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Il Catasto onciario di Lagonegro del 1746: profilo di una comunità
cittadina meridionale nella metà del XVIII secolo.
Prof. Luigi Beneduci
Il Catasto onciario è un ponderoso volume del XVIII secolo, vergato in bella grafia manoscritta
che costituisce il precursore dei catasti attuali e presenta un duplice valore: da un lato è la
testimonianza delle condizioni economico-finanziarie della popolazione di una città o di un
borgo rurale alla metà del ’700, dall’altro è anche un documento che riporta alla luce la vita
quotidiana, le professioni e i mestieri, l’insieme dei rapporti familiari, le abitazioni, le condizioni
di ricchezza e la povertà all’interno di una realtà locale; un testo per designare il quale è stata
giustamente impiegata la formula di «documento /monumento»1.
Il Catasto onciario: tentativo di ammodernamento del Regno di Napoli
Questo duplice valore deriva dal fatto che, in sintesi, il Catasto onciario consiste in «una specie
di censimento generale della popolazione, corredato da una sorta di dichiarazione dei redditi»2,
approntato secondo le norme dettate da re Carlo III di Borbone ed emanate nella prima metà
del XVIII secolo per attuare il riordino fiscale del Regno di Napoli.
A differenza dei catasti moderni, che prevedono la mappature dei terreni, l’onciario o carolino
era un catasto descrittivo che elencava le famiglie residenti, i loro patrimoni e i beni posseduti.
Nonostante questo - anzi, forse proprio per questo - ha mantenuto uno straordinario valore
storico e documentario, trasmettendo nomi, cifre, dati e dettagli che altrimenti sarebbero
andati perduti.
La sua stesura seguì varie fasi, tutte rigidamente definite dalla Regia Camera della Sommaria,
l’organo amministrativo che esaminava i conti del regio tesoro, dei ricevitori provinciali e di
tutti gli altri funzionari ai quali era affidato denaro pubblico, i rendiconti dei pubblici
amministratori, i conti relativi alle imposizioni fiscali delle città regie, dette anche Universitates.
Tali fasi furono: la Rivela, l’Apprezzo, la Formazione della tassa e la Collettiva generale; in
particolare «la Rivela consisteva nella dichiarazione che tutti i cittadini erano tenuti a fare,
anche nullatenenti, laici secolari, o responsabili di luoghi di culto. Su tali dichiarazioni veniva
fatta poi la valutazione dei beni e la rispettiva rendita, cioè l’Apprezzo»3.
Sia l’Apprezzo che la Formazione della tassa venivano definiti da parte di una Commissione
eletta dai capifamiglia cittadini, in cui fossero rappresentati tutti i ceti sociali: «nobile, clero,
1
Così L. Barionovi, nel saggio La formazione del catasto onciario, sul volume collettaneo di studi AA.VV.,
Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari. Vol I. Aspetti e problemi della catastazione
borbonica, Atti del seminario di studi 1979-1983, Salerno, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983, pp 117134.
2
L. Russo, I Catasti onciari di Orta e Casapuzzano nel volume AA.VV., Note e documenti per la storia di
Orta di Atella, a cura dell’Istituto di Studi Atellani, Frattamaggiore 2006, p. 113, da cui si traggono le
citazioni e le principali informazioni seguenti; le osservazioni introduttive si trovano, rielaborate, anche in
Id., Il Catasto onciario di Casanova e Coccagna, in «Rassegna storica dei Comuni», a. XXXII (s.n.), n.
136-137 maggio-agosto 2006.
3
Ibidem.
Il Catasto onciario di Lagonegro del 1746
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civile, mediocre e basso», a cui si sarebbero affiancati anche due «estimatori esperti» e due
«componenti forestieri», per consentire «una maggiore garanzia di trasparenza»4.
I catasti di Carlo III di Borbone, tra cui quello di Lagonegro, dovevano essere uno strumento
per rendere moderne le strutture politiche, amministrative e fiscali, dopo che l’Italia
meridionale aveva smesso di essere una provincia della Spagna ed aveva dato vita ad un regno
autonomo. Bisognava, soprattutto, smantellare i privilegi del clero, della nobiltà e dei ceti
dirigenti locali, che facevano gravare i tributi fiscali sempre sulle classi più umili, senza una
precisa rilevazione dei beni e basandosi su inveterate consuetudini oppressive e inique.
Il Catasto del Regno fu, quindi, voluto dal sovrano che confidava nel suo fedele ministro
Bernardo Tanucci, per creare una ripartizione del peso fiscale, finalmente basata sul sistema
dell’imposta proporzionata al reddito. Fino a quel momento, infatti, vigeva un sistema fiscale
basato essenzialmente sulle imposte indirette sui generi di consumo: la farina, il vino, il
formaggio, la carne erano fortemente tassati, a tutto svantaggio di chi possedeva una rendita
misera, che veniva ulteriormente ridotta dalle imposte gravanti su beni di prima necessità della
vita quotidiana.
