TERAMANI n. 49 - teramani.info

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TERAMANI n. 49 - teramani.info
n. 49 • novembre 2008
mensile di informazione in distribuzione gratuita
Il tram
di Coccagna
pag. 4
La scuola vista
da un ex
studente pag. 10
Effetti
collaterali di una
elezione pag. 14
sommario
novembre 2008
3
Quattro amici al bar
4
Il tram di Coccagna
6
Gli adolescenti digitali
8
Obama
9
L’oggetto del desiderio
10
La scuola secondo un ex alunno
11
La scuola secondo Trabucco
12
Lettere dai Caraibi
14
Effetti collaterali di una elezione
18
Coldiretti informa
20
Dura Lex Sed Lex
21
Teramo a fumetti
24
Castellalto
26
Cinema
29
Basket
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pag
Ar..core nun se comanda
Quattro
amici al bar
03
di
Maurizio di Biagio
il Berlusconi che è in noi
Svesti la giubba, butta giù la maschera. In ciascuno di noi, tra i diverticoli e le anse del nostro carattere si annida un
Berlusconi che non vorresti, pronto ad uscire nelle occasioni più o meno adatte. Al bar, tra gli amici, negli spogliatoi
della palestra, quando vezzeggiamo qualcuno, quando prendiamo per i fondelli l’amico non presente, quando siamo
forti coi deboli, quando fottiamo il fisco, quando incensiamo il nostro commercialista che ci ha indicato la giusta
via. Berlusconi non esiste, semplicemente siamo noi. Quel che vediamo barzellettare, canzonare, fare il gesto delle
corna in un allegra e “cagnaresca” comitiva di primi ministri, è la proiezione di molti di noi che si trasfigurano
in un ricco apicelliano chansonnier dal blazer blu, ricco, potentissimo, con le mani in pasta dappertutto, ilare,
buono, libidinoso, giovanilista (tanto che è arrivato a dipingersi uno strato di capelli sul cranio), con tanta voglia di
palpeggiare una velina e con le battute al momento giusto. Berlusconi non esiste, siamo noi. O almeno quello che
vorremmo essere. Altrimenti non si comprenderebbe tutto il suo successo in fatto di “impennate” e di appuntamenti
elettorali vinti. E sì, siamo proprio noi trasposti in un ologramma che va in giro per il mondo - come si dice dalle
nostre parti - “pisciando spesso fuori dalla tazza” come quando ha dovuto persuadere la presidentessa finlandese
perché non ospitasse la nuova Authority europea sulla sicurezza “sfoderando tutte le capacità di playboy, anche se
era da un po’ che non le usavo” si sminuì il premier. Nel settembre del 2004 asserì che “Mussolini non aveva mai
ucciso nessuno, lui mandava la gente in vacanza al confino”. E sulla falsariga ammiccante da “Grande dittatore”,
un anno prima il Berlusca apostrofò così un parlamentare socialista: “Signor Schulz – disse - so che in Italia c’è
un produttore che sta girando un film sui campi di concentramento nazisti; la proporrò nel ruolo di kapò. Sarebbe
perfetto”.”Ho una barca - raccontò a dei giornalisti americani del New York Times - ma negli ultimi due anni l’ho
usata una sola volta per riportare la mia famiglia a casa. E non vado più nella mia casa alle Bermuda da circa due
o tre anni... La mia vita è cambiata, la qualità è diventata terribile. Che lavoro tremendo” sbotta. È orrendamente
diretto nelle sue battute involontarie, un umoristico di razza e non lo sa. Oppure sì!? A tratti ricorda il principe
Miskin de l’Idiota di Dostoevskij quando nei salotti sanpietroburghesi non riusciva a controllarsi, lanciando a tutti,
contesse e duchi, parole senza controllo. Berlusconi è colui che al bar consiglia ad una precaria di sposarsi uno,
milionario e bello “come mio figlio Piersilvio”: incentivazione al jet set, è un reato. Il premier è ricco, ed in questo
paese non è più una colpa come quando regnava l’Agnelli, compito e acculturato, sebbene pompato dalle casse
dello Stato e detestato da pressoché tutti gli italiani per via della sua altezzosità di stampo reale. Berlusconi è
l’amico al bar che strepita e che dice cose sconce, che si vanta di essere uscita con una ieri sera, che le spara pure
grosse, e che soprattutto conosce i mezzucci della vita. E’ così furbo che mamme e suocere lo prendono d’esempio
per reale concretezza: uno come questo si sposa, e basta. Sarà anche per la prosecuzione della razza. Chiaramente
tutto ciò in un paese di furbi dove l’idolo nazionale è un furbo. Berlusconi non esiste, semplicemente siamo noi. u
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politica…fantastica
novembre 2008
Il tram di
Coccagna
…se dura
C
hi fa tutti i giorni il proprio lavoro, senza avvalersi di una
rete di relazioni amichevoli, che lo sostiene e lo protegge,
spesso si accorge che non c’è corrispondenza fra impegno
e risultati conseguiti.
A descrivere i pericoli dell’apatia sociale è popolare una poesia
attribuita al pastore Martin Niemöller (1892–1984), sull’inattività degli intellettuali tedeschi in seguito all’ascesa al potere dei
Nazisti:
«Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio; non
ero comunista. Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in
silenzio; non ero
un socialdemocratico. Quando
vennero per i
sindacalisti, io
non feci sentire la
mia voce; non ero
un sindacalista.
Quando vennero
per gli ebrei,
rimasi in silenzio;
non ero un ebreo.
Quando vennero
per me, non era rimasto più nessuno che potesse far sentire la
mia voce».
Si vince e si perde per intimidazione, per rimaneggiamento del
linguaggio; si crede senza sapere, si spera nei miracoli dei santi.
Forse sarà necessario rafforzare in qualcuno l’idea che i miracoli sono anche opera di gente comune. Gente giusta ed onesta
come quella che, nel 1933, salì per la prima volta, con eccitazione
e curiosità, sul tram di Coccagna, in Piazza Vittorio Emanuele a
Teramo.
Nel nostro tempo, quella stessa gente scenderebbe stupita all’inizio dei Tigli (impreziositi da un’illuminazione by Autogrill Style),
dopo aver pagato l’equivalente di una one day Travelcard sulla
metropolitana londinese, per percorrere in autobus l’ottocentesca
SS 80 di Carlo Forti, inconsapevoli che a qualcun altro sarebbe riuscito appena 200 anni dopo l’arduo compito di replicare
all’ingegnere teramano una strada piena di dune asfaltate. La
Teramo-Amadori! E se non fosse per i finestrini appannati apposta dai bambini, per disegnarci sopra col dito un naso due occhi
e una bocca da clown, ci si renderebbe conto che soltanto seduti
sul tram di Coccagna oggi sarebbe possibile accorgersi de tutte lu
malevedà (il mal vedere) cittadino. Allora, guarda un po’ là! Hanno
di Mimmo Attanasii
risistemato il ponte di Porta Madonna (progetto anche questo di
Carlo Forti) allargando i marciapiedi, come impone la normativa,
ma aggiungendo in basso, ai due lati, una squisitezza di guide
luminose al neon, come a voler segnalare la pista d’atterraggio
notturna per asini volanti; e poi via giù con asfalto a palate e secchiate di vernice alla crema chantilly. Un colore ricercatissimo
nell’edilizia residenziale popolare da quattro soldi. Se per puro
caso capitasse di nuovo da queste parti re Ferdinando II, oltre a
chiedersi: “…ma il fiume dov’è?”, presto richiederebbe notizie
sullo sciagurato che ha messo tutta quella cipria addosso a ciò
che sembrava da sempre fatto di pietra.
La spalletta di un ponte vecchio! Superato l’arco di Porta
Madonna, dalle parti del bar Gino, ecco qui spuntare i varchi
elettronici. E pensare che una volta bastava dire: “Di qui non si
passa”, e facevi subito dietrofront. Oggi, non basterebbero le
mine anticarro per arrestare la corsa di macchinone nere con i
paravacche cromati alle uscite delle scuole elementari piuttosto
che scacciare mosche e minicar parcheggiate sopra i tavoli dei
bar all’aperto in Piazza Martiri. Se vedi in giro un tizio con la
bicicletta… uno di quelli bravi però, che non corre in tripla fila
o passa col rosso per non rovinarsi gli attacchi del pedale; se
lo vedi, appunto, lo segui di nascosto per capire dove va a farsi
riparare le forature, poiché di ciclisti in giro, qui non ce ne sono
più. E poi, scusa, che mi dici a fare del traffico?!
Guarda lì quanta gente a ragionare di politica. Di Uomini Nuovi,
politicanti diversamente vecchi con l’occhiolino facile, che presto
accorreranno in
nostro soccorso
sgattaiolando di buon
mattino dai
loro residence
elettorali. Di un
Abruzzo disfatto
come il letto di
un ammalato
con la febbre
a quaranta. Di
chi vorrebbe
addirittura
che anche Obama, di là dell’oceano, perdesse un’elezione
che segnerebbe finalmente il risarcimento di quattro secoli di
schiavitù, segregazione, discriminazione per 37 milioni di neri
d’America; e tutto solo per farsi bello dinanzi ad un milanese cavaliere errante… che quanto ad errare, in Europa non ha eguali.
E questo e chissà quant’altro ancora si sarebbe potuto scorgere
dal tram di Coccagna, se un bambino capriccioso non avesse
appannato i vetri per disegnarci sopra, col dito scorticato, le faccine buffe di un clown immaginario. Però adesso fate attenzione,
perché c’è qualcuno che va sostenendo, seppure a voce bassa,
che quel mocciosetto d’altri tempi altro non stesse facendo se
non tentare di abbozzare, sul finestrino bagnato dalla rugiada, il
futuro volto delle generazioni a venire.
Una generazione, ahimé, di… saltimbanchi! u
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I Giovani, la Scuola, la Famiglia
Dopo i
Digitali Nativi
gli Adolescenti
Digitali
C
erto è strano per arrivare a fare un ragionamento compiuto partire da J.R.R. Tolkien, lo scrittore
inglese studioso di miti e leggende. Ma le cose strane
sembrano sempre le più affascinanti. Tempo fa mi sono imbattuto in un pensiero di questo narratore diventato famoso
per Il Signore degli Anelli, su un argomento che apparentemente sembra lontano anni luce dai suoi interessi.
Scrive Tolkien: “Quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici,
sono uno sbaglio: nel senso che quasi certamente (in un
mondo più perfetto, o anche un mondo con un minor numero
di preoccupazioni di quante ce ne siano in questo, assai
imperfetto) entrambi i coiniugi potrebbero dimostrarsi compagni più accettabili. Ma la vera anima gemella, anche se
può sembrare strano, è quella con la quale siete sposati”.
