Cara Presidente ADDU, non mi sono mai inserita nelle vostre
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Cara Presidente ADDU, non mi sono mai inserita nelle vostre
ALCUNE E-MAIL DI RISPOSTA ALLA LETTERA DI PINA LALLI Io concordo con lei. La professione è medico-ricercatore-veterinario-maestro… poi uno può essere uomo o donna ma la professione è una. Io sono ricercatore. Cordiali saluti. Silvia Castellaro Cara Presidente ADDU, non mi sono mai inserita nelle vostre iniziative e quindi lo faccio adesso senza pretesa di offrire un parere significativo; però mi trovo totalmente d'accordo con quanto scritto dalla collega Pina Lalli. Cordialmente, Anna Guagnini Cara Paola condivido in pieno la sensibilità espressa da te e da Pina Lalli. Trovo le nuove declinazioni al femminile dei ruoli ridicole e, poiché sicuramente così le avvertono anche i maschilisti, mi sembra che il loro uso esponga al ridicolo i contenuti seri di una battaglia sulla parità di genere che invece si gioca su ben altri piani. Aggiungo anche un certo fastidio nel vedere buttare risorse (umane ed economiche) nella riverniciatura di una facciata volta a nascondere le crepe profonde dell'edificio. Che di quelle risorse (e anche di altre, ovviamente) avrebbe bisogno per essere veramente risanato. Marina Marini Grazie cara Collega, sono completamente d'accordo. Anch'io rivoglio il mio titolo di "professore associato" (associata a chi mi viene da dire?). Nessuno è contento di questo cambiamento a mio parere solo di facciata. IL titolo al maschile conquistato da una donna ha un sapore migliore!! Ciao, Paola Villano Cara Paola, sono anch'io assolutamente d'accordo con te e con la Collega che ha scritto questa giustissima riflessione. Avevo già avuto occasione di ironizzare (considerato che altro non si puo' fare) con alcune colleghe e colleghi sulla questione quando èarrivata la mail "trionfalistica". Se mi dici a chi ti sei rivolta, anch'io voglio chiedere il ritorno sul sito web a "professore ordinario" e, in subordine, a professoressa di I fascia, ruolo degli ordinari. Con tutto quello di rilevante che c'è di cui occuparsi, guarda come si spreca il tempo e il denaro! A presto. Susanna Zerbini Carissima Paola, carissima Pina, carissime tutte, Mi fa piacere sapere che alcune di voi nutrano perplessità. Sarò grata a chiunque, se nei messaggi -- al di là di ciò che il Centro ha deciso e che rispetto -- continuerete a indicarmi come Direttore del Dipartimento delle Arti e Professore ordinario di Pedagogia musicale. Vi ringrazio fin d'ora, e vi saluto affettuosamente. Giuseppina La Face Cara Paola, Condiivido appieno la lettera della Collega e la tua posizione e ammiro la sua determinazione nel dar voce ad un’opinione diffusa in merito. Non sono una linguista , ma professoressa ordinaria aggettivizza il ruolo come qualcosa di banale appunto l’ “ordinario” del linguaggio comune. Un caro saluto Giovanna Prof Giovanna Cenacchi, MD Cara Paola, condivido pienamente la tua posizione. Non mi riconosco minimamente in questa iniziativa di retroguardia, che mi amareggia. Non sono professoressa "ordinaria" e trovo un insulto che la rubrica mi definisca così. Non conoscevo la lettera di Pina, e la ringrazio di avere argomentato in modo così raffinato la sua posizione critica nei confronti dell'iniziativa. Essendo ormai deciso tutto, mi pare di capire che l'unica difesa sia l'ironia. Viene in mente la battuta di Giorgio Celli, che diceva di se stesso: ho cominciato come "straordinario", poi sono diventato "ordinario" e infine ho concluso la carriera come "emerito c...". Le battute sulle degenerazioni a cui può portare l'uso "non discriminatorio" del linguaggio sono infinite, ma forse qualche riflessione non bigotta andrebbe fatta. Tra l'altro trovo molto preoccupante che sia preclusa la possibilità