Solo i più ricchi potevano permettersi di non avvertire il peso delle tasse, per le loro
disponibilità finanziarie. Il Catasto, invece, registrando abitazioni, terre, patrimoni, e
considerandone non solo il valore, ma la loro rendita, avrebbe significato per i benestanti
pagare in rapporto ai propri averi, e per i meno abbienti essere tassati in base alle loro
possibilità; in questo modo, secondo quanto aveva affermato lo stesso re Carlo il 17 marzo
1741 nella prammatica che stabiliva l’istituzione del Catasto onciario, si sarebbe rispettato il
seguente principio di giustizia: «i pesi siano con eguaglianza ripartititi ed il povero non sia
caricato più delle sue deboli forze ed il ricco paghi secondo i suoi averi»5.
Il dibattito critico sul Catasto: tassazioni inique, permanenza di privilegi e accordi
corporativi tra ceti benestanti
Nonostante questi buoni propositi, però, fin da subito sullo strumento dei Catasti e sulle norme
della loro realizzazione si evidenziarono pesanti criticità. Già sulla fase dell’Apprezzo e della
Formazione della tassa gravava numerosi sospetti: «i maggiori […] erano concentrati
sull’imparzialità delle valutazioni», in quanto «spesso gli eletti e i deputati alla formazione del
Catasto erano gli stessi maggiori proprietari […] o erano ad essi legati da relazioni di parentela
o di affari»6.
Tra le tasse più inique vi era il Testatico, che prevedeva un’imposta calcolata sul numero dei
cittadini e non sul reddito, quindi gravante su ciascuna “testa” dei membri della comunità, ma
da cui era escluso chi viveva di rendita, ossia proprio i nobili (oltre chi aveva compiuto il
sessantesimo anno di età). Ancora peggiore era la tassa sull’Industria in quanto esigeva «un
tributo forfettario sui redditi da lavoro» da parte di massari, bracciali, artigiani e chiunque era
occupato in attività lavorative, ancora una volta escludendo (oltre i minori di quattordici anni)
4
Ibidem.
F. Barra, Pensiero riformatore e azione di governo. Il dibattito sul Catasto nel mezzogiorno
settecentesco, in AA.VV., Il Mezzogiorno settecentesco, cit., p. 19.
6
L. Russo, I Catasti onciari di Orta e Casapuzzano, cit., p. 113.
5
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chi percepiva una rendita sfruttando il lavoro altrui 7. Vedremo più avanti, nello specifico, le
norme che regolavano tali esenzioni.
A ciò va aggiunto che all’epoca non esisteva un servizio anagrafico cittadino, per cui gli elenchi
degli abitanti, «che avrebbero potuto permettere gli indispensabili controlli»8, erano affidati ai
sacerdoti, che erano i soli a gestire i registri delle parrocchie, in cui venivano annotate nascite
e morti, ed erano spesso legati a filo doppio con i ceti possidenti locali.
Di queste storture si accorsero per primi gli stessi contemporanei: in primo luogo non si
sarebbe potuta ottenere nessuna «equa distribuzione del peso fiscale» finché fosse continuato
«il perdurare del privilegio feudale», che si sarebbe dovuto abbattere del tutto; in secondo
luogo apparve chiaro che affidare la «formazione del catasto ai deputati delle Università era la
peggiore soluzione possibile perché questi, non solo non offrivano garanzie di competenza, ma
minavano anche l’imparzialità dei lavori»9.
Già all’atto dell’emanazione delle Istruzioni da parte della Sommaria, tra 1741 e 1742, il
filosofo ed economista Carlo Antonio Broggia, nel suo Trattato de’ tributi, pubblicato nel
174310, aveva denunciato, con parole inequivocabili e senza appello, che i membri delle
commissioni incaricate del Catasto finivano per favorire «per varj rispetti di amicizia, o di
interesse, chi ha più beni»11.
Le critiche e le proposte dell’economista napoletano non solo rimasero inascoltate, proprio
nella delicata fase in cui il Regno procedeva a realizzare il Catasto onciario carolino, ma gli
fruttarono l’inimicizia del Segretario della Reale Azienda, il Ministro delle Finanze del tempo,
Leopoldo De Gregorio, poiché Broggia «si poneva con i suoi scritti al di sopra e contro i
ministeri chiamando il re e il popolo a giudicare il governo» e, insieme agli altri, accusando
soprattutto lo stesso De Gregorio; così quest’ultimo non si fece scrupolo a ordinare il sequestro
delle opere del Broggia e l’esilio di questi a Pantelleria. Lo Stato borbonico si dimostrava ancora
troppo lontano dalle posizioni di un lungimirante economista che esprimeva «un movimento di
idee contrario alle imposte personali, ai tributi arbitrari e sperequati»12.
Come era prevedibile, quindi, il progetto di riforma intrapreso con il catasto onciario, non
ottenne i risultati desiderati, in gran parte per la resistenza di quei ceti che avrebbero visto
ridotti i loro privilegi: rimasero pertanto in piedi abitudini e forme di sfruttamento feudali, i
potentati locali non cedettero il loro potere di fatto, sfruttando l’ignoranza del popolo,
impiegando la corruzione e allacciando forme di corporativismo tra classi, ceti e individui
accomunati dai medesimi interessi.
