gli albanesi in piemonte
Transcript
gli albanesi in piemonte
CAPITOLO 1 L’integrazione dei migranti maghrebini in Piemonte ∗ di Enrico Allasino e Roberta Ricucci. Ringraziamo tutti coloro che hanno reso possibile questa ricerca fornendoci informazioni e dati, in particolare il Settore statistica della Città di Torino. 37 Premessa Gli immigrati provenienti dall'Africa settentrionale sono stati tra i primi a giungere in Piemonte e per molto tempo sono stati il gruppo più numeroso. Sin dagli anni settanta erano arrivati in Piemonte alcuni commercianti ambulanti magrebini, che si rendevano molto visibili percorrendo le città e le campagne con il loro carico di merce. Nei primi anni ottanta, tuttavia, tra le singole nazionalità prevalevano ancora gli europei occidentali o, fra gli extracomunitari, gli iraniani, i vietnamiti e i filippini. Ma sul finire del decennio, soprattutto in seguito alla regolarizzazione del 1986, i magrebini erano notevolmente cresciuti di numero. Tra di essi predominavano, e predominano tuttora nettamente, i marocchini, sui quali ci soffermeremo in particolare. L'apertura di un consolato del Marocco a Torino ha recentemente dato un suggello formale all'importanza di questa popolazione, oltre ad agevolare il disbrigo delle pratiche e le relazioni con le amministrazioni locali. I marocchini in effetti divennero non solo il gruppo più numeroso, ma anche quello emblematico dell'immigrazione straniera in Piemonte. In una indagine campionaria sulle opinioni e gli atteggiamenti dei piemontesi nei confronti dell'immigrazione, condotta alla fine del 1990, la domanda iniziale del questionario chiedeva agli intervistati di indicare chi venisse loro in mente quando si parlava di stranieri immigrati. In due terzi dei casi la risposta spontanea fu "i marocchini" (Ires, 1992, p. 97). L'immagine che i piemontesi avevano dei marocchini risultò piuttosto negativa, più di quella degli africani neri, anche se decisamente migliore di quella dei nomadi. 1. Evoluzione del fenomeno Da molti anni il Piemonte si colloca tra le regioni italiane in cui sono più numerosi gli stranieri immigrati, anche se non ha mai raggiunto i livelli quantitativi della Lombardia o del Lazio, né le crescite intense di certe aree del Nord Est o del Centro. Attualmente, all'inizio del 2004, l'insieme degli stranieri residenti in Piemonte si caratterizza per una marcata tendenza alla stabilizzazione, accompagnata dalla consistente crescita di nuovi arrivi, soprattutto dall'Europa orientale (Caritas, 2003). La sedentarizzazione di molte famiglie immigrate, che con i ricongiungimenti familiari, l'acquisto della casa, l'iscrizione dei figli alle scuole italiane segnalano l'intenzione, o almeno la accettazione della prospettiva di stabilirsi definitivamente in Italia, contrasta con un quadro legislativo, una congiuntura economica e un clima d'opinione che presentano zone d'ombra e di potenziale minaccia a questa tendenza. In Italia all'inizio del 2003 risultano 1.512.324 permessi di soggiorno. Se a questi si aggiungono i regolarizzati che hanno presentato domanda nel 2002 e i minori registrati con i genitori, si arriva a un totale probabile di 2,5 milioni di stranieri regolari in Italia 1 . Il Piemonte2 è al sesto posto tra le regioni italiane con 107.568 soggiornanti stranieri (dati del Ministero dell'Interno). In occasione della regolarizzazione del 2002, sono state presentate 53.000 domande (Ismu, 2003). Al momento non sono noti i risultati definitivi della procedura, ma un'alta percentuale di domande è già stata accolta (a Torino supera il 96%): quindi i soggiornanti regolari aumenteranno di diverse decine di migliaia e quasi certamente i cittadini rumeni diverranno la prima nazionalità per numero, sopravanzando i marocchini, che pure aumentano. L'ultimo dato ufficiale disponibile (31.12.2002) indica 24.676 permessi di soggiorno per i marocchini (22,9%), 2.379 per i tunisini (2,2%), 1.345 per gli egiziani e poche centinaia per gli algerini. Il Piemonte è una delle regioni italiane che catalizzano la presenza di immigrati dal Maghreb (cfr. cap. Caritas) Per tutti gli anni novanta i marocchini sono stati in media un quarto degli stranieri in regione, mantenendo il primo posto tra le nazionalità, seguiti dagli albanesi (15.688 al 31.12.2002, pari al 14,6%) dai rumeni (12.952, 12%) e, a maggior distanza, da cinesi, peruviani e senegalesi. Oggi, come abbiamo detto, il loro primato sembra minacciato. Mentre tra il 2001 e il 2002 i 1 Si veda: Immigrazione. Dossier statistico 2003 della Caritas e il capitolo "L'immigrazione nordafricana in Italia" in questo volume. 2 Dati e informazioni aggiornate sulla presenza straniera in Piemonte si trovano nel sito dell'Osservatorio regionale sull'immigrazione: www.piemonteimmigrazione.it 38 permessi di soggiorno in Piemonte (regolarizzazione non compresa) sono aumentati del 12%, i marocchini sono cresciuti solo dell'8%. Per contro il dato per i rumeni è stato del 25%, per gli albanesi del 17% e per i cinesi del 16%. I marocchini sono presenti in tutte le province piemontesi, proporzionalmente più a Biella, Vercelli, Cuneo e Alessandria, anche se Torino resta l'area di maggior presenza assoluta (fig. 1). Fig. 1 Permessi di soggiorno a cittadini del Marocco e in totale per provincia in Piemonte al 31.12.2002 Provincia marocchini stranieri % marocchini Alessandria 1.932 8.416 23,0 Asti 1.388 6.899 20,1 Biella 1.830 4.740 38,6 Cuneo 3.282 13.577 24,2 Novara 2.042 10.070 20,3 Torino 12.137 56.186 21,6 536 3.008 17,8 1.529 4.667 32,8 24.676 107.563 22,9 Verbania Vercelli Piemonte Non abbiamo al momento dati aggiornati sui residenti stranieri nei comuni della regione. Le mappature disponibili (Allasino, 2000; Regione Piemonte, 2002) mostrano che, all'alba del 2000, la presenza di stranieri nei comuni piemontesi ricalca a grandi linee la distribuzione generale della popolazione. Solo pochi piccoli comuni non hanno residenti stranieri. A Torino e negli altri capoluoghi provinciali si concentra una quota di stranieri piuttosto alta. Sono evidenti alcune zone di addensamento relativo: la pianura e le Langhe in provincia di Cuneo; l’Astigiano; la Val di Susa; la fascia collinare tra Biellese e Verbano; il Casalese. Accanto ai capoluoghi di provincia compaiono molte cittadine di medie dimensioni. In generale la popolazione immigrata si sta distribuendo sul territorio regionale. Se Torino resta un punto di concentrazione, altre aree, non solo capoluoghi di provincia, sono da anni poli di attrazione per gli immigrati, talora di specifiche provenienze. I popolosi comuni della cintura metropolitana, ove risiedono in proporzione pochi stranieri, stanno progressivamente diventando luogo di residenza per essi. In particolare i coniugati e le famiglie con figli tendono a distribuirsi nei centri minori, mentre gli immigrati singoli, forse nuovi arrivati, tendono a localizzarsi nei centri maggiori (Regione Piemonte, 2003, p. 17). Anche le assistenti domestiche si sono rapidamente diffuse in tutto il territorio. Questo capitolo propone una lettura della attuale situazione dei magrebini in Piemonte focalizzata su due ipotesi. Da un lato la comunità 3 marocchina, per la sua numerosità e per l'anzianità della presenza dovrebbe presentare una chiara tendenza alla stabilizzazione. Dall'altro, la recente forte crescita degli immigrati dall'Europa orientale suggerisce di indagare se vi siano stati fenomeni di concorrenza, diretta o indiretta, che abbiano ristretto o almeno modificato gli spazi per l'inserimento dei nordafricani nel mercato del lavoro e nella società locali. E' ovvio che queste due chiavi di lettura non pretendono di esaurire il quadro della situazione, né risultano possibili risposte univoche e incontestabili 4. In particolare, quote di nuovi arrivi dal 