di libera scelta. Un abbraccio Anna Stagni E che anch’io condivido pienamente – come già detto alla Chiara Elefante. Grazie per la diffusione dell’opinione della collega! Cordialmente, Donna R. Miller Cara Paola, mi spiace molto che non ci si sia stato modo di confrontarci su questa questione, purtroppo mancano le occasioni per incontrarci e condividere, con serenità, opinioni e scambi che possono portare a nuove e più inclusive visioni, quelle che ci permettono di progredire, tutte insieme, non di arrestarci o arretrare, come sempre i conflitti fanno. Ti assicuro che questo processo è nato da una consultazione molto ampia, che ha coinvolto linguiste/i e giuriste/i, sono state organizzati gruppi di lavoro multidisciplinari e due seminari di discussione e presentazione della proposta. Ovviamente, anche se invitate, non tutte le colleghe hanno potuto essere presenti nelle varie fasi del processo, purtroppo nessuna di noi riesce ad essere tanto partecipativa quanto vorrebbe rispetto alla vita dell'Ateneo, normalmente, per comprensibili ragioni pratiche, tendiamo a selezionare le attività e iniziative più vicine alle nostre aree disciplinari. La questione della lingua rispetto al genere, al di là delle reazioni istintive che può suscitare, richiama scenari complessi, su più livelli, si tratta di dimensioni che sono state ampiamente prese in esame, per giungere a decisioni (di minima) che ci permettessero di colmare una grande lacuna e avanzare, anche se di poco, su questo ambito. Le questioni linguistiche sono decisamente complesse, per fortuna abbiamo in Ateneo linguiste e linguisti che ci aiutano a comprendere, problematizzare, contestualizzare e assumere decisioni non sulla base di punti di vista individuali, ma di evidenze, confronti, analisi comparate, il tutto, ti assicuro, in modo giuridicamente ineccepibile, spero che anche tu avrai occasione di confronto su questo con chi conosce molto bene la questione. Solo due considerazioni sulla mail che ci hai inoltrato e sul suo reale o potenziale impatto comunicativo: 1. abbiamo competenze importanti in ateneo e dobbiamo abituarci a metterle in rete, ma soprattutto occorre che riconosciamo e diamo fiducia alle colleghe e colleghi che lavorano su certe tematiche da molti anni. Nella fattispecie tutti usiamo l’italiano, ma un/a linguista ha una visione più ampia, che ci permette di andare oltre. A mio avviso questo è un problema che tocca ogni ambito disciplinare, sono certa che anche tu lo abbia riscontrato nei confronti della tua disciplina, occorre davvero che coltiviamo maggiormente il riconoscimento e la considerazione reciproca verso le competenze di cui ciascuna di noi è portatrice. 2. come tu sai uno dei principali ostacoli alle pari opportunità è rappresentato dalla conflittualità interna, dove ci portano posizioni che ci mettono le une contro le altre? A distrarci da altre questioni importanti? A scegliere il conflitto invece della condivisione e della co-costruzione di visioni più inclusive? Perché non invitare le colleghe ad essere propositive piuttosto che oppositive? Un caro saluto Elena Luppi Care colleghe, cara Pina, vi ringrazio di aver aperto il dibattito che mi rassicura sul fare parte ancora di una comunità critica e libera. Le riflessioni e i sentimenti di Pina sono talmente condivisi da me da non voler aggiungere altro, anche perché espressi in modo limpido e per me indiscutibile. Se non ribadire che, come lei, avrei voluto essere consultata, come lo avrebbero preferito le colleghe a cui ho chiesto cosa pensavano di questa decisione. E forse anche come avrebbero preferito essere consultate le ministre, sindache, assessore o assessoresse?