Archeologia dell`acqua nel territorio dell`ATI 3

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Archeologia dell`acqua nel territorio dell`ATI 3
Archeologia
dell’acqua
nel territorio
dell’ATI 3
Fontane, pozzi, cisterne,
acquedotti, terme,
bonifiche, ponti, mulini
dall’antichità al XIX secolo
Ambito Territoriale Integrato n. 3 dell’Umbria
Ideazione , progettazione e cura redazionale
Fausto Galilei, Luana Petrini
Ricerche per la redazione delle schede
Glenda Giampaoli, Claudia Grisanti, Maria Angela Turchetti
Testi
Maria Angela Turchetti
Documentazione fotografica
Paolo Alvioli, Maria Angela Turchetti
Alcune immagini sono tratte da Melelli A., Le acque nella vita e nell’economia dell’Umbria
sud orientale, in La Valnerina, a cura di B. Toscano, Venezia, 1987, pp. 20-59.
Progetto grafico e impaginazione
Studio Kromosoma
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Tipolitografia Sergio Recchioni, Foligno
Stampato nel Dicembre 2011
Archeologia
dell’acqua
nel territorio
dell’ATI 3
Fontane, pozzi, cisterne,
acquedotti, terme,
bonifiche, ponti, mulini
dall’antichità al XIX secolo
INDICE
Presentazione
3
Bevagna
Campello sul Clitunno
Cascia
Castel Ritaldi
Cerreto di Spoleto
Foligno
Giano dell’Umbria
Gualdo Cattaneo
Montefalco
Monteleone di Spoleto
Nocera Umbra
Norcia
Poggiodomo
Preci
S. Anatolia di Narco
Scheggino
Sellano
Spello
Spoleto
Trevi
Vallo di Nera
Valtopina
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Bibliografia
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PRESENTAZIONE
“La cosa migliore è l’acqua”
“La
“La cosa migliore è l’acqua” Pindaro, Olymp. I,1
L’ATI 3, costituitosi il 16 aprile 2009, è una forma di collaborazione tra i Comuni del folignate, dello spoletino e
della Valnerina che ha, tra i suoi più importanti compiti istituzionali, l’organizzazione del servizio idrico integrato,
dei rifiuti e la valorizzazione turistica del territorio.
Uno degli obiettivi connessi alle competenze legislative assegnate all’ATI 3 è quindi quello della tutela, valorizzazione
e conoscenza della risorsa idrica oggi gestita secondo criteri di solidarietà, sostenibilità, efficienza ed economicità.
Questo breve opuscolo vuole contribuire allo scopo ripercorrendo la storia dell’uomo nel suo rapporto plurisecolare
con l’acqua, dall’antichità al XIX secolo, attraverso le testimonianze presenti nel territorio dell’ATI 3, nella convinzione che la conoscenza del passato possa essere strumento per orientare le scelte del presente nell’ottica di
conoscere la risorsa “acqua” attraverso le tecniche con cui l’uomo ne ha potuto usufruire nel corso dei secoli.
L'ATI 3 opera in un territorio molto vasto della porzione sud orientale dell’Umbria, comprendente 22 Comuni:
Bevagna, Campello sul Clitunno, Cascia, Castel Ritaldi, Cerreto di Spoleto, Foligno, Giano dell'Umbria, Gualdo
Cattaneo, Montefalco, Monteleone di Spoleto, Nocera Umbra, Norcia, Poggiodomo, Preci, S. Anatolia di Narco,
Scheggino, Sellano, Spello, Spoleto, Trevi, Vallo di Nera, Valtopina.
È un territorio morfologicamente caratterizzato dal bacino Spoleto-Foligno, di natura tettonica e antico invaso
lacustre che, ancora in epoca storica, nei due laghi noti a sud di Assisi e di Foligno conservava traccia delle sue
remote origini. La cosiddetta Valle Umbra è bordata dalle dorsali parallele dell’Appennino Umbro-Marchigiano:
ad ovest delimitata dai rilievi arrotondati dei Monti Martani, ad est e nord-est dal Monte Serano e dal Subasio
con le cime più alte corrispondenti ai monti Sibillini e all’alta Valnerina i cui Comuni hanno quasi il 90 % del territorio in ambito montano. Idrograficamente la rete del Topino e dei suoi affluenti e il sistema
Marroggia-Teverone-Timia, affluenti del Tevere, caratterizzano la pianura; il Nera scorre invece nelle gole della
valle cui ha dato il nome. Come in ogni luogo le acque del territorio, sorgive, correnti o stagnanti, hanno condizionato la presenza e lo sviluppo degli aggregati umani, degli insediamenti, della viabilità in termini di vita
economica, civile, culturale e le problematiche connesse al reperimento, controllo e salvaguardia dell’acqua stessa
attraverso acquedotti, pozzi, cisterne e fontane, sono sempre state alla base della storia umana ed oggetto di attenzione da parte dei poteri pubblici, privati, laici e religiosi.
Il breve testo che si propone raggruppa le principali testimonianze legate all’acqua per uso potabile sotto i singoli
Comuni dell’ATI 3, alla cui storia si accenna sinteticamente, divisi tra il bacino Spoleto-Foligno e la Valnerina, per
facilitare al lettore la visita in loco ed integrare utilmente l’apporto di guide più generali del territorio o tematiche
di altra natura.
Sono state prese in considerazione le fontane, legate alle sorgenti o al più articolato sistema degli acquedotti,
che sostituiscono, nelle comunità più numerose e organizzate, il sistema di approvvigionamento idrico mediante
pozzi e cisterne; gli usi sacri e termali delle acque, in genere e almeno in origine, strettamente connessi e le opere
di bonifica legate alla lotta dell’uomo per regimentare i corsi d’acqua per lo più a carattere torrentizio e prosciugare le paludi allo scopo di conquistare all’uso la pianura. In margine un accenno a ponti e mulini ad acqua, i
primi parte di un articolato sistema di vie d’acqua e di terra, mutevole e funzionale, i secondi, conosciuti già ai
romani ma oggi raramente ancora funzionanti, caratterizzati dalla ruota idraulica orizzontale, più adatta della
verticale a corsi d’acqua di portata variabile, che azionava direttamente le macine ed era connotata da basso
costo di impianto e di manutenzione.
Dott. Daniele Benedetti
Avv. Fausto Galilei
Presidente ATI 3 Umbria
Direttore ATI 3 Umbria
BEVAGNA
Terme Romane, pavimento musivo del II sec. d.C.
con tessere bianche e nere
Centro umbro conquistato dai romani e legato alla
vicinanza della via Flaminia (220 a.C.), fu gastaldato
longobardo e dono, da parte di Carlo Magno, al Papa
Adriano nel 774. Dopo il mille si costituì libero comune, passando più volte dal dominio imperiale a
quello pontificio (sotto cui rimase fino all’Unità
d’Italia), sostanzialmente fedele al papato che nel
1360 (Innocenzo VI) concesse il nuovo stemma con
la croce, le chiavi della Chiesa e la sigla OSF (ob servatam fidem).
TERME ROMANE in via di Porta Guelfa
Le terme della romana Mevania, ubicate in prossimità del cardo massimo (oggi ricalcato da Piazza Garibaldi, via
Crescimbeni, via Santa Margherita, Porta Cannara o Perugia) che collegava la città a Spoleto e a Perugia, sono
inglobate all’interno degli edifici medievali e moderni di Bevagna, nella parte alta della città, dove sorgevano
anche teatro (abitazioni private ricalcano la planimetria curvilinea) e tempio (trasformato nella chiesa della
Madonna della Neve). Dell’imponente edificio termale, databile probabilmente al II sec. d.C. (età adrianea, 117138 d.C.) è visitabile un grande ambiente rettangolare con i lati lunghi movimentati da nicchie e pavimento
musivo con tessere bianche e nere. La decorazione, inquadrata da una doppia fascia nera, annovera tritoni e ippocampi disposti simmetricamente nei lati corti mentre al centro sono polpi, delfini e aragoste; nelle nicchie sono
invece motivi floreali.
ACQUEDOTTO UMBRO-ROMANO
Un’iscrizione in caratteri latini ma in lingua umbra “PLENO TOCTO”, che dovrebbe
riferirsi alla proprietà pubblica di terreno, acque e condotto, autorizza l’ipotesi che
l’acquedotto sia stato realizzato tra II e I sec. a.C., e la definizione “umbro-romano”
così da considerarlo il più antico esempio del suo genere nella regione. Pur in assenza
di emergenze archeologiche evidenti, il tracciato, dalle pendici di Torre del Colle alla
città, è ricostruibile anche grazie a numerosi cippi iscritti che marcavano in origine
la fascia di rispetto del condotto sotterraneo e segnalavano i pozzi per il pubblico
attingimento: TP ad esempio “Terminus Publicus” (limite pubblico).
POZZO all’interno del chiostro del convento
dei Santi Domenico e Giacomo
Al margine della splendida piazza medievale Filippo
Silvestri sorgono la chiesa e il convento di S. Domenico, su
di un oratorio che il Comune nel 1291 cedette al Beato
Giacomo Bianconi per costruirvi un edificio di culto doAcquedotto, Cippo Marcatore
menicano. Il pozzo si trova all’interno del chiostro del
convento, affrescato con scene della vita del Beato dipinte da Giovan Battista Pacetti
(1640-41) e ristrutturato nel 1629-30, quando Giacomo Bianconi fu beatificato.
L’iscrizione che lo sovrasta ricorda che il Beato Giacomo attinse per tre volte l’acqua e,
benedicendola, la trasformò in vino. Il miracolo del domenicano bevanate è rappresentato in una delle lunette affrescate del chiostro stesso ed anche nella cassa lignea, opera
di Ascensidonio Sacca, detto il Fantino (1589) che avrebbe ospitato il corpo del Beato
Giacomo, conservata presso il locale museo.
Pozzi e cisterne, alcune di notevoli dimensioni e risalenti ad età romana, sono noti nell’area del teatro romano e in via S. Francesco, che ricalca il perimetro del teatro stesso:
tra queste la cisterna del chiostro dell’attuale scuola elementare o quelle ubicate all’interno di stabili privati (Orto degli Angeli, Casa Meneghini).
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Convento di S. Giacomo,
pozzo all'interno del chiostro
con scene di vita del Beato
FONTANA in Piazza Filippo Silvestri
Nonostante le fogge medievali si tratta di un rifacimento in stile ottocentesco
ispirato ad esempi duecenteschi quali la Fontana Maggiore di Perugia. Sul finire
dell’Ottocento il Comune di Bevagna decise infatti di completare l’antica cisterna medievale a pianta ottagonale della principale piazza cittadina (su cui
prospettano le chiese di S. Michele e S. Silvestro e il Palazzo dei Consoli, risalenti
al XII-XIII sec.) costruendole intorno un basamento a gradini, la vasca poligonale
e la tazza di foggia medievale così da abbellire “per fede di Popolo e per virtù
di Civica Magistratura” una delle più suggestive piazza dell’Umbria. La fontana,
con il nuovo acquedotto per la fornitura di acqua potabile alla città, venne
inaugurata il 23 Agosto 1896.
PORTA MOLINI
e lavatoi pubblici lungo le mura urbiche
Lungo il suggestivo percorso intorno alle mura medievali, che in diversi punti
ricalcano il tracciato romano con tratti di muratura a blocchetti (opus vittatum)
ancora visibili, passata porta S. Agostino e due torrioni poligonali nei pressi dei
Piazza Filippo Silvestri, fontana
quali il Clitunno si getta nel Timia, si incontra Porta Molini, così detta dal molino
a grano che veniva azionato dalle acque del fiume. La porta, di
modeste dimensioni difesa da un ballatoio merlato
con caditoie, è affiancata da un torrione semicilindrico merlato con stemma di Innocenzo VIII che fece
restaurare le mura intorno al 1484. Presso la porta
il fiume forma un invaso “Accolta” mediante uno
sbarramento così da ottenere una caduta d’acqua
per azionare il mulino: qui è anche il lavatoio pubblico, rinnovato, che sfrutta la corrente del fiume,
così come il ponte in mattoni dell’Accolta costruito
intorno al 1880 contemporaneamente alla nuova
strada Bevagna-Todi, fiancheggiato da due casette
per il dazio.
OPERE DI BONIFICA
Tra XV e XVII secolo Bevagna partecipò alla bonifica
della piana tra Foligno e Spoleto, anche con episodi
di conflitti armati ed arbitrati per la regimentazione
delle acque del Topino, che oggi scorre al confine con
Spello, ma che, prima del 1580, lambiva le mura della città e ne alimentava i mulini. Al suo posto fu fatto scorrere
il Clitunno, pure in territorio bevanate soggetto ad opere di regolazione idrica con il cosidetto Sportone Maderno,
che prende il nome dall’architetto che ne autorizzò la realizzazione nel 1600 e che regimenta il deflusso del Clitunno
nel Teverone-Timia così da portare regolarmente acqua ai mulini evitando però alluvionamenti della città o impaludamenti della piana.
Fiume Clitunno, lavatoi pubblici
RIFERIMENTI UTILI
Museo Comunale, Palazzo Lepri, Corso Matteotti 70, tel. 0742 360031; biglietto cumulativo per la visita al
teatro F. Torti (realizzato nel 1886 all’interno del medievale palazzo dei Consoli) e alle terme romane. Dal
museo è possibile anche la visita al Circuito Culturale dei Mestieri Medievali con Cartiera, Cereria, Dipintore
e Setificio.
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CAMPELLO
SUL CLITUNNO
Oggi comune autonomo, ma in origine castello del territorio spoletino
legato alla signoria dei Campello attestati almeno nel 1226: ai tempi
di Federico II i Campello furono attivi sostenitori dell'Impero contro
la Chiesa, tanto da essere duramente condannati da Papa Onorio III,
che li definì “figli del diavolo”. Nel 1569 la comunità, che fino ad allora
era stata regolata da usi e tradizioni sommarie e mutevoli, si dette gli
Statuti Comunali. Al Comune appartiene oggi la frazione di Pissignano
in origine altro antico castello di pendio tra Campello e Trevi nei pressi
del quale erano ubicate le Fonti del Clitunno.
FONTI del Clitunno
“Hai mai visto le fonti del Clitunno? Se non ancora - e credo di no, alTempietto del Clitunno
trimenti me ne avresti parlato - valle a vedere. Io l’ho viste da poco e mi
rammarico d’averlo fatto troppo tardi. V’è una piccola collina tutta coperta da antichi e ombrosi cipressi: ai suoi piedi scaturisce una fonte da molte e ineguali vene, e prorompendo
forma un laghetto che si spande così puro e cristallino che potresti contare le monete che vi si gettano e le pietruzze rilucenti… Sorge là presso un tempio antico e venerato. V’è dentro lo stesso dio Clitunno, avvolto nella
pretesta che l’adorna.” (C. Plinius Cecilius Secundus, Epistulae VIII, 8).
Le fonti, originate da polle sorgive da
cui trae origine lo stesso fiume
Clitunno, rese celebri dai versi pliniani,
e immortalate da pittori, poeti e scrittori quali Jean-Baptiste Camille Corot,
George Byron o Giosuè Carducci risalgono, nell’assetto attuale all’opera del
Conte Paolo Campello della Spina che
tra il 1860 ed il 1865 creò lo spazio
per il laghetto e provvide al ripopolamento faunistico e a far crescere la
vegetazione che caratterizza il luogo.
In questa zona, in età romana, oltre a
numerose ville e sacelli di culto, sorgeva un importante santuario
dedicato a Giove-Clitunno, probabilmente derivato da un antichissimo
culto delle acque sorgive. Dalle fonti
latine apprendiamo anche che l’area,
in età repubblicana dipendeva da Trevi
e che fu assegnata da Augusto a
Tempietto sul Clitunno, veduta dall'alto
Spello probabilmente in relazione ad
un progetto di controllo capillare delle
principali vie d’acqua e di terra della pianura non disgiunto da programmi di bonifica e regimentazione di tutto
il bacino idrografico, finalizzato anche all’acquisto di nuovi terreni agricoli. Le acque delle fonti erano ritenute
in grado di rendere candido il vello degli animali, in particolare dei tori, scelti per far parte della pompa trionfale
e condotti al sacrificio a Roma. Il dio Clitunno, venerato come divinità fluviale e oracolare, festeggiato il 1 Maggio
nelle feste Clitunnali, che prevedevano forse anche gare di navigazione contro corrente, era frequentato per pratiche divinatorie e responsi tanto da essere definito “nume profetico” ed essere visitato allo scopo dagli imperatori
Caligola ed Onorio. Testimonianza di edifici di culto è oggi la piccola chiesa dedicata al Salvatore nota come
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“Tempietto del Clitunno”, di discussa datazione ma probabilmente risalente non anteriormente ad epoca tardoantica (riutilizzo di strutture romane o reimpiego di materiali romani per una costruzione di IV-V-VI o VIII secolo
d.C.). La chiesa, disegnata da Francesco di Giorgio Martini, Andrea Palladio, Antonio da Sangallo il Giovane, ospita
al suo interno affreschi risalenti probabilmente al VII-VIII secolo (il Salvatore tra i santi Pietro e Paolo, Angeli).
