gli albanesi in piemonte

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gli albanesi in piemonte
CAPITOLO 1
L’integrazione dei migranti maghrebini in Piemonte ∗

di Enrico Allasino e Roberta Ricucci. Ringraziamo tutti coloro che hanno reso possibile questa ricerca fornendoci
informazioni e dati, in particolare il Settore statistica della Città di Torino.
37
Premessa
Gli immigrati provenienti dall'Africa settentrionale sono stati tra i primi a giungere in Piemonte
e per molto tempo sono stati il gruppo più numeroso.
Sin dagli anni settanta erano arrivati in Piemonte alcuni commercianti ambulanti magrebini,
che si rendevano molto visibili percorrendo le città e le campagne con il loro carico di merce.
Nei primi anni ottanta, tuttavia, tra le singole nazionalità prevalevano ancora gli europei
occidentali o, fra gli extracomunitari, gli iraniani, i vietnamiti e i filippini. Ma sul finire del
decennio, soprattutto in seguito alla regolarizzazione del 1986, i magrebini erano notevolmente
cresciuti di numero. Tra di essi predominavano, e predominano tuttora nettamente, i
marocchini, sui quali ci soffermeremo in particolare. L'apertura di un consolato del Marocco a
Torino ha recentemente dato un suggello formale all'importanza di questa popolazione, oltre
ad agevolare il disbrigo delle pratiche e le relazioni con le amministrazioni locali.
I marocchini in effetti divennero non solo il gruppo più numeroso, ma anche quello
emblematico dell'immigrazione straniera in Piemonte. In una indagine campionaria sulle
opinioni e gli atteggiamenti dei piemontesi nei confronti dell'immigrazione, condotta alla fine
del 1990, la domanda iniziale del questionario chiedeva agli intervistati di indicare chi venisse
loro in mente quando si parlava di stranieri immigrati. In due terzi dei casi la risposta
spontanea fu "i marocchini" (Ires, 1992, p. 97). L'immagine che i piemontesi avevano dei
marocchini risultò piuttosto negativa, più di quella degli africani neri, anche se decisamente
migliore di quella dei nomadi.
1. Evoluzione del fenomeno
Da molti anni il Piemonte si colloca tra le regioni italiane in cui sono più numerosi gli stranieri
immigrati, anche se non ha mai raggiunto i livelli quantitativi della Lombardia o del Lazio, né le
crescite intense di certe aree del Nord Est o del Centro.
Attualmente, all'inizio del 2004, l'insieme degli stranieri residenti in Piemonte si caratterizza
per una marcata tendenza alla stabilizzazione, accompagnata dalla consistente crescita di
nuovi arrivi, soprattutto dall'Europa orientale (Caritas, 2003). La sedentarizzazione di molte
famiglie immigrate, che con i ricongiungimenti familiari, l'acquisto della casa, l'iscrizione dei
figli alle scuole italiane segnalano l'intenzione, o almeno la accettazione della prospettiva di
stabilirsi definitivamente in Italia, contrasta con un quadro legislativo, una congiuntura
economica e un clima d'opinione che presentano zone d'ombra e di potenziale minaccia a
questa tendenza.
In Italia all'inizio del 2003 risultano 1.512.324 permessi di soggiorno. Se a questi si
aggiungono i regolarizzati che hanno presentato domanda nel 2002 e i minori registrati con i
genitori, si arriva a un totale probabile di 2,5 milioni di stranieri regolari in Italia 1 .
Il Piemonte2 è al sesto posto tra le regioni italiane con 107.568 soggiornanti stranieri (dati del
Ministero dell'Interno). In occasione della regolarizzazione del 2002, sono state presentate
53.000 domande (Ismu, 2003). Al momento non sono noti i risultati definitivi della procedura,
ma un'alta percentuale di domande è già stata accolta (a Torino supera il 96%): quindi i
soggiornanti regolari aumenteranno di diverse decine di migliaia e quasi certamente i cittadini
rumeni diverranno la prima nazionalità per numero, sopravanzando i marocchini, che pure
aumentano.
L'ultimo dato ufficiale disponibile (31.12.2002) indica 24.676 permessi di soggiorno per i
marocchini (22,9%), 2.379 per i tunisini (2,2%), 1.345 per gli egiziani e poche centinaia per
gli algerini. Il Piemonte è una delle regioni italiane che catalizzano la presenza di immigrati dal
Maghreb (cfr. cap. Caritas)
Per tutti gli anni novanta i marocchini sono stati in media un quarto degli stranieri in regione,
mantenendo il primo posto tra le nazionalità, seguiti dagli albanesi (15.688 al 31.12.2002, pari
al 14,6%) dai rumeni (12.952, 12%) e, a maggior distanza, da cinesi, peruviani e senegalesi.
Oggi, come abbiamo detto, il loro primato sembra minacciato. Mentre tra il 2001 e il 2002 i
1
Si veda: Immigrazione. Dossier statistico 2003 della Caritas e il capitolo "L'immigrazione nordafricana in Italia" in
questo volume.
2
Dati e informazioni aggiornate sulla presenza straniera in Piemonte si trovano nel sito dell'Osservatorio regionale
sull'immigrazione: www.piemonteimmigrazione.it
38
permessi di soggiorno in Piemonte (regolarizzazione non compresa) sono aumentati del 12%, i
marocchini sono cresciuti solo dell'8%. Per contro il dato per i rumeni è stato del 25%, per gli
albanesi del 17% e per i cinesi del 16%.
I marocchini sono presenti in tutte le province piemontesi, proporzionalmente più a Biella,
Vercelli, Cuneo e Alessandria, anche se Torino resta l'area di maggior presenza assoluta (fig.
1).
Fig. 1 Permessi di soggiorno a cittadini del Marocco e in totale per provincia in Piemonte al 31.12.2002
Provincia
marocchini
stranieri
% marocchini
Alessandria
1.932
8.416
23,0
Asti
1.388
6.899
20,1
Biella
1.830
4.740
38,6
Cuneo
3.282
13.577
24,2
Novara
2.042
10.070
20,3
Torino
12.137
56.186
21,6
536
3.008
17,8
1.529
4.667
32,8
24.676
107.563
22,9
Verbania
Vercelli
Piemonte
Non abbiamo al momento dati aggiornati sui residenti stranieri nei comuni della regione. Le
mappature disponibili (Allasino, 2000; Regione Piemonte, 2002) mostrano che, all'alba del
2000, la presenza di stranieri nei comuni piemontesi ricalca a grandi linee la distribuzione
generale della popolazione. Solo pochi piccoli comuni non hanno residenti stranieri. A Torino e
negli altri capoluoghi provinciali si concentra una quota di stranieri piuttosto alta. Sono evidenti
alcune zone di addensamento relativo: la pianura e le Langhe in provincia di Cuneo;
l’Astigiano; la Val di Susa; la fascia collinare tra Biellese e Verbano; il Casalese. Accanto ai
capoluoghi di provincia compaiono molte cittadine di medie dimensioni.
In generale la popolazione immigrata si sta distribuendo sul territorio regionale. Se Torino
resta un punto di concentrazione, altre aree, non solo capoluoghi di provincia, sono da anni
poli di attrazione per gli immigrati, talora di specifiche provenienze. I popolosi comuni della
cintura metropolitana, ove risiedono in proporzione pochi stranieri, stanno progressivamente
diventando luogo di residenza per essi. In particolare i coniugati e le famiglie con figli tendono
a distribuirsi nei centri minori, mentre gli immigrati singoli, forse nuovi arrivati, tendono a
localizzarsi nei centri maggiori (Regione Piemonte, 2003, p. 17). Anche le assistenti
domestiche si sono rapidamente diffuse in tutto il territorio.
