parte iii - Silvia Bordini

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parte iii - Silvia Bordini
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IN ITALIA
In Italia la videoarte appare ufficialmente nell'ambito della mostra Gennaio'70, 3° biennale
internazionale della giovane pittura. Comportamenti Progetti Mediazioni, al Museo Civico
di Bologna dal 31 gennaio al 28 febbraio 1970, con saggi introduttivi di Renato Barilli,
Maurizio Calvesi, Tommaso Trini. Si tratta di una collettiva sulle tendenze artistiche più
recenti - largamente concettuali e comportamentali - presentate all'interno di un ragionamento
critico che fa i conti ancora con la fisicità dell'informale, con il superamento della Pop art,
con le disponibilità alla metafora dell'arte povera, con gli sconfinamenti nello spazio, da un
lato, e nell'immateriale dall'altro; e tocca inoltre i problemi ideologici, le richieste di
procedere «oltre l'estetico» (Gennaio 70, Trini), il che fare dell'arte e dell'artista, così
pregnante in quegli anni.
In questo contesto vengono trasmesse con un sistema a circuito chiuso le registrazioni delle
azioni di vari artisti: Nell'istante in cui appaiono queste scritte è trascorso il tempo che un
giorno la mia ombra partita all'alba dalla cima dello Stromboli ha impiegato per percorrere
una distanza pari a quella fra il Sole e la Terra, di Giovanni Anselmo; Fluidità radicale di
Gilberto Zorio; Io e i miei cinque anni della mia reale reale predica di Pierpaolo Calzolari;
La serie di Fibonacci di Mario Merz; Antibiotico / Registrazione con oggetto di cera e sintesi
elettrica di Marisa Merz; Lettere d'alfabeto di Giuseppe Penone; Numerazione di Alighiero
Boetti; Riflessioni di Michelangelo Pistoletto; Magnete/ Proiezione TV. Programmazione di
elementi a proiezione miniaturizzata con cancellazione alterna nel quadro di Emilio Prini;
Fiori di Fuoco di Jannis Kounellis; Preghiere marziane di Luca Patella; Chiodo fisso di
Claudio Cintoli; Alta acrobazia di Eliseo Mattiacci; Riflessione speculare di Mario Ceroli;
Quid nihil nisi minus? di Luciano Fabro; Vobulizzazione di Gianni Colombo;
Presdigitazione. Tentativo di volo. Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi
intorno ad un sasso che cade nell'acqua. La morra cinese di Gino De Dominicis; e infine
Gianni Emilio Simonetti, il cui video (Camera folta (a, a, a,) (acquitrino, ansietà artificio)
basato su una telecamera modificata non venne presentato per inconvenienti tecnici (Barilli
1970).
Il settore «video-recording» della mostra è segnalato come la sperimentazione di un mezzo
«inedito particolarmente intonato ai caratteri di una 'civiltà elettronica' avanzata» (Gennaio
70, Barilli); esplicita è l'attenzione a quanto avviene all'estero, difatti vengono presentati
anche Land Art di Schum e Eurasienstab di Beuys. E' interessante notare i termini con cui
critici e artisti e pubblico si riferiscono a queste immagini e tecniche, osservate come una
novità assoluta e nello stesso tempo valutate nella loro continuità con gli orientamenti
contemporanei. Il pubblico protesta, e non solo per il cattivo funzionamento tecnico che crea
ostacoli alla trasmissione ma anche perché avverte, risentito e smarrito, lo «sfasamento tra il
campo dell'arte e il campo dell'estetico» celebrato dalle registrazioni video di azioni e
comportamenti (mentre maggiore consenso avrà nel '75 la rassegna organizzata da Tommaso
Trini alla mostra Arte video e Multivision alla Rotonda della Besana di Milano) (Calvesi
1978). Da parte dei critici (Barilli in particolare) si delinea la tendenza ad analizzare il videorecording in rapporto alle opere, cercando di individuare nello strumento tecnico la specificità
linguistica dei prodotti artistici, sulla scorta della ripresa e della critica delle idee di McLuhan
sugli esiti sociali e culturali della diffusione delle comunicazioni elettroniche. Del mezzo
televisivo vengono sottolineate le differenze rispetto a quello cinematografico, a supporto
rigido e condizionato dai tagli e dal montaggio, mentre il nastro elettromagnetico è
«morbido» e capace di affidare le immagini ad un flusso visivo, in sintonia con il flusso della
vita; ma va notato inoltre come la novità delle esperienze video sia subito ridimensionata con
l'allusione ad «un clima avveniristico da futurologia, da anni duemila» (una presa di distanza
non priva di predizione, visto il clima computerizzato e telematico in cui viviamo oggi alle
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soglie del duemila). Lo stesso Barilli torna comunque sui video-recording in un articolo su
Marcatre, e affronta il discorso sul nuovo tipo di memorizzazione e conservazione di azioni e
comportamenti connaturati all'atto e all'attimo, per il tramite di mezzi che appaiono neutri e
distaccati, come uno «specchio limpido e fedele». Ma si chiede anche quanto essi siano
«semplicemente sussidiari dell'esperienza estetica, o costitutivi di essa».
