Ambiguità espressive in Licofrone

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Ambiguità espressive in Licofrone
AMBIGUITÀ ESPRESSIVE IN LICOFRONE:
LA DARDANOS POLIS DELLA DAUNIA
FEDERICO RUSSO, MASSIMILIANO BARBERA ∗
1. Licofrone è l’unico testimone dell’esistenza di un nao;ı dedicato a
Cassandra presso il lago di Salpi, costruito dai capi dei Dauni e dagli
abitanti di una Dardanos polis:
nao;n dev moi teuvxousi Daunivwn a[kroi
Savlphı par’o[cqaiı, oi{ te Davrdanon povlin
naivousi, livmnhı ajgcitevrmoneı potw`n.
(Licofrone, Alessandra, vv. 1128-1130 1 )
Il passo ha sollevato molteplici questioni, sia per quanto riguarda la
localizzazione del tempio, sia per il significato preciso di Dardanos,
che è inteso ora come poleonimo, ora come aggettivo, sia per
l’identità della città, sia infine per l’aspetto stesso del culto.
Ci troviamo dunque di fronte ad una serie di problemi molto
complessi, resi ancora più difficoltosi dal fatto che la Daunia presenta
un articolatissimo bagaglio mitico: una sorta di stratigrafia di miti
eterogenei per cronologia e significato, ma che trovano un comune
denominatore nello spiccato aspetto acheo-troiano che le fonti antiche
concordemente attribuiscono a questa regione, letteralmente costellata
∗
F. Russo è autore della prima parte del contributo (§§ 1-5), M. Barbera della
seconda (§§ 6-8).
1
Edizione tratta da Ciaceri 1901.
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di reminiscenze più o meno sbiadite di fatti e personaggi della Guerra
di Troia.
Fra gli aspetti più evidenti di questo paesaggio troiano abbiamo le
peregrinazioni di Diomede in Daunia (che sembrano costituire il
livello più profondo della stratigrafia mitica che caratterizza questa
regione), i rapporti dell’eroe etolico con i Dauni stessi, un culto di
Atena Iliaca (da identificare forse con un altro culto, indicatoci dalle
fonti antiche, dedicato ad Atena Acaia, in un tempio in cui Diomede
offrì le sue armi come ex voto), le tombe (o cenotafi) di Calcante e
Podalirio, il topos delle donne troiane incendiarie, le pietre delle
fondamenta di Troia, trasportate in Daunia da Diomede e qui
disseminate, ed infine il culto dedicato a Cassandra 2 .
Licofrone, con parole oscure e di ambigua interpretazione, ci parla di
un tempio dedicato dai principi Dauni e dagli abitanti di una “polis
Dardanos” presso le rive del lago di Salpi, al cui interno si trovava il
simulacro della profetessa, abbracciato dalle donne daune per sfuggire
a nozze non volute, secondo un rituale che richiama trasparentemente
il noto episodio della violenza subita da Cassandra da parte di Aiace
presso la statua di Atena ad Ilio.
Sull’identità della città in questione, e sul significato da attribuire a
Dardanos sono state proposte ipotesi assai diverse e inconciliabili.
Essenzialmente o si pensa ad una città di nome Dardano oggi
2
Su Cassandra, Davreux 1942: pp. 93-96; Ledergerber 1941; Mason 1959: 80-93;
Paletti 1994: 956-970; Neblung 1997; non più che un cenno al caso dauno in
Mazzoldi 2001: p. 49. Per l’episodio della violenza di Aiace su Cassandra nell’arte
greca, alla base evidentemente del culto dauno, cfr. Connely 1993: 88-129.
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scomparsa 3 , o si tende a riconoscere nella città menzionata da
Licofrone una città già nota della Daunia, attribuendo così a
“Dardanos” una funzione aggettivale. Ovviamente, in entrambi i casi,
è stata proposta anche un’interpretazione del significato intrinseco di
Dardanos: nel primo si pensa che esso celi il riferimento ad
un’enclave illirica stanziata nella Daunia; nel secondo invece vi si
legge un riferimento alla leggenda troiana, cosicché Licofrone si
sarebbe implicitamente riferito ad una sorta di seconda Troia in terra
dauna, chiamata in modo criptico “città dardania”, cioè troiana.
Secondo Torelli 4 , il culto di Cassandra deve essere collocato a
Luceria, in virtù del fatto che qui è attestato dalle fonti il culto di
Atena Iliaca: data la peculiarità del culto della profetessa troiana, che
ricalca da vicino l’episodio di Cassandra che, assalita da Aiace, si
aggrappa alla statua di Atena Iliaca, lo studioso ritiene che in realtà il
culto sia sempre lo stesso, interpretato ora come riferito a Cassandra,
ora ad Atena. Secondo lo studioso, è possibile tradurre il termine del
verso 1128 come aggettivo anche sulla base di alcuni versi omerici5 ,
dove Davrdanoı ajnh;r significa “eroe troiano”; il che autorizzerebbe
ad intendere la Davrdanon povlin di Licofrone come “città dardania”,
con un esplicito richiamo a Troia 6 , o meglio ancora ad una città
“troiana”.
Da alcune testimonianze risulta che almeno in un caso la “città di
Dardano” non è Dardano (sull’ipotesi che si tratti di Dardano della
3
E’questa una delle ipotesi prospettate da Ciardiello 1997: pp. 81-136.
Torelli 1984: 319-341, in part. pp. 320-327.
5
Il. II 701 e XVI 807.
6
Torelli 1984: 326.
4
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Troade torneremo oltre), ma proprio Troia: si tratta dei versi 1493-4
dell’Elena di Euripide, in cui abbiamo l’espressione Dardavnou povliı,
in riferimento certo a Troia, e del v. 69 del Filottete di Sofocle, in cui
ci si riferisce a Troia tramite la figura di Dardano, ma senza che
ricorra anche il termine povliı (Dardavnou pevdon) 7 .
In generale, dai testi emerge chiaramente non solo che in tutti i
derivati dalla radice Davrdan- è esplicito il legame concettuale a Troia
ed al fondatore della città, posta sempre nella Troade, di Dardano, ma
anche che è attestato l’aggettivo a due uscite Davrdanoı, on, in cui,
coerentemente con gli altri derivati dalla medesima radice, è
assolutamente chiaro il riferimento a Troia 8 .
Ci troviamo di fronte ad un’ipotesi senza dubbio interessante, anche
perché Lucera porta con sé il culto di Atena Iliaca, ma a mio avviso
persiste nel testo di Licofrone un forte ostacolo all’identificazione
della città dardania con Luceria. Il poeta infatti fornisce due
indicazioni topografiche difficilmente eludibili: egli colloca il tempio
sulle rive del Salpe, e afferma che gli abitanti della città dedicante
sono vicini (nel senso di “confinanti”) alle rive del lago, che altro non
è che il lago di Salpi. Con queste indicazioni è assolutamente
impossibile parlare di Luceria, che si trova in tutt’altro contesto. Il
7
Questa testimonianza è però meno significativa, poiché il riferimento è alla Troade
in generale, non alla città di Troia.
8
Oltre al TLG, vd. E. Escher, s.v. Dardanis, in RE, IV, 2, 1901, 2163; C. Buerchner,
s.v. Dardania, in RE, IV, 2 1901, 2157-8; H. Hitzig, s.v. Dardanariatus, in RE, IV,
2 , 1901, 2154-5; F- Hultsch, s.v. Dardanios, in RE, IV, 2 , 1901, 2163; C. Patsch,
s.v. Dardanis, in RE, IV, 2, 1901, 2155-7; P. Chantraine, Davrda-Dardaivnei, in
Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire des mots, Paris 1968, p.
252.