Questo capitolo propone una lettura della attuale situazione dei magrebini in Piemonte
focalizzata su due ipotesi. Da un lato la comunità 3 marocchina, per la sua numerosità e per
l'anzianità della presenza dovrebbe presentare una chiara tendenza alla stabilizzazione.
Dall'altro, la recente forte crescita degli immigrati dall'Europa orientale suggerisce di indagare
se vi siano stati fenomeni di concorrenza, diretta o indiretta, che abbiano ristretto o almeno
modificato gli spazi per l'inserimento dei nordafricani nel mercato del lavoro e nella società
locali.
E' ovvio che queste due chiavi di lettura non pretendono di esaurire il quadro della situazione,
né risultano possibili risposte univoche e incontestabili 4. In particolare, quote di nuovi arrivi dal
3
Il termine comunità, sebbene criticato, è ormai invalso nell'uso corrente per designare l'insieme dei cittadini di una
certa nazionalità. Lo utilizzeremo anche in questo scritto, ribadendo che esso non deve però suggerire una omogeneità
di condizioni di vita, una comunanza culturale e una intensità di legami reciproci tra connazionali che sono sovente
inesistenti o, almeno, da valutare caso per caso.
4
Le informazioni raccolte per questo capitolo si basano, come previsto nel progetto di ricerca e seguendo una
procedura di indagine ormai consolidata in questo campo, su due fonti principali: i dati statistici ufficiali e le
interviste a testimoni privilegiati. Le due fonti dovrebbero completarsi a vicenda e consentire una verifica
incrociata dei risultati, o almeno, della verosimiglianza delle affermazioni.
In pratica l'operazione è meno facile e meno efficace di quanto ci si potrebbe attendere. Infatti le fonti di dati statistici,
nonostante anni di progressivo consolidamento delle procedure di raccolta e di analisi, continuano a presentare
problemi non solo per il loro reperimento e per la esatta comprensione dell'informazione che trasmettono, ma per la
correttezza stessa delle cifre. Alcune cifre ufficiali sono infatti errate, e non per quote esigue, e ormai la loro correzione
sembra quasi impossibile. E' il caso, in specifico, dei permessi di soggiorno in provincia di Cuneo in alcuni anni recenti,
sistematicamente sottodimensionati nei dati del Ministero dell'Interno. Anche le informazioni sull'inserimento nel lavoro
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Nordafrica mantengono in movimento la situazione e alimentano qualche aspetto problematico.
In ogni caso, con molte miglia di residenti e almeno due decenni di vicende alle spalle,
l'immigrazione dal Maghreb rappresenta ormai una parte della storia della regione.
2. Immigrazione e famiglia
I primi immigrati marocchini in Piemonte erano maschi adulti soli, come avviene sovente (ma
non sempre) quando s'avvia un movimento migratorio. Le ragioni che spiegano i primi arrivi,
dopo la metà degli anni settanta, sembrano da ricondursi alla maggiore possibilità per i
magrebini di ottenere il passaporto e alla difficoltà a entrare nei tradizionali paesi di
emigrazione in Europa, in seguito alla adozione di regole più restrittive.
Per quanto è possibile oggi ricostruire la situazione di allora, molti dei primi arrivati erano
realmente commercianti ambulanti, che già esercitavano il commercio in patria o comunque
sceglievano liberamente di guadagnarsi da vivere in questo modo. Una parte di essi inoltre
divideva il proprio tempo tra l'Italia e il Marocco, considerando il commercio un'attività
stagionale. Le crescenti difficoltà a rinnovare il permesso di soggiorno, e anche solo a rientrare
in Italia, li hanno in seguito costretti a scegliere di restare nel paese di emigrazione o a
rientrare definitivamente in patria.
Il relativo successo dei primo ambulanti - che riuscivano talora a guadagnare l'equivalente di
uno stipendio e anche per questo avevano scarso interesse a cercare occupazioni dipendenti
marginali - convinse poi altri a tentare la stessa via. Si trattava in genere di persone
provenienti dalla zona di Khouribga, area di produzione di fosfati e di agricoltura depressa.
La crescente concorrenza tra ambulanti fece sì che per molti l'attività si riducesse a una forma
di accattonaggio dissimulato, in netto contrasto con le intenzioni dei primi. Divenne chiaro che
l'ambulantato non era più una soluzione ed esso fu progressivamente abbandonato sino alla
metà degli anni novanta. Oggi gli ambulanti marocchini lavorano regolarmente, come titolari
della licenza o come dipendenti, nei mercati all'aperto. Residua qualche figura di ambulante
senza sede fissa o questuante che ha trovato ormai da anni una propria nicchia ed è ben noto
ai frequentatori abituali di certi luoghi: il sagrato di una chiesa, i portici di una cittadina o
l'ingresso dell'Università.
A partire dalla regolarizzazione del 1986 e nel corso degli anni novanta, la maggior parte dei
marocchini si sono inseriti progressivamente nel lavoro dipendente nelle industrie, nell'edilizia,
in agricoltura e nei servizi e si sono distribuiti sul territorio regionale laddove vi era domanda di
manodopera.
L'attenzione dell'opinione pubblica e dei giornali fu però sovente rivolta alle fasce marginali
dell'immigrazione magrebina dedite ad attività criminali, in particolare allo spaccio di droga. Si
insisté molto sul legame clandestinità-crimine, diffondendo il sospetto nei confronti dei
nordafricani. Diffidenza non cancellata dalla cattiva reputazione degli albanesi, rapidamente
creatasi dopo il 1991, né, in seguito e in minor misura, dei rumeni.
degli stranieri soffrono di carenze e distorsioni che rendono arduo rispondere a domande banali sulle attività svolte dai
lavoratori stranieri.
Quanto alle interviste a testimoni privilegiati, l'esperienza dimostra che esse sono molto utili e attendibili per avere un
quadro d'insieme della situazione e per cogliere i principali cambiamenti in atto. Esse possono però enfatizzare novità
locali recenti che sul medio periodo si rivelano meno rilevanti del previsto. Inevitabilmente inoltre viene
sovradimensionata la visibilità delle reti di contatti del testimone, mentre coloro che non ne fanno parte possono
risultare poco o punto visibili. Così, per esempio, chi lavora nell'assistenza conoscerà soprattutto persone che sono o
sono state in difficoltà, mentre un immigrato da lunga data conoscerà soprattutto altri immigrati da lunga data e
potrebbe non avere contati con gli ultimi arrivati.
E' poi molto difficile, se non soccorrono i dati statistici, tradurre indicazioni qualitative in generalizzazioni non
contestabili. Il fatto che "molti" immigrati presentino una certa caratteristica può riferirsi alla maggioranza assoluta, a
una quota più ridotta, ma superiore alle attese, a una tendenza minoritaria, ma in probabile crescita o a una semplice
enfasi dell'intervistato che ha individuato una novità.
Va inoltre considerato che le informazioni dei testimoni privilegiati si riferiscono in genere alla situazione
contemporanea, mentre i dati provvisori riguardano situazioni precedenti di parecchi mesi e i dati statistici consolidati
di solito fotografano ciò che accadeva almeno due o tre anni prima
Alcuni limiti non sono facilmente superabili: l'invito è a considerare le affermazione di questo saggio come indizi per un
processo di ricerca in divenire e non affermazioni definitive.
40
A cavallo tra gli anni ottanta e novanta vi fu una forte crescita di immigrati marocchini – una
immigrazione di lavoratori, ma anche di studenti, talora con connotazioni politiche 5 – e si
attraversò un periodo critico. In particolare la casa era un grosso problema: gli immigrati
dormivano in soffitte sovraffollate, in tuguri, sotto i ponti, nelle automobili. L'"emergenza" era
la condizione abituale degli interventi da parte dei servizi pubblici e del volontariato (Ires,
1994).