L’edificio si compone di una parte superiore con quattro colonne corinzie tra pilastri, cui si accede da scalinate
laterali, posta su alto podio con all’interno un ambiente con pianta a T, accessibile dalla fronte. Plinio il Giovane
ricorda che i sacelli clitunnali sorgevano per lo più in corrispondenza di una vena d’acqua ed un ponte divideva
la zona sacra, percorribile solo in barca, dalla zona profana dove si poteva nuotare. In effetti almeno fino al settecento doveva essere visibile presso la chiesa una fonte descritta da Ridolfino Venuti sopra ai mulini di Pissignano
e ritratta ai piedi del tempietto da Antoine-Jean Gros, tanto da far supporre ad alcuni studiosi che la sorgente
dovesse alimentare una piscina ubicata nell’area antistante l’edificio, ora occupato da uno spiazzo erboso.
Di queste fonti la comunità di Pissignano (il toponimo Piscinianum dovrebbe significare Piscine di Giano) aveva
grande cura, tanto da prevedere nei propri statuti il divieto di lavare i panni e di sporcare le limpide acque.
MULINO a grano e olio presso le fonti
Le stesse acque dovevano alimentare un mulino costruito nel territorio del castello di Pissignano dal Comune di
Spoleto nel 1441, rimasto in uso almeno fino all’ottocento, ubicato sotto il tempietto e con le macine azionate
dalla vasca di accumulo ottenuta dallo sbarramento parziale del fiume Clitunno. In questa occasione il fiume,
che scorreva più discosto dal monte, sarebbe stato deviato, scavando il canale attuale al posto della strada che
passava di fronte al tempietto. Attualmente la strada passa dietro il tempietto e il mulino è adibito a residenza
d’epoca, pur conservando in gran parte l’aspetto originario e gli stemmi in pietra del Comune di Spoleto.
RIFERIMENTI UTILI
Civico Museo della Civiltà Contadina: “I cassetti della memoria”, Palazzo Casagrande, via Nicolò Landi 4, tel.
0743 521030.
Fonti del Clitunno
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CASCIA
Fontana presso la Chiesa di S. Maria, statua di leone
Reperti archeologici e il santuario di Villa S. Silvestro
indiziano l’abitazione del territorio in età preromana
e romana. La prima menzione della città è in occasione della guerra tra Bizantini e Goti, quando nel 553
il generale Narsete invia truppe a Cascia per contrastare il passaggio dei Goti diretti in Campania. Passata
quindi sotto il dominio di Longobardi e Franchi fu,
nel 962, donata al Papato dall'imperatore Ottone I.
Dopo il Mille sorge il Castrum Cassiae sul colle detto
di S. Agostino per la presenza dell'omonima chiesa, e
dopo la dominazione dei Trinci di Foligno e di Federico
II di Svevia, nel 1280, con la conquista del feudo da
parte dei Conti di Chiavano, Cascia raggiunge l'autonomia comunale. La collocazione di Cascia ai confini
con il Regno di Napoli ne ha fatto, con alterne vicende, un caposaldo dello Stato Pontificio, di cui
Cascia è stato irrequieto presidio fino al 1860. Cascia
è la patria di S. Rita (1380-1447), oggetto di una
straordinaria devozione popolare e amata dal popolo
per la stupefacente "normalità" dell'esistenza quotidiana da lei vissuta, come sposa e madre, vedova e
monaca agostiniana. La basilica di S. Rita, sorta nel
1947 sul luogo di una piccola chiesa cinquecentesca
già dedicata alla santa, per dare accoglienza alle folle
in pellegrinaggio, è sede delle solenni celebrazioni ritiane del 22 Maggio.
FONTANA
presso la chiesa di S. Maria
Collocata presso la porta Leonina o di S. Maria, la fontana riutilizza una statua di leone originariamente appartenente al protiro romanico della pieve di S. Maria. Documentata già nel IX secolo, la pieve ebbe strutture
romaniche nel XII secolo e rifacimenti e ampliamenti nel Quattro-Cinquecento. Dopo il 1621, in seguito ad ulteriori
lavori di ristrutturazione della chiesa e all’apertura di un secondo portale in facciata, uno dei due leoni ai lati
della porta di ingresso fu collocato sopra un muricciolo davanti alla chiesa stessa. E’ solo alla metà del Novecento
che la scultura venne collocata nella fontana dove tuttora è visibile.
ACQUEDOTTO
e cisterne dalla Rocca a Piazza Aldo Moro
Disposizioni degli antichi Statuti cittadini che vietavano il pascolo presso il “conducto de lacqua” che da Ocosce
(frazione di Cascia) “viene drento in Cascia”, documenti notarili cinquecenteschi e lavori di scavo condotti lungo
il sentiero che da S. Agostino porta ad Ocosce e in piazza Aldo Moro, consentono di ricostruire il tracciato dell’acquedotto che, raccogliendo soprattutto acque piovane (mancano in zona abbondanti risorse sorgive tanto
che C. Piccolpasso, architetto storico e umanista rinascimentale nel 1579 scriveva come la città “patisse” anche
d’acqua), consentiva di riempire le cisterne che si trovavano una nel piazzale della Rocca e l’altra in Piazza S.
Pancrazio. Quest’ultima corrisponde all’attuale piazza Aldo Moro, piazza dove sorgeva la chiesa di S. Pancrazio
demolita nel 1546, per ampliare la piazza esistente e forse per la realizzazione di Palazzo Frenfanelli (oggi sede
del palazzo comunale) terminato nel 1568 (la data è incisa su uno dei portoni del palazzo e può indicare la fine
dei lavori di costruzione). A margine di piazza Aldo Moro (via Gaetano Palombi) è ubicato Palazzo Santi, sede del
Museo Civico.
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POZZO-CISTERNA del Convento dei Cappuccini
in vocabolo La Bastia
Un documento dell’archivio notarile, datato 1557, conserva il contratto per la realizzazione di una cisterna corrispondente a quella che si trova nel luogo tuttora chiamato “Li Cappuccini” o “La Bastia” dove fu eretto un
convento di francescani nella seconda metà del 1500, da più di un secolo destinato a cimitero di Cascia e di
alcune frazioni (ne rimane la chiesa e parte del chiostro). Orazio Graziani, responsabile della fabbrica dei Cappuccini
da incarico ad Antonio soprannominato Saccoccia di mastro Biagio e a Giacomo di Vitale di Nocera per lo scavo
e la costruzione della cisterna nel chiostro del convento che si sta edificando.
FONTANILE
DI CHIAVANO
Area di confine tra Umbria e
Lazio è l’altopiano di Chiavano,
posto lungo la strada che da
Cascia porta a Leonessa, originario bacino lacustre a 1000 metri
di altezza s.l.m., ammirabile, in
tutta la sua suggestione dalla
frazione leonessana di Pianezza.
La fontana della frazione di
Chiavano, a tre fornici, è datata
1550.
MULINI nel casciano
Di 18 mulini si ha notizia negli
Statuti di Cascia del 1545 (oggi
nessuno funzionante ma 8 ancora in uso nel secondo
dopoguerra): “…ad ogni persona
sia lecito de adaquare et irrigare
le sue prata…quando in nel fiume
di Corno è abundantia de acqua et
quando li molinari no esporranno
querela alli officiali…che la detta
irrigatione et acquatione…impedisca li loro molini”.
Fontanile di Chiavano
RIFERIMENTI UTILI
IAT Cascia, Piazza Garibaldi 1, tel.
0743 71401, fax 0743/76630.
Museo Civico di Palazzo Santi, via
G. Palombi, tel. 0743 751010: un
biglietto cumulativo consente
anche la visita alla Chiesa di S.
Antonio in via porta Leonina, che
custodisce nel presbiterio e nel
coro due importanti cicli di affreschi con gli episodi della vita di
S. Antonio (fine XIV-inizi XV sec.)
e della Passione di Cristo (XV sec.).
Rudere dell'antico mulino di Roccaporena,
oggetto di prossimo restauro
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CASTEL RITALDI
Collocato lungo la strada che da Spoleto conduce
a Montefalco, sulla cima della collina di Scigliano,
ai piedi dei Monti Martani, nasce forse come insediamento romano (indiziato da reperti rinvenuti in
zona) o, più probabilmente come castello del territorio spoletino, coinvolto nelle vicende che videro
contrapporsi il potere imperiale a quello ecclesiastico, fino al definitivo assoggettamento a
quest’ultimo, cessato solo con la creazione del
Regno d’Italia.
POZZO antistante la chiesa di S. Marina
Nel centro storico è la parrocchiale di S. Marina,
santa patrona del borgo, festeggiata il 16 Luglio, la
cui chiesa fu edificata probabilmente tra XIV e XV secolo. Nello slargo adiacente alla fiancata della
chiesa, che conserva al suo interno affreschi di
Tiberio di Assisi e Lattanzio di Niccolò (fine XV-inizi
XVI sec.), è il pozzo modernamente restaurato e collocato all’interno delle mura del castello così da
assolvere alle quotidiane necessità dei suoi abitanti.
Pozzo all’interno delle mura del castello
FOSSATI, PONTE LEVATOIO,
POZZI-CISTERNE E FONTANE
di Castel San Giovanni
Il paese antico è tutto dentro le mura quadrate. Le robuste
torri angolari cilindriche sono quasi intatte ed il castello,
di origine trecentesca, è il miglior esempio, in quanto a
stato di conservazione, della piana spoletina. Sulla grande
porta ad arco uno stemma cinquecentesco papale e la
scritta: "DOM SPOL" (dominio spoletino). Fino alla seconda
guerra mondiale il castello era circondato da un fossato e
sulla porta d’accesso sono ancora evidenti tracce dell’antico ponte levatoio. Conteso a lungo da Trevi e Spoleto fu
aggregato a Castel Ritardi nel 1875. Nell'interno, in posizione rialzata, la chiesa dedicata al Santo, del secolo XIII,
più volte rimaneggiata, con portale cinquecentesco e affreschi di scuola umbra e abitazioni private addossate oggi
alle mura tra vie anguste con antichi pozzi-cisterna e fontane in ghisa ottocentesche, ricordo di più antichi sistemi
di approvvigionamento idrico.
Fontana in ghisa ottocentesca a Castel San Giovanni
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MULINI
Il territorio del comune è al margine sud-occidentale della Valle Umbra, sulle pendici
settentrionali dei Monti Martani. I suoi corsi d'acqua idrograficamente sono tributari del fiume
Topino: tra questi il Ruicciano, lungo il quale rimane traccia degli antichi molini, non più
funzionanti, che sfruttavano il corso d'acqua.
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Castel Ritaldi, via Martiri della
Resistenza 1, tel. 0743 252811; Pro Loco, via F.
Turati, La Bruna, tel. 0743 51714, fax 0743
252032.
Pozzo cisterna a Castel San Giovanni
Ponte levatoio a Castel San Giovanni
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CERRETO DI SPOLETO
Castello medievale sorto sul colle di S. Sebastiano a dominio della confluenza delle strette valli del Nera e del Vigi,
che lo circondano su due lati. Il suo nome deriva dalla abbondanza di piante di cerro, presente anche nello stemma
comunale e, fino al secolo scorso, con una quercia centenaria nella piazza principale. Nel XII secolo si sottrasse al
Gastaldato longobardo di Ponte per ergersi a libero comune
sotto la protezione della Chiesa, sfruttando la posizione
Ex Convento francescano
strategica di confine tra Spoleto, Norcia e Camerino. Il
della Madonna di Constantinopoli,
paese conobbe epoche fiorenti come testimoniano i palazarchitrave del pozzo, particolare
zetti gentilizi presenti nel tessuto urbano e soprattutto
sulla piazza principale dedicata a Giovanni Gioviano
Pontano (1429-1503), poeta, umanista e politico nato a Cerreto, ma vissuto per lo più a Napoli presso la
corte degli Aragonesi, di cui fu potente funzionario. In senso dispregiativo il termine cerretano fu per secoli
sinonimo di questuante, ciarlatano, imbroglione: il quattrocentesco Speculum Cerretanorum di Teso Pini, facendo riferimento ai “lotores” (a lotione vel lavando), autorizza a pensare alle tante “boccette di secreti”,
riempite d’acqua ma spacciate per prodigioso rimedio contro ogni sorta di iattura a danno di ingenui e creduloni e ad accrescere le imposture e i truffaldini propositi degli impenitenti cerretani.
SORGENTI TERMO-MINERALI
DI TRIPONZO
In direzione di Visso a meno di un chilometro
da Triponzo, castello del comune di Cerreto,
a sinistra della strada, è uno stabilimento
termale con porticato e vasche, costruito nel
1887 ai piedi del monte Fregino, alla destra
del Nera. In questo luogo sgorgano acque
termominerali solforose (temperatura di
circa 24°) che fuoriescono da grotte rivestite di stalattiti e concrezioni di solfato e
carbonato di calcio con forte condensa di
acido solforico, dal caratteristico colore
biancastro, probabilmente noto a Virgilio
che nell’Eneide definisce il fiume Nera
“bianco di acqua solforosa” (amnis sulfurea
Nar albus acqua). Le terme che nel 1488
passarono al municipio di Norcia per 151
Triponzo, stabilimento termale con porticato e vasche
fiorini d’oro, e quindi a P. Forti e al vescovo
di Norcia Bucchi-Accica che le donò al Comune di Cerreto, le cui acque erano considerate “eroico rimedio” per
affezioni intestinali, concrezioni urinarie, artriti e “per tutte le sordide malattie della pelle” (S. Purgotti, 1862), oggi
sono in via di ristrutturazione per un loro utilizzo, esteso all’area circostante, come parco del benessere.
TERME DI BORGO CERRETO,
loc. Camporo
Accenni a queste acque termali si trovano nelle sedute consiliari del Comune di Cerreto dal 1600 al 1769, a proposito di un Bagno in località Camporo presso la chiesetta di S. Angelo, alle falde del colle di Borgo, per sfruttare
l’acqua sulfurea e leggermente alcalina adatta alla cura di varie malattie. Un’epigrafe conservata nella chiesa di
S. Lorenzo a Borgo Cerreto, tradotta, recita: “Bagni di Cerreto. Questa acqua salutare cura reni, stomaco, bile e
fegato e allontana ogni morbo. 1653”.
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ACQUEDOTTO
Triponzo, sorgenti termo-minerali
Dagli statuti (trascrizione, agli inizi
del cinquecento di testi del 1380)
e dagli atti consiliari si evince l’importanza di acquedotti, pozzi e
cisterne e la preoccupazione per la
salubrità degli approvvigionamenti
idrici: in particolare si comminavano pene a chi teneva maiali
dentro il castello o lavava i panni
“a meno di due canne” dalle fonti.
In occasione di lavori di restauro
del sistema murario del castello
sono venute alla luce tracce del
condotto idrico probabilmente
medievale, costituito da fistole in
terracotta, inglobato all’interno
delle mura stesse. La stessa strada
di circonvallazione, detta Arco dei
Canali, conserva nel nome traccia
del passaggio dei condotti adduttori dell’acqua dentro il paese.
FONTANA, piazza Pontano
La fontana di forma ottagonale,
con annesse cisterne dove confluivano le acque dell’acquedotto,
provenienti dalle sorgenti del
monte Fregino, venne eretta nel
1869 per abbellire piazza Pontano
(già Piazza Grande o del Mercato),
comportando, secondo notizie
d’archivio riferite dallo storico locale A. Fabbi, la demolizione di una
cappella del Corpus Domini. Sulla
piazza prospettavano vari palazzi
nobiliari e gli edifici pubblici dei
Duchi, dei Priori e del Governatore:
oggi è ancora il palazzo comunale
mentre defilata è la chiesa
dell’Annunziata con fonte battesimale in pietra cinquecentesco e
organo del Seicento. Da Borgo
Cerreto, in direzione di Sellano si
Ex Convento francescano della Madonna di Costantinopoli,
incontrano la chiesa e il convento
pozzo rettangolare all’interno del chiostro
francescano della Madonna di
Costantinopoli, dal 1880 di proprietà privata ed oggi sede di residenza d’epoca. La fabbrica realizzata nel corso del seicento forse su un
preesistente luogo di culto, ospita all’interno del chiostro, il pozzo rettangolare che reca, sull’architrave a sostegno
della copertura, la data 1721.