Per rispondere a questa domanda di fondo l'autore propone una rubricazione delle esperienze
video degli artisti di Gennaio 70 secondo alcune categorie che corrispondono all'esigenza di
fondare una terminologia e un metodo di lettura specifico: iterazione, per la monotonia
esasperata e la ricerca di pura durata in Boetti, che aumenta serialmente un conteggio dei
numeri primi ritmandola al suono di una percussione, e in Merz che accosta la serie di
Fibonacci al suono stridulo di un violino; fissazione dell'immagine, per la specularità di
Calzolari (le scritte), di Ceroli (tra una sagoma di legno e una persona vera), e di Marisa Merz
(tra se stessa e una calotta di cera); taglio casuale, per la scrittura di lettere con la telecamera
sul cielo e sulla terra in Penone, e per la casualità fluida del divenire degli oggetti in Zorio;
metateatro, per il gioco tra specchio, telecamera e video, tra il vero e il suo doppio in
Pistoletto e per le scansioni ritmiche tra percezione e non-immagine nel televisore accesospento-acceso di Prini; montaggio,
per la meditazione sul nulla di Fabro, e per
l'affabulazione magico-tecnologica di Patella sulle tracce di un'invasione spaziale;
concettualità, per i segnali di Mattiacci sull'idea di equilibrio, per i gesti-metafora di De
Dominicis, per la misurazione visiva del tempo che la luce impiega per arrivare dal sole alla
terra di Anselmo; elettronica per la messa in libertà e insieme il controllo del flusso
elettronico in Colombo; spettacolo-happening, per la pura registrazione delle azioni di
Kounellis (i fiori di fuoco sul pavimento) e degli invasivi grovigli inchiodati da Cintoli.
Da parte degli artisti le posizioni e le scelte appaiono strettamente legate alle rispettive
poetiche (poveristiche, concettuali, performative), e l'escursione nel video non sembra
indicare una vera adesione al mezzo quanto un travasamento di temi e motivi; la loro
esperienza col video rimarrà in genere abbastanza sporadica, anche se alcuni di essi si sono
già confrontati con la ripresa filmica e produrranno anche in seguito altri interventi di
videoarte (per esempio Patella, Pistoletto, Fabro, Merz).
Si distacca tra tutti Gianni Colombo, che ha alle spalle una precedente ricerca sulle possibilità
di interazione tra arte scienza e tecnologia come artista cinetico e esponente del Gruppo T.
Segnali Vobbulati - spiega Colombo - è un video costituito da «immagini ottenute
utilizzando un pattern generatore A che genera direttamente il segnale elettronico B
successivamente deformato variando le frequenze e l'ampiezza dell'unità di riflessione sul
piano orizzontale». Tra le tante opzioni proposte dal mezzo televisivo l'artista sceglie dunque
(o forse semplicemente reinventa) quella paikiana dell'intervento diretto sul dispositivo e
della deformazione del segnale per programmare l'autogenerarsi di immagini astratte,
scavalcando il vincolo del riferimento ad una realtà esterna al mezzo stesso. Ne deriva una
sequenza di patterns geometrici che si aggregano e si disgregano in un equilibrio
caleidoscopico: «Basta un nulla, un piccolo incidente tecnico per far fuggire il flusso
elettronico dalla gabbia in cui lo obblighiamo, e allora assistiamo allibiti, sui teleschermi, ai
balletti sfrenati che esso celebra. Qualche artista doveva pur scegliere di dare libertà alla
belva, di lasciarsene trascinare: o meglio di controllarla, ma nei suoi stessi scatti e impulsi di
animale libero. E' quanto si è incaricato di fare Gianni Colombo, ottenendo brillanti risultati
di danze cinetiche», commenta Barilli su Marcatre. Mentre Colombo afferma: «Nella
convinzione che un oggetto destinato ad un uso visivo, qualunque sia il significato che
intende comunicare è in origine una emittente di luce stimolante gli organi della visione e
quindi rappresenta un certo modo di organizzare la luce, consentaneo ci appare l'impiego, in
tali oggetti, della luce artificiale in quanto è il mezzo più misurabile e diretto per intervenire
nel processo ottico percettivo dell'osservatore e ciò con massima economia negli elementi
presentazionali. Fra le numerose sorgenti di luce artificiale di cui possiamo disporre il
cinescopio TV è una delle più complesse e internamente modulabili. In questa esperienza ho
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scelto di utilizzare la televisione quale possibilità per indagare 'segnali' ottenuti
elettronicamente e non come strumento di registrazione di oggetti ripresi dalla realtà»
(Gennaio 7O). Questa di Colombo è una dichiarazione che salda come meglio non si
potrebbe l'esperienza dell'arte cinetica e programmata a quella della videoarte; nella
continuità di un'indagine rivolta a sondare la percezione e la sua attivazione attraverso il
controllo e la modulazione dinamica della luce, l'artista si trova quasi naturalmente a fare i
conti con l'uso creativo della televisione come fonte di luce artificiale e come strumento di
programmazione di immagini in continua trasmutazione.
