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nextfuture
L’ O S S E R V A T O R I O I N T E R N A Z I O N A L E S U L L E T E N D E N Z E D E L R E T A I L E D E I C O N S U M I
a cura di Thomas Bialas
numero_sei
Forecasting
Scenari a confronto
4
Fast economy
Tirare le somme
6
China connection
Provate a (L)imitarci
8
Survival kit 1
Cavalcare la Tigre
10
Survival kit 2
Lezioni di cinese
12
Miao Mao
Comunisti per caso
consumisti per forza
14
Progetto grafico Walter Tinelli
2
Via Brescia 53/65 Cernusco s/Naviglio
Dragon앲Mart
La (di)sacra alleanza
Stampa Rotolito Lombarda
Direttore Responsabile Luigi Rubinelli
I CONTENUTI
scenari contaminati
2 nextfuture
china
update
Dragon앲Mart
La (di)sacra alleanza
Dragon Mart, inaugurata lo scorso 7
dicembre nella disneyiana Dubai, non è solo
una gigantesca piattaforma commerciale
B2B lunga 1,2 chilometri e a forma di drago
minaccioso, ma anche, o soprattutto, un
simbolo e monito allusivo: chi di walmartizzazione ferisce di wal-martizzazione
perisce. Cheap economy. Cheap
competition. Cheap shopping. Cheap
jobbing. L’era del costa meno è l’era
dell’impero del drago, che in futuro detterà le
regole del commercio, anche se solo
indirettamente per osmosi e contaminazione.
Un filo sottile lega discountizzazione,
polarizzazione, wal-martizzazione e
smartizzazione, con la globalizzazione made
in Cina. Ovviamente, la cheap mania si paga
a caro prezzo, poiché, come facilmente
intuibile, i prezzi sempre più bassi sono
semplicemente la risposta ai redditi sempre
più bassi e viceversa. Ma anche per i cinesi
il gioco delle reciproche contaminazioni è
assai pericoloso. Sintomatico, in Cina WalMart incarna il paradosso della crescita
economica: chi lavora nelle fabbriche dei
suoi fornitori non guadagna abbastanza per
comprare la merce nei suoi negozi. Aumenta
il benessere, ma anche il gap, in perfetto
stile americano, fra ricchi e poveri. Un gatto,
o meglio un drago che si morde la coda.
nextfuture 3
Da impero celeste a impero del kitsch. La Cina è come un’immensa Las Vegas? I segnali non
mancano. La prima generazione di super-ricchi cinesi fa il verso ai tycoon Usa anni Venti, fra
cavalcate nei ranch, macchinone e falsi castelli stile Versailles o Neuschwanstein, ma c’è anche lo
stile da vero impero capitalista: veni, vidi e Visa. I cinesi fanno shopping di imprese e marchi. Il
computer Ibm, icona delle tecnologia Usa nel mondo è passato alla Cina (Lenovo, ora la terza
azienda di Pc nel mondo). La MgRover sta per fallire e finire nelle mani della Shanghai Automotive.
In Italia la Meneghetti ha ceduto il ramo che produce frigoriferi al colosso cinese Haier. Parte anche
la sfida a Bill Gates e Windows con Asianux. Ormai è scritto: la Cina ruberà il primato all’Occidente
in moltissimi e impensabili settori: dalle automobili, all’alta moda (come Shanghai Tang, un
marchio con negozi di fascia alta già presenti in Europa), al Web (alibaba.com fa già tremare Ebay
e Amazon e presto sarà leader nel mondo) fino alle sofisticate nano e biotecnologie. Poi c’è
l’impero dei falsi (+1.700% dal 1993 ad oggi): dalle borse ai medicinali fino ai ricambi per auto,
praticamente tutto e, ironia della sorte, sono proprio i delocalizzatori occidentali ad avere fornito le
macchine che poi i terzisti sfruttano per i side business. Infine, c’è l’impero decadente, già
contaminato dalle cattive abitudini, dunque oscurato da scandali stile Enron. Casi come China
Aviation Oil o China Construction Bank travolti da furti dei dirigenti e buchi da centinaia di milioni di
dollari sanno già di capitolazione per un paese che in passato metteva “maoisticamente” all’indice
i ricchi sfruttatori. Non solo. La Cina riesce anche ad avere contemporaneamente l’economia più
dinamica e la Borsa più depressa del mondo (Shanghai è in perdita da quattro anni).