Eppure in pochi lo hanno ascoltato, visto che i dati italiani
novembre 2008
di Francesco Pira
Docente di Comunicazione Sociale e Pubblica
e Relazioni Pubbliche dell’Università di Udine
parlano della metà delle coppie che scelgono dopo qualche
anno la via della separazione. Loro sono i genitori di figli che
crescono attaccati alla rete, nel senso del web.
Tempo fa vi abbiamo rivelato l’esistenza dei digitali nativi,
bimbi da 8 a 11 anni che riescono a fare più cose contemporaneamente. Di questa nuova generazione ipertecnologica
che legge poco e telefona tanto, che studia non tantissimo
ma chatta, va su internet e manda sms e mms.
I fratelli più grandi dei digitali nativi come emerge da una
ricerca Doxa dello scorso anno possiede un cellulare (i dati
parlano di percentuali che superano il 90 %) e il 50% utilizza
internet per fare ricerche, legge un libro non scolastico in un
anno e dedica un’ora e 40 allo studio.
Amano Moccia e i suoi lucchetti e spendono da 50 a 70 euro
al mese.
E soprattutto emerge che i genitori provano a fare i loro amici e spesso mamma e papà sono separati o divorziati.
E quanto afferma l’ex Magnifico Rettore dell’Università di
Udine (oggi sindaco della città friulana), professor Furio
Honsell, riflette perfettamente sia i fratelli più grandi che
più piccoli: “Sono i giovani, i nostri figli, saranno le future
generazioni.
Lesile Lamport, guru dell’informatica, si vantava il secolo
scorso di essere capace di masticare chewing gum e contemporaneamente programmare digitando sulla tastiera.
Ben poca cosa rispetto a quanto fa quotidianamente un
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07
novembre 2008
nativo digitale, che contemporaneamente: scambia sms,
ascolta l’ipod, lavora su un PC con più finestre attive. Una in
videochiamata skype, alcune in modalità chatting, altre presentano videogiochi interattivi, su una scorre un video, altre
sono discussion groups. Ogni tanto anche alza la cornetta del
telefono.
La mia generazione aveva inventato la multimedialità come
potenzialità di utilizzo di media di natura diversa. Non pensava che la già la generazione successiva avrebbe utilizzato
tutti questi media CONTEMPORANEAMENTE.
L’era della comunicazione permanente, multicanale, multitasking pretende i nostri piccoli, e i loro futuri piccoli …
Dobbiamo cercare di aiutarli. La dimensione digitale sarà
una delle componenti costitutive del XXI secolo. A non farli
diventare meri consumatori passivi di informazioni e media e
hardware. Ma attivi, consapevoli, partecipativi, responsabili
protagonisti creatori del loro futuro… Possiamo aiutarli a
conoscere meglio se stessi! Ma prima dobbiamo conoscere
meglio noi stessi”.
Ed l’ex Ministro della Salute, Senatrice Livia Turco rileva
proprio a proposito di questo tema come: ”l’importanza della
famiglia nella crescita e nell’educazione dei ragazzi. Ma
anche la scuola ha e deve avere un ruolo di primo piano nella
socialità e nella relazionalità dei ragazzi. Ed è proprio nella
collaborazione più stretta tra questi elementi del capitale
sociale, scuola e famiglia, con il coinvolgimento anche di
altre istituzioni pubbliche, dalla salute allo sport, che occorre
investire per una nuova politica di sensibilizzazione e pro-
mozione di nuove “finestre” di interesse e crescita sociale
e culturale dei nostri ragazzi. Una sinergia per rispondere
alle esigenze e ai cambiamenti che la crescita richiede e
che ci impone di mantenere sempre alta l’attenzione e la
capacità di ascolto rispetto a un mondo, quello dei giovani,
che è nostro dovere ascoltare e comprendere”.
E’ incredibile come quello che vale per i digitali nativi da 8
ad 11 anni, vale anche per un’altra fascia d’età molto complessa come quella dai 14 ai 18 anni.
I genitori sia nell’uno che nell’altro caso giocano un ruolo
fondamentale. Ma forse si sentono troppo amici dei loro
figli. Si confidano con loro. Cercano il dialogo e finiscono
per “eliminare le barriere tra l’età dei grandi e quella dei
ragazzi”.
Si potrebbe concludere dicendo che i tempi sono cambiati
che la generazione digitale non è molto diversa dalla nostra
che invece è cresciuta a pane, radio e tv. Oggi gli adolescenti digitali vivono tra “infanzia e futuro”, sospesi, come
sostengono gli esperti.
Poi come si fa sempre in questi casi la colpa o il merito di
come sono e saranno i nostri figli è della società.
Ci ripetiamo tutti, quasi come fosse una litania:
“Questa è la società, che possiamo farci?” Così ci siamo
tolti il pensiero...
Ma come sostiene il filosofo americano, George Santayana:
“La società è come l’aria, è necessaria per respirare, ma
non si può vivere solo d’aria”. Ai genitori degli adolescenti
digitali e dei digitali nativi l’ardua sentenza... u
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08
Kennedy è morto da un pezzo
Il prodotto
Obama
nero a metà
O
bama è ciò che gli americani desideravano da tempo. Obama
è un prodotto. Obama è soprattutto made in Usa. Niente più.
Tanto che i grandi gruppi Ibm, Google, General Elettric, appoggiano il neo presidente e si attendono commesse milionarie, mentre
Wall Street gli prende le misure e il rialzo (+3%) è con lui. Obama è
l’idea kennediana che dapprima ha sfiorato Carter, poi Clinton, poi
ancora qualcun altro che s’accingesse da democratico a barcamenarsi
tra I’ve a dream, ideali, Nuova Frontiera e freedom, fino ad approdare
a lui, a Barack Obama, dal viso simmetrico e bello, sorriso scintillante,
puro prodotto hollywoodiano che quando c’è da rendere non perde un
colpo. Con la dote di una ragionevolezza studiata, volto contrito e valori
da mondialismo e da fratellanza globale, sale e scende i pioli della fama
per un prodotto, per un’idea che in fondo già preesisteva. E quanto
piace alla sinistra europea! Quella stessa sinistra infastidita dalle cose
americane ma ogniqualvolta si parla di kennedismo figurante, parte in
quarta come un cane di Pavlov, senza sapere il perché. Però nel paese
che ha esaltato il mercantilismo, Obama non poteva essere altrimenti.
A ben vedere, la dannazione di questa grande patria è, ad ogni appuntamento, sempre quella di riesumare il cadavere di J.F.K, come quello di
novembre 2008
di Maurizio Di Biagio
scorgere ancora da qualche parte la tuta e la sciarpa bianca di Elvis. Ed
è anche per questo che ci sarà sempre un Obama in America. Quando
dinoccolato, dal palco butta un braccio avanti euforico, la
middle class è con lui, quando we-can-izza la sua chiesa, i
giovani e i disperati sono con lui, quando parla di cagnette e
di Iran, gli anziani in poltrona sobbalzano con lui. Nel paese
delle lobby, del mercato per il mercato, dei derivati e dello
tsunami finanziario, l’idea dell’”abbronzato”, del suntanned,
mette decisamente una pietra sopra ai decennali sensi di
colpa di una comunità intera che non vede l’ora di liberarsi per sempre
dal demone della capanna dello zio Tom. Con l’elezione di un colored
gli Usa testimoniano un passaggio epocale da un Wasp (White AngloSaxon Protestant, alla guida di un’altra cosa bianca: The White House)
ad un figlio che testimonia i peccati più inconfessabili di una comunità
leader e smargiassa. Un lancio pubblicitario che solo gli Usa son capaci
di fare. Un’abreazione magnifica. Ma la comunità nera storce il naso
perché essa, a dirla tutta, conosce il fratello con il naso spazioso, gli
occhi bianchi d’avorio e venati di sangue, la fronte imperlata ed i capelli
così crespi per i quali i pettini non avrebbero più scaffali nei market. E
quell’Obama è ancora fin troppo waspizzato: ecco la loro prima rimostranza ufficiosa. Ma come detto Obama è un prodotto made in Usa,
come tanti altri in politica, modellato ad immagine di una comunità che
è tremendamente sensibile al mercato, anche a quello degli elettori,
da riuscire nei propri sondaggi a riflettere in tempo reale le esigenze
di un popolo intero. Obama è un bel volto simmetrico, dalla dentatura
scintillante e dai programmi accattivanti: sanità e buoni propositi. Ma
Obama è ancora un “copia ed incolla” di una grande cultura e potenza.
È pur sempre un format. Non è un originale. u
l’oggetto del desiderio
l’Ira di
Butterfly
T
utt’altro che gentiluomo quel Pinkerton, l’Ufficiale della
Marina Americana, che piantò in asso Butterfly per tornarsene in patria. Pare che la geisha Cio-cio-san, chiamata
anche Butterly, affrontò di petto il caso tant’è che
rivolta al mare urlò il suo Do di disperazione. Subito
dopo diede di matto, anzi di matta e scatenò l’inferno. La sventurata afferrò d’impeto una delle tante
statuine giapponesi che adornavano la sua casa e la
scagliò a terra riducendola in frantumi. Soltanto più
tardi Butterfly si rese conto che per colpa di Pinkerton
aveva distrutto una pregiatissima statuina di quarzo
rosa.
L’Oggetto del desiderio di questo novembre è il
Quarzo Rosa. Il quarzo rosa, fin dall’inizio del XIX secolo, veniva
chiamato quarzo latteo di color rosa. Ma da 150 anni circa viene
chiamato semplicemente quarzo rosa. Il suo colore è dovuto alla
presenza di manganese o di titanio. Si trova in due varietà: il più
diffuso si trova in grosse masse compatte che presentano tutte le
novembre 2008
di Carmine Goderecci
di Oro e Argento
tonalità che vanno dal rosa chiaro al rosa scuro; non mostra forme
cristalline ben visibili esternamente e il più delle volte è trasparente o lievemente lattiginoso; cosa che può essere determinata
tra l’altro dalla presenza di aghi di rutilo all’interno della pietra.
Esistono varietà di quarzo rosa che lavorate a cabochon presentano il fenomeno dell’asterismo. Il quarzo rosa duro viene lavorato
a cabochon e in tutte le forme tondeggianti per farne collane,
bracciali e anelli. Molto note e famose sono le figurine giapponesi di quarzo rosa che per la loro speciale tecnica di incisione
sono considerate piccole opere d’arte. I pezzi più grossi di quarzo
rosa vengono usati per farne portacenere o altri
soprammobili. La seconda varietà di quarzo è quello
in forma cristallina trasparente e chiaro; si trova
nella pegmatite, una roccia di origine vulcanica ed
è molto raro. Spesso si trovano piccoli cristalli di
color rosa chiaro su quarzo bianco, che vengono
acquistati come rari dai collezionisti di pietre preziose. Questi piccoli cristalli di quarzo rosa si possono
lavorare anche a gradini. I giacimenti sono in Brasile
e nel Madagascar. Però lo si può trovare anche in
Sudafrica, Russia, Giappone, India e USA. Fino a qualche tempo
fa si trovavano giacimenti di quarzo rosa anche vicino a Zwiesel,
nelle foresta Bavarese, ma oggi sono esauriti. Nella stessa zona
è rimasta una roccia di cristallo rosa, alta più di dieci metri, che è
considerata monumento nazionale. u
pag
09
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brutte speranze
novembre 2008
La Scuola
vista da un ex studente
C
he belli i tempi in cui andavo a scuola e c’erano le riforme! Erano ottime, ma che dico ottime, eccellentissime
occasioni per non fare un tubo! Giorni di scioperi, inutili
manifestazioni in cui sgattaiolavo via al primo momento utile per
farmi gli affari miei, occupazioni, assemblee in cui si faceva solo un
gran baccano.