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Torelli 9 , per ovviare a questo problema, traduce o[cqai non col
significato proprio e più diffuso di “riva di fiume”, ma con quello di
altura, la cui attestazione è però assolutamente sporadica. Il testo
invece, come si è visto, indicherebbe un’area presso il lago di Salpi,
mentre Luceria è distante da questo. All’obiezione che intorno al lago
di Salpi non esistono alture, il Torelli sostiene che la descrizione
geografica è fatta da un osservatore che, trovandosi presso Salpi,
descriva la zona interna. Tuttavia, persiste ancora il problema che
Luceria è troppo lontana da Salpi, cosicché definire gli abitanti 10 della
città dardania, cioè Luceria, “vicini all’acque della palude” è
francamente azzardato. A mio avviso infatti non possiamo forzare
l’unico dato chiaro ed esplicito che ci fornisce Licofrone, e cioè il
nome del lago presso cui è edificato il tempio (un nome trasparente,
assolutamente riconoscibile), e la posizione rispetto a questo della
città in questione. Senza dubbio la collocazione a Luceria ha dalla sua
parte l’esistenza nel medesimo luogo di un culto dedicato ad Atena
Iliaca, che così chiaramente richiama alla mente l’episodio di
Cassandra; tuttavia Luceria, ottima candidata per motivi “ideologici”,
non ha i requisiti geografici adatti per essere accettata.
9
Torelli 1984: 325-336.
Torelli ritiene che oi{ te Davrdanon povlin naivousi sia da collegare ai capi
dauni, secondo una traduzione tipo “i principi dei Dauni, quelli che abitano la città
dardania”. In questo modo la particella te , che distingueva i due gruppi di
dedicanti, verrebbe a cadere, o meglio, assumerebbe una sorta di valore rafforzativo.
Si noti che il Torelli accetta che Davrdanon sia aggettivo, e non poleonimo, di qui la
sua identificazione con Luceria. Torelli1984: 325-336.
10
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2. Come si diceva, esiste un ulteriore approccio 11 al problema
dell’identificazione della città in questione, che abbandona la sfera
troiana per inserire la città di Dardano (Dardanos dunque nel senso di
poleonimo) in tutt’altro contesto culturale.
A fornire le basi a questa ricostruzione interviene lo scoliaste 12 di
Licofrone, che, non trovando in Italia alcuna città o popolazione
ricollegabile a quanto dice Licofrone, riferisce dell’esistenza di una
stirpe di Dardani in Illiria, nota anche a Solino (II, 51).
Secondo la Ciardiello 13 , poiché in Illiria è ricordata una popolazione14
( jIavpodeı) il cui nome sembra richiamare quello degli Iapigi 15 , ed in
Daunia esiste una popolazione (Monades) 16 che richiama nel nome
una città illirica (Monhvtion) 17 , esisterebbero motivi sufficienti per
ritenere che dietro al poleonimo Dardanos si celasse un riferimento ad
una città di origine illirica in Daunia.
A sostegno di questa complessa ricostruzione, la Ciardiello riporta
anche un passo di Nicandro 18 di Colofone, relativo alla convergenza
stabilitasi tra i figli di Licaone (Iapige, Dauno e Peucezio) e i Messapi,
di origine illirica, contro gli Ausoni.
11
Ciardiello 1997: 81-136.
Scholia ad Lyc., v. 1128, s. v. nao;n dev moi. Vol. II, ed. Scheer: “Ho trovato una
popolazione, i Dardani, che abitano a nord degli Illiri e dei Macedoni. Anche una
città Dardano è là”.
13
Ciardiello 1997.
14
Strabone, IV, 6, 10.
15
H. Philipp, s. v. Iapiges, in RE, IX, 1914, coll. 728-745; Nenci 1978: 43-59.
16
Plinio, N. H., III 104.
17
Strabone, IV, 6, 10.
18
Sulla testimonianza di Nicandro, riportata da Antonino Liberale, cfr. supra.
12
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In relazione all’identificazione della città “illirica” di Dardano, la
Ciardiello non rifiuta, e anzi accetta come soluzione alternativa,
l’ipotesi del De Juliis 19 , secondo il quale “Dardanos” sarebbe realtà
una forma corrotta e mal interpretata del toponimo noto da altre fonti
come Herdonea 20 . E’ quasi superfluo sottolineare l’inconciliabilità di
queste due posizioni, che pure la Ciardiello tende ad accostare, quasi
come se l’una fosse la conclusione dell’altra. Se infatti vogliamo
vedere in Dardanos un poleonimo di ascendenza illirica 21 , e spiegare
in base a questi legami la genesi stessa del poleonimo, non si può poi
dire che Dardanos potrebbe essere una forma corrotta di Herdonea 22 ,
poiché in questo modo non avrebbe alcun senso chiamare in causa gli
Illiri. Infatti, o pensiamo che esistesse una città illirica di nome
Dardanos, scomparsa prima che qualsiasi altra tradizione letteraria ne
registrasse la presenza o la passata esistenza, o, come il Torelli,
cerchiamo fra le varie città daune note una città che possa giustificare
l’oscura definizione licofronea. Herdonea, il cui nome è attestato per
la prima volta nelle fonti a proposito della guerra annibalica 23 , ha il
pregio di non essere troppo distante dal lago di Salpi, ma anch’essa,
19
De Juliis, s. v. Ordona, in Nenci, Vallet 1993: 494-505.
Secondo la Ciardiello, che si rifà a De Juliis, il toponimo Herdonea, che nella
tradizione manoscritta di Livio si presenta anche come Ardanea, potrebbe essere
legato alla “città di Dardano” di Licofrone, se si suppone la caduta del delta iniziale.
Si noti però che la tradizione di Licofrone in questo punto non presenta problemi
testuali e che un eventuale [Ardanon povlin sarebbe incompatibile con la metrica.
Ciardiello 1997: 101.
21
La Ciardiello, a conferma della sua ipotesi, cita le attestazioni del rito di
inumazione in Daunia, che ricalca le caratteristiche della Dalmazia e dell’Istria.
Ciardiello 1997: 100 con indicazioni bibliografiche.
22
La città è stata identificata con la moderna Ordona. W. Weiss, Herdoneae, in RE,
VIII, 1912, 1912, coll. 617-618. Mertens, Torelli 1984: 19-25.
23
Livio, XXIV, 20, 8; XXV, 20, 1; XXVII, 1, 4; Appiano, Hann., 48.
20
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come Luceria, non è coerente con le indicazioni topografiche fornite
da Licofrone.
Altre obiezioni possono essere mosse a questa ricostruzione. Prima di
tutto dobbiamo precisare che Solino, nominando una popolazione di
nome Dardani in Illirica, non manca di rivendicarne le origini troiane,
elemento questo in grado di spiegare il nome della città (e che
dovrebbe essere tenuto presente quando si parla di legami tra la
Daunia ed il mondo illirico tramite la città di Dardano), e soprattutto
che l’autore, nonostante quanto dice lo scoliaste di Licofrone, non
nomina in nessun modo una città di nome Dardano, ma solo una
popolazione. Di conseguenza, non esiste nessuna città omonima di
quella dauna, e soprattutto, qualora si accetti il legame con l’elemento
illirico, non dobbiamo dimenticare che esso è “gravato”, ovviamente
solo in questo specifico caso, da un’origine troiana che, visto il nome
del popolo e della città, non doveva essere stato dimenticato.
In secondo luogo, il collegamento Monadi (Daunia)-Monetio (Illiria)
si basa solo su una lontana, e non dimostrabile, somiglianza
onomastica. Se per altri versi è possibile riscontrare l’esistenza di
rapporti apulo-illirici, in questo caso, a partire dai soli dati onomastici
in questione, è rischioso vedere un rapporto tra realtà locali daune e
realtà illiriche. Ed infatti la studiosa si limita a sottolineare una certa
somiglianza onomastica, senza che esista un rapporto linguistico
definibile in modo certo 24 .
24
Ciardiello 1997: 96.
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Per quanto riguarda la citata notizia di Nicandro, basterà ricordare che
essa rielabora ed arricchisce quella precedente di Ferecide di Atene,
dove comparivano, come figli di Licaone, solo Peucezio ed Enotro
(quest’ultimo addirittura soppresso da Nicandro). Ciò significa che nel
nucleo mitico originario la componente illirica non era così
sottolineata. E d’altra parte, anche in Nicandro illirici sono i Messapi,
non direttamente gli Iapigi. Il legame tra Iapigi e Iapodes dunque mi
sembra meno evidente di quanto lo voglia far apparire la Ciardiello.
