Introduzione - Scuole Medie

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Introduzione - Scuole Medie
Introduzione
di Matteo Cardone
Questa piccola antologia è frutto del laboratorio di scrittura
creativa aperto ai ragazzi di tutte le classi e le sezioni
tenutosi nel primo quadrimestre. L’idea che vi è alla base è
quella di mettere gli studenti a stretto contatto con
l’esperienza della scrittura, affinché, anche se solo per
qualche ora alla settimana, possano viverla come un piacere.
Piacere che hanno dimostrato cimentandosi in diversi “spunti”
e generi letterari, dalla semplice descrizione al racconto
giallo, passando per la lettera in tempo di guerra. Il risultato
finale è stato sorprendente sia per la qualità degli scritti sia
per il coinvolgimento e la viva partecipazione dei ragazzi.
Perciò desidero ringraziare il Coordinatore Didattico Eugenio
Turrini che ha reso possibile la stampa e tutti gli alunni che
con passione ed entusiasmo sono ritornati a scrivere dopo la
campanella assieme a me.
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Descrizione e immaginazione di una scena
di Anna Girelli
Se ne stava lì, placidamente seduto, sulla quella sedia che ormai cadeva a pezzi, vecchia e consunta. Non una parola diceva,
da parecchi giorni, non che fosse un tipo da Divina Commedia,
ma di solito accennava un saluto o passava le ore a parlare a
ricreazione con quelli più piccoli, quelli in classe con il suo fratellino: gli insegnava i trucchi di magia o come muovere le carte velocemente. Mi era sempre piaciuto quel suo modo di fare
così attento, preciso e diretto anche con i più piccoli. Con noi
non parlava, ma io sentivo che aveva voglia di parlare. Veniva
da una scuola in cui essere “bulleggiati “ era quasi una cosa
normale: uno studente su tre è vittima di bullismo. Scuole malandate, così le chiamo io, non che la nostra sia la migliore del
mondo, ma almeno se succede qualcosa i professori se ne accorgono. Muoveva la matita ritmicamente, un ritmo veloce che
suonava benissimo nelle orecchie, melodioso. Forse avrebbe
dovuto iscriversi ad un corso di batteria. Non mi guardava, neanche con la coda del occhio e bisogna dire che ero l’ unica in
classe. Volevo vedere che succedeva o almeno cosa stava
guardando. Cosa ci posso fare: sono una persona curiosa! Feci
prima una cosa che non avevo mai fatto per nessuno, inclusi i
miei parenti e le mie amiche: lo osservai cercando di cogliere
anche i più piccoli dettagli. Era girato di schiena, probabilmente non sapeva neanche della mia presenza. Non importava
che fosse di schiena, di lato, in obliquo, a testa in giù, mi ricordavo la sua faccia e sapevo che espressione aveva assunto
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in questi giorni;le sopracciglia erano come le ciglia: grandi, folte e spesse, scure. La bocca era invece chiara, sottile infatti
non carnosa, era di un rosa quasi color pelle. Il viso era un po’
paffuto, ma stava bene sulla sua capigliatura riccioluta, tagliata corta, riccioli di bambola. Il naso era piccolo, sottile, un po’
all’insù, ma non troppo, quella via di mezzo che va sempre bene. Mi piacque subito il suo sorriso, fu la prima cosa che notai,
contagioso,da cui potevo intravedere i dentini bianchi. Le orecchie erano tonde, un pelo sporgenti, nascoste dai capelli
nella parte superiore e un poco più scure della pelle. Oh, mi
stavo dimenticando della parte più importante nel viso di una
persona: gli occhi. Come ben si sa gli occhi sono tutto nel viso
di qualcuno: per esempio puoi capire l’espressione di una persona dagli occhi, dal naso invece no. Io che sono una pittrice
so quanto siamo importanti: quando devi rappresentare qualcuno la prima cosa da fare sono gli occhi. Sarò stata un po’ ripetitiva, ma in conclusione posso affermare che gli occhi sono
il centro di un viso. I suoi occhi mi colpirono particolarmente:
erano spenti in quei giorni, scuri color mogano e grandi, spalancati, sembravano guardare qualcosa che a me sfuggiva. Almeno dopo compresi …
Davanti alla nostra scuola c’era un ospedale, un’ enorme ospedale bianco dalle grandi vetrate. Tutto era bianco al suo interno: le macchine, i dottori, i camici, le finestre, i pavimenti,
le stanze, i bagni, sembrava di essere stati risucchiati in un
buco, un buco nero che in realtà era bianco. Io c’ero stata solo
una volta: quando mi ero rotta il braccio saltando come una
matta con mio cugino. Mi avvicinai a lui come un ninja, a passo
felpato e nascosto dai rumori che venivano dal cortile. Stava
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guardando una finestra più buia delle altre, quasi cupa. Avevo
una vista eccellente e con i miei quindici decimi potei notare
che all’interno di quella finestra c’era una donna, gracile, sulla
quarantina e con i capelli castani come io suoi. Non vidi altro
insomma: ho un ottima vista, ma non sono mica Superman.
Credendo che lui non si fosse accorto che stavo a spiare quello
che faceva me, ne andai come ero venuta. Non parlai per molti
giorni di quello che avevo visto e lui neanche. Era sempre più
taciturno. Ero rassicurata dal pensiero che non mi avesse vista.
Parlammo solo dopo una settimana: lui si fece avanti e disse
che mi aveva vista quel giorno, io non sobbalzai né niente, la
sua faccia era sorridente e felice. Credo che a malapena sapesse il mio nome, ma non importava; come avevo detto il suo
sorriso era contagioso. Mi spiegò che sua madre era stata in
ospedale a causa del cancro, ma che adesso si era ripresa e
stava meglio. Non so come mi venne da abbracciarlo, non ci conoscevamo eravamo una coppia di sconosciuti ma mi sembrava
di conoscerlo da sempre. Da quel momento nacque qualcosa fra
noi: amicizia vera quella che solo poche persone vedono e che
di solito appare solo come fumo sottile o una ventata leggera e
fugace.
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Il mio vicino di casa…
di Matteo Doardi
Il mio vicino di casa è un uomo, alto, con capelli scuri come il
carbone, un fisico possente e solo a vederlo ti fa paura.
Tutte le mattine si sveglia verso le cinque per andare a correre e io mi chiedo perché non se ne stia a casa a dormire visto
che è disoccupato.
Appena mi sono trasferito nella mia nuova casa, affianco alla
sua, pensavo che fosse una persona molto seria ma in realtà ho
scoperto che non era un disoccupato bensì che faceva il pagliaccio al circo che c’era in città e che si chiamava "oppalalà il
circo è qua".