Altro che luoghi di confronto e di approfondimento! Sciopero totale. Evvai! Assemblea universale. Olè!
Una volta chiesi al mio compagno di classe, rappresentante
d’istituto: “Ma se la seduta comincia alle dieci, noi fino a quell’ora
che facciamo?” La risposta mi tolse grossi pesi dalla coscienza,
soprattutto per le interrogazioni pendenti: “bivacco!”. Anticipando
Homer mi venne spontaneo un “miiiiitico!”.
Tuttavia gli ‘inizi’ non furono facili; la mia prima occupazione
avvenne, bruscamente, all’imberbe età di quattordici anni: in
una confusissima assemblea. L’allora rappresentante, urlando
slogans triti e ritriti, giunto al fin della tenzone, urlò: “La vogliamo come diciamo noi questa scuola?” Risposta dei ragazzini un
po’ rintontiti dal contesto in cui erano stati catapultati, lì presenti
:“Sìììì!”.
Io pensai allora fra me e me e me (eravamo in tre, c’era molto da
fare): “Ah, chissà però come la vogliamo la scuola noi altri…”
Era l’epoca del Ministro D’Onofrio. Superato lo shock iniziale,
questi novelli e un po’ sbiaditi figli del 68 organizzarono la sorveglianza interna (?!), luoghi di dibattito (caspita! Mica il cineforum
di fantozziana memoria!) ed altre oscene amenità.L’anno dopo, a
fronte (sinceramente non ricordo più chi fosse il ministro e cosa
volesse) dell’ennesima riforma della riforma, stesso copione. Tutto
questo al ginnasio.La medesima fortuna non si è verificata negli
anni successivi del Liceo. Peccato!
Ciò per dire e i più attenti l’avranno già capito che a poco servono
le manifestazioni di piazza: ricorderete tutti come, a fronte della
note linguistiche
L’ausiliare per
il verbo servile
di
I
Maria Gabriella Di Flaviano
l verbo “servile” esplica la sua funzione introducendo il verbo
protagonista che resta sempre all’infinito, mentre il “servile”
si coniuga secondo la normale flessione verbale;
posso (poteri, potrò, poteva, ecc.) raccontare .
di Ivan Di Nino
modifica che introduceva al posto del maestro unico tre insegnanti
per classe, ci fu una protesta vibrante dell’allora opposizione, dei
sindacati e chi più ne ha più ne metta. L’attuale ministro (o si dice
ministra? O ministressa? O minestrina? Eh, in tempi di magra…)
che nemmeno vuole reintrodurre il maestro unico – è poi così
sbagliato?- ma un maestro prevalente (era poi come facevo io alle
elementari: un maestro per italiano, matematica ecc., uno per le
lingue, uno per la ginnastica ecc.) si è vista piombare addosso insulti e cortei da quelle stesse persone che dieci, o quindici, o tredici? (Chisseloricordapiù!) anni fa urlavano contro il governo perché
stavano levando l’insegnante unico. Che Paese strano, vero?
Come se non bastasse toccare il fondo, si comincia a scavare,
usando, sì, ho detto usando, bambini di dieci anni, se non di meno,
con in testa un cappello del sindacato televisivamente di turno, in
mano uno striscione (di solito piuttosto fantasioso, del tipo: no alla
riforma) ed uno slogan in bocca. Ah, quante volte ho pensato di
mettermi all’angolo di strada per vendere fischietti ai manifestanti!
Qualcuno ha anche affermato che le lamentele degl’insegnanti
sono fuori luogo perché lavorano e si aggiornano meno di altri
lavoratori: mediamente diciotto ore a settimana per i professori,
trentasei per gli altri dipendenti pubblici, quaranta per i privati.
Essi controbattono affermando che l’orario di scuola non esaurisce le loro funzioni: devono preparare le lezioni - ma questo, forse,
solo all’inizio della carriera, poi ripetono le stesse cose per una
vita…- correggere i compiti ecc. Nessuno ha però tre mesi pieni di
vacanze pagate all’anno!
I professori devono però essere reperibili! Già, perché gli altri
lavoratori no…
Alla proposta di stare a scuola per almeno due ore nel pomeriggio,
pagati, per aiutare i ragazzi sia nell’apprendimento che negli stessi compiti, c’è stata l’ennesima levata di scudi; qualche maligno ha
sogghignato che così diminuirebbe drasticamente quell’immenso
mercato nero delle ripetizioni…
Che cattiveria! Rispondiamo domani con uno sciopero generale
dei mezzi! Dopodomani sciopererà l’altra metà…
“Il calcio irriformabile? Se è solo il calcio io ci metto la firma!
E’ l’Italia che è irriformabile!!!”
Oliviero Beha
u
A questo punto, quale sarà l’ausiliare per i tempi composti? La
norma è precisa: l’ausiliare che il verbo protagonista avrebbe,
se non fosse accompagnato dal servile. Ad esempio:
Venire > sono venuto > non sono potuto venire
Parlare > ho parlato > ho potuto parlare con lui
Andare > è andato > è voluto andare anche lui
Diverso è il caso del servile con i verbi pronominali, del tipo, ad
esempio, ricredersi, appisolarsi, indignarsi, ecc… In tali casi:
•se la particella pronominale precede il servile, è d’obbligo
usare:
Mi sono dovuto ricredere;
•se invece la particella fa corpo con il verbo, l’ausiliare è
avere
Ho dovuto ricredermi u
la scuola
novembre 2008
Insegnante
unico
grazie di cuore e addio!
T
ra le amenità proposte nel pacchetto scuola della ministra Gelmini, la più esilarante, a mio parere, è senza
dubbio quella riguardante la riesumazione della figura
dell’insegnante unico. Sia ben chiaro, personalmente non ho
nulla contro l’insegnante unico, il quale peraltro ha svolto, in
epoche storiche difficili, un compito molto delicato, cioè quello
di contribuire, in qualche misura, alla costruzione di una coscienza nazionale unitaria, dando vita ad un sistema scolastico
nazionale valido per tutti i giovani, dal Piemonte alla Sicilia;
un compito oltremodo difficile, dal momento che si trattava di
vincere le resistenze localistiche regionali e il sospetto che regioni culturalmente più evolute potessero colonizzare i modelli
educativi di regioni più arretrate dal punto di vista scolastico.
Dunque onore all’insegnante unico, più volte artefice della
rinascita della scuola elementare, all’indomani di eventi tragici
che rischiavano di mettere a dura prova la nostra tradizione
scolastica. Ma aldilà di queste considerazioni che giustificavano la presenza dell’insegnante unico nella scuola elementare,
c’è da riflettere anche sul fatto che le cose nel tempo, come
è giusto che sia, sono cambiate profondamente e le ragioni di
tali cambiamenti possiamo sintetizzare così: innanzi tutto è
cambiato l’approccio alle discipline.
Se all’insegnante unico, infatti, veniva richiesto solo di svolgere attività relative al “leggere, scrivere e far di conto”, era
giustificato pensare che il suo lavoro tutto sommato non era
così gravoso e pertanto poteva tranquillamente farcela senza
l’aiuto di altri insegnanti.
Bastava avviare gli alunni alla lettura e alla scrittura di un
testo, alle prime attività di analisi grammaticale, allo svolgimento corretto delle quattro operazioni aritmetiche e alla
conoscenza di semplici nozioni storico-geografiche e, tutto
sommato, il grosso del lavoro era fatto. Poi però piano piano
le cose sono cambiate, poiché la ricerca didattica progrediva,
mettendo in luce la necessità di impegnare gli alunni nella
acquisizione di quei prerequisiti cognitivi che facevano da
supporto alle strutture di ciascuna disciplina. Detto in parole semplici, non bastava saper svolgere, per esempio una
operazione aritmetica, ma era necessario conoscere la logica
che stava alla base di tale operazione; non bastava più scrivere
correttamente un testo, ma occorreva conoscere le diverse
tipologie di testo e i diversi modi con cui tali testi dovevano
essere affrontati. L’insegnante unico si rendeva conto sempre
di più che insegnare come aveva sempre fatto significava camminare sulle discipline con gli scarponi da montagna. Si cominciava allora a capire che bisognava rinnovare profondamente
di Gino Trabucco
il proprio bagaglio professionale e si prendeva coscienza del
fatto che un solo maestro non poteva più sostenere il peso di
tutte le discipline. Iniziò l’epoca dell’aggiornamento forzato,
un processo che non deve assolutamente essere interrotto, se
si vuole che il modello della scuola elementare resti ai vertici
dei modelli scolastici mondiali. Alla esigenza di rinnovare
la propria preparazione culturale didattica si aggiungeva
ovviamente la necessità di predisporre, all’inizio di ogni anno
scolastico, una adeguata programmazione didattica che, detto
sinteticamente, per ogni disciplina doveva descrivere una serie
di finalità educative e di obiettivi cognitivi, che costituivano la
base da cui partire per stimolare la crescita dell’alunno sia dal
punto di vista educativo che dal punto di vista cognitivo.
E oltre a tutto questo era necessario individuare periodicamente serie di verifiche per accertare il reale raggiungimento
degli obiettivi da parte degli alunni e darne successivamente
una chiara comunicazione ai genitori. E non bisogna dimenticare il fatto che una corretta stesura della programmazione
richiedeva la conoscenza della psicologia dell’età evolutiva, disciplina da tenere sempre presente tutte le volte che si avviava
una nuova unità di lavoro, così da rendere coerente l’azione
didattica con le capacità di apprendimento degli alunni.