Piuttosto, il legame con il mondo illirico si può accettare solo sulla
base della possibile omonimia che si viene a formare tra la città illirica
di Dardano (ci cui ci parla lo scoliaste, ma non Solino, senza contare
che lo scoliaste potrebbe anche aver scambiato un aggettivo con un
poleonimo) e questa di Licofrone. Tuttavia, siamo costretti a pensare
all’esistenza di due città con lo stesso nome, poiché il testo di
Licofrone, con le sue indicazioni geografiche, parla chiaramente di
una città “Dardano” (o dardania) proprio sulle rive del lago di Salpi.
Non si tratterebbe dunque di un riferimento alla città illirica di
Dardano, ma ad una sua omonima. In ogni caso, è costante il legame
che il toponimo (se di toponimo si tratta) conserva con il mondo
troiano, che è all’origine anche del nome della città di Dardano in
Illiria (per cui si veda Solino).
Un eventuale riferimento ad una città di fondazione illirica in Daunia,
oltre ai problemi a cui prima si accennava, provoca delle perplessità
anche all’interno del contesto stesso a cui appartiene. In che modo
interpretare il legame che si viene a formare tra Cassandra e una città
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illirica? Ciò potrebbe essere spiegato in relazione al fatto che, come
dice Solino, i Dardani dell’Illiria erano di origine troiana. Tuttavia,
una presenza che alla lontana si rivela di origine troiana, ed il fatto che
questa troianità venga conservata abbastanza esplicitamente nel nome
della città (se anche è vero il legame con il mondo illirico), indica a
mio avviso che è proprio in questa sfera che va ricercato il significato
dell’espressione licofronea.
L’Alessandra stessa ci dà delle indicazioni che a mio avviso ci
spingono lontani dalla componente illirica stanziata in Daunia,
costringendoci a rivedere la questione sotto un altro punto di vista.
Prima di tutto la scarsa, se non nulla, congruenza tra gli Illiri emigrati
in Apulia e il culto di Cassandra, elemento questo che può essere
eliminato solo tenendo conto della lontana parentela dei Dardani
dell’Illiria con i Troiani: come si vede, è l’aspetto troiano a rendere
ragione del culto, non quello illirico. Una discendenza però che a detta
di Solino si era annullata nell’imbarbarimento della popolazione.
Licofrone poi parla dei dedicanti del culto, che sono i capi dei Dauni e
gli abitanti della Davrdanoı povliı. Questa espressione a me pare
fortemente
interessante.
Prima
di
tutto
sottolineiamo,
in
corrispondenza con quanto sappiamo a proposito dei Sanniti,
l’esistenza di una classe sociale elevata attiva e aperta al mondo greco,
poiché sono i capi dei Dauni a dedicare il culto, in posizione
senz’altro prevalente.
Se accettiamo l’ipotesi della Ciardiello, e cioè che la città di Dardano
fosse un’enclave illirica stabilitasi in Daunia, non si capisce per quale
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motivo i Dardani avessero una posizione di spicco, equiparati nella
loro totalità, e quindi senza distinzione sociale, ai principi dei Dauni.
E’ chiaro dunque che il culto di Cassandra è un fatto totalmente dauno
e locale, verosimilmente riletto da Licofrone, o dalla sua fonte,
secondo modelli colti e grecizzanti, atti ad attribuire alla Daunia un
ulteriore legame con Troia. Non dobbiamo infatti dimenticare che la
Daunia,
così
ricca
di
reminiscenza
acheo-troiane, costituiva
certamente un terreno fertile per l’innesto di ulteriori miti di simile
argomento.
3. Nella trattazione di questo problema esiste un dato a mio avviso
fondamentale, che però è stato sistematicamente dimenticato o
svalutato. Rivediamo per esteso la già citata testimonianza di Plinio
(N. H., III, 104): ita Apulorum genera tria: Teani a duce e Grais;
Lucani subacti a Calchante, quae nunc loca tenent Atinates;
Dauniorum praeter supra dicta coloniae Luceria, Venusia, oppida
Canusium, Arpi, aliquod Argos Hippium Diomede condente, mox
Argyripa
dictum.
Diomedes
ibi
delevit
gentes
Monadorum
Dardorumque et urbes duas, quae in proverbii ludicrum vertere,
Apinam et Tricam. Il passo solleva molteplici problemi, sia per quanto
riguarda l’anonima origine greca dei Teani, sia per la menzione di un
Calcante, sia infine per la sorprendente presenza (in questo contesto)
dei Lucani. Per la nostra analisi è importante la menzione di Diomede
e la fondazione da parte dell’eroe della città di Arpi-Argirippa, nota
anche da Strabone (VI, 3, 9) e dallo stesso Licofrone (vv. 592 ss.). La
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struttura del testo pliniano autorizza a pensare, tramite l’indicazione
ibi, che la zona in cui Diomede combatté contro Monadi e Dardi sia da
identificare con l’area di fondazione di Argirippa. La menzione di una
popolazione di nome Dardi in Daunia mi sembra un elemento di
grande interesse, data la somiglianza tra questo etnonimo e l’aggettivo
/ poleonimo Dardanos citato da Licofrone; una corrispondenza molto
più importante e trasparente di quella indicata dalla Ciardiello tra
Monadi e Monetio.
Per motivi linguistici, la studiosa 25 rifiuta invece un più diretto
collegamento tra questa città e l’etnonimo Dardi ricordato da Plinio,
poiché il termine latino dovrebbe presupporre un greco Davrdoi e non
Davrdai. La Ciardiello, sulla scorta dello Schwyzer 26 che porta
numerosi esempi di aggettivi con suffisso -anoı , ma nessuno che
testimoni l’aggiunta di un suffisso ad un nome in –o della II
declinazione, rifiuta quindi che l’etnonimo latino Dardi sia collegato
al toponimo greco citato da Licofrone, preferendo invece la sua
ricostruzione che lega questa città dauna all’Illiria.
In realtà, la Ciardiello abbandona un po’ troppo sbrigativamente la
possibilità che l’etnonimo Dardi sia da collegare alla città in
questione.
Come l’aggettivo tratto da Arpi figura ora come Arpinus ora come
Arpanus, non ci sarebbe nulla di strano in un aggettivo Dardanus
tratto da Dardi. E soprattutto, non è detto che l’unica ipotesi possibile
faccia di Dardanos un poleonimo derivato da un ipotetico Davrdoi, in
25
26
Ciardiello 1997: 100.
Schwyzer 1968: 488-490.
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latino Dardi; possiamo infatti anche pensare che Dardanos sia
l’aggettivo derivato dall’etnonimo, e non un poleonimo, indicante una
“città dardania”, intesa come città dei Dardi, e cioè di una
popolazione dauna.
Al di là infatti di motivazioni strettamente linguistiche, direi che è
troppo cogente l’esistenza nella zona di un etnonimo come Dardi, che
dimostra una sicura parentela con il poleonimo, o aggettivo,
Dardanus.
A me sembra che l’ipotesi più semplice sia di vedere nell’espressione
di Licofrone un riferimento alla popolazione dauna dei Dardi, e
contemporaneamente rileggere il testo come se dicesse “i principi dei
Dauni, e quelli che abitano la città dardania”, considerando i primi
come i Dauni più importanti, appartenenti alle altre città della Daunia,
i secondi come gli abitanti della città in cui, o presso cui, sorgeva il
tempio dedicato a Cassandra 27 ; in alternativa si potrebbe pensare che
Licofrone si riferisca ad una sola città, di cui menziona prima i
principi (Daunivwn a[kroi) e opi il popolo (oi{ te Davrdanon povlin
naivousi) Non possiamo infatti non notare la corrispondenza delle due
indicazioni topografiche forniteci esplicitamente da Licofrone: in
entrambe il riferimento spaziale è costituito dal lago, sia per quanto
riguarda la collocazione del tempio, sia in relazione alla città in cui
abitano i dedicatari del tempio. A rigor di logica il luogo del tempio,
27
Non così anche Torelli 1984: 326 ss., che identifica i due gruppi, mediante una
correzione testuale.