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Cerreto di Spoleto, p.za Pontano, tel. 0743 91231-91307, fax. 0743 91412.
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FOLIGNO
Di origini umbre e conquistata dai romani dopo la battaglia del Sentino (295 a. C.), invasa a più riprese da
Goti, Visigoti e Longobardi, fu sottomessa al Ducato di Spoleto fino al 1198 anno in cui fu annessa, da Papa
Innocenzo III, allo Stato Pontificio, divenendo poi importante comune ghibellino tanto da scontrarsi in modo
cruento con la vicina e guelfa Perugia. Nel 1305 salì al potere la famiglia guelfa dei Trinci che governò la
città per 134 anni fino al 1439, quando papa Eugenio IV ordinò l'occupazione della città, in seguito ad un
grave fatto di sangue per mano di Corrado Trinci. Il dominio dello Stato Pontificio si protrasse fino al 1860
quando Foligno entrò a far parte, con tutta l'Umbria, del Regno d'Italia.
POZZO all’interno di Palazzo
Trinci, piazza della Repubblica
Il palazzo, realizzato tra XIV e XV secolo
accorpando diversi stabili divenuti proprietà della famiglia Trinci, è stato più
volete danneggiato nel corso dei secoli,
restaurato tra il 1920 e il 1936 e negli
anni successivi all’ultimo conflitto mondiale. Ospita oggi al suo interno la
Pinacoteca
civica,
il
Museo
Archeologico, il Museo Multimediale dei
tornei, delle giostre e dei giochi, il Museo
dell’Istituzione Comunale e pregevoli
cicli di affreschi dei tempi di Ugolino
Trinci, a cui lavorarono insigni pittori
dell’epoca, quali Gentile da Fabriano e
Pisanello. Il pozzo, profondo circa diPalazzo Trinci, pozzo interno profondo 18 metri
ciotto metri, ritrovato sotto un chiusino
della fine del XVIII sec. inserito nella pavimentazione del cortile, subisce, verosimilmente all’epoca di UgolinoTrinci
(1386-1415), il rifacimento della vera e dell’imboccatura, che ha forma dodecagona lobata ed è tutta in cotto,
mentre la struttura profonda del pozzo è in pietra. La vera, che riproduce la stessa forma dell’imboccatura, era formata da colonnine semiottagonali in laterizio rosso alternate a specchiature in laterizio giallo, alcuni frammenti
dei quali sono stati ritrovati all’interno del pozzo e riutilizzati per il restauro ricostruttivo. Su un frammento di
specchio era modellata una croce patriarcale, simbolo, nel XV secolo, di chi esercitava l’arte della mercatura ed era
iscritto all’arte degli speziali: tale croce voleva forse alludere ai proprietari del palazzo, i Ciccarelli prima o i Trinci
poi, i quali esercitarono entrambi, con ottimi profitti, la mercatura.
POZZO-CISTERNA all’interno del chiostro
di Palazzo Gentili Spinola, via Mazzini.
Appartenuto alla famiglia de’ Conti, passò agli Spinola
nella seconda metà del Cinquecento: nella corte è il
pozzo di forma ottagonale con lo stemma della famiglia De’ Conti.
Palazzo Gentili Spinola,
pozzo con lo stemma della famiglia De' Conti
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POZZO-CISTERNA all’interno del trecentesco
chiostro dell’Abbazia di S. Croce
L’Abbazia, documentata dall’XI secolo e fondata dai benedettini a controllo di un vasto territorio che nel tempo si estese
da Roma a Perugia e Camerino, a partire dal 1979 è sede dei
"Piccoli Fratelli" della Comunità Jesus Caritas del beato Charles
de Foucauld. Il vasto complesso che appare come un edificio
fortificato, su cui svetta l’ottocentesco campanile della chiesa
ricostruita completamente dopo i terremoti del 1832, ha subito, nel corso dei secoli, diverse modifiche e rifacimenti:
sotanzialmente intatto il chiostro, definito “opus egregium”
nell’iscrizione duecentesca che ne ricorda l’edificazione ad
opera di maestranze romane. La cisterna all’interno del chiostro, fu fatta eseguire nel 1340 dall’Abate Iacopo
Abbazia di Sassovivo,
pozzo-cisterna all’interno del chiostro
Montemelini, mentre l’attuale pozzo è del 1623, con struttura
ottagona in travertino, su due gradini ed elegante decorazione
in ferro battuto. E’ parte integrante dello stupendo chiostro, realizzato tra 1229 e 1233, costituito da un doppio
ordine di centoventotto colonnine che sostengono cinquantotto archi a tutto sesto. A qualche centinaio di metri
dal complesso è la cosiddetta cripta del Beato Alano, quanto resta della primitiva chiesa fondata intorno al 1000,
presso cui sgorga una sorgente d’acqua, incanalata fino all’Abbazia nel 1238 ad opera dell’idraulico francescano
fra Giovanni da Penna e con il benestare di papa Gregorio IX: la fonte monumentale, in stato di abbandono, reca
lo stemma dei benedettini olivetani.
FONTANA DEI CANAPÈ
La fontana da Piazza della Repubblica venne qui trasferita nel 1938 a completamento dei lavori di trasformazione
di quest’area in parco. Al progetto del 1931 si deve infatti la messa a dimora di oltre 300 pini, il disegno delle
aiuole e dei vialetti, l’istallazione dei sedili in pietra lungo i viali e la costruzione della scala d’accesso in via Nazario
Sauro. Questi cospicui interventi disegnarono la definitiva fisionomia di un’area che già nel Settecento era stata
bonificata e adibita al passeggio e alle corse dei cavalli. A quest’uso si deve la denominazione di Parco dei Canapè,
derivato dai caratteristici sedili in laterizio utilizzati per assistere comodamente alle competizioni. La fontana,
costituita da un bacino ellittico decorato da festoni sormontati da teste leonine e valve di conchiglia, scanditi
da elementi verticali a mo’ di colonnine, è opera del 1933 dello scultore folignate Nicola Brunelli.
Fontana nel parco dei Canapè, qui trasferita nel 1938 da Piazza della Repubblica
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NINFEO DI PALAZZO
BRUNETTI-CANDIOTTI
La struttura, oggi in stato fatiscente, appartiene al palazzo Brunetti-Candiotti,
uno dei più imponenti complessi architettonici privati della Foligno del Settecento.
Una pianta del 1819 colloca nel giardino
del palazzo anche due pozzi e una fontana, documentati anche in una foto di
Rinaldo Laurentini degli inizi del
Novecento.
Palazzo Brunetti-Candiotti, ninfeo nel chiostro
FONTE DI S. MARCO
o FONTE LUNGA
a S. Eraclio, frazione di Foligno
Deve il suo nome alla attigua chiesa e alla
funzione di abbeveratotio che rivestì a
partire dall’Ottocento, quando alla struttura venne addossata la lunga vasca di
sinistra. Documentata già nei cinquecenteschi disegni di Cipriano Piccolpasso, la
fontana prospettava un edificio ai tempi
adibito a stazione di posta sulla strada per
Roma. I suoi caratteri stilistici e gli
stemmi che la decorano rimandano ad
Alessandro Farnese, già cardinale protettore di Foligno e poi Papa Paolo III
(1534-1549). Fu lo stesso pontefice a ordinare la realizzazione della fonte “per
comodità dei passeggeri et ornamento
della città”.
S. Eraclio di Foligno, fonte di San Marco
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CANALE DEI MOLINI
L’abbondanza di acque è una delle cause della
fioritura delle manifatture folignati (non solo
mulini, ma anche cartiere, concerie di pellami, lanifici e tintorie, piccole manifatture di cera,
confetti e cioccolata, saponerie). Il fiume Topino,
che attraversava originariamente Foligno, venne
deviato verso la metà del XIII secolo dai perugini,
per accelerare la resa della città. Foligno era stata
attaccata da Perugia e dai Confederati della Lega
Guelfa, in quanto aveva contravvenuto ai patti
stabiliti nel 1237. Il Topinello o Canale dei Molini
che scorre ancora per tutta la sua lunghezza dentro la città, attraversandola da est a ovest, è
dunque l’antico tragitto che il Topino percorreva,
da Porta Ancona a Porta Todi. L’alveo su cui venne
dirottato il fiume era invece il precedente fossato
che circondava esternamente la cinta muraria,
Topinello o Canale dei Molini, le Conce
detto carbonara, di cui rimane traccia nel canale
tra via IV Novembre e via Bolletta che si ricongiunge oggi al Topino. Lungo il Canale dei Molini erano dislocate fin
dal medioevo - e il toponimo ne da chiaramente conferma - mole da olio e da grano, tutte comunitative fino ai
primi anni dell’Ottocento, quando i provvedimenti di papa Pio VII per la dimissione dei debiti delle Comunità ne
consentiranno l’acquisto da parte dei privati. Presso via S. Giovanni dell’acqua è ancora visibile un antico mulino
(Molino di Sotto), danneggiato dal terremoto del 1997 e di recente restaurato (presso via Isolabella - da un isola
sul fiume - ponte duecentesco sul Topino). Presso via Gentile da Foligno è invece via dei Molini, che prende nome
dal vicino è ancora parzialmente conservato mulino (Molino di Sopra, XVI sec.).
PONTE DI CESARE, via Feliciano Scarpellini
Attraversava il Topino prima della sua duecentesca deviazione, fondato forse su preesistenze romane. Altro ponte
duecentesco seminterrato presso un diverticolo di via Gentile da Foligno.
PONTI e viadotti sulla via Flaminia.
Foligno presenta ancora oggi importanti resti del tracciato dell’antica Via Flaminia, nel tratto tra Forum Flamini (attuale
S. Giovanni Profiamma) e Nocera Umbra. Dell’epoca romana rimangono i resti del ponte sul fiume Topino a
Pontecentesimo (che prende il nome dalla sua distanza di cento miglia da Roma) e il viadotto di Pieve Fanonica (su
cui si veda Valtopina), dal quale si dipartivano un itinerario alternativo alla Flaminia ed uno alternativo alla via Plestina.
MULINI, GUALCHIERE e CARTIERE nella Valle del Menotre
Affluente del Topino, in cui si getta nei pressi di Scansano, il Menotre nasce non lontano dal castello di Orsano,
nel sellanese, da una piccola sorgente nel fosso della Fauvella, a quota m 800 s.l.m: le sue acque, costeggiando i
nuclei abitati di Rasiglia, Serrone, Casenove, Ponte S. Lucia, Pale, scorrono incanalate e regimentate, determinando
un fitto intreccio di fossi, d’invasi e cascatelle, la cui forza idraulica fu sfruttata fin dal medioevo per alimentare
mulini ad olio, a grano e gualchiere per la lavorazione di panni e carta. Tra i primi ad utilizzare la potenza delle
acque sono i monaci benedettini di Sassovivo che avevano avuto in donazione dai signori di Uppello alcuni terreni
lungo il corso del fiume, che assicurarono ai religiosi i diritti delle acque. La vendita da parte dei monaci di parte
consistente delle loro proprietà portò allo sfruttamento delle risorse idriche da parte delle comunità locali o dei
grandi casati dell’epoca, dai Trinci agli Accorimboni, agli Elisei, Silvestri, Tonti ed Unti, che talvolta, accanto alle
fabbriche costruirono sontuose ville. Gli opifici, per lo più rimasti attivi fino agli inizi del Novecento non hanno
retto alla concorrenza delle produzioni industriali, talvolta riconvertendo la loro attività, come nel caso di Serrone
il cui mulino fu trasformato nel novecento in Centrale idroelettrica.
RIFERIMENTI UTILI
Ufficio Musei, Palazzo Trinci, p.za della Repubblica, tel. 0742 330584/580/600-357989; Palazzo Trinci,
0742 357989/330584-580; fax 340496; Museo Capitolare e Diocesano, Palazzo delle Canoniche, l.go G.
Carducci, tel. 0742 350473.
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GIANO DELL’UMBRIA
Sorto forse come “vicus” lungo la via Flaminia, distrutto dai Longobardi, si sviluppò nel Medioevo intorno al
castello edificato nel X-XI secolo. Dalla metà del XIII sec., seppure con alterne vicende, entrò a far parte dei
possedimenti di Spoleto, condividendone le vicende storiche. Mantenne comunque una sua indipendenza
amministrando un territorio proprio che comprendeva i castelli di Montecchio e Castagnola (oggi sue frazioni)
entrando, infine, a far parte dei possedimenti della Chiesa. Dal 1927 al 1930 fu frazione di Spoleto e successivamente Comune autonomo.
FONTE-ABBEVERATOIO lungo la strada di accesso al castello
Accanto ad un’edicola affrescata con datazione al 1756 è una fonte-abbeveratoio a due fornici ubicata lungo le
vie di accesso al castello e forse coeva alla cappella votiva.
Fonte - abbeveratoio a due fornici, posto lungo la strada
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FONTANA E CISTERNA
presso la Chiesa di
S. Michele Arcangelo
Del pozzo-cisterna ubicato nella
parte più elevata del borgo
presso la trecentesca chiesa di S.
Michele Arcangelo non rimane
traccia esteriore se non nella
fontana a fianco della chiesa, legata al moderno rifacimento
della lastricatura della piazza.
POZZO nel chiostro
dell’Abbazia di S. Felice
A pochi chilometri da Giano si
trova, in una stupenda posizione
paesaggistica, l’Abbazia di San
Felice, tipico esempio di architettura romanica umbra con
Fontana adiacente alla chiesa di San Michele Arcangelo
influssi lombardi, e, nei secoli,
residenza
di
Benedettini,
Agostiniani, Passionisti ed oggi della Congregazione del
Preziosissimo Sangue, fondata da S. Gaspare del Bufalo. La struttura originaria risale al X-XII secolo, mentre il chiostro e gli edifici
conventuali vennero edificati e completati a più riprese tra la seconda metà del XIV secolo ed il XVIII secolo. La cripta conserva
l'arca che custodisce le reliquie del vescovo martire San Felice. Il
Pozzo, forse coevo alla costruzione del chiostro e del primo loggiato superiore (XVI secolo), molto profondo e decentrato rispetto
al piano di calpestio suddiviso in quattro settori, è munito di un
puteale esagonale in arenaria in parte di restauro, la cui bocca è
protetta da una copertura a cupola di foggia orientale in ferro.
TERME ROMANE
della villa cosidetta di Rufione in loc. Toccioli
A circa 1 km a sud di Bastardo, in loc. Toccioli, scavi tuttora in
corso stanno portando in luce il settore residenziale di una lussuosa villa romana collocata, su più terrazze, lungo il ramo
occidentale della via Flaminia. Gli ambienti finora identificati, caratterizzati da pavimenti musivi e ricca decorazione parietale,
sono soprattutto relativi ad un impianto termale con i consueti
ambienti per bagni freddi e caldi. La costruzione della villa, abitata almeno fino al II sec. d.C., sembra risalire ad epoca
tardo-repubblicana: il rinvenimento di un’iscrizione frammentaria
ha consentito di ipotizzare l’attribuzione della proprietà originaria a Gaio Giulio Rufione, personaggio di elevato livello sociale e
figlio del liberto favorito di Giulio Cesare, stando al racconto dello
storico latino Svetonio (I sec. d.C.).
Chiostro dell'Abbazia di S. Felice,
pozzo con puteale esagonale in arenaria
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Giano, p.za Municipio, tel. 0743 930019; IAT
Spoleto, p.za della Libertà, 7, Spoleto, tel. 0743 220311; Pro
Loco, tel. 0743 90438.