Tutto questo per tirare quest’unica conclusione: l’insegnate
unico, in una scuola proiettata verso il futuro, è una figura
ormai sbiadita, inadatta a svolgere il ruolo che la società gli
richiede. Troppi sarebbero i compiti da svolgere e troppe
le attenzioni da riservare a ogni singolo alunno. E questo
significherebbe riportare la scuola elementare a una didattica
fatta di improvvisazione e a una cultura fatta di nozionismo. E
per favore, non “cazzeggiamo” più con la solita solfa dell’insegnante unico come insostituibile punto di riferimento per la
crescita psicofisica dei ragazzi. Personalmente sono convinto
esattamente del contrario: più insegnati rappresentano una
garanzia anche sotto questo aspetto, la garanzia di offrire agli
alunni più possibilità di capire, più modelli con cui confrontarsi
e identificarsi. u
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11
pag
12
lettere dai Caraibi
novembre 2008
El Bloqueo
Q
uesto è il nome cubano dell’embargo, termine che indica
un blocco economico, commerciale e finanziario che (quasi
sempre e solo) gli Stati Uniti d’America lanciano contro questo o quel paese che non si attiene a regole che gli statunitensi reputano (evidentemente) universali. Ma così non è: le culture, le civiltà (o
presunte tali) non si esportano con imposizioni che generano conflitti
che nei casi peggiori arrivano ad essere armati. Ricordo l’embargo
nei confronti della Libia di Gheddafi o quello all’Iraq all’indomani
della prima guerra del golfo che, lungi dall’essere riportato sulla
stampa nazionale nei paesi occidentali, ha provocato
decine di migliaia di morti
soprattutto nelle fasce più
deboli della società irachena (anziani e bambini). Poi
è andata come è andata:
si sono dovute inventare
delle scuse per attaccare ancora una volta militarmente il paese
del dittatore Hussein per poi deporlo ed instaurare un governo che
garantisse il vivere civile. Si, domani!
A Cuba invece sono sotto embargo dal 1962, anche se le prime scintille tra il gigante americano e l’isola caraibica iniziarono subito dopo la
presa del potere di Castro e dei suoi barbudos. Vorrei ribadire, come
già ho fatto nel numero precedente, che l’embargo è unilaterale
cioè gli Usa lo impongono a Cuba. Man mano che gli americani si
resero conto che la rivoluzione poteva, come di fatto fu, intaccare gli
interessi economici sull’isola iniziarono le prime rappresaglie. C’è da
dire in effetti che, come spesso accade, la responsabilità non ricade
tutta su una delle due parti poiché di fatto le riforme messe in atto
a Cuba danneggiarono fortemente aziende americane considerate
strategiche ma se rivoluzione ci fu, evidentemente più di qualcosa
sull’isola andava cambiato e questo riguardava spesso la massiccia
presenza americana. Non vorrei assillare elencando i vari steps che
hanno portato alla situazione attuale ma solo sottolineare come anche recentemente durante i due mandati del Presidente Bush figlio,
che secondo qualcuno rimarrà nella storia (secondo me tragica) degli
Usa, l’embargo è stato pesantemente indurito asfissiando ancora di
più i derelitti ed asfittici canali d’ossigeno cubani. Da quest’altra parte poi non si è fatto mai nulla per ammorbidire il potente vicino, anzi
si è preferito usare talvolta anche la politica di una sfida provocatoria
facendo “ingallettare” ancora di più i supereroi di Washington.
Ma questo bloqueo è visto bene dalla comunità internazionale o c’è
già chi lo considera, ingiusto, inumano, anacronistico, ridicolo o una
scusa che serve ai Castro per mantenere uno stato di cose che fa
di Cuba un paese unico al mondo sotto molti aspetti? Il Vaticano sia
sotto il pontificato di Wojtyla che in quest’ultimo lo ha già deprecato
e non perde occasione di farlo ogni volta Cuba si trovi in condizioni
di particolare difficoltà economica (vedi il passaggio degli ultimi due
uragani). L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ogni anno vota
una risoluzione che ha come titolo “Necessità di mettere fine all’em-
di Francesco Pellecchia
[email protected]
bargo economico, finanziario e commerciale degli Stati Uniti contro
Cuba”. Bene, dei 192 paesi membri il 28 ottobre scorso hanno votato a favore del bloqueo naturalmente gli Usa, Israele (giusto per
ribadire che all’Onu il voto è libero!!) e le Isole Marshall (????) arcipelago che di fatto è un protettorato americano. Tutto il resto del
pianeta, ma proprio tutto, persino la berlusconiana Italia e la Gran
Bretagna hanno votato
contro il bloqueo. Voto
che da anni non viene
preso in minima considerazione dagli americani,
nemmeno quando Cuba
ha chiesto di affievolire
l’embargo anche solo
momentaneamente per
poter comprare negli Usa
materiali da costruzione
urgentissimi per i senza tetto degli uragani Gustav e Ike. Nada, non
se ne parla neanche. E così oggi 4 novembre, giorno dell’elezione
del presidente Obama qui a Cuba sperano ci sia la svolta, quella
che tutto il mondo auspica ma che soprattutto 11 milioni e mezzo di
cubani attende oramai da troppi anni.
Hasta la proxima. u
redazionale
pag
13
novembre 2008
generale Sergio Silvestrini ha chiesto al Governo un miliardo di
euro per i fondi garanzia dei Confidi utilizzando risorse del fondo
centrale di garanzia, oppure le risorse delle revoche provenienti
dalla legge 488. Siamo assolutamente d’accordo con questa
posizione”.
In questa situazione come si è comportata la Regione Abruzzo?
“Come Cna dobbiamo comunque rilevare, anche per ragioni
di onestà intellettuale, che l’attuale Giunta Regionale ha dato
al mondo imprenditoriale della nostra regione il doppio delle
risorse rispetto al 2007 per: l’Industria, il Commercio e l’Artigianato, per i Confidi, per le aree produttive, per la bottega scuola”.
Cosa chiedete al prossimo governo regionale?
“Alla Regione, alla Politica, ai nuovi eletti dopo le elezioni Regionali del 30 Novembre chiediamo un atto di coraggio: ridurre
i costi della politica, tagliare i costi della sanità e più risorse per
le Imprese. Come abbiamo avuto modo di dire in altre nostre
esternazioni: il sistema sanitario abruzzese è diventato nel
tempo “una gigantesca idrovora che succhia danaro dalle casse
loriano Lanciotti della Cna,
regionali senza soluzioni di continuità, e con le “distorsioni a
nella sua intervista a Teramani
tutti note”. E’ davvero ora di cambiare e la Cna ha iniziato per
lancia un Appello alle banche
prima a compiere
passi per supportare le imprese in un
locali: “Aiutate le Imprese del TerritoIMPRESAi primi
& ECONOMIA
momento di grande
crisi”.
servizi
rio – dice -; non ostacolate l’accesso ai
E come?
crediti.
“Oltre ai finanziamenti ormai consolidati per le imprese, fino
Lanciotti, non è un bel momento quello
ad un massimo di 1.000.000 euro per tutte le tipologie imprentra le piccole e medie imprese e le banditoriali (capannoni, attrezzature, scorte, crediti d’esercizio),
che locali. Che ne pensa a riguardo?
SERVIZI FISCALI E TRIBUTARI
abbiamo
predisposto
i nostri
Confidi
e cooperative
“Come tutti sanno, il credito rappresenta
La CNA svolge assistenza fiscale,
tributaria
e consulenza delcon
lavoro
alle aziende
associate,
in particolare si nuovi
occupa di:
Iscrizioni alla Camera di Commercio
• Iscrizione
ad Albi
speciali
(impiantisti, autoriparatori,
acconciatori,
estetiste) •
pacchetti
creditizi,
che
consentiranno
agli artigiani,
ai commerinfatti uno dei principali problemi che le
Autorizzazioni comunali e pubblica sicurezza • Apertura Partita IVA • Iscrizione all’lNPS ed all’INAIL • Normativa
cianti ed alle Pmi di avere finanziamenti in pochissimi giorni
aziende di minori dimensioni si trovaambientale e qualità.
per liquidità aziendale”.
no quotidianamente ad affrontare per
FORMAZIONE
Nello specifico?
soddisfare il proprio fabbisogno finanziario. Come Cna, stiamo
La CNA organizza corsi di formazione
per Responsabile
Sicurezza (Dlgs. 626/94),
Pronto concedibili
Soccorso Aziendale,
Antincen“Per artigiani
e commercianti
gli importi
sono
di
registrando maggiori e crescenti difficoltà per le Pmi ad accedere
dio e tanti altri ancora per l’artigianato, il commercio e le PMI.
15mila euro con contributo a fondo perduto pari al 10% dell’imal credito bancario. Gli ultimi preoccupanti dati, hanno rilevato
porto richiesto. Per le Pmi, l’importo concedibile è invece di
CAFdi- CNA
diminuzioni molto elevate nell’accoglimento di nuove domande
25miladeieuro
con
a fondo
perduto
pari alscegli
2% CAF/CNA.
dell’imQuando è tempo di dichiarazione
redditi,
vai contributo
sul sicuro e scegli
la competenza
dei migliori:
finanziamento e per ottenere l’accesso ad alcune di esse, abbiaTroverai un’assistenza fiscale professionale e precisa per la compilazione del 730 nei tempi e nei modi giusti. Punto di
porto
richiesto.
Per
la
promozione
di
nuove
imprese
abbiamo
mo dovuto elevare le nostre garanzie al 70-80 e a volte al 90riferimento
%”.
certo per i pensionati, i dipendenti e per tutta la famiglia.
Modello730, ISE-ISEE, RED,
ICI... se
un’assistenza
completa
e affidati
a chi se ne
deciso
dicerchi
riproporre
“Cna
Creae qualificata,vai
Impresa”,sulinsicuro
pratica
€ 70.000
Eppure non è colpa loro. O sbaglio?
intende: i consulenti CAF/CNA sono a tua disposizione nelle 1000 sedi CNA sul territorio Italiano.
con contributo in conto interessi per artigiani con restituzione
“No, non sbaglia. Infatti intendo ricordare a gran voce che non
in 60 mesi; € 100.000 con contributo in conto interessi per Pmi,
sono state le piccole imprese a contribuire alla bufera finanziaPENSIONI
artigiani
e commercianti
con restituzione in 60 mesi; Garanzie
ria che ha messo in ginocchio alcune tra le più potenti banche
PATRONATO EPASA: Previdenza,
assistenza,
sanità
SE CERCHI
O CONSULENZA
RIVOLGITI
IL PATRONATO
finoASSISTENZA,
all’80%; e TUTELA
tutoraggio
gratuito per
la faseAdiNOI.
start
up”. u
d’affari del mondo. Eppure siamo noi che rischiamo di pagare
il INFORMAZIONI,
EPASA HA LA RISPOSTA GIUSTA.
prezzo più alto di questa crisi, non le banche, che
La previdenza obbligatoria: le pensioni per gli artigiani, i commercianti e le PMI.
fino a ieri proponevano titoli ad altissimo rischio
FINANZIAMENTI
come investimenti sicuri. Attualmente si stanno
1.000.000 EURO PER LA TUA IMPRESA
chiudendo i rubinetti del credito alle imprese, o
Soluzioni semplici di accesso al credito
meglio si fa credito solamente a chi i soldi li ha
FINANZIAMENTI PER ARTIGIANI • Gli importi: Euro 90.000 per ogni singola impresa / Euro 140.000 per i Congià, potendo offrire adeguate garanzie”.
sorzi Artigiani. Fondo antiusura per Imprese svantaggiate. Tipologia investimenti: Acquisto attrezzature e scorte; Crediti
d’esercizio. Durata: fino a 84mesi.