Circa un mese dopo il trasloco, sono anche andato a vedere un
suo spettacolo e devo ammettere che nel suo lavoro è molto
bravo… Mai giudicare dalle apparenze!
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Il risveglio: diario di una nevrotica
Di Anna Girelli
Caro Diario,
Mi chiamo Jennifer. Ti sembrerà strano ma ho 37 anni. Insomma non sono una delle solite ragazzine di dodici anni che si
sfogano sul diario per parlare della loro nuova cotta o di come
i messaggi che ricevano siano pieni di cuori.
No, sono
tutt’altra persona . Non credere che sia qui per parlare di
quanto mi stressa mio marito o di come lo tradisco con le mie
centinaia di amanti … no, assolutamente no. Adesso mettiamo
in chiaro: il dottore mi ha prescritto di scrivere un diario per i
miei problemi di nervosismo. Insomma visto che tutti da più di
un anno mi dicono che sono sempre nervosa e che continuamente rispondo male come una bambina viziata che non può
avere un gattino bianco nuovo, sono andata da un dottore, uno
psicologo più precisamente. Quindi ecco qua la cura: scrivere
un diario in cui confidarsi e lasciare uscire tutti i pensieri che
si affollano nella mente. Scrivere sarebbe l’ unica soluzione a
quanto pare. Ti sfoghi, puoi dire cose che non diresti o che
non oseresti mai dire perché quando inizi a scrivere non ti
fermi più, è automatico. Non lo si fa apposta. Quindi io sono la
tua creatrice e tu sei solamente un specie di test. Effettivamente è un modo per parlare un po’ e dedicarsi un po’ di tempo
ogni giorno. Tanto l’ ha detto lo psicologo! Ed ecco fregate le
mie piccole figlie che mi vorrebbero sempre per loro. Diciamolo chiaro sono un’infermiera e quindi non ho peli sulla lingua.
Quando parlo io parlo. Che sia una buona o cattiva notizia per i
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parenti. Come avrai notato sono una persona decisa e fantasticamente modesta. Il dottore ha detto che devo scrivere
ogni giorno quello che mi da più fastidio. Insomma per la mia
prima pagina ho scelto il risveglio. Credo di dover partire
dall’inizio di quello che mi rende furiosa. Ecco credo che questo inizierà a farti capire come sono le mie mattinate.
Se per risveglio mattutino intendi anche tu l’ incubo giornaliero allora credo che andremo d’accordo. Per esempio raccontiamo il risveglio di questa mattina: Dopo essere tornata alle
dieci di notte a casa e aver mandato via la baby-sitter, ho dovuto gestire una bambina mocciosa di un anno, mia figlia minore che, dopo aver subito un faticoso parto cesareo per metterla al mondo, è da un anno che piange e strilla tutte le santissime notti. Lì arriva il problema numero due: a quel punto si
svegliano anche Susy e Katy (le mie figlie maggiori) che si
mettono a litigare per qualcosa o per qualcos’altro (insopportabili). Dopo un’ ora a correre qui e là, riesco finalmente a
metterle tutte e tre a letto. A quel punto penso “Meglio che
vada a dormire”. Dormo per circa un’oretta finché non arriva il
problema numero tre: la vicina di casa. Poverina, si sta lasciando con il fidanzato ma questa non è una buona scusa per
non farmi dormire. Alta, magra, lentigginosa rossa con un fisico totalmente invidiabile. È lì che litiga con il fidanzatino tennista. Alla fine riesce a liberarsene dicendo che farà vedere
alla ex-fidanzata delle foto di loro due mentre lui stava ancora con quella là. E quello se ne va via finalmente. Richiudo gli
occhi e dormo fino circa alle cinque di mattina ovvero fino a
quando bussa il problema numero quattro: il marito. Doveva
tornare da un viaggio in Australia e ovviamente arriva di not7
te. Josh continua a bussare finché non riesce a svegliarmi.
Bussa, bussa e bussa. E ovviamente non sveglia solo me ma anche tutte le bambine. Apro la porta e lui entra con la sua solita “grazia” in casa, con una terribile puzza di fumo addosso.
Mentre cerco di rimettere le bambine a dormire lui va beatamente a letto con il passo di uno zombie. In totale dormo circa
quattro o cinque ore a notte (non per niente dormo un paio
d’ore mentre le bambine sono a scuola o durante la pausa tra
un turno e l’altro. Mi sveglio alle sette e con tutte le scuse
possibili cerco di rimanere a letto ancora un po’, ma tanto le
mie figlie vengono ogni cinque minuti a ricordarmi che non devono arrivare in ritardo a scuola.
Certe volte mi verrebbe la voglia di prendere e scappare in
Messico. Farla finita con tutto e lasciarli a loro: le nanerottole, la vicina e il suo ragazzo palestrato, la baby-sitter e Josh.
Che si arrangino se ne hanno voglia. Ma poi passerei io dalla
parte della Cattiva. Non credo di meritarmelo. Non pensare
che io sia senza cuore ma semplicemente sono spesso stanca e
quindi irritabile e quindi di conseguenza odiosa. Odio il risveglio e lo odieresti anche tu se fossi al mio posto. Quindi nocomment.
La tua fantastica meravigliosa e super modestissima
Jennifer
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La lettera
di Francesca Maria Saletti
Caro amico, ti scrivo per salutarti e per raccontarti della mia
storia. Nel mio paese c’è la guerra e io so per certo che tra
poco morirò.
Qua da noi, uomini armati entrano di casa in casa e uccidono
tutta la gente, solo i bambini più piccoli si salvano nascondendosi nei posti più insoliti, ameno che non gli facciano saltare la
casa con bombe a mano lanciate dagli elicotteri; io però, come
ben sai, non sono di giovane età e neppure di piccola statura,
sono anzi un adolescente… non potrei mai pensare di riuscire a
nascondermi dentro qualche armadio.
Le uniche cose che ti chiedo sono di darmi una soluzione e soprattutto una spiegazione… perché questi uomini litigano così
tanto a tal punto da uccidersi e uccidere tanta gente innocente che vive nei Paesi nemici? Perché se la prendono con noi?
Perché non ci mettono in salvo e non litigano solo tra loro?
Perché c’è la guerra? A cosa serve la guerra?
Io prego, prego affinché Dio ci salvi dal fuoco delle bombe e
dal male dei cuori di queste persone; ma non capisco perché
non sta succedendo niente per fermare quei cuori anneriti
dall’odio!?
Ecco, sento già gli spari dei cannoni dalle montagne battersi
contro i Paesi vicini; questo rumore continua a perseguitarmi,
mi fa male e non mi fa dormire.
