Inverno 2010 - Leggere per Crescere
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Inverno 2010 - Leggere per Crescere
PERIODICO DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PER OPERATORI DELL’INFANZIA E LE FAMIGLIE Illustrazione da: Jean-Baptiste Baronian e Noris Kern, UN MONDO DI BENE, Edizioni C’era una volta..., 1998. Anno VI N. 1 Inverno 2010 o o INSERTO SPECIALE Bisogno di fratelli In questo numero Gli sguardi che dicono più delle parole Le stimolabili capacità di attenzione dei bambini Quando i bambini si difendono inventando la realtà Le prime esperienze modellano l’architettura del cervello Non ci sono bambini irrimediabilmente difficili I fantasmi nella stanza dei bambini Far amare il libri ai bambini in 14 mosse Libri in vetrina Progetto “Leggere per Crescere”. Lo sviluppo in Italia L’integrazione dei bambini stranieri nella Regione del Veneto 2 4 6 8 12 14 18 20 22 2 NTRO LA FINE del primo anno di vita, i bambini diventano capaci di attirare e dirigere l’attenzione degli adulti, di esprimere sentimenti ed emozioni, persino di formulare domande ricorrendo a varie modalità di comunicazione non verbali. Tra queste, la prin- E CAPITOLO 1 cipale di tali modalità è rappresentata dalla capacità di scambiare sguardi; capacità che, d’altra parte, è considerata la base di ogni comunicazione umana. Il neonato nelle prime tre-cinque settimane di vita guarda il viso della mamma, fissa lo sguardo nei suoi occhi e lo fa per circa il venti per cento del tempo in cui è sveglio; a sette settimane, per il novanta per cento. Lo sguardo rivolto agli occhi della madre non è stimolato dal loro movimento, come si potrebbe pensare, ma soltanto dal fatto che sono occhi. Lo dimostra il fatto che se si mostra a un piccolo la figura di un Visi materni inespressivi, bambini tristi LI INTRICATI SCAMBI tra madre e bambino negli incontri faccia a faccia sono stati paragonati a un valzer, nel quale i partner si muovono in stretta sincronia sulla base di un programma condiviso e rispondono prontamente ai passi dell’altro. Ma cosa accade se uno dei due partner non accetta “l’invito al ballo”? LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 G Diversi ricercatori hanno chiesto alle mamme di modificare deliberatamente il loro usuale comportamento assumendo una immobilità facciale, ovvero rimanendo senza espressione e in silenzio mentre sedevano di fronte al loro bambino. I resoconti descrittivi mostrano chiaramente che i piccoli di 2 o 3 mesi sono disturbati e infastiditi da un tale comportamento. Quando la madre non li saluta nel modo usuale essi la guardano facendole un breve sorriso e, se non sono ricambiati, distolgono lo sguardo. I piccoli alterneranno quindi sguardi diversi alla mamma con sguardi ad altre componenti dell’ambiente, sorridendo di tanto in tanto e sempre più cautamente. Gli sguardi a soggetti diversi dalla madre divengono via via più lunghi finché, alla fine, il bambino si allontana completamente orientando faccia e corpo di lato e rimanendo girato rispetto alla madre. Alcuni bambini divengono manifestamente angosciati in queste situazioni, e sia l’angoscia sia la circospezione possono continuare fino a quando alla madre viene suggerito di riassumere un comportamento normale. Queste osservazioni consentono di comprendere gli effetti della depressione materna sui bambini. La mancanza di reattività della madre è in quel caso reale e, essendo continua, può avere notevoli conseguenze sul bambino. Le madri depresse hanno difficoltà a sintonizzarsi con i comportamenti del figlio, a coglierne i segnali di comunicazione e a rispondervi in modo appropriato. Forse non forniscono più la quantità di risposte di cui i bambini contingentemente necessitano per imparare gli scambi relativi all’interazione sociale, e perciò non è sorprendente scoprire che essi svilupperanno diversi disturbi comportamentali: avranno maggiori probabilità di piangere, di isolarsi e di mostrare una perdita generale di energia. Le emozioni che i bambini abitualmente mostrano tendono a essere negative, come la tristezza o la rabbia, piuttosto che positive come nel caso della gioia e dell’interesse. Quindi il loro comportamento rispecchia quello della madre depressa e suggerisce che essi corrono il pericolo di sviluppare uno stile di interazione sociale completamente distorto se non vengono presi in tempo dei provvedimenti adeguati. È interessante notare il fatto che le madri depresse ma con un’occupazione fuori casa hanno una relazione con il loro bambino molto più positiva rispetto a quella mostrata dalle madri depresse e senza occupazione. Fonte: H. Rudolph Schaffer, Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, 1998. 3 I bambini sono capaci di comunicare in modo molto efficace ben prima di potersi esprimere con parole comprensibili. Elisabetta Fenwick, Il libro completo della mamma e del bambino. Dal concepimento ai tre anni, De Agostini, 2007. Nello stesso tempo, quando un bambino viene preso in braccio, per esempio per allattarlo, spontaneamente la mamma lo guarda soprattutto fissandolo negli occhi, ricavandone un profondo senso di un legame fortemente emotivo. È una condivisione dell’attenzione che per lunghi minuti si realizza nel guardarsi negli occhi. cessivi stadi dello sviluppo. “Dai tre mesi in avanti, i bambini prestano attenzione al profilo della faccia; a 4 mesi percepiscono tutti i lineamenti interni del viso; dopo i 5 mesi rispondono anche alla particolare espressione emozionale delle persone e, approssimativamente, dai 7 mesi in avanti ha luogo il cambiamento maggiore in quanto da quel momento in poi il sorriso non è più provocato in modo indiscriminato da tutte le facce, ma soltanto da quelle familiari”2. La condivisione dell’attenzione Gli sguardi regolatori dei comportamenti “Nel corso del primo anno, la condivisione di attenzione è abituale: quando il bambino guarda un oggetto, subito lo guarda anche la madre. In seguito, verso la fine del primo anno, lo scambio di sguardi diventa per il bambino una guida preziosa: quando esplora l’ambiente circostante, regolarmente cerca lo sguardo dell’adulto che è con lui, la madre o il padre, per sapere se può continuare l’esplorazione o se deve fermarsi”1. Lo sguardo della madre è il primo regolatore del comportamento del bambino. I sorrisi stessi, in principio, vengono innescati nel bambino esclusivamente dagli sguardi: tutti gli altri lineamenti del viso sono irrilevanti; diventeranno importanti nei suc- Perché lo scambio di sguardi assolva efficacemente la funzione di regolatore dei comportamenti e degli stati emozionali del bambino, occorre la convergenza di almeno tre condizioni: una sufficiente vicinanza, un’adeguata ripetizione, una coerenza di contenuto fra sguardo ed espressione del viso guardato. La vicinanza non è solo un elemento spaziale (nei primi mesi, il bambino può avere un contatto visivo a non più di mezzo metro di distanza; successivamente, a 4-5 mesi, lo sguardo può essere avvertito anche a distanza di qualche metro), ma anche affettivo (vedi riquadro). Un’adeguata ripetizione è ov- viamente necessaria perché lo scambio comunicativo acquisisca senso e si fissi nella mente del bambino. “Infine, questo insieme interattivo deve essere regolarmente coerente perché il senso che il bambino ne ricava sia a sua volta coerente; per esempio, se la madre dice “no”, ma il volto è aperto e permissivo, ossia il suo volto dice “sì” quando la parola è “no”, il bambino si fa guidare dal senso preliminare e implicito della comunicazione, perché l’espressione del volto passa sopra la proibizione formale. Al contrario, il volto può dire “no” perché è chiuso e preoccupato e le parole possono dire “sì”: il bambino resta timoroso e inibito nonostante l’autorizzazione apparente”1. Fin qui si è dato spazio alle interazioni visive prevalentemente fra bambino e madre; ma sarebbe una grande limitazione non comprendere l’intero spazio familiare e quello sociale (per esempio all’asilo nido) nella guida del bambino verso la maturazione. Gli spazi familiari e sociali, infatti, sono i luoghi in cui il bambino trova altre persone a cui attribuisce importanza e senso e del cui sguardo egli ha bisogno, come uno specchio in cui riflettersi, per riconoscersi e divenire se stesso. 1. Marcelli D., Il bambino sovrano, Raffaello Cortina Editore, 2004. 2. Schaffer H.R., Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, 1998. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 viso senza gli occhi, egli non reagisce, mentre dimostra grande interesse quando alla stessa vengono aggiunti. Fotografia da: 4 LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 “Il mio bambino è terribilmente distratto: non riesco a trattenere la sua attenzione su niente e la cosa mi preoccupa non tanto per l’oggi, che è piccolo, quanto per quando comincerà ad andare a scuola e dovrà essere capace di concentrarsi, se vorrà imparare”. È questa una preoccupazione spesso manifestata da molte mamme e che indubbiamente merita di essere presa in considerazione almeno da tre punti di vista: � cercare di capire che cosa si deve intendere per attenzione; � prendere atto che la capacità di attenzione varia molto a seconda dell’età e delle condizioni ambientali in cui i diversi bambini crescono; � conoscere i mezzi disponibili per stimolarla, a partire dalla prima infanzia. CAPITOLO 2 più possono rendere efficienti determinate nostre prestazioni. Considerata sotto questi profili, l’attenzione entra nei nostri stati mentali e nei nostri comportamenti in modo selettivo, privilegiandone alcuni rispetto a una moltitudine di altri possibili, che vengono posti in secondo piano. Si può fare l’esempio che si trova spesso nei manuali: si pensi a un bambino seduto nel suo banco di scuola: è del tutto disattento rispetto alla lezione dell’insegnante, ma nello stesso tempo è attentissimo al girovagare di una formica giunta chissà come sul piano davanti a lui. L’attenzione indubbiamente c’è, quello che manca è la capacità di dirigerla verso un preciso obiettivo. Che cos’è l’attenzione La gradualità dello sviluppo dell’attenzione La nozione di attenzione è relativamente recente nella cultura occidentale; si può dire infatti che la sua prima compiuta definizione è stata data dal filosofo francese Cartesio (1596-1650) che la intese come l’atto con cui la mente prende in considerazione un unico oggetto per un certo tempo. Immersi come siamo tutti in una gigantesca rete di stimolazioni (visive, acustiche, tattili ecc.), l’attenzione consiste sostanzialmente nella capacità di selezionare, fra gli stimoli che ci giungono dall’esterno e dal nostro stesso interno corporeo e psichico, quelli che più ci interessano o che Nei bambini, la capacità di attenzione si sviluppa gradualmente; da molto piccoli, sono molto distraibili: qualsiasi stimolo di una certa entità li fa reagire, talvolta anche in modo che agli adulti appare del tutto sproporzionato alla stimolazione ricevuta; con l’avanzare dell’età, i bambini a poco a poco sviluppano la capacità di discriminare e di adeguare il proprio comportamento rispetto a quello che vedono e ascoltano. Gli psicologi dell’età evolutiva hanno riscontrato che, in generale, fino a sette anni il bambino sviluppa una capacità di attenzione di tipo spontaneo, invo- lontario, con scarsa capacità di applicarsi in modo consapevole in attività che richiedono organizzazione e persistenza. Dagli otto agli undici anni, i bambini sviluppano e portano a maturazione la capacità di prestare attenzione in modo volontario verso oggetti o situazioni specifici sui quali orientare poi consapevolmente le proprie attività. La stimolazione dell’attenzione Le possibilità di stimolare la capacità di attenzione sono numerose. Limitandoci prevalentemente ai bambini in età prescolare, fascia alla quale è dedicato il Progetto “Leggere per Crescere”, è stato ben documentato il fatto che uno dei modi migliori per stimolare la capacità di attenzione dei bambini consiste nel raccontare e leggere loro ad alta voce, preferibilmente nella modalità faccia-a-faccia, e possibilmente ogni giorno, anche per pochi minuti. La capacità di attenzione nei bambini, soprattutto in età prescolare, può variare moltissimo: ci sono bambini che possono stare ad ascoltare anche per più di mezz’ora di seguito, altri che non ci stanno per più di trenta secondi. La valutazione della capacità di attenzione La valutazione della capacità di attenzione è molto importante quando si de- 5 Genitori ed educatori spesso lamentano che i loro bambini sono troppo distratti, non prestano abbastanza attenzione. Il più delle volte, i bambini stanno attenti semplicemente quanto possono a seconda dell’età: altre volte presentano problemi di attenzione perché viene impedito loro di concentrarsi, mentre li si può aiutare riducendo il consumo di TV e aumentando il tempo della narrazione e della lettura ad alta voce e quello dedicato all’attività fisica. cide di stimolarla in quanto, a prescindere dai mezzi adottati, progressi significativi e permanenti sono ottenibili se gli interventi sono molto graduali: se, per esempio, la capacità di attenzione alla lettura è inizialmente di un minuto, passare a due minuti può richiedere sedute anche di più giorni. È anche importante ricordare che, a volte, i bambini più piccoli, a partire fin dai primi mesi di vita, hanno capacità di concentrazione maggiore rispetto a quella che possono dimostrare bambini di maggiore età. Nel praticare la narrazione e la lettura ad alta voce allo scopo di stimolare la capacità di attenzione (che implica anche lo sviluppo delle capacità di memoria e di apprendimento) i progressi che via via vengono ottenuti possono essere indirettamente valutati sulla base degli atteggiamenti e dei comportamenti che i bambini dimostrano nei confronti dei racconti, dei libri, delle persone che parlano loro. Un rilevante contributo all’aumento della capacità di attenzione nei bambini può essere offerto anche dal contenimento del tempo di esposizione alla televisione a ai videogame. Numerose ricerche, infatti, hanno dimostrato che un tempo eccessivo (oltre le due ore al giorno) dedicato a queste attività può favorire in modo non trascurabile l’insorgere di problemi di attenzione nei bambini in età scolare. Infine, è opportuno incoraggiare l’attività fisica all’aperto: la pratica di giochi e di sport stimola prestazioni il cui successo è largamente basato all’attenzione con cui vengono effettuate. Dai 18 ai 23 mesi, il bambino di solito dimostra piacere a essere intrattenuto con il racconto o la lettura ad alta voce di piccole brevi storie, progressivamente articolate, con un inizio e una fine, ripetute più e più volte per il piacere del piccolo che apprezza e pretende sentirsele raccontare. Dai 2 ai 3 anni, è importante assecondare le capacità e le preferenze che il bambino matura in questo periodo in quanto: ■ ha imparato a maneggiare le pagine di carta; ■ ha imparato a sfogliare i libri avanti e indietro per trovare le immagini preferite; ■ dice intere frasi e talvolta intere storie; ■ coordina i testi con le immagini; ■ protesta quando l’adulto usa una parola diversa in una storia conosciuta; ■ si “legge” i libri che gli sono familiari. Dai 3 ai 4 anni, il piccolo dimostra di preferire, dimostrando particolare attenzione, le pubblicazioni che raccontano storie riguardanti bambini che gli assomigliano e che vivono come lui, ma anche quelle dedicate a luoghi e modi di vivere diversi da quelli che gli sono familiari, pubblicazioni con testi semplici che possono essere memorizzati, pubblicazioni che riguardano i numeri, l’alfabeto, le parole. Dai 4 ai 5 anni, matura rapidamente la capacità di capire e di prestare attenzione, di cogliere il senso delle storie che gli vengono raccontate per cui si possono proporre libri che aprono sul mondo pur mantenendo saldo il legame con le sue esperienze quotidiane; è spiccato il piacere di sentire storie e fiabe in cui vi è una sorta di viaggio iniziatico del protagonista con prove da superare, sconfitta del cattivo, vittoria del buono ecc.; è notevole il senso del comico e quindi apprezzati sono i racconti buffi e divertenti. Oltre i 5 anni, i genitori vanno incitati a continuare a contribuire allo sviluppo dell’attenzione (e più in generale, a quello intellettivo) del loro bambino: continuando a leggere ad alta voce ogni giorno, tenendo conto che a questa età può ascoltare storie anche lunghe; introducendo nuove parole in un contesto significativo per i suoi interessi; conversando con lui, dandogli il tempo di rispondere a suo agio; evitando di completare le frasi sostituendosi a lui. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 Lo sviluppo dell’interesse dei bambini verso le narrazioni 6 CAPITOLO 3 L’immaginazione non si limita a risolvere dispiaceri e insoddisfazioni ma contribuisce alla formazione della conoscenza della realtà. IÙ DI SETTANTA ANNI FA, nel 1936, Anna Freud (18951982), figlia di Sigmund fondatore della psicanalisi, e lei stessa grande psicanalista nota per i suoi studi sull’infanzia, pubblicò un opera sui meccanismi di difesa dei bambini contro realtà e sentimenti penosi o insopportabili1. In quell’opera, un capitolo è dedicato alla possibilità che il bambino ha di “scacciare, negandolo, ciò che nella realtà non gli riesce gradito”. Di questa possibilità egli si serve in misura cospicua, non solo rifugiandosi nella fantasia, in cui può eludere il dispiacere che lo affligge, ma anche operando rappresentazioni che rovesciano le situazioni reali in cui egli vive con sofferenza, sia che alberghino nel suo intimo sia che appartengano al mondo esterno, come frequentemente avviene nei così detti giochi di immaginazione, in particolare nei giochi di ruolo. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 P Il rifugio nella fantasia, il sollievo nei giochi di immaginazione Il bambino che soffre può alleviare la propria sofferenza rifugiandosi nella fantasia, abbandonando il mondo reale. I giochi di ruolo sono giochi di imma- ginazione in cui il bambino rappresenta per un certo tempo la parte di un altro diverso da sé, interpretandone parole e azioni. Può anche darsi che il bambino, in questi giochi, non rinunci alla propria identità, ma la conservi, assegnando ruoli diversi per esempio a una bambola, a un giocattolo, a un oggetto qualunque su cui scaricare le proprie tensioni. Anna Freud pone in rilievo una importante differenza fra il diniego delle cause di dispiacere mediante il ricorso alla fantasia rispetto a quello mediato dalla parola e dall’azione, come avviene nel gioco. Infatti, “il bambino nel fantasticare è sovrano. Finché non comunica a nessuno le sue fantasie, l’ambiente circostante non ha la possibilità di intralciarlo. Invece, la rappresentazione delle fantasie attraverso la parola e l’azione richiede spazio nel mondo esterno”1. La compiacenza del mondo esterno verso l’agire del bambino diventa allora una condizione necessaria perché il meccanismo del diniego, mediante le rappresentazioni, funzioni. La compiacenza ambientale verso i giochi di immaginazione dei bambini è generalmente assicurata, purché le rappresentazioni rientrino entro determinati argini socialmente accettati. Quando i comportamenti eccedono i limiti considerati tollerabili dagli adulti, la compiacenza viene meno e subentra la proibizione. Allora può accadere che il bambino riduca le sue manifestazioni a livello di accettabilità o ancora meno, adattando i suoi meccanismi di diniego fino a soddisfare gli adulti che si occupano di lui, giungendo al limite di nascondere i propri