3 Il termine comunità, sebbene criticato, è ormai invalso nell'uso corrente per designare l'insieme dei cittadini di una certa nazionalità. Lo utilizzeremo anche in questo scritto, ribadendo che esso non deve però suggerire una omogeneità di condizioni di vita, una comunanza culturale e una intensità di legami reciproci tra connazionali che sono sovente inesistenti o, almeno, da valutare caso per caso. 4 Le informazioni raccolte per questo capitolo si basano, come previsto nel progetto di ricerca e seguendo una procedura di indagine ormai consolidata in questo campo, su due fonti principali: i dati statistici ufficiali e le interviste a testimoni privilegiati. Le due fonti dovrebbero completarsi a vicenda e consentire una verifica incrociata dei risultati, o almeno, della verosimiglianza delle affermazioni. In pratica l'operazione è meno facile e meno efficace di quanto ci si potrebbe attendere. Infatti le fonti di dati statistici, nonostante anni di progressivo consolidamento delle procedure di raccolta e di analisi, continuano a presentare problemi non solo per il loro reperimento e per la esatta comprensione dell'informazione che trasmettono, ma per la correttezza stessa delle cifre. Alcune cifre ufficiali sono infatti errate, e non per quote esigue, e ormai la loro correzione sembra quasi impossibile. E' il caso, in specifico, dei permessi di soggiorno in provincia di Cuneo in alcuni anni recenti, sistematicamente sottodimensionati nei dati del Ministero dell'Interno. Anche le informazioni sull'inserimento nel lavoro 39 Nordafrica mantengono in movimento la situazione e alimentano qualche aspetto problematico. In ogni caso, con molte miglia di residenti e almeno due decenni di vicende alle spalle, l'immigrazione dal Maghreb rappresenta ormai una parte della storia della regione. 2. Immigrazione e famiglia I primi immigrati marocchini in Piemonte erano maschi adulti soli, come avviene sovente (ma non sempre) quando s'avvia un movimento migratorio. Le ragioni che spiegano i primi arrivi, dopo la metà degli anni settanta, sembrano da ricondursi alla maggiore possibilità per i magrebini di ottenere il passaporto e alla difficoltà a entrare nei tradizionali paesi di emigrazione in Europa, in seguito alla adozione di regole più restrittive. Per quanto è possibile oggi ricostruire la situazione di allora, molti dei primi arrivati erano realmente commercianti ambulanti, che già esercitavano il commercio in patria o comunque sceglievano liberamente di guadagnarsi da vivere in questo modo. Una parte di essi inoltre divideva il proprio tempo tra l'Italia e il Marocco, considerando il commercio un'attività stagionale. Le crescenti difficoltà a rinnovare il permesso di soggiorno, e anche solo a rientrare in Italia, li hanno in seguito costretti a scegliere di restare nel paese di emigrazione o a rientrare definitivamente in patria. Il relativo successo dei primo ambulanti - che riuscivano talora a guadagnare l'equivalente di uno stipendio e anche per questo avevano scarso interesse a cercare occupazioni dipendenti marginali - convinse poi altri a tentare la stessa via. Si trattava in genere di persone provenienti dalla zona di Khouribga, area di produzione di fosfati e di agricoltura depressa. La crescente concorrenza tra ambulanti fece sì che per molti l'attività si riducesse a una forma di accattonaggio dissimulato, in netto contrasto con le intenzioni dei primi. Divenne chiaro che l'ambulantato non era più una soluzione ed esso fu progressivamente abbandonato sino alla metà degli anni novanta. Oggi gli ambulanti marocchini lavorano regolarmente, come titolari della licenza o come dipendenti, nei mercati all'aperto. Residua qualche figura di ambulante senza sede fissa o questuante che ha trovato ormai da anni una propria nicchia ed è ben noto ai frequentatori abituali di certi luoghi: il sagrato di una chiesa, i portici di una cittadina o l'ingresso dell'Università. A partire dalla regolarizzazione del 1986 e nel corso degli anni novanta, la maggior parte dei marocchini si sono inseriti progressivamente nel lavoro dipendente nelle industrie, nell'edilizia, in agricoltura e nei servizi e si sono distribuiti sul territorio regionale laddove vi era domanda di manodopera. L'attenzione dell'opinione pubblica e dei giornali fu però sovente rivolta alle fasce marginali dell'immigrazione magrebina dedite ad attività criminali, in particolare allo spaccio di droga. Si insisté molto sul legame clandestinità-crimine, diffondendo il sospetto nei confronti dei nordafricani. Diffidenza non cancellata dalla cattiva reputazione degli albanesi, rapidamente creatasi dopo il 1991, né, in seguito e in minor misura, dei rumeni. degli stranieri soffrono di carenze e distorsioni che rendono arduo rispondere a domande banali sulle attività svolte dai lavoratori stranieri. Quanto alle interviste a testimoni privilegiati, l'esperienza dimostra che esse sono molto utili e attendibili per avere un quadro d'insieme della situazione e per cogliere i principali cambiamenti in atto. Esse possono però enfatizzare novità locali recenti che sul medio periodo si rivelano meno rilevanti del previsto. Inevitabilmente inoltre viene sovradimensionata la visibilità delle reti di contatti del testimone, mentre coloro che non ne fanno parte possono risultare poco o punto visibili. Così, per esempio, chi lavora nell'assistenza conoscerà soprattutto persone che sono o sono state in difficoltà, mentre un immigrato da lunga data conoscerà soprattutto altri immigrati da lunga data e potrebbe non avere contati con gli ultimi arrivati. E' poi molto difficile, se non soccorrono i dati statistici, tradurre indicazioni qualitative in generalizzazioni non contestabili. Il fatto che "molti" immigrati presentino una certa caratteristica può riferirsi alla maggioranza assoluta, a una quota più ridotta, ma superiore alle attese, a una tendenza minoritaria, ma in probabile crescita o a una semplice enfasi dell'intervistato che ha individuato una novità. Va inoltre considerato che le informazioni dei testimoni privilegiati si riferiscono in genere alla situazione contemporanea, mentre i dati provvisori riguardano situazioni precedenti di parecchi mesi e i dati statistici consolidati di solito fotografano ciò che accadeva almeno due o tre anni prima Alcuni limiti non sono facilmente superabili: l'invito è a considerare le affermazione di questo saggio come indizi per un processo di ricerca in divenire e non affermazioni definitive. 40 A cavallo tra gli anni ottanta e novanta vi fu una forte crescita di immigrati marocchini – una immigrazione di lavoratori, ma anche di studenti, talora con connotazioni politiche 5 – e si attraversò un periodo critico. In particolare la casa era un grosso problema: gli immigrati dormivano in soffitte sovraffollate, in tuguri, sotto i ponti, nelle automobili. L'"emergenza" era la condizione abituale degli interventi da parte dei servizi pubblici e del volontariato (Ires, 1994). All’inizio degli anni novanta, comparvero, dietro i lavoratori, i minori marocchini, figli adolescenti o preadolescenti, che raggiungevano i padri per affiancarli nel lavoro ambulante. A questa immigrazione minorile si affiancò quella di ragazzi affidati informalmente a parenti (o sedicenti tali) e compaesani dai genitori, che confidavano di assicurare un futuro lavorativo ai giovani e, nel contempo, di gettare le fondamenta dell’assistenza economica per la loro vecchiaia. Man mano che il lavoro ha garantito un reddito costante, la situazione è migliorata. Trovate abitazioni meno precarie, sono potuti iniziare i ricongiungimenti familiari. Essi riguardavano inizialmente parenti maschi, ma in seguito la percentuale di donne è salita decisamente, anche se resta inferiore alla parità. Non è detto che le