Gli americani presidiano il territorio cinese con 40 superstore Wal-Mart e con un altro centinaio
previsto nei prossimi 5 anni. I cinesi presidiano, secondo un dossier di Repubblica, i pdv WalMart con circa l’80% dei prodotti Gli americani sommergono i cinesi con abitudini ad alto rischio:
i McDonlad’s in Cina sono già 600 e prima delle olimpiadi del 2008 ne verranno aperti altri 400, i
supermercati abbondano di invitante cibo spazzatura. Risultato? I magrolini cinesi subiscono le
prime mutazioni: ci sono già 200 milioni in sovrappeso, 20 milioni di diabetici e 160 milioni che
soffrono di ipertensione. I cinesi sommergono gli americani con prodotti a basso prezzo e con
una crescita del Pil e dell’esportazione paurosa (+ 40% nel 2004). Negli ultimi quattro anni il
made in Cina ha distrutto 1,5 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti (principale importatore di
prodotti cinesi nel mondo). La strategia degli americani è nota e collaudata: contaminare con
l’irresistibile american way of life, attuando dirompenti operazioni di marketing. Più sottile
l’approccio cinese: attirare il nemico sul tetto e poi togliere la scala. Detto altrimenti: usa (il know
how Usa) e getta. Gli americani puntano sul “WTORDINE”: imbrigliare il nemico nella ragnatela
delle asfissianti regole del commercio mondiale. I cinesi più che ai ragni si ispirano alla polarità
della tigre e del drago e al logoramento tattico: nel gioco delle ombre cinesi nulla è come appare.
Gli americani abituati a mostrare i muscoli accusano i cinesi di ogni nefandezza nel rapporto
annuale del Dipartimento di Stato Usa sui diritti umani. I cinesi rispondono per le rime con un
durissimo e documentatissimo rapporto intitolato Human Rights Record of the United States dove
dimostrano, dati alla mano, che l’America è violenta, corrotta e razzista. Gli americani sono sicuri
di vincere la partita. I cinesi pure. Ma a dar retta al profetico capolavoro Blade Runner, la
sceneggiatura del futuro è già stata scritta. Contaminazione e confusione.
Stile impero
01
Ping Pong
02
4 nextfuture
china
update
Forecasting
Scenari a confronto
Scenario segreto
La Cia nel suo recente scenario “Mapping the future” mette in guardia
gli Stati Uniti dal pericolo giallo. La globalizzazione cambia volto: meno americana e sempre più asiatica. Cina, Giappone, India, Corea del
Sud, Taiwan. Nel 2020 la Cina farà il grande sorpasso sulle vecchie potenze industriali, diventando la seconda del globo. Gli Usa rischiano di
perdere la loro leadership tecnologica, scientifica e in campo finanziario. Anche il dollaro potrebbe perdere il suo primato per gli scambi.
Scenario virulento
Polli al virus mutante che contagiano e uccidono l’uomo, virus
vivo dell’asiatica spedito per errore in 3.700 laboratori sparsi in
18 paesi. L’ossessione per un’era virus free resta un miraggio
(vedi computer), mentre all’orizzonte si materializza lo spettro
di una tragica epidemia mondiale preannunciata dalla Sars nel
2003 e che la Cia considera inevitabile, tant’è che anche l’OMS
prevede una ondata di influenze letali, globalmente distribuite.
Scenario italiano
Secondo l’Ice di Pechino, il Pil della Cina raggiungerà nel 2010 i
2.151 miliardi di dollari, posizionandosi davanti a Italia, Francia e
Gran Bretagna, ma ancora dietro a Giappone, Germania e Usa,
mentre i consumi cresceranno a ritmi annui del 10%.
Scenario ridotto
Le riviste specializzate sono piene zeppe di “dritte enfatiche” per
conquistare il nuovo Far East dalle mille opportunità. Invece, come
fa notare il rapporto Global scenario Shell 2020, per i grandi gruppi
internazionali si aprono grandi spazi per nuovi affari, ma per quelli
con le spalle meno forti e i piccoli partecipare al gioco diventa sempre più difficile e il rischio di illudersi o di fare viaggi a vuoto è molto elevato.
Scenario cheap
L’Europa vola basso. Euro uguale a zeuro. Decadente e latente non
manifesta propositi di rinascita. Fra i vari scenari, il Zukunftsinstitut
tedesco ne vede uno all’orizzonte estremamente cheap: discountizzazione coatta dell’esistenza dei cittadini europei, vita e lavoro precari. Molto crepuscolare. In quest’ottica va anche vista l’elezione di
Ratzinger a Papa, ma basterà il pensiero discutibile ma forte dell’intellettuale di ferro per strappare il vecchio continente dall’oblio?
Scenario appaltato
L’era dell’impero del drago è l’era dell’outsourcing estremo. Delocalizzare per restare a galla. Per molti imprenditori è una cosiddetta
scelta obbligata (alla competitività non si comanda), per il sistema
economico italiano nel suo complesso è una funesta dieta dimagrante ,che ora mette a regime anche i servizi e i colletti bianchi. Dopo l’autsourcing produttivo arriva l’offshoring, ovvero la delocalizzazione dei servizi anche qualificati (informatica, servizi finanziari e
addirittura medici). Basti pensare che le scuole inglesi iniziano, per
risparmiare, a far correggere i compiti via e-mail da insegnanti indiani. Forrester Research calcola che nel 2008 il giro d’affari globale dell’offshoring quintuplicherà.