Qual è l’appello della Cna?
FINANZIAMENTI PER ARTIGIANI E PICCOLE INDUSTRIE • Gli importi: Euro 360.000 restituzione in 10 anni;
“Come Cna lanciamo un appello alle banche,
Settori di intervento: Credito ordinario; Apertura di credito in C/C con castelletto; S.B.F.; Anticipi su fatture; Mutui Artisoprattutto a quelle locali, affinché siano vicine
giancassa. Controlli sul suo estratto conto e se le condizioni bancarie applicate non la soddisfano venga nei nostri uffici
e troverà condizioni vantaggiosissime per operazioni di scoperto di c/c, salvo buon fine, Anticipo fatture ed Anticipazioni
al mondo delle Pmi. Questo è un momento duro
semplici.
per tutti, e le banche devono fare la propria parte
FINANZIAMENTI PER COMMERCIO E TURISMO • Gli importi: Euro 250.000
dimostrando meno rigidità nel concedere finanziaBeneficiari: Commercianti; Pubblici esercizi; Agenti di commercio. Investimenti: Acquisto attrezzature e scorte; Credito d’esercizio; Scoperto di c/c; SBF; Durata: 36, 48, 60 mesi.
menti, più tolleranza ed elasticità con le imprese
ARTIGIANCASSA • Gli importi: Euro 260.000 per l’oggetto di cui ai successivi punti A e B; Fino a Euro 87.000 per
che vivono un momento di difficoltà. In caso conl’oggetto di cui al successivo punto C.
trario, avremo solo macerie e ci rimetteremo tutti.
Beneficiari: Le imprese artigiane; i consorzi artigiani.
Bene ha fatto la Cna nazionale. Il nostro Segretario
G
I SERVIZI DELLA CNA DI TERAMO PER L’ARTIGIANATO, IL COMMERCIO E LE PMI
INFO TERAMO: 0861.23941 - www.cnateramo.com
E-mail: [email protected] - [email protected]
Sedi di zona:
pag
14
Manifesti e slogan…ordinari
di Maria Grazia Frattaruolo
novembre 2008
Gli effetti
collaterali
di una elezione
meglio i writer che i santini
D
da Cina maoista o da qualche repubblica democratica ante
muro. Gianni Chiodi del Pdl (foto 1) ha un sorriso innaturale, mai
visto con quel ghigno così intermedio, da allegria contenuta. È
un po’ paraculo quando nello slogan, disposto sul testo come
in una copertina di un libro di successo, s’ingrazia fin troppo i
teramani (“Gianni Chiodi ringrazia….grazie per questo…ecc.”).
Troppi grazie…S.Antò. Colori azzeccati oro-bordeaux invece per
Angelo Sperandio del Pd (foto 2), anche se sa di basso impero. Pessimo lo slogan “Per un Abruzzo migliore”, che ricorda
quello degli Aiardi e dei Natali, datati per una regione che aveva
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2
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13
ue anni di carcere per i writer che imbrattano le mura della città, mentre per chi
tappezza il centro di pessimi manifesti
elettorali niente, al massimo il velato disprezzo
del cittadino, il solito borbottio pre votazione, o uno
scherno verso colui che poi si voterà. Un manifesto impostato male – dicono gli esperti – può
produrre più danni che benefici al candidato. La
metafora di Oliviero Toscani sull’argomento, verso
la puntuale galleria di politici affissi al muro, è
tagliente: “Un grande cestino della biancheria da
lavare e uno dice mamma mia, non ho una camicia. Allora va nel cestino della biancheria da lavare
9
10
e tira fuori tra tutte le camicie sporche quella meno sporca.
Quindi non c’è veramente una camicia nuova da mettere”. “Il
fatto – racconta Salvo Scibilia, docente di Teoria e tecniche dei
mezzi di comunicazione - è che la gente ha una visione stupidamente taumaturgica della propria immagine. Si pensa che
siccome si è visibili, allora chissà cosa dovrebbe succedere. In
realtà non succede proprio nulla, la faccia non aggiunge niente,
anzi peggiora le cose”. I nostri politici teramani sono bene
o male tutti riconoscibili ma nella loro galleria elettorale le
pecche sono tante: cromie azzardate, grafie logorroiche, slogan
bisogno di autostrade (come oggi, d’altronde). Fumettistico
quello di Massimo Vitelli del Pdl (foto 3), con le tre dita che
gli reggono la testa (inclinata) in uno sforzo di meta pensiero
aristotelico, con cromie che fanno a cazzotti e con occhiali da
scena alla Elton John. Il manifesto di Augusto Di Stanislao
dell’Idv (foto 4) ha più l’aria di una presentazione Word o Adobe
Photoshop, il monito (“l’Abruzzo dei cittadini non si fermerà”)
è più da quatorze juillet che da semplice elezione regionale.
Un faccione fin troppo invasivo per Lanfranco Venturoni del Pdl
(foto 5), per una grafia elementare e con un adagio da homo
pag
novus della politica e un po’ troppo pretenzioso (“mi batto per
ridare fiducia alla politica”). Però mai visto un Venturoni con
un sorriso così conciliante, nemmeno quando gli parli bene
della sua Team. Postura da Lilli Gruber dei tempi d’oro per
“detto”…Dodo Di Sabatino dell’Udc (foto 6), in avanti e con la
cravatta stile Marinella ciondolante: una volta a destra, l’altra
a sinistra, come il suo partito. Lo slogan qualcosa di déjà vu
a Teramo, anzi a “Te”. Giandonato Morra del Pdl (foto 7) con
gli occhiali da antinfortunio sul poster, nel suo slogan duro e
volenteroso, (“coerenza e passione”), rifà il verso a “La rabbia e
l’orgoglio” della Fallaci. In tinta con l’azzurro del Pdl, abbozza
una smorfia perplessa, figlia forse di un fotografo esigente o di
un improvviso riemergere di un mutuo da estinguere. “Crederci
insieme per costruire insieme” della Luisa Regimenti de La
Destra (foto 8) appare più come uno slogan da Ance, i costrut-
la parola “democratico” e ha i particolari meno curati degli
azzurri, vedi cravatta sgualcita. Cecè D’Alessandro (foto 11) ha
più l’aria di un commissario tecnico della nazionale di calcio o di
un testimone di nozze giunto alla portata della carne che di un
candidato. Manifesto realizzato con i caratteri di Word: genuino.
Paolo Basilico dell’Udc (foto 12) è il più didascalico (“fai una croce del simbolo e scrivi Basilico”), stop. Michele Di Paolantonio
del Pd (foto 13) terrorizza: con il camice bianco sullo sfondo del
Gran Sasso riporta alla mente una catastrofe nucleare. Sarà
pure per il laboratorio di fisica nucleare nel ventre del gigante
addormentato. Il manifesto elettorale di Peppino Di Luca del
Pd (foto 14) invita col suo slogan (“non voltare faccia, volta pagina”) a passare oltre, e precisamente a Rodolfo De Laurentiis
dell’Udc (foto 15): braccia conserte, ha l’aria del primo del college. Ha preso in prestito lo slogan (“Trasparenza, meritocrazia,
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tori teramani, che un suggerimento rivolto agli elettori: la grafia
è da convegnistica. Per contro l’immagine della candidata è
l’unica graziosa in una galleria colma di testosteroni. Peccato
sembri della nipote. L’”Insieme tutto diventa possibile”, il gingle
di Paolo Gatti del Pdl (foto 9) ricalca quello famoso della Nike:
“Impossible is nothing”. Sportivo. “Cambia l’Abruzzo, cambia
generazione”. Sinceramente, mai visti tanti denti in Gatti, visto
che è spesso meditabondo. Solito celeste d’ordinanza finché
Berlusconi non morrà. Impressionante invece la lunghezza
del blazer di Claudio Ruffini del Pd (foto 10): è l’unico ad usare
efficienza”) dall’Idv. Bruno Sabatini (foto 16) ha il sorriso largo
di una vittoria del Gliulianova…ai tempi supplementari.
E dai dipietristi giunge Costantini (foto 17): nel manifesto mezzo
Rutelli, mezzo Ridge, abbronzato più di Obama, con lo slogan
di un’associazione di consumatori. Duro e puro Filippo Torretta
di Rc (foto 18): in una furia iconoclasta annulla la sua immagine
per servire il partito (una grande falce e martello sullo sfondo).
È l’unico a ricordare le due date dell’appuntamento elettorale:
30 novembre e 1 dicembre. Utile alle masse. Se così nel frattempo sarà stato deciso. u
MESSAGGIO ELETTORALE
1UANDOPENSOALL!BRUZZOPENSOINNANZITUTTOAGLIABRUZZESI
6OGLIOCAPIRECHISONONELLINTIMOGLIABRUZZESIPERCOMPREN
DEREINQUALEDIREZIONEL!BRUZZOPOTRËCRESCERE
6OGLIORIPARTIREDAQUESTODALCARATTEREDELMIOTERRITORIODAL
LE SUE MONTAGNE DALLE SUE COSTE DALLE SUE PERSONE DALLE SUE
VOCAZIONI DALLA SUA STORIA DALLA SUA FORZA E PERSINO DALLE SUE
DEBOLEZZE
6OGLIORIPARTIREDAIRAGAZZICHESTUDIANODALLAGENTECHELAVORA
DALLEFABBRICHECHENONDORMONOMAIDAICAMPICHEDANNOI
LOROFRUTTIDAUNOSGUARDOANTICOCHEÒPIENODICURIOSITËPERIL
FUTURO
%DAIVALORIDEGLIANZIANIDALLEPROSPETTIVEDEIPIáGIOVANIDAL
LERISPOSTESEMPLICIONESTEEPERSONALICHEILNOSTRO!BRUZZO
PUÛDAREALLESlDEGLOBALICHEVOGLIORIPARTIRE
.ESSUNACRISIARRIVAPERCASOhCRISIvSIGNIlCAhCAMBIAMENTOv
MANONSIPUÛCAMBIAREINMEGLIOSENONSIGUARDACONUMILTËA
QUELLOCHESIÒSTATISENONSICOSTRUISCEINSIEMECONPAZIENZAE
CONPASSIONELASOLIDA2EGIONECHEVOGLIAMODIVENTARE
Mandatario Elettorale: Andrea Lucchese
(OSCELTODUEPAROLEQUELVALORECHEÒINTRINSECOADOGNICOSA
ECHEPERQUESTONONPUÛTRASFORMARSIINSLOGANEQUELLIMPE
GNOCHENONÒUNAPROMESSAMALACERTEZZADIUNMODO
DIESSERE
3OSTENGOILVALOREDELLIMPEGNOLAFERMA
VOLONTËDILAVORAREPERILNOSTRO!BRUZZO
EDISOTTOLINEARECONRINNOVATOSLANCIO
LAPROFONDADIGNITËDELSUOCARATTERE
pag
18
coldiretti informa
Speculazioni,
il vero male
dell’economia
più territorio
sugli scaffali
L’
impegno che stiamo mettendo
in questi mesi nel denunciare
l’aumento dei prezzi di alcuni
prodotti alimentari è legata alla necessità
di evidenziare un inaccettabile squilibrio tra
prezzi all’origine e prezzi al consumo.