donne magrebine arrivino solo come mogli di concittadini precedentemente immigrati. Esistono casi, non sporadici, di donne marocchine nubili che hanno avuto un percorso migratorio autonomo e che solo in un secondo tempo si sono sposate, con connazionali o con italiani. D'altra parte, anche il matrimonio può far parte del percorso migratorio, per maschi e femmine, in quanto è la emigrazione che consente di accumulare risorse per fondare una famiglia. La situazione delle donne ricongiunte non è sempre facile. Gli operatori dei servizi hanno conosciuto donne isolate, con scarsissime conoscenze della società in cui si trovano, qualche volta imprigionate in relazioni difficili con il coniuge e che non è facile aiutare. Non si deve nemmeno generalizzare questa situazione, che riguarda solo situazioni specifiche e che può limitarsi a una fase critica iniziale dell'inserimento. Per altro, vi sono stati alcuni casi di minacce contro donne marocchine considerate troppo occidentalizzate da parte di compatrioti maschi. Il profilo demografico dei marocchini residenti in Piemonte si è complicato a poco a poco. Sono comparse le coppie con figli, taluni nati in Marocco, molti altri nati qui. La presenza minorile è divenuta significativa e sfaccettata. Infatti, accanto ai figli di coppie ricongiunte o formatesi qui, rappresentanti dell’integrazione che avanza, vi sono altri minori. Innanzitutto, i minori non accompagnati, numerosi negli anni novanta, arrivati soli e aiutati nell’inserimento da progetti di tutela sviluppati in accordo fra servizi sociali e associazioni del volontariato. Vi sono poi i minorenni inseriti nel circuito della devianza, che finiscono per subire ripetuti affidamenti al Centro di prima accoglienza dell’Istituto penale minorile del Piemonte. Vi sono, ancora, i minorenni che si incontrano ai semafori, nei mercati: visibili alla cittadinanza, ma sfuggenti ai servizi e a qualunque forma di tutela. Ma anche nelle scuole il numero di immigrati è cresciuto, dapprima negli asili e nelle elementari, in seguito nelle medie e nelle scuole superiori. Gli studenti universitari sono pochi, ma ciò dipende anche dalla scelta di chiusura verso gli studenti stranieri operata dall'Italia. Vi sono anche immigrati anziani, perché sono arrivati qui, non giovani, oltre venti anni fa, o perché si sono ricongiunti ai parenti. Non è sempre detto che essi abbiano maturato il diritto alla pensione, né che la famiglia, quando c'è, sia in grado di fornire loro tutta l'assistenza e il sostegno economico necessari. E' possibile che presto si pongano inediti, ma non imprevedibili problemi di intervento a sostegno di questa fascia di popolazione. Un movimento migratorio con grandi numeri come quello dal Maghreb non può essere incasellato in poche categorie esaustive. Se molti elementi confermano un processo di stabilizzazione in corso, altri indicano che continuano flussi di arrivo di nuovi immigrati free floaters (Piore, 1979: pp.103-104), alla ricerca di occasioni, non necessariamente guidati da legami familiari o amicali in Italia. Ne risulta una quota molto visibile di immigrati giovani, talora irregolari, in cerca di lavoro e in qualche caso anche di guadagno illecito. Rimane una forte propensione a emigrare dai paesi del Maghreb, anche se i magrebini da noi intervistati dubitano che si tratti sempre di un buon investimento, come bilancio complessivo. 5 Se i rifugiati o i dissidenti politici erano poco numerosi, molti giovani sostenevano che la scelta di emigrare fosse dovuta alla volontà di sfuggire una società che non offriva loro spazio non solo nel mercato del lavoro, ma neanche nella auto-realizzazione personale e nella libertà di espressione. 41 Il costo dell'espatrio è altro, non è certo che in Italia si guadagni sempre molto di più che in Marocco e vanno considerate le maggiori spese, i periodi di disoccupazione, i viaggi di ritorno. Si tratta, a loro giudizio, anche di un problema di informazione. Come in tutte le emigrazioni il successo è appariscente e ostentato, mentre i fallimenti sono passati sotto silenzio dagli stessi emigrati. E comunque, con le parole di un nostro intervistato "coloro che si fanno incantare dal miraggio dell'emigrazione non hanno visto né l'inverno, né la notte, né i tempi della fabbrica, ma vedono solo un emigrato che rientra in patria con un'automobile nuova. E i falliti, o quelli che fanno solo fatica, non si vedono". I magrebini sono generalmente considerati una popolazione che utilizza largamente i servizi forniti dal settore pubblico e dal privato. Mentre altre comunità si mostrano più autosufficienti o restie a ricorrere all'appoggio esterno, i marocchini hanno appreso a utilizzare tutte le risorse disponibili sul territorio. Negli anni passati era alto il ricorso a servizi di prima accoglienza o di assistenza di base, dai dormitori pubblici al pronto soccorso, alle mense. Si chiedevano informazioni a chiunque fosse disponibile, come gli insegnanti dei corsi professionali, provando a porre il quesito a più interlocutori. Oggi gli operatori rilevano che, se alcuni devono affrontare problemi di primo inserimento o faticano a sopravvivere, la maggioranza dei residenti magrebini ricorre in modo consapevole e mirato a servizi più specializzati e non si presenta più agli sportelli dell'assistenza. 3. Un approfondimento sulla situazione di Torino Marocchini residenti a Torino al 30.11.2003 per anno di immigrazione Nati a Torino 2002 2000 1998 1996 1994 1992 1990 1988 sino al 1986 In Piemonte poco(R:meno della metà immigrati dal Marocco - 12.036 nel novembre 2003, anni in cui vi è stata unadegli regolarizzazione) mentre erano 10.034 alla fine del 2001 - risiede nella città di Torino 6. Questo insieme, per 2.000 numerosità e concentrazione dà certamente una immagine significativa della situazione degli 1.500 immigrati di questa provenienza 7, anche se le sue caratteristiche non possono essere 1.000 R generalizzate ai residenti nelle altre province. 500 R I dati dell'Ufficio statistica di Torino sulla anzianità di immigrazione in città (in senso R 0 R alcuniRsi sono trasferiti da altri comuni italiani) mostrano anzitutto il prevedibile anagrafico: legame con le regolarizzazioni (fig. 2). L'anno successivo a ognuna di esse, per i tempi tecnici di valutazione della domanda e di rilascio del permesso di soggiorno, si ha un picco nelle registrazioni anagrafiche. Questo è avvenuto specialmente nel 1990 e nel 1996 e si ripete nel 2003. Fonte: Città di Torino, Ufficio statistica Marocchini residenti a Torino al 30.11.2003 per anno di immigrazione (R: anni in cui vi è stata una regolarizzazione) 2.000 1.800 1.600 1.400 1.200 1.000 800 600 400 200 0 R R R Nati a Torino 2003 2002 2001 2000 1999 1998 1997 1996 1994 1993 1992 1991 1990 1989 1988 1987 sino al 1986 1995 R R Fonte: Città di Torino, Ufficio statistica Il 14,5% dei marocchini di Torino è immigrato da oltre dieci anni, e possiede quindi uno dei requisiti per chiedere la cittadinanza italiana. Il 38%, 4.572 residenti in totale, è immigrato da almeno sei anni e quindi ha ottenuto o potrebbe ottenere la carta di soggiorno. Per contro, il 46,5% si trova ancora in una fase iniziale della presenza in città, sebbene alcuni si siano trasferiti da altri comuni o abbiano un periodo di presenza irregolare alle spalle. 6 Trascuriamo per semplicità di esposizione gli algerini e i tunisini, molto meno numerosi (225 e 1.229 rispettivamente). 7 Occorre ricordare che una piccola quota di presenti regolari in città potrebbero non avere la residenza. 