(che orrore!) che temo non dicano nulla per paura di apparire politicamente scorrette. ecco questo vorrei: che per paradosso non ci dimostrassimo peggiori dell’esempio che ci hanno dato gli uomini quando hanno gestito le decisioni anche per noi. Mi piacerebbe dire al mio Ateneo che continuerò a farmi chiamare e a scrivere in firma “professore” e “coordinatore”, e mi piacerebbe rimettermi alla maggioranza della volontà della comunità cui appartengo. Se deciderà che sul mio sito ci deve essere professoressa e coordinatrice me ne farò una ragione, in firma continuerò a decidere liberamente. un caro saluto Federica Muzzarelli Condivido ogni parola di questa mail. Non condivido soltanto la vaga speranza di Pina che qualche cambiamento potrà comunque derivare da banali elementi linguistici (ma ho l'impressione che si tratti anche per lei di un auspicio dettato da pura educazione ed eleganza). In bocca al lupo a tutte, Simonetta Nannini Cara Paola, Grazie per aver condiviso questo messaggio. Anche io ho parecchie perplessità sulla forzatura di dover ridefinire tutti i ruoli al femminile. E mi fa piacere capire che questa decisione non incontra il parere favorevole di diverse di noi. Visto che lo hai già fatto, potresti gentilmente indicarmi il contatto a cui rivolgersi per poter tornare ad avere nella comunicazione istituzionale un ruolo corrispondente alla dicitura ministeriale te ne sarei grata. Torno volentieri alla dicitura “professore ordinario”. Un caro saluto Paola Paola Giuri Concordo con la tristezza tua e di Pina Lalli Marinella Pigozzi Cara Paola, Grazie per la condivisione di questa lettera e grazie del tuo parere. Sono più che d'accordo con la Prof.ssa Pina Lalli su quanto ha scritto, sia per la modalità "dall'alto" che per l'assunto medesimo. Temo non sarà possibile tornare indietro, ma sarebbe altamente auspicabile. Non è così che si combattono le battaglie, perché di battaglie, lasciamelo dire insegnando io in uno dei Dipartimenti da questo punto di vista più retrivi dell'Ateneo, come assodato, si tratta. Un saluto affettuoso, Donatella Biagi M. Ringrazio per l'aggiornamento. Condivido in pieno le considerazioni di Pina Lalli ( non metto il titolo per non sbagliare). Mi conforta che alcuni illustri linguisti abbiano tutto questo tempo a disposizione tanto da dissertare su temi "così determinanti". Il fatto che le donne siano pesantemente discriminate nel nostro Ateneo e ovunque non cambierà di certo perchè, dopo lunga riflessione, hanno pensato di cambiare il genere. Bisogna cambiare ben altro. Il prossimo obiettivo, sicuramente utilissimo, sarà di dissertare sul sesso degli angeli. Un mesto, ma cordialissimo saluto Elisabetta Caramelli Gent.ma grazie per questa e-mail, almeno ora mi rendo conto che non sono la sola ad avere molti dubbi su questa operazione. Concordo poi pienamente con il suo PS, pure io mi ritrovo come “professoressa ordinaria”. Chiedo un consiglio, a chi devo chiedere che venga ripristinata la precedente dicitura? Grazie infinite Mirella Rambaldi Cara Collega, mi trova perfettamente d'accordo. Mi pare la classica foglia di fico.... per non affrontare seriamente la parità di opportunità di carriera e ancora prima di rapporti. Ho provato lo stesso disgusto verso l'inutile storpiatura dell'italiano, quando la mia avvocatessa (esiste vero?) mi ha chiesto di chiamarla avvocata . Ora mi sono abituata, ma che senso ha? Cordiali saluti, Donatella Pavanelli Gentile Professoressa Monari, condivido ogni singola sillaba di quanto lei scrive e quanto la Prof.ssa Pina Lalli ha saputo esprimere così bene. Personalmente ho trovato avvilente vedere d'autorità il mio ruolo di professore associato (ruolo per cui ho lottato a lungo e a cui sono giunta quando non ci speravo più) declinato "al femminile" senza che nessuno mi avesse chiesto un parere. Ho percepito malumori anche da parte di altre colleghe del mio Dipartimento, quello di Scienze Agrarie. Anch'io vorrei che