a beneficio
soprattutto delle banche dei paesi periferici
(che si finanziano in gran misura tramite le
operazioni di rifinanziamento principali)
rispetto alle banche dei paesi core (che si
finanziano al tasso Eonia che al momento
è “schiacciato” verso il tasso della deposit
facility);
2. Ridurre il tasso di interesse sulle operazioni
di rifinanziamento principali mantenendo
costante il corridoio dei tassi (portando
quindi in territorio negativo il tasso sulla
deposit facility). L’obiettivo di questa politica
sarebbe quello di disincentivare le banche,
prevalentemente dei paesi core, applicando
una penalità sui depositi, a “parcheggiare” la
liquidità in eccesso presso la Bce;
prometeia
advisor sim
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46
3. Attivare il programma OMT per i paesi
periferici anche in mancanza di una specifica
richiesta. In questo modo la Bce potrebbe
ridurre notevolmente i rendimenti sui titoli
governativi di questi paesi sperando che tale
riduzione si trasmetta anche ai tassi attivi
e passivi delle banche con benefici sia per
l’offerta che per la domanda di credito;
4. Attuare un nuovo programma di LTRO in
modo da garantire ulteriore liquidità alle
banche dei paesi periferici;
5. Utilizzare un diverso schema comunicativo
per rassicurare i mercati e, seguendo
l’esempio della Fed, implementare una
forward guidance che vincoli esplicitamente
l’impegno a mantenere ancora a lungo
l’attuale posizione espansiva di politica
monetaria al raggiungimento di specifici
obiettivi in termini tasso di disoccupazione
e\o di crescita del Pil dell’area euro;
6. Attuare un provvedimento, simile al Funding
for Lending Scheme1 della Bank of England,
che crei un legame diretto tra l’elargizione da
parte della Bce di liquidità a basso costo alle
banche e la loro offerta di credito;
7. Agire sul mercato delle ABS (Asset Backed
Securities) aventi come sottostante i prestiti
che le banche fanno alle imprese.
Alcune di queste possibilità, sebbene attuabili in
teoria, potrebbero essere però meno praticabili
di altre sia perché potrebbero essere considerate
non propriamente in linea con il mandato della
Bce e quindi creare delle frizioni all’interno del
Consiglio direttivo (opzione 2, 3, 4 e 5) sia perché
potrebbero non dare i risultati sperati (opzione
6). Ad esempio, l’attivazione del programma OMT
per iniziativa della Bce senza che vi sia richiesta
da parte degli Stati periferici (opzione 3) appare
molto improbabile dato che una tale operazione,
pur riguardando il mercato secondario, non rientra
nel mandato della Banca centrale e difficilmente
troverebbe approvazione nel Consiglio direttivo.
L’intervento della Bce senza la sottoscrizione di
un MoU (Memorandum of Understandings) con
la Troika renderebbe questa operazione simile al
Security Markets Program e quindi teoricamente
possibile ma di fatto difficilmente attuabile, date
le critiche da esso ricevute, a meno che non ci si
trovasse in condizioni di straordinaria emergenza
e che la trasmissione della politica monetaria
risultasse ancora più compromessa di quanto
non lo sia allo stato attuale. Stessa discorso
potrebbe valere per l’opzione 2 (sebbene la Bce
si sia in passato dichiarata pronta dal punto di
vista operativo ad applicare un tasso negativo
sulla deposit facility, gli effetti di questa politica
sono piuttosto incerti) e per l’opzione 5 (la Bce
1
Il Funding for Lending Scheme è un provvedimento attuato dalla Bank of England in collaborazione con il Ministero
del Tesoro britannico avente lo scopo di ridurre i costi di finanziamento delle banche e, contemporaneamente, di incentivare la loro offerta di credito.
A
anteo
pur essendosi già impegnata a mantenere
l’attuale regime di politica monetaria ancora
a lungo, per diversità di mandato rispetto alla
Fed, non può annunciare dei target su obiettivi
diversi dal tasso di inflazione). Anche un nuovo
programma di LTRO (opzione 4) a lungo termine
(con scadenza a 3 anni o anche oltre) potrebbe
essere difficile da giustificare dal momento che
molte banche, dei paesi core ma non solo (si veda
ad esempio le banche spagnole) hanno restituito
in anticipo una parte dei fondi acquisiti con le
aste a lunga scadenza precedenti. Infine, dubbi
potrebbero sorgere anche sull’implementazione
di un programma simile al Funding for Lending
Scheme (opzione 6). L’esperienza inglese ha infatti
dimostrato come tale meccanismo possa non
rivelarsi uno strumento efficace nel breve periodo
dato che finora esso ha avuto più successo nel
ridurre i tassi di interesse sui mutui piuttosto che
nel favorire l’elargizione di nuovo credito verso le
Pmi.
Tra le possibilità elencate le più probabili
sembrano pertanto essere quelle che rientrano
47
nel mandato attuale della Bce e\o che potrebbero
essere implementate senza generare particolari
controversie all’interno del Consiglio direttivo.
Nello specifico queste possibilità potrebbero
essere il taglio del tasso sulle operazioni di
rifinanziamento principali (opzione 1) che, oltre
ad avere l’implicito vantaggio di preservare
la competitività dell’euro rispetto alle altre
valute, potrebbe produrre delle condizioni di
finanziamento più favorevoli per le banche dei
paesi periferici pur non apportando benefici diretti
alle loro economie o l’intervento nel mercato degli
ABS aventi come sottostante i prestiti alle Pmi
(opzione 7). In particolare, quest’ultimo intervento
potrebbe concretizzarsi in diversi modi e avrebbe
lo scopo di favorire l’offerta di credito delle banche
alle Pmi. Ad esempio, la Bce potrebbe impegnarsi
in prima persona nell’acquisto di questa categoria
di asset. Un’altra strada percorribile potrebbe
essere quella di ridurre ulteriormente i requisiti
che regolano l’utilizzo come collaterale di questi
strumenti finanziari sia per quello che riguarda
l’ammissibilità di tali titoli (legata al loro rating) sia
per quello che riguarda l’haircut applicato.
prometeia
advisor sim
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48
approfondimenti
Le prossime tappe per un completamento
dell’Unione Economica e Monetaria
Maria Valentina Bresciani — Prometeia
Associazione
Massimiliano Coluccia — Prometeia
Dal Rapporto di Previsione dell’Associazione
Prometeia (aprile 2013)
I
n seguito alla crisi finanziaria globale e alle sue
ripercussioni sui mercati del debito sovrano,
la Ue, come noto, si è dotata di strumenti e
procedure per gestire le situazioni di difficoltà.
In particolare, le principali innovazioni riguardano:
1. le norme sulle regole di politica fiscale
introdotte con regolamenti, direttive e un
nuovo Trattato;
2. gli strumenti per erogare le risorse
finanziarie ai paesi con problemi di debito
pubblico o con necessità di ricapitalizzare il
proprio sistema bancario;
3. l’accordo sul sistema di vigilanza bancaria
unico a livello europeo, come primo passo per
la realizzazione dell’unione bancaria;
4. le “operazioni monetarie definitive”
intraprese dalla Bce su base condizionale
e illimitata per stabilizzare i mercati e
ripristinare i meccanismi di trasmissione
della politica monetaria.