Un altro polo di interesse, vivace e significativo quanto di breve durata, si accende nel 1971 a
Roma, dove la Galleria dell'Obelisco, gestita da Gaspero del Corso, promuove la
VideObelisco AVR (Art Video Recording), una sezione video intesa come struttura fissa per la
sperimentazione tecnica ed espressiva e come offerta concreta di apparecchiature e spazi agli
artisti e al pubblico.
Già in aprile la VideObelisco è in grado di presentare un videotape di 45 minuti al I° Marché
International des Programmes et Equipements Vidéocassettes et Vidéodisques di Cannes. E il
14 maggio si svolge una videoserata coordinata da Francesco Carlo Crispolti e corredata da
un piccolo catalogo denominato Videolibro n°1, Improvvisazioni su videonastro VPL 6 IC,
Videoregistratore LDL 1000, Telecamera Mini Compact . «Videoregistrazione come modulo
nuovo; telecamera e videotape come memoria presa diretta provocazione, dissenso dai canali
ufficiali, happening gesto presenza casualità spontaneità scatole cinesi, e infinite altre
possibilità per le arti visive, questa volta inserite nel concetto più vasto di informazione annuciava Crispolti nell'occasione - (...) la videoregistrazione offre un canale preciso allo
sforzo dell'arte d'oggi diretto a penetrare nelle possibilità interne del flusso del reale».
Vengono proposte varie opere tra cui Vobulazione e bieloquenza (1970) di Gianni Colombo e
Vincenzo Agnetti (cui si deve l'elaborazione sonora), una ricostruzione elettronica del
balletto astratto Fuoco d'artificio di Balla-Strawinski-Diaghilev (del 1917), Il mio occhio di
Franco Berdini, Alberi parlanti di Luca Patella e Sculture sonore di Attilio Pierelli, che
l'artista aveva impiegato già in un Concerto di sculture come strumenti musicali tenuto a
Roma nel febbraio 1966 (VideObelisco 1971).
L'aspetto più nuovo, almeno per l'Italia, era dato dall'utilizzazione delle telecamere a circuito
chiuso che trasformavano un normale vernissage in un confronto diretto, estemporaneo e
simultaneo, degli spettatori con i nuovi mezzi, nel segno della fusione dei ruoli tra artista e
fruitore e dell'intreccio e scambio di tempo e spazio. Un sistema di videorecorders, monitor
e telecamere trasmetteva in diretta, da diverse angolazioni, quanto avveniva dentro e fuori la
Galleria, ripetendo varie volte le diverse riprese e mescolandole con i video degli artisti
(Circuito chiuso aperto, 1972).
L'attività della videogalleria continua: ad agosto Gerald Minkoff presenta il video 23' 18" ,
realizzato con una telecamera, due videoregistratori e due monitors, senza montaggio, basato
sull'ipotesi dell'autorappresentazione. A novembre si susseguono altre tre serate, con la
partecipazione di Minkoff, Shu Thakahashi, Patella, Yamaguchi, e con i contributi del
pubblico. All'epoca il direttore della Galleria è Cesare Bellici, e Paolo Melodia il tecnico
elettronico; insieme avviano delle sperimentazioni di televisione via cavo condominiale
collegando il cavo del videoregistratore ai canali liberi della televisione domestica con
antenna centralizzata. L'esperienza viene a far parte della documentazione del libro
Programmazione tecnologica e processi di comunicazione, edito nel 1972 dall'Ente
autonomo Fiere di Bologna; a maggio del '72 la Videobelisco partecipa ai «videoeventi »
della galleria Impact di Losanna (Circuito chiuso aperto, 1972).