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GUALDO
CATTANEO
Centro di origine medievale, costruito forse su un
precedente insediamento romano è ubicato sulle
propaggini dei Monti Martani, tra i torrenti
Puglia e Atteone. L’aspetto attuale è quello di un
castello tre-quattrocentesco con tracce cospicue
delle mura munite di torri. Nel 1493 Papa
Alessandro VI Borgia lo cedette in amministrazione a Foligno, che nello stesso anno, volendo
fortificarlo, decise di costruirvi una possente
Rocca a pianta triangolare, un torrione della
quale, ben conservato, fa mostra di sè nelle adiacenze dell’attuale piazza Umberto I. Nel 1816,
dopo la Restaurazione, Gualdo tornò allo Stato
Pontificio e dopo l'Unità d'Italia, nel 1860, entrò
a far parte del Regno d'Italia.
Una delle moderne fontane in ghisa
presenti nel centro storico
FONTI
Nel quarto Libro degli Statuti cittadini, del 1483, si stabiliva che il Fons Castellaris e il Fons Novus, entrambi di
proprietà del Comune, fossero sottoposti a lavori di manutenzione e rimessa in ordine a spese dell’ente
proprietario su segnalazione dei domini defensores. Il
Podestà doveva garantire che le disposizioni di questi ufficiali fossero opportunamente eseguite, pena una multa
di 10 lire da sottrarre al suo stesso compenso. A tutte le
altre fonti comunali dovevano provvedere gli abitanti più
vicini, secondo quanto stabilito da appositi “guardiani locali” a loro volta nominati dal Podestà e dai defensores.
La memoria delle antiche fonti del castello è conservata
nelle moderne fontane in ghisa della Fonderia di Terni ubicate in punti suggestivi del centro storico o presso la rocca
a rispondere, oggi come in passato, alle esigenze della vita
quotidiana del borgo.
Fontana in ghisa della Fonderia di Terni, particolare
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Ponte del Diavolo ampi quasi 15 m, presso la frazione di Cavallara
PONTE DEL DIAVOLO in località Cavallara, frazione di Gualdo
Presso la frazione di Cavallara, poco distante da Bastardo, la via Flaminia attraversava un affluente del torrente
Puglia sul cosidetto Ponte del Diavolo. La struttura, caratterizzata dalla notevole ampiezza di quasi 15 m, è realizzata
in opera quadrata a grossi blocchi di calcare lavorati a bugnato. La costruzione del ponte fu forse coeva alla realizzazione della via Flaminia (220 a.C.), ma si tende a datare l’assetto murario conservato ad età augustea.
RIFERIMENTI UTILI
Rocca dei Borgia o Sonora, piazzale della Rocca, per informazioni e prenotazioni 0742 379598.
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MONTEFALCO
L’abitato medievale di Coccorone deve il suo nome, secondo la tradizione, alla passione per i falchi
dell’imperatore Federico II che vi soggiornò nel febbraio
del 1240. Libero comune (dotato già nel 1282 di Statuti),
sede dei rettori del ducato di Spoleto (1320-1355), fu
sottoposto ai Trinci di Foligno (1383-1439) tornando
quindi definitivamente allo Stato Pontificio sotto cui godette di relativa autonomia e prosperità. Nel 1848, a
seguito dell’aggregazione dei castelli di Fabbri, Fratta e
San Luca, tolti a Trevi, Montefalco ottenne da Pio IX, (già
arcivescovo di Spoleto) l'ambitissimo titolo di città. Città
natale della santa agostiniana Chiara (1268-1308),
Montefalco è definito la “ringhiera dell’Umbria” per la
sua posizione privilegiata, dominante le valli del Clitunno
e del Topino, con vasto panorama su Perugia, Spoleto,
Bevagna Trevi, Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria, sui
monti Martani, il Subasio, il Vettore e gli Appennini.
FONTE DEL POGGIOLO o di CAMIANO
La fonte, forse databile al tardo XIV secolo, è caratterizzata
da un piccolo vano coperto da una volta a sesto leggermente acuto e si apre sulla pubblica via con un ampio e
massiccio arcone ogivale.
Fonte del Poggiolo, icona del falco
Posta in prossimità delle mura urbiche, appena fuori dalla
passione dell’Imperatore Federico II
medievale Porta del Camiano, prende il nome dal Poggiolo
del Camiano, un luogo sacro legato alle più antiche testimonianze locali. Secondo una tradizione agiografica di
epoca longobarda qui si sarebbe trovato infatti l’appezzamento di terra che il santo presbitero Fortunato (ca. 390
d.C.), principale patrono della città, lavorava per procurare cibo a sé e ai poveri. Ancora qui, secoli più tardi, S.
Francesco avrebbe fondato il convento di S. Maria della Selvetta, sede dei Francescani dal 1240 al 1275, oggi S.
Rocco per una tavola del santo dipinta nel 1516 dal Melanzio (di Montefalco, 1465-1519 ca.). Lo statuto del
Comune di Montefalco del 1425
ricorda in più punti la tutela di
questa fonte pubblica, l’obbligo di
una sua regolare manutenzione e
il rispetto di alcune essenziali
norme igienico-sanitarie, come il
divieto di conciarvi le pelli, di lavarvi le verdure e di tenervi a
bagno i barili: testimonia ancor
oggi questa cura la lapide in
cotto, collocata sulla parete di
fondo, con l’iscrizione “Pena uno
scudo chi lava qui”.
Fonte del Poggiolo del tardo XIV sec. in prossimità delle mura urbiche
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FONTE DI S. FRANCESCO,
località Vecciano
Da S. Rocco, in direzione Vecciano, si raggiunge la fonte di S. Francesco che,
secondo la tradizione, il santo fece sgorgare nel 1215 quando fondò il convento
presso S. Maria della Selvetta.
POZZO
presso la Chiesa di S. Lucia
Da Porta Federico II (1244), in origine
Porta di S. Bartolomeo dall’omonima
chiesa, percorrendo via dei Vasari (da
un’antica attività artigianale) e raggiungendo la romanica chiesetta di S. Lucia,
di origine benedettina, con facciata a capanna in pietra rosa, ci si inoltra per le
strette viuzze medievali del quartiere di
Camiano, dal nome della porta duecenFonte del Poggiolo, iscrizione 'Pena uno scudo chi lava qui’, particolare
tesca da cui si gode una bellissima vista
panoramica sulla valle spoletina. Nei
pressi il Foro Boario, adibito per secoli a mercato del bestiame e un vetusto pozzo, là dove secolari vitigni abbarbicati alle case testimoniano la vocazione vinicola di questa terra.
CANALE DEI MOLINI
Casco dell’Acqua, località nel Comune di Trevi, deve il suo nome a uno sbarramento artificiale del Clitunno nel
punto ove il suo corso si biforca ed ha origine il "Canale dei Molini di Montefalco " che andava ad alimentare
l'opificio posto in località Torre di Montefalco lungo un percorso antico che congiungeva la città con Foligno.
RIFERIMENTI UTILI
Complesso Museale di S.
Francesco: nella ex chiesa
di S. Francesco è ospitato
il Museo Civico (0742
379598), che si estende
anche agli ambienti adiasottostanti
e
centi
l’edificio religioso, affrescato con importanti cicli
pittorici quali le storie
della vita di S. Francesco
del fiorentino Benozzo
Gozzoli (1421-1497) o la
Natività e l’Annunciazione
di Pietro Vannucci detto il
Perugino (documentato
dal 1440 al 1474).
Fonte di S. Francesco, in direzione Vecciano
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MONTELEONE DI SPOLETO
Il territorio, abitato fin dalla protostoria, fu sede di gastaldato in età longobarda e feudo dei Tiberti nel medioevo che fecero erigere nell’880 il castello di Brufa, oggi Monteleone. Il castello, assoggettato a Spoleto in
età comunale, passò alla metà del Cinquecento sotto la Legazione di Perugia, godendo di relativa autonomia
e prosperità come attestano anche i palazzi gentilizi dell’ampliamento rinascimentale del borgo a valle del
primitivo nucleo abitativo. Monteleone, legato all’agricoltura (celebre il farro) e alla pastorizia, vanta importanti reperti archeologici, quali il carro da parata etrusco rinvenuto nel 1902 a Colle del Capitano che il
Comune rivendica al Metropolitan Museum di New York dove attualmente si conserva (una copia è visibile
a Monteleone nei locali al di sotto della chiesa di S. Francesco).
Piazza del Mercato, fontana in ghisa
POZZI E CISTERNE in piazza del Mercato e nel Chiostro di S. Francesco
Gli Statuti, della seconda metà del XVI secolo, si lamentano che “in terra di Monteleone molto si patè d’acqua
bona da bere”. Fu perciò premura della comunità la cura di pozzi e cisterne e che le fonti e le condutture fossero
sempre ben pulite e funzionanti, comminando pene severe a chi vi lavasse i panni o gettasse sporcizia. Intorno
alle piazze del Mercato, S. Francesco e del Plebiscito si articola il principale nucleo medievale (ma il nucleo più
antico è probabilmente alla sommità del poggio intorno alla chiesa di S. Niccolò), cui si accede dalla Porta
dell’Orologio, cinto originariamente da una cortina muraria di cui la chiesa di S. Francesco ricalca in parte il perimetro. La chiesa, la costruzione più monumentale del castello, edificata alla fine del Duecento su un preesistente
oratorio benedettino, fu ampliata alla fine del trecento, quando venne costruita la facciata con il bel portale gotico, una seconda navata ed innalzato il pavimento, così da creare una chiesa superiore ed una inferiore. Ad est
si affianca alla chiesa il convento francescano, con il chiostro a due ordini (dal chiostro si accede anche alla
piccola chiesa di S. Antonio) all’interno del quale era una cisterna, intorno cui, nel 1579, fu eseguita la selciatura
del cortile. Una fontana in ghisa e alcune vasche in pietra conservate sotto i portici del palazzetto dei Priori nella
medievale Piazza del Mercato testimoniano la presenza di un sistema di adduzione e conservazione dell’acqua
fin nel cuore del castello.
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PORTA DI S. GIACOMO
O DELLA FONTE
Palazzo dei Priori, vasche in pietra conservate sotto ai portici
Appartiene alla cinta muraria quattro-cinquecentesca, così come Porta delle Monache presso la chiesa
di S. Caterina e Porta del Borgo o Spoletina, la principale. Prende nome dalla chiesa di S. Giacomo, oggi
occupata da abitazioni private, ma molto importante
in origine e con annesso ospedale (oggi palazzo
Piersanti) per la cura degli esposti (trovatelli) tanto
da dare il nome a questa porzione della città (rione
o terziere di S. Giacomo). La porta prende nome
anche dalla fonte, la più vicina al borgo tra le numerose che esistevano nel territorio e che gli antichi
statuti menzionano, dove si poteva attingere acqua.
PONTE DELLE FERRIERE
Risale al 1634 la costruzione del ponte sulla gola del
Corno, lungo la strada tra Monteleone e Cascia
presso cui le acque del fiume, immesse in un canale
artificiale servivano per la fusione e la ventilazione
del ferro nella ferriera di Ruscio. Si deve a Urbano
VIII (già vescovo di Spoleto) e al Cardinale Poli, originario di Usigni, lo sfruttamento intensivo delle
risorse minerarie della zona (localizzate soprattutto
a Terrargo presso il versante sud del monte Birbone),
che a seguito dei terremoti del 1703 e del 1730, di
una piena del Corno del 1798 che impedì l’utilizzazione della presa d’acqua e degli onerosi costi di
produzione, declinò nel corso dell’Ottocento. Con il
ferro di Monteleone, a riprova dell’importanza assunta dalle ferriere nel seicento, furono forgiati i
cancelli laterali medi della Basilica di S. Pietro con
lo stemma di Urbano VIII.
LAGHETTO ARTIFICIALE DI MONTE
ASPRA (m. 1652)
Ponte delle Ferriere,
costruito nel 1634 sulla gola del Corno
Partendo da Porta Spoletina, attraverso tratturi e
mulattiere utilizzati da secoli dagli abitanti del luogo
si può giungere, ammirando lo straordinario panorama di alta quota, al laghetto artificiale del Monte
Aspra fatto realizzare dal principe Alessandro
Torlonia (noto per la bonifica del Fucino) nel 1867
per raccogliere l’acqua piovana che serviva ad abbeverare gli animali durante l’alpeggio.
MULINI
Negli Statuti è prevista la mano mozzata per chi danneggia mulini, gualchiere, botteghe e palombare e non riesce
a pagare la multa e il danno arrecato. In zona, presso la frazione di Butino, il mulino Olivieri.
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Monteleone, C.so Vittorio Emanuele, tel. 0743 70421, fax 0743 70422.
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NOCERA UMBRA
Abitato umbro sorto a 520 m s.l.m. alla confluenza
del fiume Topino con il torrente Caldognola, alle
falde del Monte Pennino e del Monte Acuto. Legato
in età romana alla via Flaminia, fu centro longobardo dipendente dal Ducato di Spoleto, conteso
tra la guelfa Perugia e la ghibellina Foligno e, dal
1439, sotto il dominio dello Stato Pontificio. Fin dal
XVI secolo beneficò della fama delle sue acque salutari, bicarbonato calciche, provenienti dalle
numerose sorgenti (Angelica presso Bagni di
Nocera, del Cacciatore o del Centino presso
Schiagni, Flaminia in località Le Case), che, insieme
alle argille alcaline, vennero utilizzate per bagni e
preparati terapeutici, per la tavola e la cura di malattie gastroenteriche, delle vie urinarie e del
ricambio.
LE ACQUE DI BAGNI DI NOCERA
A circa sei km da Nocera Umbra, sulla strada per
Colfiorito si trova la località Bagni di Nocera. Al centro del vasto complesso termale, la famosa fonte
Angelica, frequentata fin dal XVI secolo e cara ai pontefici romani. Il primo edificio termale, il Palazzo
Fonte a lato della duecentesca Porta Vecchia,
Vecchio, fu costruito nel corso del Seicento, il Palazzo
realizzata nel XIX sec.
Nuovo agli inizi del Settecento, entrambi oggi convertiti in eleganti strutture ricettive. La fonte del complesso si presentava, nel 1684, come uno spazio quadrato
coperto da una volta a crociera ed aperto su tre lati. Dopo l’edificazione del Palazzo Nuovo (la fonte ubicata al
termine del portico di Palazzo
Vecchio, adibita esclusivamente al
carico dell’acqua da commercializzare viene detta Delle Some
dalla capacità dei barili usati per
il trasporto), tra i due edifici, nello
spazio che si potrebbe definire
una vera e propria piazza, si ergeva una fontana in marmo di
forma ottagonale di 20 metri di
circonferenza e 67 cm di altezza,
forse realizzata su disegno dell’architetto
romano
Gabriele
Valvassori. Al suo posto, alla fine
dell’Ottocento, in occasione del
passaggio di proprietà del complesso dal Comune di Nocera al
possidente romano Antonio
Maggiorani (la fonte Angelica
passava invece nel 1894 al milanese Felice Bisleri, responsabile,
agli inizi del Novecento, del rilancio dell’acqua su scala nazionale)
fu realizzata dalla Fonderia Lippi
Fonte a lato della Porta Vecchia
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di Pistoia una pregevole fontana
bronzea, con una complessa decorazione che si ispira per lo più
al mondo animale, vegetale, allo
zodiaco e a presenze umane,
nella foggia di sinuose figure
femminili ai lati di una sfera verosimilmente rappresentante il
globo terrestre.
FONTI PRESSO PORTA
VECCHIA
A memoria dell’acqua di Nocera
anche le due fonti del XIX secolo
ai lati della duecentesca Porta
Vecchia, che conduce al centro della città, accompagnate dai versi che inneggiano alla ricchezza e virtù del prezioso liquido vitale, composti dal medico, naturalista e letterato aretino Francesco Redi (1626-1697, dal ditirambo
“Arianna inferma”) e dalla poetessa perugina Alinda
Bonacci Brunamonti (1841-1903).
Iscrizione posta a lato della Fonte presso Porta Vecchia
POZZO DI S. FRANCESCO
in piazza Caprera
Completamente rifatto nella porzione sommatale e sostituito nelle funzioni da una fontana del 1993, è ubicato
in Piazza Caprera, la medievale Piazza Grande o del
Comune, ampliata alla fine dell’Ottocento con la demolizione del chiostro del convento francescano, su cui
prospettavano il palazzo dei Priori e vari edifici religiosi,
ancora riconoscibili nella moderna cortina edilizia. Tra
questi ultimi la trecentesca chiesa di S. Francesco che
ospita oggi la Pinacoteca Civica.
PONTI ROMANI sulla Flaminia
La via Flaminia, dal territorio dell’attuale Valtopina, superata la località Case, raggiungeva la statio di Nocera.