42 Il luogo di nascita degli immigrati fornisce altre indicazioni. Sono nati a Casablanca il 22% dei Marocchini di Torino, a Khouribga l' 11%. Altre grandi città del regno forniscono quote più ridotte di immigrati. Esistono certamente catene migratorie fra queste aree e il Piemonte, anche se i molti marocchini originari di diverse aree fanno pensare che funzionino anche reti frammentate e a legami deboli: conoscenze occasionali, lontane parentele, voci… Un dato molto interessante è che il 16% dei marocchini residenti è torinese di nascita. Sono in complesso quasi duemila i nati in città o in altri comuni italiani. Nel caso dei residenti tunisini e algerini, il 23% e il 14% rispettivamente sono nati a Torino. I dati confermano che numerosi giovani magrebini stanno crescendo nella città in cui sono nati e ove erano immigrati i loro genitori. A costoro andrebbero aggiunti i figli di coppie miste che hanno cittadinanza italiana e che rappresentano un altro gruppo ponte fra i due paesi e le due generazioni. In città vi sono 6900 nuclei familiari in cui è presente almeno un componente magrebino. Le coppie con figli sono oltre 1500 e oltre 400 le donne e gli uomini con figli. La proporzione maschi/femmine era inizialmente molto sbilanciata a favore dei primi, ma, da metà anni novanta si è venuta riequilibrando. Nel 2003 le femmine erano il 36,5% dei residenti. Come prevedibile il numero di donne immigrate cresce qualche anno dopo una regolarizzazione, a causa dei ricongiungimenti. Un quarto dei marocchini residenti a Torino vive da solo. In particolare vive sola una donna su dieci, e un ulteriore 11% risulta capofamiglia: molte hanno quindi un percorso migratorio autonomo e non sono arrivate in città per ricongiungersi a parenti. La professione dichiarata all'anagrafe non è molto attendibile perché non aggiornata: si può notare che oltre la metà (52%) dei maschi dichiara di essere operaio nell'industria, mentre il 32% delle donne sono casalinghe. I pensionati sono una quarantina. Infine, i dati mostrano che i marocchini risiedono ormai in quasi tutti i quartieri della città. Restano concentrazioni nelle aree del centro storico, specialmente attorno a Porta Palazzo, in cui era iniziato lo stanziamento, ma sono sempre più numerosi i residenti in altri quartieri, anche se pochi risiedono nelle periferie operaie sorte negli anni cinquanta-sessanta. A detta degli operatori si starebbero inoltre riassorbendo i casi di sovraffollamento in stabili degradati. 4. I minori stranieri e l’inserimento nelle scuole: verso la seconda generazione I dati sulla scolarizzazione confermano la crescita numerica e il consolidamento delle famiglie magrebine in Piemonte. Nel 2001 erano circa quattromila i giovani magrebini scolarizzati in Piemonte, di cui quasi seicento nelle scuole medie superiori: il numero di studenti è in crescita (fig. 3). Si nota però una flessione della proporzione dei marocchini sul totale degli stranieri iscritti, specialmente nelle medie inferiori, a riprova di un relativo rallentamento rispetto ai gruppi che guadagnano terreno, albanesi e rumeni (fig. 4). Fig. 3 Studenti iscritti nelle scuole del Piemonte per tipo di scuola, anno e nazionalità Elementari 1991 3 284 25 1992 6 376 15 1993 3 454 19 1994 1 555 32 1995 5 607 21 1996 5 653 26 1997 8 791 27 1998 11 1042 41 1999 11 1402 80 2000 30 1729 88 2001 21 1982 116 1340 1485 1703 2103 2213 2575 2982 3994 5197 6471 7924 Medie inferiori Algeria Marocco Tunisia Totale stranieri 0 107 1 0 187 1 0 272 6 0 315 5 0 355 4 0 440 3 1 517 8 2 727 14 5 946 19 17 1079 25 17 1173 34 404 503 660 848 970 1185 1483 2165 2875 3638 4476 Medie superiori Algeria Marocco Tunisia Totale stranieri 0 9 1 0 13 0 0 29 0 1 39 3 1 57 6 0 106 5 1 155 1 158 7 4 259 14 5 401 21 8 561 23 125 110 193 248 330 507 562 728 1307 1902 2587 3935 Algeria Marocco Tunisia Totale stranieri Fonte: Osservatorio sul sistema formativo piemontese 43 11 Fig. 4. Percentuale di iscritti marocchini sul totale degli iscritti stranieri nelle scuole del Piemonte per ordine di scuola e per anno 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 1991 1992 1993 Elementari 1994 1995 1996 1997 Medie inferiori 1998 1999 2000 2001 Medie superiori Fonte: Osservatorio sul sistema formativo piemontese Nell'anno accademico 2001-2002 nei tre atenei piemontesi erano iscritti 1248 studenti stranieri, di cui 62 magrebini, la metà dei quali al Politecnico di Torino8. Come prevedibile, l'inserimento degli alunni magrebini nelle scuole può dar luogo a qualche difficoltà didattica e organizzativa, ma è anche evidente che molti genitori hanno scelto di investire sull'istruzione in Italia dei figli e si impegnano di conseguenza per aiutarli. Anche nei corsi di formazione professionale sono in atto cambiamenti. I docenti intervistati notano che alcuni anni fa si trovavano di fronte a giovani lavoratori in cerca di qualificazione, soggetti a pesanti carichi di lavoro, ma anche molto motivati. Oggi sono più numerosi i giovani magrebini cresciuti in Italia che si comportano come tutti gli altri coetanei e devono essere motivati per conseguire una adeguata formazione. In generale, i docenti e gli operatori sociali che lavorano con i giovani magrebini percepiscono il grosso sforzo che molti di costoro devono compiere per ridefinire la loro identità e comporre valori e aspettative non sempre convergenti tra società circostante e ambito familiare. Esiste comunque una contraddittorietà di fondo nella immagine che si forma dell'integrazione degli immigrati. E' noto che alcuni gruppi appaiono poco problematici, poco visibili e quindi sono considerati integrati. Altri invece manifestano segni di disagio e di conflitto che portano a considerarli poco integrati. Un'analisi più attenta della situazione, anche se basata solo sull'osservazione e su pochi dati non sistematici, pare confermare invece – sulla scia di Coser 8 Dati particolareggiati e aggiornati sul sito dell'Osservatorio regionale per l'Università: www.ossreg.piemonte.it 44 (1956) - che il conflitto può essere un sintomo di integrazione, indicando una relazione in divenire, negoziata anche attraverso prove di forza e tensioni. E' questa in larga misura la situazione dei magrebini, mentre gruppi di latinoamericani o di asiatici possono essere in una situazione di minor integrazione, ma senza conflitto. 5. L'area della devianza Nel complesso della immigrazione magrebina in Piemonte solo gruppi di dimensioni ridotte presentano situazioni difficili. Senza dubbio una piccola parte di immigrati resta coinvolta in giri malavitosi e nello spaccio. Vi è qualche episodio di violenza e di teppismo, forse legato anche a problemi di disagio psichico. Talora una crisi familiare o nei rapporti tra conoscenti sfocia in fatti di sangue. Continuano poi a esistere, specialmente tra gli ultimi arrivati, comportamenti che non sono criminosi o illegali (vendita di prodotti alimentari in strada, schiamazzi, alterchi, ecc…), ma sono percepiti con fastidio e allarme dagli autoctoni. In particolare, molti torinesi hanno l’impressione che i giovani magrebini dediti ad attività commerciali irregolari o illegali controllino gli spazi pubblici, mentre ricerche sul campo hanno mostrato che la loro presenza è soggetta a regole informali, ma stringenti, e subalterna a quella degli autoctoni (Semi, 2004). Tutte queste situazioni, amplificate e generalizzate, continuano ad alimentare una certa percezione negativa dell'immigrazione magrebina, riverberandosi anche su coloro che non vi hanno alcuna responsabilità. Tuttavia non mancano segnali di un possibile miglioramento della situazione. Tutti i nostri intervistati, in particolare gli stessi magrebini, rilevano che l'intensificarsi delle relazioni personali tra italiani e immigrati – nel vicinato, nel luogo di lavoro, nelle scuole, ma anche come parenti - sta portando a una maggiore articolazione dei giudizi e ad a una miglior conoscenza reciproca. Resta la tendenza degli autoctoni a disgiungere nettamente l'opinione sui magrebini conosciuti di persona, che