In questo periodo l'interesse per il video artistico si afferma e si espande attraverso numerose
iniziative; alcune sono interventi saltuari, per esempio a Roma quelli della Galleria L'Attico,
della mostra Contemporanea (1974) o di Incontri Internazionali d'Arte; altre segnano invece
l'avvio di gruppi di lavoro e centri di studio, produzione, distribuzione. A Milano si
costituisce il Gruppo OB, a Padova nel '72 il CS-Centro di Sonologia Computazionale
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dell'Università di Padova diretto da Graziano Tisato (per musica e suono informatico); a
Venezia Paolo Cardazzo fonda il centro Il Cavallino. A Firenze nel '73 si forma Magazzini
Criminali, su teatro e video e nel '74 inizia l'attività di Art Tapes 22 una galleria gestita da
Maria Gloria Bicocchi che propone video di numerosi artisti tra cui Acconci, Viola, Davis,
De Dominicis, Agnetti, Kounellis, Paolini, Jonas, Muntadas, Abramovic, Rainer, Lûthi
Chiari, Baldessari, Vaccari, Boltanski, Burden, Kos (Cominciamenti 1988). Nel 1976 a Roma
si organizza la compagnia teatrale Gaia Scienza, di Giorgio Barberio Corsetti, su teatro,
video e videoinstallazioni. Seguiranno i gruppi dello Studio Azzurro (1981), di Correnti
Magnetiche (1984), le rassegne di Bologna (L'immagine elettronica (1983-86), di Pisa
(Ondavideo dal 1985), di Taormina Arte (dl 1987), di Milano (Invideo) (Gazzano 1991).
Intanto già nel 1968 Luciano Giaccari aveva costituito una videoteca a Varese, a tutt'oggi
ricca e operante, nata dal progetto Televisione come memoria per la documentazione video
delle opere che partecipavano alla 24 di no stop Theatre, opere di fumo e di vento,
esperimento di nuovo teatro; una manifestazione realizzata con lo Studio 970/2, corredata da
24 monitors che ogni ora trasmettevano in diretta e in differita gli eventi in corso.
L'attenzione per il settore musica danza e teatro rimane caratterizzante, mentre la videoteca si
allarga ai video d'artista, con opere tra gli altri di Chiari, Fabro, Luthi, Maud, Nagasawa,
Oppenheim, Ravedone, Trotta, Vaccari, Mambor. Poco dopo Giaccari progetta una rivista,
Videocritica, e nel '72 redige la Classificazione dei metodi di impiego del videotape in arte;
l'intento è quello di definire gli ambiti dell'uso del video, a livello teorico e pratico, all'interno
di un'esigenza di sistematizzazione non dissimile da quella già osservata in Barilli a proposito
di Gennaio 70, e stimolata, come spiega lo stesso autore, dalla mancanza di definizione
dell'oggetto video pur nell'ambito di una sua larga diffusione nella «miriade di ineffabili
opere realizzate da fotografi, creativi pubblicitari, grafici, musicisti e poeti-prodigio, autori di
teatro, compilatori di 'video-lettere' e chi più ne ha più ne metta» (Memoria del video 1987).
«La classificazione dei metodi di impiego - come scriveva Giaccari - si basava su due ipotesi
fondamentali: nella prima l'artista ha un rapporto diretto con lo strumento, che usa per scopi
creativi; nella seconda l'artista ha un rapporto mediato con lo strumento, che viene usato da
altri sulla sua opera creativa e con finalità prevalentemente documentarie o didattiche». Su
queste basi venivano distinti vari tipi di impiego diretto e creativo: il videotape, che usa un
linguaggio specifico indipendente dalle situazioni della performance, dell'allestimento o del
concerto; la videoperformance/videoenvironment, in riferimento ad azioni o allestimenti
creati con l'impiego di circuiti chiusi in diretta e/o registrati, e alla «performance in video»
per indicare le azioni concepite espressamente per essere registrate. Per l'impiego mediato del
video Giaccari indicava invece le videodocumentazioni di performances, concerti e spettacoli
teatrali, intese come memorizzazioni ed espansioni del fenomeno artistico originario,
individuando l'importanza della maneggevolezza del video nei confronti della ripresa
cinematografica, della non selettività nei confronti della fotografia, ma anche i rischi
dell'interpretazione soggettiva legata alla mediazione dell'operatore. Infine, ancora nel settore
non direttamente creativo, venivano annoverati il videoreportage, la videocritica, la
videodidattica, auspicando una migliore organizzazione dell'aspetto editoriale e dei circuiti di
visione, produzione e distribuzione dei video, problemi a tutt'oggi in gran parte ancora da
risolvere. Non a caso queste tematiche sono in una certa misura riproposte nell'interessante
rassegna di Giaccari alla Biennale di Venezia del '93, il progetto Museo Elettronico.