venisse ripristinata la precedente dicitura (o, in subordine, professoressa di II fascia). Cortesemente, mi può indicare a chi rivolgermi? La ringrazio del messaggio Cordiali saluti Maria Luisa Dindo Cara Paola, riguardo al dibattito su linguaggio e genere mi permetto di consigliare alle colleghe l’ascolto della lezione che la prof.ssa Cecilia Robustelli fece al Seminario sulla violenza contro le donne, istituito tre anni fa presso il nostro Corso di laurea in Filosofia , e ancor oggi disponibile sul canale youtube del nostro ateneo. Questo sotto il link: https://www.youtube.com/watch?v=XAqrg5EIq2I A me è stato molto utile Cordialmente. Valeria Babini Carissim* concordo completamente con i rilievi delle colleghe Monari e Lalli. In aggiunta alle loro argomentazioni consiglio la lettura del paper citato sotto che riporta ricerche empiriche e mostra che il suffisso "essa" da una parte "rispetta" la parità di genere ma dall'altra conduce ad una diminuzione dello status sociale percepito relativamente alle donne. Merkel, E., Maass, A., & Frommelt, L. (2012). Shielding women against status loss: The masculine form and its alternatives in Italian language. Journal of Language and Social Psychology, 31, 311-320. [doi: 10.1177/0261927X12446599 Come ha argomentato Pina Lalli è molto difficile contrastare gli stereotipi di genere soprattutto in ambito accademico. Rubini, M. & Menegatti, M. ( 2014) Hindering Women’s Careers in Academia: Gender Linguistic Bias in Personnel Selection,JOURNAL OF LANGUAGE AND SOCIAL PSYCHOLOGY, 33, pp. 632 - 650 Se a questo si aggiunge anche una perdita di status percepito potremmo trovarci di fronte a conseguenze ancora più deleterie delle difficoltà esplicite ed implicite che incontriamo nell'ottenere riconoscimenti egalitari del nostro lavoro in Università. Cordialmente Monica Rubini Gentile Presidente, sono del tutto in accordo con la bella mail che ci ha girato, come può verificare dalle qualifiche che compaiono sotto alla mia firma in automatico (e che, a conferma di quel che dice la collega, gli uomini cercano di tradurre al femminile proprio per "sminuire" la qualifica, per esempio, come vede scrivo segretariO della Associazione dei processualisti, che significa ruolo esecutivo, come il segretario di un partito per intenderci, i colleghi ti chiamano segretariA, che evidentemente ha tutt'altre connotazioni), il cambiamento imposto dall'alto poi è asolutamente deprecabile, che ognuno si potesse scegliere l'appellativo che vuole (da giurista, imporre a una donna, che magari si sente psicologicamente uomo, cosa possibile tant'è che oggi si può cambiare anagraficamente sesso senza procedere a intervento come in passato, è esattamente il contrario della tutela della libertà del singolo di cui tutti si riempiono la bocca), mi scusi mi sono fatta prendere la mano, a una donna dà molta più forza essere "professore ordinario" che non "professoressa ordinaria", rabbrividisco già a vedermi "professoressa associata", per non dire che in un'epoca in cui si abbrevia tutto (cque, tvb, etc), qui allunghiamo.... ci chiamino come vogliono e come fa loro piacere, pensiamo alla sostanza....tanto contro gli ideologi burocrati del gender a tutti i costi l'intelligenza può solo perdere, con i miei migliori saluti, Lea Querzola Gentilissima, mi sono sentita così in minoranza da non aver trovato lo stimolo per intervenire pubblicamente in tempi non sospetti. Ma veramente le nostre colleghe credono che si possano superare i pregiudizi, nei confronti delle donne che si impegnano fuori dalle mura domestiche, solo chiedendo una declinazione al femminile delle "parole per dirlo"? Ed inoltre, queste sono le priorità del nostro Ateneo? Mostrasi più realisti di un re nudo? Tra il ridicolo ed il grottesco, ma forse questi sono i "tempi