Alle speculazioni sono da attribuire le oscillazioni dei prezzi dei prodotti agricoli a livello
internazionale. In effetti, la repentina diminuzione dei prezzi a cui stiamo assistendo in
questi mesi, dopo gli aumenti dello scorso
anno, dà proprio l’idea che stiamo dentro una
grande bolla speculativa di difficile gestione.
Le quotazioni del grano dall’inizio dell’anno
sono dimezzate mentre la pasta di semola
di grano duro è tra gli alimentari quella che
novembre 2008
di Nicola Lucci
direttore Coldiretti Teramo
addirittura ha subito i maggiori incrementi.
Si stima che, per effetto dei rincari, gli italiani
spenderanno solo per l’acquisto di pane, pasta e derivati dei cereali 3,4 miliardi in più’ nel
2008, per un valore di circa 140 euro per famiglia. La pasta non accenna infatti a diminuire
e ha raggiunto valori medi di 1,5 euro al chilo,
secondo il servizio consumatori del Ministero
delle Politiche Agricole, nonostante il fatto
che il grano duro sia oggi attorno ai 0,22 euro
al chilo. All’inizio dell’anno la pasta era a 1,4
euro al chilo mentre il grano a 0,48 euro al
chilo e si è dunque verificato un progressivo
ed ingiustificato allargamento della forbice
dei prezzi tra produzione e consumo. Una
situazione drammatica nelle campagne per
il forte aumento dei costi di produzione, del
56 % per i concimi necessari per fertilizzare
il terreno, che sta mettendo in difficoltà gli
agricoltori italiani e il futuro delle coltivazioni
Made in Italy con l’aumento della dipendenza
dall’estero.
Il danno generato da questa situazione per
il mondo agricolo è duplice: da una parte un
calo dei consumi che riduce le potenzialità
produttive delle nostre imprese, dall’altro
una remunerazione del prodotto agricolo che,
in tanti casi, non copre i costi vivi di produzione, anch’essi peraltro in costante e non
controllata crescita.
Non è dunque sterile polemica, la nostra,
tanto meno voglia di trovare un colpevole a
tutti i costi. Occorre fare emergere chiaramente che le parole di reciproco ammiccamento tra gli attori della filiera ieri come oggi
hanno prodotto solo danni per i produttori e
per i consumatori e che è giunto il momento
di proporre qualcosa di nuovo nell’interesse
di tutti. E, visto che, come sempre, è a noi
che tocca proporre, ecco la strada: occorre
più concorrenza tra sistemi distributivi e più
concorrenza tra prodotti. Iniziamo a far valere
anche quello che, in maniera distintiva ed
esclusiva, è in mano ai produttori agricoli: il
territorio, per affiancare, nel sistema distributivo tradizionale, al prodotto “a marca commerciale” un prodotto “a marca territoriale”.
Ma anche per dare forma, dove possibile, ad
una filiera corta più composta, in concorrenza
con la “filiera lunga”. u
L’AZIENDA E LA SUA MISSION
La Julia Servizi Più è una società, con capitale pubblico, specializzata nella fornitura di gas metano ad uso civile e industriale, con
10.000 clienti già serviti e 14 milioni di metri cubi annui erogati nella provincia di Teramo.
La società è nata nel 2004, a seguito della liberalizzazione del mercato del gas naturale, disposta dal Decreto Legislativo 23 maggio 2000 n. 164.
L’obiettivo primario della Julia Servizi Più è rispondere alle esigenze di gas metano nel territorio, garantendo un servizio efficiente e
qualificato a costi convenienti.
Si tratta di una società di proprietà del Comune di Giulianova che svolge, in collaborazione con l’amministrazione comunale, anche
un importante ruolo in ambito sociale, attraverso una serie di agevolazioni agli utenti che vivono in condizioni economicamente
disagiate.
L’attività di Julia Servizi Più si basa su:
• rapporto diretto con la clientela;
• sconti tariffari sul costo del gas;
• fatturazione mensile o bimestrale;
• fatturazione costante dei consumi con conguaglio di fine anno;
• rateizzazione dei pagamenti;
• pagamento tramite domiciliazione bancaria o postale;
• pagamento tramite sportelli provinciali della SOGET Spa senza costi aggiuntivi,
e altre soluzioni personalizzate per favorire e agevolare le famiglie e le imprese clienti.
JULIA SERVIZI PIÙ ARRIVA A TERAMO
Con lo stesso spirito e i medesimi obiettivi aziendali e sociali, Julia Servizi Più si affaccia sul mercato della città di Teramo,
proponendo le proprie offerte commerciali a privati, imprese ed enti, con servizi innovativi e personalizzati, in grado di soddisfare
le esigenze di tutti.
L’offerta di Julia Servizi Più agli utenti di Teramo porterà RISPARMIO e QUALITÀ nei servizi; sarà sempre possibile il contatto
diretto con il personale dell’azienda, nonchè concordare tempi e modalità di pagamento delle bollette, per rispondere al meglio alle
esigenze di ognuno.
I clienti di Julia Servizi Più hanno a disposizione un sito internet per ricevere informazioni specifiche, richiedere un appuntamento o
contattare l’azienda, proporre variazioni al contratto o alla gestione dell’utenza, richiedere ulteriori preventivi, segnalare inefficienze
o proporre iniziative utili al miglioramento del servizio, ecc. Ciò nell’ottica del CONTATTO DIRETTO e quotidiano tra l’azienda di
erogazione e l’utente.
Per essere CLIENTI di Julia Servizi Più è sufficiente sottoscrivere un contratto, senza apportare alcuna modifica al proprio impianto
in casa o in azienda. L’erogazione del gas metano continuerà come sempre, ma avverrà a opera di un altro fornitore, Julia Servizi Più,
con un significativo risparmio e migliori servizi.
Julia Servizi Più
Corso Garibaldi, 65 - 64021 Giulianova (Teramo)
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pag
20
dura lex sed lex
a cura di
novembre 2008
No Money,
no Car
“N
ello scorso mese di settembre ho portato la mia vettura
presso una carrozzeria per ripararla da un piccolo
danno alla fiancata. Il carrozziere mi aveva assicurato,
verbalmente, che il costo della riparazione si sarebbe aggirato intorno ai
300-400 €. Al momento del ritiro, in realtà, il costo è risultato superiore
di circa 150 € rispetto al massimo preventivato. Ne è seguita una accesa
discussione tra me e il carrozziere, durante la quale quest’ultimo mi ha
minacciato di non restituirmi la vettura se non avessi pagato il conto.
Sono rimasto piuttosto sconcertato da tale forma di ricatto verso i miei
confronti. Tuttavia, avendo bisogno della vettura, ho preferito pagare.
A questo punto vi domando se il carrozziere, negandomi la restituzione
del veicolo, non abbia per caso commesso un qualche reato, magari a
responsabilità limitata?”
La questione narrata dal lettore concerne il cosiddetto diritto di ritenzione
che, pur non essendo previsto come istituto autonomo nel codice civile,
è espressamente richiamato da alcune norme sparse la cui applicabilità è da ritenersi tassativa in forza del principio secondo cui la tutela
giurisdizionale dei diritti è affidata alla autorità giudiziaria, e le misure di
autotutela dei privati (nel cui ambito è da ricollocarsi appunto il diritto di
ritenzione) hanno carattere eccezionale.
Amilcare Laurìa ed Elvio Fortuna
avvocati associati
In tale ordine di idee, comportamenti che potrebbero rivestire sostanza
di reato, diventano, in forza del diritto di ritenzione, del tutto leciti.
Il caso che ci occupa può essere regolato dall’art. 2756 del codice civile,
ai sensi del quale i crediti per le prestazioni e le spese relative alla
conservazione e miglioramento dei beni mobili hanno privilegio sui beni
stessi, purché questi si trovino ancora presso chi ha fatto le prestazioni
o le spese. Dunque, il carrozziere che ha eseguito le riparazioni in
favore del lettore, in forza di un privilegio accordato a tutela del proprio
credito di lavoro, aveva effettivamente il diritto di ritenere presso di
sé l’autovettura riparata con la ulteriore conseguenza, nell’ipotesi di
mancato adempimento di pagare il prezzo delle riparazioni da parte del
proprietario, di procedere alla vendita del bene riparato ai sensi dell’art.
1515 del codice civile. Tale diritto di ritenzione, per costante giurisprudenza, è applicabile anche a tutela delle spese compiute per i beni
mobili registrati, nel cui ambito rientrano le autovettura, e addirittura
anche nei confronti del proprietario della cosa quando questi sia persona diversa dal committente obbligato (Cass. 5 aprile 1993 n. 4061).
Come sopra precisato tale diritto ha natura eccezionale e non è invocabile, per espressa previsione dell’art. 2235 del codice civile, dal professionista a tutela del proprio credito per gli onorari. Ad esempio l’avvocato,
cui è stato revocata la procura, non può condizionare la restituzione dei
documenti al cliente al previo pagamento del proprio compenso professionale per l’opera svolta sino a quel momento. Tornando al quesito proposto, si può rispondere che il carrozziere- creditore aveva il pieno diritto
di ritenere la vettura presso di sé; e il lettore, pur permanendo qualche
dubbio sulla vicenda in merito al fatto che il costo della riparazione è
risultato eccedente a quello concordato, ha fatto bene a pagare. u
il fumetto di Teramani
soggetto, testo e disegni di Mimmo Polovineo
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il seguito al prossimo numero
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pag
24
in giro
novembre 2008
Castellalto
l’antica Castrum Veteris,
il borgo della memoria
C
astrum Veteris Trasmundi non è solo un
nome dal suono antico che rimanda ad
echi lontani: è un viaggio alla ricerca del
tempo perduto.
Un itinerario dai contorni a volte sfumati. Eppure
in questo caso ben definiti sul piano geografico.
Dal belvedere la vista si apre, infatti, sull’immensa pianura solcata dal fiume Tordino, spaziando
dal Gran Sasso all’Adriatico, in un incredibile
reportage visivo dell’amena provincia teramana
Arrivo a Castellalto, in una giornata smagliante
d’ottobre, con il sole che scolpisce in lontananza
le montagne. Il borgo antico è immerso in un
silenzio quasi sacrale.
L’abitato rustico e compatto, scolpito
su di un costone roccioso come minuta
opera d’arte, conserva sprazzi della sua
antica struttura architettonica.
Ricordo che, qualche anno, fa il professor
Valerio Casadio dell’università di Roma,
autentica enciclopedia vivente del paese,
mi parlò delle origini, raccontandomi storie affascinanti di feudatari che cinsero il
borgo di fortificazioni. Parlò di un ritrovamento eccezionale, un “bronzetto italico”
di Ercole rivestito di pelle di leone, fattura
ellenistica databile III, II secolo a.C.