UMANIZZARE LA TECNOLOGIA ?
La più importante comunque tra tutte queste iniziative è certamente quella di Ferrara dove,
nell'ambito della Galleria Civica d'Arte Moderna nasce nel '72 il Centro Video Arte di
Palazzo dei Diamanti, sostenuto con impegno e passione da Lola Bonora. Le attività del
Centro crescono rapidamente dalle iniziali intenzioni documentarie verso interventi di
promozione di un ventaglio più vasto di ricerche, dibattiti, incontri, mostre che ne fanno
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presto un punto di riferimento non solo in Italia ma nel contesto internazionale della
crescente attenzione per la videoarte. Nel '75 è il Primo Convegno Internazionale sull'Arte
del Video, che avvia lo scambio sempre più fitto con Parigi, Buenos Aires, Anversa,
Barcellona, New York; dall'82 si svolge la rassegna annuale di Video Makers U-Tape, dal
1984 quella di videoinstallazioni VideoSet, che nel '90 si trasforma in PoliSet, allargandosi al
confronto con altri orientamenti rappresentativi delle diverse pratiche dell'arte contemporanea
(Poliset 1992-93). Un elemento caratterizzante dell'attività del Centro sta nel fatto che non si
limita a presentare artisti di calibro internazionale, ma produce le loro opere, qualificandosi
come un'esperienza unica nell'ambito del panorama museale italiano. Lavorano a Palazzo dei
Diamanti Caudio Cintoli, Cristina Kubish, Giuliano Giuman, Klara Kuchta, Nanda Vigo,
Gretta Safarty, Giuseppe Chiari, Fried Rosenstock, Sylvano Bussotti, Marina Abramovic,
Ulay, Peter Christopher, Wolf Kahlen, Demetrio Stratos, Françoise Sullivan, Andy Warhol,
Robert Rauschenberg, Emilio Vedova, Jim Dine, Christo, Terry Fox, Mac'Adams, Maurizio
Camerani, Giorgio Cattani, Fabrizio Plessi (Castello elettronico 1984).
Esemplare e di grande rilievo culturale è proprio la lunga collaborazione con Fabrizio Plessi,
la cui intera produzione di video, videosculture e videoinstallazioni è realizzata nel
laboratorio di Ferrara, in stretta collaborazione con Carlo Ansaloni, a partire dai videotapes
Acqua-biografico, una raccolta di 250 progetti, e Travel, che riceve il premio di Asolo.
Quando inizia questo rapporto, nel 1973, Plessi è un giovane artista che si è formato
all'Accademia di Venezia e che ha scelto come filo conduttore delle sue ricerche una
personale e particolare riflessione sul tema dell'acqua. Progetta spugne gigantesche da calare
in mare per assorbire l'acqua alta a Venezia (1970); per un mese tutte le mattine annaffia la
Senna con acqua distillata, e poi con un martello e un chiodo buca trecento volte la superficie
del fiume (1973); fa sgorgare dai rubinetti piume e gocce di luce, o con un paio di forbici ne
taglia l'acqua in cento pezzi della lunghezza ciascuno di un minuto (1973); fonde insieme il
suono di un flauto e quello dell'acqua in gola (1975) e analizza il rapporto tra immagine e
rumore (1976); sega in due parti uguali il lago Stichter (1975) e cerca di attraversarlo
camminandovi sopra (1975), (Plessi 1977).
Il sapore neodadaista e concettuale di queste ed altre consimili azioni si conserva in numerosi
videotapes e si stempera, arricchendosi di nuove declinazioni, nelle videoinstallazioni.
L'indagine, l'esorcizzazione, la metafora dell'acqua si confrontano con le strutture dello
spazio e della visione organizzando affascinanti accostamenti tra artificiale e naturale.