moderni". Cordialmente, Patrizia Selleri Cara Paola Condivido ogni parola, punto e virgola di quanto leggo in questa pagina. Questo make-up riuscito pure male mi ha infastidita molto e come me ha infastidito altre colleghe. Osservo solo che questa “piccola iniziativa “ era facile da attuare, ma oltre ad offendermi fa trasparire che non ci sono idee per affrontare la vera sostanza della questione. Ho scritto solo a te per evitare di aprire una catena di messaggi, ma non ho nessun problema alla divulgazione di questo mio pensiero. Un abbraccio e grazie per averci dato voce! Anna Minarini Care colleghe, concordo pienamente con le osservazioni espresse nella lettera e mi chiedo perché non si sia ritenuto opportuno aprire un dibattito piuttosto che imporre dall'alto e centralmente una decisione di cui continuiamo ad essere oggetto e non soggetto prof.ssa Gabriella Elina Imposti Brava Paola! Sottoscrivo in pieno quello che scrivi “Nel mio sito, sotto il mio nome, ho trovato la diciture “professoressa ordinaria” (sic!). NO, questa qualifica non mi appartiene e non trova nessun riscontro nei documenti ministeriali che attengono alla mia persona. Sono un professore/professoressa nel ruolo “ordinario” dei professori universitari. L’aggettivo ordinario attiene al sostantivo ruolo e non al sostantivo professore/professoressa. Ho chiesto che venga ripristinata la precedente dicitura o, in subordine, la dicitura “professoressa di I fascia.” Daniela Cocchi Care colleghe, Pina Lalli ha espresso magnificamente una posizione che condivido pienamente. Non mi sento "Professoressa associata confermata", come purtroppo recita attualmente la mia pagina web. Un caro saluto Paola Fantazzini, Cara Paola io non penso che si tratti di una forma di ideologismo politically correct. .... , il linguaggio neutro per troppo tempo ha occultato forti discriminazioni Quel 20 per cento - poco piu - di professori ordinari donne oggi viene allo scoperto con l'uso del linguaggio di genere, certo non basta, ora alle parole devono seguire i fatti .... una riflessione sul punto mi sembra quanto mai utile un abbraccio e a presto ( mi dovrò rivolgere a Chi l'ha visto? per avere tue notizie...) Carla Faralli Cara Paola, mi ha fatto particolarmente piacere ricevere questa e-mail e la riflessione, cui mi associo in pieno. Personalmente non condivido affatto l’iniziativa di declinare al femminile le denominazioni nella documentazione e nel sito di Ateneo. Purtroppo questa decisione, che ha sostanziali valenze politiche, non è stata affrontata come avrebbe dovuto in SA. Sicuramente io non sono al livello delle competenze delle linguiste interpellate, ma mi chiedo se un problema simile possa essere ridotto a una mera questione linguistica e non dovrebbe essere affrontato in tutte le sue implicazioni politiche, sociali, storiche e legali. Da povero ingegnere sono abituata a scegliere la denominazione in base al significato sotteso e dichiarare solo le specificità rilevanti rispetto a tale significato. In tale ottica pertanto non capisco il senso di sforzarsi per specificare il genere in denominazioni attinenti ruolo. Se per legge il mio genere non deve influire sul mio reclutamento e sulla valutazione della qualità del lavoro svolto nell’ambito di un ruolo, non si capisce perché la denominazione di tale ruolo dovrebbe riflettere il genere stesso. Dire “Studentesse e studenti”, ad esempio, sembra suggerire, nei fatti, che 'le studentesse' siano altro da 'gli studenti’, tanto più in una lingua in cui il plurale ‘studenti’ include di per se sia il genere maschile che femminile (in questo mi potranno forse correggere le linguiste interpellate, perché forse la grammatica italiana è cambiata rispetto a quella che ho studiato alle elementari). Un tale accanimento nella distinzione di genere rasenta lo sgrammaticato, sicuramente