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se non era nella città direttamente, non poteva essere troppo lontano
da questa 28 .
L’elemento daunio ne uscirebbe così rafforzato, poiché esso solo,
senza interferenze esogene, avrebbe dedicato il culto, venendo meno
quella discrepanza prima notata tra i due gruppi di dedicanti.
Anche in questo senso, la nostra interpretazione si muove tutta
all’interno del mondo daunio, senza apporti dall’esterno.
Possiamo quindi propendere per un’espressione del tipo “città
dardania” nel senso dei Dardi, e non “troiana” come sostiene Torelli.
Tuttavia, come avremo modo di vedere, non è escluso che l’aggettivo
Dardanos, volutamente ambiguo, rimandasse ad entrambe le realtà.
4. Il mito di Diomede, a cui si lega quello di Atena Iliaca in Daunia in
tutte le sue varianti, corrisponde ad una progressiva stratificazione di
notizie, coagulatesi intorno alla figura dell’eroe. Queste notizie si
concentrano o sulle attività di Diomede nella regione (fondazioni di
città, atti religiosi, etc.), o sui rapporti non propriamente pacifici tra
l’eroe e i Dauni (morte di Diomede per mano di Dauno, impresa degli
Etoli, etc.) 29 . Un filone mitico particolare è proprio quello delle
28
Secondo la Ciardiello, non possiamo aspettarci delle precise indicazioni
geografiche da parte di Licofrone, dato che era un poeta e non un geografo; a questo
proposito cita il caso della sepoltura di Filottete presso il Crati. Ciardiello 1997: 107.
Per questo problema, cfr. anche Musti 1987 1991: 21-35. Giangiulio 1987 1991: 3753. Per le indicazioni geografiche di Licofrone, cfr. Edlund 1987: 43-49. Per quanto
riguarda le osservazioni della Ciardiello, non mi pare che nel caso specifico del culto
di Cassandra Licofrone si mantenga sul vago, dato che le due indicazioni fornite
sono coerenti e precise e collimano nel collocare il tempio presso il lago Salpe.
29
Non solo perché Diomede, già nella versione che forse risale a Mimnermo, è
ucciso da Dauno, ma anche perché uno scolio a Licofrone ci parla di un episodio in
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fondazioni di città da parte di Diomede in Daunia e dell’attività
dell’eroe in questa zona.
Da Livio (XXV, 12) e Strabone (VI, 3, 9) sappiamo che Diomede
cercò di bonificare il territorio paludoso compreso tra Salapia ed
Argirippa, che per questo motivo veniva chiamato Diomedis campus.
In questa stessa zona, presso il lago di Salpi, Diomede fondò 30
Salapia, porto di Argirippa (Vitruvio, De arch., I, 14, 12; Strabone,
VI, 3, 9). In particolare, sulla fondazione di Salapia esistevano due
tradizioni discordanti, ricordate da Vitruvio: Item in Apulia oppidum
Salpia vetus, quod Diomedes ab Troia rediens constituit sive,
quemadmodum nonnulli scripserunt, Elpias Rhodius, in eiusmodi locis
fuerat conlocatum. Sulla base di questa testimonianza, la Ciardiello
espunge Salapia dalla lista delle possibili città candidate ad essere la
cui certo è impossibile avvicinare Diomede e gli Apuli in senso positivo: si tratta
dell’episodio degli Etoli giunti in Daunia a reclamare la loro parte di terra a Brindisi,
che sarebbero stati uccisi e sepolti dagli Apuli. Questa notizia ci è fornita da Giustino,
XII 2 5-6, ma ne esiste anche un’altra versione nello scolio a Licofrone 1056: in
questo caso i Dauni seppelliscono vivi gli Etoli, e, fatto ancora più importante, viene
citato anche l’episodio della brutale uccisione di Diomede (antenato degli Etoli),
gettato in mare insieme alla stele, lasciato quindi privo di sepoltura. Al di là del
problema della fonte di questo episodio, resta il fatto che il rapporto Dauni-Diomede
nella tradizione ad un certo punto si è incrinato, o in relazione agli Apuli, o più
specificatamente in relazione ai Dauni. In altre parole, se accettiamo l’ipotesi che
nell’attribuzione di un culto ad una popolazione panellenica fosse insita anche una
motivazione politica, il personaggio di Diomede non poteva essere più utilizzato in
questo senso, dato che i rapporti mitici tra l’eroe ed i Dauni conoscevano anche degli
aspetti negativi, soprattutto per Diomede. Se esisteva una notizia che comprometteva
in tal modo i rapporti Dauni-Diomede, o se anche la figura di Diomede si legava,
come vuole il Nafissi, alle imprese di Alessandro il Molosso, l’elemento troiano, così
come si presenta nella notizia del culto di Cassandra, costituiva senz’altro un’apertura
verso il mondo dauno meno compromettente di quanto sarebbe accaduto se fosse
stato utilizzato Diomede, già carico di molteplici significati. Cfr. Nafissi 1992: 401420.
30
Per le fondazioni diomedee in Italia, cfr. Terrosi Zanco 1965: 273 ss..
195
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polis Dardanos di Licofrone, poiché né la fondazione rodia né quella
diomedea potrebbero accordarsi con la valenza troiana del poleonimo
(che peraltro la studiosa per altri versi nega). Oltre a ricordare che
questo passo costituisce verosimilmente un esempio di quella
stratificazione mitico-storica che si menzionava prima, e che per
questo motivo non può che riportare versioni non coerenti, dobbiamo
ricordare che senza dubbio le fonti antiche conoscevano Salapia e la
ponevano in relazione al lago e alla palude della zona 31 . Livio (XXIV,
20, 47), Plinio (III, 103), Cicerone (De leg. agr., 71) conoscono il
toponimo Salapia in relazione al lago, e Lucano (V, 377) menziona
una Salapina palus. D’altra parte, Strabone, mentre menziona Salapia
come porto di Argirippa (VI, 3 9), menziona anche la fondazione di
Elpie da parte dei Rodii 32 (XIV, 2, 10). Non torneremo in questa sede
sul problema dell’identificazione Salapia – Elpie 33 : qui interessa
notare la fondazione diomedea di Salapia e la collocazione geografica
della stessa. Si ricordi a questo proposito che Vitruvio, in relazione a
Salapia Vetus (fondazione diomedea), dice che i suoi abitanti in epoca
romana l’abbandonarono, perché posta in una zona insalubre e
paludosa. Rivediamo le parole di Licofrone sulla collocazione della
polis dardanos (vv. 1129-31):
nao;n dev moi teuvxousi Daunivwn a[kroi
Savlphı par’o[cqaiı, oi{ te Davrdanon povlin
31
H. Philipp, s. v. Salapia, in RE, I, 1920, coll. 2007-2009; Tinè Bertocchi 1981:
470-472; Degrassi 1965: 1072-1073; Ferri 1973: 351-364; Marin 1973: 365-388.
32
Per la colonizzazione rodia, cfr. Van Compernolle 1985: 35-45.
33
Tinè Bertocchi 1991: 166-174.
196
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naivousi, livmnhı ajgcitevrmoneı potw`n.
La città indicata da Licofrone è vicino (nel senso di confinante) alla
palude, esattamente come Salapia. E Salapia sorge nel territorio di
Argirippa, dove, secondo Plinio, Diomede distrusse i Dardi. Possiamo
dunque pensare che, a livello ovviamente mitico, Diomede abbia
fondato la città di Salapia dopo aver combattuto i Dardi che erano
nella zona, a cui forse apparteneva anche la città, o che forse
continuavano ad abitare. Di qui si spiegherebbe al definizione di “città
dardania”, nel senso di “città dei Dardi”, cioè Salapia.