All’inizio degli anni novanta, comparvero, dietro i lavoratori, i minori marocchini, figli
adolescenti o preadolescenti, che raggiungevano i padri per affiancarli nel lavoro ambulante. A
questa immigrazione minorile si affiancò quella di ragazzi affidati informalmente a parenti (o
sedicenti tali) e compaesani dai genitori, che confidavano di assicurare un futuro lavorativo ai
giovani e, nel contempo, di gettare le fondamenta dell’assistenza economica per la loro
vecchiaia.
Man mano che il lavoro ha garantito un reddito costante, la situazione è migliorata. Trovate
abitazioni meno precarie, sono potuti iniziare i ricongiungimenti familiari. Essi riguardavano
inizialmente parenti maschi, ma in seguito la percentuale di donne è salita decisamente, anche
se resta inferiore alla parità.
Non è detto che le donne magrebine arrivino solo come mogli di concittadini precedentemente
immigrati. Esistono casi, non sporadici, di donne marocchine nubili che hanno avuto un
percorso migratorio autonomo e che solo in un secondo tempo si sono sposate, con
connazionali o con italiani. D'altra parte, anche il matrimonio può far parte del percorso
migratorio, per maschi e femmine, in quanto è la emigrazione che consente di accumulare
risorse per fondare una famiglia.
La situazione delle donne ricongiunte non è sempre facile. Gli operatori dei servizi hanno
conosciuto donne isolate, con scarsissime conoscenze della società in cui si trovano, qualche
volta imprigionate in relazioni difficili con il coniuge e che non è facile aiutare. Non si deve
nemmeno generalizzare questa situazione, che riguarda solo situazioni specifiche e che può
limitarsi a una fase critica iniziale dell'inserimento.
Per altro, vi sono stati alcuni casi di minacce contro donne marocchine considerate troppo
occidentalizzate da parte di compatrioti maschi.
Il profilo demografico dei marocchini residenti in Piemonte si è complicato a poco a poco. Sono
comparse le coppie con figli, taluni nati in Marocco, molti altri nati qui. La presenza minorile è
divenuta significativa e sfaccettata. Infatti, accanto ai figli di coppie ricongiunte o formatesi
qui, rappresentanti dell’integrazione che avanza, vi sono altri minori. Innanzitutto, i minori non
accompagnati, numerosi negli anni novanta, arrivati soli e aiutati nell’inserimento da progetti
di tutela sviluppati in accordo fra servizi sociali e associazioni del volontariato. Vi sono poi i
minorenni inseriti nel circuito della devianza, che finiscono per subire ripetuti affidamenti al
Centro di prima accoglienza dell’Istituto penale minorile del Piemonte. Vi sono, ancora, i
minorenni che si incontrano ai semafori, nei mercati: visibili alla cittadinanza, ma sfuggenti ai
servizi e a qualunque forma di tutela. Ma anche nelle scuole il numero di immigrati è cresciuto,
dapprima negli asili e nelle elementari, in seguito nelle medie e nelle scuole superiori.
Gli studenti universitari sono pochi, ma ciò dipende anche dalla scelta di chiusura verso gli
studenti stranieri operata dall'Italia.
Vi sono anche immigrati anziani, perché sono arrivati qui, non giovani, oltre venti anni fa, o
perché si sono ricongiunti ai parenti. Non è sempre detto che essi abbiano maturato il diritto
alla pensione, né che la famiglia, quando c'è, sia in grado di fornire loro tutta l'assistenza e il
sostegno economico necessari. E' possibile che presto si pongano inediti, ma non imprevedibili
problemi di intervento a sostegno di questa fascia di popolazione.
Un movimento migratorio con grandi numeri come quello dal Maghreb non può essere
incasellato in poche categorie esaustive. Se molti elementi confermano un processo di
stabilizzazione in corso, altri indicano che continuano flussi di arrivo di nuovi immigrati free
floaters (Piore, 1979: pp.103-104), alla ricerca di occasioni, non necessariamente guidati da
legami familiari o amicali in Italia. Ne risulta una quota molto visibile di immigrati giovani,
talora irregolari, in cerca di lavoro e in qualche caso anche di guadagno illecito.
Rimane una forte propensione a emigrare dai paesi del Maghreb, anche se i magrebini da noi
intervistati dubitano che si tratti sempre di un buon investimento, come bilancio complessivo.
5
Se i rifugiati o i dissidenti politici erano poco numerosi, molti giovani sostenevano che la scelta di emigrare fosse
dovuta alla volontà di sfuggire una società che non offriva loro spazio non solo nel mercato del lavoro, ma neanche
nella auto-realizzazione personale e nella libertà di espressione.
41
Il costo dell'espatrio è altro, non è certo che in Italia si guadagni sempre molto di più che in
Marocco e vanno considerate le maggiori spese, i periodi di disoccupazione, i viaggi di ritorno.
Si tratta, a loro giudizio, anche di un problema di informazione. Come in tutte le emigrazioni il
successo è appariscente e ostentato, mentre i fallimenti sono passati sotto silenzio dagli stessi
emigrati. E comunque, con le parole di un nostro intervistato "coloro che si fanno incantare dal
miraggio dell'emigrazione non hanno visto né l'inverno, né la notte, né i tempi della fabbrica,
ma vedono solo un emigrato che rientra in patria con un'automobile nuova. E i falliti, o quelli
che fanno solo fatica, non si vedono".
I magrebini sono generalmente considerati una popolazione che utilizza largamente i servizi
forniti dal settore pubblico e dal privato. Mentre altre comunità si mostrano più autosufficienti
o restie a ricorrere all'appoggio esterno, i marocchini hanno appreso a utilizzare tutte le risorse
disponibili sul territorio.
Negli anni passati era alto il ricorso a servizi di prima accoglienza o di assistenza di base, dai
dormitori pubblici al pronto soccorso, alle mense. Si chiedevano informazioni a chiunque fosse
disponibile, come gli insegnanti dei corsi professionali, provando a porre il quesito a più
interlocutori. Oggi gli operatori rilevano che, se alcuni devono affrontare problemi di primo
inserimento o faticano a sopravvivere, la maggioranza dei residenti magrebini ricorre in modo
consapevole e mirato a servizi più specializzati e non si presenta più agli sportelli
dell'assistenza.
3. Un approfondimento sulla situazione di Torino
Marocchini residenti a Torino al 30.11.2003 per anno di immigrazione
Nati a Torino
2002
2000
1998
1996
1994
1992
1990
1988
sino al 1986
In Piemonte poco(R:meno
della
metà
immigrati dal Marocco - 12.036 nel novembre 2003,
anni in cui
vi è stata
unadegli
regolarizzazione)
mentre erano 10.034 alla fine del 2001 - risiede nella città di Torino 6. Questo insieme, per
2.000
numerosità e concentrazione dà certamente una immagine significativa della situazione degli
1.500
immigrati di questa provenienza 7, anche se le sue caratteristiche non possono essere
1.000
R
generalizzate
ai residenti nelle altre province.
500
R
I dati dell'Ufficio statistica di Torino sulla anzianità di immigrazione in città (in senso
R
0 R alcuniRsi sono trasferiti da altri comuni italiani) mostrano anzitutto il prevedibile
anagrafico:
legame con le regolarizzazioni (fig. 2). L'anno successivo a ognuna di esse, per i tempi tecnici
di valutazione della domanda e di rilascio del permesso di soggiorno, si ha un picco nelle
registrazioni anagrafiche. Questo è avvenuto specialmente nel 1990 e nel 1996 e si ripete nel
2003.
