Stefano Polato, uno chef davvero “stellare”

Transcript

Stefano Polato, uno chef davvero “stellare”
MARTEDI 31 MARZO 2015 • CORRIERE CANADESE
8
•
GUSTO
INGHILTERRA
Londra s’innamora della cucina italiana
Francesco Bongarrà
LONDRA - A Londra è una vera e
propria invasione di ristoranti italiani. Fino all’anno scorso, tra “real things” e imitazioni, se ne contavano più o meno tremila. Ma soprattutto, in una capitale britannica che non conosce la crisi, dove secondo una statistica la metà
dei pasti consumata da ogni cittadino non è cucinata in casa, e dove
si spendono cinquanta miliardi di
sterline all’anno (oltre 100 miliardi di dollari canadesi) per mangiare fuori, appare inarrestabile l’uso
di prodotti alimentari italiani: non
solo in ristoranti gourmet e trattorie in salsa tricolore che ormai nascono come funghi e dove la qualità è alta (così come i prezzi). Ma
anche in ristoranti, alcuni pure esotici, che con la cucina italiana
non hanno niente a che fare, ma
dove è tutto un fiorire di burrate e
‘nduje.
Perché la clientela le conosce
e le chiede. «La cucina italiana è
la più gettonata qui a Londra. Ed
è cambiata radicalmente rispetto
a quella che si trovava nel passato: ora i clienti di questa città dalle 300 lingue non si accontentano
della vecchia trattoria con le tovaglie a quadri e dove si servivano le “fettuccine Alfredo”, che in
Italia non esistono e nessuno conosce, o la cotoletta alla milanese
con accanto gli spaghetti», racconta Stefano Potortì, patron di Sagitter One, la società che con un team
di quindici persone è il principale
punto di riferimento per chi intenda aprire un ristorante nella capitale britannica, dal bistrò al fast food fino al bacaro veneziano ed al
locale stellato.
Calabrese di quarantadue anni,
Potortì è arrivato a Londra quasi
A Londra è boom di ristoranti che propongono la vera cucina italiana e hanno messo al bando tanti “falsi storici”
come le fettuccine Alfredo o cotolette e spaghetti serviti nello stesso piatto
dodici anni fa senza parlare neanche una parola di inglese «perché
l’Italia, allora come ora, mi stava
stretta», malgrado un lavoro buono lo avesse già grazie ad un master in economia. E dopo quindici
anni, alla sua porta bussa chiunque
voglia fare un investimento nella
ristorazione a Londra, «un mercato inarrestabile, che crescerà almeno per altri cinque anni».
In quasi cinque anni, racconta,
ne ha aperti quasi venticinque, e
altri quattro saranno pronti ad accogliere i clienti nei prossimi tre
mesi, sottolineando che non sono
tutti gestiti o finanziati da italiani.
Come una pescheria «uguale a quelle che si trovano a Paler-
mo, proprietà di investitori russi».
«Londra è una vetrina internazionale. Se un modello qui funziona,
lo si replica e lo si esporta immediatamente»: come è stato per Obikà, ad esempio.
E come potrebbe essere per la
Polenteria, un bistrò fondato da
un ex finanziere della City che ora
serve a Soho polente di tutti i tipi,
apprezzate soprattutto dai celiaci, che ora potrebbe aprire un’altra
sede nella capitale britannica visto
che funziona.
«Noi - spiega Potortì - ci occupiamo dal business plan fino all’apertura del negozio ed al marketing. Ogni anno mi contattano
dall’Italia centocinquanta persone
interessate ad aprire a Londra, ma
accetto di seguirne al massimo una
decina». Perché qui arriva di tutto,
e tutti vogliono aprire un ristorante. Spesso rischiando di finire nelle
mani di “falsi esperti”, e di perdere
tutto: perché sbagliare investimento qui è facile. E fa male.
Ma quanto costa aprire un ristorante oggi al centro di Londra?
200mila sterline (poco meno di
375mila dollari canadesi) per una
caffetteria, che diventano 500mila per una piccola trattoria, fino a
700mila per un ristorante vero e
proprio. E le cose, assicura Potortì,
andranno sempre meglio. Perché
ai londinesi la nostra cucina piace.
E piace tanto.