Questo è confermato dalla testimonianza di Giuseppe Maria Galanti, che fu giurista,
economista, statistico e viaggiatore, il quale nella sua Descrizione storica e geografica del
Regno delle Due Sicilie, assai prudentemente invero, constatava come la provvide disposizioni
del re fossero state traviate: «Ma quella nobile idea del monarca, per le istruzioni del tribunale
della Sommaria date fuori nel 1741, soffrì nel fatto tale alterazione dalle nostre leggi, dalle
7
Ibidem.
Ibidem.
9
Ivi, p. 110.
10
C. A. Broggia, Trattato de’ tributi, delle monete e del governo politico della sanità. Opera di Stato e di
commercio, di polizia e di finanza, Napoli, 1743.
11
Ivi, p. 13.
12
L. De Rosa, Dizionario Biografico degli Italiani. Broggia, Carlo Antonio, vol. XIV, Roma, 1972, pp. 41642.
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massime del foro e da’ pregiudizj nazionali, favorevoli a’ soli ricchi, che il sollievo, di cui si
voleva che godessero i poveri, divenne inefficace, ed il peso ricadde in gran parte sopra di
essi»13.
A questa considerazione generale il Galanti aggiunse due amare riflessioni: una prima sul fatto
che venne applicata un’iniqua «tassa delle arti fabbrili» che colpiva i ceti più votati al lavoro,
tassando le «mercedi che la gente povera ed industriosa si procaccia per vivere»; la seconda
osservazione, di natura più psicologica e antropologica che economica, riguardava le esenzioni
dal tributo personale applicate ai benestanti: «dal testatico – ricorda - furono esentati gli
ecclesiastici; e fino a carlini dieci coloro che vivono nobilmente, come sono i dottori, i medici, i
notai, i giudici a contratti e gli altri senza mestiere», e ciò per nutrire il loro «ridicolo orgoglio»,
che cresceva «veggendosi scaricati di un peso che sembra destinato all’industrioso agricoltore
ed a’ padri di famiglia indigenti»; lo studioso conclude che almeno «le donne felicemente furon
fatte immuni dal testatico e dalle once personali»14. Le resistenze mentali, i pregiudizi, il
becero interesse personale e di classe dovevano ancora lasciare a lungo e in profondità il loro
segno sulla società e, più ancora, sulla mentalità del Meridione, rallentandone fino ad oggi la
piena modernizzazione.
Va però precisato che, pur con tutti i limiti evidenziati, quel tentativo di riforma non fu senza
conseguenze: per la prima volta si affermò, almeno sul piano teorico, un principio egualitario,
laico e razionale che sarebbe comunque rimasto presente nelle istituzioni e che si sarebbe
lentamente affermato con il crollo dell’ancien règime, la Rivoluzione francese, la Repubblica
napoletana del 1799 e il Decennio napoleonico.
Le Universitates: i liberi comuni del Regio Demanio
Questa è, in breve, la situazione storica e il dibattito critico all’interno del quale si svolge la
stesura dei catasti onciari da parte delle Universitates, i liberi comuni dell’Italia meridionale. Su
quest’ultima istituzione, però, conviene svolgere un sintetico approfondimento, per completare
il quadro del contesto politico-istituzionale in cui leggere le informazioni desumibili dall’onciario
di Lagonegro.
Fin dalla metà del Cinquecento, va premesso, nella vita sociale e politica della Basilicata «si
avviava un processo di autonomia» delle comunità cittadine: «i cittadini potevano riscattare» la
libertà e l’autonomia della propria città, «pagando al potere regio la somma altrimenti versata
dal barone». Così le terre passavano al Regio Demanio e, «senza l’intermediazione del barone,
divenivano di possesso comune e quindi “universali”», motivo per cui tali comunità cittadine
erano chiamate, con termine latino Universitas, in italiano Università, ossia unione di tutti i
cittadini (universi cives) con diritto di tenere pubbliche riunioni per autogovernarsi15.
13
Per questa e le successive citazioni cfr. l’opera di G. M. Galanti, Nuova descrizione storica e Geografica
delle Sicilie, pubblicato in Napoli nel 1788, vol. II, cap. XI Riforme fatte delle finanze nel regno di Carlo
Borbone, par. I Del catasto, p. 125; l’intera opera del Galanti ricevette una complessiva sistemazione in
cinque volumi: Della Descrizione geografica e politica delle Sicilie, Napoli, I vol. 1786, II vol. 1788, III
vol. 1789, IV vol. 1790, V vol. incompiuto 1794; esiste anche una ristampa moderna a cura di F. Assante,
D. Demarco, 2 voll., Napoli, ESI, 1969.
14
Ivi, pp. 126-127.
15
Le citazioni e le informazioni sulle Università lucane derivano dal saggio di P. Fuccella, Breve storia
della Basilicata. L'Età moderna, Quaderni di Basilicata Regione Notizie, Finiguerra Arti Grafiche, 1996; ma
si veda anche N. Vigliotti, Sorgere e sviluppo delle Universitas nell'Italia meridionale in Note su Limata,
Edizioni Realtà Sannita, 2001.