si giudicano come individui, da quella sull'insieme indistinto dei marocchini o degli extracomunitari, sospettati di propensioni al crimine e alla devianza. La presenza nelle carceri piemontesi degli stranieri è una realtà nota agli operatori: nel 2001, gli stranieri detenuti nelle carceri piemontesi rappresentavano il 37,6% sul totale della popolazione detenuta (Istat). I magrebini sono stata il primo gruppo straniero significativo all’interno delle case circondariali e di reclusione della regione. Essi erano, al 31 agosto 2003, il 51,7% della popolazione detenuta straniera, che conta 1.848 presenze, di cui 83 donne (dati del Ministero della Giustizia). I detenuti marocchini (60,8%), seguiti da algerini (19,8%) e dai tunisini (19,4%) condividono con gli altri stranieri detenuti il fatto di essere, nella quasi totalità dei casi, senza permesso di soggiorno; di accedere poco o nulla alle misure alternative e alle pene sostitutive alla detenzione; di essere giovani e con un grado di istruzione medio-basso 9. I comportamenti devianti sembrano disegnare due percorsi di inserimento: uno di marginalità, che conduce in carcere per reati contro il patrimonio (soprattutto furti), e uno di inserimento nella filiera del commercio di stupefacenti, ancora ai gradi più bassi. Infatti, sembrerebbe che in questa attività i magrebini, soprattutto marocchini, abbiano sostituito gli italiani nelle mansioni di bassa manovalanza del crimine piuttosto che nei posti di organizzazione del traffico, come invece hanno fatto gli albanesi. Questi ultimi sono il termine di confronto per gli operatori del carcere, in quanto seconda presenza straniera significativa fra la popolazione detenuta. Nel confronto, pertanto, i marocchini sono indicati come meno pericolosi, con una storia di devianza iniziata in Italia, al di fuori dei circuiti della criminalità organizzata, ma piuttosto come ‘imprenditori di se stessi’. Questi commenti si ribaltano quando si descrivono gli albanesi, considerati pericolosi e potenti, perché inseriti in reti criminali forti, con una carriera deviante iniziata già in patria. 6. L'inserimento nel mercato del lavoro 9 Per questa parte, sono state utilizzate le interviste ai direttori della carceri piemontese, parte integrante di una ricerca, in fase di conclusione, sul rapporto criminalità e giustizia in Piemonte, ricerca realizzata nell’ambito delle attività dell’Osservatorio Regionale sull’Immigrazione. 45 Molti lavoratori magrebini sono stabilmente inseriti nel sistema produttivo piemontese, ma, come avviene per tutti i lavoratori stranieri, è difficile dire quanti siano esattamente e, soprattutto, quali mansioni svolgano e in quali imprese. Una indagine sulla presenza di lavoratori dipendenti stranieri in Piemonte in base ai dati dell'Inps10 permette di avere una immagine generale della presenza dei magrebini nel sistema produttivo piemontese (esclusa l'agricoltura e i servizi domestici). Nel 1999, a fronte di 35.668 permessi di soggiorno per lavoro subordinato i dati Inps indicavano 29.617 dipendenti stranieri. Tra costoro i magrebini erano assai più numerosi in Piemonte rispetto alla media nazionale: 40% contro 26%. Già allora erano seguiti dagli europei dell'Est, con il 32% (Italia 29%). L'Africa non mediterranea e l'Asia fornivano invece quote di lavoratori inferiori alla media italiana. La quota di lavoratori dipendenti europei era già in forte crescita dal 1990 (quando erano solo il 12%), a scapito della quota dell'Africa nera (scesa dal 33 al 18%), mentre i nordafricani calavano di poco (erano il 44%). Come si è detto, a partire dalla fine degli anni ottanta i marocchini hanno trovato lavoro come dipendenti nell'industria, nell'edilizia, nei servizi e in agricoltura, in genere in mansioni manuali non qualificate o poco qualificate. Come molti altri immigrati dai paesi meno sviluppati, essi restano quasi del tutto esclusi dal lavoro impiegatizio. I marocchini non appaiono molto concentrati in un settore o in una professione, ma si sono piuttosto distribuiti fra le imprese a seconda di dove emergeva di volta in volta la domanda di manodopera. Alcune aree di maggiore presenza, come il Biellese, sono conseguenza dell'incontro fra la domanda di operai da parte del settore tessile e la disponibilità di lavoratori marocchini, all'epoca i più numerosi e disponibili. Allo stesso modo si sono formate concentrazioni nel Monregalese e nel Vercellese. Anche le donne marocchine hanno trovato lavoro come dipendenti, in quote più ridotte. Nel loro caso la concorrenza con le donne di altre nazionalità sembra essere stata più forte, specialmente nel lavoro domestico, ove resistenze culturali da entrambe le parti, e il fatto che i progetti migratori fossero più sovente legati al ricongiungimento familiare, ne hanno limitato l'occupazione ai lavori di pulizia. Il numero di donne magrebine è molto cresciuto e, come si è detto, alcune sono arrivate sole e devono lavorare per necessità, per mantenere sé stesse e la famiglia. Altre, anche se i mariti hanno redditi sufficienti, preferiscono avere un lavoro che consenta loro di inviare denaro ai parenti e avere un reddito autonomo. E' chiaro che la scelta diventa più difficile se ci sono bambini da accudire. Negli anni successivi gli albanesi prima e i rumeni poi si sono sempre più inseriti nel mercato del lavoro locale. Oggi (inizio 2004) in una fase di crisi occupazionale che certamente rende difficili i nuovi inserimenti, i lavoratori marocchini sono confrontati a una forte concorrenza da parte di nuovi arrivati. Per abilità e propensione personale, ma anche per sfuggire a tale concorrenza e alla discriminazione da parte dei datori di lavoro, molti magrebini hanno iniziato a lavorare in proprio, in genere come artigiani. Le associazioni di settore rilevano che i magrebini che si rivolgono a esse per avviare l'attività non sono imprenditori improvvisati o disperati alla ricerca di un reddito, ma dimostrano conoscenza del mestiere e del settore e arrivano con progetti già ben definiti. Alcuni sono artigiani edili – attività che talora copre un lavoro alle dipendenze – altri ristoratori, commercianti o autotrasportatori. Si segnalano già alcuni casi di relativo successo economico e di espansione dell'attività. Anche le donne cominciano a interessarsi al lavoro in proprio e si muovono autonomamente nei rapporti con i servizi. Ma i lavoratori magrebini appaiono capaci di utilizzare anche altre vie per trovare nuove opportunità di lavoro. Da una recente ricerca sul lavoro interinale (Regione Piemonte, Osservatorio sul mercato del lavoro, 2003) risulta che nel 2001 vi sono stati 7.400 gli avviamenti di lavoro interinale di persone nate in paesi extracomunitari 11, il 12,6% del totale, in netta prevalenza maschi, un po' più anziani, in media, degli italiani. Gli avviamenti sono avvenuti soprattutto nelle imprese industriali. 10 V. Osservatorio sull'immigrazione in Piemonte, R & P (2003), a cui si rinvia per una più precisa esposizione delle caratteristiche di questa fonte di dati e del metodo di analisi. La pubblicazione è reperibile anche nel sito internet dell'Osservatorio sull'immigrazione indicato nella nota 3. 11 Si tenga presente che una singola persona può essere avviata più volte nel corso dell'anno: la media del Piemonte nel 2001 era 1,63 avviamenti per lavoratore (Regione Piemonte, Osservatorio sul mercato del lavoro, 2003). 46 Il 70% di costoro sono africani, la metà dei quali nati in Marocco. I paesi dell'Europa orientale forniscono il 14%, gli altri continenti si collocano su cifre più basse. Questa situazione può essere interpretata come un sintomo della capacità dei lavoratori magrebini di utilizzare tutti gli strumenti messi a disposizione dal sistema per trovare occupazione, e sarebbe quindi segno positivo di integrazione nel mercato del lavoro. Va però notato che le agenzie segnalano crescenti difficoltà ad avviare i lavorati magrebini ultimi iscritti, se non possiedono qualifiche professionali. 