Come fa notare l’Economist Intelligence Unit, l’offshoring è rimbalzata dall’India, prima destinazione, in Cina, nelle Filippine a Singapore. Non ci resta che tornare alla terra, ma seriamente.
Scenario importato
Secondo lo studio Capturing global Advantage del Boston Consulting Group (BCG) le importazioni dai paesi low cost raddoppieranno entro il 2015. La Cina diventerà il più grosso produttore mondiale, mentre gli altri paesi asiatici e quelli dell’est europeo contribuiranno a togliere ulteriore ossigeno a Italia, Francia e Gran Bretagna.
Scenario sportivo
Il medagliere delle ultime Olimpiadi di Atene sembra rispecchiare l’economia globale: gli Stati Uniti al primo posto e i cinesi secondi distanziati di poco per medaglie vinte.
La ricerca della Deutsche Bank “Asia: lo sprint finale” parla
chiaro: per l’Occidente inizia l’era della rincorsa.
Scenari collaterali
Che aria tira? Pessima. La Cina inquina. Una foto impressionante raccolta dal satellite Envisat dell’Agenzia spaziale europea, ci mostra come l’impero del drago faccia già parte delle
zone più inquinate della terra. È solo l’inizio, le imponenti dighe
della Cina stanno uccidendo il fiume Mekong e la pesca locale dei paesi confinanti. Aumentano tempeste di sabbia, siccità
e desertificazione: le stime ufficiali rivelano, fa notare il WWF,
che 2.330 chilometri quadrati di terra si trasformano ogni anno in deserto. Un’area altrettanto vasta produce sempre meno, a causa dello sfruttamento intensivo, mentre i satelliti degli Stati Uniti, che hanno monitorato l’uso della terra in Cina per
circa 30 anni, documentano la sparizione di migliaia di laghi
nel nord. Anche il World Watch Institute lancia l’allarme: il pianeta non può reggere un altro miliardo e mezzo di consumatori con un tenore di vita occidentale. La salvezza potrebbe
chiamarsi etica della sufficienza. Ma siamo in grado di digerire idee così sobrie?
Scenario consumato
Globalizzazione surriscaldata. L’annuale State of the future
del Millennium Project, che coinvolge analisti e futurologi di
tutto il mondo, disegna uno scenario “consumato” e pieno
di sfide. Nel 2050, più di 2 miliardi di persone vivranno in
zone semi desertiche e lotteranno quotidianamente per la
pura e semplice sopravvivenza. La scarsità di acqua e cibo
fa prevedere un’ondata di migrazioni senza precedenti nella
storia dell’umanità. In futuro, mutamenti climatici e ambientali saranno una delle principali cause di conflitti internazionali.
Scenario sorpassato
Cina nella corsia di sorpasso. Secondo lo studio “Dreaming
with BRIC’s, The Path to 2050” di Goldman Sachs, l’economia
cinese supererà quella britannica nel 2007 e quella tedesca nel
2010 per diventare entro il 2041 la prima nel mondo. Ma attenzione a non trarre conclusioni sbagliate: potere economico
e potere d’acquisto non vanno di pari passo. Il volume del
mercato cinese è interessante, ma non la capacità di spesa effettiva del cinese medio.
Scenario mobile
Grandi manovre e movimenti. Secondo lo studio Global Footprint Design (Rolandberger) nei prossimi 5 anni il 90% delle
società europee sarà impegnata nella ridefinizione dell’assortimento prodotti e dei relativi mercati di sbocco. Per esempio,
la tendenza di molte aziende è di inseguire la propria clientela
negli spostamenti (Asia e paesi dell’est). La ragione: molte imprese industriali occidentali faticano a trovare in loco fornitori
qualificati per i loro processi produttivi. L’altro trend: studiare
nuove linee di prodotto, sia per i neoconsumatori dei paesi
emergenti sia per i consumatori interni, che ora hanno nuove
esigenze.
Scenario finale
Nostradamus diceva nelle sue profezie che il mondo sarebbe
finito con l’elezione di un Papa nero.
Ma no, sarà il Papa giallo il vero segnale.
6 nextfuture
china
update
Fast economy
Tirare le somme
1
la Cina è al primo posto
nella produzione di giocattoli,
cellulari, dvd e tv
60
miliardi di euro i capitali
stranieri affluiti nel 2004
in Cina
180
50
per cento del cemento
mondiale è stato usato
dalla Cina nel 2003
69
i reati punibili con la pena
di morte per un totale di
10 mila esecuzioni l’anno
420
milioni gli utenti di
telefonia mobile
previsti nel 2005
milioni i cinesi che
nel 2007 avranno
un reddito di 3.000$
10
gli anni che registrano in
Cina tassi di crescita fra i
più alti del pianeta.