Fonte: Città di Torino, Ufficio statistica
Marocchini residenti a Torino al 30.11.2003 per anno di immigrazione
(R: anni in cui vi è stata una regolarizzazione)
2.000
1.800
1.600
1.400
1.200
1.000
800
600
400
200
0 R
R
R
Nati a Torino
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1994
1993
1992
1991
1990
1989
1988
1987
sino al 1986
1995
R
R
Fonte:
Città di Torino, Ufficio
statistica
Il 14,5% dei marocchini di Torino
è immigrato
da oltre
dieci anni, e possiede quindi uno dei
requisiti per chiedere la cittadinanza italiana. Il 38%, 4.572 residenti in totale, è immigrato da
almeno sei anni e quindi ha ottenuto o potrebbe ottenere la carta di soggiorno.
Per contro, il 46,5% si trova ancora in una fase iniziale della presenza in città, sebbene alcuni
si siano trasferiti da altri comuni o abbiano un periodo di presenza irregolare alle spalle.
6
Trascuriamo per semplicità di esposizione gli algerini e i tunisini, molto meno numerosi (225 e 1.229
rispettivamente).
7
Occorre ricordare che una piccola quota di presenti regolari in città potrebbero non avere la residenza.
42
Il luogo di nascita degli immigrati fornisce altre indicazioni. Sono nati a Casablanca il 22% dei
Marocchini di Torino, a Khouribga l' 11%. Altre grandi città del regno forniscono quote più
ridotte di immigrati. Esistono certamente catene migratorie fra queste aree e il Piemonte,
anche se i molti marocchini originari di diverse aree fanno pensare che funzionino anche reti
frammentate e a legami deboli: conoscenze occasionali, lontane parentele, voci…
Un dato molto interessante è che il 16% dei marocchini residenti è torinese di nascita. Sono in
complesso quasi duemila i nati in città o in altri comuni italiani. Nel caso dei residenti tunisini e
algerini, il 23% e il 14% rispettivamente sono nati a Torino. I dati confermano che numerosi
giovani magrebini stanno crescendo nella città in cui sono nati e ove erano immigrati i loro
genitori. A costoro andrebbero aggiunti i figli di coppie miste che hanno cittadinanza italiana e
che rappresentano un altro gruppo ponte fra i due paesi e le due generazioni. In città vi sono
6900 nuclei familiari in cui è presente almeno un componente magrebino. Le coppie con figli
sono oltre 1500 e oltre 400 le donne e gli uomini con figli.
La proporzione maschi/femmine era inizialmente molto sbilanciata a favore dei primi, ma, da
metà anni novanta si è venuta riequilibrando. Nel 2003 le femmine erano il 36,5% dei
residenti. Come prevedibile il numero di donne immigrate cresce qualche anno dopo una
regolarizzazione, a causa dei ricongiungimenti.
Un quarto dei marocchini residenti a Torino vive da solo. In particolare vive sola una donna su
dieci, e un ulteriore 11% risulta capofamiglia: molte hanno quindi un percorso migratorio
autonomo e non sono arrivate in città per ricongiungersi a parenti.
La professione dichiarata all'anagrafe non è molto attendibile perché non aggiornata: si può
notare che oltre la metà (52%) dei maschi dichiara di essere operaio nell'industria, mentre il
32% delle donne sono casalinghe. I pensionati sono una quarantina.
Infine, i dati mostrano che i marocchini risiedono ormai in quasi tutti i quartieri della città.
Restano concentrazioni nelle aree del centro storico, specialmente attorno a Porta Palazzo, in
cui era iniziato lo stanziamento, ma sono sempre più numerosi i residenti in altri quartieri,
anche se pochi risiedono nelle periferie operaie sorte negli anni cinquanta-sessanta. A detta
degli operatori si starebbero inoltre riassorbendo i casi di sovraffollamento in stabili degradati.
4. I minori stranieri e l’inserimento nelle scuole: verso la seconda generazione
I dati sulla scolarizzazione confermano la crescita numerica e il consolidamento delle famiglie
magrebine in Piemonte. Nel 2001 erano circa quattromila i giovani magrebini scolarizzati in
Piemonte, di cui quasi seicento nelle scuole medie superiori: il numero di studenti è in crescita
(fig. 3). Si nota però una flessione della proporzione dei marocchini sul totale degli stranieri
iscritti, specialmente nelle medie inferiori, a riprova di un relativo rallentamento rispetto ai
gruppi che guadagnano terreno, albanesi e rumeni (fig. 4).
Fig. 3 Studenti iscritti nelle scuole del Piemonte per tipo di scuola, anno e nazionalità
Elementari
1991
3
284
25
1992
6
376
15
1993
3
454
19
1994
1
555
32
1995
5
607
21
1996
5
653
26
1997
8
791
27
1998
11
1042
41
1999
11
1402
80
2000
30
1729
88
2001
21
1982
116
1340
1485
1703
2103
2213
2575
2982
3994
5197
6471
7924
Medie
inferiori
Algeria
Marocco
Tunisia
Totale
stranieri
0
107
1
0
187
1
0
272
6
0
315
5
0
355
4
0
440
3
1
517
8
2
727
14
5
946
19
17
1079
25
17
1173
34
404
503
660
848
970
1185
1483
2165
2875
3638
4476
Medie
superiori
Algeria
Marocco
Tunisia
Totale
stranieri
0
9
1
0
13
0
0
29
0
1
39
3
1
57
6
0
106
5
1
155
1
158
7
4
259
14
5
401
21
8
561
23
125
110
193
248
330
507
562
728
1307
1902
2587
3935
Algeria
Marocco
Tunisia
Totale
stranieri
Fonte: Osservatorio sul sistema formativo piemontese
43 11
Fig. 4. Percentuale di iscritti marocchini sul totale degli iscritti stranieri nelle
scuole del Piemonte per ordine di scuola e per anno
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1991
1992
1993
Elementari
1994
1995
1996
1997
Medie inferiori
1998
1999
2000
2001
Medie superiori
Fonte: Osservatorio sul sistema formativo piemontese
Nell'anno accademico 2001-2002 nei tre atenei piemontesi erano iscritti 1248 studenti
stranieri, di cui 62 magrebini, la metà dei quali al Politecnico di Torino8.
Come prevedibile, l'inserimento degli alunni magrebini nelle scuole può dar luogo a qualche
difficoltà didattica e organizzativa, ma è anche evidente che molti genitori hanno scelto di
investire sull'istruzione in Italia dei figli e si impegnano di conseguenza per aiutarli.
Anche nei corsi di formazione professionale sono in atto cambiamenti. I docenti intervistati
notano che alcuni anni fa si trovavano di fronte a giovani lavoratori in cerca di qualificazione,
soggetti a pesanti carichi di lavoro, ma anche molto motivati. Oggi sono più numerosi i giovani
magrebini cresciuti in Italia che si comportano come tutti gli altri coetanei e devono essere
motivati per conseguire una adeguata formazione.
In generale, i docenti e gli operatori sociali che lavorano con i giovani magrebini percepiscono
il grosso sforzo che molti di costoro devono compiere per ridefinire la loro identità e comporre
valori e aspettative non sempre convergenti tra società circostante e ambito familiare.
Esiste comunque una contraddittorietà di fondo nella immagine che si forma dell'integrazione
degli immigrati. E' noto che alcuni gruppi appaiono poco problematici, poco visibili e quindi
sono considerati integrati. Altri invece manifestano segni di disagio e di conflitto che portano a
considerarli poco integrati. Un'analisi più attenta della situazione, anche se basata solo
sull'osservazione e su pochi dati non sistematici, pare confermare invece – sulla scia di Coser
8
Dati particolareggiati e aggiornati sul sito dell'Osservatorio regionale per l'Università: www.ossreg.piemonte.it
44
(1956) - che il conflitto può essere un sintomo di integrazione, indicando una relazione in
divenire, negoziata anche attraverso prove di forza e tensioni. E' questa in larga misura la
situazione dei magrebini, mentre gruppi di latinoamericani o di asiatici possono essere in una
situazione di minor integrazione, ma senza conflitto.