Nei suoi racconti, lo storico citò vecchie
case nel cui interno esisterebbero dei depositi-magazzini sotterranei,
con delle capaci cisterne che un tempo raccoglievano l’acqua piovana
di Sergio Scacchia
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da utilizzare per gli usi quotidiani.
Castellalto, ancora oggi rende l’idea, osservando i resti dei bastioni
perimetrali di difesa e il severo portale d’accesso, di quale incredibile
baluardo dovesse essere per i suoi pendii a picco che rendevano
quasi impossibile entrarvi.
L’anima dei Castellaltesi è rimasta intatta nei secoli. Un tempo era
abitato da vecchi proprietari terrieri, pochi contadini, una manciata di
valenti artigiani, sarti e calzolai che passavano di casa in casa, rimettendo in sesto il guardaroba di chi poteva permetterselo, ricevendo
pagamenti in natura.
Oggi il vecchio e il
nuovo convivono,
anche se a fatica, in una
complessa e armonica
struttura, con edifici
addossati l’uno all’altro
senza soluzione di
continuità, comunicanti
tra loro con loggiati
e androni, cunicoli e
corti interne, retaggio
evidente di un passato più importante
della realtà odierna.
Il borgo è ricco di particolari caratteristici,
reperti architettonici di una certa importanza e suggestive testimonianze lungo i
suoi viottoli silenziosi.
L’antica casa del Barone Patrizi, dimora
degli Acquaviva, ne è un esempio.
Molti decori di nicchie e foglie di acanto
sono scomparsi, ma il palazzo mostra
ancora un passato glorioso. Nei primi anni
del 900 il ricco signorotto possedeva gran
parte del paese.
Poi per alterne vicende cadde in disgrazia, povero, accudito prima
della morte dal suo “fattore”.
Nella piazzetta del vecchio municipio i ragazzi vocianti stanno tirando
calci ad un pallone. Uno di essi, il più sveglio, occhi vivaci e gesti da
personaggio dei fumetti, mostra orgoglioso un piccolo sottoscala.
Ai lati ci sono delle minuscole feritoie per aria e luce. Qui un tempo,
racconta il ragazzo che da grande farà sicuramente la guida turistica,
venivano rinchiusi i bambini restii allo studio.
E’ piccino il paese, circa duemila famiglie, minime prospettive di
lavoro.
Molti sono emigrati verso il vicino Eden industriale di Castelnuovo Vomano, creando, in una zona negli anni 50, costituita da case coloniche
e masserie dei Cerulli Irelli e Guerrieri Marcozzi, un centro moderno
di oltre quattromila anime, nato dalla fusione di vecchi agglomerati
come Villa Gobbi, Villa S. Cipriano e Villa Parente. Erano proprietà, un
tempo, di famiglie agiate.
Castellalto è legato in una sorta di osmosi anche con lo splendido
borgo medioevale di Castelbasso.
Non è solo la sede comunale, è un autentica impollinazione imprenditoriale che trova compimento nelle fabbriche della vallata del
Vomano.
I paesani qui sono diffidenti fin quando non capiscono che hanno
davanti un tipo semplice e acquistano fiducia nel loro interlocutore.
pag
“Lavora e taci”, questo motto che sembra
uscito da qualche popoloso villaggio del nord
est dell’Italia, calza a pennello per Castellalto.
Il barista mesce, con discrezione, un buon
bicchiere di trebbiano e lo accompagna
con stuzzichini di prosciutto e pecorino.
Un vecchio abitante con il quale ho preso
confidenza, snocciola una teoria di numeri
che parlano da soli.
Le aziende agricole dei dintorni, mi dice,
hanno le bestie contate. Poche mucche da
latte, mancano tori per coprirle. Poche capre, pochi maiali. Un tempo da queste parti
l’agricoltura e l’allevamento erano risorse
insostituibili.
Di colpo si copre il sole. Si alza un vento
freddo.
Varco il portale d’ingresso cinquecentesco
della parrocchiale di San Giovanni. Lo stile
barocco mi riempie gli occhi. Affreschi, statue, stucchi, fregi e capitelli. L’attuale chiesa
è stata ampliata nel 1589. Precedentemente
era una cappella sita nel mezzo delle mura
di cinta che, partendo dall’arco di ingresso,
cingevano tutto l’abitato. Secoli prima il luogo era adibito all’”otium” delle terme. Qui,
stando ai ritrovamenti di antichi pavimenti e
tubazioni, gli antichi Romani dedicavano una
parte del loro tempo all’arte del vivere, alla
cura di sé, lo spazio dell’anima e il piacere
del corpo.
All’interno numerosi inginocchiatoi, panche,
un confessionale che dimostra l’usura del
tempo.
Una donna enorme, inginocchiata, pare
svanire nel buio dell’unica navata. E’ in
attesa di una sicura assoluzione dei suoi
piccoli misfatti.
La chiesa della Madonna degli Angeli del
1580, alle porte del paese, vicino a quello
che resta di un caratteristico cimitero è
suggestiva. Anni fa vennero trafugati dei teschi forse da studenti di medicina, secondo
alcuni da gente dedita a riti di stregoneria.
Un luogo speciale. Si dice che sia stato costruito in pochi giorni dal popolo, in omaggio
alla Vergine che avrebbe salvaguardato il
luogo dalla tremenda carestia che fece morire di fame migliaia di persone, soprattutto
nelle campagne.
Le gerarchie ecclesiastiche avrebbero sempre evitato di legittimare questo autentico
miracolo.
Ma in fondo chi se ne importa, dicono da
queste parti. Il miracolo, la Madonna l’ha
fatto davvero!
Mi piacerebbe poter rendere meglio le
meraviglie di un silenzio rotto qui e là dal
pianto di un neonato o dalle note discrete di
una radio accesa. u
Messaggio elettorale - Mandatario elettorale NADIA PAOLETTI
Mi batto
per ridare
fiducia
alla politica
alla Regione vota
Lanfranco
Venturoni
per Gianni Chiodi presidente
25
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cinema
le joli ’68 - 6
De Sade
1968
novembre 2008
La Justine klossowskiana
di Jesus Franco
A
r idosso del ’68, il marchese De Sade, lo specchio
scuro del ‘700 illuminista, doveva inevitabilmente far ritorno, come un nosferatu. Quell’anno è
incastonato tra la versione ampliata (1967) di Sade mon
prochain di Pierre Klossowski e la nuova, ultradiscussa
edizione (1969) della Dialettica dell’illuminismo dei francofortesi Adorno e Horkheimer che, proprio all’Excursus
II del testo, demitizzano Juliette, la donna-bestia (simbolo
del vizio trionfante) del philosophe scélérat contrapposta
alla candida sorella Juliette, la virtù svent(u)rata e punita.
Ossia l’immaginario maschile sulla
donna, classicamente scisso tre le idee
entrambe succulente di femmina madonna e femmina puttana, idea fissa
alla base pure dei miti religiosi (Gesù
è compresso tra Maria e Maddalena)
nonché del porno. O dei grandi film
«per signore» matarazziani degli anni
’50, dove senza infingimenti s’illustra il
concetto di sventura della virtù.
Quei testi non risorgono però dal nulla.
La liberalizzazione sessuale che il
’68 propugna, vede in Sade, al pari
dei surrealisti anni ’20, un perfetto
emblema dell’auspicato scatenamento libido-pulsionale
rifrangente della rivoluzione. Lo scrittore è assunto come
icona hippy-orgonica del corpo riappropriato che subito
l’industria culturale, anche bassa, afferra, scatenandosi in
Italia con un celebre porno-fumetto dalle tavole in bianco
e nero sobrio e, a ’68 concluso, con il requiem disilluso
di Pasolini, Salò (1975). Inoltre, il ‘700 e la Rivoluzione
francese si rivelano immediatamente come paradigmi dei
nuovi tumulti, incarnando alla perfezione ambiguità e rovesci della contestazione. Klossowski aveva messo in luce
come il «discorso del perverso» (o del contestatore) non
potesse sussistere privo dell’ausilio dell’ordine messo in
dubbio, della ragione normativa, correndo costantemente
il rischio di rimanere invischiato nello stesso sistema che
si desiderava fare a pezzi. Molti personaggi cinematografici (e non solo) del ’68, abbiamo visto, cadono, volenti o
no, nella botola conservatrice.
Il libertino – e di riflesso il ribelle – nasce come (s)viluppo
di Leonardo Persia
di lucidità e teorizzazione favorite dall’ingiustizia, al
mondo della quale brama inconsciamente di appartenere. Il suo risveglio più che uno start, sembra un(a) fine, il
percorso di una regressione psichica giunta al momento
splatter di putrefazione. Teorici e attivisti della protesta, dirà Pasolini, sono figli di papà. Il «soggetto logico»
dell’illuminismo, e quindi del ’68, è il borghese. E l’ordine
borghese, fatto di quei numeri e quelle cifre tanto cari a
Sade (lo rileverà pure Bataille), è «finalità senza scopo»,
che paradossalmente si giustifica sempre attraverso uno
scopo, una razionalità meccanicistica e materialistica
banditrice di ogni autentica gratuità magica (tra cui la
religione). Peter Greenaway (che diventa noto con un
film sul ‘700) docet. Piacere masturbatorio del parlare
(slogan, teorie), che rappresenta, non è, la trasgressione
(Horkheimer-Adorno). Oppure (Klossowski) descrive, non
compie. Essendo solamente «la maschera di una passione impotente».
A queste teorie disillusorie, e comunque in gran parte
attendibili, non bisogna però sottrarre la matrice giudaico-cristiana degli autori che la sorreggono. Infatti tutti
parleranno di ateismo e aridità che ne consegue, di rigetto
della religione di cui sopra. Klossowski e i francofortesi hanno davanti la
mi(na)ccia hitleriana, come Pasolini
non scorderà mai quella fascista,
pure rimpianta a conti fatti con il succedaneo capitalismo barbaro e neo
(oggi direbbe globalizzazione). D’altra
parte, il concetto pernicioso di Libertà/Male è già incistato in Sade, che
non si periterà di dare del mascalzone
o della troia ai suoi eroi cattivi, uomini
e donne. Fu Swinburne a sottolineare
per primo che la « cloaca» del divin
(non a caso…) marchese «è tutta
intrisa di azzurro».
Il primo revival cinematografico su Sade di quegli anni
fu Justine (1968), opera n. 23 del prolificissimo (170 film)
regista spagnolo (come Bunuel, altro cineasta sadiano)
Jesus Franco, maestro della serie B, C e Z, che replicherà prestissimo l’esito con De Sade 70 (1969) (forse il suo
capolavoro, da La filosofia nel boudoir) e De Sade 2000
(1970) (da Eugénie de Franval). Più in là, realizzerà un De
Sade’s Juliette (1975) e un nuovo Eugenie (1980), remake
di De Sade 70. Nel 1969 esce pure un De Sade americanotedesco di Cyril Endfield nel quale furono implicati, a vario
titolo, persino Richard Matheson, John Huston e Roger
Corman. Lo stesso capolavoro di Pasolini nasce da un’idea
abortita di film porno-pop per la regia di Pupi Avati, sulla
falsariga dei modelli internazionali.