sentimenti e le proprie emozioni. Ciò naturalmente non cambia la sua situazione di sofferenza. La compiacenza degli adulti utile se equilibrata Questo significa che la compiacenza verso le manifestazioni di negazione del bambino, espresse mediante parole e azioni, è uno strumento da usare con delicatezza perché una eccessiva indulgenza verso manifestazioni eccessive o esageratamente eccentriche può essere controproducente rispetto a una efficace difesa dalla sofferenza. Anna Freud, nel suo scritto, attira l’attenzione su un aspetto che in modo più o meno rilevante entra nei meccanismi di difesa basati sul diniego delle realtà fonte di dispiacere: la diffusa tendenza da parte degli adulti a trasmettere ai bambini messaggi che negano i fatti e le lo- 7 Nei giochi di ruolo i bambini trovano spesso non solo la possibilità di superare intime difficoltà e dispiaceri, ma anche terreno per sviluppare la propria creatività. Illustrazione da: Miriam Stoppard, Il Bambino da 0 a 5 Il concorso dei grandi alla negazione della realtà ELLA VITA QUOTIDIANA si assicura anche al bambino più piccolo che è già “tanto grande”, e si afferma, contro l’evidenza dei fatti, che egli è forte “come il papà”, abile “come la mamma”, coraggioso “come un soldato”, o “tenace” come il “fratello più grande”. È comprensibile che per consolare il bambino ci si debba servire di questi rovesciamenti della realtà. Non appena il bambino si ferisce, l’adulto lo assicura che “non fa già più male”; i cibi che il bambino non gradisce “non hanno un sapore cattivo”; se qualcuno è andato via procurando al bambino un grosso dispiacere “torna subito”. Alcuni bambini accolgono realmente queste formule consolatorie e le applicano in maniera stereotipata, per descrivere ciò che è doloroso. Per esempio, una bimbetta di due anni prende atto della scomparsa della madre dalla sua stanza con un mormorio meccanico: “la mamma viene subito”. Un altro bambino, ogni volta che deve prendere una medicina dal gusto cattivo, è solito dire, con voce lamentevole, “mi piace, mi piace”, frammento che gli è rimasto di una frase usata dall’infermiera per incoraggiarlo a pensare che la sua medicina è buona. Anche molti dei regali che gli adulti, magari più estranei ai bambini, portano loro, alimentano lo stesso tipo di illusioni. Una borsettina, un piccolo parasole o un ombrellino sono destinati a sostenere la finzione di una bambina dell’essere “una signora”. Un bastone da passeggio, un’uniforme e armi giocattolo d’ogni sorta servono, nel caso del maschietto, a rappresentare la virilità. Le bambole, oltre a tutti gli altri scopi, creano la finzione della maternità; i trenini e le ferrovie, le automobiline e i blocchi da costruzioni procurano la gradevole fantasia di poter dominare il mondo. N ro esperienze reali (vedi riquadro). I giochi di immaginazione, nei quali rientrano quelli di ruolo, non hanno tuttavia la sola funzione liberatoria rispetto ad ansie, paure, angosce cui il bambino può essere esposto. Per lungo tempo, i giochi di immaginazione sono stati considerati anche espressione di meccanismi messi in atto per soddisfare desideri frustrati, e spesso tali da ostacolare o ritardare lo sviluppo della capacità da parte del bambino di esaminare e di comprendere la realtà. Invero, l’immaginazione che si concretizza nei giochi di finzione non è né una distorsione né sempre una negazione della realtà, bensì, nel bambino, l’inizio di una creatività mentale capace di considerare le molte alternative possibili della realtà, nonché un mezzo per procedere a poco a poco verso la conoscenza del mondo.2 1.Freud A., “L’Io e i meccanismi di difesa”, in Opere 1922-1943, volume 1., Boringhieri, 1978. Anna Freud, Opere 1922-1943, volume 1., Boringhieri, 1978. 2. Harris P.H., L’immaginazione nel bambino, Raffaello Cortina Editore, 2008. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 anni, Idea Libri, 2002. 8 CAPITOLO 4 LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 MODELLANO L’ARCHITETTURA Nello sviluppo delle capacità ricettive dei bambini un ruolo importante hanno le esperienze visive, la possibilità di esplorare immagini accompagnate da parole che le spiegano. Illustrazione da: Leo Lionni, Piccolo blu e piccolo giallo, Babalibri. 9 LI STUDIOSI DI NEUROSCIENZE hanno da tempo scoperto che specifiche esperienze influenzano particolari circuiti cerebrali, nel corso di specifiche fasi dello sviluppo del cervello. Vale a dire, per esempio, che la qualità dell’ambiente in cui un bambino viene fatto crescere e la possibilità di avere esperienze adatte nelle giuste fasi dello sviluppo sono cruciali nel determinare la forza o la debolezza dell’architettura del suo cervello, condizioni da cui dipende l’efficienza delle sue capacità di pensare e di controllare le proprie emozioni. Per questo complesso di ragioni, si può ben comprendere come sia di vitale importanza cogliere precocemente le opportunità per migliorare le strutture e le funzioni cerebrali durante le varie fasi critiche del loro sviluppo. G Le età e le condizioni critiche per lo sviluppo del cervello Sebbene il cervello mantenga la capacità di cambiare e di adattarsi lungo tutta la vita di una persona, questa capacità decresce con il passare degli anni. Per questa ragione, l’influenza eccezionalmente forte delle prime esperienze nel modellare l’architettura del cervello rende i primi anni di vita di ogni individuo un periodo sia di grandi opportunità sia di grande vulnerabilità. Infatti, un ambiente precocemente sfavorevole, una nutrizione insufficiente, l’esposizione ad agenti tossici, la carenza di adeguate stimolazioni sensoriali, sociali e affettive sono risultati causa di deficiente costruzione dei circuiti cerebrali. Inoltre, una volta stabilite, deboli fondamenta cerebrali possono pregiudicare ulteriori sviluppi del cervello, anche se successivamente vengono ristabilite condizioni ambientali favorevoli. In sostanza, su solide basi scientifiche si può dire che i caratteri critici dell’architettura cerebrale cominciano a essere modellati dalle esperienze vissute già prima e subito dopo la nascita e che molti aspetti fondamentali di quell’architettura vengono sviluppati molto pri- “ Gli elementi fondamentali dell’architettura del cervello si formano molto presto nella vita di una persona, attraverso una serie continua di interazioni in cui le condizioni ambientali e le esperienze personali hanno un determinante impatto sull’espressione delle predisposizioni genetiche. ” ma che il bambino cominci ad andare a scuola. Le principali esperienze stimolanti consistono nelle interazioni, negli scambi che un bambino vive nell’ambiente in cui cresce, fin da quando è ancora nel grembo materno. Le esperienze prenatali contribuiscono a sviluppare i circuiti cerebrali elementari; dopo la nascita, le interazioni con il mondo esterno assumono un’importanza via via crescente nel modellare l’architettura dei circuiti nervosi, adattandoli ai caratteri specifici dell’ambiente in cui il bambino vive. E per lo sviluppo di ogni circuito c’è un periodo in cui l’ambiente e le esperienze individuali hanno maggiore influenza, terminato il quale modificarne disposizione e funzione diviene difficile. Questo significa che le esperienze precoci hanno una finestra temporale molto stretta, o addirittura chiusa, per attivare nuovi circuiti o per esercitare la loro influenza sullo sviluppo di circuiti già arrivati a maturazione. In altre parole, le differenti capacità mentali maturano nel corso di differenti fasi dello sviluppo del bambino, secondo un andamento gerarchico per i vari circuiti che costituiscono l’architettura del cervello. I circuiti nervosi che presiedono alla funzione visiva, per esempio, sono diversi e giungono a maturazione in tempi differenti rispetto a quelli dell’udito, del linguaggio, della memoria, del controllo dei movimenti volontari, delle reazioni emotive. Inoltre, nell’ambito di uno stesso complesso di circuiti che presiedono a una determinata funzione, si possono riscontrare ancora differenti fasi di maturazione. Nella funzione visiva, per esempio, i circuiti che analizzano la forma, il colore, i movimenti di un oggetto giungono a maturazione molto prima di quelli che interpretano segnali molto più complessi come le espressioni facciali. Detto molto semplicemente, tutto questo vuol dire che la capacità del bambino di interpretare ciò che vede cambia a mano a mano che i suoi cir- LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 Le esperienze più stimolanti per lo sviluppo della struttura e delle funzioni cerebrali sono rappresentate dagli scambi sociali cui un bambino viene esposto nei primi anni di vita. 10 MODELLANO L’ARCHITETTURA cuiti cerebrali maturano. Pertanto, è importante che le esperienze cui il bambino viene esposto nei primissimi anni di vita siano adeguate al livello di maturazione a cui il suo cervello è giunto. Leggere un libro illustrato con un bambino che muove i primi passi e appena comincia a imparare a parlare, per esempio, offre una vantaggiosa opportunità per indicare le figure e parlarne, mentre non è utile focalizzare la sua attenzione sulle parole scritte, dal momento che la capacità di decodificare la scrittura matura più tardi quando si saranno formati e saranno funzionanti i circuiti nervosi di più alto livello, specifici per l’interpretazione delle parole scritte. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 L’adeguamento delle esperienze al grado di maturazione Dal momento che i circuiti cerebrali di livello elementare vengono modellati prima, e spesso molto prima, di quelli di livello superiore, tentare di anticipare i tempi di esposizione a determinate esperienze non solo è una inutile perdita di tempo, ma può compromettere l’equilibrato sviluppo del cervello in quanto le esperienze premature possono esporre il bambino a stress eccessivi. Subito dopo la nascita, esperienze elementari – sensoriali, emotive, sociali – sono essenziali per ottimizzare la maturazione dei circuiti elementari; successivamente esperienze più complesse saranno critiche per stimolare la formazione dei circuiti cerebrali superiori. Nei primi mesi di vita le esperienze da cui il bambino può ricavare i maggiori vantaggi sono offerte dalla madre che provvede alla sua alimentazione, a vezzeggiarlo, a infondergli fiducia, so- prattutto amore, simpatia, calore, benessere. Verso i diciotto mesi-due anni fino ai cinque, quando il bambino a poco a poco si avvia verso la maturazione della propria personalità e l’acquisizione del senso della propria autonomia, le esperienze più favorevoli sono affidate alla mobilità; ai giochi soprattutto di immaginazione; a prestazioni che implicano una crescente necessità di pensare prima di agire; alla narrazione e alla lettura ad alta voce, stimolanti la fantasia e l’arricchimento del linguaggio; all’ampliamento delle relazioni sociali in condizioni che rafforzino la fiducia e la sicurezza di essere amato. studioso noto per le sue ricerche sull’attaccamento precoce (l’ungherese Peter Fonagy), il cervello è un organo prettamente sociale e la psicanalista inglese Sue Gerhardt (ricordata a pagina 12) aggiunge “La nostra mente emerge e le nostre emozioni si organizzano attraverso il legame con altre menti, non nell’isolamento. Questo significa che le forze invisibi- L’insostituibile ruolo delle esperienze sociali Procurare al bambino le giuste esperienze nelle fasi corrette del suo sviluppo cerebrale è importante, ma ancora più importante è evitargli esperienze negative perché queste, durante i periodi critici della maturazione, possono alterare l’architettura e le funzioni di specifici circuiti cerebrali adattandoli alle negatività vissute in modo persistente e stabile fino all’età adulta. Sebbene la plasticità cerebrale possa mitigare questa evenienza, resta la possibilità che i circuiti cerebrali compromessi da esperienze negative continuino a funzionare negativamente per tutta la vita. Nel quadro delle possibili esperienze che possono influenzare in modo significativo lo sviluppo dell’architettura cerebrale dei bambini, un’importanza particolare viene attribuita alle relazioni sociali. Come ha scritto uno Leggere un libro illu no che muove comincia a imparar importante oppo lo sviluppo delle su 11 ustrato con un bambie i primi passi e re a parlare offre una rtunità per favorire ue capacità mentali. Le realistiche possibilità di ricupero delle carenze cerebrali I progressi nelle neuroscienze, vistosi negli ultimi anni, divulgati con variabile, ma spesso insoddisfacente competenza, hanno alimentato nell’opinione pubblica diversi atteggiamenti. Maggiori disponibilità a sfruttare le conoscenze acquisite per migliorare le condizioni ambientali e promuovere comportamenti degli adulti più favorevoli allo sviluppo mentale dei bambini. Attese irrealistiche sulla possibilità di ottenere grandi risultati mediante l’applicazione di metodi educativi disallineati rispetto ai vari stadi di maturazione dei bambini oppure, al contrario, eccessive preoccupazioni circa l’irrecuperabilità di carenze per deprivazioni subite dai piccoli. Vale la pena di distinguere tra i fatti scientificamente verificati e le credenze distorte, almeno su tre questioni. La prima riguarda la durata della plasticità cerebrale. È vero che una gran parte dell’architettura cerebrale viene modellata nei primi tre anni di vita, ma non è vero che dopo i tre anni vengano meno le possibilità di favorirne ulteriormente lo sviluppo. Parti rilevanti del cervello, responsabili di funzioni di alto livello (incluse le più elevate capacità cognitive, emotive e sociali) non arrivano a maturazione nei primi tre anni o, se sono presenti, lo sono a un livello estremamente elementare. Pertanto, senza nulla togliere alla validità del principio della maggiore plasticità cerebrale nei primi anni di vita, per cui si dice spesso, a proposito dei possibili interventi facilitatori, “prima è meglio che dopo”, resta il fatto che quello che importa è che le esperienze più adatte e produttive si verifichino in armonia con i tempi propri di ogni funzione. Per la maggior parte delle funzioni cerebrali superiori, la finestra delle possibilità rimane aperta, come è esperienza comune, ben oltre i tre anni. Infatti, l’impianto generale del cervello si modella soprattutto nei primi anni, per conseguire lo sviluppo maggiore in quelli successivi fino ai venti, per declinare gradualmente, come possibilità di rimodellamento, con l’avanzare dell’età. Di qui l’importanza delle esperienze nel periodo che va dalla primissima infanzia fino alla fine dell’adolescenza. Un altro aspetto riguarda la possibilità di ricuperare danni da deprivazione esperienziale riscontrabili, per esempio, nei bambini allevati negli orfanotrofi più arretrati: non vi è dimostrazione scientifica a sostegno dell’aspettativa che successivi intensi arricchimenti di esperienze producano apprezzabili miglioramenti nell’architettura del cervello. Infine, è da mettere in particolare rilievo il fatto che le neuroscienze hanno sfatato la credenza secondo cui video e musica registrata sarebbero di grande efficacia positiva nel modellamento del cervello in sviluppo. In realtà, numerose ricerche hanno dimostrato che nulla può sostituire, nel modellamento ottimale dell’architettura del cervello di un bambino, il rapporto diretto con le persone che si occupano di lui, in primo luogo i genitori. Fonte principale: National Scientific Council on the Developing Child, Center on the Developing Child at Harvard University, The Timing and Quality of Early Experiences Combine to Shape Brain Architecture, Working Paper 5, 2007. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 li che strutturano le nostre risposte emotive nel corso della vita non sono in primo luogo i nostri interni impulsi biologici, ma i modelli delle esperienze emotive con altre persone, che vengono costituiti in maniera più intensa nell’infanzia. Questo modelli non sono immutabili, ma come tutte le abitudini sono difficili da modificare una volta costituiti”. 12 I SONO BAMBINI irrimediabilmente difficili? Con una certa sicurezza, si può rispondere di no. Numerosi psicologi che si occupano di infanzia hanno riscontrato, nelle loro ricerche, che “persino il più difficile e irritabile dei bambini risponde bene a dei genitori capaci di corrispondere ai suoi bisogni”1 specialmente nel primo anno di vita. Questo sostanzialmente vuol dire che i bambini difficili possono essere in gran parte il prodotto di genitori emotivamente poco disponibili nei lo- basta) riconoscere i segnali che il bambino piccolo invia a chi si occupa di lui circa i suoi stati emotivi; mentre non è difficile creare le condizioni che li possono influenzare positivamente. ro confronti, soprattutto, come è prevedibile, nel caso di bambini dotati di particolare sensibilità. un grande numero di mamme, per necessità o per scelta, devono confrontarsi con un problema spesso causa di molta sofferenza: la difficoltà di conciliare il lavoro con l’accudimento del proprio bambino nei tempi a lui più congeniali e di durata adeguata alle sue esigenze. C LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 CAPITOLO 5 Riconoscere e soddisfare i bisogni fondamentali dei bambini nella prima infanzia non è impresa facilissima, anche se, fortunatamente, la maggior parte dei genitori istintivamente ci riesce per quanto riguarda le esigenze fisiche come la nutrizione, la pulizia, le condizioni ambientali; un po’ meno invece rispetto alle attenzioni necessarie per assicurare uno sviluppo emotivo equilibrato. Il fatto è che non è facile (e l’istinto non Il pianto, gli sguardi, il sorriso, i movimenti del corpo sono segnali solo apparentemente di facile interpretazione; in realtà, tutti possiedono una gamma di sfumature significanti che, per essere capite, richiedono molta attenzione e soprattutto molto tempo da dedicarvi in modo quotidianamente continuo. Tutto questo confligge con il fatto che Fin dalla nascita, il bambino ha bisogno di una persona che non solo lo curi, ma che addirittura si identifichi con il piccolo così strettamente da sentire i suoi bisogni come propri e questa persona non può, naturalmente, che essere soprattutto la madre. La continuità del legame madre-bambino implica conseguenze di grande rilevanza nella regolazione degli stati emotivi del piccolo; per esempio, quando una madre avverte un disagio nel suo bambino, subito lo condivide provando essa stessa uno stato di sofferenza che la induce immediatamente a intervenire con atti consolatori, facendo percepire al suo piccolo con tenerezza il calore del suo affetto. Da una mamma così disponibile, il bambino non solo riceve consolazione, ma anche impara ad ascoltare i propri stati d’animo e a regolarli. Quando una mamma 13 I bambini sono molto sensibili a questo tipo di messaggi impliciti e inizialmente tendono a reagire a ciò che i genitori fanno piuttosto che a ciò che dicono. Quando i genitori riescono con l’esempio a condividere correttamente gli stati emotivi del bambino, allora i suoi sentimenti possono fluire ed emergere alla coscienza. In particolar modo, se chi si prende cura del bambino risponde in maniera prevedibile, iniziano a costruirsi in lui dei modelli: il piccolo può accorgersi che “quando piango la mamma mi prende sempre in braccio con delicatezza” o “quando si mette il cappotto, sentirò presto il profumo dell’aria fresca”. Questi modelli di aspettative non verbali acquisiti inconsciamente sono stati descritti da vari autori secondo diverse teorie. Indipendentemenete dalle teorie sostenute, tutti concordano sul