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Il Catasto onciario di Lagonegro del 1746
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Questo «processo di emancipazione», all’inizio, fu tuttavia «infrequente» in Basilicata: il
riscatto non si dimostrava durevole, poiché era «molto costoso e comportava un immenso
sacrificio economico da parte dei cittadini»; col tempo, però, si diffuse sempre più la
«coscienza politica autonomistica», acuita da un sistema fiscale insostenibile, che sfociava in
«rivolta contro gli abusi dei baroni» e degli altri feudatari. Tra le città regie, oltre a Saponara
che si era riscattata già nel XV secolo, nel secolo successivo si liberarono dal giogo feudale
Matera, Lagonegro, Maratea, San Mauro e Rivello 16.
Le Universitates, queste forme di amministrazione cittadina, in rapporto dialettico con il potere
centrale, oggi sono oggetto di un rinnovato interesse da parte degli storici dell’Italia
meridionale, realtà territoriale che, non a caso, è stata recentemente definita come «L’Italia
delle altre città»17. È infatti vero che il Sud non ha conosciuto l’«esperienza straordinaria dei
liberi comuni» del centro-nord Italia e dell’Europa tra medioevo e prima età moderna, però la
nascita delle Università cittadine a partire dal ’300-’400, ha consentito anche nel Mezzogiorno
«spazi sempre più ampi di partecipazione politica», sebbene ristretti «nelle forme consentite
dall’esistenza di un potere superiore effettivo e non solo nominale» 18, quale la corona di Napoli,
con cui le comunità cittadine autonome dovettero instaurare un non sempre facile rapporto
fatto, alternativamente, di subordinazione, alleanza o affrancamento.
Sta di fatto, comunque, che nel Settecento, dopo il dispaccio monarchico del 1740 e le
disposizioni della Regia Camera di Sommaria del 1741-42, furono proprio le ormai numerose
Università del regno ad essere chiamate a compilare il proprio catasto, impegno che si
concluse solo nel 1753-54, dopo enormi difficoltà.
Il nome del Catasto “onciario”: l’oncia napoletana, moneta di conto
Il Catasto fu detto “onciario” perché Carlo di Borbone aveva stabilito che l’unità di misura del
pagamento delle tasse fosse una moneta denominata oncia napoletana dal valore
convenzionale di sei ducati. L’oncia era stata un’antica moneta circolante nel Regno fino all’età
aragonese, ma nel Settecento la moneta effettivamente in corso era il ducato ed i suoi
sottomultipli, per cui il sistema monetario è così riassumibile:
1
1
1
1
1
1
oncia = 6 ducati
ducato = 5 tarì
tarì = 2 carlini (1 ducato = 10 carlini;1 oncia = 60 carlini)
carlino = 10 grani o grana (1 ducato = 100 grani/a; 1 oncia = 600 grani/a)
grano = 2 tornesi (1 ducato = 200 tornesi; 1 oncia = 1200 tornesi)
tornese = 6 cavalli (1 ducato = 1200 cavalli; 1 oncia = 7200 cavalli).
L’oncia impiegata per il calcolo dell’imposizione fiscale non era realmente circolante, ma
fungeva da moneta di conto. Fiscalmente, l’oncia per reddito imponibile equivaleva a 3 carlini,
quella per redditi animali a 6 carlini, rappresentando quindi un’imposizione rispettivamente del
5% (3 carlini sono infatti il 5% di un’oncia di 6 ducati, ovvero di 60 carlini) e del 10% (6 carlini
sono il 10% di un’oncia di 60 carlini, appunto).
16
17
18
P. Fuccella, op. cit.
G. Vitolo, L’ Italia delle altre città. Un'immagine del Mezzogiorno medievale, Napoli, Liguori, 2014.
Ivi, p. XIII.
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Il Catasto onciario di Lagonegro del 1746
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La struttura del Catasto onciario: i dati anagrafici dei fuochi, la rilevazione dei beni e
le registrazioni catastali
Il Catasto doveva registrare, con la maggiore precisione consentita per l’epoca, le proprietà, le
rendite e le attività di ciascuna famiglia, che secondo il sistema del focatico erano chiamate
fuochi.
Già le istruzioni della Sommaria indicavano con minuzia come si sarebbe dovuto procedere da
parte degli estimatori deputati a rilevare i beni presenti sul territorio; la Sommaria voleva che
fossero «agrimensori, apprezzatori e ben esperti del territorio della Terra dove si formava il
catasto e conoscitori di coloro che lo possedevano», per poter compiere con scrupolo il loro
compito, che non consisteva solo in un censimento, ma anche in un’attenta valutazione del
valore, delle rendite, dell’impiego, delle attività praticate, che potevano essere note solo a chi
conosceva bene la realtà di riferimento:
«Fra tanto dovranno i quattro apprezzatori eletti coll’assistenza dello scribente ad essi
destinato dar principio all’apprezzo dei territori siti nel distretto del luogo, ed acciò
possa intieramente perfezionarsi senza tralasciarsi partita alcuna, dovranno cominciarlo
da una parte del Territorio, e consecutivamente proseguendo girare, finché anderanno a
terminare nell’istessa parte, dove avranno principiato, affinché non commettano
qualch’errore in tralasciarne alcuna partita. Dovranno apprezzarsi tutti i territori, vigne,
oliveti, chiuse, foreste, difese, giardini (eccetto quei piccoli giardini, che sono accosto le
case de’ cittadini per proprio uso) boschi, serve, arbusti, castagneti, terre seminatorie,
o pascolatorie, in guisa che tutto l’intiero Territorio sia apprezzato, senza eccettuare
nemmeno piccolissima parte, chiunque ne sia il possessore, e di qualunque stato,
grado, e condizione, spiegandosi con distinzione il possessore, niuno eccettuato, la
qualità e capacità dello stabile, la contrada ove sia sito, e tutti i fini, e confini»19.