Ora, amico, ti auguro il meglio, ti auguro la pace nel cuore.
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Spero perciò, che questo inferno sparisca presto dal mio Paese o che almeno qualcuno mi porti via da questo luogo!
AIUTO!
Caro amico, ti chiedo di pregare per me e per quelli uomini che
assolti dal male ci uccidono.
AIUTO!
Grazie amico per il tempo che mi hai dedicato leggendo queste
tristi parole e scusa, perché mi sono sfogato troppo.
Ora ti lascio, perché sento che sta per arrivare la mia ora, o
meglio l’ora della mia nuova vita.
GRAZIE ANCORA PER L’ASCOLTO CARO AMICO! ADDIO!
“Pace per sempre”con questa frase finisco la mia conversazione.
Caro amico arrivederci!
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Omicidio al Colosseo
di Nicola Patanè
Tutta Roma è in subbuglio, si è sparsa la notizia che al
Colosseo e' stato trovato ucciso un ragazzo di appena 16 anni!
Sono Nik Patuzzi un investigatore della polizia e questo brutto
caso è spettato a me. Ho già in mente vari sospettati: la
fidanzata, Gina, il migliore amico Franco e il bullo della scuola,
Marius. Ognuno di loro ha un movente. Gina aveva scoperto
che Francesco, così si chiamava la vittima, metteva su
internet filmati di loro due insieme, Franco era geloso della
storia con Gina, da quando quei due stavano insieme Francesco
non aveva più tempo per lui; ma Marius ha il movente più grave
infatti solo due giorni prima aveva minacciato la vittima
perché gli doveva dei soldi, pare che Francesco gli avesse
chiesto di procurargli un cellulare che poi non aveva più
pagato.
Dopo aver esaminato indizi e testimonianze finalmente ho
capito. I colpevoli sono Gina e Franco. I due si erano
innamorati e hanno deciso di eliminare "l'ostacolo" al loro
amore durante la gita scolastica. Da cosa l'ho capito? Sul
corpo di Francesco sono stati trovati graffi di unghie
femminili con tracce di smalto color blu, quello che era solita
mettere Gina e l'arma usata per colpirlo, una scarpa da calcio
con tacchetti di ferro, è proprio quella che Franco usava nelle
partite con campo pesante e in quei giorni aveva piovuto molto!
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Robespierre
di Anna Girelli
Un uomo che un tempo era stato potente, quasi dominatore
della grande Francia veniva ora condotto al patibolo in vesti
umili rispetto alla posizione che era riuscito a guadagnarsi.
Mentre camminava accompagnato dal boia sembrava perso nei
sogni più remoti che un anima cosciente della sua vicina morte,
non avrebbe mai potuto fare.
Prima di salire sulle travi di legno scuro che portavano alla
ghigliottina, lanciò una breve occhiata ai suoi compagni, anche
loro legati per la pena, che si guardavano smarriti.
I suoi occhi luccicarono per un momento poi si trasformarono
in un ghigno soddisfatto che riaffermava ancora una volta la
amabile e astuta follia di quell’uomo.
In quel momento però non stava pensando a cose scialbe e
stupide, ma stava appunto pensando alla sorte che lo attendeva, era certo che nessuno sarebbe venuto a soccorrerlo, insomma un uomo malvagio che aveva fatto ghigliottinare i suoi
due migliori amici cosa poteva aspettare di ricevere! Una frase che gli diceva spesso suo padre quando era piccolo gli venne
in mente: “Chi semina vento raccoglie tempesta” . Non se la ricordava fino a quel momento ma riapparve, probabilmente era
stata rinchiusa in uno dei più remoti cassetti della sua mente.
In realtà il terrore gli stava comparendo negli occhi a poco a
poco, i ricordi riaffioravano come funghi e questo è ben noto: i
ricordi che pensavamo di aver perso ricompaiono solo quando
si è vicini alla morte.
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Infatti i pensieri d’ orgoglio svanirono come un fulmine susseguito da un tuono “Ma come ho fatto io, uno degli uomini più
popolari e potenti in Francia a finire in questo modo?Sono stato io stesso a emettere la mia condanna uccidendo Danton e
Desmoulins. Perché tanti mi considerano intelligente se non
sono altro che un pazzo? Un suicida? D’improvviso la mia furbizia è svanita? Perché, uomo di astuto ingegno, non mi sono
accorto della reazione che avrebbe potuto avere il popolo? Pure il Comitato della Salute Pubblica mi aveva scelto tra tutti,
ero così potente e ho mandato tutto a quel paese con questa
brillante idea di assassinare i miei amici!”
In quel preciso istante lo fecero accomodare sul rosso patibolo, dove lui aveva fatto sedere tanti condannandoli a morte .
La sua vita e tutti i suoi ricordi gli passarono davanti così velocemente che non riuscì quasi a riconoscergli: i suoi fratelli,
la Rivoluzione, l’ Assemblea Costituzionale, il Terrore, Danton,
corpi a cui aveva strappato la vita.
La vita gli si strappò dalle membra senza dolore, senza il tempo di ragionare e rendersi conto della propria impotenza.
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Caro amico ti scrivo…
di Elena Vittori
Caro amico ti scrivo per sapere se va tutto bene.
Ho sentito che nel tuo paese molte persone sono morte a
causa di una bomba lanciata nella piazza vicino a casa tua.
Mi dispiace tanto per quello che è successo e spero non
accada più.
Ultimamente qui in Italia c’è un gruppo di persone che uccide
molti uomini , donne, bambini e bambine. Sono molto
arrabbiata perché, anche se non conosco il loro scopo, sono
sicura che molte persone che hanno ucciso sono innocenti.
Per questo non pensare di essere l’unico a trovarsi in una
situazione difficile perché lo sono anch’io.
Non ci sono solo questi gruppi che uccidono ma anche, negli
ultimi periodi, persone che trattano male le altre.
Una cosa che mi sono dimenticata di dirti è che ieri hanno
lanciato una bomba sul Teatro Romano distruggendo tutto.
Sono aumentati anche i ladri ed a me e alla mia famiglia non è
andata per niente bene, infatti, ci hanno derubato e ora non
abbiamo più soldi.
Le uniche cose che ci sono rimaste le dobbiamo vendere per
avere qualcosa da mangiare.
Ultimamente il mio pranzo e la mia cena sono pane e acqua che
non mi sfamano affatto. Ora sono anche senza casa perché
non riuscivamo a pagare l’affitto e ci hanno sfrattati.
Non possiamo più riprenderla perché è già stata comperata da
un’altra famiglia.
