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13 gennaio 2006 delle ore 09:10
exibinterviste – la giovane arte
Christian Caliandro
neri esistenzialisti e gli occhiali da sole sempre
in faccia, ti accorgi che era davvero un po’
ridicolo. E questo si rifletteva anche nelle sue
opere.
Nomi e cognomi finalmente a ruota libera. Parla Christian Caliandro, artista. Che ci accompagna
in una Siena “psichedelica” e in un cinema porno di Pescara. Tratteggiando un impietoso, luccicante
autoritratto…
Poca autoironia?
Sì, credo che l’autoironia gli sia sempre
mancata. E’ una qualità che ritengo
fondamentale per la sopravvivenza e la sanità
mentale di un artista. Uno deve essere sempre
disposto a dissacrare anche i propri lavori e le
proprie pose, altrimenti con che diritto prendere
per il culo tutti gli altri? Detto questo, non credo
che oggi le persone più intelligenti scelgano di
fare gli artisti: se sei davvero un genio, oggi fai
il regista o il pubblicitario. O apri un Ufficio
Stampa.
Partirei dal tuo lavoro. Ce lo presenti?
Te lo dico in due parole: sto cercando di fare in
modo che i miei video risultino al tempo stesso
rudi e raffinati, sporchi e levigatissimi, popolari
e colti. Ma mi sa che sono ancora lontano dal
centrare l’obiettivo.
Qualche esempio, tanto per intenderci?
Vorrei riuscire a realizzare qualcosa che
funzioni come la Divina Commedia (ooohhhh…),
come la trilogia dei morti viventi di Romero
(che poi non è altro che la Divina Commedia
postmoderna…) o come Bleach, il primo disco
dei Nirvana (1989), quando erano in quattro e
non c’era ancora Dave Grohl alla batteria. Se
guardi le note del cd, ti accorgerai che il vero
nome del cantante è Kurdt Cobain.
Mica lo sapevo…
Sì, ho sempre trovato questo particolare molto
significativo, perché se ascolti il suono delle
due parole ti accorgi che cozzano tra di loro in
una maniera che è molto bella, e che
corrisponde perfettamente al suono di tutto il
disco; mentre la trasformazione in Kurt traduce
la levigatezza un po’ fastidiosa e “fighetta” della
produzione di Nevermind, a mio parere
ingiustamente considerato il capolavoro. In
fondo, è un disco commerciale: la rabbia e
l’isteria risultano un po’ posticce.
E tu? artista da sempre?
Mi ricordo che a 7 anni avevo chiaro in testa la
pagina di un’ipotetica enciclopedia del 2030
con la voce “CHRISTIAN CALIANDRO,
artista”. Quindi direi che ho sempre desiderato
essere un artista, e ancora adesso faccio
praticamente le stesse cose che facevo da
bambino. Con la differenza che allora forse
sapevo disegnare meglio.
Adesso però quello che fai non resta nella tua
cameretta…
Ma non penso onestamente che questo possa
essere un lavoro, almeno non l’unico, ed in tutta
onestà non credo che debba mai diventarlo: è
per questo che realizzo i miei video solamente
con materiali rubati –pezzi di film, musiche,
titoli e soggetti di romanzi– che li rendono per
forza di cosa difficilissimi da vendere. Infatti,
finora, non ne ho mai venduto uno. Li ho solo
regalati.
Uno svantaggio nascere in un paesino del
sud?
Mottola (dove sono nato, tra Bari e Taranto) è
l’unico posto che mi regali serenità, un senso
di sicurezza e di protezione. E per me che sono
un po’ paranoico questo è davvero un balsamo
a cui non credo che potrò mai rinunciare.
Considero un’enorme fortuna aver passato lì gli
anni ’80. E devo ammettere che più vado avanti
e più mi sento un privilegiato, perché il retaggio
degli ultimi 20-25 anni è tremendo per chi ci è
passato in mezzo.
E’ un giudizio impegnativo... Spiegati.
Osservando gli artisti con qualche anno di più,
vedo che fanno un sacco di fatica a sganciarsi
dall’Arte Povera e dalla Transavanguardia:
sembra che sia un’eredità davvero pesante, e
addirittura paralizzante per chi era un ragazzo
quando quelle cose stavano accadendo. C’è una
specie di ostinazione autolesionistica in tutto
questo, davvero strana.
La tua formazione vera e propria?
A 18 anni mi sono trasferito a Pisa, per
frequentare la Scuola Normale Superiore: lì ho
studiato storia dell’arte e della critica
contemporanea e letteratura italiana contemporanea
(forse è per questo che tutti i miei lavori partono
per ora da romanzi, italiani e stranieri, di un
periodo ben preciso, tra anni Quaranta ed anni
Sessanta).
Un artista che hai amato?
Il n. 1 secondo me di tutto il Novecento e
probabilmente anche di questo secolo è Dan
Flavin. Non c’è storia con tutti gli altri, è
arrivato semplicemente ad un livello
irraggiungibile: è stato l’unico capace di
rendere i suoi lavori così essenziali da risultare
perfettamente comprensibili anche a degli
alieni che eventualmente sbarcassero sulla
Terra.
E tra gli italiani?
Mi è sempre piaciuto uno che –non so perché–
non piace mai a nessuno: Giulio Paolini. Anche
se, pur essendo di Torino, è in realtà il prototipo
di tutti gli artisti ‘fighetti’ milanesi che sono
venuti dopo. Se guardi le foto scattate nel suo
studio quando aveva 25 anni, con quei dolcevita
Difetti tuoi?