Nei suoi dintorni si trovano i resti del Ponte Marmoreo
situato nei pressi della confluenza del rio Caldognola con
il Topino, e di un viadotto munito di contrafforti in loc.
“Le Spogne”. Da Nocera, la Flaminia proseguiva per la salita del Picchio (chiavicotto romano), per la località di
Colle (ponte Augusteo) e Gaifana dove a Sette Ponti deviava dall'attuale Flaminia e proseguiva fino al passo
della Scheggia e al valico del Furlo.
Piazza Caprera, pozzo di S. Francesco
sostituito nelle funzioni da una fontana del 1993
RIFERIMENTI UTILI
Ufficio Turistico c/o Municipio di Nocera Umbra, via S.
Rinaldo 9, tel. 0742 834033-36-79; Museo Civico di
S. Francesco, p.za Caprera, tel. 0742 818640.
Viadotto munito di contrafforti in località Le Spogne
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NORCIA
Patria di S. Benedetto che vi nacque, insieme alla sorella gemella S. Scolastica, nel 480 d.C., villaggio sabino
e poi prefettura e municipio romano dopo la conquista di Curio Dentato nel 290 a.C., occupa un rilievo collinare ubicato nella porzione occidentale del piano di S. Scolastica, dove la città medievale e moderna si
sovrappone alle preesistenze romane documentate presso la cripta di S. Benedetto o nel caso del Criptoportico
di Porta Ascolana. Sede dal 1569 della Prefettura della Montagna, una istituzione creata ad hoc per il controllo
del territorio da parte dello Stato Pontificio, visse lunghi periodi di prosperità turbati dai terremoti che nei
secolo hanno devastato la Valnerina, in particolare gli eventi sismici del 1703, 1730, 1859 e 1979 e le conseguenti ricostruzioni che hanno determinato il riassetto della città, ancora tutta racchiusa nella cinta muraria
di impianto medievale, e l’attuale aspetto urbanistico ordinato ed elegante.
FONTANA nel chiostro della Castellina,
Piazza S. Benedetto
Collocata all’interno della Castellina, pregevole architettura rinascimentale opera del Vignola, sede della
Prefettura della Montagna ed oggi del Museo Civico
e Diocesano (tel. 0743 817030, anche per la visita al
criptoportico romano), la piccola fonte è sovrastata
dalla statua, composta da due frammenti eterogenei
di epoca romana, tradizionalmente ma impropriamente detta di Vespasia Polla, originaria di Norcia e
madre, secondo le fonti latine, dell’imperatore
Vespasiano. La parziale asportazione di un precedente
affresco cinquecentesco è frutto di un intervento settecentesco a cura del Prefetto Gherardo Zandemaria
Chiostro della Castellina,
di Parma che concluse i restauri del palazzo dopo il
fontana sovrastata dalla statua detta di Vespasia Polla
terremoto del 1703 dotandolo della fonte (iscrizione
del 1718 al di sotto dello stemma di Gregorio XIII). Presso la fonte si accede a locali, già sede della sala di tortura
ed oggi adibiti a esposizioni museali, entro cui è la cisterna del castello.
FONTE-LAVATOIO presso Porta Patino
La fonte, ubicata in prossimità di Porta Patino o Palatina (dalla
montagna piramidale che le sta di fronte), con le vasche incorniciate da fornici coperti da una tettoia, rivela, nelle grosse
pietre utilizzate per la costruzione, il reimpiego di materiali di
spoglio di epoca romana. L’acquedotto, realizzato alla metà del
XIII secolo per convogliare le sorgenti della montagna di
Capregnola, ha alimentato per secoli questa fonte e la città distribuendo le acque in otto fontane pubbliche ubicate nelle
piazze principali degli otto rioni (guaite) con la possibilità di
utenza idrica privata dietro pagamento di un corrispettivo alla
comunità. Alcuni tratti di questo acquedotto, a seguito dei
danni arrecati da tempo e usura, furono sostituiti alla fine
dell’ottocento con tronchi di conduttura in ghisa.
FONTANA presso Campi, frazione di Norcia
Parta Patino, fonte-lavatoio
con vasche incorniciate da fornici
Sulla via Vissana, presso la villa Angelini Paroli, si trova questa fonte forse costruita in epoca medievale riadoperando elementi romani o tardo antichi ritenuti appartenere ad una balaustra collocata in origine all’interno di
una chiesa del vetusto insediamento di Campi. Si tratta di due lastre (una terza a S. Eutizio fu pure reimpiegata
come fontana), a bassorilievo con motivi a losanga, decorate sia internamente che esternamente e con cornice
superiore aggettante.
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MULINI e OPERE DI BONIFICA delle Marcite
Il verde splendente che caratterizza l’aspetto delle Marcite è dovuto alle acque di circolazione carsica del Pian
Grande di Castelluccio che, inghiottite dal terreno a quota 1400 m, scorrono sotterranee e riaffiorano, là dove
incontrano strati impermeabili, alla base dei pendii della conca di Norcia, regimentate in rivoli e canaletti che
inondano completamente i prati e vanno poi a formare il fiume Sordo, ad una temperatura di 10-11° che favorisce
una spontanea e rigogliosa vegetazione in tutte le stagioni, particolarmente evidente nel colmo delle estati siccitose o del gelo invernale, e la raccolta di fieno ed erba per gli animali. La creazione di una fitta rete di canali e
chiuse per imbrigliare le acque e consentire l’allagamento dei terreni è tradizionalmente ritenuta opera dei monaci
benedettini: l’uso irriguo delle risorgive dette origine anche al sistema idraulico dei mulini a grano (almeno otto),
dagli anni cinquanta del secolo scorso non più funzionanti ma in alcuni casi in buono stato di conservazione e
visitabili (per la visita Comunità Montana, tel. 0743 828911. La porta della cinta urbica che guarda le Marcite è
nota anche come Porta Molara perché da essa si passava per dirigersi ai sottostanti mulini. Oggi vi sbocca il passaggio segreto della Castellina).
BAGNI DI S. CLAUDIO, Serravalle, frazione di
Chiesa di S. Claudio, vi erano gli omonimi
Bagni con acque curative
Norcia
Attualmente abbandonati, così come l’omonima chiesa sovrastante (vi si arriva da un sentiero che si diparte da Serravalle),
sono ricordati come “acque di S. Chiodo” negli Statuti di Norcia
del 1345, che ordinavano di “ritrovare lo bagno di Serravalle”
perché la sorgente risultava “soffocata” con grave danno “de
tucti ciptadini et contadini et maxime delli infermi”. Il toponimo
Serravalle, secondo un’ipotesi, deriverebbe da “Sanavalle” proprio
a ricordo delle capacità curative delle acque, menzionate nel seicento dall’abate benedettino F. Ciucci e nelle settecentesche
dissertazioni fisico-mediche di A. Cattani come essenziali per la
cura di malattie dell’apparato digerente e per la calcolosi.
STRETTO DI BISELLI
Uno dei ponti lungo il fiume Corno
Si chiama così la gola del fiume Corno (che si getta nel Nera
nei pressi di Triponzo, toponimo che allude, come Ponte, presso
Borgo Cerreto, alla presenza, fin da epoca romana di attraversamenti sui fiumi della Valnerina) nel punto in cui, non lontano
dall’ormai diruto castello di Biselli, scavando i compatti calcari
mesozoici, determina un angusto passaggio con pareti quasi
verticali di oltre 170 m di altezza. Punto obbligato di passaggio
da e per Norcia, conserva traccia di ponti realizzati in varie epoche, tra cui una vecchia struttura ad arco ribassato
probabilmente da riconnettersi allo sbarramento progettato da
Cola dell’Amatrice (architetto, ingegnere e pittore), incaricato
nel 1537 dal Comune di Norcia di creare un lago per la produzione di pesce, impresa che miseramente fallì con il crollo della
diga prima del collaudo (i solchi nella roccia di una paratia a
saracinesca della diga sono visibili percorrendo il Corno in un
suggestivo percorso rafting).
RIFERIMENTI UTILI
Circuito Museale Nursino, p.za S. Benedetto (tel./fax 0743
817030), anche per la visita al criptoportico romano; IAT
Cascia, tel. 0743 714001-Norcia, tel. 0743 828173, anche
per la visita ai mulini e per il rafting sul Corno.
Gola del fiume Corno, stretto di Biselli
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POGGIODOMO
Castello fondato su uno sperone di roccia sovrastante il torrente Tissino e sovrastato dal Monte Carpenale,
menzionato per la prima volta in un documento del 1233, la cui storia, legata prima di tutto alle celle monastiche e alle piccole chiese del territorio (quali il monastero di S. Benedetto in Valle, completamente dirupo
e l’eremo della Madonna della Stella, scavato in parte nella roccia) che precedettero e favorirono l’insediamento dentro le mura, si intreccia con quella di Spoleto, Leonessa e Cascia. Dal 1380 fa formalmente parte
del territorio di Cascia. La sua storia è legata anche al Cardinale Fausto Poli (1581-1653), nativo di Usigni
(altro antico castello e attuale frazione di Poggiodomo), segretario di Urbano VIII, cui si deve, tra l’altro, la
promozione del processo di beatificazione di Rita Lotti da Cascia che si concluse nel 1628 e la trasformazione
seicentesca di Usigni in “paese palazzo”, con l’edificazione della monumentale chiesa del Salvatore, del suo
e di altri palazzi del luogo. Poggiodomo, da cui dipendono,oltre ad Usigni, i castelli di Mucciafora e
Roccatamburo, fu riconosciuto comune indipendente già da Napoleone e riconfermato con l’Unità d’Italia.
POZZO-CISTERNA del cardinale Poli, Usigni, frazione di Poggiodomo
Al mecenatismo del Cardinale Poli si deve anche la costruzione di questo pozzo, ad uso del villaggio di Usigni.
Collocato presso il palazzo della sua famiglia, nobilita, insieme alla chiesa di San Salvatore, fatta edificare nel
1644, l’esiguo abitato dalla tipica forma di castello di pendio, per lo più costituito da edifici di due o tre piani che
si adattano alla scoscesa morfologia del luogo.
Il pozzo, di forma parallelepipeda con quattro pilastri angolari, reca scolpito lo stemma del cardinale con tre
monti allineati e due querce dai rami intrecciati sulla sommità di quelli laterali. Al di sopra tre api, tratte dallo
stemma di papa Urbano VIII Barberini (1623-1644), a significare la protezione accordata dal pontefice al suo cameriere segreto. Il pozzo è concluso da due alti pilastri in pietra con l’architrave ad uso di pergola.
Pozzo-cisterna di forma parallelepipeda, reca lo stemma del cardinale Fausto Poli
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MULINI lungo il Tissino
La strada che collega Usigni, Poggiodomo, Roccatamburo, Rocchetta e Ponte costeggia la lunga valle, scavata
per lo più nella locale scaglia rossa, del torrente Tissino, fino alla confluenza, con il fiume Nera. A metà strada tra
Roccatamburo e Poggiodomo il torrente Rio confluisce nel Tissino garantendo il funzionamento del mulino
Piergentili, una delle famiglie più influenti nel settecento della comunità, appartenente ad una classe emergente,
proprietaria di fondi, mulini e bestiame, interessata alla privatizzazione dei beni di uso civico quali “l’erbatico”
(prati e campi) della montagna.
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Poggiodomo, via Roma 2, 0743 79285.
Mulino Piergentili, tuttora funzionante
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PRECI
Castello di pendio fondato nella seconda metà del sec. XIII alla confluenza dei percorsi per Visso e per la valle
Oblita, sulla strada della valle del fiume Campiano, originariamente dipendente dalla vicina Abbazia di S.
Eutizio. Mire autonomistiche e libertarie cagionarono per ben due volte la distruzione del castello fino alla
definiva pacificazione con Norcia nel 1555 che coincise con il nuovo aspetto gentilizio del centro cittadino e
la fioritura della scuola chirurgica, nota nel mondo per le operazioni delle cataratte e la litotomia (o calcolosi
vescicale).
FONTANA nel secondo chiostro
dell’Abbazia di S. Eutizio
La tradizione vuole che il monaco siriano S.
Eutizio, successore di S. Spes, fondasse nel
V sec. la comunità cenobitica, attestata nei
documenti non prima del X sec. L’iscrizione
sul portale di ingresso alla chiesa reca la
data 1190 e il nome dell’artista che realizzò
l’opera (Petrus) completata nel 1236 per
ospitare le spoglie mortali di Eutizio (il sepolcro è del 1514). L’abbazia, da cui
dipendeva in origine un vasto territorio che
giungeva fino ad Ascoli e Teramo, si articola
nella chiesa ad un’unica navata con annessa
sagrestia, in due corti e nel monastero, in
alcuni ambienti del quale ha trovato collocazione un’interessante raccolta di opere
d’arte e di artigianato collegate alla vita del
complesso monastico e del territorio. Negli
spazi del museo, che i recenti lavori di restauro hanno valorizzato con la scoperta di
resti delle originarie strutture dell’abbazia,
sono anche una farmacia, un laboratorio
alchemico e l’esposizione di strumenti chirurgici della celebre scuola preciana e di
antichi testi di medicina. La fonte, nel secondo chiostro del complesso abbaziale,
anteriormente reimpiega un lastrone decorato a bassorilievo con bordo aggettante,
con pilastrini appiattiti che inquadrano
spazi rettangolari decorati da rombi rilevati. La lastra è stata variamente
considerata come originariamente proveniente da un pluteo (balaustra) di
recinzione o come elemento frontale di sarcofago altomedievale, datata nel tardo
antico (IV-VI sec. d.C.) o nell’alto medioevo
(VIII-IX sec. d.C.).
Abbazia di S. Eutizio, veduta dall’alto
Abbazia di S. Eutizio, fontana nel secondo chiostro
MULINO a grano di Borgo Garibaldi
In località Borgo Garibaldi, proprio ai piedi del centro storico di Preci e collegato a questo da una bella passeggiata,
è visitabile il centro visite del Parco Nazionale dei Monti Sibillini “L’antico mulino”. Una data incisa sull’impianto
di molitura lascerebbe supporre un’origine o un rifacimento risalente al 1808, il bassorilievo sull’arco d’ingresso
rimanda alla ricca casata locale dei Viola. A memoria d’uomo, questo mulino era considerato il più importante
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del luogo e la struttura conteneva
anche una comoda stalla per le bestie
da soma utilizzate per portare i cereali
e ritirare la farina che se ne ricavava,
decurtata di una percentuale trattenuta
dal mugnaio.
S. MARIA DELLA PESCHIERA
Dall’antico mulino di Borgo Garibaldi
parte un breve percorso ad anello, segnalato con l’indicazione “Trek urbano”.
Consiste in un itinerario che raggiunge
il centro storico attraverso un sentiero
nel bosco che ripercorre l’antica via di
accesso al castello, invitando alla visita
S. Lazzaro, chiesa a due navate con volte a crociera
delle principali emergenze storico-arsorrette da un pilastro centrale
chitettoniche, dalla chiesa parrocchiale di
Santa Maria (portale gotico del XIV sec.) quindi il “Centro di documentazione e ricerca sulla storia della chirurgia
preciana” (ex chiesa di S. Caterina), poi, riscendendo verso il mulino, la chiesa della “Madonna della Peschiera”,
sorta sopra una sorgente di acque considerate salutari e nei pressi della quale è mantenuta in ottimo stato di
conservazione una peschiera risalente al XVI-XVII secolo.
S. LAZZARO AL VALLONCELLO
Le origini del lebbrosario, nei pressi dei Casali di Belforte (a metà strada tra Pontechiusita e Triponzo, all’imbocco
della stretta valle denominata “valloncello” solcata da un rivo d’acqua che più a monte forma una cascata detta
“lu Cuniuntu”) dovrebbero risalire al 1218 quando un certo Razzardo di Roccapazza donò una vasta area per la
costruzione di una chiesa e un ospedale per la cura dei lebbrosi riservandosi il diritto di pascolo. La tradizione
vuole che lo stesso S.