Concluse queste operazioni, si poteva passare alla redazione del Catasto, in cui erano fornite
dettagliate informazioni sui nuclei familiari, che si susseguono secondo l’ordine alfabetico del
nome di battesimo dei capifuoco, ossia dei capifamiglia, con una ricchezza che non si ritroverà
più in alcun altro censimento. Ogni scheda o partita catastale indicava, per ciascun neucleo, il
numero dei componenti, la loro età, l’attività svolta, il rapporto di parentela con il capofamiglia
e la residenza (ad esempio: “abita in casa propria nel luogo il Cantarano”), come emergevano
dalle releve, dagli spogli e dagli accertamenti degli apprezzatori.
Vi si dava notizia, poi, dei beni appartenenti ai contribuenti: delle abitazioni era descritta la
tipologia, l’ubicazione, spesso anche la grandezza (“casa palaziata”, “comprensorio di case di
vani [...] soprani e sottani”). Dei terreni erano indicati i confini, l’estensione e il tipo di
coltivazione (“possiede un castagneto al Serra, anche dotale, confinante Leonardo Lofrano […]
possiede alla Colla una vigna […] possiede alcuni piedi di castagne nel luogo Tempone”); vi era
quindi la descrizione degli eventuali capi di bestiame.
19
Le parti salienti delle Istruzioni sono riportate da L. Barionovi ne La formazione del catasto onciario, del
già citato AA.VV., Il Mezzogiorno settecentesco, cit., p. 127; ma si possono leggere direttamente dalla
raccolta delle Pragmaticae, edicta, decreta, interdica, regiaeque sanctiones Regni Neapolitani, cap. Forma
Censuali et Capitationum sive De Catastis, Vol II, Napoli, 1772, pp. 57 segg., e dalla collezione di leggi di
L. Cervellino, Direzione ovvero Guida delle università di tutto il regno di Napoli per la sua retta
amministrazione, vol II, Napoli, 1776, pp. 5-23, entrambe facilmente rinvenibili in internet.
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Il Catasto onciario di Lagonegro del 1746
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Per un elenco più rigoroso e schematico, possiamo indicare analiticamente le seguenti voci
oggetto di registrazione catastale, riassunte dal Barionovi:











Stato di famiglia, accertato, con generalità come nelle releve.
Testatico.
Once d’industria riferite analiticamente ai nomi dei soggetti.
Case di abitazione proprie o in fitto
Case date in fitto con l’indicazione del canone.
Terreni e altri immobili rustici.
Capitali (censi bollari e prestiti).
Censi enfiteutici.
Denaro impiegato in negozio o mercanzia.
Animali posseduti.
Pesi (debiti, censi e altre passività)20.
Le tre tassazioni principali: il testatico, le “once d’industria”; la tassa sui beni. Pesi e
privilegi.
I cittadini dell’Universitas erano poi sottoposti alla tassa del testatico o focatico, così chiamato
perché applicato per ciascun individuo o “testa” e per “capofuoco”; una tassa regolata dalla
seguente norma, emanata dalla Sommaria, in cui furono inserite le arbitrarie agevolazioni
fiscali, a cui abbiamo accennato in precedenza.
Dal testatico, infatti, come dalla successiva imposta sul lavoro erano esonerati proprio coloro
che vivevano more nobilium, cioè di rendita, o che esercitavano professioni liberali, quelle cioè
che provengono dall’intelletto «che è grazia divina», e quindi non tassabile.
«Per la testa sono tassati tutti coloro, che non vivono nobilmente, cioè tutti coloro, che
esercitano qualche arte non nobile, ma manuale. Sono perciò esclusi dalla tassa della
testa, così quelli, che vivono delle loro rendite, come anche i Dottori di legge, i Medici
Fisici, i Notai, ed i Giudici a Contratti. […] La tassa della testa può essere carlini dieci, o
più, o meno, secondo i bisogni dell’Università, come si dirà in appresso; l’esenzione da
questa tassa però vale fino alla somma di carlini dieci; ma se la tassa fosse di più, tutti
devono pagare il di più, o sia Medico, o Dottore di legge, o ogni altro nobilmente
vivente. I sessagenarj ancora sono immuni dal pagamento della testa fino alla somma
di carlini diece, e per il di più anche devono contribuire»21.
