thomas hardy e l`amore perduto
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thomas hardy e l`amore perduto
® FRONTIERA DI PAGINE POESIA MODERNA THOMAS HARDY E L’AMORE PERDUTO I DI ANDREA GALGANO http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Prato , 15 dicembre 2011 L a natura di Thomas Hardy (1840-1928) ha una nettezza lirica. Nonostante la sua fama abbia radici di romanziere, con titoli altisonanti come Via dalla pazza folla, Tess dei D'Urbervilles o Giuda l’Oscuro, anche lì la traccia elegiaca e naturale risulta lo scenario dell’avvenimento che accade frazionandosi, nei rapporti tra società e umanità dei singoli. La poesia di Hardy, apprezzata tra gli altri da Auden, Montale e Dylan Thomas, fino a Joyce e D.H.Lawrence, ancora molto sconosciuta (si deve a un insigne studioso come Ghan Singh la traduzione di una scelta delle più di novecento liriche di Hardy per Guanda). Di recente è stata pubblicata per Marsilio, una scelta di testi a cura di Gilberto Sacerdoti che recano un vivido sentiero al loro interno: l’amore di Hardy per sua moglie Emma Lavinia Gifford, sposata nel 1874. Matrimonio di trentotto anni contrastato e infelice, dopo un lontano incontro in Cornovaglia e una discrepanza sociale. Ciò che emerge non è la poesia d’amore in sé, ma la testimonianza complessa che diviene essa stessa romanzo in versi, spaesamento e sperdimento di anelito. A differenza di molta poesia del Novecento, Hardy usa la metrica in modo vario e chiuso, così come lo stupore si innerva nel verso, dilaga senza virtuosismi, ma con slancio emotivo intenso. La poesia di Hardy è un colloquio intimo, un paesaggio d’altura quotidiano. La Cornovaglia fu per i due manti l’inizio di un tumulto e di una restaurazione di splendore, come i suoi capelli biondi, che assomigliano a quel vento che visita gli angoli della Scozia. La positivistica e darwiniana posizione di Hardy conosceva la lotta e il colloquio, la battaglia dell’anima con l’instabilità, il filo mentale che lega la lucidità al disturbo. La “moglie-edera” come è stata definita Emma, era una pagina in chiaroscuro. Quel chiaroscuro si interruppe nel 1912. Emma morì ma Hardy fu come colpito da un fiotto inestinguibile, che mai prima di quel tempo, ebbe invaso i suoi bordi e i precipizi. Scrive Gilberto Sacerdoti: “Di notte compulsava con affascinato orrore i «diabolici diari» di lei, che fornivano abbondante combustibile al doloroso fuoco di un rinnovato amore intriso di pena, desolazione, rimorso, colpa. Il suo romantico amore giovanile non solo ridivenne realtà, ma divenne l’unica realtà che lo interessasse”. Il quadro di queste poesie è un tratto dai colori accesi e duri, tragici e dolci, come il fiotto della contemplazione, della pena della parola, del rimpianto avvolto nel mistero del canto d’affetto. L’abisso di una tensione umana ha la profondità dell’espiazione, il colpo dell’intensità che si lacera ma diventa più umana, più viva: «Adesso che son morta,/ mi canti le canzoni/ che conoscevamo entrambi,/ però quando anch’io vivevo/ non ne avevi mai la voglia.// Adesso che son morta/ alla luce della luna, sconsolato,/ tu bussi alla mia porta;/ ah, cosa non avrei dato da viva/ per conquistare tale tenerezza!// Dimmi: quando sarai morto/e ritorneremo uguali,/ non diversi come ora,/ sarai gelido com’eri/ quando vivevamo, o no?». ® © articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano.THOMAS HARDY E L’AMORE PERDUTO. 15 DICEMBRE 2011 II Solo dall’oscurità più densa possono venire tinteggiature di luce, a volte piane, a volte sghembe: «Una nuvola ci avvolge in acquerugiola iridata, / con l’Atlantico ingrigito da una macchia deformata, / poi il sole torna ed orna della sua porpora il mare». L’abisso della bellezza, come la scogliera di Beeny. Quella mancanza di nostalgia gelata cade nei luoghi dell’anima, con il freddo che popola stagioni e riempie vuoti. L’immagine di Hardy è un magma denso di colori, perché i colori sono traccia metafisica e immediata di una fitta relazione con ciò che è inanimato, con la mancanza senza colore, con l’ironia contraddittoria, con la solidità della materia. Lo scenario è di privazione e destino beffardo, immanenza che scolora i piani, ridefinizione poetica che unisce amore e morte in un’unica candida veste. La definitività di queste liriche sono scorci di umanità perduta, che avvengono nella pronuncia dell’istante e ridisegnano l’esistenza senza cerimonie, senza rivitalizzazioni, in un pendio di sogno e visione: «Le ho baciate con la mente / nella luce dell’alba mentre me ne andavo: / le ho baciate attraverso il vetro del ritratto: lei non lo sapeva». Esiste una semplicità cosmica, potremmo dire, nelle pagine liriche di Hardy, una semplicità mai ambigua, come ha scritto Larkin. Una miniatura dimenticata nel mare dell’essere. I La scogliera di Beeny Oh l’opale e lo zaffiro di quel mare occidentale, e la donna che cavalca coi capelli sciolti al vento – Marzo 1870- Marzo 1913 quella donna tanto amata che lealmente ha amato me. II I gabbiani che stridevano, e le onde giù distanti come in un cielo inferiore chiacchieravano incessanti, mentre sopra ridevamo sotto un sole chiaro, in marzo. III Una nuvola ci avvolge in acquerugiola iridata, con l’Atlantico ingrigito da una macchia deformata, ma poi il sole torna ed orna della sua porpora il mare. IV -Mostra ancora al cielo Beeny la bellezza del suo abisso, e noi non ci torneremo, già che marzo è quasi giunto? Né le dolci cose dette in quel marzo ridiremo? V Cosa importa se selvaggia la scogliera è bella ancora, quella donna che a cavallo la correva adesso è – altrovee di Beeny non si cura, né lì più riderà ancora. ® © articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano.THOMAS HARDY E L’AMORE PERDUTO. 15 DICEMBRE 2011 III