A più riprese su queste pagine abbiamo discusso
dei progressi nella regolamentazione finanziaria e
fiscale in Europa. E’ possibile ora sistemare questi
tasselli nel piano per lo sviluppo futuro dell’Uem1,
approvato dal Consiglio europeo di dicembre
scorso e da approfondire nei tempi e nei dettagli
nel prossimo Consiglio di giugno. Questo piano,
ampio e interconnesso, è da svilupparsi per fasi e
dovrebbe portare alla realizzazione di una Unione
economica e monetaria più integrata e solidale. Di
seguito esponiamo il processo di completamento
dell’Uem così come presentato nel documento
del Consiglio2. Ci soffermeremo poi sul recente
prometeia
advisor sim
1
Questo piano è stato elaborato dal presidente del
Consiglio Europeo, in stretta collaborazione con il presidente
della Commissione, quello dell’Eurogruppo e con il presidente della BCE, e presentato il 5 dicembre 2012. Esso incorpora
anche il contributo della Commissione europea fornito con il
“Piano per una UEM autentica e approfondita – Avvio del dibattito europeo”, presentato il 30 novembre 2012.
2
“Verso un’autentica Unione economica e monetaria”,
http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/
pressdata/it/ec/134190.pdf.
rafforzamento delle regole dei conti pubblici e
sui progressi nel quadro della regolamentazione
finanziaria.
Il piano di completamento e rafforzamento della
Uem ha il pregio di organizzare per la prima volta
in maniera razionale quello che potrebbe essere
l’assetto futuro degli istituti dell’area dell’euro,
fissando in modo sommario le scadenze e gli
ambiti di azione per realizzare questo obiettivo.
Secondo questo progetto le aree su cui sarà
necessario intervenire sono:
»» la struttura finanziaria integrata,
»» la struttura di bilancio integrata,
»» la struttura di politica economica integrata,
»» i meccanismi di legislazione democratica e di
sindacabilità.
I tempi entro i quali dovrà esprimersi la volontà
politica di azione comunitaria sono scadenzati
nelle seguenti fasi.
Nella prima fase si dovrebbe assicurare una sana
gestione delle finanze pubbliche e spezzare il
legame perverso tra banche e Stati, una delle
principali cause della crisi del debito sovrano. Essa
comprende cinque elementi:
»» il completamento e la piena attuazione delle
norme sulla governance fiscale (six-pack,
Trattato sulla stabilità, coordinamento e
convergenza (Tscg) e two-pack);
»» l’istituzione di un quadro per il sistematico
coordinamento ex ante delle riforme
strutturali, come previsto all’articolo 11 del
Tscg;
»» l’istituzione, da parte della Bce, di un efficace
meccanismo di vigilanza unico per il settore
bancario (Ssm) e l’entrata in vigore del
regolamento e della direttiva sui requisiti
patrimoniali (CRR/CRD4);
»» un accordo sull’armonizzazione dei quadri
nazionali per la risoluzione delle crisi
bancarie e la garanzia dei depositi, con
adeguato finanziamento da parte del settore
finanziario;
»» l’istituzione del quadro operativo per la
ricapitalizzazione diretta delle banche
attraverso il meccanismo europeo di
stabilità (Esm).
A
anteo
La fase 2 dovrebbe portare al completamento del
quadro finanziario integrato e alla promozione di
solide politiche strutturali. Essa comprende:
»» il completamento della struttura finanziaria
integrata attraverso l’istituzione di una
autorità comune di risoluzione e di un
adeguato sostegno per assicurare che le
decisioni in materia di risoluzione per il
settore bancario siano adottate in modo
rapido, imparziale e nell’interesse di tutti;
»» l’istituzione di un meccanismo volto
a rafforzare il coordinamento e la
convergenza, oltre che l’attuazione di
politiche strutturali basate su intese di
carattere contrattuale tra gli Stati membri e
la UE. Tali politiche potrebbero beneficiare,
caso per caso, di un sostegno finanziario
temporaneo e mirato alle debolezze cruciali.
Nella fase 3 si procederà verso:
»» la creazione di una capacità di bilancio
definita e limitata per migliorare
l’assorbimento di shock che colpiscono
diversamente gli Stati e potrebbe assumere
la forma di un sistema di assicurazione
reciproca tra i paesi membri. I contributi
ai bilanci nazionali e gli esborsi a carico
degli stessi varierebbero in funzione
della posizione di ciascun paese nel ciclo
economico. In prospettiva, le risorse
per il finanziamento di questo schema
potrebbero essere integrate con risorse
proprie del bilancio comunitario o anche
da indebitamento sul mercato. In ogni
caso i finanziamenti ottenuti sarebbero
condizionali al perseguimento di politiche
macroeconomiche strutturali e di
aggiustamento;
»» una maggiore incidenza del processo
decisionale comune in materia di bilanci
nazionali e del coordinamento rafforzato
delle politiche economiche, soprattutto nel
settore fiscale e occupazionale, muovendo
dai piani nazionali per l’occupazione degli
Stati membri.
Alcune considerazioni
Sinora il processo decisionale per dotarsi
di strumenti atti a gestire la crisi e iniziare il
percorso verso una “autentica Uem” è stato
caratterizzato da alcune lentezze procedurali e
da difficoltà di mediazione. Se il tempo medio
necessario per concludere il processo legislativo
della governance economica è stato di 9-10
mesi, la legislazione di alcuni tasselli della fase I
hanno richiesto più tempo per essere approvati.
49
In particolare il two pack è stato approvato
dall’Europarlamento a marzo scorso dopo 15 mesi
di discussione, mentre l’Ssm dovrà essere votato a
breve dall’Europarlamento; entrambi poi dovranno
essere adottati dal Consiglio Europeo. Comunque,
a meno di eventi negativi improbabili, entro la fine
del 2013 queste innovazioni saranno approvate per
diventare operative nel 2014.
Ci saranno, è verosimile, ancora altri ritardi
nell’implementazione di questa tabella di marcia,
il cui punto di arrivo appare certamente lontano
nel tempo. Questo punto di arrivo è stato peraltro
posto in termini molto blandi e moderati. Per
ora il futuro dichiarato della Uem è quello di una
“capacità fiscale” e non di una “unione fiscale”, con
una capacità di contrarre prestiti ben definita
e limitata alle riforme strutturali da un lato e
all’assorbimento degli shock asimmetrici dall’altro
lato, ovvero di stabilizzazione automatica. Per
altro la Bce3 ha recentemente sottolineato che
“l’emissione di un eventuale strumento di debito
comune può essere considerata solo come punto
di arrivo finale di un processo di riforma della
governance economica che comporti un adeguato
trasferimento di sovranità in materia di politica
di bilancio a livello di area”. L’altro punto di arrivo
è quello di una “legittimazione democratica” e
non di una “unione politica”. A tale riguardo le
nuove forme per legittimare maggiormente il
Consiglio europeo e la Commissione, i principali
organi decisionali che però non rispondono a una
assemblea elettiva, dovranno considerare un ruolo
più attivo del Parlamento europeo e dei parlamenti
nazionali.