è pleonastico, personalmente lo trovo irritante e ‘ghettizzante'. A mio avviso questa ‘iniziativa’ non riconosce nei fatti il ruolo femminile (per inciso quale sarebbe il ‘ruolo’ femminile all’interno del ‘ruolo’ di professore, studente, ricercatore?), ma fornisce al contrario la scappatoia di una diversa denominazione a chi pensa che una studentessa sia altro da uno studente, che una professoressa sia altro da un professore per quanto concerne il ruolo. Inutile stare a recriminare sul perché certi termini siano declinati al maschile, la società e la sua storia sono cosa nota, e non è certo cancellando la memoria che si risolve un problema (anzi, direi). Molta più forza avrebbe ricordare anche nelle parole ciò che è stato e che è, affermando nei fatti che le competenze di ruolo prescindono dal genere, abituando le persone a vedere indifferentemente donne e uomini a ricoprire un ruolo, che incidentalmente ha una denominazione declinata al maschile. Molto più utile sarebbe una seria riflessione sulle azioni da intraprendere per affrontare il FATTO che il rapporto di genere per i Professori ordinari è 0.28, per gli associati 0.71 e per i ricercatori 0.92, che il SA è composto per il 30% senatori di genere femminile, quasi certamente solo per la possibilità della doppia preferenza differenziata per genere, e che a fronte di un 55% di studenti di genere femminile, la loro presenza nei corsi di studio nelle facoltà tecnico-scientifiche è al di sotto del 30% (tutti dati che emergono dal bilancio sociale appena pubblicato). Ritengo che l’iniziativa adottata abbia fatto solo confusione in un contesto in cui genere e ruolo dovevano semplicemente essere lasciati ben distinti, e sono proprio curiosa di vedere cosa accadrà quando qualcuno farà presente che tra genere e ruolo c’è di mezzo anche il problema dell'indentità, di molto più complessa risoluzione una volta che si sia fatto tracimare il genere nel ruolo. Ribadisco, forse sono io che non ho capito bene il problema, e aveva ragione il tizio che trovò particolarmente divertente ‘osservare', a me giovane laureata, che non potevo essere un ingegnere, perché 'un ingegnere deve avere i baffi’. Sicuramente l’esplicitazione del genere nella denominazione di ruolo è una scelta personale che non può essere imposta da terzi. Comunque, da ingegnere privo delle dovute competenze linguistiche, ho fatto anche io richiesta che anche sulla mia pagina venga ripristinata la dicitura Ricercatore Confermato. Un caro saluto, Rita Stagni Care colleghe Grazie. Faccio parte di quelle persone che condividono le vostre critiche nel merito e soprattutto nel metodo. Potrebbe aver senso stilare un documento e raccogliere delle firme? Magari siamo in molti (chiedo venia se uso il maschile plurale) magari no Un caro saluto Letizia Caronia Condivido pienamente la missiva di Pina Lalli. C'è modo e modo di ghettizzarsi, e io ritengo che quella che sta passando a livello linguistico sia una forma, magari emancipata e à la page, di ghettizzazione un saluto Niva Lorenzini Sono perfettamente d’accordo. A presto, Marilena Barnabei Cara Presidente ADU, non posso concordare con la posizione espressa dalla collega Pina Lalli, “sconfitta” dall'iniziativa dell’Ateneo di declinare i ruoli istituzionali al femminile e al maschile. Per Pina Lalli, scrivere “professoressa ordinaria” confonderebbe la portata simbolica e culturale del ruolo (dei professori ordinari) con la persona biologica, così attribuendo “al ruolo un sesso e un ‘genere' biologico” e sotto-interpretando “la forza simbolica che lo legittima sul piano istituzionale”. “Professore ordinario” però, non è soltanto il simbolo generico e neutrale di un prestigioso ruolo istituzionale. In primo luogo, la sua valenza simbolico-istituzionale celebra una cultura accademica patriarcale