Il mio pregio è anche il mio difetto:
l’ossessività. Un’ossessività spinta talmente
oltre i limiti del buongusto e della civiltà, da
rendermi praticamente insopportabile e odioso
per chiunque mi stia vicino, escluso le persone
che mi conoscono veramente bene e che sono
capaci di scherzarci su e di sdrammatizzare,
rilassandomi e distraendomi.
Una persona davvero importante attualmente
per il tuo lavoro?
Questa mi sa che è la domanda più difficile.
Scelgo uno morto, così i vivi non si offendono:
Stanley Kubrick.
Come va con critici e curatori?
In maniera abbastanza conflittuale. Dato che
condivido con loro la formazione e le letture,
mi sono convinto di sapere che cosa si deve e
che cosa non si deve fare e scrivere, e di
poterglielo dire sempre e in continuazione.
Ovviamente, occorre avere a che fare con
persone che non si offendano e che apprezzino
intensamente le critiche e le osservazioni un po’
taglienti purché costruttive. E con un “sistema”
del genere non è sempre possibile rintracciare
persone così.
E condividi quello che scrivono su di te?
Mah, cantonate per ora non ce ne sono state.
Però vi aspetto al varco. Forse, i critici che
finora hanno interpretato meglio il mio lavoro,
nel senso che mi hanno fatto scoprire degli
aspetti nuovi, di cui non mi ero mai accorto (e
penso sia questo in fondo il ruolo autentico del
critico, anche se oggi mi sembra di capire che
non va tanto di moda…), sono Valentina Tanni
e Pierluigi Tazzi.
Con i galleristi, tutto bene?
Con i galleristi –anzi, “il” gallerista, perché ne
ho uno solo– le cose vanno decisamente meglio,
pagina 1
Exibart.com
perché si parla sempre di cose molto pratiche e
concrete: come presentare un lavoro, di che
colore fare i cofanetti per i video, chi contattare
e come muoversi. Credo che Mauro Bianchini
della Whiteproject di Pescara sia l’unico
gallerista, in Italia e forse anche fuori, a
permettere ad un suo videoartista di proiettare
l’opera (Una questione privata) nel cinema
porno che sta sotto la sua galleria, con tutti i
disagi e le spese che un’operazione del genere
comporta.
E’ la tua mostra migliore?
Sì, ho potuto realizzare in un colpo solo ben due
sogni nel cassetto: vedere proiettati i miei lavori
in una sala cinematografica ed entrare in un
cinema porno. Meglio di così!
Uno studio tuo ce l’hai?
Mai avuto uno studio. Lavoro con la mia
montatrice, Barbara Castelli, al Video Studio
Professional di Siena. Lì mi porto tutti gli
appunti, i dvd e i cd. Le mie opere stanno tutte
su mezzo scaffale.
Com’è vivere a Siena?
E’ una città con una personalità spiccata, e
favorisce la concentrazione in una maniera
pazzesca. Inoltre, possiede una sorta di
atmosfera psichedelica, alla Soft Machine, che
mi piace moltissimo. Infatti sono un po’
preoccupato, perché tra qualche settimana mi
trasferirò a Milano, e tornerò a Siena solo per
fare le lezioni di cinema alla Scuola di
Specializzazione in Storia dell’Arte. Detesto
cordialmente quella città, ma, come si dice,
“devo pure campà”.
Artisti della nostra generazione: chi
potrebbe farcela anche all’estero?
Penso che oggi, nel 2005, ci siano
realisticamente solo due artisti italiani che si
trovano nella posizione, per il punto a cui sono
arrivati nella loro ricerca, di competere (e di
spuntarla, perché non sono affatto della scuola
di De Coubertin) con gli inglesi, con gli
americani o con i cinesi: Francesco Carone e
Federico Solmi.
Dai, fuori i nomi dei sopravvalutati…
Tutti gli altri. Soprattutto Francesco Vezzoli,
Elisabetta Benassi, Paolo Chiasera (che non ho
ancora capito se ha smesso o no di fare l’artista),
Pietro Roccasalva e Rä Di Martino. E, dulcis in
fundo, i due ‘sopravvalutati’ par excellence,
quasi ‘per definizione’: Maurizio Cattelan e
Vanessa Beecroft. Ecco, adesso ho un sacco di
nuovi nemici. Fantastico.
exibinterviste – la giovane arte è una rubrica a
cura di pericle guaglianone
bio: Christian Caliandro è nato a Mottola nel
1979; vive a Siena. Ha conseguito la laurea in
Lettere Moderne presso l’Università di Pisa, e
nel 2002 il diploma di Corso Ordinario in
Discipline Storico-artistiche presso la Scuola
Normale Superiore di Pisa. Attualmente
frequenta il II anno del Dottorato di Ricerca in
pagina 2
13 gennaio 2006
Storia dell’Arte Contemporanea presso
l’Università di Siena. Collabora con Exibart,
dove coordina la rubrica Inteoria.
Personali: Una Questione Privata, The White
Project, Pescara (2005). Collettive, eventi:
Biennale Adriatica Arti Nuove, San Benedetto
del Tronto; The VIDEO Game, Galleria
Pianissimo, Milano; DelirIo, Castello Svevo di
Trani (2003); I^ Biennale dei Giovani Artisti,
Pisa (1998); Affioramenti, Pisa (1999).
indice dei nomi: pericle guaglianone, Christian
Caliandro, Elisabetta Benassi, Maurizio
Cattelan, Francesco Vezzoli, Pietro Roccasalva,
Vanessa Beecroft, Francesco Carone, Stanley
Kubrick, Valentina Tanni, Federico Solmi,
Giulio Paolini, Paolo Chiasera, Rä di Martino,
Dan Flavin
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