I recenti progressi verso un quadro rafforzato per
la governance fiscale ed economica
Negli ultimi anni l’azione tesa a costruire un
sistema di regole fiscali è stata incrementale
e miglioramenti significativi del quadro
regolamentato in cui si collocano le politiche di
bilancio dell’Uem sono stati realizzati (six pack)
o convenuti (il Patto di Bilancio nel più ampio
Tscg, che concede tempo sino al 2014 per essere
recepito nella legislazione nazionale dei singoli
Stati). Queste innovazioni, esaminate a più
riprese in questo Rapporto4, hanno rafforzato le
regole sulla prevenzione degli squilibri di bilancio,
sugli andamenti del debito, sui meccanismi di
esecuzione e posto l’accento sulla titolarità
nazionale delle regole dell’Uem.
Cfr. Bce, Bollettino mensile, Aprile 2013.
Cfr. Rapporto di Previsione, aprile 2012, ottobre 2012,
gennaio 2013.
3
4
prometeia
advisor sim
A
anteo
50
Tabella 1 Fasi verso un’autentica Uem
Responasbilità
politica
Quadro economico
integrato
Quadro di bilancio integrato
Quadro finanziario integrato
Assicurare la sostenibilità delle finanze Completare il quadro finanziario
Creare una funzione dell'Uem di
pubbliche e rompere il legame tra
integrato e promuovere solide politiche assorbimento degli shock specifici per
banche e stati
paese
strutturali a liv. nazionale
Meccanismo di vigilanza unico e corpus unico di norme
Sistemi nazionali di garanzia dei depositi armonizzati
Quadri nazionali per la risoluzione
armonizzati
Meccanismo unico di risoluzione con modalità di sostegno adeguate
Ricapitalizzazione diretta delle banche
da parte del Esm
Six pack, two pack e Trattato sul coordinamento e sulla governance
Incentivi finanziari correlati
alle intese contrattuali
partecipazione
condizionale in base a
criteri di ingresso/
osservanza
sostegno temporaneo/
flessibile /mirato
Assorbimento degli shock specifici per
paese
le condizioni di partecipazione dipendono
dall'osservanza degli
impegni assunti
Intese di natura contrattuale integrate nel semestre europeo
Quadro per il coordinamento ex ante delle riforme di politica economica (trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla
governance art.11)
Progressi commisurati riguardo a legittimità e responsabilità democratiche
Fase I - completata
a fine 2012-2013
Fase II - inizio 2013 fine 2014
Fase III - dopo il 2014
Fonte: "Verso un'autentica Unione economica e monetaria".
A marzo scorso è stato approvato
dell’Europarlamento il cosiddetto two pack. Esso
si compone di due regolamenti che renderanno
più incisivo di quanto non abbia fatto il six pack
il braccio preventivo del Patto di Stabilità e
incorporano alcuni elementi del Patto di Bilancio.
A seguito della formale adozione da parte del
Consiglio Ue, i due regolamenti diventeranno
operativi e recepiti automaticamente nei sistemi
nazionali e regoleranno il ciclo fiscale dal prossimo
anno.
prometeia
advisor sim
Il primo regolamento riguarda il “monitoraggio e
la valutazione dei documenti programmatici di
bilancio e la correzione dei disavanzi eccessivi
nell’Uem”. Esso prevede che si aggiunga al ciclo
cosiddetto del “semestre europeo” il seguente
calendario di bilancio comune:
5. entro il 30 aprile gli Stati devono avere
reso noti i loro piani di bilancio di medio
termine (Programmi di Stabilità) insieme ai
Programmi di Riforma Nazionali;
6. entro il 15 ottobre, ogni paese deve avere reso
disponibile il progetto di legge di bilancio per
l’anno successivo;
7. entro il 31 dicembre ogni stato membro deve
avere approvato la legge di bilancio nazionale
per l’anno successivo.
La Commissione valuterà i documenti
programmatici bilancio di ogni paese entro il 30
novembre e, ove necessario, presenterà un parere
o potrà chiedere modifiche.
Per gli Stati soggetti a procedura per i disavanzi
eccessivi, il regolamento prevede poi un
A
anteo
51
Riquadro 1 – A che punto sono i tempi dell’integrazione finanziaria
La realizzazione di un quadro finanziario integrato a livello comunitario rappresenta un elemento indispensabile
per garantire il consolidamento dell’Unione economica e monetaria e ha assunto un ruolo prioritario nel generale
programma di riforma del sistema finanziario europeo, in considerazione dell’importanza di salvaguardare la stabilità
finanziaria. Le iniziative legislative attivate nell’ultimo triennio, concretizzate nelle proposte di riforme elaborate
dalla Commissione, hanno perfezionato la struttura europea di sorveglianza attivando un importante processo di
armonizzazione delle regole1.
L’implementazione di un sistema di norme uniche in tutta l’Unione è tuttavia un passaggio necessario ma non sufficiente
per realizzare l’integrazione finanziaria. Il completamento del processo richiede infatti la creazione di un meccanismo
di vigilanza unico (Ssm) e contestualmente l’adozione di un quadro comune di risoluzione delle crisi e di garanzia dei
depositi e l’attuazione della normativa sui requisiti patrimoniali delle banche. Quest’ultimo aspetto è disciplinato in
un regolamento e in una direttiva (denominati rispettivamente CRR e CRD4) che implementeranno in Europa i nuovi
standard patrimoniali stabiliti da Basilea 3 e la cui approvazione da parte del Parlamento è attesa nei prossimi mesi.
Il percorso normativo di istituzione del Ssm ha subito un’accelerazione nel settembre 2012 a seguito della
pubblicazione di tre documenti da parte della Commissione:
- una tabella di marcia con le linee guida per la creazione dell’unione bancaria,
- una proposta legislativa per l’istituzione di un’autorità di vigilanza unica europea
- una seconda proposta legislativa con le modifiche da apportare alla norma che disciplina l’Eba (European Banking
Autorithy)2.
Il Consiglio europeo del 13 dicembre 2012, a seguito della conclusione del vertice Ecofin, ha annunciato il
raggiungimento di un accordo in merito alle proposte della Commissione, mentre il 19 marzo 2013 è stato formalizzato
l’accordo tra Parlamento e Consiglio. L’approvazione finale dei due regolamenti istitutivi del Ssm è pertanto
demandata alla riunione plenaria del Parlamento europeo fissata entro la fine di questo mese di aprile; l’Ssm sarà
operativo a partire dal primo marzo 2014 o 12 mesi dopo l’approvazione dell’apparato legislativo che lo regolerà3.