500
mila gli ingegneri
che ogni anno escono
dalle università cinesi
80
per cento dei giocattoli
venduti a Natale nel 2003
erano made in Cina
60
40
miliardi di dollari l’anno
necessari per riequilibrare
il sistema bancario
230
mila i titoli esposti
nella più grande
libreria della Cina
236
miliardi di dollari
il valore degli scambi
fra Cina e Ue
120
milioni il numero
degli utenti internet
a fine 2005
mila gli episodi di protesta
da parte della popolazione
cinese nel 2003
Cina. Secondo la Banca mondiale, già oggi il vero
Pil cinese (adeguato al potere d’acquisto) la
classifica come seconda potenza economica
mondiale dietro gli Stati Uniti e davanti a
Giappone e Germania.
9,5
500
la crescita
percentuale del Pil
cinese nel 2004
mila le aziende
straniere operanti
in Cina
9
il tasso di crescita
percentuale annuale
dell’industria dell’It
700
63
mila i cinesi morti sul
posto di lavoro nei primi
6 mesi del 2004
50
65
milioni i cinesi che
possono già permettersi
l’acquisto di un auto
7
3
miliardi di dollari la cifra
che la Cina investirà nel 2005
per i trasporti aerei
milioni di cinesi nel
2015 faranno la spesa
come un europeo
salari di operai cinesi
equivalgono al salario
di un italiano
euro la paga mensile di un
operaio nordcoreano che lavora
in subappalto per i cinesi
485
miliardi di dollari
il volume complessivo
di esportazioni cinesi
230
mila
i nuovi Paperon
de Paperoni
103
per cento l’aumento
di imprenditori cinesi
in Veneto in tre anni
25
i funzionari del governo
giustiziati negli ultimi 4
anni per corruzione
8 nextfuture
china
update
China connection
Provate a (L)imitarci
Limitare l’invasione
Imitare l’invasione
Tessile: 80 mila posti di lavoro persi solo nel nostro paese in appena
quattro anni e la prospettiva di perderne altri 100 mila a breve. C’è
ancora spazio per il concetto di dazio? No, perché ciò significherebbe
rinnegare in blocco anche il concetto di globalizzazione dei mercati
chiamandosi fuori, ma per andare dove? Il boom dell’importazione
del tessile nei primi tre mesi del 2005 (per esempio + 732% per
maglie e pullover secondo la commissione UE) ha scatenato il
panico, tardivo, a Bruxelles, che ora minaccia clausole di protezione. I
cinesi, però, non stanno facendo dumping, come insinuano politici e
molti giornali, poiché non vendono in massa prodotti sottocosto, ma
vendono a prezzi bassi perché i loro prezzi sono bassissimi. Poca
ipocrisia: le aziende gradiscono i grandi profitti e i consumatori i
grandi affari come un Pc superdotato a meno di mille euro (salvo poi
stupirsi che i figli non trovano lavoro e la busta paga si restringe). La
giapponese Sony è prodotta in Cina, l’olandese Philips pure, come
anche l’americana Black&Decker. Difficile oggi comprare qualcosa
non prodotto dalla fabbrica del mondo. Non solo: i cinesi cominciano
a invadere i mercati anche con i loro vini pregiati (manca solo il
Brunello di Pechino). In pratica: ogni prodotto immaginabile. Per
finire, l’invasione territoriale: iniziano (per esempio in Italia) le
operazioni per rastrellare punti di vendita e aziende in difficoltà e le
licenze del commercio ambulante. Cina no limits.
Erickson, Nokia, P&G, l’Oreal, Ikea, Volkswagen, Auchan,
Metro, ma anche aziende italiane come Merloni, Perfetti o
Armani, più che dell’invasione cinese, si preoccupano e si
occupano della loro invasione. Centinaia di milioni di
consumatori affamati si stanno per affacciare sul mercato
e nei pdv. Reclamano un’auto, uno stereo, un frigorifero,
un televisore, una cena al ristorante. Certo, per ora hanno
ancora le tasche vuote, ma la globalizzazione dal basso è
comunque iniziata. I poveri di oggi sono i consumatori di
domani e viceversa. Si stima che, nella sola Cina, ci
saranno, nel 2010, circa 50 milioni di persone con un
reddito annuale di 50 mila dollari. Nelle vie commerciali
delle grandi metropoli cinesi si trovano tutti i negozi e le
marche più famose dell’Occidente. La concentrazione dei
big retailer -da Carrefour a Tesco- e delle catene di
franchising, a sua volta, è impressionante. Nanjing Road a
Shanghai sta mutando da caotica arteria stradale a isola
pedonale e paradiso dello shopping. Conquistare i mercati
locali si può e, in un certo senso, a volte, si rende pan per
focaccia (anche se involontariamente). Ad esempio:
Carrefour importa l’80% dei prodotti alimentari che ha
sugli scaffali cinesi.
nextfuture 9
Produttività più ricca,
display più bello.