6.1. Gli atteggiamenti degli imprenditori verso i magrebini: c'è pregiudizio e perché? Se i lavoratori marocchini sono ormai presenti stabilmente nel mercato del lavoro piemontese, sembra che il legame tra impresa e immigrati marocchini non sia esente da incertezze. Da un lato alcuni imprenditori sono restii ad assumere marocchini o lamentano una scarsa socializzazione al lavoro nelle imprese da parte dei loro dipendenti. Dall'altro gli immigrati magrebini sembrano aspirare piuttosto al lavoro autonomo, forse anche in reazione alla discriminazione e alle difficoltà che incontrano nel lavoro subordinato. Una recente ricerca dell'Ilo (Ilo, 2004), svolta in tre città italiane, fra cui Torino, ha mostrato che i lavoratori marocchini sono oggetto di una rilevante discriminazione in Italia. Molti datori di lavoro non prendono neppure in considerazione le loro candidature, senza preoccuparsi di vagliarne le capacità effettive. Questa discriminazione è particolarmente elevata per i mestieri che richiedono contatto con il pubblico, come i camerieri, per i quali la presenza di un magrebino (ma non necessariamente di uno straniero di altre provenienze) sembra considerata particolarmente inopportuna. Le interviste al personale dei centri per l'impiego e delle agenzie interinali confermano che vi sono imprenditori che richiedono esplicitamente di non proporre loro marocchini. Anche quando si tratta di trovare una casa in affitto, una ricerca ha confermato la pesante chiusura pregiudiziale nei loro confronti (Comitato Oltre il razzismo, 2000). Poiché questa discriminazione è largamente dissimulata (alla persona interessata si dice semplicemente che il posto di lavoro non è più disponibile, o che l'alloggio è già affittato), essa è più diffusa di quanto possano percepire le stesse vittime. Il problema indicato più di frequente dagli imprenditori nei loro rapporti con i dipendenti magrebini continua ad essere il mancato rientro dalle ferie e la mancanza di puntualità sul lavoro. Si lamenta anche una certa conflittualità, dovuta alla maggior propensione a cercare di contrattare individualmente regole e orari. Questa tendenza viene attribuita a caratteristiche culturali, ma potrebbe anche derivare, se verificata, da una migliore conoscenza delle regole e dei diritti da parte di questi lavoratori. Si ritiene anche che quando in una unità locale lavorano numerosi magrebini essi tendano a formare un gruppo a parte con dinamiche interne difficili da controllare. Un'altra difficoltà che viene segnalata – invero non solo per questa comunità – è la tendenza a non investire molto sulla crescita professionale sul posto di lavoro. Dipendenti capaci preferiscono spesso mettersi in proprio o abbandonare il posto per un lavoro irregolare o meno qualificato, ma con un reddito immediato più alto. E' chiaro che i progetti migratori individuali non sono sempre compatibili con i tempi lunghi e i modesti incentivi economici di certe carriere professionali, in un quadro di generale incertezza. L'immagine dei magrebini è di solito quella di persone che cercano abilmente di contrattare, se non di manipolare, i rapporti interpersonali. E' difficile dire quanto pesi lo stereotipo del levantino e quanto il comportamento reale. Per altro, molti imprenditori intervistati – scelti perché avevano dipendenti marocchini – parlano in termini molto positivi dei loro assunti e ne lodano la competenza e le capacità, riconoscendo che anche gli italiani possono creare problemi. Abbiamo già discusso nel caso degli albanesi (Oim, 2003, p. 112 segg.) che la discriminazione può nascere non solo da pregiudizio personale del datore di lavoro, ma anche dal fenomeno indicato come discriminazione statistica, che porta a non assumere tutti i lavoratori appartenenti a un gruppo per una qualche caratteristica negativa che si trova in misura proporzionalmente più frequente in esso rispetto ad altri, risparmiando sui costi che comporta l'accertamento delle caratteristiche individuali. 47 Le caratteristiche negative (dal punto di vista dell'impresa) di alcuni dipendenti magrebini portano quindi a escludere tutte le candidature di tale provenienza. A questo fenomeno si aggiunge poi il peso di pregiudizi o opinioni non comprovate che ne amplificano gli effetti. Ma possono intervenire anche più banali calcoli di convenienza. Risulta che, almeno sino alla regolarizzazione, molti immigrati rumeni accettavano condizioni di orario e di salario ormai rifiutate dai magrebini, offrendo comunque prestazioni e competenze tecniche apprezzabili. Probabilmente non si deve pensare a una sostituzione diretta di magrebini da parte di europei orientali. Può essere relativamente raro che un imprenditore si trovi a scegliere tra due candidati diversi solo per l'origine. E' più probabile che, come avviene usualmente nei processi migratori, i due gruppi si dividano i diversi segmenti del mercato del lavoro attraverso processi di aggiustamento progressivo e non direttamente conflittuale. Gli europei dell'Est hanno una migliore fama di lavoratori socializzati all'attività industriale, una maggiore competenza tecnica e - almeno in questa fase – una maggiore disponibilità ad accettare lavori in nero e mal pagati. E' evidente che il fatto di essere europei è un altro grosso vantaggio, sebbene il caso degli albanesi dimostri che non è un vantaggio incontestabile. Sono certamente favorite le donne europee nei lavori domestici e di cura. A vantaggio dei marocchini gioca una maggiore esperienza nel mercato del lavoro locale – almeno per i segmenti in cui si sono potuti sinora inserire - e la maggiore ampiezza e solidità delle reti di relazioni tra individui e famiglie, che agevola la circolazione di informazioni e l'inserimento accanto a parenti e amici. Inoltre alcuni artigiani magrebini hanno iniziato ad assumere connazionali, anche se le dimensioni di queste imprese non permettono di assumere molti dipendenti. Bisogna anche considerare che la popolazione del Maghreb, e soprattutto la sua crescita nei prossimi anni, sono maggiori di quelle dei paesi dell'Europa orientale. Anche se non si può meccanicamente derivare da questo una previsione, è possibile che i rumeni occupino nei prossimi anni molti posti di lavoro in Italia, rendendoli di fatto indisponibili per i magrebini. Ma sul medio-lungo periodo gli europei potrebbero non essere in grado, per numero e per innalzamento delle aspirazioni, di soddisfare la domanda di lavoro manuale, lasciando spazio a nuovi arrivi dalla vicina sponda sud del Mediterraneo. Una migliore formazione professionale, ma soprattutto una migliore socializzazione al lavoro nelle imprese italiane è ritenuta auspicabile da tutti i testimoni intervistati. Corsi di lingua italiana, di cultura civica, sui diritti e doveri dei lavoratori, sulla organizzazione delle aziende potrebbero aiutare i lavoratori magrebini a superare le difficoltà e a ridurre i pregiudizi. Non si può però scaricare tutto il problema sulla disinformazione dei lavoratori: molti comportamenti sul posto di lavoro hanno motivazioni del tutto razionali, legate a calcoli costi/benefici, all'incertezza del futuro, a scelte delle controparti che incoraggiano l'opportunismo. E' necessario intervenire anche su questo fronte con misure strutturali e non solo cercando di combattere i pregiudizi. 