La realizzazione dell’unione bancaria prevede una prima fase in cui le istituzioni comunitarie, oltre alla citata creazione
del Ssm, dovranno procedere:
- alla formazione di uno specifico Supervisory Board deputato alle questioni di vigilanza all’interno della Bce, al fine di
permettere la separazione delle decisioni di politica monetaria da quelle di supervisione4;
- alla modifica delle modalità di voto in vigore all’Eba al fine di garantire un equilibrio tra le autorità di vigilanza degli
Stati Membri che partecipano al Ssm e le autorità di vigilanza degli Stati che non vi partecipano. In particolare le
decisioni per la risoluzione di dispute tra autorità nazionali e le azioni da intraprendere nei casi di violazione del diritto
dell’Unione saranno proposte da un gruppo di esperti indipendente e dovranno essere approvate con il meccanismo
della doppia maggioranza semplice (paesi Ssm e paesi non Ssm);
- al completamento del processo di armonizzazione legislativa, ovvero l’impegno del Consiglio a trovare un accordo
sulle proposte di direttive relative allo schema di garanzia dei depositi e al sistema di risoluzione delle crisi nel settore
bancario5 e a realizzare, insieme alle altre istituzioni comunitarie, l’approvazione delle proposte prima di giugno 2013.
Come evidenziato nella Tabella 1, la fase II relativa all’ambito della struttura finanziaria integrata prevede anche la
creazione di un meccanismo di risoluzione unico per gli Stati membri partecipanti al meccanismo di vigilanza unico: il
Consiglio ha già invitato la Commissione europea a presentare nel corso del 2013 una proposta sul tema, in modo da
adottarla entro la fine del ciclo parlamentare corrente (cioè entro i primi mesi del 2014).
Il programma europeo di riforma della regolamentazione finanziaria è contenuto in una tabella di marcia, pubblicata nel luglio 2010, con
le proposte legislative che la Commissione si impegnava a presentare, in modo che l’adozione finale da parte del Parlamento e del Consiglio avvenisse entro un biennio. Nel corso del 2012 due importanti norme hanno concluso l’iter legislativo e sono entrate in vigore, precisamente: il Regolamento n.236/2012 relativo alle vendite allo scoperto (che impone obblighi di trasparenza per le persone fisiche o giuridiche che assumono importanti posizioni corte nette relative a titoli azionari Ue e titoli del debito sovrano Ue e per le persone fisiche
o giuridiche che assumono importanti posizioni in credit default swap su emittenti di debito sovrano) e il Regolamento n. 648/2012 che
fissa obblighi uniformi per gli strumenti derivati la cui esecuzione non ha luogo su un mercato regolamentato (derivati Otc), per l’esercizio
delle attività delle controparti centrali e dei repertori di dati sulle negoziazioni.
2
Vedi “Un Aggiornamento sul progetto di Unione Bancaria Europea”, Rapporto di Previsione – Ottobre 2012, Prometeia.
3
La Banca centrale europea avrà poteri di supervisione in cooperazione con le autorità di vigilanza nazionali. In particolare, la Bce vigilerà sulle banche aventi, a livello consolidato, attività per un valore complessivo superiore a trenta miliardi di euro o che, a livello individuale, possiedono attività pari ad almeno cinque miliardi di euro e il cui valore supera il venti per cento del Pil nazionale. Inoltre, la Bce avrà la
possibilità di identificare di propria iniziativa un gruppo bancario particolarmente “significativo” (ad esempio perché la componente transfrontaliera delle attività di questo gruppo bancario è molto rilevante) e essere chiamata ad esercitare la sua nuova funzione di vigilanza
anche sulla base di eventuali segnalazioni provenienti dalle autorità nazionali competenti.
4
In base all’accordo raggiungo il 19 marzo 2013 tra Parlamento e Consiglio, il presidente ed il vicepresidente del Consiglio dei Supervisori
saranno nominati dal Parlamento europeo (vedi comunicato stampa del Consiglio Europeo, 19 marzo 2013).
5
Il Consiglio ha anche ribadito l’importanza delle norme relative ai requisiti patrimoniali delle banche (Crd4) la cui approvazione costituisce una priorità assoluta ai fini dell’elaborazione di un meccanismo di vigilanza unico.
1
prometeia
advisor sim
più attento e continuo monitoraggio della
Commissione, che chiederà di presentare su
base semestrale una relazione circa l’esecuzione
del bilancio nel corso dell’esercizio, l’impatto
delle misure discrezionali e gli obiettivi di spesa
pubblica e delle entrate. Il regolamento prevede
inoltre che i paesi abbiano enti indipendenti in
grado di monitorare il rispetto delle regole di
bilancio e comunichino ex ante i piani di emissione
di debito pubblico.
Il secondo regolamento riguarda “il rafforzamento
della sorveglianza degli Stati membri che si
trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà
finanziarie”. Esso dettaglia l’iter del meccanismo
di sorveglianza a cui si devono sottoporre
questi paesi, migliorando così la definizione e la
trasparenza dell’iter di gestione delle situazioni di
crisi.
In definitiva, il sistema di regole fiscali della
Ue a partire dal 2014 si concretizzerà nel modo
seguente:
»» attraverso il semestre europeo per il
coordinamento della politica economica,
il cui obiettivo è quello di sincronizzare
l’andamento delle economie dell’area
(evitando squilibri macroeconomici e
disavanzi superiori al 3 per cento del Pil);
»» con la legislazione del six pack e del Patto
di bilancio che essenzialmente rafforzano il
Patto di stabilità e crescita e introducono la
sorveglianza macroeconomica;
»» con i regolamenti del two pack, che rafforzano
prometeia
advisor sim
A
anteo
52
a monte le regole del six pack e rivelano
tempestivamente le difficoltà di bilancio
per provvedervi all’interno di un quadro
normativo ben definito.
Con l’approvazione da parte del Parlamento
europeo del two pack, siamo peraltro arrivati
allo snodo della Fase II del processo di sviluppo
di una Uem più integrata. Va qui sottolineato che
l’approvazione del two pack è stata possibile
solo dopo che la Commissione si è impegnata
formalmente, a proseguire verso la creazione di
un quadro fiscale ed economico integrato con le
seguenti azioni:
»» a esplorare entro l’estate 2013 le modalità
per scorporare, all’interno del braccio
preventivo del Patto di stabilità e di crescita,
alcuni tipi d’investimenti pubblici non
frequenti ;
»» a definire entro la fine del 2013: a) il
coordinamento ex ante delle grandi riforme
degli Stati membri; b) la definizione di intese
contrattuali per il sostegno finanziario ai
paesi che stanno intraprendendo riforme per
migliorare la competitività;
»» a creare un gruppo di esperti per esaminare
la fattibilità dell’emissione comune di
euro-obbligazioni e la creazione di un fondo
di collettivizzazione e ammortamento dei
debiti pubblici dell’area dell’euro. Eventuali
proposte legislative su questo fondo
saranno formulate entro ottobre 2014
(sulla base di un parere non vincolante che il
comitato emetterà entro marzo 2014).
A
anteo
53
approfondimenti
Il processo di deleveraging dell’economia italiana:
prospettiva 2020
Michele Catalano, Emilia Pezzola — Prometeia
Associazione
Dal Rapporto di Previsione dell’Associazione
Prometeia (aprile 2013)
L
’accumulo di leva finanziaria in tutti i
settori dell’economia Italiana è stata una
delle cause della Grande Recessione. Per
lungo tempo, bassi tassi di interesse hanno
favorito l’accumulazione di leva finanziaria da
parte delle istituzioni finanziarie e non finanziarie
che, successivamente, si è rivelata eccessiva
in termini di gestione del rischio (Fig. 1). Di
conseguenza, le turbolenze finanziarie intervenute
nel corso del 2007-2008 hanno portato alla
luce le fragilità di tutti i settori dell’economia
che non sono stati in grado di fronteggiare
l’improvviso cambiamento delle condizioni dei
mercati a causa della leva finanziaria che avevano
accumulato. Ciò ha determinato una contrazione
dell’intermediazione finanziaria, contribuendo a
spingere l’economia italiana verso la recessione.