Ancora e sempre è centrale l'acqua, mare e flutti che si rifrangono serialmente nei monitor
incastonati tra materie e spazi evidenziando una sorta di paradossale continuità e affinità tra il
moto ritmico, il suono o l'immobilità rispecchiante del liquido e la fluidità luminosa
dell'immagine del video (Fagone 1990). Come in Mare di marmo (1985) in cui cento
monitors sono adagiati tra ottocento lastre di travertino, come onde pietrificate, e una
macchina del vento produce un vento reale che increspa l'azzurro mare elettronico simulato
sugli schermi; o come nella declinazione inquietante e muta di Materia prima (1989), in cui
il mare di monitors è spento, grigio, tra pareti grigie e grigie lastre di pietra serena (Plessi
1990). Protagonista è sempre la materia, e l'accostamento tra percezioni diverse della materia,
presentata nella sua realtà e nel simulacro della registrazione elettronica: il vetro in Armadio
fragile (1989), i sassi, il legno, o i mattoni in altri Armadi della memoria. Ne scaturisce un
senso della meraviglia, una spettacolarità scenica direttamente collegata ad un uso del
supporto video «non come tecnica ma come materiale» (Plessi 1990, Calabrese).
Riprendendo gli spiazzamenti alla Duchamp, come la critica ha messo in rilievo (Gercke
1984), ma anche una coniugazione di artificiale e immaginazione che sarebbe piaciuta a
Baudelaire, Plessi gioca sul rapporto tra finzione e realtà, sull'ambiguità del duplicato,
assegnando al materiale-natura e al materiale-tecnica il ruolo di una grande metafora:
l'umanizzazione dell'a tecnologia.
Questo è il titolo della disciplina che dal '90 al '95 Plessi insegna alla Kunsthochschule für
Medien a Colonia; umanizzare la tecnologia, e ribaltare così la tendenza alla
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disumanizzazione dell'arte già analizzata da Ortega y Gassett e la negatività del simulacro
elettronico di Baudrillard, significa in Plessi non solo e semplicemente accostare nello
sguardo dei videotapes e nello spazio delle installazioni la natura vera, materica, e la sua
immagine elettronica, ma, molto più sottilmente e apoditticamente, investire la tecnologia
della dimensione auratica dell'arte. Significa anche, tuttavia, esorcizzare la tecnica, prendere
le distanze: non caso Plessi rivendica la definizione di artista e rifiuta quella di videoartista,
sovraccarica di connotazioni tecnologiche, riproponendo così forse inconsapevolmente
l'antica querelle degli artisti sulla qualità meccanica o intellettuale del fare arte. Affermando
che l'arte è di per sé umanizzazione della tecnica Plessi si differenzia dalla dimensione
sociale che Benjamin aveva dato alla medesima formulazione, e anche dalla ludica
integrazione tra corpo e macchina inventata da Paik.
Il fascino e la densità metaforica delle opere di Plessi (e in generale della videoarte) è
inscindibile in realtà proprio dal rapporto dell'arte con l'elemento tecnologico del video, così
difforme dai mezzi e dalla fattura accreditati come estetici eppure così pregnante nelle
immagini e nell'immaginario del nostro tempo. E comunque, pur nella specificità
problematica dell'elettronica, affermare l'umanizzazione della tecnologia attraverso l'arte, non
è che una conferma - ma con un'intenzionalità e una determinazione più forti che ne
acuiscono il senso - di ciò che da sempre gli artisti hanno fatto trasformando la materia in
immagine; attraverso procedimenti sapienti e attenti che dai segreti delle botteghe si sono
trasmessi di artista in artista, sono confluiti in una trattatistica sempre più colta e in una
operatività sempre più complessa, creativa, raffinata e intrinseca all'arte - anche se la storia
dell'arte ancora non si è fatta carico pienamente di questa parte della sua stessa storia. Da
quando, secondo la leggenda sull'origine della pittura, gli artisti hanno delineato il contorno
dell'ombra di un corpo, o secondo il dettato delle più antiche testimonianze hanno intinto nel
fango colorato dei bastoncini di legno per raffigurare animali e cacce propiziatori sulle pareti
delle caverne, a quando hanno iniziato a trasfomare i pigmenti in colori, e poi la chimica in
pittura, la luce in materiale, fino ad accettare la sfida di rapportarsi creativamente ad una
tecnica sempre meno «umana» e più difficile da controllare, usando le macchine, l'elettricità e
l'elettronica, i tubi catodici e i bit.