Va sottolineato che la Camera di Sommaria aveva stabilito che la tassa del testatico potesse
variare da un minimo di 10 carlini ad un massimo di 17 carlini e 5 grani per fuoco; ogni
Universitas avrebbe potuto scegliere il proprio livello di tassazione, in base alle esigenze
contingenti, tra i due estremi. Dove si applicava il minimo della tassazione, oltre le categorie
privilegiate, erano del tutto esenti anche gli ultrasessantenni; il primo figlio di un
ultrasessantenne, però, che avesse avuto più di 17 anni, doveva pagare il testatico per sé e
per il padre, scontato di 10 carlini. Erano tenuti a pagare il testatico tutti i cittadini, abitanti e
non, mentre i forestieri erano esentati; questi pagavano però lo jus abitationis di 15 carlini.
20
21
Cfr. L. Barionovi, op. cit., p. 131.
Ivi, pp. 131-32.
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Il Catasto onciario di Lagonegro del 1746
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Per quanto riguarda la tassa sul salario, le cosiddette “once d’industria”, cioè il valore in once
dell’attività lavorativa da tassare, sempre applicate per persona, erano definite da un’altra
norma delle Istruzioni, che oggi può interessare non solo il tributarista, ma anche lo storico
della società, perché in essa cominciarono a essere rappresentate le attività artigianali,
agricole e manuali più diffuse, a cui veniva attribuito un valore medio forfettario del salario.
«Oltre alla tassa per i beni, e per la testa, pagano anche i Cittadini per il mestiere, che
taluno faccia colla persona. Non è però uniforme il pagamento, ma diverso, secondo
diversi sono i mestieri, e che danno o maggiore, o minore guadagno a chi l’esercita.
Abbiamo in ciò la tassa fatta dalla Regia Camera nell’anno 1639, ed approvata negli
ultimi tempi dalla Giunta dell’Allivio, che è la seguente: Alli Speziali di Medicina, e
Manuali, Procuratore, quando non è Notaro, oncie 16. Sonatore, Panettiere, Azimatore,
Cositore, Mandese, e Carrese, Calzolaro, Massaro, Arte di far Carra, Ferraro, Barbiere,
Fornaro, Bottegaro, Calzatolo, oncie 14. Viaticale, Tavernaro, Ortolano, Putatore,
Fabricatore, Armiere, Polliere, Chianchiere, Cernitore, Lavorante, oncie 12. Questa
dunque dovrà osservarsi, ed eseguirsi. Quelli che non fanno mestiere alcuno manuale,
ma vivono colle loro rendite, non sono compresi in questa tassa, come pure non sono
tassati coloro, che esercitano professioni nobili, le quali, secondo si è detto di sopra,
rendono taluno immune dal peso della testa fino all’accennata somma di carlini
diece»22.
In sintesi, secondo queste indicazioni, le più elitarie attività intellettuali e chi viveva di rendita,
a cui si aggiungevano i sacerdoti, per diritto di casta rimanevano immuni anche da questa
tassa; le attività manuali erano invece tassate per 16, 14 o 12 once. Inoltre i minori maschi tra
i 13 e i 17 anni, se lavoratori, erano tassati per 6 once, mentre solo le donne, i bambini, gli
inabili e i forestieri erano esentati.
Il Catasto, infine, indicava le rendite e calcolava l’imponibile, ossia la tassa sui beni, a cui
sottrarre i «pesi da dedursi», costituiti di solito dal pagamento di censi e canoni agli enti
ecclesiastici e al feudatario o da interessi su capitali presi in prestito. Erano tenuti a pagare sia
i fuochi che i forestieri; i preti pagavano solo per le rendite extra-patrimoniali; le chiese, i
monasteri e i luoghi pii pagavano la metà. Le vedove e le nubili erano tassate solo se le rendite
dei loro beni superava i sei ducati. I beni feudali erano esenti da tasse. Le chiese, infine,
detraevano dal valore dei beni o delle rendite le spese per l’acquisto di cera e per le Messe al
reverendo Clero; in tal modo le tasse da pagare venivano ridotte al minimo o addirittura
azzerate23.
Il catasto si concludeva con la Collettiva delle once, vale a dire con l’elenco dei contribuenti,
divisi per categoria (cittadini abitanti laici, vedove e zitelle, fuochi assenti, ecclesiastici
cittadini, luoghi pii cittadini, forestieri abitanti laici, forestieri abitanti ecclesiastici, forestieri
bonatenenti non abitanti laici, forestieri bonatenenti non abitanti ecclesiastici, luoghi pii
forestieri), con le rispettive rendite24.
22
Ivi, p. 132.
Per la redazione di questa parte, mi sono avvalso di una serie di appunti inediti del prof. Carlo Calza,
che tengo a citare per l’attento lavoro di ricerca storica svolto verso la città di Lagonegro.
24
Cfr. L. Barionovi, op. cit., p. 133.
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Il Catasto onciario di Lagonegro del 1746
Luigi Beneduci
Il Catasto onciario di Lagonegro: una prima analisi della realtà socio-economica
Il volume del Catasto onciario di Lagonegro è composto complessivamente di 363 fogli; va
però segnalata l’assenza di una cinquantina di fogli 25, per integrare i quali è necessario
consultare la copia conforme, obbligatoria per legge, custodita nell’Archivio di Stato di Napoli.