fatto che le aspettative sui comportamenti di altre persone sono registrate nel cervello al di fuori della consapevolezza, nel periodo dell’infanzia, per sostenere il comportamento relazionale nel corso di tutta la vita. Non siamo consapevoli delle nostre attese, ma esse esistono e si basano sulle nostre esperienze precoci. La più cruciale di tutte queste attese è quella per cui gli altri sono emotivamente disponibili per aiutarci a prendere nota e a elaborare i nostri sentimenti, per dare conforto quando ne abbiamo bisogno. I bambini che crescono senza questa aspettativa sono caratterizzati da una insicura capacità di attaccamento affettivo. Occorre quindi che i genitori siano una specie di istruttori delle emozioni. C’è bisogno che siano presenti e che si mettano in sintonia con gli stati emotivi elementari continuamente mutevoli del bambino, ma occorre anche che essi aiutino il piccolo nel passaggio al livello successivo. Per diventare pienamente umano, infatti, il bambino deve elaborare le risposte elementari e svilupparle in sentimenti più specifici e complessi. Sotto la guida dei genitori, lo stato elementare di “sentirsi a disagio” si differenzia in una serie di sentimenti più complessi come irritazione, delusione, rabbia, fastidio, offesa. Ancora, il lattante o il bambino poco più grande non può operare queste distinzioni senza l’aiuto di coloro che le conoscono. Il genitore può aiutare il bambino a divenire consapevole dei propri sentimenti e lo può fare per esempio parlandogli enfatizzando ed esagerando le parole e i gesti in modo che il bambino si renda conto che mamma e papà non stanno semplicemente esprimendo se stessi, ma stanno “mostrandogli” i suoi sentimenti 2. Quanto detto fino ad ora, indubbiamente acutizza il problema del tempo della donna divisa fra gli impegni di madre e quelli di lavoratrice. Il problema è certamente serio, ma non senza una mediazione possibile accettando il concetto di madre buona abbastanza”. Il concetto di “madre buona abbastanza” è stato formulato da Donald W. Winnicott, pediatra e psicoterapeuta inglese (1896-1971), in contrasto con quello della “madre perfetta”. Sulla base di una pluridecennale esperienza clinica, egli giunse alla conclusione che la madre disponibile in ogni momento a soddisfare le necessità e le richieste del proprio bambino in realtà finisce per limitarne lo sviluppo. Al contrario la “madre buona abbastanza” che, pur prov- vedendo ai bisogni del proprio bambino, lascia intervalli di tempo crescente fra le sue richieste e la loro soddisfazione lo aiuta meglio a crescere. Di fronte alle richieste non immediatamente soddisfatte e alle reazioni di protesta del bambino, la “madre buona abbastanza” cerca di contenere queste ultime in modo gentile, ma fermo, facendo tuttavia in modo che il rapporto non perda mai trasporto e calore. Il mancato soddisfacimento immediato delle richieste del bambino lo induce a compensare la temporanea deprivazione con una maggiore attività mentale e un accrescimento delle capacità di agire. In tal modo il bambino impara a controllare per crescenti periodi di tempo sia le esigenze del proprio Io sia le tensioni istintuali, mentre emerge e si afferma il senso della realtà e la madre viene via via sempre più percepita come una persona separata, contribuendo a sviluppare la capacità di stare da solo. La “madre buona abbastanza” comincia con un quasi completo adattamento ai bisogni del proprio bambino; poi, con il trascorrere del tempo, lo fa sempre meno, gradualmente, secondo le crescenti capacità dell’infante di affrontare le sue omissioni”3. Mediante sospensioni date in piccole dosi e nei tempi opportuni, la madre aiuta dunque il bambino a sviluppare un proprio importante senso di indipendenza. Un’avvertenza è importante: dare sempre al bambino il senso di un delicato allentamento del rapporto, e non il trauma di essere bruscamente abbandonato. 1. Gerhardt S., Perché, si devono amare i bambini, Raffaello Cortina Editore, 2006. 2. Gerhardt S., Ibidem. 3. Winnicott D.W., Collected Papers: Trough Paediatrics to Psycho-Analysis, London, Tavistock Publications, 1958. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 non può assicurare una piena disponibilità, il bambino può crescere nella convinzione che egli stesso non dovrebbe provare sentimenti, dal momento che la propria mamma non si accorge o non mostra di essere interessata a quello che lui prova. 14 CAPITOLO 6 Illustrazione da: Valeri Gorbachev, Tommaso e i cento lupi cattivi, Nord-Sud Edizioni, 2007. ELLA STANZA di ogni bambino ci sono spesso dei fantasmi: “sono i visitatori del passato non ricordato dei genitori... Nelle situazioni migliori questi visitatori, ostili e non invitati, vengono cacciati dalla stanza e ritornano alla loro dimora sotterranea. Il bambino fa la sua imperativa richiesta di amore al genitore e, proprio come nelle fiabe, i legami d’amore proteggono il bambino e i suoi genitori dagli intrusi, i fantasmi maligni”1. Ma non sempre questo accade: i fantasmi maligni del passato dei genitori si insediano nella stanza dei bambini impedendo l’instaurarsi di un vero rapporto d’amore, fondamento di uno sviluppo emotivo armonico. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 N Selma Fraiberg, studiosa inglese cui si deve l’espressione che regge il titolo di questo capitolo, nel volume citato, riporta un caso che fa ben comprendere come il passato infantile di un genitore possa compromettere il rapporto con il proprio figlio e come questo rapporto possa rifiorire ricuperando alla coscienza gli eventi del passato, passo essenziale per arrivare ad annullarne gli effetti negativi nel presente. Il caso è quello di Mary. Il pianto di Mary Mary ha cinque mesi e mezzo quando giunge all’osservazione della dottoressa Fraiberg e del suo gruppo di lavoro presso l’Infant Mental Health Program (Programma per la salute mentale dell’infante). La madre di Mary, la signora March, viene descrit- ta come una “madre rifiutante”. “Fin dal primo incontro c’erano motivi di forte preoccupazione per Mary. A cinque mesi e mezzo portava tutte le stigmate di un bambino che aveva trascorso la maggior parte della propria vita in una culla ricevendo soltanto le cure strettamente indispensabili. Era adeguatamente nutrita e fisicamente curata, ma la sua nuca era calva. Mostrava poco interesse per ciò che la circondava, era indifferente, troppo silenziosa. Sembrava avere solo un tenue collegamento con la madre. Sorrideva raramente. Non si avvicinava spontaneamente a sua madre attraverso il contatto visivo o gesti di avvicinamento. C’erano poche vocalizzazioni spontanee. In momenti di sconforto e angoscia non si rivolgeva alla È ormai divenuto un concetto comune che alla struttura portante della vita emotiva di ogni essere umano contribuiscono in modo determinante le esperienze infantili. Di queste, spesso, si finisce per non ricordare più nulla; eppure esse non vengono dimenticate: rimangono impresse nel nostro intimo e danno in gran parte forma al nostro sentire e al nostro agire. madre. Quando, durante la visita, un suono inatteso infranse la sua soglia di tollerabilità, Mary cadde in uno stato di terrore. Anche la madre sembrava chiusa in un terrore privato, remoto, rimosso, dimostrandoci tuttavia rari sprazzi di una capacità di accudimento. Per settimane ci siamo aggrappati a una minuscola scena catturata dalla telecamera: la bambina faceva un goffo tentativo di avvicinamento alla madre, e la mano della madre spontaneamente si muoveva verso la bambina. Le mani non si sono mai incontrate, ma il gesto simbolizzava per il terapeuta una ricerca reciproca, e ci siamo aggrappati a questa speranza simbolica. Nel corso di una seduta registrata, Mary comincia a piangere, disperatamente: è tra le braccia della madre, ma non le si rivolge per essere consolata, come di solito fanno tutti i bambini. La madre sembra distante, assorta in se stessa. Compie un gesto assente per consolare la bambina, poi smette. Allontana lo sguardo. Le urla della bambina continuano per cinque strazianti minuti. Esaminando successivamente il nastro della registrazione Selma Fraiberg e i suoi collaboratori si dicono: «È come se questa madre non sentisse le urla della sua bambina». Questa riflessione ha fatto sorgere la domanda diagnostica cruciale: «Perché questa madre non sente il pianto della sua bambina?». muoveva avanti e indietro tra la sua bambina – “Non posso amare Mary” – e la propria infanzia – “Nessuno mi voleva” – la terapeuta apriva dei sentieri all’espressione dei sentimenti…, dando alla signora March il permesso di sentire e di ricordare i propri sentimenti. Doveva forse essere stata la prima volta nella vita della signora March che qualcuno le dava questo permesso. E, lentamente, iniziarono a emergere il dolore, le lacrime e l’angoscia inesprimibile per se stessa, bambina rifiutata. Alla fine fu un sollievo riuscire a piangere, una consolazione sentire di essere capita dalla propria terapeuta. E ora, a ogni seduta, la terapeuta assisteva al verificarsi di qualcosa di veramente incredibile tra madre e figlia. I fantasmi della madre di Mary La madre ritrova Mary Da approfondite indagini successive, la madre di Mary risultò essere stata una bambina abbandonata dalla madre e cresciuta emarginata in una famiglia a sua volta socialmente e affettivamente emarginata, una madre i cui pianti di bambina non erano mai stati ascoltati. La sua storia, inizialmente, l’aveva raccontata come un succedersi di fatti, senza visibile sofferenza, senza lacrime. Tutto ciò che era visibile era lo sguardo triste, vuoto, disperato sul suo volto. Aveva chiuso la porta alla bambina che piangeva dentro di sé come sicuramente aveva chiuso la porta alla sua bambina che piangeva. Questo ci ha portati – scrive Selma Fraiberg – alla prima ipotesi clinica: «Quando i suoi pianti verranno ascoltati, questa madre ascolterà i pianti di sua figlia?»”