L’incertezza sulle prospettive di crescita
economica e sulla sostenibilità delle finanze
pubbliche ha inciso negativamente sul valore
dei titoli di Stato e altre attività, deteriorando le
condizioni di finanziamento delle banche e delle
imprese italiane in questi anni e in prospettiva al
2020.
Figura 1: Leva finanziaria (p.p.) (passività non
azionarie su passività azionarie)
85
35
70
30
55
25
40
20
25
15
10
10
97
00
03
06
09
12
imprese
banche (dx)
famiglie (dx) (passività su attività totali)
Il processo opposto, che chiamiamo di
deleveraging e che comunemente caratterizza
le fasi successive allo scoppio delle recessioni
di questo tipo, consiste nel rientro del rapporto
indebitamento/autofinanziamento a livelli di
sostenibilità di lungo periodo e riteniamo che
tale processo sarà un elemento caratterizzante
il sentiero seguito dall’economia italiana fino
al 2020. La riduzione della leva finanziaria in
genere è volta al risanamento dei bilanci e alla
riduzione del rischio sovrano che, tuttavia,
comportano inevitabili sacrifici in termini di
riduzione del credito con ripercussioni sui
mercati finanziari e sull’economia in generale.
Tale processo può essere contraddistinto da
una velocità di transizione più o meno alta a
seconda che le autorità monetarie e fiscali
attuino politiche economiche al fine di limitare
fenomeni di sovra-aggiustamento (overshooting)
o addirittura alterandone il livello di lungo periodo.
Ad esempio, l’intervento delle banche centrali
tra il 2011 e il 2012 ha attenuato le difficoltà del
settore bancario inducendo un più graduale
processo di deleveraging. In questo lavoro
parliamo di accumulo (e decumulo) del rapporto
indebitamento/autofinanziamento generalizzato
a tutti i settori dell’economia italiana in quanto
questo processo accomuna i settori delle imprese
finanziarie e non-finanziarie e della pubblica
amministrazione, tenendo conto dei sentieri
seguiti da ciascun settore dal 1998 ad oggi. Nel
corso del 2012 l’Italia ha adottato interventi
legislativi atti a recepire il principio dell’equilibrio
di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico
sanciti dal fiscal compact. Il rispetto di tali
principi richiede l’attuazione di un processo di
deleveraging della PA inteso come riduzione
del rapporto debito/Pil al 60 percento, che si
ripercuote sulla leva finanziaria delle banche, con
ulteriori tensioni sulla liquidità delle stesse e sulla
loro capacità di credito e, in definitiva, sull’attività
economica dell’intero paese.
Valutare gli effetti del processo di deleveraging
dell’economia nel suo complesso è tutt’altro
che facile e dipende dalla rapidità con cui esso è
attuato. Di certo, quanto più rapido è il processo
di riduzione del grado di leva del governo, tramite
l’attuazione delle regole del fiscal compact, e della
leva delle banche, tanto più vi è il rischio di un rinforzo
prometeia
advisor sim
negativo che si ripercuote bruscamente, almeno
nel breve periodo, sul risparmio delle famiglie e
sui prestiti alle famiglie e alle imprese. L’impatto
di tale processo sull’economia complessiva del
paese dipende fortemente dal grado di fiducia
dei mercati internazionali sulla capacità del
paese di ridurre il livello di debito pubblico e di
risanare il bilancio. Infatti, un elevato grado di
sfiducia porterebbe inevitabilmente a un aumento
dello spread con effetti negativi sui tassi di
interesse e in definitiva sulla crescita economica.
L’obiettivo del lavoro è di valutare gli effetti del
deleveraging sull’economia italiana nel breve e
nel lungo periodo attraverso un modello dinamico
e stocastico di equilibrio economico generale
(DSGE)1. In particolare, in un contesto di graduale
riduzione del rapporto debito/Pil, si analizzano gli
effetti sulla crescita di due diversi esperimenti:
il primo considera una riduzione della leva delle
imprese e il secondo aggiunge a questo scenario
una riduzione della leva delle banche a seguito di
un crollo di fiducia dei mercati internazionali. Il
giudizio negativo dei mercati, infatti, causa una
riduzione del credito interbancario internazionale
che fa aumentare il costo della raccolta per le
banche nazionali e i tassi di interesse, con effetti
negativi sulle scelte di consumo e investimento e
sull’attività economica del paese.
Il deleveraging delle imprese
I progetti di investimento sono finanziati in
parte dall’autofinanziamento delle imprese
e in parte dal debito esterno. Il quantitativo
di debito desiderato, finanziato con debito
obbligazionario o bancario, può variare a seconda
delle caratteristiche individuali delle imprese.
In generale, le imprese più grandi hanno un più
facile accesso al credito sui mercati finanziari,
mentre le imprese medie e piccole fronteggiano
spesso un razionamento del credito. Per questo,
in aggregato, il settore delle imprese può essere
considerato razionato dai mercati finanziari.
Questo equivale ad assumere una quota positiva
di collaterale richiesto dalle banche alle imprese
che può essere individuato in beni reali messi
in garanzia per i prestiti ottenuti. Un modo per
introdurre l’accumulazione di leva finanziaria
è quello di permettere un aumento del debito
elargito da parte delle banche per unità di
capitale dato in garanzia. Questo meccanismo
è uno dei tanti canali che descrivono l’aumento
della leva finanziaria delle imprese. Tale dinamica
prometeia
advisor sim
A
anteo
54
1
Un lavoro simile nell’impostazione è quello di Cuerpo C.
et al. (2013) - European Commission - Indebtedness, Deleveraging Dynamics and Macroeconomic Adjustment . European Economy. Economic Papers. 477. April 2013. Brussels.
si traduce in una distorsione dei normali
incentivi alle scelte di investimento percepiti
dagli imprenditori. In pratica, un aumento del
credito aumenta la ricchezza disponibile delle
imprese nel breve periodo che, a parità di tassi di
interesse, aumentano la dotazione da investire
in nuovi progetti, determinando un aumento
del capitale. In aggiunta, l’alleggerimento del
vincolo di razionamento può modificare la
percezione del costo dell’indebitamento stesso
e cioè del tasso di interesse reale: una fase
prolungata di tale alleggerimento può provocare
un miglioramento accelerato delle aspettative
tramite una percezione di riduzione del tasso di
interesse reale atteso praticato dalle banche.
Ciò si traduce in un maggiore investimento e
una maggiore disponibilità di capitale. A questo
punto, è necessario porre attenzione al fatto
che l’aumento della dotazione di capitale reale
in futuro aumenta il merito di credito delle
imprese già oggi e quindi ciò determina a sua
volta un aumento del credito effettivo ottenuto.