Francesco avesse fondato il
lazzaretto la cui ubicazione
deve senz’altro mettersi in
rapporto con l’isolamento
naturale del luogo e la presenza
delle
acque
medicamentose del Nera (nei
pressi anche la località Bagni
di Triponzo). Il lebbrosario,
soppresso nel 1490 da
Innocenzo VIII, quando andavano ormai scomparendo i
casi di lebbra, nei pressi del
quale fontane con vasche
servivano al bagno dei lebbrosi,
è
oggi
stato
trasformato in appartamenti
per vacanze mentre l’antica
chiesa, a due navate, con
S. Lazzaro, lebbrosario, soppresso nel 1490,
volte a crociera sorrette da
oggi trasformato in appartamenti per vacanze
un pilastro centrale, è in gran
parte utilizzata come cantina
(solo una parte residua rimane come oratorio).
RIFERIMENTI UTILI
Abbazia di S. Eutizio, tel. 0743 99659, fax 0743 99659-231036; Ufficio Informazioni 0743 93781; Centro
Visite/Casa del Parco di Preci c/o “L’antico mulino” di Borgo Garibaldi, tel./fax 0743 937000.
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S. ANATOLIA DI NARCO
Castello medievale di pendio sorto su un insediamento preesistente testimoniato da necropoli di VIII-IV sec.
a.C. venute alla luce in loc. “Il Piano”. Il primitivo castello di Narco fu distrutto dagli Spoletini che lo riedificarono con il nome di Sant’Anatolia alla fine del XII sec. imponendo la loro giurisdizione ed inserendolo nel
proprio distretto. S. Anatolia, che rimase fino all’Ottocento sotto il controllo di Spoleto, conserva la cinta
muraria ellittica con tre porte e numerose case del XIII secolo, mentre altre, in alcuni casi palazzetti gentilizi,
sono state ricostruite nei secoli XVI-XVII in parte addossate al muro nord del castello.
POZZO-CISTERNA all’interno dell’ex convento di S. Croce
È posto all’interno del chiostro dell’ex convento di S. Croce, oggi elegante struttura alberghiera, ubicato poco
fuori dall’abitato e costruito tra il XIII e il XIV secolo come sede di una comunità di Minori osservanti. La cisterna,
profonda 10 metri ed interamente murata con pietre di calcare e scaglia rossa, dopo l’abbandono del convento
venne utilizzata come luogo per conservare al fresco gli alimenti.
FONTE VECCHIA o DELLA PIA
e FONTE DELL’ACQUA SANTA
Fonte della Pia, sec. XVI,
coperta da una volta a tutto sesto
Lungo la vecchia strada comunale che da S.
Anatolia conduce a Castel S. Felice costeggiando il
Nera si incontra, a trecento metri dal paese, una
fonte pubblica del XVI sec. (con iscrizione), caratterizzata da un piccolo vano coperto da una volta
a tutto sesto. Lungo la strada è la chiesetta campestre denominata La Pia (inizi del XVI sec.) e i
ruderi di un mulino ad acqua. Nei pressi della chiesa
sgorga tuttora una sorgente che alimentava i canali
di adduzione al mulino dove, fino agli anni
Cinquanta del Novecento, si metteva al macero la
canapa coltivata nei terreni posti tra il fiume Nera
e la fonte stessa. Simile alla fonte Vecchia è la fonte
dell’Acqua Santa posta lungo il sentiero della transumanza che da Caso, frazione di S. Anatolia,
conduce a Scheggino.
CASTEL S. FELICE: la chiesa di S. Felice e la bonifica del Nera
Metafora della bonifica del territorio solcato dalle acque del Nera sono probabilmente i bassorilievi sotto il rosone
della romanica chiesa di S. Felice, costruita verso il 1190 su un preesistente edificio religioso, edificato verosimilmente nel VI sec., insieme al contiguo monastero, ad opera di monaci seguaci della regola di S. Benedetto di cui
il Beato Mauro sarebbe stato fondatore e primo abate. Secondo la tradizione agiografica Mauro e Felice dalla
Siria si diressero verso il territorio di Spoleto, in un luogo chiamato Narco. Diffusasi la fama della vita edificante
degli eremiti la popolazione locale chiese a Mauro di liberare la valle da un mortifero drago. Il bassorilievo mostra
un drago che esce da una grotta, che può simboleggiare, oltre che il male, satana e l’eresia, la palude malsana
formatasi a seguito del ristagno delle acque del fiume risanata con l’uccisione del mostro alato da parte di Mauro,
padre di Felice alla presenza del figlio e assistiti da angeli. La natura idrogeologica del Nera ha favorito nel tempo
straripamenti ed esondazioni, frequenti fino agli anni ’30 del Novecento quando una parte delle acque del fiume
è stata captata e canalizzata per scopi idroelettrici. Leggende popolari e toponomastica locale ricordano inoltre
la presenza di zone lacustri e paludose: secondo tali tradizioni l’uccisione del drago evocherebbe il prosciugamento
di un lago, infestato da una fiera, posto tra Castel S. Felice e Ferentillo.
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Abbazia di S. Felice, bassorilievo sotto il rosone: uccisione del drago simbolo del male
SORGENTE SOLFOROSA
all’interno dell’Abbazia di S. Felice
La sorgente si trova all’interno del complesso abbaziale, nell’ala corrispondente alle strutture poste lungo
il corso del fiume Nera. Presso la vasca di raccolta della
acque sorgive si apre un vano che è parte integrante
dell’edificio monastico medievale, ma che ingloba nel
muro perimetrale verso il Nera una struttura precedente. Tale ambiente, dal momento che l’acqua affiora
pure all’interno di esso, è probabilmente da riconnettersi con l’utilizzo della sorgente, così come forse
anche già nel caso della muratura più antica. L’acqua
medicamentosa, anche se forse nota precedentemente
all’insediamento monastico, fu ad esso strettamente
correlata. Il vescovo Lascaris, nella visita pastorale del
Abbazia di S. Felice, costruita intorno al 1190
1712 scrive: “davanti all’altare maggiore v’è il presbiterio elevato e spazioso. Nel mezzo v’è una buca (oggi
non più visibile) chiusa con grata di ferro, su cui le donne, spinte da fanatismo, lavano la testa dei figli con l’acqua di una vicina sorgente per liberarli dalla scabbia”. E Teseo Pini, nel suo “Speculum Cerretanorum” del 1485
riferisce che a S. Felice il priore Andrea con una pietra concava ripiena delle acque del fiume Nera, dinanzi all’altare lavava infermi e bambini, che sarebbero così cresciuti di ampia corporatura e di alta statura, se fossero
stati lasciati, in cambio della grazia ricevuta, doni e
ricche vesti, con vantaggio economico non indifferente per l’arguto sacerdote.
RIFERIMENTI UTILI
Museo della Canapa, p.za del Comune Vecchio (0743
613149-333 6099614) corredato da laboratorio didattico: illustra il ciclo di lavorazione della canapa,
pianta coltivata prevalentemente ad uso tessile e
per cordami in tutta la Valnerina, sia nelle zone di
montagna che, soprattutto, nei terreni fertili e umidi
lungo il fiume Nera denominati tuttora “Canapine”.
Abbazia S. Felice - interno, sorgente solforosa
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SCHEGGINO
Castello triangolare di pendio sorto sulla riva sinistra del Nera, in corrispondenza di una strettoia della valle
e verosimilmente di un antico guado. La fedeltà a Spoleto gli causò assedi e saccheggi da parte dei nemici di
questa città sia nel 1391 che nel 1552, durante l'insurrezione dei castelli della Valnerina, guidati da Petrone
da Vallo e Piccozzo Brancaleoni. La relativa autonomia e il benessere di cui godette gli consentirono di dotarsi,
nel 1561 di Statuti cittadini, benessere destinato ad aumentare sotto lo Stato Pontifico quando nel 1635
Urbano VIII, per intervento del cardinale Poli proprietario di una villa in questo luogo, fece attivare una fonderia per la lavorazione del materiale ferroso estratto dalla miniera di Monteleone di Spoleto, adeguando
anche la strada della Valcasana al trasporto dei materiali.
CANALE ARTIFICIALE presso il borgo di Scheggino
Del castello di pendio, riferibile nell’aspetto attuale ai sec. XIII e XIV, resta soltanto la cerchia più bassa, lungo le
mura (detta “capo la tera”), mentre il borgo, fuso oggi in un unico complesso con il castello, si allunga a fianco
dello stretto canale artificiale che alimentava il mulino.
Dagli Statuti comunali si evince che mentre a Ferentillo chiunque poteva costruire un mulino, a Scheggino i
mulini per il grano e per le olive erano comunali e severamente sorvegliati e pertanto al pari dell’ospizio (osteria
o locanda) e delle taberne (trattoria), erano dati solo a cottimo (in affitto).
Scheggino, canale artificiale presso il borgo
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Canale che alimentava il mulino di Pontuglia
MULINO DI PONTUGLIA
Pontuglia è una villa agricola nel comune di
Scheggino formatasi non prima del XV sec. nei pressi
di sorgenti d’acqua che alimentavano il fosso omonimo. Il tessuto edilizio è raggruppato tutt’intorno al
vecchio mulino che caratterizza, con la grande cisterna alle sue spalle, l’intera località e ne costituisce
il punto di riferimento. Un intero lato della piazza,
attorno a cui si organizza il nucleo di Pontuglia, è infatti delimitato da un grande vascone artificiale in
blocchi di pietra, alimentato da un piccolo canale che
si dirama dal vicino fosso. L’acqua così raccolta muoveva per caduta la grande ruota del mulino
funzionante fino a pochi anni fa e tuttora ben conservato.
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Scheggino, via del Comune 11, tel. 0743
613232, fax 0743 619084; Pro Loco, via di Borgo
32, tel. 0743 613027.
Stretto canale artificiale
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SELLANO
Castello medievale sviluppatosi, di fronte al castello di Montesanto, sulla cresta di una collina che domina la
valle del fiume Vigi, affluente di destra del Nera. La posizione geografica, decentrata rispetto alla Valnerina
ma in grado di controllare un territorio relativamente ampio e ricco, ne hanno senz’altro favorito lo sviluppo
e la ricerca di autonomia, ma ne hanno anche fatto luogo di ripetute contese tra Spoleto e Camerino.
Nonostante vari tentativi di ribellione, il castello rimase alle dipendenze di Spoleto almeno fino alla fine del
XVIII sec. quando fu definitivamente conquistata l'indipendenza e la dignità comunale estendendo il controllo
sugli ex castelli limitrofi di Montesanto, Cammoro, Orsano, Forfi, Civitella, Apagni e Postignano.
POZZO-CISTERNA
antistante la Chiesa di S. Maria a
Montesanto, frazione di Sellano
Forte era la preoccupazione di non sprecare
l’acqua piovana raccolta nei pozzi-cisterna
all’interno degli abitati, di vitale importanza
in caso di assedio: ad Orsano, come si evince
dagli statuti del 1540, dentro la cisterna del
castello era vietato attingere salvo casi urgenti di vera necessità; a Montesanto (Statuti
del 1545) non si poteva “cavare più di un
vaso d’acqua, per uso di bevere solamente…”.
Costruito con materiale di recupero, a
Montesanto il pozzo è collocato nello spazio
compreso tra l’imponente parrocchiale di S.
Maria e la singolare “casa della posta” antesignano edificio deputato a smistare la
corrispondenza di questo isolato ma nobile
Pozzo-cisterna a Montesanto di Sellano
castello del Sellanese (sul muro una fessura con la scritta: “qui si mettono le lettere de la posta. 1632”). Si deve immaginare una vivace
attività intorno al pozzo più volte restaurato come testimoniano le
iscrizioni datate 1581 e 1699 (ed anche 1901 e 1929).
MULINO DI POSTIGNANO, frazione di Sellano
“La mola a grano è uno dei proventi di questa comunità”, scriveva
nel 1788 l’abate Pietro Torretti in visita a Sellano per ordine della congregazione del Buon Governo e negli statuti comunali (del 1550 ma
trascritti da un codice del 1374) si legge che per la salvaguardia dei
mulini erano eletti tre massari l’anno allo scopo di garantirne la manutenzione. Inoltre chi ne danneggiava le acque era multato con 50
libbre. Si vigilava con altrettanta cura sugli acquedotti (multe salate
nel caso venissero deviati) e sulle fonti dove era proibito lavare e sporcare. A Sellano c’erano almeno due mulini sul Vigi (cap. XIII del I libro
degli statuti), ma ogni comunità limitrofa ne era provvista: ad esempio il mulino di Postignano sul torrente Argentina, del XVII sec.,
piuttosto ben conservato e con annessa tintoria o quelli di Cammoro
ed Orsano sul rio Fauella.
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Mulino di Postignano del XVII sec.
ACQUE TERAPEUTICHE presso Acquapremula frazione di Sellano
La villa, frazione di Sellano (ad un km circa di distanza in direzione di Montesanto), prende il nome dalle sorgenti
oligominerali bicarbonato-calciche ad azione diuretica (rimedio alla calcolosi, malattie chiamate dalla popolazione
“premiti”), imbottigliate in tempi recenti da privati (acqua Tullia), ubicate presso la chiesa e il convento di S.
Niccolò appartenuti dapprima all’ordine dei Benedettini e quindi (dal 1568) a quello dei Cappuccini (ora di proprietà privata), dove, almeno nel XVII secolo, si usavano le acque della sorgente a scopo curativo. Nei registri
dell’antico convento si legge infatti dei numerosi chierici e laici che lì andavano “a passar le acque” accanto a
preoccupate disposizioni del Padre Provinciale dell’Ordine allo scopo di limitare l’uso delle “bagnature” in un luogo
che si intendeva mantenere ispirato alla preghiera e al raccoglimento.
È invece solo una tradizione orale che vuole che monaci o frati di S. Croce di Sterpare o Acquapremula avessero
insegnato agli abitanti del luogo la fabbricazione di lime e raspe, produzione sviluppatasi soprattutto a
Villamagina, frazione di Sellano, fiorente tra Sette e Ottocento.
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Sellano, loc. Villamagina, tel. 0743 926622-0743 926623, fax 0743 96218.
Fiume Vigi, numerosi i mulini sorti lungo il suo corso d'acqua
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SPELLO
Situata in posizione emergente su una stretta propaggine del monte Subasio protesa sulla valle umbra, fu
antico centro umbro ed importante municipio romano ancora fiorente nel IV sec. d.C. come attesta il cosidetto
“rescritto di Costantino” (333 d.C. circa), un documento epigrafico esposto presso il Palazzo Comunale che
contiene la risposta positiva dell’imperatore alla richiesta di celebrare a Hispellum le cerimonie religiose dell’antica lega umbra. Entrata a far parte del ducato di Spoleto la città fu contesa tra Spoleto e Perugia, Chiesa
ed Impero, dominata dai Baglioni tra la fine del ‘300 e il 1583, per poi tornare sotto il controllo del papato
fino all’Unità d’Italia. La signoria dei Baglioni portò in città prosperità e ricchezze testimoniate anche dalle
opere di Bernardino di Betto detto il Pintoricchio (Perugia 1456-60 ca - Siena 1513) quali gli affreschi mariani della celebre cappella Baglioni (1501) nella chiesa di S. Maria Maggiore o la tavola con la Madonna col
Bambino e Santi per la chiesa di S. Andrea (1506).
ACQUEDOTTO ROMANO
Acquedotto Romano,
probabilmente di età augustea
Numerose le tracce dell’acquedotto romano, probabilmente databile in età
augustea ed in uso fino ad epoca moderna. Dalla sorgente di Fontecanale,
posta duecento metri sotto il castello di Collepino, entrava in città per Porta
Montanara proseguendo sotto le odierne via Guelfa e Garibaldi fino a raggiungere Porta Consolare, mentre una diramazione si dirigeva verso Porta
Venere e l’anfiteatro (resti lungo via Centrale). Presso la chiesa di S. Barbara
è visibile parte del condotto, privo della copertura, che ricalca perfettamente
la parte est dell’edificio sacro. Da Spello si può raggiungere il castello di
Collepino (piccolo castello medievale che conserva ancora tratti della cinta
muraria, della porta ogivale, dell’antico lavatoio) lungo il sentiero, di grande
bellezza e suggestione paesaggistica, che segue l’acquedotto romano attraversando il ponte di Parasacco, alto diciotto metri, uno dei ponti realizzati
ad hoc per il superamento dei fossi che degradano verso la valle del torrente
Chiona, affluente del Topino. Nei primi anni del Seicento, l’erudito e uomo
politico ispellate, Fausto Gentile Donnola descrive nella sua interezza il percorso dell’acquedotto che, superati fossi e torrenti, grazie ai ponti “..de la
Corbara, de le Moie, di Passasacco, di Vallegloria”, attraverso il ponte detto
“di San Gironimo …contiguo al Cassaro del Pianello”, entrava in città.