ed escludente. In secondo luogo, è un sostantivo declinato al maschile. Io non sono un professore ordinario, perché non sono un uomo, perché non voglio che mi si estenda la valenza simbolica di una carica retaggio di un’accademia maschilista e, infine, perché la mia identità di accademica non è scindibile dal mio essere, tra le molte altre cose, anche una donna. La declinazione delle cariche al femminile può essere vista come un’opportunità di rivendicare, per noi donne docenti, non lo stesso ruolo simbolico-istituzionale espresso dalle cariche accademiche tradizionali (maschili), ma un ruolo nuovo, diverso, di pari valore, che arricchisce l'accademia, perché riconosce pari dignità a studiose e studiosi. Un caro saluto, Susanna Mancini Care Colleghe, da 'esterna', non avendo mai fatto parte dell'Associazione, sebbene spesso ne abbia condiviso le posizioni, desidero però associarmi esplicitamente a quanto le colleghe Lalli e Monari hanno espresso riguardo ad un'intenzione buona che sembra però aver imboccato una strada probabilmente senza uscita e più simile alla famosa scaletta del pollaio. Anche io, come la collega Monari, chiederò la modifica dell'indicazione apposta nel mio sito personale. Cordialissimi saluti, Lucia Criscuolo Grazie io preferisco scrivere che sono "ordinario" Lucia Serena Rossi Care Colleghe, vi ringrazio davvero per la diffusione di questa lettera. Anche io la condivido appieno. Se fosse il caso, la sottoscriverei con grande piacere e gratitudine verso chi l'ha scritta, in maniera così garbata, ma nello stesso tempo molto ferma e chiara su alcuni importanti principi. Altrettanta è la gratitudine verso chi l'ha divulgata: ci voleva. Sono molto amareggiata nel constatare quanto poco condivisi siano stati i modi con cui l'Ateneo è arrivato a questa decisione, criticabile sia nella forma, che nei contenuti. Nonostante l'apparenza, un vero passo indietro nel riconoscimento della parità dei ruoli e delle funzioni. Non ho trovato per ora nessuna collega che abbia apprezzato l'iniziativa. Al di là delle assai più qualificate riflessioni di Pina, "professoressa" suona anche male, è quasi cacofonico e piuttosto petulante. Perché obbligarci a questa penitenza? Mi chiedo anche, e lo chiedo anche a voi, se non si potesse inviare alla stampa, che per ora ha fatto sentire solo voci di consenso verso il nuovo sistema, oltre che molto più banali di quanto scritto da Pina, anche un altro punto di vista. Vi ringrazio. Con cari saluti Maria Speranza Condivido pienamente la lettera della professoressa Pina Lalli e aggiungo che le inutili "definizioni" di genere corrette rispetto al passato non sono certo quel qualcosa che ci possa far gioire quasi come il concetto di "quote rosa" che, nei confronti di noi donne, trovo estremamente offensivo. Saluto e ringrazio Mariella Chiricolo Cara Paola non ho capito se rispondo a tutte le colleghe ADDU o solo a te, ad ogni buon conto metto in copia Pina, perché voglio manifestare il mio più totale accordo con le sue posizioni. Anch'io sono rimasta senza parole vedendo i grandi "cambiamenti" apportati senza un dibattito, quindi dall'alto, sul portale e direttamente sul sito docenti (trovandomi "professoressa ordinaria", che a detta di molti, sembra quasi un declassamento!) Sono d'accordo che non è certo questo il modo né per affrontare la questione del genere né per combattere stereotipi e pregiudizi, ma non voglio ripetere le argomentazioni di Pina Lalli. Spero che ci siano dei ripensamenti, anche se non vorrei che ci trovassimo invischiate in una querelle che in fondo, con queste caratteristiche, non ci appartiene. Buon week end Bruna Zani Cara Paola, ho letto la mail di Pina Lalli e le tue considerazioni. Come ex presidente del CPO, voglio esprimere alcune mie riflessioni e metto per conoscenza