. All’inizio della terapia, se Mary richiedeva attenzione, la madre si alzava nel mezzo del colloquio per cambiarla o portarle il biberon. Più spesso la bambina veniva ignorata se non era lei a richiamare l’attenzione. Ma, appena la signora March cominciò a ottenere il permesso di ricordare i propri sentimenti, di piangere, e di sentire il conforto e la simpatia della terapeuta, la osservavamo avvicinarsi alla sua bambina nel bel mezzo dei suoi sfoghi. Prendeva in braccio Mary, inizialmente distaccata e assorta in se stessa, ma la teneva. E poi, un giorno, ancora nel primo mese di trattamento, la signora March, nel mezzo di uno sfogo di dolore, sollevò Mary, la tenne stretta stretta, e le si rivolse canticchiano dolcemente con voce commossa. E questo è poi accaduto di nuovo, diverse volte, negli incontri successivi. Dopo es- Mentre la storia della signora March si LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 15 16 CAPITOLO 6 sersi sfogata per i vecchi dolori accoglieva la bambina fra le sue braccia. I fantasmi cominciavano ad andarsene dalla stanza della bambina. Il legame tra la madre e la bambina era emerso. E la bambina stessa stava rafforzando questi legami. Ai gesti di affetto della madre ricambiava con generose risposte d’amore. Era la prima volta, così pensavamo, che la signora March sentiva di essere adorata da qualcuno. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 Non tutti i problemi della madre e della bambina erano risolti: quello raggiunto non era il traguardo, bensì il punto di partenza verso una normalità che richiedeva ancora molto lavoro terapeutico; tuttavia, una volta formato il legame, quasi tutto il resto poteva risolversi. Quello che è stato importante, nel caso della signora March, è stata la possibilità di aiutarla a vedere i collegamenti tra il passato e il presente e a mostrarle come, senza rendersene conto, avesse portato le sofferenze del suo passato nella relazione con la sua bambina. I fantasmi nella stanza dei bambini non sono sempre visitatori facilmente sospettabili attraverso il riflesso di comportamenti genitoriali vistosamente generatori di sofferenza. Ve ne sono di particolarmente subdoli, spesso paludati di buone intenzioni e di finto amore. Dalle ricerche e dalle riflessioni di un’altra importante studiosa delle cause delle sofferenze dei bambini, Alice Miller 2, si possono ricordare due esemplari storie di vita compromesse da legami (o mancanza di legami) con genitori carichi di residui negativi ricevuti, a loro volta, dai loro padri e dalle loro madri. Una storia riguarda il grande poeta e drammaturgo tedesco Friedrich von Schiller Friedrich Schiller soffrì nell’infanzia per un padre che gli soffocò sentimenti e gioia di vivere all’insegna delle necessità di una rigida disciplina militare di cui egli gnificava per lui sforzarsi di soffocare le espressioni spontanee, creative e la gioia di vivere del figlioletto”, che, a tredici anni, spedì all’accademia militare. Qui il giovane Schiller per otto anni soffrì enormemente della ferrea quanto insensata e crudele disciplina tipica di quella nazione e di quell’epoca (e non solo). Divenne un giovane uomo malato: “Per dare espressione al suo stato di bisogno, egli non trovò altro rifugio se non nella lingua della malattia, la muta lingua del corpo che nessuno per centinaia di anni volle mai capire”. Nella sua stanza di bambino prima, in quella all’accademia militare poi, il fantasma maligno aveva assunto la subdola parvenza della “necessità” della disciplina, della sottomissione all’autorità. stesso era stato vittima. (1759-1805), l’altra il non meno importante narratore francese Marcel Proust (1871-1922). Il fantasma della disciplina Friedrich Schiller trascorse i primi decisivi tre anni di vita da solo accanto a una madre amorevole con cui potè sviluppare la propria personalità e i grandissimi talenti di cui era dotato. Quando ebbe quattro anni, il padre tornò a casa da una lunga guerra (era ufficiale medico). Uomo severo, impaziente, iracondo, ottusamente caparbio, non è difficile immaginare che nel fondo della sua memoria giacessero non ricordate esperienze di dura educazione, come allora si usava e come si può dedurre dalla scelta della vita militare. “Educare si- “Schiller, in tutta la sua opera, da i Masnadieri al Guglielmo Tell, ha ininterrottamente combattuto l’esercizio della violenza cieca esercitata dall’autorità, suscitando in molti cuori, grazie alla potenza della lingua, la speranza che quella battaglia un giorno potesse essere vinta. Ma lui stesso non è mai consapevole, in nessuna delle sue opere, del fatto che la ribellione contro gli assurdi ordini impartiti dai potenti traevano alimento dalle precoci esperienze del suo corpo. La sofferenza provocata in lui dal padre che esercitava un potere incomprensibile e terrorizzante lo aveva spinto a scrivere, ma egli non riuscì mai a riconoscere quella motivazione. Volle scrivere opere letterarie grandi e belle, volle dire la verità attraverso personaggi della storia, e ciò gli riuscì in modo straordinario. Tacque soltanto la verità della propria sofferenza causatagli dal padre, che rimase nascosta a lui stesso fino alla morte precoce, un segreto per lui e per la società che lo am- 17 L’inautenticità dei sentimenti cupava molto per lui, ma voleva decidere fin nei minimi particolari tutto quanto lo riguardava, voleva imporgli le relazioni che riteneva giuste, poteva permettergli o proibirgli ciò che doveva fare quando già aveva diciotto anni, voleva che lui fosse il figlio di cui lei aveva bisogno: dipendente e malleabile”2. Marcel Proust, subito dopo la morte della madre, in una lettera a un amico scrisse: “Mi sa così incapace di vivere senza di lei […]. La mia vita ha perduto ormai il solo scopo, la sola dolcezza, il solo amore, la sola consolazione che avesse. Ho perduto colei che con la sua incessante vigilanza mi portava, con la pace e l’affetto, il solo miele della mia vita […]. Ho bevuto alla fonte del dolore […]. Come diceva la suora che la curava, per lei io avevo sempre quattro anni. In realtà, quello che la madre dello scrittore continuamente riversava su di lui, era solo attenzione a che si comportasse bene, come si conveniva nella società del tempo. Scrive Proust, che ha espresso la sua sofferenza anche nell’asma di cui pativa: “Inspiro troppa aria e non posso espirarla, tutto ciò che lei mi dà deve essere per me una buona cosa, anche se mi soffoca”. “A suo modo, lei lo ‘amava’. Si preoc- La madre di Proust apparteneva alla Paolo Cajelli © 2009 Marcel Proust, ossessivamente accudito da una madre in cui ricercò sempre, ma inutilmente, una autenticità dei sentimenti che ella non poteva dare per l’educazione formale e affettivamente inautentica nella quale era stata a sua volta allevata. Illustrazione: Paolo Cajelli. buona borghesia e la sua principale preoccupazione era quella di svolgere nel modo migliore “il ruolo di moglie di un medico di buona reputazione, onde godere la stima della società al cui giudizio teneva molto. L’originalità e la vivacità del figlio costituivano una provocazione che lei voleva a tutti i costi togliere di mezzo”. Dentro di lei operava costantemente un’educazione che fin dall’infanzia imponeva che per essere accettati bisogna osservare le convenienze e quelle della sua classe sociale erano particolarmente formali e sentimentalmente inautentiche, lontane da quel vero amore che il piccolo Marcel cercava invano nelle pur assidue attenzioni della madre. L’inautenticità dei sentimenti più profondi è stato il fantasma che ha frequentato per lungo tempo la stanza del piccolo Proust, inautenticità che egli non ha voluto riconoscere nella madre , ma che ha colpito nella società che ha descritto in seguito, dopo la morte della madre, nella sua opera principale: La ricerca del tempo perduto, in cui si può immaginare una pervasiva domanda: “Mamma, perché tutte queste persone sono più interessanti di me? Non vedi come sono vacue, snob? Perché tu dai così poca importanza alla mia vita, alla nostalgia che ho di te, all’amore che ti porto? Perché ti sono di peso?”. 1. Fraiberg S., Il sostegno allo sviluppo, Raffaello Cortina Editore, 1999. 2. Miller A., La rivolta del corpo. I danni di un’educazione violenta, Raffaello Cortina Editore, 2005. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 mira da secoli prendendolo a modello poiché egli ha combattuto con le sue opere per la libertà e la verità”2. 