7. I problemi abitativi Trovare una abitazione è stato e resta uno dei problemi più seri per gli immigrati, in particolare per i marocchini. I centri di accoglienza sono sempre stati insufficienti e forniscono solo una soluzione parziale e provvisoria. Si è così fatto ricorso a sistemazioni di fortuna: automobili, ponti, tuguri sovraffollati, letti affittati a ore. Su questo punto il settore pubblico non ha fornito vere soluzioni. In Italia, per i cittadini come per gli stranieri, il problema della casa si risolve privatamente e in genere con l'acquisto. Una piccola percentuale di magrebini ha avuto accesso alle case di edilizia residenziale pubblica, tutti gli altri si sono arrangianti, migliorando a poco a poco la situazione abitativa e approdando, in non pochi casi, all'accensione di mutui per l'acquisto della casa, visto come unica soluzione duratura al problema e tutto sommato, meno costosa dell'affitto. Gli enti di assistenza rilevano che tuttora molti marocchini, anche famiglie, continuano a vivere in abitazioni inadeguate, non solo perché cercano alloggi migliori, ma anche perché continuano a chiedere i buoni doccia per accedere ai bagni pubblici. E' possibile che, per il calo della popolazione autoctona, la costruzione di nuovi stabili e i bassi tassi di interesse sui mutui per l'acquisto della casa, una certa quota di alloggi sia oggi difficile da affittare a italiani e quindi diventi disponibile per gli stranieri. 48 8. L’associazionismo difficile Secondo molti testimoni vi è da parte dei magrebini in Piemonte una forte richiesta di spazi per incontrarsi. Non si può però parlare di luoghi di aggregazione per i marocchini genericamente. Questa popolazione è ormai numerosa e differenziata al suo interno e parimenti si differenziano le esigenze e le abitudini. Qualche luogo di incontro esiste da molti anni: il caso esemplare è quello del mercato di Porta Palazzo a Torino, ove è sempre possibile imbattersi in conoscenti o amici durante gli acquisti o girando tra le bancarelle. L'uscita dei bambini dalle scuole o alcuni negozi possono fornire occasioni di incontro per le donne. Alcuni esercizi pubblici sono luoghi di ritrovo abituali di alcuni marocchini, ma si tratta per lo più di giovani celibi, arrivati di recente o di compagnie abituali, e non riguardano la generalità delle famiglie. Allo stesso modo le sale di preghiera consentono anche di incontrare amici e di scambiare informazioni, ma sarebbe sbagliato considerarle luoghi di incontro per tutti. Con l'aumento del numero delle famiglie e la disponibilità di abitazioni adeguate si sta invece diffondendo l'uso di frequentarsi tra parenti e amici in casa, trascorrendo insieme lunghe ore nei giorni non lavorativi. E' difficile dire quante siano le associazioni magrebine in Piemonte. Sono state fondate nel tempo diverse associazioni, di fatto o riconosciute, ma alcune sono rapidamente scomparse o sono poco più che nomi a cui non corrisponde nulla di concreto. I recapiti sono quasi sempre le abitazioni private dei presidenti. La situazione non è però rimasta stabile. Nei primi anni novanta vi era stata una prima nascita di associazioni, alcune delle quali sono rapidamente scomparse, mentre altre, poche, si sono consolidate. Tra il 1994 e il 2000 vi è stato un nuovo fervore di iniziative, a cui sembra oggi seguire una fase di minor attivismo, ma anche di consolidamento di alcune iniziative. Le associazioni miste, di immigrati di diversa provenienza, hanno avuto vita breve. Per contro, sembrano aver avuto più successo quelle in cui sono presenti anche italiani, e che, in genere, sono affiliate a reti associative più ampie. In questo ambito stanno nascendo interessante esperienze di solidarietà e di volontariato tra magrebini, in particolare fra i giovani. Questa situazione di debolezza e frammentazione è certamente dovuta a cause strutturali che riguardano tanto gli immigrati stessi quanto la società e la politica italiana. Per la maggior parte degli immigrati i problemi della vita quotidiana restano predominanti e pochi di loro hanno tempo e risorse da dedicare ad attività volontarie. D'altra parte le amministrazioni locali hanno sempre auspicato la formazione di associazioni e dichiarato di voler lavorare con esse, ma all'atto pratico non sono quasi mai state messe a disposizioni risorse per far crescere l'associazionismo. Anche il coinvolgimento delle associazioni si è sovente ridotto a un fatto formale o individuale dando l'impressione che esse siano poco efficaci. Le alterne vicende delle consulte degli immigrati nelle grandi città, Torino in particolare, e in Regione non hanno migliorato la situazione. 9. La religione La religione sembra essere oggi per gli immigrati magrebini soprattutto un fatto personale. Una ricerca12 realizzata a Torino sull’appartenenza culturale degli immigrati musulmani e sul 12 L’indagine è stata realizzata nel 2001 attraverso la somministrazione di un questionario strutturato (66 domande, in prevalenza a risposta chiusa) ad un campione rappresentativo della popolazione islamica (300 soggetti) che usufruisce di servizi pubblici (sanità, scuola) o che accede agli sportelli di servizi presenti nella città di Torino (gestiti, ad esempio, da Caritas, Associazioni di Volontariato, 49 loro modo di vivere l’appartenenza religiosa (Garelli, Ricucci e Teagno 2001) conferma questa situazione. La ricerca non ha studiato solo l'islam nordafricano, ma il quadro che è emerso riflette la composizione della comunità musulmana presente nel capoluogo piemontese, nella quale i magrebini sunniti sono comunque maggioritari, sia pure con tutte le differenziazioni culturali e linguistiche interne. La ricerca mostra come la religione occupi un posto di rilievo nella vita dei musulmani torinesi, che si identificano con la fede in cui sono stati educati, considerandola come un punto di riferimento per la condotta di vita. L'insieme è tuttavia più articolato, e al suo interno convivono modalità e stili differenti di vivere la fede: alcuni sono credenti e praticanti, anche in emigrazione; altri sono credenti, ma con una pratica discontinua, altri ancora vivono la religione in maniera interiore o sono indifferenti. La moschea per taluni rappresenta un luogo di "ristoro spirituale", per altri rappresenta un luogo di ritrovo comunitario, di appropriazione identitaria, per sé e per i figli, ma anche un importante polo informativo. Per altri, invece, non svolge alcuna funzione né essi la frequentano. Essendo l’islam caratterizzato da una pratica rituale precisamente regolata e codificata, piuttosto che da un apparato di fede e di dogmi, è stato chiesto agli intervistati di indicare i comportamenti che più caratterizzano l’identificazione religiosa di un vero musulmano (rappresentazione ideale). Gli aspetti più sottolineati nelle risposte sono stati: “rispettare la shari’a”, ossia osservare la legge divina, “non fare del male a nessuno, essere un uomo di pace, rispettare gli altri”, “leggere il Corano”. Seguono poi, più distanziati, aspetti quali “trasmettere la religione islamica ai figli”, “frequentare la moschea”, “far bene il proprio lavoro”, “evitare cibi illeciti”. All’ultimo posto troviamo: “obbedire, rispettare le leggi di questo paese” e “diffondere e far conoscere l’islam”. Passando dal piano del dover essere a quello dell’essere, nel quotidiano, la pratica più seguita è quella del Ramadan, seguita dalla zakat (l’elemosina annuale per i poveri e i bisognosi) e dalla recita delle preghiere quotidiane, alle ore giuste o quando è possibile. Più dell’80% del campione dichiara che non è difficile essere un buon musulmano in emigrazione, dimostrando una buona capacità di adattarsi al contesto italiano. La disponibilità ad integrarsi si rivela anche dal fatto che la maggior parte dei musulmani intervistati ammette di stare meglio a Torino rispetto alla terra di partenza. Il processo di integrazione coinvolge anche la seconda generazione, infatti la maggior parte dei genitori musulmani vorrebbe che i figli frequentassero una scuola italiana, dove si insegni