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Dormiamo per strada ed i miei genitori stanno cercando lavoro
per riuscire ad avere un appartamento almeno dove poter
dormire.
Ciao ora ti devo lasciare, devo andare ad aiutare mia mamma.
Spero che tu stia bene.
Ciao.
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Il mio strano vicino di casa
di Giulio Mirandola
Il mio vicino di casa è un vecchietto sull’ottantina, piccoletto,
magro da far spavento, un po’ gobbo, con i capelli grigi tagliati
a spazzola, un’inquietante cicatrice sulla fronte e due occhi
azzurri sempre vispi.
Per la sua età, bisogna dire che è molto arzillo, forse anche
troppo. Infatti, di solito passa le sue giornate in giardino a
sparare a manichini con addosso divise naziste, colpendoli con
un fucile a canna lunga dopo averli maledetti e minacciati di
morte.
Tra i suoi manichini, l’intoccabile è il Generale Partigiano (come lo chiama lui), al quale si rivolge per ricevere gli ordini (che
lui stesso si impartisce).
Non appena si accorge che nel mio giardino, confinante con il
suo, sono in atto “movimenti del nemico”, ovvero quando io mi
avventuro a giocare nel prato, chiede al suo Generale il permesso di salire sulla torretta del cecchino per difendere il
territorio. Poi, armato immancabilmente di fucile, prende postazione sulla casa da lui costruita su un albero del suo giardino. Sprezzante del pericolo, come se si trovasse di fronte al
peggiore dei suoi nemici, aggiusta il tiro posizionando il cavalletto e regalandomi in questo modo quei cinque secondi che di
solito mi bastano per darmela a gambe levate e raggiungere la
salvezza. Ormai è quasi un rituale: conosco a memoria ogni sua
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mossa e so come difendermi da lui, ma temo che un giorno o
l’altro possa avere una reazione inaspettata che mi colga di
sorpresa.
Alcuni vicini mi hanno riferito che il vecchietto ha partecipato
alla seconda guerra mondiale come partigiano, ed ha riportato
quella ferita alla fronte che ancora lo sfregia (e secondo me lo
rende così pazzo), perciò è convinto che tutti quelli che entrano nella sua vita siano nazisti.
La cosa che più mi inquieta, ma nello stesso tempo mi diverte
di lui, è che, essendo riuscito a farsi montare una contraerea
in giardino, riesce a controllare ogni oggetto che voli sopra la
mia casa, compreso il mio drone; quando lo faccio volare per
aria, lui spara qualche colpo a salve e poi mi grida: “Piccolo
teppistello nazista! Vedrai come ti distruggerò appena mi saranno arrivati i proiettili di piombo!!”. Un altro penserebbe che
stia solo scherzando, ma io che lo conosco bene so che dice sul
serio!
Eppure, nonostante quell’uomo mi faccia paura, mi sono abituato alla sua presenza, anzi, a volte sto persino al suo gioco e mi
avvicinano alla linea di confine per osservare il nemico. Quando
poi, in estate, vengono degli amici a giocare a casa mia, gli
diamo modo di scendere in campo lanciando nel suo giardino
grossi gavettoni. Ogni volta lui va fuori di testa (come se già
non lo fosse…!), comincia a gridare che i nemici hanno ricevuto
rinforzi, spronando i suoi “soldati” a farsi coraggio e non cedere all’avanzata del nemico! Non appena ci accorgiamo che
sale sulla sua torretta, filiamo in casa e abbandoniamo il cam-
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po. Mentre corriamo la tratteniamo, ma appena siamo al sicuro, lasciamo andare una risata liberatoria e non riusciamo più a
fermarla.
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La lettera
di Giulia Fraccarollo
Caro amico voglio dirti che il mio paese è in guerra ed io vivo
malissimo in questi giorni, vorrei tanto che la guerra finisse
presto. Io vivo in un rifugio sotto casa mia per non morire, però i cibi sono scaduti e sto gelando dal freddo. Credo che sto
per ammalarmi e i miei genitori stanno morendo, forse morirò
anch’io. Ma spero almeno che il mio paese tornerà libero anche
se io non dovessi sopravvivere. Ti scrivo questa lettera per salutarti prima della triste fine che mi attende. Saluti da Giulia.
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Caro amico ti scrivo
di Matilde Renso
Caro amico ti scrivo perché è l’unico modo per sapere come
stai.
Qui senza di te è orribile, le giornate sono lunghe e silenziose
e di notte dormiamo in cantina per precauzione.
Il cibo sta iniziando a scarseggiare e noi, purtroppo, abbiamo
iniziato a vendere i nostri oggetti di valore al mercato nero.
Ho dovuto vendere anche la nostra collana, quella di cui io ho
un pezzo di puzzle e tu l’altro che lo completa.
Anche le medicine sono sempre di meno e per strada è pieno
di persone malate che chiedono cure che non possono avere.
La mia giornata è monotona:
la mattina mi alzo e vado a fare volontariato in ospedale. È
bruttissimo vedere tutte quelle persone che soffrono e che
aumentano senza sosta.
Sto lì tutto il giorno e poi vado a casa. Tutte le scuole ormai
sono chiuse da mesi.
A volte ripenso ai bei momenti che passavamo insieme: andavamo a fare lunghe passeggiate nel bosco, dove il silenzio era
interrotto solo dai suoni della natura, passavamo i nostri pomeriggi al cinema a vedere i miei film romantici (o “smelensi”
come li chiamavi tu) e i tuoi film d’azione.
Le sere d’agosto ci sdraiavamo sulla collina più alta della città
ad osservare le costellazioni o a inseguire le lucciole nel cielo.
Al solo pensiero mi prende la nostalgia di quei bei momenti felici che credevamo non potessero finire mai. E invece, eccoci
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qui, tu a combattere per la nostra patria e a difenderci ed io a
cercare di non farmi uccidere dalle bombe, a pregare per te e
per tutti i tuoi compagni, a sperare che un giorno ci rivedremo, quando la guerra sarà finita. Come diceva il nostro insegnante: “Il sorriso è la vostra arma più forte” , peccato che in
questo periodo è dura vedere qualcuno sorridere.
I tuoi genitori stanno bene, per quanto si possa stare, e anche
a loro manchi tanto. Aspettiamo tutti con ansia il tuo ritorno a
casa.
E tu come stai? Com’è la vita al fronte? Hai perso molte persone a te care?
Sta suonando l’allarme anti-bombardamento ed è meglio che
mi metta al riparo.
Spero che tu possa ricevere la mia lettera.