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sullo scaffale, grazie all’asola passo 25 mm,
al piano h. 25 mm e alle mensole raccordate.
Con la base extrabassa Cefla, offre
15 cm (*) in più in altezza, ovvero un piano
in più di esposizione, per molti packaging.
SPAZIO EXTRA
Limitare i danni
L’Italia è piccola e deve puntare sul piccolo (utile rileggere Piccolo è bello dell’economista
Schumacher). Un’iniziativa che d’istinto va nella direzione giusta (almeno nelle intenzioni)
è Symbola, la neonata fondazione per la qualità italiana promossa da Ermete Realacci,
che si pone come missione l’esaltazione delle vere vocazioni del nostro paese
(vocazionale, una via d’uscita alla crisi che Nextfuture suggerisce fin dal primo numero).
Cinesi e asiatici sanno e possono, oramai, produrre tutto, servizi inclusi. L’Italia deve fare
un patto con se stessa e con tutti i suoi cittadini, ricompattarsi e abbandonare l’ottusa
rincorsa alla competizione e innovazione, puntando alla creazione di differenziazioni e
posizionamenti inaspettati. Per esempio, sostituire il Pil (prodotto interno lordo) con il Qil
(qualità interna lorda). O contrapporre lo slow tech all’high tech. Il declino si evita solo
con visioni audaci. Il resto è patetica concorrenza e, come ricorda giustamente la
recente cover story del settimanale economico Il Mondo su “l’Italianità senza gli
italiani”, le grandi aziende nostrane si contano sulla punta delle dita e non sono attrezzate
per reggere le sfide del mercato globale. Il resto è stato o sta per essere svenduto agli
stranieri.
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aumento di spazio su ogni piano che equivale
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dello scaffale o +12% di confezioni in
display (media pesata, LCC supermarket).
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10 nextfuture
china
update
Survival kit 1
Cavalcare la Tigre
“Non abbiamo bisogno di niente,
possediamo già tutto”. Con queste secche
parole, nel lontano 1793, l’imperatore
cinese Chien Lung respinse le offerte di
collaborazione commerciale degli inglesi.
Fu una delle ultime volte che i cinesi
difesero il loro dorato isolamento. Da lì a
poco (1841) avrebbero perso la guerra
dell’oppio, l’isola di Hong Kong e il loro
millenario modus operandi e vivendi. I
cinesi, però,hanno una concezione ciclica
del tempo. Attesero con pazienza il divenire
dei mutamenti in corso. Oggi, dopo due
secoli di umiliazioni, il goffo gigante ha
messo in pista danzatori sfrenati che
impongono un ritmo che ci coglie
impreparati (anche in termini di produttività
e dedizione al lavoro).
È un boomerang che ci torna indietro.
Che fare dunque? Assecondare il passo o
osare e quindi domare? Il detto orientale
cavalcare la tigre significa -come ricorda il
filosofo italiano Evola- non farsi travolgere e
annientare da quanto non si può controllare
direttamente. Sopravvivere, dunque, in
un’epoca di dissoluzione del mercato
interno con nuove soluzioni
e spirito da pioniere.
Perché una cosa è chiara. La Cina è una
palestra che mette ogni impresa a dura
prova: chi si impone lì, si impone ovunque.
Less oblige
Produrre a meno diventa un must. Il settore automobilistico preannuncia i
tempi a venire: i fornitori vengono “invitati” dagli uffici acquisti a praticare
prezzi cinacompatibili. Mediamente fa risparmiare dal 30 al 50% spostare
la produzione in Cina, ma non è una passeggiata e non bisogna mai fidarsi
delle apparenze: molti certificati Iso esposti nelle fabbriche sono falsi. I siti produttivi devono essere nelle vicinanze dei porti, poiché i collegamenti
sono ancora pessimi. Richieste di produzioni just-in-time non sono realistiche, poiché una spedizione dalla Cina richiede mediamente sei settimane più due di dogana, quando tutto fila liscio. Meglio programmare con
largo anticipo.
Rischio black out energetico: molte fabbriche restano mediamente senza
corrente per due o tre giorni la settimana. Burocrazia, regolamenti, restrizioni, corruzione e furti di brevetti e/o know how rendono la vita difficile e
spesso fanno lievitare i costi.