5. L'area della devianza
Nel complesso della immigrazione magrebina in Piemonte solo gruppi di dimensioni ridotte
presentano situazioni difficili.
Senza dubbio una piccola parte di immigrati resta coinvolta in giri malavitosi e nello spaccio. Vi
è qualche episodio di violenza e di teppismo, forse legato anche a problemi di disagio psichico.
Talora una crisi familiare o nei rapporti tra conoscenti sfocia in fatti di sangue. Continuano poi
a esistere, specialmente tra gli ultimi arrivati, comportamenti che non sono criminosi o illegali
(vendita di prodotti alimentari in strada, schiamazzi, alterchi, ecc…), ma sono percepiti con
fastidio e allarme dagli autoctoni. In particolare, molti torinesi hanno l’impressione che i
giovani magrebini dediti ad attività commerciali irregolari o illegali controllino gli spazi pubblici,
mentre ricerche sul campo hanno mostrato che la loro presenza è soggetta a regole informali,
ma stringenti, e subalterna a quella degli autoctoni (Semi, 2004). Tutte queste situazioni,
amplificate e generalizzate, continuano ad alimentare una certa percezione negativa
dell'immigrazione magrebina, riverberandosi anche su coloro che non vi hanno alcuna
responsabilità.
Tuttavia non mancano segnali di un possibile miglioramento della situazione. Tutti i nostri
intervistati, in particolare gli stessi magrebini, rilevano che l'intensificarsi delle relazioni
personali tra italiani e immigrati – nel vicinato, nel luogo di lavoro, nelle scuole, ma anche
come parenti - sta portando a una maggiore articolazione dei giudizi e ad a una miglior
conoscenza reciproca. Resta la tendenza degli autoctoni a disgiungere nettamente l'opinione
sui magrebini conosciuti di persona, che si giudicano come individui, da quella sull'insieme
indistinto dei marocchini o degli extracomunitari, sospettati di propensioni al crimine e alla
devianza.
La presenza nelle carceri piemontesi degli stranieri è una realtà nota agli operatori: nel 2001,
gli stranieri detenuti nelle carceri piemontesi rappresentavano il 37,6% sul totale della
popolazione detenuta (Istat).
I magrebini sono stata il primo gruppo straniero significativo all’interno delle case circondariali
e di reclusione della regione. Essi erano, al 31 agosto 2003, il 51,7% della popolazione
detenuta straniera, che conta 1.848 presenze, di cui 83 donne (dati del Ministero della
Giustizia). I detenuti marocchini (60,8%), seguiti da algerini (19,8%) e dai tunisini (19,4%)
condividono con gli altri stranieri detenuti il fatto di essere, nella quasi totalità dei casi, senza
permesso di soggiorno; di accedere poco o nulla alle misure alternative e alle pene sostitutive
alla detenzione; di essere giovani e con un grado di istruzione medio-basso 9.
I comportamenti devianti sembrano disegnare due percorsi di inserimento: uno di marginalità,
che conduce in carcere per reati contro il patrimonio (soprattutto furti), e uno di inserimento
nella filiera del commercio di stupefacenti, ancora ai gradi più bassi. Infatti, sembrerebbe che
in questa attività i magrebini, soprattutto marocchini, abbiano sostituito gli italiani nelle
mansioni di bassa manovalanza del crimine piuttosto che nei posti di organizzazione del
traffico, come invece hanno fatto gli albanesi. Questi ultimi sono il termine di confronto per gli
operatori del carcere, in quanto seconda presenza straniera significativa fra la popolazione
detenuta. Nel confronto, pertanto, i marocchini sono indicati come meno pericolosi, con una
storia di devianza iniziata in Italia, al di fuori dei circuiti della criminalità organizzata, ma
piuttosto come ‘imprenditori di se stessi’. Questi commenti si ribaltano quando si descrivono gli
albanesi, considerati pericolosi e potenti, perché inseriti in reti criminali forti, con una carriera
deviante iniziata già in patria.
6. L'inserimento nel mercato del lavoro
9
Per questa parte, sono state utilizzate le interviste ai direttori della carceri piemontese, parte integrante di una
ricerca, in fase di conclusione, sul rapporto criminalità e giustizia in Piemonte, ricerca realizzata nell’ambito delle
attività dell’Osservatorio Regionale sull’Immigrazione.
45
Molti lavoratori magrebini sono stabilmente inseriti nel sistema produttivo piemontese, ma,
come avviene per tutti i lavoratori stranieri, è difficile dire quanti siano esattamente e,
soprattutto, quali mansioni svolgano e in quali imprese.
Una indagine sulla presenza di lavoratori dipendenti stranieri in Piemonte in base ai dati
dell'Inps10 permette di avere una immagine generale della presenza dei magrebini nel sistema
produttivo piemontese (esclusa l'agricoltura e i servizi domestici).
Nel 1999, a fronte di 35.668 permessi di soggiorno per lavoro subordinato i dati Inps
indicavano 29.617 dipendenti stranieri. Tra costoro i magrebini erano assai più numerosi in
Piemonte rispetto alla media nazionale: 40% contro 26%. Già allora erano seguiti dagli europei
dell'Est, con il 32% (Italia 29%). L'Africa non mediterranea e l'Asia fornivano invece quote di
lavoratori inferiori alla media italiana.
La quota di lavoratori dipendenti europei era già in forte crescita dal 1990 (quando erano solo
il 12%), a scapito della quota dell'Africa nera (scesa dal 33 al 18%), mentre i nordafricani
calavano di poco (erano il 44%).
Come si è detto, a partire dalla fine degli anni ottanta i marocchini hanno trovato lavoro come
dipendenti nell'industria, nell'edilizia, nei servizi e in agricoltura, in genere in mansioni manuali
non qualificate o poco qualificate. Come molti altri immigrati dai paesi meno sviluppati, essi
restano quasi del tutto esclusi dal lavoro impiegatizio.
I marocchini non appaiono molto concentrati in un settore o in una professione, ma si sono
piuttosto distribuiti fra le imprese a seconda di dove emergeva di volta in volta la domanda di
manodopera. Alcune aree di maggiore presenza, come il Biellese, sono conseguenza
dell'incontro fra la domanda di operai da parte del settore tessile e la disponibilità di lavoratori
marocchini, all'epoca i più numerosi e disponibili. Allo stesso modo si sono formate
concentrazioni nel Monregalese e nel Vercellese.
Anche le donne marocchine hanno trovato lavoro come dipendenti, in quote più ridotte. Nel
loro caso la concorrenza con le donne di altre nazionalità sembra essere stata più forte,
specialmente nel lavoro domestico, ove resistenze culturali da entrambe le parti, e il fatto che i
progetti migratori fossero più sovente legati al ricongiungimento familiare, ne hanno limitato
l'occupazione ai lavori di pulizia. Il numero di donne magrebine è molto cresciuto e, come si è
detto, alcune sono arrivate sole e devono lavorare per necessità, per mantenere sé stesse e la
famiglia. Altre, anche se i mariti hanno redditi sufficienti, preferiscono avere un lavoro che
consenta loro di inviare denaro ai parenti e avere un reddito autonomo. E' chiaro che la scelta
diventa più difficile se ci sono bambini da accudire.
Negli anni successivi gli albanesi prima e i rumeni poi si sono sempre più inseriti nel mercato
del lavoro locale. Oggi (inizio 2004) in una fase di crisi occupazionale che certamente rende
difficili i nuovi inserimenti, i lavoratori marocchini sono confrontati a una forte concorrenza da
parte di nuovi arrivati.