Con affetto,
Matilde
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Kàbìtòzer a Verona
di Sofia Alberi
Pochi giorni fa venni a sapere che era morto il mio vicino di
casa, era ungherese. Abitava in un condominio; era un tipo
dall'aspetto distinto: alto, magro sempre ben vestito. I suoi
occhi guardinghi sembravano sempre scrutare il mondo. Non
dava confidenza a nessuno. Il proprietario, che viveva al piano
superiore, mi raccontò che aveva sentito prima urlare e poi
parlare ad alta voce in una lingua sconosciuta. Mi incuriosii,
così chiesi aiuto a mio fratello Fabio, lui di professione fa il
detective privato.
Proposi a Fabio di collaborare, visto che io ne sapevo un po' di
più sul morto, senza far intervenire la polizia.
Quando andammo a perquisire l'appartamento e ad interrogare il proprietario, notai che in salotto c'erano molti quadri di
un pittore non italiano, il padrone non ci seppe dire molto, visto che il morto era un tipo strano e solitario.
Quella stessa sera andai in internet per cercare l'artista di
quelle opere d'arte, lo trovai e vidi che era di origine ungherese, ma che ora abitava qui a Verona.
Decisi di fargli una visitina, Fabio disse che sarebbe venuto
anche lui, per sicurezza. Quando entrammo nell'appartamento
trovammo morto anche lui! Ora non sapevamo più cosa fare, in
città c'era un assassino che uccideva ungheresi, ma non riuscivamo a capirne il motivo.
Brancolavamo nel buio, dopo averci pensato a lungo capimmo
che l'elemento comune ai due omicidi erano i quadri, perciò
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decidemmo di analizzarli per bene. Dietro trovammo una scritta in ungherese: "Kàbìtòzer", andai a cercare in internet il significato: "Droga" ne rimasi sorpresa, così portai i quadri a
mio fratello che, dopo averli tolti dalla cornice trovò incastrate delle bustine di droga. Così scoprimmo che dietro quei due
morti c'era un traffico di stupefacenti.
Ci recammo quindi al laboratorio del pittore, dove trovammo il
suo cellulare, nel registro delle chiamate notammo che in
quell'ultimo periodo ne aveva ricevute molte da un certo Nicolai.
Decidemmo allora di contattarlo, finalmente dopo decine di
chiamate ci rispose, con un po’ di fatica riuscimmo a convincerlo a venire qui a Verona, era nostra intenzione interrogarlo
riguardo al traffico di droga. Prima che lui arrivasse, andammo
a cercare un interprete.
Quando ci raggiunse, gli chiedemmo come faceva a conoscere
il pittore, ma lui per alcune ore non volle parlare. Noi gli facemmo credere che eravamo al corrente di tutto e che se avesse confessato lo avremmo lasciato andare senza chiamare
la polizia.
Lui si convinse e ci rivelò che era lui che procurava la droga,
mentre il pittore la nascondeva e poi la vendeva.
Per un po’ tutto era filato liscio, poi però era venuto a sapere
che erano stati scoperti da una persona che aveva acquistato
uno dei quadri. Allora era venuto in Italia e l’aveva uccisa.
Poi però aveva capito che l’artista non ce la faceva più a sostenere questo traffico illegale e scrivendo dietro i quadri :
“Droga” aveva trovato un modo per farsi scoprire.
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Per questo temendo che prima o poi avrebbe confessato tutto
alla polizia, aveva ucciso anche lui.
Appena Nicolai ebbe terminata la sua lunga confessione, Fabio
lo ammanettò e lo condusse dalla polizia.
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La Scatola
di Maxim Braniste
Questa che stai per leggere è la mia autobiografia penso che
quando la leggerai sarò già un mucchio di ossa marce in un limbo di dolore e odio irrequieto.
Era un bellissimo giorno di febbraio quando tutto iniziò; uscii
per andare a fare una passeggiata e per strada incontrai un
venditore ambulante, vendeva molti oggetti tra cui cianfrusaglie ,bambole ,vasi, lanterne ma solo una cosa mi incuriosì a tal
punto da fermarmi per osservarla meglio: una scatola con una
meravigliosa incisione di un capriolo e con una serratura in legno di quercia.
A quel punto chiesi al venditore : ”Scusi, potrebbe dirmi quanto costa questa scatola?” il venditore si girò di scatto e disse : ”Questa maledetta scatola non è in vendita !”. Così iniziai
a fare offerte su offerte fino a quando mi raccontò la storia
della scatola e le sue origini. Quella storia mi incuriosì ancor
di più, decisi di raccogliere maggior informazioni per capire se
l’ambulante aveva detto la verità.
Il giorno seguente rubai la scatola poiché non me le voleva
vendere, così indossai un impermeabile nero, una sciarpa, un
berretto e un paio di occhiali.
Nel momento della fuga il venditore mi urlò dietro: ”Non aprire mai e poi mai quella scatola è per il tuo bene che te lo di-
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co!“. Quelle parole mi rendevano sempre più curioso, volevo
scoprire dell’altro.
Le uniche informazioni che avevo trovato erano che la scatola
apparteneva ad una famiglia di nobili amici dello Zar Nicolai
II, il quale donò questa scatola alla figlia dei nobili, ma una
tragedia si abbatté su di essi: il giorno dopo
scomparvero
senza lasciar traccia, gli unici indizi erano la scatola
e
un’enorme macchia di sangue.
Quella sera iniziò tutto. Erano le otto passate, quando sentii
un gran trambusto; a quel punto mi alzai di scatto, mi girai e
vidi una figura bianca senza occhi, sembrava un’anima assetata
di vendetta nei confronti di qualcuno e cominciò a dirmi: ”Sai
in questa scatola sono racchiuse milioni di anime irrequiete
che cercano la via d’uscita da questo labirinto e per questo ti
consiglio di non aprirla”.
Anche se quell’anima mi avvertì. io la aprii lo stesso: all’inizio
una luce abbagliante mi stordii accecandomi e, quando ripresi
i sensi, mi trovai in una stanza con una porta. Mi sentivo osservato da qualcosa ma decisi di proseguire, la porta si aprì e
c’era ancora quell’anima morta la quale fece un ghigno e scomparve. Ogni stanza sembrava uguale tranne una, nella quale erano incisi con il sangue il nome delle famiglia e di ogni membro di essa. I primi giorni nel labirinto furono i più difficili,
l’unico cibo che avevo erano topi e scarafaggi e l’unica fonte
d’acqua erano piccoli fori nei muri da cui sgorgavano gocce
d’acqua; alla vista sembrava una fogna in cui ogni tanto si in-
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contravano mucchi di ossa con incisioni probabilmente dei loro
nomi da vivi.