5. In questo senso sarebbe possibile trovare una giustificazione
“storica” all’espressione di Licofrone. Tuttavia, dato anche il carattere
della poesia licofronea, oscura e volutamente allusiva, ritengo che
dietro a questa coniazione esistano ulteriori elementi, di pari
importanza rispetto all’esistenza di una popolazione di nome Dardi.
Si è visto infatti come la Daunia costituisca un vero e proprio
paesaggio troiano, ricca com’è di ricordi iliaci. Il fatto che l’eroe
principale di questa regione fosse un Acheo, non significa che la
caratterizzazione anche fosse l’unica percepita dalle fonti.
Il culto di Atena Iliaca non è che l’elemento più esplicito, e più
significativo, dei tanti tratti troiani presenti in Daunia. Ad esempio, lo
Pseudo Aristotele (De mirabilibus auscultationibus, 109), dopo aver
menzionato il culto di Atena Acaia in Daunia (identificabile con
quello di Atena Iliaca menzionato da Strabone) e le armi dedicate da
Diomede e dai suoi compagni, narra il mito topico delle donne troiane
197
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che, giunte qui con gli Achei, per sfuggire la schiavitù che avrebbero
imposto loro le donne achee, dettero fuoco alle navi. Di qui, secondo
lo Pseudo Aristotele, l’usanza delle donne del luogo di vestirsi di nero
(esattamente come le donne che si rifugiano nel tempio di Cassandra
per sfuggire le nozze) 34 .
Inoltre, sappiamo dallo scoliaste di Licofrone (v. 615) che secondo
Timeo e Lico di Reggio Diomede, dopo la distruzione di Troia, gettò
nella sua nave delle pietre tratte dalle mura di Troia, come zavorra.
Sempre secondo lo scoliaste, queste pietre sarebbero state tratte dalle
fondamenta degli edifici di Poseidone Amebeo, che fortificò Troia
insieme ad Apollo. Queste pietre, che poi nel prosieguo del racconto
dello scoliaste diventano stele (Alex., v. 625 e ad Lyc. v. 625) o
statue 35 (ma non è certa la discendenza timaica anche di questa
parte 36 ), rimandano chiaramente all’attività di fondazioni esercitata da
Diomede in Daunia, come già ipotizzato dal Gagé 37 , il quale ritiene
che queste pietre non fossero altro che segnali di confine. In effetti, il
testo di Licofrone (vv. 625 ss.) testimonia inequivocabilmente che
queste pietre indicavano il territorio dauno di cui Diomede si era
appropriato (di esse lo scoliaste dice che erano collocate peri; o{lon
to; pedivon). Dunque per Timeo, fonte di Licofrone, la pianura su cui
il mito voleva che Diomede avesse fondato alcune città, sarebbe stata
34
L’usanza era nota pure a Timeo, FGrHist 566 F 55. Per l’analisi di questo mito in
ambito italico, Martinez Pinna 1996: 21-53, 35-38. Cenni anche in Vanotti 2002 :
179-185, in part. 181. Vd. anche Vanotti 2000: 291-302.
35
Ad Lyc. v. 615.
36
Propende per Timeo Carulli 1977: 307-315, in part. 310, Pensano invece ad una
fonte non timaica Scheer 1958: ad loc., e Della Corte 1972: 221.
37
Gagé 1972: 735-788, in part. 756-762.
198
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limitata da pietre delle fondamenta dei principali edifici di Troia. E’
quindi evidente la caratterizzazione troiana della zona 38 .
A fare della Daunia una regione particolarmente ricca di tratti troiani
interviene anche una notizia di Servio (ad Aen., XI, 266), secondo cui
il Gargano sarebbe stato chiamato così da Diomede in ricordo del
Gargaron della Troade 39 .
Al di là delle caratteristiche troiane disseminate per la Daunia, il passo
stesso di Licofrone relativo al culto di Cassandra suggerisce come sia
Troia lo sfondo mitico su cui proiettare l’usanza delle donne daune:
nao;n dev moi teuvxousi Daunivwn a[kroi
Savlphı par’o[cqaiı, oi{ te Davrdanon povlin
naivousi, livmnhı ajgcitevrmoneı potw`n.
kou`rai de; parqevnion ejkfugei`n zugo;n
o{tan qevlwsi, numfivouı ajrnouvmenai,
tou;ı JEktoreivoiı hjglaismevnouı kovmaiı,
morfh`ı e[contaı sivflon h] mw`mar gevnouı,
ejmo;n periptuvxousin wjlevnaiı brevtaı,
a[lkar mevgiston ktwvmenai numfeumavtwn,
jErinuvwn ejsqh`ta kai; rJevqouı bafa;ı
pepamevnai qrovnoisi farmakhrivoiı.
(Licofrone, Alessandra, vv. 1129-1138)
38
Secondo la Carulli, queste pietre dovevano servire a perpetuare la gloria di Troia
in Italia. Carulli 1977: 313.
39
Così Terrosi Zanco 1965: 274. Gagé cita a questo proposito anche un’oscura
notizia riportataci da Siculo Flacco (Gromat. vet., p. 137), in cui lo studioso ravvisa
nell’espressione multas quas Phrygis Diomedis fines un riferimento ad un antico
popolo apulo, legato contemporaneamente ai Troiani e a Diomede. Tuttavia, il passo
è troppo oscuro ed incerto dal punto di vista della tradizione per poter permettere
qualsiasi ipotesi riferibile ad esso. Gagé1972: 767.
199
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Licofrone dà dei promessi sposi un’immagine grottesca e stridente:
essi sono fieri dei capelli alla foggia di Ettore, ma di aspetto brutto e
biasimevole. Le donne daune appaiono vestite di nero come le troiane
(si veda la già citata testimonianza dello Pseudo Aristotele).
L’unico particolare relativo agli sposi è la foggia della chioma.
Secondo lo scoliaste 40 , la chioma ettorea prevedeva i capelli corti
davanti e lunghi dietro, ed era caratteristica di Ettore, Teseo e degli
Abanti (già in Omero, Il., XXII, 401). Esichio 41 dice che questa
pettinatura, di origine troiana, era in uso presso i Dauni e i Peucezi.
Queste ultime testimonianze non specificano se tale pettinatura era
adottata specificamente per il matrimonio; tuttavia, sembrerebbe più
probabile che essa facesse parte del costume di questi popoli, non solo
nel contesto matrimoniale 42 .
Per quanto riguarda le vesti delle donne daune, oltre il passo dello
Pseudo Aristotele, abbiamo la testimonianza di Timeo 43 (citato dallo
scoliaste di Licofrone a proposito del passo in questione), secondo cui
le donne daune portano alte fasce, vesti nere, calzari alti, bastone, e si
dipingono il volto di rosso, ed è a causa di questo abbigliamento,
sempre secondo Timeo, che i Greci pensano alle Erinni. Secondo lo
Pseudo Aristotele invece esse sarebbero simili alle Troiane, così come
le descrive Omero.
40
v. 1133, s. v. touı jEktoreivoiı, ed Scheer.
S. v. jEktorevioi kovmai, ed. K. Latte.
42
Così già Ciaceri 1901: 1-51.
43
FGrHist 566 F 56.
41
200
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Progressivamente emerge la forte caratterizzazione troiana del rituale
descritto da Licofrone. Il poeta avrebbe descritto un rituale locale 44
con immagini e caratteristiche provenienti dal mito troiano, aiutato da
una tradizione che già di per sé assimilava gli usi locali a quelli troiani
(vedi Timeo), e autorizzato dalla forte caratterizzazione acheo-troiana
della regione dauna. Lo stesso culto di Cassandra potrebbe essere una
rilettura grecizzante di un uso locale, che Licofrone poteva già trovare
nella sua fonte. Non si dimentichi infine che Cassandra era una
troiana, ed anche per questo motivo il contesto in cui il suo culto si
inseriva doveva essere troiano. L’effetto straniante determinato dalle
parole del poeta è evidente: da una parte abbiamo il riferimento colto,
ellenizzante e letterario al mito troiano, dall’altra una realtà “rozza”, a
cui il medesimo mito viene applicato per consentirne una lettura
“sorprendente”.