In definitiva, a livello aggregato, avremo una
sovraccumulazione di capitale derivante da un
effetto finanziario. Tale processo, in direzione
opposta, può applicarsi alla fase di deleveraging.
Se i finanziatori dell’impresa riducono l’offerta
di credito, l’impresa è sottoposta ad uno stress
finanziario perché dovrà aumentare la dotazione
di autofinanziamento per trovare le risorse
necessarie a sostituire il debito esterno. A parità
di tassi di interesse, le aspettative peggiorano e
questo può bloccare la nascita di nuovi progetti
riducendo gli investimenti reali.
Per evidenziare gli effetti dell’aumento della leva
utilizziamo il modello DSGE introducendo uno
shock sulla quota di capitale collateralizzabile
ammessa dalle banche per la concessione di
credito. L’esperimento prevede due fasi: nella
prima fase consentiamo l’accumulazione della
leva assumendo un aumento del collaterale
dal 1998 al 2009-IV, mentre nella seconda
fase, dal 2010 al 2020, consideriamo il rientro
della leva al valore di partenza del 1998 (Fig.
2). In corrispondenza della fase di espansione
della facilità di accesso al credito le imprese
aumentano endogenamente la leva finanziaria
(Fig. 3) riducendo l’autofinanziamento rispetto
all’indebitamento. Nel breve periodo, per
soddisfare tale domanda, le banche aumentano la
raccolta sul mercato interbancario fronteggiando
un aumento del tasso di interesse reale. Per
mantenere i margini di profitto, le banche
praticano un tasso di interesse più elevato
alle imprese sul territorio nazionale (Fig. 4).
Tuttavia, come detto sopra, a fronte di un ritmo
di miglioramento eccessivo delle condizioni di
A
anteo
55
Figura 2: Rapporto debito/stock di capitale
collateralizzabile (collaterale)
Figura 3: Capitale collateralizzabile e leva
finanziaria (differenza percentuale simulata
vs base)
0.29
50
0.28
0.27
40
0.26
30
0.25
0.24
20
0.23
0.22
10
0.21
0.20
0
0.19
I-98
II-01 III-04 IV-07
base
I-11
II-14
I-98
III-17 IV-20
II-01 III-04 IV-07
I-11
leva imprese
simulata
Figura 4: Costo del finanziamento reale (differenza
II-14
III-17 IV-20
collaterale
Figura 5: Costo del finanziamento percepito
percentuale simulata vs base)
(differenza percentuale simulata vs base)
45
0.16
45
36
0.12
36
27
0.08
27
18
0.04
18
9
0.00
9
-0.04
II-14 III-17 IV-20
0
0.4
0.0
-0.4
0
I-98 II-01 III-04 IV-07 I-11
collaterale
tasso di interesse (dx)
credito generalizzato, le imprese percepiscono
una riduzione del costo del finanziamento reale
e un miglioramento del rendimento atteso
del capitale (Fig. 5), inducendo un aumento
dell’investimento e dell’accumulazione (Figg. 6-7)2.
Al fine di valutare gli effetti del deleveraging sulla
crescita al 2020 concentriamo l’attenzione sulla
seconda fase dell’esperimento definendo tre
2
La quantità ottimale di investimento è tale da eguagliare il costo marginale e il rendimento atteso derivante
dall’utilizzo di una unità di capitale in più disponibile in futuro. In presenza di razionamento, al rendimento atteso è sommato il valore atteso del capitale collateralizzato che, in caso
di riduzione del razionamento (aumento del rapporto debito/
capitale collateralizzato), altera la percezione del rendimento atteso totale. Per questo motivo, in caso di miglioramento
delle condizioni di credito le imprese percepiscono una riduzione del finanziamento reale innescando l’effetto di accelerazione finanziaria.
-0.8
I-98
II-01 III-04 IV-07
collaterale
I-11
-1.2
II-14 III-17 IV-20
tasso di interesse percepito (dx)
scenari alternativi. Il primo scenario contempla
l’assenza di deleveraging (base), il secondo
un processo di deleveraging graduale (con lo
stesso profilo definito nella sezione precedente,
ovvero fino al 2020), il terzo un processo di
aggiustamento veloce al 2015, (Fig. 8). Questi
scenari si inseriscono in un contesto di fiscal
compact (Fig. 10) e di assenza di deleveraging
delle banche (Fig. 11) in quanto assumiamo che
il livello di indebitamento delle banche italiane
atteso dagli operatori esteri rimanga costante
ed elevato fino al 2020 (Target). Lo spread tra i
tassi di interesse interbancari e interni aumenta
al crescere della distanza del debito corrente dal
livello di indebitamento atteso (Fig. 12). Poiché i
livelli di indebitamento effettivi sono inferiori al
livello atteso, i tassi di interesse diminuiscono su
tutto l’orizzonte di simulazione. Nel caso base, una
minore riduzione del debito delle banche nel lungo
prometeia
advisor sim
A
anteo
56
Figura 6: Pil
(differenza % simulata vs base)
45
Figura 7: Stock di capitale (differenza
percentuale simulata vs base)
2
36
1
4
45
3
36
2
27
27
1
0
0
18
18
-1
9
0
I-98
II-01 III-04 IV-07
I-11
collaterale
-2
III-17 IV-20
II-14
-1
9
-2
0
I-98
II-01 III-04 IV-07
Pil (dx)
I-11
II-14
collaterale
Figura 8: Rapporto debito/stock di capitale
collateralizzabile
0.30
-3
III-17 IV-20
capitale (dx)
Figura 9: Stock di capitale
(mld euro valori concatenati)
2830
0.28
2660
0.26
0.24
2490
0.22
2320
0.20
0.18
2150
I-98
II-01 III-04 IV-07
base
I-11
II-14
2015
III-17 IV-20
I-98
base
2020
Figura 10: Fiscal Compact: Debito/Pil
II-01 III-04 IV-07
I-11
II-14
III-17 IV-20
2015
2020
Figura 11: Debito Banche
(mld euro valori concatenati)
1.3
900
1.2
800
700
1.1
600
1.0
500
0.9
400
0.8
300
0.7
prometeia
advisor sim
I-98
I-98
II-01 III-04 IV-07
base
I-11
2015
II-14
III-17 IV-20
2020
II-01 III-04 IV-07
target
2015
I-11
II-14
III-17 IV-20
base
2020
A
anteo
57
Figura 12: Tasso di interesse
Figura 13: Pil (mld euro valori concatenati)
340
1.6
330
1.4
320
310
1.2
300
1.0
290
0.8
280
I-98
II-01 III-04 IV-07
base
I-11
II-14
III-17 IV-20
2015
I-98
2020
periodo lascia i tassi di interesse più elevati.
Rispetto agli altri due scenari ciò conduce a
una riduzione dello stock di capitale più veloce
anche se si colloca su un sentiero più elevato
dovuto alla maggiore leva finanziaria interna.
La differenza principale tra gli scenari 2015 e
2020 consiste in una riduzione dello stock di
capitale e di Pil maggiore in corrispondenza di un
deleveraging più rapido. Il miglioramento delle
condizioni finanziarie sui mercati internazionali
dovuto al minor grado di indebitamento estero
permette una riduzione più forte dei tassi di
interesse e una crescita più sostenuta nel lungo
periodo (Fig. 13).