Facendo quindi ricorso alla copia napoletana, alcuni anni fa è stata realizzata una prima analisi
dei dati del Catasto da parte di due appassionati studiosi di storia locale, Francesco Brigante e
Salvatore Trunfio, i quali, con un meticoloso lavoro, hanno estratto un profilo della situazione
sociale, economica e demografica della cittadina alla metà del XVII secolo26.
I risultati dell’indagine sul Catasto realizzata dai due cultori della materia sono stati resi
pubblici tramite un CD-ROM autoprodotto dallo stesso Trunfio27. L’onciario di Lagonegro riporta
776 fuochi familiari, per un numero di abitanti non inferiore a 3530, a cui vanno aggiunti 68
sacerdoti e 3 diaconi. Di seguito si riproduce integralmente, per la sua completezza e
accuratezza, il regesto degli ulteriori dati:
«Tra le numerose informazioni che possiamo ricavare da tale documento [il Catasto
onciario] vi sono quelle riguardanti le classi sociali, le professioni, le industrie ed i
mestieri dell’epoca. I notabili del tempo si fregiavano del titolo di Magnifico.
Il titolo di Magnifico, salvo qualche eccezione, era riservato al capofamiglia, spesso tale
titolo era seguito da altri appellativi come quello di Dr., Don e dalla professione
esercitata.
Il titolo di Dottore distingueva coloro che per esercitare una professione dovevano
conseguire una laurea. Si contano 17 Dottori in Legge e 5 Dottori in Medicina; i primi
sono contraddistinti soltanto dal titolo di Dottore, i secondi sono indicati dalla dicitura
"Dottore Fisico".
Il "Don", secondo quanto afferma il Pesce nella Storia della città di Lagonegro28,
distingueva i Dottori in Legge che esercitavano la professione, nel nostro caso 9 su 17.
Per esercitare la professione di Notaio, Speziale di Medicina e Medico Chirurgo non c’era
bisogno della laurea. Si rilevano 5 Notai, 1 Speziale di Medicina, 2 Speziali, 1 Medico
Chirurgo. In 11 casi il titolo di Magnifico non è seguito da altri appellativi.
In soli due casi il titolo di “Magnifico” è seguito da un titolo nobiliare, quello di Barone di
Battifarano e quello di Barone della Battaglia. Tali titoli non davano alcun privilegio ai
loro possessori in quanto Lagonegro apparteneva al Regio Demanio.
Il bosco ed il pascolo erano la principale ricchezza dell’economia cittadina. L’orto, la
vigna ed i seminativi erano soltanto elementi di supporto. L’industria maggiormente
25
Più precisamente, sulla copia conservata in Lagonegro, la lacuna si trova tra il foglio 290 (verso), dove
si legge la scheda di Marco Falabella «custode de bovi», e il successivo 291 (recto), dove si trova la
condizione patrimoniale e reddituale di Nicola Falabella. Quindi, poiché il catasto procedeva in ordine
alfabetico onomastico, mancano una cinquantina di fogli con quasi tutti i cittadini con il nome di
battesimo iniziante in M e molti di quelli con il nome in N.
26
Va premesso che «come fonte per la ricerca demografica l’onciario può rivelarsi talvolta meno
attendibile, rispetto alle rivele e agli stati d’anime, per eventuali inesattezze nei soggetti fiscalmente
irrilevanti (donne, per lo più)»; per il resto, i dati risultano fondati e storicamente probanti, in quanto
«per i molteplici aspetti economico-sociali l’onciario è senz’altro una fonte privilegiata» L. Barionovi, op.
cit., p. 134.
27
L’analisi dei dati demografici, sociali ed economici si trova nel CD-ROM di S. Trunfio, Lagonegro in
frammenti (2008).
28
C. Pesce, Storia della città di Lagonegro, Napoli, Reale stabilimento tipografico Pansini, 1913; ristampa:
Grafiche Zaccara, Lagonegro, 1994, p. 273.
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diffusa era quella zootecnica, si contano 24.060 ovini, 4.269 caprini, 720 bovini di cui
471 buoi, 48 muli, 87 borrichi, 88 somari, 122 scrofe, 79 neri, 22 giumente, 7 cavalli.
La categoria più numerosa risulta essere quella dei braccianti con 171 addetti,
seguivano i custodi di animali con 160, i massari con 96, i pecorari con 69, i pastori con
20; la figura del massaro è caratterizzata più dal possesso di animali che da quello
terriero.
Riguardo agli altri mestieri si evidenzia la scarsa componente di negozianti, la presenza
di 4 pesa cannella, 1 pizzicarolo, 1 macellaio, 5 coltivatori di vigna. A tal proposito è
interessante ricordare che a Lagonegro furono censite 653 vigne con dimensioni varianti
da 1 opera (nel Regno di Napoli era pari ad Ha 0, 242) a 23 opere.
Come tutti i centri vicini alle strade di comunicazione e quindi con maggior apertura al
mercato in Lagonegro era presente una consistente ed articolata categoria artigianiale.