A questo punto si capisce il perché dell’ambiguità semantica
dell’espressione Dardanos polis, in cui il poeta avrebbe racchiuso sia
il rimando alla popolazione locale, sia il riferimento, dalla funzione
ambivalente, all’aspetto troiano con qui viene presentato il culto.
L’ambiguità dell’espressione sarebbe servita appunto a richiamare in
modo implicito il mito di Troia ed in modo altrettanto artificioso la
popolazione dei Dardi. Un duplice significato che si riunifica in un
44
Notiamo che il culto di Alessandra / Cassandra, testimoniato anche in Laconia,
non ha gli specifici caratteri del culto dauno. Anche da ciò si potrebbe dedurre che il
rituale descritto da Licofrone fosse qualcosa di prettamente locale, determinato da
usi indigeni e non dall’eroina oggetto di culto. Per il culto di Cassandra in Laconia,
cfr. Salapata 2002: 131-155. Per il culto di Cassandra ed Agamennone ad Amicle,
menzionato da Pausania (III, 19, 6), cfr. Belger 1891: 1281-1283, 1315-1316;
Stiglitz 1953: 72-83: Calligas 1992: 31-48; Lyons 1997.
201
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comune denominatore: Diomede. Così come Diomede combatté
contro Troia, allo stesso modo in Daunia egli combatte contro i Dauni.
In questo senso si spiegherebbe dunque anche la forma del tutto
particolare dell’aggettivo, che costituisce quasi un hapax (secondo un
uso caro a Licofrone).
Salapia, città di fondazione diomedea, posta in una zona in cui erano
stanziati i Dardi, delimitata dalle pietre delle fondamenta di Troia, che
ospitava un culto troiano e abitanti dagli usi troiani, poteva essere
chiamata a buon diritto “città dardania”.
6. La correlazione tra mito e società rappresenta un problema
speculativo rilevante della cultura occidentale a partire dal dibattito
sulle forme mitologiche e religiose, così come emergono nella
tradizione mitografico-letteraria greco-antica. Teniamo presente, a tal
proposito, la prospettiva di Durkheim (1912), secondo il quale i miti
nascono come autorappresentazione sociale dell'umanità e del mondo
e costituiscono gli elementi basici di un sistema morale, cosmologico
e, in definitiva, storico, rafforzando la natura sociale degli uomini. Dal
punto di visto socio-antropologico, dunque, il mito costituisce, più che
una funzione della società umana, una dimensione parallela, rispetto
alla quale la società coesiste; l'ordine mitologico si sviluppa come
riflesso perfetto dell’ordine di eventi perfettibili che hanno luogo nella
storia,
garantendo
una
legittimazione
altrimenti
difficilmente
rintracciabile. In altre parole, il mito sembra poter colmare i gap
funzionali e strutturali che vengono maturando all’interno delle
202
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comunità e degli schemi culturali, riassorbendo e ammortizzando
incoerenze, stratificazioni, asperità intrinseche nella morfologia delle
architetture storico-sociali.
Che sia il codice culturale condiviso dalla comunità o la mano del
poeta (mai come in questo caso creatore di realtà) a definirne i
contorni, il mito proietta nelle sue maglie frammenti di verità
antropologiche, di dinamiche sociali che riemergono puntualmente ad
un’analisi attenta. Il materiale linguistico – il prodotto della poivhsiς
letteraria – ci si offre come testimone più o meno diretto, più o meno
attendibile di questo retaggio semi-sommerso, ma ancora decifrabile.
Poiché la narrazione mitica è una forma di comunicazione, la sua
struttura linguistica, o meglio la struttura dei suoi codici, si è prestata a
ipotesi diverse di interpretazione che hanno tentato di decriptare il
funzionamento e il significato del mito nelle relazioni di analogia che
attraversano la storia e la struttura del linguaggio stesso (Max Müller
1859; 1868). Decisivo a tal proposito l’apporto teorico di Lévi-Strauss
(1990), secondo cui il mito rappresenta un caso particolare di uso
semantico, un terzo livello oltre la superficie narrativa e la struttura
sottostante, dal quale emergono raggruppamenti di relazioni che, pur
espresse nel contenuto narrativo e drammatico, obbediscono all’ordine
sistematico della struttura linguistica.
Il caso della Davrdano" povli", così come emerge tra le pieghe del
poema licofroneo, pone indubbiamente problemi di interpretazione,
sia di ordine storico-archeologico, sia di ordine filologico-linguistico,
sia anche di ordine antropologico in relazione alla fruizione del
203
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materiale mitologico da parte dell’autore e all’eventuale legame tra la
sua prospettiva letteraria e la dimensione mitografica condivisa. È
dunque opportuno considerare brevemente la funzione del mito
nell’ambito di realtà di contatto tra greci e non greci, che si presume
possano essere rappresentate, nel nostro testo, dalla città in questione.
Citiamo a proposito Vernant (1974: 195):
En recherchant des procédures d’interprétation, des techniques de
déchiffrement susceptibles de conférer un sens à ce qui pouvait
d’abord paraître un fatras de fables saugrenues, on a été conduit à
mettre en question les conceptions anciennes et à s’interroger sur la
nature véritable de ce qu’on désignait du nom de mythe.
Può accadere che il mito personalizzi, che proietti sulla figura di un
eroe eponimo i disiecta membra di una consapevolezza storica
tramandata per via orale, focalizzando gli elementi della civilizzazione
autoctona sul personaggio eroico stesso. Può accadere che si sviluppi
una mitologia della “propaganda” funzionale alla necessità di
affermare il senso di appartenenza e di identità dell’ethnos in contrasto
rispetto all’alterità esoetnica o in ossequio ad un generale principio di
estensione culturale (quando non addirittura territoriale) sui popoli
contermini. A ciò si aggiunga che, proprio per via del mito, il fulcro
dell’identità poteva spesso risultare incentrato, nel mondo greco
antico, sull’idea di popolazione piuttosto che sull’idea di città (in
quanto entità topologicamente specificata). In tal senso andrà letta la
frequente presentazione mitografica dei gruppi etnici in associazione
ad un eponimo, che, per via genealogica, stabilisce la possibilità di
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costruire un albero di affiliazione storico-culturale ad un gruppo
geograficamente dislocato altrove e prescelto come latore di origine.
Particolare interesse desta l’intensità con cui il mito si attiva,
seguendo le vie appena delineate, nel contesto delle colonie della
Grecia antica; come sottolinea M.P. Castiglioni (2006: 128):
Le mythe est ici mis au service du renforcement du sentiment
d’appartenance commune des colons, de la légitimation de la
possession du territoire colonial et de la médiation du contact avec les
indigènes, notamment avec les élites.
Il fenomeno mitografico si inserisce, in questa prospettiva, all’interno
di un più articolato processo di acculturazione 45 che provoca
frequentemente la ricezione di temi e contenuti del patrimonio
mitologico dei colonizzatori da parte delle culture sulle quali essi
vanno a stratificarsi: una stratificazione, si badi, quasi mai acritica e
avventizia, ma fortemente votata alla circolazione di elementi di
scambio, se non addirittura di osmosi. Il baricentro del mito di
fondazione delle colonie andrà ricercato, dunque, nelle complesse
dinamiche che insorgono laddove si sviluppa un contatto sociale
persistente tra i coloni greci e i non-greci indigeni dei territori
coloniali.
45
«Once again, this process is indebted to the experience of anthropological studies: the
reflections developed in studies on American Indians in the late 19th century have led to the
introduction into the vocabulary and the field of scientific research of the word and notion of
“acculturation”, that is “the collection of phenomena resulting from direct and continued
contact between groups of individuals from different cultures with subsequent changes in the
cultural types of one group or the other”24. Later contributions, especially from the 1930s,
have permitted the introduction of new hypotheses, a better definition of working methods
and an early classification of the types of itineraries and acculturative agents». Castiglioni
(2006: 132).