Sembra inverosimile, ma le risorse umane iniziano a scarseggiare, aumenta la resistenza dei contadini ad abbandonare i campi.
Mercato iper competitivo: su questo terreno di gioco si scontrano le imprese di mezzo mondo, ricordando molto la corsa all’oro in Alaska.
Chi opera in regime di semi monopolio o con brevetti e tecnologie sofisticate ha più convenienza a rimanere a casa, come dimostrano i casi delle
aziende tedesche Tesa e Varta tornate a produrre in Germania.
Ok il prodotto è giusto
L’errore più diffuso è voler rifilare al consumatore cinese i format, i prodotti, il packaging e la
pubblicità negli stessi termini con cui tutto ciò viene proposto in Occidente. Come ha scritto il
direttore di GDOWEEK, Luigi Rubinelli, dopo il suo viaggio in Cina, “il Natale, che in Cina non significa alcunché, vede Decathlon far fare il salto con l’asta nella neve a Babbo Natale sia a Milano sia a Shanghai”. Non è l’unico esempio. Ai cinesi piace Ikea, ma non il do it yoursef. Solo oggi, dopo 6 anni dal suo ingresso in Cina, la società svedese riprova a convincere i consumatori che il “porta a casa e monta” conviene. BMW e Mercedes hanno imparato a loro spese che conviene ribattezzare le auto con nomi cinesi: rispettivamente Bao Ma (cavallo pregiato) e Ben/che (galoppare). Lo stesso hanno fatto Siemens e Coca Cola. La catena Kentucky
Fried Chicken è arrivata molto dopo McDonald’s, ma è molto più diffusa grazie a una maggiore attenzione al local ed a una minore rigidità sui format. Creare prodotti e servizi appositamente
studiati per il mercato cinese, come in parte stanno già facendo Unilever, Ericsson o Danone
che propone biscotti che vanno incontro ai vari gusti regionali, è forse la strada giusta. Buone
prospettive anche per i prodotti alimentari che in Cina, a causa dell’industrializzazione, cominciano a scarseggiare (superficie coltivata solo 13,31%) e, all’estremo opposto, per Bentley,
BMW, Rolex, Armani, Veuve Cliquot e Nokia, che sono alcune delle marche amate dai nuovi milionari comunisti. Adattarsi agli usi e costumi: i cioccolatini alla menta After Eight potrebbero far
breccia, poiché il numero 8 porta fortuna e lunga vita, il contrario del 4 simbolo di morte. Nuovi mercati: il prossimo boom potrebbe essere quello del turismo medico low cost: rifarsi i denti, il seno o un’operazione al cuore mentre si è in vacanza. Ottime chance in futuro per le agenzie che propongono viaggi nei paesi asiatici con “cure incluse nel prezzo”.
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12 nextfuture
china
update
Survival kit 2
Lezioni di cinese
Lesson 1
Lesson 2
Tutto è possibile
Niente è facile
Lesson 14
Quando siete disperati pensate
alla regola numero 1
Auguri!
Lesson 3
Lesson 13
Quando siete euforici
pensate alla regola
numero 2
Lesson 12
La logica aziendale occidentale
non è applicabile
A grandi linee “nessun
problema” significa “grande
problema”
Lesson 4
Un progetto senza timing
preciso è un progetto morto
in partenza
Lesson 11
“Disposizioni interne” significa
che hanno le scatole piene di
voi
Lesson 5
La Cina esaspera i difetti di un
impresa straniera ed esalta i
suoi pregi
Lesson 10
Lesson 6
“Nuove disposizioni” significa
che si è trovato il modo di
evitare di fare qualcosa
Mai abdicare, la Cina richiede
pazienza e perseveranza
Lesson 7
Lesson 9
In Cina la fiducia conta più di
un buon contratto
Lesson 8
Il fallimento è spesso la
levatrice del futuro successo
“Lei non conosce la Cina”
significa che non si è
d’accordo con voi
nextfuture 13
Trattare
con il Tao
Se non si comprende il Tao
non si può comprendere
l’uomo d’affari cinese. Se
dice di sì, può voler dire di
no, se dice di no, può voler
dire di sì, o entrambe le cose simultaneamente. O,
detto con il Tao: se si vuole
ottenere una cosa bisogna
iniziare dal suo opposto. Lo
ying e yang non è un giochino new age per perditempo. La condotta cinese
si ispira sempre alla fluida
contaminazione degli opposti che convivono sincronicamente. Come il comunismo con il capitalismo. Non c’è da studiare e
ragionare da bravi occidentali, c’è da contemplare (come i koan Zen) il
simbolo, per cogliere l’essenza della trattativa cinese, abbandonando l’occidentale dualismo che tutto
separa e nulla unisce.