Il deleveraging delle banche
Lo scenario sopra descritto tratta il rapporto
interno tra imprese e finanziatori. Cosa succede
Figura 14: Debito Banche
(mld euro valori concatenati)
900
II-01 III-04 IV-07
base
I-11
II-14
III-17 IV-20
2015
2020
se lo stesso processo di deleveraging accade tra
gli operatori finanziari nazionali e gli operatori
esteri? In altre parole, cosa succede se il
razionamento avviene sui mercati internazionali
a danno delle istituzioni finanziarie italiane?
Lo scenario che descriviamo è quindi quello in
cui peggiorano le aspettative che gli operatori
internazionali hanno rispetto all’indebitamento
dei settori nazionali (Target base vs Target delev).
In questo contesto avremo un peggioramento
dei premi per il rischio e degli spread dei tassi
di interesse sui mercati internazionali. In altre
parole, stiamo descrivendo un processo di
deleveraging imposto dall’esterno agli operatori
finanziari italiani che per cercare di recuperare i
margini di profitto innalzano i tassi di interesse
applicati ai settori nazionali, quali imprese non
finanziarie, pubblica amministrazione e famiglie.
Questo secondo processo di deleveraging
associato a quello subito dalle imprese può
Figura 15: Stock di capitale
(mld euro valori concatenati)
2800
750
2600
600
2400
450
2200
300
I-98
II-01 III-04 IV-07
target delev
effettivo delev
I-11
II-14
III-17 IV-20
target base
effettivo base
2000
I-98
II-01 III-04 IV-07
no delev
I-11
II-14
III-17 IV-20
delev
prometeia
advisor sim
A
anteo
58
Figura 16: Fiscal Compact: Debito/Pil
Figura 17: Disavanzo/Pil
1.0
1.3
0.5
1.2
0.0
1.1
-0.5
1.0
-1.0
0.9
-1.5
0.8
-2.0
-2.5
0.7
I-98
II-01 III-04 IV-07
I-11
II-14
no delev
III-17 IV-20
Figura 18: Tasso di interesse (p.p.)
350
1.4
330
1.2
310
1.0
290
II-01 III-04 IV-07
no delev
I-11
II-14
III-17 IV-20
delev
esacerbare gli effetti di rallentamento della
crescita potenziale dell’economia nel suo
complesso (Fig. 19) con una riduzione del 2,8
percento di Pil, e può avere effettivi negativi sulla
advisor sim
I-11
II-14
no delev
1.6
I-98
II-01 III-04 IV-07
III-17 IV-20
delev
Figura 19: Pil (mld euro valori concatenati)
0.8
prometeia
I-98
delev
270
I-98
II-01 III-04 IV-07
no delev
I-11
II-14
III-17 IV-20
delev
capacità di rientro ai target previsti dal fiscal
compact (Figg. 16-17) di circa il 3 percento del
rapporto debito/Pil.
A
anteo
59
pillole
Analisi congiunturale dell’economia reale e dei
mercati finanziari
Annalisa De Nicola, Ugo Speculato — Prometeia
dibattito sull’innalzamento del tetto sul debito
pubblico.
Nell’Uem la caduta del Pil iniziata nel IV-11 (-1.5%
nel complesso) si è arrestata nei mesi primaverili.
Si sono rafforzate sia la componente interna della
domanda sia quella estera. Più in particolare,
i consumi privati hanno ripreso a crescere
dopo diversi trimestri di debolezza mentre si
è arrestata la contrazione degli investimenti.
Sono aumentate anche le esportazioni, dopo due
trimestri di contrazione. Rivediamo i tempi della
ripresa nell’Uem, anticipandola con un incremento
positivo anche nel III-13, ma confermiamo la sua
lentezza. La crescita media per il 2013 si attesterà
a -0.3% e per il 2014 non supererà l’1%. La più
bassa crescita futura in alcuni Paesi emergenti
potrebbe infatti essere accompagnata da un loro
minor contributo al commercio estero.
La congiuntura e le prospettive
macroeconomiche
C
oerentemente con i segnali forniti dalle
informazioni diffuse nei mesi scorsi,
i dati di contabilità nazionale per il
secondo trimestre hanno evidenziato
un miglioramento del quadro congiunturale nelle
maggiori economie avanzate, oltre le attese, e un
suo deterioramento in diversi Paesi emergenti
(Fig. 1).
Figura 1: Pil reale nei principali Paesi
industrializzati (var.% annuale)
6
In Giappone la crescita del Pil nel II-13 è rimasta
relativamente elevata, e superiore al potenziale,
grazie all’orientamento espansivo delle politiche
economiche, nonostante sia stata inferiore a
quella registrata nel primo trimestre e alle attese
di consenso. Consumi ed esportazioni continuano
a essere le componenti della domanda che
trainano la ripresa.
4
2
0
La congiuntura e le prospettive per i mercati
finanziari
-2
II-10
II-11
Usa
II-12
Uem
Uk
II-13
Giappone
Fonte: Thomson Reuters elaborazioni Prometeia; dati al
19/9/13.
Negli Usa la crescita del Pil si è rafforzata nel
II-13; in particolare è accelerata la crescita degli
investimenti privati e delle esportazioni. I consumi
privati hanno avuto una dinamica solo lievemente
più contenuta rispetto al primo trimestre,
nonostante l’inasprimento della politica di bilancio.
Manteniamo invariate le previsioni per la seconda
parte dell’anno, con una crescita media annua
lievemente più bassa a seguito della revisione
dei dati storici. Sulle prospettive continuerà a
pesare il processo di aggiustamento fiscale e nel
breve termine, la possibilità del riaccendersi del
Mercati interbancari e tassi di lungo termine
Coerentemente con quanto indicato nella forward
guidance introdotta a luglio, la Banca centrale
europea ha confermato la propria posizione
accomodante e mantenuto invariati i tassi di
politica monetaria, dichiarandosi pronta ad agire
sul fronte della liquidità del sistema bancario
europeo qualora vi fossero chiari segnali di
necessità. Ci attendiamo che la Bce mantenga
invariato il tasso di policy almeno fino alla fine del
2015 e prevediamo che i tassi interbancari, per
la scadenza a 3 mesi, restino inferiori al tasso di
politica monetaria almeno fino al primo trimestre
2016, sebbene i mercati si attendano su tutto
l’orizzonte di previsione un profilo di tassi più
prometeia
advisor sim
A
anteo
60
Figura 2: Tassi impliciti sull’euribor a 3 mesi
spot e future
(per cento)
Figura 3: Rendimento dei titoli governativi a 10
anni di alcuni Paesi ritenuti meno rischiosi
(per cento, medie mobili a 5 giorni)
3.0
0.75
2.5
0.50
2.0
1.5
0.25
1.0
0.5
0.00
spot
dic-13
mar-14 giu-14
18/9/13
set-14
dic-14
0.0
mar-15
gen-12
28/6/13
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 19/9/13.
(medie mobili a 5 giorni)
mag-12
set-12
Germania
gen-13
Usa
mag-13
set-13
Uk
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 19/9/13.
elevati (Fig.2).
una ripresa più intensa (Fig. 4).