anche la religione islamica e, in subordine, la lingua araba. Il rispetto delle leggi e la disponibilità all’integrazione non significa accettazione dei matrimoni misti: infatti tra gli intervistati non sposati, meno della metà sarebbe disposto a sposare una persona non musulmana; parallelamente, la maggioranza degli sposati sarebbe contrario al fatto che la propria figlia sposasse un italiano non musulmano. Sul versante delle richieste, si sottolineano quegli aspetti che permetterebbero di svolgere una pratica religiosa individuale (la possibilità che vengano riconosciute le festività islamiche, di alimentarsi secondo le prescrizioni coraniche nelle mense pubbliche, di veder garantito l’insegnamento della religione islamica a scuola, di avere dei propri luoghi di preghiera, ecc.), piuttosto che accordi che diano maggior legittimazione e all’islam a livello nazionale. In sintesi, il desiderio di mantenere le proprie tradizioni religiose non confligge con la disponibilità a integrarsi e a rispettare le leggi italiane. La vexata quaestio dell'estremismo islamico sembra un problema mal posto. Spetta alla polizia e alla magistratura individuare e giudicare singole persone o ristretti gruppi che abbiano infranto le leggi. Invece, le dichiarazioni di alcuni personaggi sul terrorismo e sulla guerra in Iraq, che hanno avuto molta eco nella stampa e hanno suscitato polemiche, sono tentativi da parte di costoro di acquisire visibilità e di legittimarsi come controparti dei poteri locali, piuttosto che manifestazioni di opinioni diffuse tra gli immigrati musulmani. Queste dichiarazioni vengono enfatizzate da quegli italiani che coltivano l'immagine di una immigrazione radicalmente aliena e ostile, ma talora anche da esponenti politici aperti al dialogo che ritengono di trovare in costoro degli interlocutori credibili. Vi è la diffusa impressione tra i nostri intervistati che la religione islamica continui a essere percepita dagli italiani come un potenziale problema, un forte elemento di estraneità, anche se molti immigrati praticano la religione in forme private o non sono praticanti. Sindacati), nonché frequenta luoghi islamici di culto o associazioni etniche e interetniche. 50 Una giovane italiana da noi intervistata, oggi responsabile di uno sportello informativo, parlando incidentalmente della sua infanzia ha detto di ricordare i musulmani del quartiere che si ritrovavano per pregare in un terreno vicino a casa sua. Sarà forse anche attraverso questa progressiva conciliazione delle memorie – immigrati che ricordano l'Italia e italiani che ricordano gli immigrati sin dall'infanzia - che si potranno limitare i contrasti. Conclusioni Gli immigrati magrebini in Piemonte rappresentano la comunità che meglio coniuga le caratteristiche della consistenza numerica e dell'anzianità di presenza. Molti immigrati hanno già chiaramente manifestato la intenzione di restare a lungo in Italia. Per una parte di costoro, in particolare i giovani che crescono qui, tale scelta si tradurrà quasi certamente in un trasferimento definitivo 13. La comunità marocchina affronta per prima il passaggio alle seconde generazioni, l'invecchiamento di una parte dei suoi membri, le situazioni di una popolazione ormai stabilizzata. Essa presenterà quindi tutte la caratteristiche sociali, e le problematiche, di una popolazione composita e articolata. L'esperienza di altri paesi di immigrazione mostra che quando un gruppo nazionale è sufficientemente vasto e stabilizzato alimenta un flusso continuo di arrivi, per ricongiungimenti familiari, per le catene migratori, per la semplice conoscenza reciproca tra i due paesi. La situazione economica e sociale del Marocco e della Tunisia paiono in miglioramento, anche se il divario tra crescita delle opportunità e crescita della popolazione rimane notevole. Salvo crisi impreviste, sin tanto che resterà una elevata propensione a emigrare dal Maghreb, vi saranno nuovi arrivi di individui inseriti in reti o mossi dal caso. Il flusso potrebbe però ridursi di fronte a minori opportunità di occupazione in Piemonte, ma anche per una più attenta considerazione delle opportunità. Se i marocchini restano gli immigrati per antonomasia in Piemonte, essi devono per altro fronteggiare una forte concorrenza da parte di nuovi arrivati da altri paesi. Non è detto che tale concorrenza sia diretta, ma avviene piuttosto, come in tutti i fenomeni migratori, attraverso la colonizzazione di nicchie del mercato del lavoro e degli spazi sociali da parte di gruppi che presentano qualche vantaggio relativo o che si adeguano a condizioni particolari. Gli albanesi e i rumeni in seguito hanno attraversato momenti difficili nel percorso migratorio. Anche essi sono transitati nei luoghi del disagio, nei lavori peggiori, nello sfruttamento e nelle truffe. Molti immigrati rumeni si trovano ancora in questa fase, anche se i loro progressi sembrano rapidi. Ognuno può trovare la sua collocazione, occupare spazi complementari e di reciproco vantaggio. Certamente esistono rischi. Una crescita della concorrenza, in caso di congiuntura occupazionale negativa, potrebbe scatenare una "guerra tra poveri" mettendo a repentaglio al contempo la stabilità raggiunta dagli uni e il primo inserimento degli altri. Riferimenti bibliografici Allasino E. (2000), Immigrati in Piemonte. Una panoramica sulla presenza degli stranieri nel territorio regionale, Working Papers Ires 143/2000. Caritas (2003), Immigrazione. Dossier statistico 2003, Roma, Anterem. Città di Torino e Prefettura di Torino (2003), Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino. Rapporto 2002. Coser, L. (1956), The Functions of Social Conflict, Glencoe, The Free Press. Comitato Oltre il razzismo (2000), Casa, lavoro, istruzione: azioni per l'uguaglianza. Rapporto finale, Torino. Garelli,F., Ricucci, R., Teagno, D. (2001), Islam a Torino: identità e integrazione convivono, Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, rapporto non pubblicato. Ilo (2004), La discriminazione dei lavoratori immigrati nel mercato del lavoro in Italia, International migration papers, Geneva, aprile. Ires (1992), Rumore. Atteggiamenti verso gli immigrati stranieri, Torino, Rosenberg & Sellier. Ires (1994), Le chiavi della città. Politiche per gli immigrati a Torino e Lione, Torino, Rosenberg & Sellier. 13 E' stato segnalato qualche caso, significativo ma certamente non generalizzabile, di marocchini che hanno ottenuto la cittadinanza italiana e subito si sono trasferiti in altri paesi dell'Unione europea. 51 Ismu (2003), Primi risultati della ricerca su "Il processo di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari in Italia", relazione al seminario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali "Immigrazione: mercato del lavoro e integrazione", Como, 20-21 novembre. Oim (2003), Gli albanesi in Italia. Inserimento lavorativo e sociale, a cura di Ugo Melchionda, Milano, Angeli, 2003. Osservatorio sull'immigrazione in Piemonte, R & P (2003), I lavoratori dipendenti stranieri in Piemonte nei dati Inps, Contributi di ricerca Ires 169, Torino. Piore, M. (1979), Birds of Passage. Migrant Labor and Industrial Societies, Cambridge, Cambridge University Press. Regione Piemonte, Osservatorio sul mercato del lavoro (2003), Il mercato del lavoro in Piemonte - 2001-2002, Torino. Regione Piemonte, Settore Statistico Regionale (2002), Residenti stranieri in Piemonte. Atlante 1993-2000, Torino, Quaderni della Regione Piemonte. Regione Piemonte, Settore Statistico Regionale (2003), Indagine sulla presenza straniera sui principali comuni piemontesi, Torino, Quaderni della Regione Piemonte. Semi, G. (2004), Le multiculturalisme quotidien: Porta Palazzo entre commerce et conflit, Tesi di dottorato, Università di Torino e EHESS, Paris. 52