l’amica Carla con cui ho sempre avuto un proficuo confronto anche su questo tema. Una premessa: al di là del drammatico tema del femminicidio, a me sembra che il dibattito sulla parità di genere nella vita quotidiana della nostra società negli ultimi anni stia languendo. Con riferimento alla realtà del nostro Ateneo, ricordo quando fu abolito il CPO e proponemmo, in sede di statuto, di mantenerlo assieme al CUG, come altri Atenei hanno fatto, oppure di istituire un collegio che si occupasse specificatamente di questi temi. Ma il risultato della richiesta è noto. Ora, se il provvedimento in questione, al di là di legittimi dissensi e distinzioni, rilancia una vasta e approfondita discussione su questo tema partendo dall’aspetto linguistico, che io condivido e che peraltro è raccomandato a vari livelli anche europei e già adottato nella PA e in altri Atenei, tutto ciò mi sembra possa essere considerato positivo fosse anche solo per questo motivo. Personalmente, la dizione professoressa ordinaria non mi imbarazza più di quanto immagino faccia per i colleghi “ordinari”. Un abbraccio e a presto Susi Pelotti Cara collega, Mi ritrovo pienamente nelle parole della prof.ssa Pina Lalli e vorrei farle sapere che condivido in pieno quanto scrive. Per ciò che mi riguarda, considero l'intervento sin qui portato avanti verticistico e di facciata. Non è con qualche revisione lessicale - ancorché operata da valenti linguiste e studiose di genere - che si combattono gli stereotipi. Anzi: anche io, quando ho letto nel mio sito "professoressa ordinaria", mi sono sentita leggermente presa in giro. Già "professoressa" è un termine pomposo che, come tutti i sostantivi femminili con suffisso "essa", sembra suggerire un bonario dileggio della persona cui si riferisce: se lo facciamo seguire da "ordinaria" che in italiano, fino a prova contraria, significa "consueta, nella norma", ma anche "rozza, volgare" (vedi Grande Dizionario Garzanti), rafforziamo notevolmente uno stereotipo invece di abbatterlo. No, io non ci sto. Non mi interessa tanto se mi si chiama "professore" al maschile: mi interessa essere tratta e rispettata come un "professore". Un cordiale saluto, Silvia Albertazzi Gent.le Prof. Monari Sono anche io ormai vecchia e frustrata da questa Università (che però rispetto ancora un pochino almeno come Istituzione) e condivido MOLTISSIMO quanto scritto, sono appena rientrata da due convegni all’estero quindi non ho visto ancora le nuove diciture sul portale, ma per riassumere quanto meriterebbe di essere scritto in modo più esteso: il nostro ruolo nell’università e nella vita non è e non deve essere legato ad un fatto lessicale (in alcuni casi si propongono vocaboli propri poco adatti), cordialmente Prof. Assunta Bertaccini Ancorché in ritardo - condivido pienamente le osservazioni della collega Pina Lalli! A proposito - leggendo la bella qualitifica "Full Professor" - mi chiedo: ma poiché si sta procedendo ad una anglicizzazione a mio parere financo eccessiva dell'Ateneo, al punto che la Rivista Italiana di Scienze politiche o quella di Politiche pubbliche vengono ora pubblicate interamente in inglese, perché non trasformare i nostri titoli tutti in lingua inglese? Saremmo tutti/tutte "professors" o "lecturers", "full" o "associate" - ci faciliterebbe le relazioni internazionali e supererebbe la questione di genere in modo assai più paritario ed elegante di quello attuato dall'ateneo. Tra l'altro, è una decisione sulla quale si può sempre tornare, no? Chiara Sebastiani Care colleghe Grazie. Faccio parte di quelle persone che condividono le vostre critiche nel merito e soprattutto nel metodo. Potrebbe aver senso stilare un documento e raccogliere delle firme? Magari siamo in molti (chiedo venia se uso il maschile plurale) magari no Un caro saluto Letizia Caronia