Per abilità e propensione personale, ma anche per sfuggire a tale concorrenza e alla
discriminazione da parte dei datori di lavoro, molti magrebini hanno iniziato a lavorare in
proprio, in genere come artigiani. Le associazioni di settore rilevano che i magrebini che si
rivolgono a esse per avviare l'attività non sono imprenditori improvvisati o disperati alla ricerca
di un reddito, ma dimostrano conoscenza del mestiere e del settore e arrivano con progetti già
ben definiti. Alcuni sono artigiani edili – attività che talora copre un lavoro alle dipendenze –
altri ristoratori, commercianti o autotrasportatori. Si segnalano già alcuni casi di relativo
successo economico e di espansione dell'attività. Anche le donne cominciano a interessarsi al
lavoro in proprio e si muovono autonomamente nei rapporti con i servizi.
Ma i lavoratori magrebini appaiono capaci di utilizzare anche altre vie per trovare nuove
opportunità di lavoro. Da una recente ricerca sul lavoro interinale (Regione Piemonte,
Osservatorio sul mercato del lavoro, 2003) risulta che nel 2001 vi sono stati 7.400 gli
avviamenti di lavoro interinale di persone nate in paesi extracomunitari 11, il 12,6% del totale,
in netta prevalenza maschi, un po' più anziani, in media, degli italiani. Gli avviamenti sono
avvenuti soprattutto nelle imprese industriali.
10
V. Osservatorio sull'immigrazione in Piemonte, R & P (2003), a cui si rinvia per una più precisa esposizione delle
caratteristiche di questa fonte di dati e del metodo di analisi. La pubblicazione è reperibile anche nel sito internet
dell'Osservatorio sull'immigrazione indicato nella nota 3.
11
Si tenga presente che una singola persona può essere avviata più volte nel corso dell'anno: la media del Piemonte
nel 2001 era 1,63 avviamenti per lavoratore (Regione Piemonte, Osservatorio sul mercato del lavoro, 2003).
46
Il 70% di costoro sono africani, la metà dei quali nati in Marocco. I paesi dell'Europa orientale
forniscono il 14%, gli altri continenti si collocano su cifre più basse.
Questa situazione può essere interpretata come un sintomo della capacità dei lavoratori
magrebini di utilizzare tutti gli strumenti messi a disposizione dal sistema per trovare
occupazione, e sarebbe quindi segno positivo di integrazione nel mercato del lavoro. Va però
notato che le agenzie segnalano crescenti difficoltà ad avviare i lavorati magrebini ultimi
iscritti, se non possiedono qualifiche professionali.
6.1. Gli atteggiamenti degli imprenditori verso i magrebini: c'è pregiudizio e perché?
Se i lavoratori marocchini sono ormai presenti stabilmente nel mercato del lavoro piemontese,
sembra che il legame tra impresa e immigrati marocchini non sia esente da incertezze. Da un
lato alcuni imprenditori sono restii ad assumere marocchini o lamentano una scarsa
socializzazione al lavoro nelle imprese da parte dei loro dipendenti. Dall'altro gli immigrati
magrebini sembrano aspirare piuttosto al lavoro autonomo, forse anche in reazione alla
discriminazione e alle difficoltà che incontrano nel lavoro subordinato.
Una recente ricerca dell'Ilo (Ilo, 2004), svolta in tre città italiane, fra cui Torino, ha mostrato
che i lavoratori marocchini sono oggetto di una rilevante discriminazione in Italia. Molti datori
di lavoro non prendono neppure in considerazione le loro candidature, senza preoccuparsi di
vagliarne le capacità effettive. Questa discriminazione è particolarmente elevata per i mestieri
che richiedono contatto con il pubblico, come i camerieri, per i quali la presenza di un
magrebino (ma non necessariamente di uno straniero di altre provenienze) sembra considerata
particolarmente inopportuna. Le interviste al personale dei centri per l'impiego e delle agenzie
interinali confermano che vi sono imprenditori che richiedono esplicitamente di non proporre
loro marocchini. Anche quando si tratta di trovare una casa in affitto, una ricerca ha
confermato la pesante chiusura pregiudiziale nei loro confronti (Comitato Oltre il razzismo,
2000).
Poiché questa discriminazione è largamente dissimulata (alla persona interessata si dice
semplicemente che il posto di lavoro non è più disponibile, o che l'alloggio è già affittato), essa
è più diffusa di quanto possano percepire le stesse vittime.
Il problema indicato più di frequente dagli imprenditori nei loro rapporti con i dipendenti
magrebini continua ad essere il mancato rientro dalle ferie e la mancanza di puntualità sul
lavoro. Si lamenta anche una certa conflittualità, dovuta alla maggior propensione a cercare di
contrattare individualmente regole e orari.
Questa tendenza viene attribuita a caratteristiche culturali, ma potrebbe anche derivare, se
verificata, da una migliore conoscenza delle regole e dei diritti da parte di questi lavoratori.
Si ritiene anche che quando in una unità locale lavorano numerosi magrebini essi tendano a
formare un gruppo a parte con dinamiche interne difficili da controllare.
Un'altra difficoltà che viene segnalata – invero non solo per questa comunità – è la tendenza a
non investire molto sulla crescita professionale sul posto di lavoro. Dipendenti capaci
preferiscono spesso mettersi in proprio o abbandonare il posto per un lavoro irregolare o meno
qualificato, ma con un reddito immediato più alto. E' chiaro che i progetti migratori individuali
non sono sempre compatibili con i tempi lunghi e i modesti incentivi economici di certe carriere
professionali, in un quadro di generale incertezza.
L'immagine dei magrebini è di solito quella di persone che cercano abilmente di contrattare, se
non di manipolare, i rapporti interpersonali. E' difficile dire quanto pesi lo stereotipo del
levantino e quanto il comportamento reale.
Per altro, molti imprenditori intervistati – scelti perché avevano dipendenti marocchini –
parlano in termini molto positivi dei loro assunti e ne lodano la competenza e le capacità,
riconoscendo che anche gli italiani possono creare problemi.
Abbiamo già discusso nel caso degli albanesi (Oim, 2003, p. 112 segg.) che la discriminazione
può nascere non solo da pregiudizio personale del datore di lavoro, ma anche dal fenomeno
indicato come discriminazione statistica, che porta a non assumere tutti i lavoratori
appartenenti a un gruppo per una qualche caratteristica negativa che si trova in misura
proporzionalmente più frequente in esso rispetto ad altri, risparmiando sui costi che comporta
l'accertamento delle caratteristiche individuali.
47
Le caratteristiche negative (dal punto di vista dell'impresa) di alcuni dipendenti magrebini
portano quindi a escludere tutte le candidature di tale provenienza. A questo fenomeno si
aggiunge poi il peso di pregiudizi o opinioni non comprovate che ne amplificano gli effetti.
Ma possono intervenire anche più banali calcoli di convenienza. Risulta che, almeno sino alla
regolarizzazione, molti immigrati rumeni accettavano condizioni di orario e di salario ormai
rifiutate dai magrebini, offrendo comunque prestazioni e competenze tecniche apprezzabili.
Probabilmente non si deve pensare a una sostituzione diretta di magrebini da parte di europei
orientali. Può essere relativamente raro che un imprenditore si trovi a scegliere tra due
candidati diversi solo per l'origine. E' più probabile che, come avviene usualmente nei processi
migratori, i due gruppi si dividano i diversi segmenti del mercato del lavoro attraverso processi
di aggiustamento progressivo e non direttamente conflittuale.
Gli europei dell'Est hanno una migliore fama di lavoratori socializzati all'attività industriale, una
maggiore competenza tecnica e - almeno in questa fase – una maggiore disponibilità ad
accettare lavori in nero e mal pagati. E' evidente che il fatto di essere europei è un altro grosso
vantaggio, sebbene il caso degli albanesi dimostri che non è un vantaggio incontestabile. Sono
certamente favorite le donne europee nei lavori domestici e di cura.