205
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La nozione di acculturazione allude sostanzialmente ai processi di
trasformazione in aree di contatto culturale (qualcosa di apparentabile
ai processi di language attrition noti negli studi di linguistica) che
sottendono a cambiamenti destinati a radicarsi nel tipo culturale
dell’uno o dell’altro gruppo coinvolti.
Realtà così articolate furono con tutta probabilità ben rappresentate
dagli insediamenti di Magna Grecia, dove l’avvento e l’apporto etnico
dei coloni si depositava su un terreno già antropizzato da popolazioni
(la cui memoria storica sfugge talvolta alla possibilità di
identificazioni univoche) caratterizzate da una propria fisionomia
culturale. In un simile contesto, il mito, proiettando la propria matrice
greca su una dimensione che potremmo genericamente definire italica,
riesce a creare un codice concettuale ed espressivo condiviso
dall’ethnos indigeno e tale da poter essere impiegato per affermare
l’identità e i valori del nuovo gruppo costituito. Sottolinea ancora
Castiglioni (2006: 133):
In this case, the myth was often perceived as a vector of prestige and
therefore as an essential power factor: its social and political impact
was such that it contributed to the “heroisation” of indigenous
aristocracies. In these instances, one can witness the phenomenon of
mythic reception.
Come avrò modo di precisare tra breve, in relazione al caso della
Davrdano" povli" citata da Licofrone, talvolta si può ipotizzare che il
fondatore mitico dell’identità autoctona venga invocato come
206
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elemento storico-narrativo in virtù del quale si verifica la metamorfosi
del racconto leggendario in mito di fondazione.
L’esigenza sostanziale cui il mito di fondazione risponde sembra
essere la volontà, o meglio la necessità, di normalizzare i rapporti che
i Greci venivano instaurando con le popolazioni locali magnogreche;
si tenga presente, a questo proposito, la natura dissimetrica del sistema
di relazioni con l’altro che era tipica della grecità: occorreva integrare
e rendere produttiva su uno stesso territorio la coesistenza di due
elementi socio-etnici che la cultura greca percepiva come antitetici
(greco vs barbaro).
Néanmoins, en milieu colonial les Grecs se retrouvent en situation
particulière parce que leurs voisins sont précisément des populations
non grecques avec lesquelles ils sont contraints d’établir des relations
quotidiennes normalisées. Ils doivent alors produire pour eux-mêmes
une représentation de ces autres, et pour ce faire, ils utilisent le mythe
sous la forme d’un récit de fondation. (Lamboley 2006: 144).
Di più. Verisimilmente i coloni avvertivano il bisogno di giustificare
l’appropriazione di un suolo che non apparteneva loro ab origine;
poiché soltanto la condizione di indigeno poteva assicurare
l’inalienabilità del diritto sulla terra (Lamboley 2006: 147), era
necessario recuperare la legittimità del possesso proprio attraverso la
narrazione mitica, creatrice di realtà. Per tale via, essa garantiva da un
lato, la positività e l’ammissibilità dell’operazione di ingresso
coloniale, dall’altro di ascrivere la popolazione locale, integrata nella
città, ad un retaggio aulico, in cui la dimensione del mito poteva
207
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riscattare l’alterità etnica, rivalutandola nel segno di una progressione
di eventi guidati dalla volontà divina.
Nel caso della Davrdano" povli" – ma la notazione vale per le
numerose città dell’Italia meridionale la cui fondazione viene messa in
correlazione con l’avvento di un eroe legato alla guerra di Troia, ad un
nostos variamente motivato – ci troviamo davanti ad una struttura del
mito veramente peculiare, se confrontata con il sistema di valori sopra
descritto (Lamboley 2006: 147):
Once again, we are faced with symbolic inversions. We have an exile
and barbarians, the very two faces of “the anticitizen” which
established the civic community.
L’inversione
simbolica
consiste
proprio
nel
far
passare
la
legittimazione di una realtà sociale nuova e positivamente connotata
attraverso l’incontro mitologico tra due dimensioni della società
greco-antica costituzionalmente connotate in negativo: l’eroe, esule a
vario titolo, e i barbari locali si incontrano nel mito e innescano una
genesi civica che accrediterà la polis nel sistema di valori riconosciuto
dalla cultura di partenza. Per tale via si ha l’impressione che gli
autoctoni realizzino la fondazione della città concedendo il territorio
all’ingresso del culto esterno che funziona da mediatore tra la figura
greca eroica e il substrato etnico locale.
7. Puntiamo di nuovo il focus sulla città menzionata da Licofrone. In
questo caso siamo in grado di individuare diversi elementi mitografici
coerenti con lo schema interpretativo che abbiamo sopra delineato.
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Abbiamo Diomede, l’eroe greco esule dalla sua patria, Argo, dopo la
fine della guerra di Troia; abbiamo la presenza, sia pure storicamente
evanescente, di un popolo di Dardi localizzati in Daunia e, secondo
Plinio il Vecchio, nemici di Diomede (N.H., III, 104); abbiamo
soprattutto il culto di Cassandra – nella morfologia attestata da
Licofrone – che ristruttura palesemente il culto di Atena Iliaca. Se
invochiamo come principio di revisione dei miti originali una sorta di
transitività di segno opposto (per cui i motivi legati alla dimensione
greca si spostano sulla dimensione non-greca e viceversa), i dati
mitografici licofronei (confrontati con le altre testimonianze passate in
rassegna nei paragrafi precedenti) sembrano assumere una sostanziale
coerenza. Diomede, l’Acheo conquistatore di Troia, diventa esule
dalla propria patria e arriva in Daunia: l’esule assurge a fondatore.
Cassandra, la profetessa troiana che, nella tradizione legata all’Atena
iliaca, cercava salvezza presso l’effige della dea, diventa effige e
a[fqito" qea; a sua volta, rifugio cultuale delle vergini che intendono
sfuggire un legame maritale non gradito; gli sposi promessi paiono
peraltro vestire, in forma quasi caricaturale, i panni di emuli di basso
rango dei principi troiani. L’inversione simbolica sembra inverarsi a
pieno titolo anche all’interno del circuito mitologico della Davrdano"
povli".
Se si tiene conto poi del riferimento, pure solo alluso, ai Dardi di
Daunia, la catena del mito sembra chiudersi con una sorta di modulo
storico-antropologico Greci vs Troiani, dislocato in territorio di
Magna Grecia. Consideriamo infatti l’osservazione di Gigante
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Lanzara (2000: 388), secondo cui la nostra città sarebbe «collegata
alle relazioni dell’Apulia con l’Illiria, dove è testimoniata da Solino
(II 51) l’esistenza di un popolo di Dardani, considerati di origine
troiana»; l’accostamento, per via puramente onomastica, tra i Dardi di
Daunia, sottomessi da Diomede, e i Dardani di Illiria risulta alquanto
suggestiva e confermerebbe, se non altro, una notevole circolazione di
etnonimi di ascendenza iliaca nelle colonie occidentali.
8. A livello eminentemente linguistico, non si pone, a nostro avviso, la
necessità di sofisticare in merito alla struttura morfologica
dell’aggettivo davrdanoς, on, che non sembra porre grossi problemi di
accettabilità, sia che lo si consideri aggettivo denominale da Davrdanoς
(forma, si è detto, attestata), sia che lo si ponga in relazione con il
nome dei Davrdai; in quest’ultimo caso si ammette una trafila
morfologica #Davrd+ai# > #Davrd+ano+ς# che non risulta così
peregrina. La struttura è quella tipica degli aggettivi di appartenenza
geografica ed etnica che impiegano un suffisso in nasale in no-ς, nh
preceduto da a(h), i, come in Sardini-anov-ς, Lamyak-hnov-ς, Buzantinov-ς (cfr. Smith 1984: 233).
Se passiamo a considerare la struttura metrica del verso 1129 (quello
in cui appunto occorre il nostro poleonimo) possiamo formulare
alcune osservazioni essenziali. La struttura del trimetro giambico 46 ,
con dieresi dopo il terzo piede, assume la forma:
46
Cfr. Martinelli (1995: 75 sgg.).