Dall’arteria principale si diramava una rete di oltre cinquanta cisterne e fonti,
sia d’uso pubblico che privato.
TERME ROMANE
presso la chiesa romanica di
S. Claudio e in via Baldini
Oltre i ruderi dell’anfiteatro, e forse ugualmente databili in età flavia, sono note
terme romane, verosimilmente di proprietà pubblica, indiziate da mosaici con
tessere bianche, nere e rosse, tubuli, canalette e frammenti di decorazioni architettoniche. A seguito di lavori edilizi in via Baldini è stata rinvenuta una villa
romana suburbana con annesso impianto termale costituito da tepidarium, calidarium e natatio.
Acquedotto Romano,
sentiero-passeggiata
che raggiunge Collepino
FONTANA-NINFEO di Villa Fidelia
Un importante santuario ellenistico a terrazze sorgeva sul luogo della cinquecentesca Villa Fidelia, circa un km e mezzo a nord-ovest di Spello, con edifici di
culto dedicati a diverse divinità. Una delle due cisterne romane del santuario,
individuate dalle ricerche archeologiche, fu riutilizzata per l’imponente fontananinfeo che chiude oggi la prospettiva del giardino barocco, il cui assetto
complessivo, avviato nei primi decenni del Settecento quando divenne proprietaria della villa donna Teresa Grillo Pamphili, venne completato nel secolo
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Villa Fidelia,
fontana con esedra sormontata
dalla statua di Diana cacciatrice
successivo dalla famiglia Piermarini. Una seconda fontana con esedra, sormontata dalla
statua di Diana cacciatrice, è posta nella terrazza sottostante la precedente, in funzione
delle esigenze prospettiche e allegoriche del
giardino.
FONTANA DI GIULIO III,
Villa Fidelia, imponente fontana-ninfeo con orologio
piazza della Repubblica
È addossata alla parete del vecchio Palazzo
Comunale (sede del Comune fino al 1972 ed attualmente ospitante la biblioteca, l'archivio
notarile e l'archivio storico comunale, materiali
lapidei romani, la raccolta dedicata al pittore
Emilio Greco e l'Accademia di Studi
Costantiniani), tra il primo arco dell’edificio e lo
spigolo che dà su Piazza Garibaldi. Venne eretta
sul luogo della scala rampante che dava accesso
al primitivo palazzo comunale (XIII secolo), demolita alla metà del Cinquecento. Sovrastano la
vasca rettangolare iscrizioni e stemmi, tra cui
quello del Pontefice Giulio III (1550-1555).
FONTE VECCHIA, via Cervara
Alla fine di via Cervara la fonte dà il nome alla via percorrendo la quale,
in prossimità delle mura trecentesche che chiudono a monte l’impianto
cittadino, si può entrare nel centro storico per Porta Fontevecchia e raggiungere la chiesa e il monastero di S. Maria di Vallegloria (XIV sec.).
FONTE BREGNO, Parco Naturale del Monte Subasio
Lungo antichi percorsi che da Spello conducono ad Assisi passando per il
Monte Subasio e l’Eremo delle Carceri si incontra Fonte Bregno (alt. 1028).
E’ la fonte del Monte Subasio più alta in quota e ha la singolarità di essere
posta esattamente sul confine amministrativo fra Assisi e Spello, come
evidenziano gli stemmi delle due città ai lati della vasca (nei pressi della
fonte area attrezzata e piccolo rifugio). Il sentiero in discesa di fronte alla
fonte conduce, attraversando il fosso Renaro e fonte Bulgarella, con suggestiva vista sul Spello e la valle del Chiona, a Porta Montanara e al centro
storico.
POZZO all’interno del chiostro
della Chiesa di S. Girolamo
Nei pressi della circonvallazione si trova la chiesa di San Girolamo con annesso convento, edificata nel XV secolo per volontà di Braccio II Baglioni
e preceduta da un portico con affreschi di Pier Antonio Mezastris (Foligno
1430-1506) e della scuola del Pintoricchio. Il chiostro affrescato, con piccolo portico e pozzo, appartiene all’impianto originario del complesso.
Piazza Garibaldi, fontana di Giulio III,
Stemma del Pontefice
RIFERIMENTI UTILI
Pinacoteca Civica, p.za Matteotti 10, tel. e fax 0742 301497; Parco Naturale del Monte Subasio, Cà Piombino,
Assisi, tel. 075 8155290; Proloco Spello, p.za Matteotti 3, tel. 0742 301009; Villa Fidelia, via Flaminia 72, tel.
e fax 0742 301866.
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SPOLETO
Ai piedi del Monteluco, abitata in età preromana e romana, la città, nel IV secolo d.C. sede vescovile, ha svolto
un ruolo politico fondamentale con l’arrivo in Italia dei longobardi e la costituzione del Ducato, a controllo
di un vasto territorio che giungeva fino a Benevento. Spoleto, distrutta secondo la tradizione da Federico
Barbarossa nel 1155, contesa tra Impero e Chiesa, fu a questa definitivamente aggregata nel 1247. Il Cardinale
Albornoz nel 1362 scelse la città come nucleo strategico per la riconquista dello Stato Pontificio e ordinò la
costruzione della Rocca che dalla fine del XIV sec. divenne sede dei Rettori del ducato. Spoleto visse un ulteriore periodo di prestigio quando divenne capoluogo del dipartimento del Trasimeno, da Rieti a Perugia,
tra il 1808 e il 1815, durante l’Impero Napoleonico mentre nel secondo dopoguerra la crisi delle miniere di
lignite e delle produzioni agricole fece conoscere alla città la migrazione della popolazione verso diversi paesi
europei. In quegli anni si gettarono tuttavia le basi per un solido futuro e si diede il via a manifestazioni a
cui il prestigio e lo sviluppo della città sono, ancora oggi, fortemente legati: nel 1947 fu fondato il Teatro
Lirico Sperimentale, nel 1952 inaugurato il Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, nel 1958 si svolse la
prima edizione del Festival dei Due Mondi. Grazie a questi eventi la città si è conquistata un ruolo di importanza internazionale nel mondo artistico e culturale e le attività connesse hanno assunto un ruolo primario
nell’economia locale.
EDIFICI TERMALI e CISTERNE romane tra via Fontesecca e vicolo S. Filippo
A Spoleto, in occasione di lavori edili, sono stati individuati tre edifici termali, il maggiore nella zona tra il Tribunale
e il Teatro Nuovo, un secondo a Piazza Fontana e un terzo, più piccolo e forse privato, sotto palazzo Pianciani.
Nei pressi dell’angolo nord est dello spazio originariamente occupato dal foro romano, è documentato un imponente complesso di strutture sotterranee accessibili da proprietà private, di cui un ambiente è riutilizzato come
pozzo e vasca di raccolta del giardino sovrastante, altri due, foderati in cocciopesto lungo le pareti furono riutilizzati in età imperiale avanzata come cisterne. Si tratta verosimilmente di edifici che perimetravano lo spazio
forense creando imponenti e scenografiche sostruzioni-terrazzamenti al foro stesso.
PONTE SANGUINARIO
Da Piazza della Vittoria, scendendo una gradinata, si scorgono i resti
del ponte, costruito sopra il torrente Tessino e tra le più note testimonianze, insieme al teatro, all’Arco di Druso e alla domus di via
Visiale, della città romana. Il nome gli deriverebbe dalla corruzione
del termine latino Sandapilarius, riferito ad una porta del vicino
Anfiteatro, o - meno probabilmente - dal fatto che nei dintorni si verificò, in epoca romana, qualche episodio di persecuzione contro i
cristiani. La struttura, attraverso cui entrava in città la Flaminia, risale
al I secolo a.C., costruita con grandi blocchi di travertino. Si sviluppa
su tre arcate e misura circa 24 m in lunghezza, 4,47 m in larghezza e
8,07 m in altezza. È ricordato nelle leggende, negli statuti e nelle
cronache, e nel 1296 era tuttora in uso, ma le acque del torrente già
cominciavano ad allontanarsi dai suoi archi. Con lo spostamento del
letto del fiume il ponte fu abbandonato e restò interrato per secoli
fino alla riscoperta agli inizi dell’Ottocento.
FONTANA DEL MASCHERONE, Piazza Campello
La fontana, progettata dal pittore Emanuele Crise agli inizi del XVII
in sostituzione di una analoga struttura medievale, ma realizzata circa
trenta anni dopo, fu ristrutturata nel 1736 a cura di Clemente XII e
Ludovico Valenti. Sulla sommità delle paraste che inquadrano il mascherone sono collocati due stemmi del Comune di Spoleto, entrambi
con la corona ducale, uno con la croce, l’altro con cavaliere impennato. A fianco è una piccola fonte con la scritta “Bibe viator” e la
data 1642, forse relativa al rifacimento seicentesco. Una notizia ot42
Piazza Campello, fontana del Mascherone
con duestemmi del Comune di Spoleto.
tocentesca vuole che, rimuovendo la vasca che raccoglieva l’acqua, apparve trattarsi di sarcofago
romano con dedica di Bebia Mustia allo sposo
Lucio Bebio Sabino.
FONTANA di Piazza del Mercato
Sul luogo dell’antico foro romano sorge oggi la
monumentale fonte disegnata dall’architetto romano Costantino Fiaschetti nel 1746/48. Nel
medioevo esisteva al posto della fonte la chiesa di
S. Donato, di fronte alla quale già esisteva una fontana riadattata nel 1433 e 1484. Distrutta la chiesa
nel XVI sec. il muro sulla piazza fu decorato con un
orologio e dal 1626 su progetto di Carlo Maderno,
uno degli architetti più in voga agli inizi del
Seicento a Roma, prese forma la fonte con i quattro stemmi della famiglia Barberini, a cagione della
devozione della città soprattutto a Maffeo, vescovo di Spoleto tra 1608 e 1617 e poi Papa con il
Piazza del Mercato. Fonte monumentale
con i quattro stemmi della famiglia Barberini
nome di Urbano VIII, e ai nipoti cardinali Antonio e
Francesco. L’aspetto attuale si deve nel settecento al
Fiaschetti che progetta una scenografica facciata in
travertino conservando parte degli elementi preesistenti e aggiungendo i due mascheroni, le nicchie al di
sopra, in origine abbellite da statue lignee, la mensola
al centro dell’arco.
NINFEO di Palazzo Racani Arroni,
via dell’Arrengo
Vero e proprio esempio di architettura decorata, il mastoso ninfeo impreziosisce la parete di fondo del cortile
interno del cinquecentesco palazzo Racani Arroni,
dalla pregevole facciata decorata a graffiti monocromi.
Sopra la vasca, ai lati della quale piccoli obelischi poggiano su un’alta base che simula la roccia, è una
profonda nicchia che accoglie al centro la statua di
Artemide Efesia e ai lati due figure di divinità alludenti
probabilmente alla fertilità e all’abbondanza. La lunetta sovrastante, a forma di conchiglia, ha valve in
stucco disseminate di conchiglie vere.
Cortile del Palazzo Racani Arroni,
maestoso ninfeo cinquecentesco
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ACQUEDOTTO
DEL CORTACCIONE
Alle pendici del Monte
Borgiano, a nord est di
Spoleto, nel 1823 e 1893, durante i lavori per il riattamento
delle sorgenti del fosso di
Cortaccione, sono venuti alla
luce resti di infrastrutture
idrauliche di età romana, databili plausibilmente al I sec.
a.C., che testimoniano come
l’attuale opera di presa ricalchi
strutture
antiche
verosimilmente ad uso dell’acquedotto
romano
che
trasportava le acque fino alla
vasca di carico sulla sponda
destra del torrente Tessino, sul
lato del Ponte delle Torri verso
Acquedotto del Cortaccione, infrastrutture idrauliche di età romana
il Monteluco. Le strutture tuttora visibili in loc. Arezzola consistono in un poderoso muro in opera quadrata e nucleo in conglomerato cementizio,
parallelo al corso del fiume ed edificato a protezione delle sorgenti, mentre circa quindici metri più a valle è uno
sbarramento perpendicolare al fiume funzionale alla decantazione, contenimento nonché regimentazione e diramazione delle acque, così come un’altra robusta briglia risulta circa quaranta metri più a monte.
POZZO-CISTERNA all’interno della Rocca Albornoziana
È ubicato all’interno della cosiddetta corte d’onore della Rocca
Albornoziana, costruita sulla sommità del colle di S. Elia ed oggi
sede del Museo Nazionale del Ducato di Spoleto. Contemporaneo
alla costruzione della Rocca il pozzo, di forma esagonale e sormontante una grande cisterna, è incorniciato da pilastri ornati da
mensole che sorreggono un massiccio architrave con stemmi papali
e iscrizione incisa al di sotto, invocante il Battista a benedire l’acqua
della cisterna.
POZZO-CISTERNA all’interno del chiostro di S. Niccolò
Si tratta del pozzo-cisterna ad uso della comunità agostiniana che
qui si insediò nel XIII sec. La struttura, dall’imbocco circolare poggiante su una base composta da due gradini, si trova all’interno del
primo chiostro, il più antico e congiunto alla chiesa stessa, a fianco
della quale si trova anche il secondo chiostro di costruzione quattrocentesca.
Rocca Albornoziana, pozzo-cisterna
di forma esagonale ubicato nella corte d’onore
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PONTE DELLE TORRI
Il monumentale ponte fu costruito nel XIV secolo per condurre le acque del Monteluco alla città di Spoleto scavalcando il Tessino. Alto circa 77 m e lungo 210, fu realizzato sul luogo di una preesistente analoga struttura di
epoca romana, di cui si ha traccia nella vasca di carico a monte del ponte stesso. L’opera preesistente era proba-
Ponte delle Torri, monumentale acquedotto del XIV sec.
bilmente di dimensioni più contenute, forse 120 m di lunghezza, crollata o distrutta senza lasciare tracce se non
forse nei basamenti del quinto e sesto pilone, visibilmente diversi dagli altri senza giustificato motivo. Ad una
estremità è il Fortilizio dei Mulini dove l’acqua, fin dal XIV sec. si riversava in serbatoi che alimentavano un mulino
comunale rimasto attivo fino all’Ottocento. Scrive J. W. Goethe nel suo “Viaggio in Italia” del 1786: “salito a
Spoleto mi sono recato sull’acquedotto che fa anche da ponte tra una montagna e l’altra. Le dieci arcate che
scavalcano la valle se ne stanno tranquille nei loro mattoni secolari e continuano a portare acqua corrente da
un capo all’altro di Spoleto. Per la terza volta vedo un’opera costruita dagli antichi e l’effetto di grandiosità è
sempre lo stesso. Una seconda natura intesa alla pubblica utilità: questa fu per loro l’architettura e in tal guisa
ci si presentano l’anfiteatro, il tempio e l’acquedotto”.
INTERVENTI DI BONIFICA a Madonna di Lugo
In località Madonna di Lugo, vocabolo Pozzaccheri, è ancora perfettamente visibile l’imbocco di un imponente
canale (circa 208 m di lunghezza) connesso con un antico invaso lacustre ora prosciugato, ancora funzionale allo
smaltimento delle acque meteoriche che riversa nel Cortaccione. Il condotto è tradizionalmente attribuito all’intervento di bonifica attuato nel VI sec. sotto il regno di Teodorico documentato da Cassiodoro nelle Variae
secondo il quale l’imperatore affida a due spectabiles viri spoletini il prosciugamento a proprie spese delle acque
impaludate in cambio, a lavori ultimati, dei terreni risanati. Un’attenta recente analisi dell’opera idraulica, la rilettura delle fonti in rapporto alle testimonianze archeologiche note, induce a dubitare dell’attribuzione
“teodoriciana” e a propendere per una datazione tra XI e XIII sec.
RIFERIMENTI UTILI
Galleria Civica d’Arte Moderna , Palazzo Collisola, p.za Collisola 1, tel. 0743 46434; Museo Diocesano e Basilica
di S. Eufemia, via Aurelio Saffi 13, tel. 0743 48942; Casa Romana, via Visiale 9, tel. 0743 234250; Museo del
Tessile e del Costume, via delle Terme 5, tel. 0743 45940; Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, Rocca
Albornoziana, tel. 0743 46434; Museo Archeologico Nazionale, via S. Agata, tel. 0743 223277.