Tutto il cinema di Franco è comunque improntato all’idea
della vittima innocente, con annesso contrasto/derivazione
horror dell’eros.
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L’approdo al marchese era naturale, come quello di Chabrol a Flaubert, di Kubrick a Schnitzler e di Spike Lee a
Malcolm X. La grande intuizione di Justine sta nello stemperare l’orrore di partenza in clima fiabesco, quasi disneyano, una vera e propria lettura critica del plot sadiano.
La fotografia di Manuel Merino abbonda di rosa, verdi,
azzurri, gialli e rossi che sembrano portare la sventurata
martire protagonista over the rainbow, come la Dorothy de Il mago di Oz. Anche la musica del nostro Bruno
Nicolai (co-produce, infatti, l’Italia, insieme alla Germania
e l’Inghilterra dell’artefice Harry Alan Towers) devia gli
echi torbidi di Una notte sul monte Calvo verso Vivaldi,
rendendo forse omaggio all’episodio finale di Fantasia,
dove il Bene trionfava sul Male. Lì pure lo sfacelo nazista
ispirava. Ma la versione non hard di Justine, qualcuno ha
detto, sarebbe la parabola mistica di Santa Oliva, ultrà del
cattolicesimo. Dall’orrore all’edificazione il passo è breve.
Ed è qui che il film si trasforma in una metafora sessantottina improntata ai dettami degli autori succitati. Justine,
nella totale inespressività della neo-attrice (imposta) Romina Power, non rende alcuno sgomento, nessuna crudezza
della sua condizione di vittima costretta a subire ogni tipo
di nefandezza da un girotondo infinito di poteri «forti» (politicanti, aristocratici corrotti, qui corretti, clero lussurioso),
come in un qualsiasi porno di Mario Salieri o Andy Casanova (da notare i cognomi evocatori del ‘700). Anzi, il Potere
novembre 2008
svela un lato persino accattivante, con l’esempio supremo
del monaco perverso interpretato da un grande Jack Palance in evidente stato d’ebbrezza (confermato dal regista). Ci
troviamo in un territorio onirico, dentro un percorso formativo che, come nel capolavoro di Baum (o di Victor Fleming),
non scalfisce la protagonista, anzi la convince ad accettare
l’ordine esistente, questo nuovo wonderland sessuale.
La vittima non è vittima e i carnefici non sono carnefici. I
conflitti di classe sono un incubo, ma ci si può (ci si deve)
risvegliare e tornare alla realtà. There’s no place like
home. Da cui l’happy end matrimoniale (Justine incontra il
suo principe) che sconfessa l’assunto sadiano (la virtù non
paga). Klaus Kinski, corpo narrante scrivente senza voce,
nel ruolo di Sade, difatti non ci sta e, nel finale, accascia
la testa sui peccaminosi scritti. E’ una specie di messa in
abisso del regista costretto a enunciare senza parlare. Così
l’iconoclasta Jesus inquina la sua produzione più armonica
e ricca, strutturata vagamente come un Hammer horror,
di brusche sterzate trash, di scivolamenti de-costruttivi,
di interiezioni e interpolazioni fuori luogo. Tutto quello che
sconcertava e sconcerta il pubblico borghese ed educato.
Gaudì, come décor naturale, da solo non basta a riconciliare, proprio come nell’ultimo Woody Allen iberico e disincantato. Dall’interno del suo stesso contenitore, composito e anarchico, Franco stesso dice no a questa ingiusta
Justine. u
basket
novembre 2008
Banca Tercas
D
opo l’affermazione di Biella nonostante l’assenza dei due
play Poeta e Piazza, la BancaTercas ha dovuto affrontare
consecutivamente due delle più forti squadre del campionato che stanno raccogliendo risultati importanti anche in Eurolega
(vedi Siena contro il Barcellona a Siena e Roma in Spagna contro il
Tau Vitoria). Dopo questi due confronti direi quasi impossibili ai fini
di un risultato positivo, nel turno successivo i teramani si sono ritrovati di nuovo in viaggio per raggiungere Cantù, dove ad attenderli
vi era una squadra di pari forza, cioè un roster quasi identico come
composizione e come individualità e qui, naturalmente, si sperava
in un risultato positivo. Il 26 ottobre al PalaScapriano, il Teramo
Basket news titolava ”Pronti per l’impossibile”. La curiosità degli
sportivi accorsi in massa era tanta e tutti speravano di assistere
ad una contesa come quella tra Davide e Golia. Ma questa volta
il piccolo, scaltro e furbo Davide ha dovuto soccombere, a causa
dell’intromissione di tre baldi signori che a loro dire volevano fare
da giudici, ma guarda caso, non si sa per quale motivo, io dico per
pura sudditanza psicologica, si sono schierati a favore del più grande
e potente, cosi il povero Davide biancorosso ad un secondo e nove
decimi al termine del supplementare e quindi alla fine dell’incontro, si vedeva scippare un risultato storico, che ai più era apparso
di Bebè Martorelli
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29
legittimo. A fine partita, infatti, non si riscontrava rammarico in tutto
l’ambiente biancorosso, per il risultato negativo e nemmeno per i
tanti palloni persi, ma soddisfazione e fiducia nell’avere visto la propria squadra ben organizzata, viva e mai doma. Va detto che Poeta,
Hoover, e Jaackes sofferenti per vari infortuni sono stati recuperati
solo alla vigilia Negli altri incontriì, da rilevare i risultati sorprendenti delle due neopromosse Ferrara su Treviso e la Juve Caserta
che batte Milano, rinnovando cosi i fasti dei duelli contro l’Olimpia
Milano nel passato; meno sorprendente il risultato di Montegranaro
che si impone sulla Fortitudo Bologna che alla vigilia dell’incontro
taglia Forte. Nel posticipo del lunedì l’Avellino va a vincere a Cantù
ed appaia Teramo in classifica generale, per il resto risultati prevedibili. Nella quarta giornata di andata, prima delle due trasferte consecutive, la BancaTercas Teramo ha dovuto affrontare a Roma una
Lottomatica veramente forte in tutti i suoi reparti e, quindi, la resa
dei biancorossi è stata quasi istantanea, specialmente nei suoi punti
cardine: vedi Poeta ed Amoroso. Va detto pure che nella seconda
parte dell’incontro c’è stato un certo risveglio, ma il risultato finale
però era stato già compromesso da un approccio alla partita del
tutto sbagliato. Risultati sorprendenti si sono avuti anche in questa
giornata. Milano non riesce proprio a far quadrare i suoi reparti e
viene sconfitta ancora a domicilio ad opera di un Montegranaro che
conferma la bontà del suo roster, anche se all’inizio erano emersi
seri problemi. L’Avellino incomincia ad accusare il doppio turno di
Eurolega e cade in casa contro un Biella rigenerato.
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pag
30
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Batosta della Virtus Bologna in quel di Pesaro, ben 34 i punti di
scarto. Cantù, prossima avversaria della BancaTercas, che va a
vincere ad Udine ed affonda la squadra friulana. Nell’approssimarsi della quinta giornata si è avuto notizia di un grave lutto che
ha colpito la pallacanestro italiana. La tragedia è costata la vita a
tre dirigenti e un giovane giocatore della Eldo Caserta.. I quattro
sono morti in un incidente stradale mentre si recavano a Potenza
per disputare una partita di campionato. Esprimo a nome di tutti
gli sportivi teramani, del Direttore e di tutta la Redazione di questo
periodico i sensi più vivi del nostro cordoglio alla società e a tutta la
città di Caserta.
Giustamente, la partita Eldo Juve Caserta-Scavolini Pesaro, è stata
rinviata a data da destinarsi.
Nel frattempo a Cantù, la BancaTercas Teramo prova a vincere,
dopo una gara dura, vibrante e altalenante nella conduzione del
gioco, a tre secondi dalla fine, con una rimessa a favore eseguita male e si vede sfuggire la vittoria: Cantù 91 - Teramo 88. Da
segnalare di nuovo un approccio alla partita lento e smarrito. Di
positivo, aldilà degli errori e del risultato finale, il fatto che si sia
rivista sul parquet canturino, una squadra viva e cinica come nelle
prime tre giornate di campionato. Certo la situazione infortuni
non depone a favore dei teramani. Capobianco deve inventare
sempre qualcosa, la sua panchina è sempre più corta, questo gli
impedisce rotazioni più adeguate. Mettiamoci l’indisponibilità di
Brandon Brawn e le non buone condizioni di Piazza e Jaacks il
quale, nonostante tutto, è stato uno dei migliori insieme a Hoover
novembre 2008
e all’inossidabile capitan Lulli, mentre Carrol, con i suoi 33 punti
è stato il trascinatore della squadra. Peccato che le prestazioni
di Poeta, Amoruso e Moss non siano ancora all’altezza del loro
potenziale. Per quando riguarda le altre partite in calendario, la
sorpresa viene da Udine dove Roma perde la sua imbattibilità
in questo campionato. Treviso ritorna ad essere Treviso a Rieti,
Milano si ricompone andando a vincere a Ferrara, Avellino con
l’ex Markovski si impone a Bologna sulla Fortezza Virtus. Notte di
riflessione della società per l’ennesima sconfitta e, all’indomani,
la decisione di esonerare l’allenatore Pasquali e di affidare la conduzione tecnica della squadra nelle mani di Boniccioli ex Teramo,
il quale porta con sé, come primo assistente il suo fido Zorzi, già
suo secondo l’anno scorso ad Avellino. Intanto Siena conserva la
sua imbattibilità e strapazza in casa una malcapitata Fortitudo
Bologna e resta pertanto al comando della classifica generale.
Alla sesta del girone di andata e dopo tre sconfitte consecutive,
la BancaTercas torna a vincere. Un vittoria cercata e voluta con
grinta e caparbietà in una gara difficile da interpretare. L’Eldo
Caserta, avversaria di turno, è scesa sul parquet del Palascapriano
determinata a portare via un risultato positivo. I ragazzi di Frates
con la difesa a zona hanno complicato non poco la vita dei biancorossi, ma prima Hoover e poi Moss hanno tolto le famose castagne
dal fuoco a Caspobianco e insieme a Poeta, Amoroso e Brown
riescono a vincere la terza partita di questo campionato.
Al Palalottomatica di Roma, Siena, con una devastante prestazione, dimostra di non avere avversari in questo campionato mentre
alcune grandi si risvegliano dal loro torpore iniziale. u
MESSAGGIO ELETTORALE
MESSAGGIO ELETTORALE
Committente Responsabile Nicola Sposetti