A vantaggio dei marocchini gioca una maggiore esperienza nel mercato del lavoro locale –
almeno per i segmenti in cui si sono potuti sinora inserire - e la maggiore ampiezza e solidità
delle reti di relazioni tra individui e famiglie, che agevola la circolazione di informazioni e
l'inserimento accanto a parenti e amici. Inoltre alcuni artigiani magrebini hanno iniziato ad
assumere connazionali, anche se le dimensioni di queste imprese non permettono di assumere
molti dipendenti.
Bisogna anche considerare che la popolazione del Maghreb, e soprattutto la sua crescita nei
prossimi anni, sono maggiori di quelle dei paesi dell'Europa orientale. Anche se non si può
meccanicamente derivare da questo una previsione, è possibile che i rumeni occupino nei
prossimi anni molti posti di lavoro in Italia, rendendoli di fatto indisponibili per i magrebini. Ma
sul medio-lungo periodo gli europei potrebbero non essere in grado, per numero e per
innalzamento delle aspirazioni, di soddisfare la domanda di lavoro manuale, lasciando spazio a
nuovi arrivi dalla vicina sponda sud del Mediterraneo.
Una migliore formazione professionale, ma soprattutto una migliore socializzazione al lavoro
nelle imprese italiane è ritenuta auspicabile da tutti i testimoni intervistati. Corsi di lingua
italiana, di cultura civica, sui diritti e doveri dei lavoratori, sulla organizzazione delle aziende
potrebbero aiutare i lavoratori magrebini a superare le difficoltà e a ridurre i pregiudizi.
Non si può però scaricare tutto il problema sulla disinformazione dei lavoratori: molti
comportamenti sul posto di lavoro hanno motivazioni del tutto razionali, legate a calcoli
costi/benefici, all'incertezza del futuro, a scelte delle controparti che incoraggiano
l'opportunismo. E' necessario intervenire anche su questo fronte con misure strutturali e non
solo cercando di combattere i pregiudizi.
7. I problemi abitativi
Trovare una abitazione è stato e resta uno dei problemi più seri per gli immigrati, in particolare
per i marocchini. I centri di accoglienza sono sempre stati insufficienti e forniscono solo una
soluzione parziale e provvisoria. Si è così fatto ricorso a sistemazioni di fortuna: automobili,
ponti, tuguri sovraffollati, letti affittati a ore.
Su questo punto il settore pubblico non ha fornito vere soluzioni. In Italia, per i cittadini come
per gli stranieri, il problema della casa si risolve privatamente e in genere con l'acquisto. Una
piccola percentuale di magrebini ha avuto accesso alle case di edilizia residenziale pubblica,
tutti gli altri si sono arrangianti, migliorando a poco a poco la situazione abitativa e
approdando, in non pochi casi, all'accensione di mutui per l'acquisto della casa, visto come
unica soluzione duratura al problema e tutto sommato, meno costosa dell'affitto.
Gli enti di assistenza rilevano che tuttora molti marocchini, anche famiglie, continuano a vivere
in abitazioni inadeguate, non solo perché cercano alloggi migliori, ma anche perché continuano
a chiedere i buoni doccia per accedere ai bagni pubblici.
E' possibile che, per il calo della popolazione autoctona, la costruzione di nuovi stabili e i bassi
tassi di interesse sui mutui per l'acquisto della casa, una certa quota di alloggi sia oggi difficile
da affittare a italiani e quindi diventi disponibile per gli stranieri.
48
8. L’associazionismo difficile
Secondo molti testimoni vi è da parte dei magrebini in Piemonte una forte richiesta di spazi per
incontrarsi. Non si può però parlare di luoghi di aggregazione per i marocchini genericamente.
Questa popolazione è ormai numerosa e differenziata al suo interno e parimenti si
differenziano le esigenze e le abitudini. Qualche luogo di incontro esiste da molti anni: il caso
esemplare è quello del mercato di Porta Palazzo a Torino, ove è sempre possibile imbattersi in
conoscenti o amici durante gli acquisti o girando tra le bancarelle. L'uscita dei bambini dalle
scuole o alcuni negozi possono fornire occasioni di incontro per le donne.
Alcuni esercizi pubblici sono luoghi di ritrovo abituali di alcuni marocchini, ma si tratta per lo
più di giovani celibi, arrivati di recente o di compagnie abituali, e non riguardano la generalità
delle famiglie.
Allo stesso modo le sale di preghiera consentono anche di incontrare amici e di scambiare
informazioni, ma sarebbe sbagliato considerarle luoghi di incontro per tutti.
Con l'aumento del numero delle famiglie e la disponibilità di abitazioni adeguate si sta invece
diffondendo l'uso di frequentarsi tra parenti e amici in casa, trascorrendo insieme lunghe ore
nei giorni non lavorativi.
E' difficile dire quante siano le associazioni magrebine in Piemonte. Sono state fondate nel
tempo diverse associazioni, di fatto o riconosciute, ma alcune sono rapidamente scomparse o
sono poco più che nomi a cui non corrisponde nulla di concreto. I recapiti sono quasi sempre le
abitazioni private dei presidenti.
La situazione non è però rimasta stabile. Nei primi anni novanta vi era stata una prima nascita
di associazioni, alcune delle quali sono rapidamente scomparse, mentre altre, poche, si sono
consolidate. Tra il 1994 e il 2000 vi è stato un nuovo fervore di iniziative, a cui sembra oggi
seguire una fase di minor attivismo, ma anche di consolidamento di alcune iniziative. Le
associazioni miste, di immigrati di diversa provenienza, hanno avuto vita breve. Per contro,
sembrano aver avuto più successo quelle in cui sono presenti anche italiani, e che, in genere,
sono affiliate a reti associative più ampie. In questo ambito stanno nascendo interessante
esperienze di solidarietà e di volontariato tra magrebini, in particolare fra i giovani.
Questa situazione di debolezza e frammentazione è certamente dovuta a cause strutturali che
riguardano tanto gli immigrati stessi quanto la società e la politica italiana. Per la maggior
parte degli immigrati i problemi della vita quotidiana restano predominanti e pochi di loro
hanno tempo e risorse da dedicare ad attività volontarie. D'altra parte le amministrazioni locali
hanno sempre auspicato la formazione di associazioni e dichiarato di voler lavorare con esse,
ma all'atto pratico non sono quasi mai state messe a disposizioni risorse per far crescere
l'associazionismo. Anche il coinvolgimento delle associazioni si è sovente ridotto a un fatto
formale o individuale dando l'impressione che esse siano poco efficaci. Le alterne vicende delle
consulte degli immigrati nelle grandi città, Torino in particolare, e in Regione non hanno
migliorato la situazione.
9. La religione
La religione sembra essere oggi per gli immigrati magrebini soprattutto un fatto personale.
Una ricerca12 realizzata a Torino sull’appartenenza culturale degli immigrati musulmani e sul
12
L’indagine è stata realizzata nel 2001 attraverso la somministrazione di un questionario strutturato
(66 domande, in prevalenza a risposta chiusa) ad un campione rappresentativo della popolazione
islamica (300 soggetti) che usufruisce di servizi pubblici (sanità, scuola) o che accede agli sportelli di
servizi presenti nella città di Torino (gestiti, ad esempio, da Caritas, Associazioni di Volontariato,
49
loro modo di vivere l’appartenenza religiosa (Garelli, Ricucci e Teagno 2001) conferma questa
situazione. La ricerca non ha studiato solo l'islam nordafricano, ma il quadro che è emerso
riflette la composizione della comunità musulmana presente nel capoluogo piemontese, nella
quale i magrebini sunniti sono comunque maggioritari, sia pure con tutte le differenziazioni
culturali e linguistiche interne.