Dica 36
Il business che non vacilla
Chi ben comincia è già a metà dell’opera. I fondamentali sono il Tao Te Ching, il Libro della Via
e della Virtù di Lao Tzu (edizione Adelphi); il Zhunag-zi, un altro dei grandi classici del taoismo,
(edizione Adelphi); Confucio, studio integrale e l’Asse che non vacilla, magari nella versione curata da Ezra Pound (ed. All’insegna del Pesce d’oro); l’antica bibbia cinese I Ching, il libro dei
mutamenti (edizione Adelphi) da cui deriva ogni tipo di pensiero e saggezza cinese; Storie da
proverbi cinesi (Mondadori) e per finire anche l’Antologia di Mao Tse Tung (Edizioni Oriente): perché lo stesso comunismo cinese si riferisce con allusioni più o meno chiare alla logica dello ying
e yang.
Secondo gli antichi strateghi cinesi, la miglior vittoria si raggiunge con l’astuzia e gli
stratagemmi. Ai 36 stratagemmi derivati dall’arte della guerra cinese Harro von Senger, sinologo svizzero e docente universitario, ha dedicato parecchi libri. L’ultimo appena uscito si chiama 36 Stratageme für Manager (a breve l’edizione italiana) ed è
un adattamento ad uso e consumo dei manager. Ottimo anche l’ormai classico When
yes Means no di Laurence Brahm. Da non snobbare: in Cina la saggistica economica conta circa 50 titoli dedicati al management con i 36 stratagemmi.
Entrare
nel giro
Attenzione ai cliché.
Agopuntura, Fengshui, Tai Qi, meditazione e arti marziali,
o film come L’anno
del dragone e più in
generale Chinatown,
danno un’immagine
distorta del cinese,
che oscilla fra sofisticati valori spirituali e
brutali violenze da triade
mafiosa. C’è, ovviamente,
dell’altro. Per esempio, il cinese ama il successo e la bella vita, solo che a differenza dell’occidentale la vuole e la deve (per confuciana moralità) condividere con famiglia, parenti e amici stretti. Per questa
(e altre) ragioni, il networking è obbligatorio per operare, anche se dal primo gennaio di quest’anno non è più
necessario fare joint-venture con i cinesi per aprire un’attività. La società
cinese ha una complessa struttura a
clan e chi la vuole bypassare affonda
nella giungla dei regolamenti locali e
cade in trappole ostili. Meglio far parte della famiglia. Cosa che a molti italiani non dovrebbe riuscire difficile.
14 nextfuture
china
update
Miao Mao
Comunisti per caso/consumisti per forza
01_Piccola parentesi
Da taoismo a maoismo e poi a consumismo, a
tempo di record. A Shanghai il comunismo è
nato e a Shanghai il comunismo è stato
ibernato. I monumenti e gli edifici sono stati
cancellati, o hanno subito restyling
“consumistici”.
La prima sede del partito comunista è diventata
un ristorante, mentre il palazzo della Cultura
Popolare che ospitò Mao è ora un albergo a
cinque stelle. Paragonato alle millenarie dinastie
dell’impero celeste questa è solo una piccola
parentesi di storia.
02_Marketing basic
I consumatori cinesi sono attratti dalle novità,
soprattutto la fascia che va dai 25 ai 34 anni, che
risulta assai vorace. Come hanno già notato le
grandi multinazionali di marca, il neoconsumatore
è sprovvisto di difese, vergine e sempliciotto,
malleabile alle lusinghe del sofisticato marketing
stile americano. Un mercato che attualmente si
fonda sul branding più che sul contenuto
intrinseco.
La marca batte nettamente la qualità.
03_ Liberi di consumare
I cinesi non consumano ancora abbastanza?
La trovata del governo di Pechino è Jiari Jingji,
espressione impronunciabile che significa
“liberi di consumare”. Tre volte all’anno i cinesi
ricevono in omaggio una settimana di ferie.
L’invito è perentorio: fare shopping o spendere i
soldi in viaggi.
04_ Cyber china
Dominare il mondo reale e quello virtuale.
Gli americani hanno inventato Internet,
il transumanesimo, le biotecnologie, gli ogm
e tutto ciò che è davvero high-tech.
Ma i cinesi si stanno appropriando velocemente
degli skills per controllare il cyberspazio
del futuro.
05_Dai Lama
Arrenditi alla storia. Il Tibet, uno degli
ultimo luoghi sacri della Terra, sta per
capitolare e arrendersi alla modernità
e al consumismo. È in atto una
colonizzazione strisciante: strade,
ferrovie sopra i 4 mila metri per
portare merci, turisti e ricchezza.
Lhasa come futuro parco divertimenti
dello spirito?