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TREVI
Posta su un contrafforte del Monte
Serano, a 425 m s.l.m., circondata da distese argentate di ulivi e chiusa dalle
intatte mura romane e medievali, Trevi fu
prima villaggio umbro abitato dai
Trebiates, ricordati da Plinio, poi fiorente
centro romano, gastaldato longobardo e,
alla fine del XII sec., libero Comune. Nel
medioevo fu distrutta dal Duca di Spoleto
e alleata di Perugia contro Foligno; nei secoli successivi in contesa con Montefalco
Acquedotto del Fulcione, coperto da lastre disposte alla cappuccina
per le acque del fiume Clitunno e partecipe dell’oneroso programma di bonifica
delle paludi, condiviso con i Comuni limitrofi, alternando autonomia comunale a frequenti vicariati pontifici.
Nel 1470 vi nacque la prima tipografia, la quarta in Italia e nel 1784 Pio VI concesse il titolo di città.
ACQUEDOTTO DEI CONDOTTI o DEL FULCIONE
Monsignor Innocenzo Malvasia in una sua descrizione della città del 1587 rammenta che “Trevi… patisce d’acqua
non avendo acqua ne’ pozzi…conduce un’acqua viva lontana tre miglia per un acquedotto assai bello, il quale
mantiene con grande spesa et cura della comunità per la necessità che hanno della detta acqua”. L’acquedotto
in questione con ogni probabilità è quello del Fulcione o dei Condotti,
costruito dalla metà del XIII sec. e in funzione fin dopo la seconda
guerra mondiale. Oggi è in completo abbandono e si confonde, lungo
la costa del monte, tra le tante murature a secco delle gradonature
degli oliveti. L’acquedotto, coperto da lastre disposte alla cappuccina
o con false volte corrispondenti probabilmente a interventi rinascimentali, alimentava la fontana di piazza e le tante cisterne della città
fornendo un costante approvvigionamento idropotabile grazie ad un
sistema misto di apporti di acqua piovana e di sorgente.
FONTANA DEL LAGO o DEI CAVALLI,
piazza Garibaldi
La duplice denominazione di questa fontana deriva da una originaria
presenza di un grande stagno a difesa delle mura nel loro punto più
vulnerabile, ancora presente nel ‘700 e quindi dalla consuetudine,
ancora viva fino a qualche decennio fa, di lavarvi i panni e far abbeverare cavalli ed animali da soma, legati alle campanelle del muro
di contenimento. Documentata almeno agli inizi del Quattrocento,
deve il suo aspetto attuale ad un intervento della fine del secolo
scorso. Il prospetto architettonico, sormontato dallo stemma della
città, è costituito da una nicchia con mascherone, nel cui centro si
erge una colonna con quattro protomi leonine (forse in origine nella
fontana medievale che si trovava nella piazza principale della città)
a sostegno di un catino monolitico. Ai lati della vasca, due vasche
minori, adattate nel settecento a lavatoio, quando si decise di colmare il “lago” antistante la fontana.
POZZO del palazzo dei Conti Valenti di Rivosecco,
via S. Francesco
Come molti palazzi nobiliari, anche quello dei conti Valenti possedeva un pozzo deputato alle esigenze della casa, inserito in una
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Fontana del Lago o dei Cavalli,
sormontata dallo stemma della città
pittoresca corte con scala coperta, loggia e porte
decorate dallo stemma familiare, ripetuto anche
sull’elegante facciata del palazzo, con portale cinquecentesco e ritratti entro clipei.
LE ACQUE presso la Chiesa di S. Maria
di Pietrarossa
Situata là dove la tradizione e testimonianze archeologiche collocano la città o le terme romane di Trevi,
la chiesa di S. Maria, trae il suo nome da un monolite rosso incastonato in una delle colonne della
navata centrale, dal cui foro sarebbe sgorgata acqua
miracolosa. Al santuario si andava infatti per bere
l’acqua del pozzo di San Giovanni, ricca di poteri terapeutici contro le malattie della pelle e per
comprare, alla fiera, che si svolgeva nello stesso
giorno, i “cannelli”, copridita ricavati dalle canne usati
per la mietitura. Prima di andare al pozzo, i fedeli, che
accorrevano dai territori di Matigge, Parrano,
Collecchio e Pietrarossa, entravano in chiesa osservando un preciso rituale: per ottenere l’indulgenza
occorreva infilare dapprima il dito nella pietra rossa,
fare tre giri intorno all’altare e in ultimo toccare l’affresco raffigurante S. Giovanni. Solo allora ci si poteva
recare al pozzo situato a pochi metri dalla chiesa e
attingere l’acqua miracolosa. Un’altra versione della
tradizione attribuiva all’acqua poteri taumaturgici
nella cura delle infertilità, e tramanda che, fino al XVI
secolo, allorché Gregorio XIII vietò tali manifestazioni,
le donne di Trevi vi andassero in pellegrinaggio nelle
notti di S. Giovanni e di S. Ambrogio.
Chiesa di Santa Maria di Pietrarossa
Pozzo di San Giovanni accanto alla chiesa
di Santa Maria di Pietrarossa
le cui acque erano considerate terapeutiche
MULINI di Casco dell’Acqua in loc. Faustana
Casco dell’Acqua è una località del Comune di Trevi a confine con il territorio di Montefalco, probabilmente
sorta sul luogo di un piccolo insediamento rurale di età romana. Posto lungo l’argine destro del fiume Clitunno,
il centro, dal nome parlante, deve la sua ricchezza alla forza motrice dell’acqua che azionava le pale di alcuni
mulini di cui uno, oggi trasformato in pub, può essere ancora visitato.
INTERVENTI DI BONIFICA
Il Comune di Trevi, al cui territorio afferiscono frazioni dai significativi toponimi (Casco dell’Acqua, Cannaiola),
fu nei secoli impegnato in opere di ingegneria idraulica tese a bonificare la valle spoletina dalle paludi formatesi
con il continuo straripare dei torrenti. L’opera di bonifica e lo scavo di numerosi canali comportarono lo sviluppo
di una agricoltura incentrata sulla policoltura dei fondi, con campi che, alla fine del XVI secolo, erano delimitati
dalle piantate, costituite da alberi di bianchelle che sostenevano i vitigni da cui si ricavavano i tipici vini locali.
All’interno delle piantate veniva coltivato, a rotazione, grano e foraggio, mentre i terreni più umidi erano destinati
alla canapa (da cui il toponimo canapine), oggi sostituita dagli ortaggi, tra cui il celebre sedano nero di Trevi. In area
pedemontana si estendevano invece gli uliveti che ancora oggi producono un olio di rinomata ed elevata qualità.
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Trevi, Ufficio Cultura, p.za Mazzini, tel. 0742 332222, fax 0742-332237; Informazioni Turistiche,
p.za Mazzini, tel. e fax 0742.332269; Museo della civiltà dell’Ulivo e Raccolta d’Arte S. Francesco, Complesso
Museale di S. Francesco, l.go Don Bosco 14, tel. 0742 3321; Palazzo Lucarini Contemporary, via Lucarini 1,
tel. 0742 381021, fax 0742 386956.
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VALLO DI NERA
Forse da vallum termine latino per indicare “palizzata, difesa” a significare un insediamento fortificato o
comunque situato in una posizione difesa, o da vallis,
valle, avvalorato dall’antico nome, conservato nei documenti, di Castrun Vallis o dal termine longobardo per
bosco. Il castello, feudo del duca Corrado di Hurslingen,
fu rifondato da Spoleto nel 1217 sul colle di Flezano a
controllo di un territorio soggetto a continue dispute tra
Stato e Chiesa. Con alterne vicende (ribellioni nel 1338
e nel 1532) la dipendenza da Spoleto (cui, stando agli
statuti cinquecenteschi, si doveva un “focatico” pagato
con il “cottimo dei molini”), che garantì comunque duraturi periodi di pacifica convivenza, si protrasse fino
all’Unità d’Italia, quando i tre castelli confederati di Vallo,
Paterno e Meggiano furono riuniti in un unico Comune
con sede a Piedipaterno.
FONTANILE-LAVATOIO
Fontanile-lavatoio in pietra,
vicino alla Chiesa di S. Rocco
presso la chiesa di S. Rocco
Le strade per Piedipaterno, Ponte, Mucciafora, S. Anatolia
e Castel S. Felice si incontrano ai piedi dell’abitato, fuori
delle mura, in una piazza di “servizio” con fontanile in pietra, lavatoio e, un tempo, anche “travaglio” in legno per
ferrare i bovini. Nei pressi la chiesa di S. Rocco, eretta nel
XV sec. con facciata a capanna e portico a trasanna. Il sentiero scosceso a fianco della chiesa, che conduce a Castel
S. Felice consente una suggestiva passeggiata tra tracce di
antiche canalizzazioni, acque sgorganti e la piccola edicola
della Madonna delle Forche con ex voto per la peste del
1494 (Madonna tra i Santi Rocco e Sebastiano).
Percorrendo invece via dei Casali si arriva alla cinta muraria
e ad una delle porte urbiche di accesso al nucleo originario,
circolare, limpido esempio di castello edificato su un poggio, con le strade anulari pianeggianti e ripide risalite verso
il fulcro centrale costituito dalla piazza S. Giovanni Battista.
POZZO di fronte alla chiesa di S. Giovanni
Pozzo-cisterna in pietra rosa locale,
forma parallelepipeda,
di fronte alla chiesa di S. Giovanni
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Eretta tra XIII e XIV secolo nel punto più alto dell’abitato,
la chiesa, ristrutturata e abbellita agli inizi del Cinquecento,
conserva al suo interno una tra le rare e significative testimonianze, su scala monumentale, della diffusione della
cultura raffaellesca in Umbria: gli affreschi con le storie
della vita della Vergine, eseguiti nel 1536 da Jacopo Siculo
nella zona presbiteriale. Antistante la facciata con portale
e rosone del 1575 (data incisa all’angolo della facciata) e
campaniletto a vela, l’antico pozzo-cisterna, di forma parallelepipeda, in pietra rosa locale, così come la piazza di
recente rilastricata, mentre le numerose fontane del castello, pure ricostruite in tempi moderni, attestano in ogni
tempo la cura per acque e acquedotti della comunità, documentata anche negli statuti del 1563.
POZZO all’interno della Chiesa
di S. Maria
La chiesa francescana con annesso
convento, rappresenta uno splendido
e non troppo diffuso esempio di
come la decorazione “a fresco” finisse, per rifacimenti e apporti
continui, per ricoprire tutta la superficie muraria. Episodi della vita della
Vergine, di Cristo, di S. Francesco, di
numerosi Santi, Patriarchi e Angeli
affrescati nel tre-quattrocento, affollano le pareti di navata,
presbiterio, abside e sacrestia, mentre all’interno del più piccolo dei due
chiostri ad uso dell’ex convento è,
come di consueto, il pozzo dalle
forme semplici e funzionali al pari di
esempi quali quello dell’ex convento
di S. Croce a S. Anatolia o quello del
convento della chiesa della Madonna
di Costantinopoli a Cerreto.
Pozzo all’interno della Chiesa di S. Maria.
RIFERIMENTI UTILI
Comune di Vallo di Nera, frazione di Piedipaterno,
tel. 0743 616143, fax. 0743 617221; Pro-Loco Vallo
di Nera, tel. 0743 616242.
Pozzo antistante la chiesa di S. Giovanni
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VALTOPINA
Alle pendici del monte Subasio nella valle attraversata dal fiume Topino da cui prende il nome, sorge la città
di Valtopina, villa medievale con il nome di “Cerqua”, forse già insediamento romano legato alla via Flaminia.
Tra X e XI secolo nel territorio sorsero castelli e ville riuniti nella federazione denominata Universitas Vallis
Topini et Villae Balciani, costituita dai terzieri di Poggio, S. Cristina, Gallano, Pasano, Serra e Balciano. Le comunità della Valle del Topino, sotto il dominio di Assisi prima e dei Trinci di Foligno poi, caddero
definitivamente sotto il controllo dello Stato Pontificio sotto cui rimasero fino all’Unità d’Italia. Durante tutto
il medioevo la popolazione rimase prevalentemente stanziata nella zona collinare e l’insediamento a valle
era riservato soprattutto a coloro che traevano profitto dal transito sulla via Flaminia. Dalla seconda metà
del 1400, con il probabile scopo di garantire un’autonomia economica ai valligiani, venne istituita la fiera di
San Bernardino, che si svolgeva alla confluenza del fiume Topino con il Fosso dell’Anna, nelle cui vicinanze
era stata edificata anche la chiesa di San Pietro de Cerqua. Cerqua era dunque il nome del villaggio sorto a
cavallo della via Flaminia, corrispondente all’attuale Valtopina, ed il toponimo, presente fino al secolo scorso
nella cartografia ufficiale, è tuttora usato dai suoi abitanti. Con la costruzione della linea ferroviaria RomaAncona ed il progressivo spostamento delle attività economiche a fondovalle anche la sede municipale nel
1867 fu trasferita dal castello di Poggio alla villa della Cerqua, denominata definitivamente Valtopina
PONTI ROMANI sulla via Flaminia
La Flaminia passava per Trevi presso Santa Maria di Pietra Rossa, per S. Eraclio in Foligno, Forum Flaminii (San
Giovanni Profiamma), Case Basse, e attraversava il Topino sul ponte Centesimo (nell’attuale territorio di Foligno),
raggiungendo Pieve Fanonica. La chiesa romanica riutilizza materiali architettonici di età romana forse originariamente pertinenti ad un tempio, la cui memoria potrebbe sopravvivere nel particolarissimo toponimo (dal lat.
fanum, santuario?). Vicino alla Pieve un recente restauro ha messo in luce sia il ponte romano che le poderose
sostruzioni della strada. Il viadotto, in opera quadrata, munito di contrafforti, con restauri successivi in opera cementizia dovrebbe risalire ad età augustea (i restauri sono forse invece del I-II sec. d.C.). Lungo il viadotto si apre
un chiavicotto che permetteva il deflusso delle acque provenienti da monte, imbrigliate in un bacino semicircolare
di raccolta, pavimentato a lastre di calcare, e convogliate verso il corso del Topino.
In località Capannacce, presso Ponte Rio a nord di Valtopina è visibile una poderosa sostruzione della via (lunga
in origine circa 150 m per 8 m di altezza), realizzata in opera quadrata e munita di massicci contrafforti parallelepipedi. La struttura aveva fondamentalmente la funzione di contrastare le frequenti piene del fiume Topino. La
Flaminia prosegue quindi nel territorio di Nocera Umbra.
Chiavicotto per deflusso acque montane, lungo il viadotto
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Mulino Buccilli, lin località Fosso dell'Anna, tuttora funzionante
MULINO BUCCILLI o di VALENTINO
É situato in località Fosso dell'Anna (fianco est del Monte Subasio), tra S. Giovanni di Collepino (Spello) e Valtopina.
Il vecchio mulino (già censito nel 1861) di proprietà della famiglia Buccilli è l’unico tuttora funzionante tra i tanti
esistenti nel territorio dell’attuale parco del Monte Subasio. Il mulino macina grano mediante pale (ruota orizzontale) azionate dalla caduta dell'acqua dell'invaso soprastante, alimentato dalle acque del torrente che scorre
lungo il pendio del monte. Proprietà di Salari Biagio, secondo il catasto gregoriano, passò alla famiglia Buccilli
nel 1873 e da allora i proprietari si dedicano alla pulitura ed alla macinazione del grano mostrando, su richiesta,
le varie fasi della molitura, appagando gusto ed olfatto con la cottura nel forno del pane preparato in casa secondo
il metodo tradizionale e con la farina appena macinata. Un secondo mulino, detto nella attuale cartografia “molino
di Pollo”, documentato almeno dal 1700 sempre lungo il fosso dell’Anna, al confine tra Spello e Assisi, è ormai
allo stato di rudere.
RIFERIMENTI UTILI
Museo del Ricamo e del Tessile e Ufficio Informazioni presso il Palazzo Municipale, via Nazario Sauro,
tel. 0742 74625.
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Carta del territorio dell’ATI 3 Umbria
Nocera Umbra
Valtopina
Spello
Foligno
Bevagna
Gualdo
Cattaneo
Sellano
Montefalco
Trevi
Preci
Campello
sul Clitunno
Giano
dell’Umbria
Cerreto
di Spoleto
Castel Ritaldi
Vallo
di Nera
Norcia
Spoleto
Sant’
Anatolia
Poggiodomo
di
Narco
Scheggino
Monteleone
di Spoleto
Cascia