La ricerca mostra come la religione occupi un posto di rilievo nella vita dei musulmani torinesi,
che si identificano con la fede in cui sono stati educati, considerandola come un punto di
riferimento per la condotta di vita. L'insieme è tuttavia più articolato, e al suo interno
convivono modalità e stili differenti di vivere la fede: alcuni sono credenti e praticanti, anche in
emigrazione; altri sono credenti, ma con una pratica discontinua, altri ancora vivono la
religione in maniera interiore o sono indifferenti. La moschea per taluni rappresenta un luogo
di "ristoro spirituale", per altri rappresenta un luogo di ritrovo comunitario, di appropriazione
identitaria, per sé e per i figli, ma anche un importante polo informativo. Per altri, invece, non
svolge alcuna funzione né essi la frequentano.
Essendo l’islam caratterizzato da una pratica rituale precisamente regolata e codificata,
piuttosto che da un apparato di fede e di dogmi, è stato chiesto agli intervistati di indicare i
comportamenti che più caratterizzano l’identificazione religiosa di un vero musulmano
(rappresentazione ideale).
Gli aspetti più sottolineati nelle risposte sono stati: “rispettare la shari’a”, ossia osservare la
legge divina, “non fare del male a nessuno, essere un uomo di pace, rispettare gli altri”,
“leggere il Corano”. Seguono poi, più distanziati, aspetti quali “trasmettere la religione islamica
ai figli”, “frequentare la moschea”, “far bene il proprio lavoro”, “evitare cibi illeciti”. All’ultimo
posto troviamo: “obbedire, rispettare le leggi di questo paese” e “diffondere e far conoscere
l’islam”. Passando dal piano del dover essere a quello dell’essere, nel quotidiano, la pratica più
seguita è quella del Ramadan, seguita dalla zakat (l’elemosina annuale per i poveri e i
bisognosi) e dalla recita delle preghiere quotidiane, alle ore giuste o quando è possibile.
Più dell’80% del campione dichiara che non è difficile essere un buon musulmano in
emigrazione, dimostrando una buona capacità di adattarsi al contesto italiano. La disponibilità
ad integrarsi si rivela anche dal fatto che la maggior parte dei musulmani intervistati ammette
di stare meglio a Torino rispetto alla terra di partenza. Il processo di integrazione coinvolge
anche la seconda generazione, infatti la maggior parte dei genitori musulmani vorrebbe che i
figli frequentassero una scuola italiana, dove si insegni anche la religione islamica e, in
subordine, la lingua araba.
Il rispetto delle leggi e la disponibilità all’integrazione non significa accettazione dei matrimoni
misti: infatti tra gli intervistati non sposati, meno della metà sarebbe disposto a sposare una
persona non musulmana; parallelamente, la maggioranza degli sposati sarebbe contrario al
fatto che la propria figlia sposasse un italiano non musulmano. Sul versante delle richieste, si
sottolineano quegli aspetti che permetterebbero di svolgere una pratica religiosa individuale (la
possibilità che vengano riconosciute le festività islamiche, di alimentarsi secondo le prescrizioni
coraniche nelle mense pubbliche, di veder garantito l’insegnamento della religione islamica a
scuola, di avere dei propri luoghi di preghiera, ecc.), piuttosto che accordi che diano maggior
legittimazione e all’islam a livello nazionale. In sintesi, il desiderio di mantenere le proprie
tradizioni religiose non confligge con la disponibilità a integrarsi e a rispettare le leggi italiane.
La vexata quaestio dell'estremismo islamico sembra un problema mal posto. Spetta alla polizia
e alla magistratura individuare e giudicare singole persone o ristretti gruppi che abbiano
infranto le leggi. Invece, le dichiarazioni di alcuni personaggi sul terrorismo e sulla guerra in
Iraq, che hanno avuto molta eco nella stampa e hanno suscitato polemiche, sono tentativi da
parte di costoro di acquisire visibilità e di legittimarsi come controparti dei poteri locali,
piuttosto che manifestazioni di opinioni diffuse tra gli immigrati musulmani.
Queste dichiarazioni vengono enfatizzate da quegli italiani che coltivano l'immagine di una
immigrazione radicalmente aliena e ostile, ma talora anche da esponenti politici aperti al
dialogo che ritengono di trovare in costoro degli interlocutori credibili.
Vi è la diffusa impressione tra i nostri intervistati che la religione islamica continui a essere
percepita dagli italiani come un potenziale problema, un forte elemento di estraneità, anche se
molti immigrati praticano la religione in forme private o non sono praticanti.
Sindacati), nonché frequenta luoghi islamici di culto o associazioni etniche e interetniche.
50
Una giovane italiana da noi intervistata, oggi responsabile di uno sportello informativo,
parlando incidentalmente della sua infanzia ha detto di ricordare i musulmani del quartiere che
si ritrovavano per pregare in un terreno vicino a casa sua. Sarà forse anche attraverso questa
progressiva conciliazione delle memorie – immigrati che ricordano l'Italia e italiani che
ricordano gli immigrati sin dall'infanzia - che si potranno limitare i contrasti.
Conclusioni
Gli immigrati magrebini in Piemonte rappresentano la comunità che meglio coniuga le
caratteristiche della consistenza numerica e dell'anzianità di presenza. Molti immigrati hanno
già chiaramente manifestato la intenzione di restare a lungo in Italia. Per una parte di costoro,
in particolare i giovani che crescono qui, tale scelta si tradurrà quasi certamente in un
trasferimento definitivo 13. La comunità marocchina affronta per prima il passaggio alle seconde
generazioni, l'invecchiamento di una parte dei suoi membri, le situazioni di una popolazione
ormai stabilizzata. Essa presenterà quindi tutte la caratteristiche sociali, e le problematiche, di
una popolazione composita e articolata.
L'esperienza di altri paesi di immigrazione mostra che quando un gruppo nazionale è
sufficientemente vasto e stabilizzato alimenta un flusso continuo di arrivi, per ricongiungimenti
familiari, per le catene migratori, per la semplice conoscenza reciproca tra i due paesi. La
situazione economica e sociale del Marocco e della Tunisia paiono in miglioramento, anche se il
divario tra crescita delle opportunità e crescita della popolazione rimane notevole. Salvo crisi
impreviste, sin tanto che resterà una elevata propensione a emigrare dal Maghreb, vi saranno
nuovi arrivi di individui inseriti in reti o mossi dal caso. Il flusso potrebbe però ridursi di fronte
a minori opportunità di occupazione in Piemonte, ma anche per una più attenta considerazione
delle opportunità.
Se i marocchini restano gli immigrati per antonomasia in Piemonte, essi devono per altro
fronteggiare una forte concorrenza da parte di nuovi arrivati da altri paesi. Non è detto che tale
concorrenza sia diretta, ma avviene piuttosto, come in tutti i fenomeni migratori, attraverso la
colonizzazione di nicchie del mercato del lavoro e degli spazi sociali da parte di gruppi che
presentano qualche vantaggio relativo o che si adeguano a condizioni particolari. Gli albanesi e
i rumeni in seguito hanno attraversato momenti difficili nel percorso migratorio. Anche essi
sono transitati nei luoghi del disagio, nei lavori peggiori, nello sfruttamento e nelle truffe. Molti
immigrati rumeni si trovano ancora in questa fase, anche se i loro progressi sembrano rapidi.
Ognuno può trovare la sua collocazione, occupare spazi complementari e di reciproco
vantaggio. Certamente esistono rischi. Una crescita della concorrenza, in caso di congiuntura
occupazionale negativa, potrebbe scatenare una "guerra tra poveri" mettendo a repentaglio al
contempo la stabilità raggiunta dagli uni e il primo inserimento degli altri.
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