In questo momento sono ancora vivo e sto vagando in questo
labirinto senza via d’uscita non so più chi sono, dove abito ,qual
è il mio nome , da quanto tempo sono qui, quanti anni ho ma so
che sto diventando pazzo.
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Una misteriosa scatola
di Elisa Pietroforte
Eravamo lì sedute una affianco all’altra, sopra il morbido tappeto nero della mia camera ad osservare quella misteriosa
scatola marrone tutta sporca di sabbia.
Io ed Allyson l’avevamo trovata prima in spiaggia mentre stavamo scavando una grande buca per fare uno scherzo al fratello maggiore di Allyson. Alla fine dell’opera l’avremmo coperta con il telo del fratello e l’avremmo convinto a sdraiarcisi
sopra per prendere il sole così sarebbe caduto nella grande
buca.
Ma qualcosa andò storto.
Mentre scavavamo trovammo, a un certo punto, una strana
scatola in legno intagliata. Non sapevamo cosa contenesse e
avevamo molta paura ad aprirla. Io volevo che l’aprisse Allyson
e lei voleva che l’aprissi io; trovammo un compromesso:
l’avremmo aperta insieme al mio tre.
Uno…
Due…
Tre…
La scatola ora era aperta e al suo interno c’era un libro dalla
copertina tutta impolverata. Lo spolverammo e potemmo così
leggere bene il titolo:
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“ENCHANTED SPELLS”
Ci scambiammo un’occhiata e aprimmo il libro. Avevamo trovato un libro di incantesimi fatati. Sfogliammo alcune pagine e ci
fermammo ad una in particolare, il cui titolo ci aveva colpito
molto:
“Enchanted to resuscitate the flowers”
Forte, un incantesimo per far rinascere i fiori morti. Proposi
ad Allyson di andare subito a provarlo, e lei annuì anche se un
po’ impaurita dalla cosa. Mia mamma in giardino si ostinava
sempre a piantare dei fiori, ma poi si dimenticava di dargli da
bere ed essi morivano puntualmente. Volevo farle un regalo
facendoi resuscitare.
Ci posizionammo davanti ai fiori morti e leggemmo la formula
magica :
“Shining sun light your petals
with your rays”
Sole splendete illumina i loro petali con i tuoi raggi.
“Dark demons take away the pain
to your seeds”
Demoni oscuri portate via il dolore dai loro semi.
“Winged unicorn give your magic dust”
Unicorni alati cedete la vostra polvere magica.
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“Revive, revive, revive”
Rinasci, rinasci, rinasci.
“To death wake”
Dalla morte risvegliati”
Si levò in aria un leggero venticello che ci scompigliò i capelli e
ci stropicciò i vestiti, il cielo si scurì come se stesse avvenendo un eclissi solare e la terra cominciò ad alzarsi da sotto i
nostri piedi per avvolgersi poi attorno ai fiori. Un attimo dopo
tutto tornò come prima ad eccezione dei fiori.
Ora erano vivi.
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Una scatola speciale…
di Alessandra De Biase
Era fermo, non si muoveva.
Era adagiato sul mio letto, mentre io mi interrogavo se era
meglio aprilo o meno.
Ma partiamo dall’inizio…
Stavo osservando le nuvole, sdraiata sull’erba per godermi gli
ultimi raggi d’Agosto.
Ad un tratto, grosse nuvole nere, coprirono il cielo e minacciavano una violenta tempesta che, infatti, non tardò ad arrivare.
Una fitta nebbia avvolgeva il paesaggio circostante, mentre
un’incessante pioggia mi bagnava sempre di più.
Fui costretta a ripararmi sotto un albero, almeno fino a quando non avrebbe smesso di piovere.
Non mi accorsi per quanto tempo rimasi lì, seduta, dal momento che solo dopo pochi minuti, Morfeo mi stava già cullando
fra le sue braccia.
Aprii gli occhi lentamente e mi guardai intorno spaesata.
Mi alzai cautamente, rammendando ciò che era avvenuto il
giorno prima.
All’improvviso un bagliore mi costrinse a chiudere gli occhi.
Li riaprii con lentezza, ma lo stesso bagliore li colpì nuovamente.
Cercai di trovare la fonte di questo bagliore, quando vidi un
piccolo oggetto spuntare fuori dal terreno.
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Mi avvicinai e provai ad estrarlo, ma non ci riuscii… era come
incastrato. Allora presi un bastone e iniziai a scavare.
Scavai circa 30 minuti e poi riuscii ad estrarre quella che
sembrava essere una scatola, o meglio, uno scrigno.
Sul coperchio vie era una piccola coroncina tridimensionale in
vetro.
La osservai attentamente, per poi scorgere un’incisione sul retro dello scrigno: “ ALLA MIA ADORATA BAMBINA…”
Lo scrigno era stato costruito con legno d’ebano scuro e arricchiti di graziosi dettagli in oro, la scritta era stata incisa con
una grafia assai elegante.
Lo presi e lo portai a casa.
Lo avevo adagiato sul letto e lì vi era rimasto nelle successive
due ore, in quanto non ero capace di decidere sul da farsi.
Dopo altri venti minuti a pensare ai pro e ai contro che avrebbero potuto esserci, decisi di aprirla.
Con estrema lentezza, quasi potesse rompersi per un movimento troppo brusco, la aprii.
Al suo interno vi era una busta ingiallita ed una stupenda collana.
Non era molto elaborata, ma nella sua semplicità era bellissima.
Era composta da una catenella d’oro bianco con al centro un
bellissimo zaffiro.
Come toccai la piccola pietra, un flashback comparve nella mia
mente: vi ero io, piccola , avrò avuto al massimo sei mesi e giocavo con questa catenella.
Rimasi un po’ sconcertata, ma poi iniziai a leggere la lettera:
“16 novembre 2002
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Figlia mia, quando leggerai questa lettera, il mio spirito finalmente avrà trovato pace. Loro stanno arrivando, riesco
a sentire le loro urla e i cani che abbaiano.
Non so quanto tempo ancora mi resta.
Scusami bambina mia, non avrei mai voluto lasciarti sola,
ma ti prego non dimenticarti mai di me.
Ti regalo la mia piccola collana, cosi saprai che quando avrai bisogno di sostegno, io ci sarò.
Ho trovato la famiglia perfetta che mi ha promesso di curarti come fossi figlia loro. Amali sempre e incondizionatamente, come loro faranno con te. Ora devo andare, sono
qui, sento i rumori degli spari farsi sempre più vicini.
Sento il freddo gelarmi le vene, sento la pelle accapponarsi ogni volta che lo sparo diventa più forte e più vicino.
Ti voglio bene figlia mia.
Addio Alessandra…
saro’ sempre con t…”.