Erano presenti circa 150 artigiani, di cui 45 avevano la qualifica di Mastro: d'Ascia,
Barbiere, Caldararo, Cardalana, Carpentiere, Conciatore di pelle, Fabricatore,
Falegname, Ferraro, Lignaro, Scardalana, Scarparo, Sediaro, Tomiero, Scoppettiero,
Vardaro. Il gruppo artigiano di maggior peso per l’economia cittadina resta ancora
quello dei sediari, come si evince anche dalla relazione dell’Università di Lagonegro
inviata al Gaudioso nel 1735; ma dal consistente numero di addetti al settore laniero si
può affermare che si stiano già ponendo quelle basi che avrebbero dato impulso allo
sviluppo del settore tessile nel secolo successivo»29.
L’elenco dei Magnifici nel Catasto onciario
L’analisi è accompagnata da un interessante elenco che indica gli abitanti della città i quali
possono fregiarsi del titolo di Magnifico: costoro sono «gli onorati del popolo, persone che si
distinguevano dai ceti inferiori pur non entrando a far parte della nobiltà» 30, noti anche come il
ceto dei «civili», quelli che non vivevano praticando mestieri meccanici e che in vario modo
erano considerati benemeriti e di riconosciuta importanza ed onore nella realtà locale. L’elenco
dei Magnifici nel Catasto onciario di Lagonegro, secondo le indicazioni fornite da Brigante e
Trunfio, comprende31:
MD Don Alessandro Falcone (Magnifico Dottore Don)
MD Andrea Consoli (Magnifico Dottore)
MD Antonio Grossi
M Antonio Orlando (Magnifico)
MD Antonio Vita
MD Arcangelo Grandonio
MD Don Carlo Mango
MDF Clemente Corrado (Magnifico Dottore Fisico)
MD Don Cesare Gallotti
MDF Domenico Arcaro
M (SdM) Domenico Pierri (Magnifico Speziale di Medicina)
M Domenico Orlando
29
S. Trunfio, op cit; relativamente al numero di animali e di vigne, l’autore precisa che non è stato
considerato quello dei possedimenti ecclesiastici, di cui sarebbe necessaria un’ulteriore integrazione.
30
A. di Sanza d’Alena, Il Catasto Onciario di Ascoli Satriano del 1753. Valutazione e individuazione dei
criteri per una classificazione delle famiglie secondo il ceto di appartenenza, Quaderno n. 6, Studi e Fonti
Documentarie della Società Genealogica Italiana;
http://www.casadalena.it/Catasto%20Onciario%20Ascoli%20SAtriano.pdf
31
S. Trunfio, op. cit.
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M (S) Egidio Maturo (Magnifico Speziale)
MD Don Felice Tortorella
MD Don Francesco Corrado
M Francesco Caputo
MD Don Francesco Soria
MD Francesco Consoli
MD Don Francesco A. Falcone
M Gio Consoli
M Giustiniano Hispano
M (S) Gregorio Raede
MN Giuseppe Marsilia
M Giosuè De Grandis
MD Giuseppe Grandonio (Barone di Battifarano)
MN Lo nardo l' Arciprete
MMC Lonardo l' Amalfi (Magnifico Medico Chirurgo)
MD Lonardo Rocco
M Marco Antonio Corradi
MDF Nicola Marsilia
MN Nicola Vita
M Nicola Mango
MN Rocco la Daga
M Stanislao Arcaro
MDDon Scipione Mazzei
MDF Saverio Molinaro
MN Vito Mitidieri (Magnifico Notar)
MDD Franc. Arc. Stefanelli
M Mario Gallotti (Barone della Battaglia)
Conclusione
Come si vede, si tratta di una miniera di informazioni, che consentono un’affascinante viaggio
nella vita di Lagonegro nel 1746. Per lo storico, sono indicate le classi sociali, le attività
produttive, le linee essenziali di sviluppo di una comunità cittadina, ancora immersa nell’ancien
règime, ma già orientata ad avviarsi verso la modernità; per tutti gli altri, però, coloro che
hanno curiosità e sete di sapere, vi si possono ritrovare antichi nomi, origini familiari, lavori e
attività perdute o proseguite per secoli, luoghi noti e dimenticati, strade e quartieri, botteghe
artigiane, curiosità ed aneddoti.
È, in definitiva, un’opera che conserva e tramanda intatto il fascino del passato, il ritratto di ciò
che eravamo, che è sempre all’origine della propria identità e di ciò che siamo diventati.
Ora questa ricchezza è stata recuperata e preservata: il volume del catasto non è stato solo
affidato ad una ditta specializzata che ne ha salvato le carte, che rischiavano di degradarsi
irreparabilmente, ma il testo è pronto ad affrontare altri secoli grazie alla digitalizzazione
professionale del manoscritto: il delicato supporto fisico potrà così restare al riparo mentre
sarà possibile consultare, da parte di un numero virtualmente infinito di utenti, la copia
digitale.
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Il restauro del volume, il sito internet, l’analisi lessicale e linguistica, la presente introduzione
storica sono solo il presupposto per altri progetti di valorizzazione e approfondimento di questo
testo che, dopo aver conservato le radici storiche di Lagonegro, è entrato nel terzo millennio,
rinnovato nel suo aspetto fisico e nello spirito, a patto però che trovi interesse presso gli
studiosi, le scuole, le associazioni e tutti i cittadini.
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Il Catasto onciario di Lagonegro del 1746
Luigi Beneduci
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