LA CURIOSITÀ
Nella City il primo fast food totalmente italiano
LONDRA - In una Londra dove i
ristoranti italiani non si contano
più e sono considerati i più trendy
in assoluto (nei migliori è impossibile prenotare un tavolo se non
almeno una settimana prima), arriva anche un fast food tricolore completamente bio. Si chiama
“Caterina 55”, è nel cuore della City, e come da Mcdonald’s si ordina alle casse e dopo tre minuti arriva una lasagna al pesto genovese o alla bolognese, una zuppa di
ceci, un minestrone o una fetta di
torta appena sfornata, ma anche
un trancio di pizza alla pala, come
quella che si trova nelle pizzerie al
taglio romane.
Tutto da mangiare sui tavoli interni o portar via e fatto con ingredienti freschi, bio e per la maggior parte provenienti direttamente dall’Italia.
A due passi dalla stazione di Liverpool Street, il fast food ha aperto l’estate scorsa, rende il 10
per cento in più ogni mese servendo 350 ordinazioni ogni giorno e lo staff (età media 24 anni) è
quasi completamente italiano: dal
macellaio sardo al kitchen manager napoletano.
O il general manager, Simone
Moroni, di Lariano, (Roma), che
malgrado abbia solo 29 anni è il
più anziano della squadra.
Il locale, al piano terra di un enorme palazzo di vetro sede di
banche e finanziarie, è letteralmente un porto di mare: non solo di uomini e donne in scuro, ma
anche di residenti del Barbican,
il vicino complesso residenziale
della City.
«Vengono qui perché vogliono
cose fresche ed italiane da mangiare velocemente o da portare
via. E sanno che qui le trovano»,
racconta Moroni, arrivato a Londra quattro anni fa dopo aver fatto a Roma il direttore commercia-
le e che nella capitale britannica è
passato in pochissimo da cameriere a general manager.
E che non dimentica l’Italia:
«Con quello che ho guadagnato
ho comprato un forno a Velletri,
ci lavora la mia mamma», racconta, rilevando: «In Italia una volta
pagate le tasse si galleggia, qui invece si guadagna».
«In Italia stavo bene - conclude il general manager - ma non mi
piaceva più il sistema. Qui ci sono le opportunità. Non mi sono
ghettizzato e i risultati sono arrivati. Anche grazie al nostro tiramisù ed ai bignè».
SPAZIO
Stefano Polato, uno chef davvero “stellare”
Andrea Marchetti
NOTIZIE
per tutti
ABBONATEVI
chiamate
416-782-9222
ROMA - Stefano Polato, trentatreenne veneto di Monselice (Padova) è davvero uno chef “stellare”: è il responsabile dello “Space Food Lab” di “Argotec”, azienda di Torino che si occupa dell’alimentazione degli astronauti per conto dell’Esa, l’ Agenzia
Spaziale Europea.
Nel laboratorio di “Argotec”,
infatti, vengono preparate le pietanze che nutrono gli astronauti
italiani ed europei come Samantha Cristoforetti, attualmente in
orbita. Per la prima volta, nella stazione spaziale è stata collocata una cambusa, a disposizione
di Samantha che può prelevare
pesce azzurro, proteine vegeta-
Stefano Polato
li, carne bianca, cereali integrali, frutta e verdura (tutto proveniente da agricoltura biologica) e
cucinare come a casa.
«Con Samantha - racconta Stefano - abbiamo fatto sessioni di
degustazione per definire il suo
menu. Abbiamo scelto i prodotti migliori: mantengono meglio i
valori nutrizionali, la consistenza, i sapori e il colore anche dopo i processi a cui li sottoponiamo per renderli consumabili nello spazio». «Per la preparazione del cibo spiega lo chef - abbiamo migliorato i processi di liofilizzazione e
termostabilizzazione, cuocendo
gli alimenti in contenitori sotto
vuoto e lavorando a temperature
più basse, 4-6 gradi, ma aumen-
tando la pressione fino a 6 atmosfere».
«Questo ci ha permesso di
mantenere le caratteristiche dei
cibi senza additivi, conservanti
o coloranti. Grazie a questi processi, il cibo si conserva fino a
24 mesi senza bisogno di essere
conservato al freddo».
«Abbiamo migliorato anche
le confezioni: nello spazio si deve evitare che escano briciole o
pezzetti di cibo che potrebbero
finire all’interno delle strumentazioni o essere inalati».
«Abbiamo aggiunto uno strato
di alluminio e materie plastiche,
impedendo del tutto che passino
aria e luce».
Non resta che augurare buon
appetito a Samantha.