Una macchia di sangue. Alla fine della lettera vi era una macchia di sangue. Ma la cosa più sconcertante era che la bambina
nominata nella lettere si chiamava come me, ed era nata il mio
stesso giorno. Era impossibile si trattasse di una coincidenza.
Presa da un impeto di rabbia, presi la lettera e scesi in salotto
dove i miei genitori stavano leggendo.
Lanciai la lettera sul tavolino di fronte a loro e chiesi:
“AVETE QUALCOSA DA DIRMI?”
Chiesi rivolta alle due persone davanti a me che fino a qualche
minuto fa consideravo miei genitori.
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Loro sgranarono gli occhi per poi annuire debolmente.
Iniziarono a raccontarmi tutta la verità, quando un dolore lancinante al petto, mi fece svenire.
Non ricordo molto; solo una donna con lunghi capelli ricci e veste bianca che tendeva la sua mano verso di me e che io afferrai inconscia di chi potesse essere.
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La mia vicina di casa
di Samuele Bazzani
La signora Caufield, mia vicina di dimora, da un po’ di tempo si
sta comportando in maniera stramba. Per esempio: le sue finestre sono sempre chiuse e gli scuri insieme a loro, raramente
esce di casa e se lo fa cerca di essere il più invisibile possibile.
Tempo fa un corriere suonò il suo campanello e io, fatalità,
stavo uscendo con la macchina per fare la spesa e vidi che su
un lato del pacco c’era scritto: “Estremamente pericoloso e
radioattivo”. Mi inquietai un pochettino, perché non penso che
una sessantacinquenne pensionata possa avere qualche arma
nucleare in casa . Ma il sospetto si fece sempre più penetrante quando un dì dalla sua finestra, che inspiegabilmente quel
giorno era socchiusa, vidi che aveva in mano un contenitore di
plastica nel quale si intravvedeva un liquido verdognolo ondeggiare. Allora mi chiesi “o era una lozione contro la calvizie oppure un liquido altamente tossico”. Circa ogni due-tre settimane la signora riceveva pacchi misteriosi che mi inquietavano. Il
giorno del suo compleanno, con curiosità e tremore, decisi di
farle visita portandole una torta . Dovetti suonare a lungo
prima che mi aprisse la porta e, quando lo fece, mi accolse con
un sorriso chiedendomi: “Oh salvi signor Bazzani, qual buon
vento?” ed io da bravo vicino risposi: “Mi sono ricordato che
oggi è il suo compleanno, così pensavo di farle gli auguri “. La
signora mi fece entrare, mi mise a sedere, tagliò la torta, me
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ne diede una fetta e ne prese un’altra per lei. “Sa il suo è stato davvero un bel gesto signor Bazzani” mi disse la signora
Caufield “Non c’è di che, sono circa sei anni che viviamo nello
stesso quartiere”. Così lei mi chiese “Allora giovanotto, come
va il lavoro ?” “Molto bene, mi diverto e porto a casa un buon
salario, e lei invece? Come si sta da pensionati? “ le dissi: “Non
si ha niente da fare, a parte curare il giardino e guardare
qualche film in tv”. Andammo avanti a parlare per un altro
quarto d’ora, fino a quando le chiesi di poter andare in bagno
per poi ispezionare la casa. Mi rispose: “In fondo a quel corridoio a destra dopo lo sgabuzzino “. Appena entrato, vidi appesa un’enorme tuta di plastica intera con tanto di scafandro e
affianco la famosa scatola del corriere. Uscii di corsa dallo
sgabuzzino ma la signora mi si parò dinanzi dicendomi “Giovanotto, potresti aiutarmi a diserbare le mie rose? Sai l’altro
giorno un corriere mi ha portato il diserbante e non riesco a
capire le istruzioni d’uso. Io sono una grande fan del giardinaggio, tanto da essermi comprata anche una tuta di plastica
intera con il copricapo protettivo!”. "Sei libero domani per
darmi una mano ?” io risposi: “C-certo signora!” “Bene, ti aspetterò domani alle 9.30 nel mio giardino dietro casa “. Lì mi
dissi: “Che cretino! Non la vedevo mai perché andava nel giardino dietro casa!E le finestre erano sempre chiuse per non far
entrare il veleno dentro!”. Che fortuna, anzi, mica tanto, domani le piante le devo diserbare io!
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Descrizione del mio compagno di banco
Di Mattia Renso
S. è un ragazzo molto simpatico con un carattere un po’ particolare. Ha gli occhi verdi, un naso normale e una bocca media.
Ha i capelli corti con un ciuffo un po più lungo da alzare con il
gel, non è molto alto ma ha una corporatura abbastanza robusta (che sfrutta molto per gli sport), è rapido e agile.
Ha un carattere che alterna lati positivi e lati negativi.
I lati positivi sono che è capace di resistere a stimoli anche
esagerati, i lati negativi sono che, essendo molto competitivo a
calcio, qualche volta perde il controllo.
IL suo sport preferito infatti è il calcio nel quale è molto bravo e mette molto impegno.
Da quello che mi racconta va molto bene a scuola ed ha una
media alta.
Comunque anche se non fosse bravo a calcio e non fosse bravo
a scuola, non mi importerebbe perché mi fa ridere e non voglio
che cambi mai.
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Il mio vicino di casa è…
di Matteo Vaona
Il mio vicino di casa è uno strano tipo. E’ da poco che abita nel
mio quartiere, vive da solo e a quanto pare è un tipo taciturno,
fuma il sigaro, direi un sigaro puzzolente e quando passa lascia
una scia tremenda. A giorni sembra giovane, mentre altri giorni lo vedo vecchio. Mi sorge il sospetto che indossi una maschera sul viso ogni tanto.
Questa cosa mi mette molta curiosità e così la sera quando va
a camminare io lo seguo.
Lo vedo spesso andare sempre nello stesso posto, un edificio
di mattoni rossi dove fuori sono parcheggiare le automobili
della polizia. Aspetto, aspetto, ma alla fine mi stanco e me ne
torno a casa senza sapere a che ora esce da questo posto; ultimamente lo seguo e invece di andare in questo palazzone, lo
vedo andare prima a casa di un signore che si chiama Simone.
Lo conosco di nome perché è un poco di buono e nel mio paese
tutti ne parlano male, poi da un altro che si chiama Luca ed infine da il signor Giorgio, il pettegolo del paese.
Tutto questo mi porta a pensare che c’è uno strano caso da risolvere per il detective Matteo.
Decido di andare in soffitta e tra gli scatoloni impolverati
trovo finalmente il mio kit da investigatore: un cappellino ed
una gigantesca lente d’ingrandimento. Cappello in testa e lente
in mano, inizio la ricerca degli indizi.