06_Riso amaro
Orari massacranti, salari miseri, pochi
diritti. In Cina, il sindacato unico ha un
unico ruolo: controllare gli operai e
verificare il rispetto delle regole. Di
rivendicazioni neanche a parlarne. Si
dorme in fabbrica, o accanto alla
fabbrica. Chi protesta rischia il
licenziamento se non peggio.
Urbanizzazione selvaggia, centinaia di
milioni di contadini espropriati della
terra, destinata ad uso industriale o
commerciale, completano il quadro
della vita da boom e preannunciano
futuri disordini e instabilità sociale.
07_ Vuoto a perdere
Cautela. È vero che ci sono
potenzialmente 1,3 miliardi di
consumatori, ma è altrettanto vero,
come ha rilevato Luigi Rubinelli nel
suo viaggio in Cina, che i negozi dei
grandi mall sono vuoti tutta la
settimana, o con scontrini talmente
bassi da escludere affari d’oro nel
breve periodo.
La conferma: molti centri commerciali
stanno chiudendo i piani alti per
assenza di domanda, mentre a
Pechino e a Shanghai interi nuovi
palazzi sono vuoti.
nextfuture 15
08_Hong Tong
Le terribili tong e le gang affiliate sono
nate verso la fine del 1800 in Usa dalla
prima generazione di emigrati (deportati)
cinesi. Oggi, la mafia cinese può
ringraziare la tossicodipendenza indotta
dagli inglesi nella Cina ottocentesca, che
il tempo ha trasformato in una curiosa e
forzata forma di pagamento per i debiti
commerciali della corona con l’impero
celeste. Chi semina vento raccoglie
tempesta?
09_Sade in Cina
Sadismo allo stato puro. A leggere il libro
del padre missionario Cervellera
“Missione Cina – Viaggio nell’impero tra
mercato e repressione” si rimane
perlomeno perplessi: accusati di
cospirare contro il regime, i cristiani
cinesi vengono perseguitati e volentieri
bastonati. Niente di isolato. A leggere i
rapporti di Amnesty International o
Human Rights Watch sugli abusi di
violenza, torture e repressioni viene
voglia di restare a casa a curare il proprio
piccolo orto.
10_Crescere in fretta
Anche il tasso di crescita fisica tende al
rialzo: sempre più cinesi si sottopongono a
spericolate e dolorose operazioni (rottura e
allungamento delle ossa) cercando di
diventare più alti per emulare uno dei tanti
aspetti del benessere occidentale e per
trovare migliori occasioni di lavoro.
11_Conti sospesi
La guerra dell’oppio, la rivolta dei boxer, le
spedizioni punitive delle potenze europee,
l’occidentalizzazione coatta, il saccheggio e
smembramento dell’impero celeste definito
dagli storici inglesi “break-up of China”,
dovrebbero far riflettere sui conti in sospeso
con le vecchie potenze industriali.
12_Segnali di fumo
Per i fumatori il paradiso della libertà individuale
è la Cina. Una volta tanto niente repressioni. Si
fuma liberamente nei taxi, nei ristoranti, negli
uffici pubblici, negli ospedali e, soprattutto, si
fuma tanto. Non stupisce che le multinazionali
del tabacco sbadiglino di fronte alla crociata
antifumo nel mondo occidentale. È la Cina la
nuova Marlboro country.
13_(Di)soluzione finale
“L’idiozia del commercio ha sostituito l’idiozia dell’ideologia” scrive in Sipario (edizione
Adelphi), Milan Kundera, a proposito dell’involuzione del regime comunista. È così? Può
esserci sostituzione, dove in realtà vige unione? Liberalismo e marxismo, consumismo e
comunismo, destra e sinistra. Figli entrambi della Rivoluzione industriale sono solo due facce
della stessa medaglia. Entrambi sono modernisti, illuministi, progressisti, ottimisti, razionalisti,
materialisti, economicisti, tecnoeuforici, succubi delle crescita infinita e infantilmente
aggrappati alla bella favoletta dello sviluppo sostenibile (allo stato attuale un’ossimoro più
paradossale del ghiaccio bollente).
Questo drago che incombe -salutato dalla business community come immenso paese della
cuccagna e ignorato per i suoi devastanti effetti sull’ecosistema- richiama cupamente la
bestia dell’Apocalisse? La soluzione finale è una dissoluzione stile Atlantide? Una tabula rasa
del pianeta? Già trent’anni fa il Club di Roma di Aurelio Peccei lanciò l’allarme sui limiti dello
sviluppo e non aveva visto ancora il rullo compressore della globalizzazione dei consumi.
Etimologia docet: consumare significa distruggere. Qualcosa vorrà pur dire.
01 cover e quartanew
6-05-2005
10:02
Pagina 2
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE SULLE TENDENZE DEL RETAIL E DEI CONSUMI
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il retail
politically
correct
“Il futuro
è già scritto.
Leggetelo
in anteprima”
Firmato