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− − | ∪− | − − || ∪− | ∪− | ∪−
Savlphς | par∆ o[c- | -qaiς oi{ || te Davr- | -danon | povlin
A parte le lunghe irrazionali del primo e del terzo spondeo, il trimetro
non manifesta anomalie; il piede 5° presenta la struttura di un giambo
regolare, in cui la vocale breve della desinenza -o(n risulta allungata in
posizione di contiguità rispetto al nesso metrico diconsonantico o#n +
p-. Questo dato ci induce a considerare che la scelta della forma
Davrdanon,
aggettivale
in
luogo
di
un
eventuale
dardavnion/dardavneion, potrebbe rispondere ad alcune motivazioni di
carattere metrico e stilistico.
Innanzitutto, l’uso di dardavnion/dardavneion avrebbe comportato
un’anomalia metrica del piede: sia nel primo, sia nel secondo caso,
dovremmo accettare un anapesto (-da(ni(o#n/-da(nei(o#n Æ ∪∪−),
struttura piuttosto improbabile nel secondo colon e per di più in
posizione
avanzata,
laddove
l’accelerazione
ritmica
indotta
dall’eventuale soluzione sarebbe normalmente accettabile piuttosto ad
inizio colon 47 :
47
Nel trimetro tragico il piede anapestico occorre esclusivamente in posizione
iniziale del primo metron (Korzeniewski 1998: 60). A questo proposito, i dati di
frequenza registrati in Descroix (1931: 112-117) evidenziano come il 5° piede sia
sede assai poco probabile per la soluzione anapestica, quantomeno nel metro tragico,
che Licofrone ripete accuratamente. La possibilità di occorrenza dell’anapesto,
peraltro, è di norma sottoposta ad un ulteriore vincolo: «In tragedy this license is
restricted, except in the first foot, to proper names, and the syllable scanning ∪∪−
must all belong to the same word.» (West 1987: 26); nel nostro caso la soluzione
riguarderebbe una forma aggettivale, per quanto derivante da nome proprio.
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L’intrusion de l’anapeste rompait donc le rythme en faisant galoper la
récitation et enlevait de sa noble dignité au vers : aussi son emploi
demeure limité dans le trimètre sévère des iambographes et de
tragiques (Descoix 1931: 195).
Se è vero che, per quanto concerne il metro, «la caratteristica
peculiare dell’Alessandra è la regolarità» (Gigante Lanzara 2000: 42),
la scelta dell’aggettivo davrdano" risulta pressoché obbligata; il quinto
piede, infatti, tendenzialmente non è sede, nel trimetro rigoroso, di
soluzione, ciò che comporterebbe la lezione dardavnion/dardavneion.
Non si tratta ovviamente di una prova dirimente a favore
dell’interpretazione aggettivale dell’occorrenza, ma è opportuno
tenerne conto per valutare la accettabilità lessicale e semantica del
termine.
Conoscendo la predilezione licofronea per stilemi espressivi arditi,
inoltre, potremmo a buon diritto ipotizzare che si tratti di una scelta
stilistica mirata; come sappiamo, Licofrone è incline alla ricerca
lessicale non scontata, al gusto del peregrino, per cui, soprattutto
«all’aggettivazione, originale perché costituita in gran parte da hapax,
è affidata la non comune attrattiva delle immagini» (Gigante Lanzara
2000: 42). In questo caso, la suggestività del richiamo paronomastico
all’etnonimo Davrdai, unito al riferimento eponimico che allude
all’eroe del mito, costituirebbe un caso efficace di multiple causation
(cfr. Pap 1992); in altre parole, la quasi omofonia tra le radici delle
due denominazioni avrebbe indotto il nostro autore a sfruttare il gioco
verbale, contando probabilmente sulla risposta evocativa che si
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sarebbe attivata nel lettore, grazie alla consapevolezza della doppia
matrice referenziale dell’aggettivo. Entra qui in gioco la circolazione
del patrimonio mitologico ristrutturato nel territorio della colonia, che,
evidentemente – se vale la nostra ipotesi – avrebbe trovato una
diffusione tale da giustificare l’impiego letterario di una suggestione
epica nota.
Si consideri, in ultima analisi, la struttura del sintagma nominale
Davrdano" povli": sembra assai probabile che lo si possa interpretare
piuttosto come un nesso Aggettivo (in posizione attributiva) +
Sostantivo (povliς), in alternativa alla lettura corrente che individua un
sintagma Sostantivo (povliς) + Nome geografico: quest’ultimo caso
viene infatti frequentemente espresso con il genitivo del nome di città,
o con l’articolo in posizione attributiva o oppositiva. Precisa inoltre
Carrière (1960: 11):
L’apposition […] aide seulement à identifier l’être ou l’objet, supposé
connu, dont le nom lui est apposé […] ; le grec exprime alors d’abord
le nome propre, puis son apposition, introduite par l’article : Silhno;ς
oJ mavntiς, hJ Ai[tnh to; o[roς, jAristeivdhς oJ Lusimavcou (s.e. uiJovς).
Valgono a tal proposito anche gli esempi proposti da Smith (1984:
291): hJ Mevndh hJ povliς, Mevndh hJ povliς, in cui l’articolo sembra
svolgere la funzione di determinante essenziale per il sintagma
nominale. Nel nostro caso, invece, la struttura corrisponderebbe
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perfettamente alle due occorrenze omeriche (Il. 2, 701; 16, 807) in cui
davrdanoς ajnh;r significa appunto “eroe dardanio, troiano”.
«L’oscurità asseconda la predizione ispirata di Cassandra, ma la
rappresentazione criptica del mito e della storia è soprattutto gara di
sottigliezza e di erudizione, sfida al lettore, gioco intellettualistico»
(Gigante Lanzara 2000: 39); in questa prospettiva, mi sento di
propendere – come già anticipato – per una lettura della Davrdano"
povli" come “città dardania”, ovvero città di Dardano e dei Dardi: una
perifrasi semanticamente ed etimologicamente ancipite e per ciò
stesso più potente dal punto di vista connotativo.
In buona sostanza, verificato che i limiti linguistici che si impongono
alla lettura del nostro passo come riferimento ad una città dardania
(piuttosto che ad una imprecisata città di Dardano) risultano, alla
nostra analisi, inconsistenti, ritengo inopportuno ipotizzare l’esistenza
di un sito non altrimenti identificabile e non altrove indicato dal
presunto poleonimo Davrdanoς. Salapia è un’ottima candidata come
città dardania (per le ragioni storico-documentarie e geografiche che
abbiamo sopra enunciato) e le caratteristiche della versificazione
licofronea (sia sul piano stilistico, sia su quello metrico) sembrano
deporre a favore della nostra ipotesi, o quantomeno non smentirla.
Oltre a ciò la tessitura dei dati mitografici, così come possono essere
inferiti dal passo in questione dell’Alessandra, lasciano ampio spazio
ad una interpretazione coerente del mito di fondazione relativo al sito
alluso, come luogo di incontro culturale e cultuale tra due matrici
etniche – quella italica e quella greca – secondo stilemi antropologici
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e mitologici diffusi nei contesti di colonizzazione ellenica magnogreca.
Nel caso della nostra città, probabilmente ci troviamo di fronte
all’approdo paradossale di una tradizione che vuole rivendicare un
passato troiano (e forse una più alta e nobile antichità) ed esprime
quest’aspirazione attraverso la commistione superficiale tra il nome
della popolazione autoctona e il nome dell’ascendente eponimo
dell’alta rocca di Priamo, riuscendo così a celebrare, nella
dimensione parallela dell’a[ition, le proprie mitiche glorie nella guerra
troiana: la Davrdano"
povli" come città dell’eroe greco, della
profetessa troiana, del popolo, la cui assonanza onomastica con
Dardano, garantisce il trait d’union con la matrice iliaca.
FEDERICO RUSSO* E MASSIMILIANO BARBERA**
*UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE
**UNIVERSITÀ DI PISA
[email protected], [email protected]
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