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L’altro ieri l’ho beccato che usciva da casa sua con un cappello
tipo cowboy e un lungo impermeabile, con in bocca il suo sigaro. L’ho inseguito e alla fine ho scoperto che è …..
Mi dispiace non posso svelarlo, prova tu ad indovinarlo!
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La lettera da Sarajevo
di Anna Sartori
Cara amica mia, ti scrivo per dirti che la tua scelta di trasferirti a Monaco per lavoro è stata molto più che azzeccata, visto che qui c'è la guerra.
Ti ricordi quelle volte che pensavi male di qualunque cosa non
ti andasse esattamente bene, mentre io ti rassicuravo sempre? Beh, adesso penso il contrario, credo che tutto possa cadere da un momento all'altro, ma penso che cadrà solo e soltanto su di me perché ero l'unica che pensava che tutto questo non sarebbe mai successo. Insomma, avevo sentito di
guerre e del male nel mondo, ma non pensavo che le persone
fossero così irragionevoli.
Qui è cambiato tutto e sono sicura che anche se ti impegnassi
a fondo non riusciresti a vedere più la città di una volta: non ci
sono più persone che girano per le strade o luci che illuminano
la notte; no, ora ci sono alberi secchi in qualsiasi stagione che
sembrano degli spettri in agguato con l’intento venire a prendere le poche persone rimaste in città. Potrei continuare per
ore, credimi.
Ti ricordi la città che hai lasciato egli abitanti che sia tu che
io conoscevamo da sempre? Adesso tutto questo non c'è più.
La città è stata distrutta e solo le campagne sono ancora sicure e vi abitano solo donne, bambine e bambini, quelli non andati
in battaglia.
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Ma ora basta parlare di me e delle sventure che mi affliggono:
parliamo di te. Come stai a Monaco? Scommetto che è bellissima. Io me la immagino con un cielo azzurro intenso interrotto soltanto da candide nuvole bianche e spumeggianti. Appena
entrerai vedrai alberi verdi imponenti adornare le strade, che
saranno belle almeno quanto un albero di Natale tutto addobbato. Le case saranno molto più futuristiche di quelle che ci
sono qui, o meglio che c'erano. Gente felice che gira sui marciapiedi e sulle piste ciclabili, magari con tutta la famiglia...
Scrivimi presto, spero di rivederti. Il mio sogno, ora,sarebbe
venire da te, ma non posso lasciare tutti qui, voglio restare
con loro finché la guerra non sarà finita
Se ti va ritorna tu qui, a Sarajevo.
Anna
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La Scatola Misteriosa
di Viola Bocchi
Era una scatola normale, tranne un piccolo particolare: non era
sporca, non aveva nemmeno una piccola ammaccatura. Era così
bianca che non si riusciva neanche a distinguere davanti ad
una parete bianca. Provai allora ad aprirla con forza, ma niente, provai una seconda ma la cosa peggiorava. Continuai fino a
che mi stufai e presi un piede di porco, feci leva sulla scatola,
infine allo stremo delle forze mi rassegnai e cercai per
l’ultima volta di alzare il coperchio: ma stavolta piano. Ci riuscii… l’unico problema era che non conteneva niente!
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Magic Box
di Alessandro Perina
C’era una volta un bambino di nome Alessandro che era molto
vivace e non ascoltava mai nessuno. Amava molto uscire ed allontanarsi da casa per recarsi nel bosco di “magic box”, anche
se i genitori glielo avevano vietato perché non era un luogo sicuro ed era troppo lontano da casa: se fosse successo qualcosa mentre si trovava lì, nessuno avrebbe potuto aiutarlo.Un
bel giorno Alessandro decise di recarvisi e si preparò con uno
zaino contenente viveri e un fucile, sottratto ai genitori; si
vestì da esploratore ed andò nel bosco.
Alessandro aveva molta paura, nonostante non fosse la prima
volta che si avventurava da quelle parti. In questa occasione,
però, decise di andare oltre i limiti ed esplorare tutta la foresta.
Continuò a camminare nel bosco con molta calma, ma tremava
perché ogni tanto si sentivano dei rumori qua e là. Ad un certo
punto vide qualcuno o qualcosa e disse: “Chicchessia, venga
fuori: gli farò assaggiare il mio fucile!”. Alessandro si avvicinò
e vide che era solo uno spaventapasseri: “Che cosa ci faceva lì
uno spaventapasseri? Perché sul cartello affisso sopra c’è
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scritto di non andare oltre?”, si chiese il ragazzo. C’era solo un
modo per saperlo: sorpassare il confine!
Così fece e, appena fu oltre, vide una caverna che era molto
buia. Alessandro aveva molta paura, ma era la curiosità a portarlo avanti: appena entrato, vide una fiaccola spenta, la accese con l’accendino che aveva portato da casa e si fece strada
con essa. Al centro della caverna trovò una scatola e, dai disegni che c’erano sopra, capì che era molto antica. Il ragazzo la
prese e la aprì con la forza: dentro non c’era niente. Guardando il vuoto, però, notò un particolare: era come se dentro vi si
trovasse qualcuno, così rimase a fissarla per ore e ore.
Dopo quattro giorni, Alessandro sentì una voce provenire
dall’interno della scatola e, ascoltando attentamente, udì queste parole: “Vieni da me!”. A quel punto, spostò in avanti la testa e la scatola lo risucchiò. Se lo prese come gli altri che vi
erano caduti dentro.
Alessandro perì nel nulla, senza fare più ritorno a casa.
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Sommario
Introduzione ........................................................................................... 1
Descrizione e immaginazione di una scena ............................................ 2
Il mio vicino di casa… .............................................................................. 5
Il risveglio: diario di una nevrotica ......................................................... 6
La lettera................................................................................................. 9
Omicidio al Colosseo ............................................................................ 11
Robespierre .......................................................................................... 12
Caro amico ti scrivo…............................................................................ 14
Il mio strano vicino di casa ................................................................... 16
La lettera............................................................................................... 19
Caro amico ti scrivo .............................................................................. 20
Kàbìtòzer a Verona ............................................................................... 22
La Scatola .............................................................................................. 25
Una misteriosa scatola ......................................................................... 28
Una scatola speciale… .......................................................................... 31
La mia vicina di casa ............................................................................. 35
Descrizione del mio compagno di banco .............................................. 37
Il mio vicino di casa è… ......................................................................... 38
La lettera da Sarajevo ........................................................................... 40
La Scatola Misteriosa ............................................................................ 42
Magic Box ............................................................................................. 43
Sommario ............................................................................................. 45
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