Le incertezze riguardo alla data di inizio e
all’entità della riduzione del programma di
acquisto di titoli governativi da parte della Federal
Reserve - dai verbali del Fomc di fine luglio era
emerso un generale orientamento a favore del
“tapering” entro la fine del 2013, in virtù anche del
miglioramento delle attese sul mercato del lavoro
– nei mesi scorsi hanno generato un marcato rialzo
dei rendimenti statunitensi (i tassi reali Usa sono
tornati positivi) che si è trasmesso agli altri Paesi
safe-haven, con una conseguente compressione
degli spread dei Paesi periferici dell’Uem rispetto
al Bund. Tuttavia, nel meeting di settembre la Fed,
oltre a mantenere invariato il tasso di policy non ha
modificato, almeno per ora, il piano di acquisto di
titoli governativi. In previsione, rivediamo al rialzo
il rendimento dei titoli governativi tedeschi che
determinerà una riduzione graduale degli spread
verso i Paesi periferici dell’area euro (Fig.3).
Nello stesso periodo è invece continuata la fase
negativa per i titoli azionari degli Emergenti,
in particolare per quei Paesi che presentano
disavanzi delle partite correnti più elevati ed
evidenziando un certo grado di diversificazione
legata anche all’esistenza di differenze strutturali
(Fig. 5).
In prospettiva, i multipli di borsa evidenziano
una sottovalutazione rispetto alla storia dei
mercati azionari sia dei Paesi industrializzati
che degli emergenti, anche se per questi ultimi
Figura 4: Indici dei principali mercati azionari
(indice di prezzo Datastream Market,
1/7/13=100)
112
110
Mercati azionari, obbligazionari corporate e cambi
prometeia
advisor sim
Dall’inizio del terzo trimestre c’è stata una
risalita delle quotazioni azionarie delle principali
economie industrializzate, nonostante la fase
negativa legata alle incertezze su un possibile
intervento militare in Siria e l’attesa della riduzione
del QE da parte della Fed, fattori che hanno infatti
contribuito all’aumento della volatilità implicita.
La fase positiva sui mercati azionari è stata
favorita dal miglioramento dell’attività economica
– in particolare nell’Uem dove l’indice Pmi
manifatturiero ha dato nei mesi recenti segnali di
108
106
104
102
100
98
96
lug-13
S&P500
Ftse100
ago-13
set-13
Eurostoxx50
Nikkei225
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 19/9/13.
A
anteo
61
Figura 5: Bilancia delle partite correnti (in % del
Pil)(a) e mercati azionari (per cento)(b)
15
Corea del
Sud
var.% dell'indice azionario dall'1/7/13
10
Cina
Polonia
5
Figura 6: Price/earnings forward Uem vs Usa
(rapporto)(a)
Russia
Brasile
1.4
Uem più cara degli Usa
1.3
1.2
0
1.1
-5
Ungheria
Messico
-10
India
-15
-20
1.5
Turchia
media dal '98
0.9
0.8
0.7
Indonesia
-10
-5
saldo di conto corrente 2012
1.0
0
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; dati al 19/09/13.
(a)
Fmi, World Economic Outlook. (b) Indici Datastream
Market.
la dispersione è molto elevata. Il livello molto
contenuto del rapporto price/earnings per il
mercato azionario dell’area euro potrebbe indicare
maggiori prospettive di recupero rispetto alle altre
aree, poiché in passato a livelli bassi dei p/e sono
seguiti forti aumenti dei prezzi (Fig. 6).
Dall’inizio del terzo trimestre, i segnali di
miglioramento del ciclo economico dell’Eurozona
e le attese sul tapering hanno favorito anche
una sostanziale divergenza nell’andamento del
differenziale di rendimento tra i titoli societari e
5
0.6
set-88
Uem più conveniente degli Usa
gen-97
mag-05
set-13
Fonte: Thomson Reuters, elab. Prometeia; indici Morgan
Stanley e aspettative IBES; dati al 19/9/13.
(a)
Rapporto tra prezzo corrente e utili attesi tra 12 mesi.
i governativi privi di rischio, in calo nell’Uem ma
in rialzo negli Usa. Effetti si sono avuti anche sul
mercato dei cambi: nello stesso periodo l’euro ha
infatti ripreso ad apprezzarsi nei confronti del
dollaro.
Nella tabella seguente sono riportate le variazioni
dei rendimenti di alcune asset class nel 2013 e
negli anni passati:
prometeia
advisor sim
A
anteo
62
Tabella 1: Variazioni % in valuta locale (indici total return)
2012
2013
18-set
volatilità
ultimi 5
anni
1.4
0.6
0.2
0.1
1.2
1.8
11.4
0.3
4.3
classi di attività
2008
2009
2010
2011
liquidità e strumenti a breve Uem
4.8
1.3
0.8
9.4
4.3
indici obbligazionari governativi
Uem
Italia
5.8
8.3
-0.6
-5.9
21.3
3.6
7.8
Usa
14.3
-3.8
6.1
9.9
2.2
-2.9
5.2
3.9
0.9
2.5
2.3
1.8
1.6
2.1
Giappone
Uk
13.6
-1.0
7.5
16.8
2.6
-4.8
7.2
paesi emergenti (in u$)
-9.7
25.9
11.8
9.2
18.0
-8.3
9.2
Uem
-3.3
14.9
4.8
2.0
13.0
0.7
2.8
Usa
-6.8
19.8
9.5
7.5
10.4
-3.0
5.7
Uem
-34.2
74.9
14.3
-2.5
27.2
5.5
7.5
Usa
-26.4
57.5
15.2
4.4
15.6
3.7
6.5
2.9
8.8
-0.7
-1.1
17.2
-1.8
6.2
Uem
-18.6
28.3
4.0
-7.5
17.5
8.6
6.3
globale (in u$)
-27.8
36.8
12.3
-5.7
12.6
11.9
9.7
Italia
-46.0
23.5
-8.1
-21.2
12.9
12.7
29.1
Uem
-44.1
28.9
3.5
-14.4
20.6
16.6
25.6
Usa
-37.0
26.5
15.1
2.1
16.0
22.9
24.8
Giappone
-40.6
7.6
1.0
-17.0
20.9
40.3
25.2
Uk
-28.3
27.3
12.6
-2.2
10.0
14.6
22.4
paesi emergenti (in u$)
-53.2
79.0
19.2
-18.2
18.6
-2.8
24.7
-46.5
13.5
9.0
-1.2
0.1
1.2
26.1
indici obbligazionari corporate I.G.
indici obbligazionari corporate H.Y.
indice inflation linked Uem
indici obbligazionari convertibili
indici azionari
commodities
(S&P GSCI Commodity Index in u$)
cambi (*)
dollaro
yen
sterlina
5.2
-3.1
6.9
3.3
-1.5
-1.2
11.5
29.6
-5.7
22.8
8.9
-12.4
-13.7
15.6
-24.0
8.8
3.7
2.6
3.0
-3.0
9.5
(*) Fonte: WM/Reuters; i segni negativi indicano un deprezzamento della valuta.
prometeia advisor sim
prometeia
advisor sim
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