18 CAPITOLO 7 L’attenzione nel bam- UTTI I GENITORI ormai sanno che per migliorare nei bambini le capacità di comprendere, di provare emozioni e sentimenti, per stimolare la loro creatività e la loro immaginazione, per insegnar loro a vivere con gli altri, un mezzo di grande importanza è rappresentato da una frequente, se non addirittura quotidiana, pratica di intrattenimento con racconti e letture ad alta voce di storie, fiabe o altro di adatto secondo l’età. T LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 Molti genitori, più o meno esplicitamente, con le letture condivise con i loro bambini, mirano anche ad accelerare l’apprendimento della lettura e della scrittura. È un obiettivo legittimo, purché non sia il principale e neppure posto con eccessivo anticipo rispetto alle reali possibilità dei piccoli. Si può dire che gli si può dedicare una crescente attenzione a partire dalla fine della scuola dell’infanzia, nel passaggio verso la scuola primaria. Imparare a leggere è un processo che richiede fatica e tempo. Fin dalla prima infanzia i bambini amano, e traggono vantaggio, dall’ascolto di filastrocche, poesiole, fiabe e racconti di crescente lunghezza e complessità a mano a mano che il tempo passa, comprendendo, nelle letture ad alta voce, che le parole vanno insieme con dei segni stampati e che questi segni hanno un significa- bino può essere stimolata in vari modi. Certamente uno dei più efficaci è la narrazione e la lettura ad alta voce. Illustrazione da: Klaas Verplancke, Gigante, ZOOlibri, 2007. to; la comprensione del significato delle parole ascoltate è facilitata dalle illustrazioni che le accompagnano (oggetti, esseri animati, paesaggi) elementi che la mamma o il papà che legge non mancherà di indicare e di spiegare avviando a poco a poco il figlio verso la rappresentazione astratta di quanto ascolta. Lungo tale percorso, il bambino sarà facilitato a entrare nel primo mondo dell’istruzione, la scuola primaria, dove l’apprendimento della lettura diventa obiettivo principale, affidato all’azione didattica di professionisti il cui compito non è soltanto quello di rendere i bambini semplicemente capaci di leggere, ma soprattutto capaci di leggere per imparare. Un effetto non secondario della pratica della narrazione e della lettura ad alta voce ai e con i bambini in età prescolare è rappresentato dall’incentivazione dell’amore per i libri che, se alimentato in questa fase della vita, dura di solito per sempre. Per rafforzare questo effetto, qui di seguito sono elencati alcuni suggerimenti utili per far entrare nell’intelligenza, nella sensibilità e nelle abitudini dei bambini lo spirito di conservazione del libro come amico tangibile e sempre disponibile, un vero e proprio compagno di vita. 19 Senza libri propri è più difficile imparare a leggere per imparare. ■ Assegnare al bambino una piccola ■ Incoraggiare e aiutare il bambino a libreria in cui, fin da piccolissimo, possa trovare i “suoi” libri, prenderli e riporli con facilità. “costruire” propri libri con i suoi disegni e scarabocchi a imitazione della scrittura, collage di elementi ritagliati da pubblicazioni e anche materiali vari come stelline, granelli colorati, pezzettini di corda e quanto di non pericoloso gli è disponibile nell’ambiente in cui vive. ■ Consentire ai bambini di riporre i propri libri fra quelli dei genitori a cui normalmente attribuiscono un valore particolare e che trasferiscono ai propri. tutti possono attingere, lui compreso non appena imparerà a leggere. ■ Nell’ arricchire la bibliotechina del bambino inserire qualche volumetto molto illustrato che guidi a semplici attività della vita quotidiana come cucinare, lavorare il legno, coltivare i fiori e così via. ■ Molto stimolante risulta l’incorag- gliere il libro che più desidera che gli venga letto, anche se per lungo tempo è sempre lo stesso e di cui alla fine l’adulto è naturalmente sommamente annoiato. giamento e l’aiuto a fare dei segnalibri di vari colori da inserire nei libri che il bambino a mano a mano riceve. ■ Far frequentare librerie e biblioteche leggono abitualmente. Il bambino è un forte imitatore, specialmente dei comportamenti dei genitori. pubbliche instaurando così la conoscenza che esiste un mondo di libri aperto a tutti, sia per acquistare sia per consultazioni e prestiti gratuiti. ■ Quando il bambino è già grandicello ■ Far partecipare il più possibile il bam- e capisce il significato di un’eventuale paghetta, e quindi il valore del denaro, mettere in evidenza che una parte del suo gruzzolo viene usata per acquistare libri per lui: in tal modo il valore si trasferisce dal denaro al libro. bino alle frequenti manifestazioni che si svolgono nelle librerie per bambini e ragazzi. ■ Dare l’esempio che mamma e papà ■ Invitare amici e parenti a regalare al bambino libri in occasione di feste tradizionali e di anniversari, limitando il più possibile soprattutto i giocattoli elettronici e alla moda. ■ Collocare un dizionario a portata di mano, nel luogo dove si racconta e si legge al bambino, e consultarlo frequentemente quando si incontrano parole che il bambino non conosce; è un’operazione che fa comprendere al bambino che esiste un forziere in cui sono racchiuse tutte le parole del mondo e a cui ■ Raccogliere i libri che il bambino che cresce non legge più, rimetterli in ordine in modo che siano ancora presentabili, farne una confezione dignitosa e, in sua compagnia, portarla, come un dono prezioso a famiglie amiche, alla biblioteca dell’asilo o della scuola dell’infanzia, a un reparto pediatrico di un ospedale, all’oratorio della parrocchia od ovunque si è sicuri che vi è interesse a riceverli. ■ Incoraggiare il bambino e aiutarlo a tenere un elenco dinamico, cioè puntualmente aggiornato, dei libri che gli vengono letti; eventualmente, per ogni titolo registrato, con un breve commento e un ricordo di quando è stato letto. Sarà uno strumento utile, quando sarà adulto per essere un genitore migliore ricordando la propria infanzia, i propri bisogni di allora, le parole e le immagini che hanno colorato le origini della propria personalità. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 ■ Lasciare che sia il bambino a sce- 20 Libri in vetrina A cura di WALTER FOCHESATO I fantasmi nella stanza dei bambini MAURICE SENDAK Nel paese dei mostri selvaggi Babalibri, Pagg. 48, 12,50 euro Un grande e indubitabile classico, un’opera sapiente e intrigante, ricchissima di echi e di occasioni. Mandato a letto senza cena, Max vede la sua cameretta trasformarsi in una foresta, per lui inizia così un lungo viaggio alla ricerca di se stesso. Da quest’opera è stato tratto, pochi mesi or sono, l’ottimo film Nel paese delle creature selvagge di Spike Jonze, con la stretta collaborazione dello stesso Sendak. PHILIPPE CORENTIN Papà Babalibri, 1999 Pagg. 32, euro 11,50 Un cucciolo di mostro e un bambino si preparano per andare a nanna, il fatto è che si ritrovano nello stesso letto e, per ognuno di loro, c’è un “diverso” per cui aver paura e strillare. Alla fine si divideranno in santa pace il sonno e il letto. Pagina dopo pagina, un continuo susseguirsi di sorprese in un libro ricco di ironia e di dolcezza. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 La mente dei bambini fra realtà e fantasia STEFANO DISEGNI Illustrazioni di ALBERTO RUGGIERI L’erba voglio Franco Cosimo Panini, 2009 Pagg. 36, euro 16 Bell’album in gran formato con una divertente e fresca storia, assai ben illustrata. È la storia di un bambino che, grazie alle virtù di una pianta, scopre di poter realizzare tutti i suoi desideri, anche quelli appena pensati. Naturalmente tutto ciò darà vita ad una serie di equivoci e di guai finché capirà che “volere tutto subito e ottenerlo non è detto che sia una cosa bella”. HELEEN VAN ROSSUM Illustrazioni di TIJN SNOODIJK Un Buongiorno Perfetto ZOOlibri, 2006 Pagg. 26, 11,50 euro Quando al mattino Piùdiuno si sveglia prima di alzarsi deve rassettarsi, mettere a posto tutti i suoi pezzi. Fatto l’inventario si accorge che manca qualcosa: aveva lasciato, proprio lì sul comodino, il suo ombelico. Caratterizzato da un segno sobrio ed efficace e graficamente modernissimo, il volume riesce a coniugare elementari informazioni sul come siamo fatti con un continuo scatto fantastico venato di surrealismo. TARO GOMI Vai a fare il bagno! Kalandraka, 2009 Pagg. 32, 15 euro Ben noto anche in Italia per la fortunata serie degli Scarabocchi, edita da Corraini, Taro Gomi ci regala un impagabile albo illustrato dedicato alla vita quotidiana del bimbo e alle sue faticose conquiste. Ma tutto viene costruito con grande fantasia e capacità d’invenzione. Il segno dell’autore, lineare e pacato, si accende di divertiti lampi di ironia e vivida festosità. Esperienze e memorie ALFREDO STOPPA Illustrazioni di SONIA M.L. POSSENTINI Grande o piccolo? La Margherita Edizioni, 2009 Pagg. 28, 16 euro 21 in Grande o piccolo un testo essenziale ma raffinato e intenso accompagna le grandi e delicate tavole a colori della Possentini. “Lui” è un bambino che di volta in volta, nel dialogo non sempre fruttuoso con mamma e papà, viene considerato ora grande per certe cose, ora decisamente piccolo per altre. “È tardi. E poi sei già troppo grande per giocare con un pupazzo!”. “Mettiti a dormire, che sei piccolo ancora e poi hai paura del lupo”. GIUSI QUARENGHI BEATRICE MASINI Illustrazioni di ANTONGIONATA FERRARI Manuale di buone maniere per bambine e bambini Rizzoli, 2009 Pagg. 58, 12,50 euro Le vivacissime filastrocche della Quarenghi e i pacati commenti in prosa della Masini danno vita ad un libro fresco e arguto, perfetto per essere letto insieme da adulti e bambini. Perfetti i numerosi disegni al tratto di Ferrari, incalzanti e vivacissimi. THIERRY ROBBERECHT Illustrazioni di PHILIPPE GOOSSENS Come far amare la lettura BRIAN LIES Pipistrelli in biblioteca Il Castoro, 2009 Pagg. 32, euro 13,50 Basta una finestra lasciata aperta per sbaglio e arriva la notte tanto attesa per tutti i pipistrelli: entrare in biblioteca e scoprirne i tesori, leggere storie bellissime, guardare le figure, divertirsi e incantarsi. Fino all’arrivo dell’alba e nella speranza che un giorno un’altra finestra rimanga socchiusa. MONIQUE FELIX C’era una volta un topo chiuso in un libro… Emme Edizioni, 2009 Pagg. 28, euro 6,50 Ritorna finalmente in libreria un piccolo grande classico moderno, pubblicato per la prima volta nel 1981. Un volumetto rigorosamente senza parole. Un simpaticissimo topolino che, rinchiuso in un libro, comincia a rosicchiarne i bordi e man mano vede apparire un bellissimo paesaggio di campagna. Decide allora, per scoprire il mondo, di costruirsi con la pagina un piccolo aeroplano di carta. Piccoli fantasmi MONIQUE FELIX Seconda storia di un topo chiuso in un libro… Emme Edizioni, 2009 Pagg. 28, euro 6,50 Questa volta il nostro piccolo eroe, nuovamente alle prese con un libro, scopre il mare ed è quindi obbligato a realizzare, in tutta fretta, una barchetta. Ho sempre pensato che questi due deliziosi libretti fossero, nel loro invito a scoprire il mondo, una perfetta metafora attorno ai tesori che si possono trovare nei libri. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 ZOOlibri, 2006 Pagg. 26, 12,50 euro Caratterizzato dalle calde e tenere illustrazioni di Goossens, l’albo ci racconta di una piccola disavventura. Rimasta sola in casa la piccola protagonista vuol giocare con la collana della mamma (cosa che le è stata vietata). La fa cadere e tutte le perle rotolano per terra. È indecisa se confessare o no quel che ha combinato ma ecco che dalla sua bocca esce “il fantasma delle parole mai dette. Ripeto le parole che i bambini non hanno il coraggio di dire”. 22 Lo sviluppo in Italia Accoglienza Educazione Integrazione Un progetto GSK - Regione del Veneto ell’ambito di una convenzione stipulata nel 2006 fra l’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione del Veneto e GlaxoSmithKline, Progetto “Leggere per Crescere”, è stata promossa nella Regione una serie di 21 corsi di formazione per 1.310 educatrici di asilo nido e insegnanti delle scuole dell’infanzia, nei bienni 2006-2007 e 2007-2008, sul perché, come e che cosa leggere ad alta voce ai bambini in età prescolare. I risultati ottenuti hanno stimolato le parti a proseguire nella collaborazione dedicandola ai problemi di accoglienza, educazione e integrazione dei bambini stranieri negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia di otto comuni della Regione, puntando su corsi di formazione prevalentemente rivolti alla promozione del linguaggio, a livello sia dell’apprendimento dell’italiano sia della valorizzazione delle lingue materne delle famiglie immigrate. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 N La scelta del tema principale dei corsi di formazione per il biennio 2008-2009 è stata dettata dalla considerazione che il passaggio fra rischio di esclusione e integrazione può essere favorito nei bambini stranieri in vari modi, ma uno appare fra i più efficaci: lo sviluppo di un linguaggio comune ai coetanei del Paese di accoglienza nei primi anni di vita, possibile soprattutto nelle strutture maggiormente adatte alla socializzazione quali sono tradizionalmente, al di fuori della famiglia, gli asili ni- do e le scuole dell’infanzia. Il linguaggio non è soltanto il mezzo per comunicare fra esseri umani; è anche lo strumento mediante il quale l’uomo elabora, rappresenta, condivide la realtà che lo circonda, il proprio modo di sentire, di pensare, di essere, di appartenere alla comunità in cui conduce la propria esistenza. Lo sviluppo di un linguaggio comune può dunque essere considerato un presupposto essenziale in ogni processo di integrazione, presupposto tanto meglio costruibile nei bambini quanto più viene fondato su attività educative specifiche, modulate secondo e in armonia con i loro stadi di sviluppo. Fra le possibili attività favorevoli ai processi di integrazione attraverso lo sviluppo del linguaggio e l’apprendimento della lingua del Paese di accoglien- za, un ruolo di grande efficacia è unanimamente riconosciuto alle narrazioni e alle letture ad alta voce. Infatti, un racconto, una lettura, un’illustrazione sono nello stesso tempo uno specchio, nel quale il bambino si può guardare e riconoscersi, ma sono anche una finestra attraverso la quale egli vede il mondo e le persone con le quali deve interagire e possibilmente integrarsi. Inoltre, la narrazione e la lettura ad alta voce, se opportunamente scelte, offrono al bambino (naturalmente non solo al bambino straniero, ma anche ai suoi coetanei italiani) maggiori possibilità di costruire dentro di sé una visione delle cose, della loro varietà e delle loro diversità, in larga misura sgombra da pregiudizi, presupposto di una qualità imprescindibile della convivenza: la tolleranza, forte antiveleno contro ogni 23 dentità originaria, dall’altra non accettato nella società di accoglienza, in quanto ritenuto estraneo anche per l’insufficiente padronanza della seconda lingua. Nell’operazione prevista nella citata convenzione è stato considerato con particolare attenzione anche il fenomeno del bilinguismo e i problemi che vi sono sottesi. Parlare una lingua significa esprimere un modo di essere e di pensare di una particolare comunità, quella che parla lo stesso idioma, condizionato dall’ambiente, dalla storia attraverso la quale si è sviluppato nel corso di secoli, ed è legato per ogni individuo ai ricordi, alla convivenza con genitori, nonni, fratelli, amici. In tempi ben lontani, il filosofo tedesco Georg Christoph Lichtenberg (17421799), attento ai valori umani e critico di ogni forma di fanatismo, ha scritto: “conoscere una lingua a fondo significa conoscere a fondo il popolo che la parla”. Anche su questo assunto sono stati informati i corsi di formazione oggetto dell’intesa fra Regione del Veneto e GlaxoSmithKline. Le ragioni di questa scelta possono essere riassunte in poche righe. Appartenere a una cultura è fondamentale per la strutturazione della personalità: è una caratteristica e una necessità dell’essere umano quella di condividere valori, tradizioni, costumi di una definita società in cui vivere, pensare, venire pensato e accettato per quello che si è nei propri pensieri, nelle credenze, nei sentimenti, nei comportamenti. Il bambino immigrato si trova sospeso al bivio fra due possibilità: essere emarginato, in quanto portatore di una lingua diversa da quella dominante; oppure essere esposto al rischio-necessità di abbandonare la lingua di origine per inserirsi nella società che lo accoglie, adottandone i caratteri che la distinguono: in sostanza, a rinunciare alla propria prima identità. Esiste una terza possibilità: quella di rimanere senza nulla e venire, da una parte, privato, con la perdita della lingua dei padri, dell’i- In questo quadro è stata anche inserita la proposta di partecipazione rivolta ai familiari (i genitori, in primo luogo) dei bambini accolti negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia sedi delle operazioni descritte, nell’ottica di favorire una contiguità se non proprio una continuità fra le esperienze educative al di fuori della famiglia (negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia) e i vissuti entro le mura domestiche. Il proposito è stato quello di mettere in atto situazioni che favorissero la cono- Queste necessità vanno comprese da parte di educatrici e insegnanti ed è in questa direzione che sono stati diretti i corsi di formazione, orientati a consentire ai bambini (soprattutto ai figli di genitori immigrati di prima generazione) di costruire la propria identità favorendone lo sviluppo mediante la valorizzazione delle due lingue, di origine e di accoglienza, e delle rispettive culture, a partire dal loro rispetto e dall’incentivazione a coltivarle ed eventualmente condividerle con i coetanei italiani. scenza-ponte fra persone di diversa cultura (per lo più esposte a condizioni di reciproca separatezza e di emarginazione sociale) finalizzate al riconoscimento dei loro valori quali sono espressi dal loro patrimonio di favole, miti, leggende. I metodi e i mezzi per conseguire tali finalità non sono mai predittivamente ipotizzabili astrattamente, a prescindere dalle realtà locali, da cui è sempre necessario partire per dar vita a specifiche occasioni di aggregazione multiculturale in cui promuovere i due principi che hanno ispirato tutta l’operazione posta in opera dalla Regione del Veneto e da GlaxoSmithKline: 1. la valorizzazione delle culture altre e l’arricchimento derivabile per tutti dalla loro conoscenza; 2. il sostegno del bilinguismo famigliare (parallelamente all’apprendimento dell’italiano) come fattore importante non solo per lo sviluppo dell’identità personale, ma anche per il mantenimento degli equilibri dei legami affettivi all’interno delle famiglie. La necessità di tener conto delle diverse realtà locali ha suggerito di delineare e concretizzare alcune iniziative rivolte ai familiari, successivamente ai corsi di formazione e sulla base delle indicazioni fornite dalle educatrici e dalle insegnanti che vi hanno partecipato. Nell’ambito dei corsi di formazione, alle educatrici e alle insegnanti sono stati illustrati metodi e mezzi per sostenere, nei piccoli stranieri loro affidati, lo sviluppo del linguaggio e l’acquisizione dell’italiano, con il compito di registrarne le progressioni in funzione dei metodi utilizzati e delle iniziative individualmente e collettivamente intraprese. LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 forma di discriminazione. Considerazione questa, tanto più importante in quanto l’integrazione è un processo bidirezionale: il bambino straniero verso il bambino italiano e viceversa. Tutti gli operatori possono ricevere gratuitamente il manuale “Leggere per Crescere” LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010 basta richiederlo registrandosi al sito www.leggerepercrescere.it GlaxoSmithKline (GSK) è una multinazionale farmaceutica basata sulla ricerca presente in Italia dal 1932. Oggi nel Paese GSK comprende tutte le componenti industriali del ciclo economico aziendale: la ricerca, la produzione, il marketing e la vendita dei farmaci, dei prodotti da banco e di largo consumo. Nell’ambito delle proprie iniziative a favore della comunità, GSK sviluppa in Italia dal 2001 interventi a favore dei bambini e degli anziani con il programma di responsabilità sociale “Salute & Società”. Periodico del Progetto “Leggere per Crescere” - Registrazione del Tribunale di Verona n. 1602 del 17/6/2004 - Direttore responsabile Romolo Saccomani © GlaxoSmithKline 2010 ■ Progetto editoriale e testi Garamond SAS, Milano ■ Grafica TypeDesign, Milano ■ Redazione Luciana Bozzotti ■ Stampa Cortella S.p.A., Verona Questa pubblicazione è stampata in 25.000 copie.